Quando alziamo gli occhi al cielo in una notte stellata osserviamo molti puntini luminosi ma non possiamo vedere la miriade di particelle che in quel cielo vaga, magari da milioni di anni prima di giungere sulla terra e bombardare la nostra atmosfera. Si tratta dei raggi cosmici che possono essere raggruppati in una grande varietà di specie e di energie. Oggi sappiamo che il 99% della radiazione cosmica è composta da nuclei atomici. Il resto sono fotoni, elettroni, neutrini e tracce di antimateri. Al contatto con l’atmosfera collidono con i nuclei di cui è composta producendo nuove particelle che a loro volta interagiscono o decadono creandone altre. (Sciami) I “raggi cosmici” sono un fenomeno naturale che ha origine al di fuori dell’atmosfera terrestre ma, fino agli albori del Novecento, non se ne prevedeva l’esistenza. Gli esperimenti che ne hanno permesso la scoperta avevano piuttosto l’intento di studiare il fenomeno di ionizzazione dell’aria che, a quel tempo, si riteneva dovuto solo alla propagazione della radiazione naturale terrestre. La ricerca nel campo dei Raggi Cosmici si è sviluppata come uno dei più spettacolari e vitali contributi alla scienza del XX secolo dando origine a nuove discipline scientifiche (fisica delle particelle elementari), nuove tecnologie (rivelatori, acceleratori), nuovi concetti in astrofisica (meccanismi di produzione e di accelerazione). Nel corso di un secolo, la conoscenza del fenomeno “raggi cosmici” si è notevolmente arricchita ma ancora molte domande non hanno avuto risposta, particolarmente quelle relative ai cosiddetti EECR, i raggi cosmici di energia superiore a 5•10^19 eV. Oggi lo studio dei raggi cosmici di più alta energia è parte integrante delle “astroparticelle”, campo multidisciplinare in cui convergono temi, conoscenze e problematiche di astronomia, astrofisica, fisica particellare e nucleare, fisica dell’atmosfera. Nel mondo “macroscopico” l’energia è espressa in joule. Nel mondo “microscopico” è espressa in elettronVolt (eV) 1eV≈1.6•10^-19 joule 0.03 eV 1 eV 10^2 ÷10^5 eV 50 •10^3 eV 10^6 ÷10^7 eV ~ 10^13 eV 10^9÷10^21 eV >5.10^19 eV molecola di ossigeno nell’aria fiamma di un cerino raggi X energia degli elettroni in un tubo televisivo decadimento radioattivo energia massima negli acceleratori di particelle intervallo di energia di interesse dei raggi cosmici EECR 6 • 10^19 eV ≈10J energia cinetica di una pallina di tennis lanciata da un giocatore esperto tutta concentrata in una singola particella subatomica (massa del protone ~ 10^-27 kg) La storia dei raggi cosmici Le radiazioni emesse da sostanze radioattive venivano rivelate all’inizio del XX secolo mediante elettroscopi, che indicavano la presenza di agenti ionizzanti. Alla fine del 1700, Coulomb dimostrò per la prima volta che l’aria dell’atmosfera presenta una debole conducibilità elettrica. L’origine del fenomeno rimase a lungo oscura. (Oggi diremmo che gli atomi dell’atmosfera terrestre vengono continuamente“ionizzati”e che le cariche formate sono responsabili della conducibilità elettrica dell’aria dell’atmosfera stessa). Verso la fine dell’800 vi furono delle fondamentali scoperte: 1879 – i raggi catodici (William Crookes) 1895 – i raggi X (Wilhelm Conrad Röntgen) 1896 – la radioattività naturale (Henri Becquerel ) 1897 – l’elettrone (John Joseph Thomson ) 1899-1900 – i raggi a, b, g (Ernest Rutherford ) Charles Augustin de Coulomb 1736 – 1806 Agli inizi del 1900 venne ipotizzato che l’aria fosse ionizzata da misteriosi “raggi” originati dalla radiazione naturale emessa dal nostro pianeta. Gli esperimenti per lo studio dei misteriosi “raggi” utilizzavano principalmente gli elettroscopi . Anche quando non c’era alcuna sostanza radioattiva nelle