Quando alziamo gli occhi al cielo in una notte stellata
osserviamo molti puntini luminosi ma non possiamo
vedere la miriade di particelle che in quel cielo vaga,
magari da milioni di anni prima di giungere sulla terra e
bombardare la nostra atmosfera.
Si tratta dei raggi cosmici che possono essere
raggruppati in una grande varietà di specie e di energie.
Oggi sappiamo che il 99% della radiazione cosmica è
composta da nuclei atomici. Il resto sono fotoni,
elettroni, neutrini e tracce di antimateri.
Al contatto con l’atmosfera collidono con i nuclei di cui
è composta producendo nuove particelle che a loro volta
interagiscono o decadono creandone altre. (Sciami)
I “raggi cosmici” sono un fenomeno naturale che ha origine al di
fuori dell’atmosfera terrestre ma, fino agli albori del
Novecento, non se ne prevedeva l’esistenza. Gli esperimenti che
ne hanno permesso la scoperta avevano piuttosto l’intento di
studiare il fenomeno di ionizzazione dell’aria che, a quel tempo,
si riteneva dovuto solo alla propagazione della radiazione
naturale terrestre. La ricerca nel campo dei Raggi Cosmici si è
sviluppata come uno dei più spettacolari e vitali contributi alla
scienza del XX secolo dando origine a nuove discipline
scientifiche (fisica delle particelle elementari), nuove tecnologie
(rivelatori, acceleratori), nuovi concetti in astrofisica
(meccanismi di produzione e di accelerazione). Nel corso di un
secolo, la conoscenza del fenomeno “raggi cosmici” si è
notevolmente arricchita ma ancora molte domande non hanno
avuto risposta, particolarmente quelle relative ai cosiddetti
EECR, i raggi cosmici di energia superiore a 5•10^19 eV. Oggi lo
studio dei raggi cosmici di più alta energia è parte integrante
delle “astroparticelle”, campo multidisciplinare in cui convergono
temi, conoscenze e problematiche di astronomia, astrofisica,
fisica particellare e nucleare, fisica dell’atmosfera.
Nel mondo “macroscopico” l’energia è espressa in joule.
Nel mondo “microscopico” è espressa in elettronVolt (eV)
1eV≈1.6•10^-19 joule
0.03 eV
1 eV
10^2 ÷10^5 eV
50 •10^3 eV
10^6 ÷10^7 eV
~ 10^13 eV
10^9÷10^21 eV
>5.10^19 eV
molecola di ossigeno nell’aria
fiamma di un cerino
raggi X
energia degli elettroni in un tubo televisivo
decadimento radioattivo
energia massima negli acceleratori di particelle
intervallo di energia di interesse dei raggi cosmici
EECR
6 • 10^19 eV ≈10J energia cinetica di una pallina di tennis lanciata da un
giocatore esperto tutta concentrata in una singola particella subatomica
(massa del protone ~ 10^-27 kg)
La storia dei raggi cosmici
Le radiazioni emesse da
sostanze radioattive
venivano rivelate
all’inizio del XX secolo
mediante elettroscopi,
che indicavano la
presenza di agenti
ionizzanti.
Alla fine del 1700, Coulomb dimostrò per la prima
volta che l’aria dell’atmosfera presenta una debole
conducibilità elettrica. L’origine del fenomeno rimase
a lungo oscura. (Oggi diremmo che gli atomi
dell’atmosfera terrestre vengono
continuamente“ionizzati”e che le cariche formate sono
responsabili della conducibilità elettrica dell’aria
dell’atmosfera stessa).
Verso la fine dell’800 vi furono delle fondamentali
scoperte:
1879 – i raggi catodici (William Crookes)
1895 – i raggi X (Wilhelm Conrad Röntgen)
1896 – la radioattività naturale (Henri Becquerel )
1897 – l’elettrone (John Joseph Thomson )
1899-1900 – i raggi a, b, g (Ernest Rutherford )
Charles Augustin de Coulomb
1736 – 1806
Agli inizi del 1900 venne
ipotizzato che l’aria fosse
ionizzata da misteriosi “raggi”
originati dalla radiazione
naturale emessa dal nostro
pianeta. Gli esperimenti per lo
studio dei misteriosi “raggi”
utilizzavano principalmente gli
elettroscopi .