vicinanze, gli elettroscopi tuttavia si scaricavano, indicando una qualche forma di radiazione. Questa era presente ovunque, anche sul mare (lontano dalle rocce), o in presenza di schermi. Nel 1907 Padre Theodore Wulf perfezionò l’elettrometro, un apparato strumentale stabile, resistente agli urti e alle vibrazioni, (composto da un elettroscopio a fibre di quarzo e da un microscopio con scala graduata), per misurare la radiazione naturale terrestre. Era già noto che il segnale dovuto alla radioattività decresce in modo esponenziale quando ci si allontana dalla sorgente di radiazione. Nel 1910 portò degli elettroscopi sulla Torre Eiffel, misurando una quantità di radiazioni maggiore del previsto. Egli fece l’ipotesi che questa radiazione fosse di origine extraterrestre, proponendo di fare delle misure a bordo di palloni aerostatici per verificare questa ipotesi.. Utilizzando una versione migliorata della strumentazione di Wulf (compensazione per le variazioni di temperatura e pressione, sistema ottico modificato per letture più accurate), Victor Franz Hess iniziò nel 1911 una serie di esperimenti salendo in quota con palloni aerostatici. Il volo del 7 agosto 1912 (6 ore da Aussig a Pieskow) raggiunse la quota di 5350 metri. Man mano che il pallone si innalzava dal suolo, il livello di ionizzazione, come osservato da Wulf, diminuiva molto più lentamente di quanto atteso, fino a stabilizzarsi verso i 700 metri. A partire dai 1500 metri di quota, il segnale iniziò a crescere finchè a 5000 metri raggiunse un livello addirittura doppio del segnale di fondo che la strumentazione misurava al suolo. Hess ne concluse che: “I risultati delle presenti osservazioni potrebbero essere spiegati assumendo che una radiazione di potere altamente penetrante entra nella nostra atmosfera dall’esterno, ed ancora produce, nei livelli più bassi, parte della ionizzazione osservata in laboratorio”. Durante la campagna di voli del 1912, Victor Hess trovò inoltre che il segnale di ionizzazione (e quindi l’intensità della radiazione), aveva valori molto simili sia durante il giorno che durante la notte e non diminuiva sensibilmente nel caso di eclissi solare (volo del 12 aprile). Da ciò egli concluse che il Sole non poteva essere la sorgente primaria della “misteriosa radiazione” ma che la radiazione dovesse giungere dallo spazio esterno più lontano del Sole: nasce così la fisica dei raggi cosmici. i “raggi cosmici”(o “radiazione cosmica”) furono così denominati nel 1925 da Robert Millikan che credeva fossero raggi gamma di alta energia. Oggi sappiamo che la maggior parte della radiazione cosmica è costituita da particelle anziché da radiazione elettromagnetica,ma il termine “raggi cosmici”, nella sua più moderna definizione introdotta da Dimitry Skobeltzyn nel 1928, è rimasto nell’uso comune.Con la scoperta della “Höhenstrahlung”, la “radiazione proveniente dall’alto” Victor Hess venne in seguito riconosciuto quale “padre ufficiale della fisica dei raggi cosmici” e vinse il Nobel nel 1936. Dopo la scoperta di Hess furono portati a termine vari esperimenti (con palloni aerostatici, con palloni sonda, in aereo, nei laghi, in montagna, nei ghiacciai) da diversi ricercatori (in Europa e negli Stati Uniti) per capire l’origine e la natura della radiazione. Durante una campagna di voli in pallone negli anni 1913-1914, Werner Kolhörster conferma i risultati di Hess; inoltre, raggiungendo la quota di 9300 metri, egli conferma l’aumento della ionizzazione anche a quella altezza, e trova che il coefficiente di assorbimento è molto più basso di quello relativo ai raggi gamma. Ma gli studi, rallentati dagli eventi della Prima Guerra Mondiale, non riescono ancora a dare risposta alle domande sull’origine