Anche quando non c’era alcuna
sostanza radioattiva nelle
vicinanze, gli elettroscopi
tuttavia si scaricavano, indicando
una qualche forma di radiazione.
Questa era presente ovunque,
anche sul mare (lontano dalle
rocce), o in presenza di schermi.
Nel 1907 Padre Theodore Wulf
perfezionò l’elettrometro, un apparato
strumentale stabile, resistente agli
urti e alle vibrazioni, (composto da un
elettroscopio a fibre di quarzo e da un
microscopio con scala graduata), per
misurare la radiazione naturale
terrestre. Era già noto che il segnale
dovuto alla radioattività decresce in
modo esponenziale quando ci si
allontana dalla sorgente di radiazione.
Nel 1910 portò degli elettroscopi sulla
Torre Eiffel, misurando una quantità
di radiazioni maggiore del previsto.
Egli fece l’ipotesi che questa
radiazione fosse di origine
extraterrestre, proponendo di fare
delle misure a bordo di palloni
aerostatici per verificare questa
ipotesi..
Utilizzando una versione migliorata
della strumentazione di Wulf
(compensazione per le variazioni di
temperatura e pressione, sistema
ottico modificato per letture più
accurate), Victor Franz Hess iniziò
nel 1911 una serie di esperimenti
salendo in quota con palloni
aerostatici. Il volo del 7 agosto 1912
(6 ore da Aussig a Pieskow) raggiunse
la quota di 5350 metri. Man mano che
il pallone si innalzava dal suolo, il
livello di ionizzazione, come osservato
da Wulf, diminuiva molto più
lentamente di quanto atteso, fino a
stabilizzarsi verso i 700 metri.
A partire dai 1500 metri di quota, il segnale iniziò a crescere
finchè a 5000 metri raggiunse un livello addirittura doppio del
segnale di fondo che la strumentazione misurava al suolo. Hess
ne concluse che: “I risultati delle presenti osservazioni
potrebbero essere spiegati assumendo che una radiazione di
potere altamente penetrante entra nella nostra atmosfera
dall’esterno, ed ancora produce, nei livelli più bassi, parte della
ionizzazione osservata in laboratorio”. Durante la campagna di
voli del 1912, Victor Hess trovò inoltre che il segnale di
ionizzazione (e quindi l’intensità della radiazione), aveva valori
molto simili sia durante il giorno che durante la notte e non
diminuiva sensibilmente nel caso di eclissi solare (volo del 12
aprile).
Da ciò egli concluse che il Sole
non poteva essere la sorgente
primaria della “misteriosa
radiazione” ma che la radiazione
dovesse giungere dallo spazio
esterno più lontano del Sole:
nasce così la fisica dei raggi
cosmici.
i “raggi cosmici”(o “radiazione cosmica”) furono così denominati nel 1925 da Robert Millikan che credeva fossero raggi
gamma di alta energia. Oggi sappiamo che la maggior parte della radiazione cosmica è costituita da particelle anziché da
radiazione elettromagnetica,ma il termine “raggi cosmici”, nella sua più moderna definizione introdotta da Dimitry
Skobeltzyn nel 1928, è rimasto nell’uso comune.Con la scoperta della “Höhenstrahlung”, la “radiazione proveniente
dall’alto” Victor Hess venne in seguito riconosciuto quale “padre ufficiale della fisica dei raggi cosmici” e vinse il Nobel nel
1936.
Dopo la scoperta di Hess furono portati a termine vari
esperimenti (con palloni aerostatici, con palloni sonda, in aereo,
nei laghi, in montagna, nei ghiacciai) da diversi ricercatori (in
Europa e negli Stati Uniti) per capire l’origine e la natura della
radiazione. Durante una campagna di voli in pallone negli anni
1913-1914, Werner Kolhörster conferma i risultati di Hess;
inoltre, raggiungendo la quota di 9300 metri, egli conferma
l’aumento della ionizzazione anche a quella altezza, e trova che il
coefficiente di assorbimento è molto più basso di quello relativo
ai raggi gamma.
Ma gli studi, rallentati dagli eventi della Prima Guerra Mondiale,
non riescono ancora a dare risposta alle domande sull’origine e
natura della “radiazione molto più penetrante dei più energetici
raggi gamma”.
Per eseguire gli esperimenti era necessario
compiere materialmente, in più persone, le
ascensioni in pallone per effettuare le
misure.