e natura della “radiazione molto più penetrante dei più energetici raggi gamma”. Per eseguire gli esperimenti era necessario compiere materialmente, in più persone, le ascensioni in pallone per effettuare le misure. Il gruppo di Millikan, a metà degli anni 20, sviluppò degli elettrometri capaci di registrare le misure senza bisogno di operatori umani, estendendo le rivelazioni con palloni senza equipaggio fino a grandi altezze. Millikan Nel 1925 in California Robert Millikan e George Cameron misurarono la ionizzazione nelle acque di due laghi di montagna alimentati dallo scioglimento delle nevi per definire, una volta per tutte, la questione dell’esistenza o meno di una piccola radiazione molto penetrante di origine cosmica. Dai risultati ottenuti, Millikan e Cameron conclusero che tale radiazione penetrante esiste ed è proprio di origine cosmica. Poiché la radiazione più penetrante nota fino a quel momento erano i raggi gamma, Millikan e altri ritennero che i raggi cosmici fossero raggi gamma di alta energia, derivanti dalla sintesi degli elementi pesanti a partire dai nuclei leggeri. Robert Millikan controlla gli strumenti di misura di raggi cosmici installati su di un pallone (1938) Un grosso passo avanti venne fatto nel 1928, con lo sviluppo di un particolare tipo di rivelatore, il contatore Geiger, ad opera di Hans Geiger e Walther Muller (Kiel). Si trattava di una versione perfezionata di un rivelatore originariamente costruito da Geiger e utilizzato insieme a Rutherford nel 1908 per esperimenti sulla radioattività. Hans Geiger Antichi contatori Geiger I vantaggi di questo rivelatore erano l’alta sensibilità alle radiazioni, dovuta all’elevato campo elettrico: anche una particella debolmente ionizzante avrebbe prodotto una scarica nel contatore e quindi un segnale misurabile. Un altro vantaggio era la possibilità di utilizzare più contatori insieme, per definire la direzione di provenienza dei raggi cosmici. Questa possibilità venne sviluppata da Walther Bothe e Wener Kolhorster a Berlino, costruendo il primo “telescopio” per raggi cosmici. W.Bothe Le prime misure di coincidenza fatte con contatori Geiger connessi ad elettrometri mostrarono un grande numero di raggi cosmici di cui, il 75 %, erano capaci di attraversare anche blocchi di materiale pesante (Oro) di 4 cm di spessore; dunque la radiazione cosmica doveva essere costituita da particelle cariche altamente penetranti, e non da gamma. W.Kolhorster Lo sviluppo sperimentale di questa tecnica di coincidenza venne fatto dall’italiano Bruno Rossi a Firenze negli anni ‘30 Rossi inventò per la prima volta dei circuiti di coincidenza elettronici, basati sull’uso di valvole termoioniche. Con questa tecnica Rossi ebbe la possibilità di misurare coincidenze non solo tra contatori piazzati verticalmente, ma anche tra contatori disposti orizzontalmente ad una certa distanza. In quest’ultimo caso le coincidenze non potevano essere dovute ad una singola particella. Questa fu la prima evidenza dell’esistenza di sciami di particelle secondarie. L’era della camera a nebbia La camera a nebbia viene anche chiamata camera di Wilson, dal nome del fisico scozzese Charles T. R. Wilson (1869‐1959) che ne fu l’inventore. Wilson cominciò con l’occuparsi di meteorologia e dello studio delle nuvole; cercò poi di riprodurre il fenomeno della formazione delle nuvole in laboratorio, facendo espandere aria umida in un contenitore sigillato. In seguito si interessò alla creazione di una scia di goccioline lungo i percorso degli ioni, infatti scoprì che gli ioni potevano comportarsi come centri di formazione di goccioline d’acqua. Nella sua prima camera un contenitore ermetico era sigillato e ripieno di vapore d’acqua saturo; un diaframma veniva usato per espandere l’aria dentro la camera (espansione adiabatica). Una rapida espansione raffredda l’aria e il vapor d’acqua inizia a condensare. Quando una particella ionizzante attraversa la camera, il vapore si condensa sugli ioni che si formano lungo il percorso della particella, e una scia è visibile nella nuvola di vapore (in inglese lo strumento si chiama cloud chamber cioè camera a nuvola) costituendo una traccia della particella. Per questa invenzione, che costituisce il primo rivelatore di tracce di particelle cariche, Wilson ottenne il premio Nobel nel 1927. La camera opportunamente illuminata può essere fotografata, e la traccia delle particelle è visualizzata dall’insieme delle gocce. La tipica risoluzione spaziale è di 500 μm. Dalla densità di goccioline si può anche ricavare una stima dell’energia persa per ionizzazione per unità di percorso. e questo aiuta ad identificare il tipo di particella che ha attraversato la camera: i nuclei di elio lasciano una traccia larga e diritta, gli elettroni una più sottile e con varie deflessioni. Se si applica un campo magnetico le particelle di carica opposta curvano in direzione opposta, in seguito alla forza di Lorentz, e questo permette di riconoscere la carica. Questo tipo di camera è anche detto pulsata perché il funzionamento non è continuo (il pistone, riportato nella posizione iniziale, viene bruscamente abbassato per creare l’espansione e l’operazione va ripetuta ciclicamente). Il primo a visualizzare le tracce dei raggi cosmici mediante le camere a nebbia e ad osservare che esse non venivano curvate quasi per nulla in un campo magnetico, fu il russo Skobeltzyn nel 1924 a Leningrado. Se queste tracce non venivano curvate da un campo magnetico, dovevano dunque essere dovute a particelle neutre oppure a particelle cariche di energia molto elevata. Le prime misure quantitative dell’energia e dello stato di carica dei raggi cosmici vennero eseguite da Millikan e Anderson, con una camera a nebbia immersa in un elevato campo magnetico Anderson I risultati di Anderson mostrarono la presenza di tracce positive e negative. Inizialmente Millikan riteneva che le tracce negative fossero elettroni e quelle positive protoni. Nel 1932 Patrick M.S. Blackett e Beppo Occhialini, al Cavendisch Laboratory di Cambridge, osservarono la formazione di coppie elettrone e positrone che, oltre a confermare l’esistenza del positrone prevista da Paul A. M. Dirac nel 1930, fornì la prima prova dell’esistenza dell’antimateria. Per questa scoperta fu determinante l’associazione ad una camera a nebbia esposta ai raggi cosmici, di un circuito di coincidenze realizzato con contatori Geiger, per comandare l’espansione della camera stessa. Blackett e Occhialini L’antimateria nell’arte Caverna dell’antimateria Pinot Gallizio (1902-1964) Caverna dell’Antimateria realizzata ad Alba nel 1958 fa giocare alla luce un ruolo fondamentale nella definizione del guscio antifisico e molecolare, nell’elaborazione di un antimondo atomico, nell’interazione delle componenti elettroniche e musicali: “…Nella mia caverna basterà uno specchio, pieno, concavo o convesso per creare un labirinto a nostro piacere; un gioco di luce creerà nuove immagini fantastiche. La luce sarà ultravioletta, normale, infrarossa calda, altabassa, riflessa su superficie metallica esterna, portata infine dagli spettatori a mo’ di torcia…”. La valenza energetica tra le stimolazioni sensoriali è equivalente, forte peso è svolto dalla tradizione gotica dall’Espressionismo al primo Bauhaus del Werkbund. Nel 1937 Carl D. Anderson e Seth H. Neddermeyer continuano gli esperimenti sui raggi cosmici in montagna, con la camera a nebbia (con campo magnetico e lastra