Il gruppo di Millikan, a metà degli anni 20,
sviluppò degli elettrometri capaci di
registrare le misure senza bisogno di
operatori umani, estendendo le rivelazioni
con palloni senza equipaggio fino a grandi
altezze.
Millikan
Nel 1925 in California Robert Millikan e George Cameron
misurarono la ionizzazione nelle acque di due laghi di montagna
alimentati dallo scioglimento delle nevi per definire, una volta per
tutte, la questione dell’esistenza o meno di una piccola radiazione
molto penetrante di origine cosmica. Dai risultati ottenuti, Millikan
e Cameron conclusero che tale radiazione penetrante esiste ed è
proprio di origine cosmica.
Poiché la radiazione più penetrante nota fino a quel momento
erano i raggi gamma, Millikan e altri ritennero che i raggi cosmici
fossero raggi gamma di alta energia, derivanti dalla sintesi degli
elementi pesanti a partire dai nuclei leggeri.
Robert Millikan controlla gli strumenti di misura di raggi
cosmici installati su di un pallone (1938)
Un grosso passo avanti venne fatto nel
1928, con lo sviluppo di un particolare tipo
di rivelatore, il contatore Geiger, ad
opera di Hans Geiger e Walther Muller
(Kiel).
Si trattava di una versione perfezionata
di un rivelatore originariamente costruito
da Geiger e utilizzato insieme a
Rutherford nel 1908 per esperimenti sulla
radioattività.
Hans Geiger
Antichi contatori Geiger
I vantaggi di questo rivelatore erano l’alta
sensibilità alle radiazioni, dovuta
all’elevato campo elettrico: anche una
particella debolmente ionizzante avrebbe
prodotto una scarica nel contatore e
quindi un segnale misurabile.
Un altro vantaggio era la possibilità di
utilizzare più contatori insieme, per definire la
direzione di provenienza dei raggi cosmici.
Questa possibilità venne sviluppata da
Walther Bothe e Wener Kolhorster a Berlino,
costruendo il primo “telescopio” per raggi
cosmici.
W.Bothe
Le prime misure di coincidenza fatte con
contatori Geiger connessi ad elettrometri
mostrarono un grande numero di raggi cosmici
di cui, il 75 %, erano capaci di attraversare
anche blocchi di materiale pesante (Oro) di 4
cm di spessore; dunque la radiazione cosmica
doveva essere costituita da particelle cariche
altamente penetranti, e non da gamma.
W.Kolhorster
Lo sviluppo sperimentale di questa tecnica di coincidenza venne
fatto dall’italiano Bruno Rossi a Firenze negli anni ‘30
Rossi inventò per la prima volta dei
circuiti di coincidenza elettronici, basati
sull’uso di valvole termoioniche. Con
questa tecnica Rossi ebbe la possibilità
di misurare coincidenze non solo tra
contatori piazzati verticalmente, ma
anche tra contatori disposti
orizzontalmente ad una certa distanza.
In quest’ultimo caso le coincidenze
non potevano essere dovute ad una
singola particella. Questa fu la prima
evidenza dell’esistenza di sciami di
particelle secondarie.
L’era della camera a nebbia
La camera a nebbia viene anche chiamata
camera di Wilson, dal nome del fisico
scozzese Charles T. R. Wilson (1869‐1959)
che ne fu l’inventore. Wilson cominciò con
l’occuparsi di meteorologia e dello studio
delle nuvole; cercò poi di riprodurre il
fenomeno della formazione delle nuvole in
laboratorio, facendo espandere aria umida
in un contenitore sigillato. In seguito si
interessò alla creazione di una scia di
goccioline lungo i percorso degli ioni,
infatti scoprì che gli ioni potevano
comportarsi come centri di formazione di
goccioline d’acqua. Nella sua prima camera
un contenitore ermetico era sigillato e
ripieno di vapore d’acqua saturo; un
diaframma veniva usato per espandere
l’aria dentro la camera (espansione
adiabatica). Una rapida espansione
raffredda l’aria e il vapor d’acqua inizia a
condensare. Quando una particella
ionizzante attraversa la camera, il vapore
si condensa sugli ioni che si formano lungo
il percorso della particella, e una scia è
visibile nella nuvola di vapore (in inglese lo
strumento si chiama cloud chamber cioè
camera a nuvola) costituendo una traccia
della particella. Per questa invenzione, che
costituisce il primo rivelatore di tracce di
particelle cariche, Wilson ottenne il premio
Nobel nel 1927.
La camera opportunamente illuminata può essere fotografata, e la
traccia delle particelle è visualizzata dall’insieme delle gocce. La tipica
risoluzione spaziale è di 500 μm. Dalla densità di goccioline si può
anche ricavare una stima dell’energia persa per ionizzazione per unità
di percorso. e questo aiuta ad identificare il tipo di particella che ha
attraversato la camera: i nuclei di elio lasciano una traccia larga e
diritta, gli elettroni una più sottile e con varie deflessioni. Se si applica
un campo magnetico le particelle di carica opposta curvano in direzione
opposta, in seguito alla forza di Lorentz, e questo permette di
riconoscere la carica.
Questo tipo di camera è anche detto pulsata perché il funzionamento
non è continuo (il pistone, riportato nella posizione iniziale, viene
bruscamente abbassato per creare l’espansione e l’operazione va
ripetuta ciclicamente).
Il primo a visualizzare le tracce
dei raggi cosmici mediante le
camere a nebbia e ad osservare
che esse non venivano curvate
quasi per nulla in un campo
magnetico, fu il russo
Skobeltzyn nel 1924 a
Leningrado.
Se queste tracce non venivano curvate da un
campo magnetico, dovevano dunque essere
dovute a particelle neutre oppure a
particelle cariche di energia molto elevata.
Le prime misure quantitative dell’energia e
dello stato di carica dei raggi cosmici
vennero eseguite da Millikan e Anderson, con
una camera a nebbia immersa in un elevato
campo magnetico
Anderson
I risultati di Anderson mostrarono la presenza di tracce
positive e negative. Inizialmente Millikan riteneva che le tracce
negative fossero elettroni e quelle positive protoni.
Nel 1932 Patrick M.S. Blackett e
Beppo Occhialini, al Cavendisch
Laboratory di Cambridge,
osservarono la formazione di coppie
elettrone e positrone che, oltre a
confermare l’esistenza del positrone
prevista da Paul A. M. Dirac nel
1930, fornì la prima prova
dell’esistenza dell’antimateria. Per
questa scoperta fu determinante
l’associazione ad una camera a
nebbia esposta ai raggi cosmici, di un
circuito di coincidenze realizzato
con contatori Geiger, per comandare
l’espansione della camera stessa.
Blackett e Occhialini
L’antimateria nell’arte
Caverna dell’antimateria
Pinot Gallizio (1902-1964)
Caverna dell’Antimateria realizzata ad Alba nel 1958 fa giocare alla luce un ruolo
fondamentale nella definizione del guscio antifisico e molecolare,
nell’elaborazione di un antimondo atomico, nell’interazione delle componenti
elettroniche e musicali: “…Nella mia caverna basterà uno specchio, pieno, concavo
o convesso per creare un labirinto a nostro piacere; un gioco di luce creerà nuove
immagini fantastiche. La luce sarà ultravioletta, normale, infrarossa calda, altabassa, riflessa su superficie metallica esterna, portata infine dagli spettatori a
mo’ di torcia…”. La valenza energetica tra le stimolazioni sensoriali è equivalente,
forte peso è svolto dalla tradizione gotica dall’Espressionismo al primo Bauhaus
del Werkbund.
Nel 1937 Carl D. Anderson e Seth H.
Neddermeyer continuano gli
esperimenti sui raggi cosmici in
montagna, con la camera a nebbia
(con campo magnetico e lastra di
piombo) montata sopra un vecchio
autocarro. I dati raccolti durante le
misure a Pike’s Peak, Colorado,
rivelarono l’esistenza di una nuova
particella a vita breve e di massa
intermedia tra elettrone e protone.
E’ la scoperta del mesotrone,
chiamato poi mesone µ o muone.
In modo indipendente, e quasi
contemporaneamente, anche J.C.
Street e E.C. Stevenson rilevarono
l’esistenza del muone in raggi
cosmici, utilizzando una camera a
nebbia controllata da contatori.
Negli anni tra il 1930 e il 1940 le osservazioni con le camere a
nebbia avevano chiarito che la radiazione cosmica a livello del
mare era costituita da elettroni, positroni e muoni.