di piombo) montata sopra un vecchio autocarro. I dati raccolti durante le misure a Pike’s Peak, Colorado, rivelarono l’esistenza di una nuova particella a vita breve e di massa intermedia tra elettrone e protone. E’ la scoperta del mesotrone, chiamato poi mesone µ o muone. In modo indipendente, e quasi contemporaneamente, anche J.C. Street e E.C. Stevenson rilevarono l’esistenza del muone in raggi cosmici, utilizzando una camera a nebbia controllata da contatori. Negli anni tra il 1930 e il 1940 le osservazioni con le camere a nebbia avevano chiarito che la radiazione cosmica a livello del mare era costituita da elettroni, positroni e muoni. Era anche chiaro che queste particelle erano il prodotto secondario dell’interazione della radiazione primaria con l’atmosfera. In questi anni nasce la fisica delle particelle elementari e i fisici continueranno ad utilizzare i raggi cosmici per le loro ricerche. Il contributo alla comprensione della natura della radiazione primaria venne anche dall’uso della tecnica delle emulsioni nucleari, speciali pellicole fotografiche capaci di registrare la traccia delle interazioni delle particelle cosmiche primarie Queste emulsioni vennero portate dapprima in alta montagna, evidenziando l’esistenza di altre particelle, tra cui il pione (il mesone ipotizzato da Yukawa, e inizialmente confuso con il muone) Successivamente anche a grandi altezze per mezzo di palloni. Gruppi (stacks) di emulsioni nucleari sovrapposti e lanciati a bordo di palloni permisero infine di ricostruire l’interazione del nucleo primario con un nucleo dell’atmosfera e il successivo sviluppo dello sciame di particelle secondarie da essa generato. I risultati ottenuti mediante le emulsioni nucleari mostrarono che la radiazione primaria era costituita in buona parte da nuclei atomici che si muovevano alla velocità della luce. In massima parte: protoni (86 %) He (12 %) nuclei più pesanti Negli anni 50, con la costruzioni degli acceleratori, i fisici studiarono le particelle prodotte in laboratorio, dedicando meno attenzioni ai raggi cosmici. Negli ultimi anni invece si è tornati allo studio delle particelle prodotte naturalmente, poiché raggiungono energie più elevate rispetto a quelle prodotte in laboratorio. (Con LHC si raggiungono energie di 10 TeV, vale a dire 10^13 eV). Da dove vengono i raggi cosmici ? A basse energie, il sole è una fonte evidente e vicina di particelle ma a energie superiori al GeV la maggior parte dei raggi cosmici proviene dall’intera galassia e impiega milioni di anni per raggiungere la terra. Nel loro viaggio, i raggi cosmici (che sono particelle cariche) vengono continuamente deviate dalla loro traiettoria dai campi magnetici; dunque non è possibile risalire dalla loro direzione di arrivo alla posizione degli oggetti astronomici che li generano. Non potendo mettere in relazione la singola particella con la sua sorgente, vengono avanzate ipotesi plausibili sulle caratteristiche degli acceleratori cosmici e si cerca di verificarle incrociando i dati forniti dalle misure di raggi cosmici con quelle derivanti da osservazioni astronomiche. Le principali sorgenti di raggi cosmici sono ritenute le esplosioni di stelle in supernove. L’enorme energia liberata durante queste esplosioni, paragonabile a quella che il nostro Sole emette in un miliardo di anni, produce una fortissima onda d’urto in cui viene fornita l’accelerazione iniziale alle particelle. Questo fenomeno permette di spiegare l’esistenza di raggi cosmici con energie fino a 10^15 – 10^17 eV. Per spiegare i raggi cosmici osservati fino a energie di 10^20 eV devono entrare in gioco acceleratori cosmici più potenti, al di fuori della nostra galassia. Quali siano queste sorgenti ultraenergetiche