Era anche chiaro che queste particelle erano il prodotto
secondario dell’interazione della radiazione primaria con
l’atmosfera. In questi anni nasce la fisica delle particelle
elementari e i fisici continueranno ad utilizzare i raggi cosmici
per le loro ricerche.
Il contributo alla
comprensione della
natura della
radiazione primaria
venne anche dall’uso
della tecnica delle
emulsioni nucleari,
speciali pellicole
fotografiche capaci di
registrare la traccia
delle interazioni delle
particelle cosmiche
primarie
Queste emulsioni
vennero portate
dapprima in alta
montagna,
evidenziando
l’esistenza di altre
particelle, tra cui il
pione (il mesone
ipotizzato da
Yukawa, e
inizialmente
confuso con il
muone)
Successivamente
anche a grandi
altezze per mezzo di
palloni.
Gruppi (stacks) di
emulsioni nucleari
sovrapposti e lanciati
a bordo di palloni
permisero infine di
ricostruire
l’interazione del
nucleo primario con un
nucleo dell’atmosfera
e il successivo
sviluppo dello sciame
di particelle
secondarie da essa
generato.
I risultati ottenuti mediante le emulsioni nucleari mostrarono
che la radiazione primaria era costituita in buona parte da
nuclei atomici che si muovevano alla velocità della luce.
In massima parte:
protoni (86 %)
He (12 %)
nuclei più pesanti
Negli anni 50, con la
costruzioni degli acceleratori, i
fisici studiarono le particelle
prodotte in laboratorio,
dedicando meno attenzioni ai
raggi cosmici.
Negli ultimi anni invece si è
tornati allo studio delle
particelle prodotte
naturalmente, poiché
raggiungono energie più
elevate rispetto a quelle
prodotte in laboratorio. (Con
LHC si raggiungono energie di
10 TeV, vale a dire 10^13 eV).
Da dove vengono i raggi cosmici ?
A basse energie, il sole è una fonte evidente e vicina di particelle
ma a energie superiori al GeV la maggior parte dei raggi cosmici
proviene dall’intera galassia e impiega milioni di anni per
raggiungere la terra. Nel loro viaggio, i raggi cosmici (che sono
particelle cariche) vengono continuamente deviate dalla loro
traiettoria dai campi magnetici; dunque non è possibile risalire
dalla loro direzione di arrivo alla posizione degli oggetti
astronomici che li generano.
Non potendo mettere in relazione la singola particella con la sua
sorgente, vengono avanzate ipotesi plausibili sulle caratteristiche
degli acceleratori cosmici e si cerca di verificarle incrociando i
dati forniti dalle misure di raggi cosmici con quelle derivanti da
osservazioni astronomiche.
Le principali sorgenti di raggi cosmici sono
ritenute le esplosioni di stelle in supernove.
L’enorme energia liberata durante queste
esplosioni, paragonabile a quella che il
nostro Sole emette in un miliardo di anni,
produce una fortissima onda d’urto in cui
viene fornita l’accelerazione iniziale alle
particelle. Questo fenomeno permette di
spiegare l’esistenza di raggi cosmici con
energie fino a 10^15 – 10^17 eV. Per
spiegare i raggi cosmici osservati fino a
energie di 10^20 eV devono entrare in gioco
acceleratori cosmici più potenti, al di fuori
della nostra galassia. Quali siano queste
sorgenti ultraenergetiche e a quali energie
diventi dominante il loro contributo,
attualmentre non si sa.
Si ipotizzano come possibili sorgenti:
•accrescimento di buchi neri supermassicci in
nuclei di galassie attive (ipotesi suggerita dai
risultati dell’esperimento AUGER)
•collasso di nuclei stellari in magnetar (stelle di
neutroni con intensi campi magnetici) o in buchi
neri con emissioni di violenti getti di particelle e
di luce (lampi di raggi gamma)
Verificare queste ipotesi con dati sperimentali è
la sfida raccolta dagli osservatori per raggi
cosmici ultraenergetici e dai telescopi per
neutrini.
Dove si studiano i raggi cosmici
Nello spazio (primari < 10^15 eV + secondari)
A bordo di satelliti o sonde spaziali, i rivelatori intercettano i raggi
cosmici prima che interagiscano con l’atmosfera. Possono così essere
“uditi” i segnali più rari, come quelli dell’antimateria. I vincoli di peso
e potenza elettrica per operare nello spazio limitano le dimensioni
degli strumenti che non riescono a intercettare il debolissimo flusso
di raggi cosmici di grande energia.
Negli strati superiori dell’atmosfera.
Collocati su palloni stratosferici, gli esperimenti hanno una
minima contaminazione da parte dei raggi cosmici atmosferici e
il vantaggio di una maggior semplicità nella realizzazione con
costi più contenuti e più frequenti opportunità di volo. La
durata delle osservazioni va da poche ore a qualche decina di
giorni. Programmi per lo sviluppo di nuove tecnologie per voli di
palloni sono in corso alla NASA per raggiungere permanenze in
volo fino ad alcuni mesi.
Sulla superficie terrestre (secondari)
Si studiano gli sciami di particelle e i segnali di luce mediante
un insieme di rivelatori su grandi superfici. Dalle
caratteristiche delle particelle rivelate e dalla luce emessa
si ricostruiscono direzione, energia e natura del raggio
cosmico primario. Con questi esperimenti si possono studiare
i raggi cosmici superiori a 10^12 eV. Il numero, la spaziatura
e la collocazione a diverse quote dei rivelatori varia a
seconda dell’intervallo di energia a cui lo studio vuole essere
sensibile.
AUGER, in Argentina, utilizza 1600 rivelatori e quattro
stazioni di telescopi ottici disposti su di una superficie di
circa 3000 km quadrati.
http://www.auger.org
In laboratori sotterranei (particelle elusive, neutrini,
muoni)
Protetti da km di roccia sovrastante, nei laboratori sotterranei
arriva solo un milionesimo del flusso dei raggi cosmici misurato in
superficie. Sono l’ambiente ideale per rivelare i segnali deboli e rari
dei neutrini o delle particelle di materia oscura che, interagendo
debolmente con la materia, penetrano facilmente nelle profondità
terrestri.
Già dalla seconda metà del novecento furono scavati laboratori nel
traforo del Monte Bianco e del Frejus. Attualmente i laboratori
nazionali del Gran sasso dell’INFN sono una struttura all’avanguardia
nel mondo per queste ricerche.
http://www.lngs.infn.it
Nel mare
La caccia ai neutrini di più alta energia richiede non solo un
ambiente protetto dal “rumore” delle altre particelle ma anche
volumi estremamente grandi in cui i neutrini abbiano una
probabilità significativa di interagire generando muoni come
particelle secondarie, più facili da rivelare. I telescopi subacquei
sfruttano l’intero globo terrestre come volume di interazione e
cercano i muoni estremamente energetici provenienti dall’interno
della Terra, prodotti dai neutrini che hanno raggiunto la Terra nel
punto opposto del globo.
(ANTARES e NEMO)
www.torinoscienza.it/articoli/apri?obj_id=291
www.explorasciencenow.rai.it/DettNews.aspx?IDNews=529
http://nemoweb.lns.infn.it/
http://www.icecube.wisc.edu/index.php
Nelle scuole che aderiscono al progetto EEE
RAGGI COSMICI E MATERIA OSCURA
Il 2 aprile del 2009, PAMELA (un esperimento italorusso guidato
dall’INFN) riferisce su “Nature” di aver trovato un’anomala
abbondanza di positroni nei raggi cosmici. L’eccesso di positroni è
ancora in attesa di una spiegazione ma lo studio dell’antimateria
potrebbe aiutare la ricerca di nuovi fenomeni legati all’origine e
all’evoluzione dell’intero universo. Una sorgente esotica di raggi
cosmici potrebbe essere fornita dalle annichilazioni di particelle
generate nei primi istanti di vita dell’universo, che non emettono
luce e che interagiscono molto debolmente con la materia. Queste
particelle costituirebbero una materia oscura, invisibile alle
osservazioni astronomiche tradizionali ma deducibili dal
comportamento anomalo del moto di galassie appartenenti ad
ammassi lontani.
Nel 2010 l’esperimento AMS-02 affiancherà PAMELA
decuplicando il numero di particelle di antimateria da analizzare.
La materia oscura è oggetto d’indagine anche nei laboratori
sotterranei del Gran Sasso, dove sono attivi i progetti
DAMA, WARP, XENON.
Infine nei futuri laboratori subacquei si spera di poter
rivelare i neutrini prodotti da queste annichilazioni.
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