e a quali energie diventi dominante il loro contributo, attualmentre non si sa. Si ipotizzano come possibili sorgenti: •accrescimento di buchi neri supermassicci in nuclei di galassie attive (ipotesi suggerita dai risultati dell’esperimento AUGER) •collasso di nuclei stellari in magnetar (stelle di neutroni con intensi campi magnetici) o in buchi neri con emissioni di violenti getti di particelle e di luce (lampi di raggi gamma) Verificare queste ipotesi con dati sperimentali è la sfida raccolta dagli osservatori per raggi cosmici ultraenergetici e dai telescopi per neutrini. Dove si studiano i raggi cosmici Nello spazio (primari < 10^15 eV + secondari) A bordo di satelliti o sonde spaziali, i rivelatori intercettano i raggi cosmici prima che interagiscano con l’atmosfera. Possono così essere “uditi” i segnali più rari, come quelli dell’antimateria. I vincoli di peso e potenza elettrica per operare nello spazio limitano le dimensioni degli strumenti che non riescono a intercettare il debolissimo flusso di raggi cosmici di grande energia. Negli strati superiori dell’atmosfera. Collocati su palloni stratosferici, gli esperimenti hanno una minima contaminazione da parte dei raggi cosmici atmosferici e il vantaggio di una maggior semplicità nella realizzazione con costi più contenuti e più frequenti opportunità di volo. La durata delle osservazioni va da poche ore a qualche decina di giorni. Programmi per lo sviluppo di nuove tecnologie per voli di palloni sono in corso alla NASA per raggiungere permanenze in volo fino ad alcuni mesi. Sulla superficie terrestre (secondari) Si studiano gli sciami di particelle e i segnali di luce mediante un insieme di rivelatori su grandi superfici. Dalle caratteristiche delle particelle rivelate e dalla luce emessa si ricostruiscono direzione, energia e natura del raggio cosmico primario. Con questi esperimenti si possono studiare i raggi cosmici superiori a 10^12 eV. Il numero, la spaziatura e la collocazione a diverse quote dei rivelatori varia a seconda dell’intervallo di energia a cui lo studio vuole essere sensibile. AUGER, in Argentina, utilizza 1600 rivelatori e quattro stazioni di telescopi ottici disposti su di una superficie di circa 3000 km quadrati. http://www.auger.org In laboratori sotterranei (particelle elusive, neutrini, muoni) Protetti da km di roccia sovrastante, nei laboratori sotterranei arriva solo un milionesimo del flusso dei raggi cosmici misurato in superficie. Sono l’ambiente ideale per rivelare i segnali deboli e rari dei neutrini o delle particelle di materia oscura che, interagendo debolmente con la materia, penetrano facilmente nelle profondità terrestri. Già dalla seconda metà del novecento furono scavati laboratori nel traforo del Monte Bianco e del Frejus. Attualmente i laboratori nazionali del Gran sasso dell’INFN sono una struttura all’avanguardia nel mondo per queste ricerche. http://www.lngs.infn.it Nel mare La caccia ai neutrini di più alta energia richiede non solo un ambiente protetto dal “rumore” delle altre particelle ma anche volumi estremamente grandi in cui i neutrini abbiano una probabilità significativa di interagire generando muoni come particelle secondarie, più facili da rivelare. I telescopi subacquei sfruttano l’intero globo terrestre come volume di interazione e cercano i muoni estremamente energetici provenienti dall’interno della Terra, prodotti dai neutrini che hanno raggiunto la Terra nel punto opposto del globo. (ANTARES e NEMO) www.torinoscienza.it/articoli/apri?obj_id=291 www.explorasciencenow.rai.it/DettNews.aspx?IDNews=529 http://nemoweb.lns.infn.it/ http://www.icecube.wisc.edu/index.php Nelle scuole che aderiscono al progetto EEE RAGGI COSMICI E MATERIA OSCURA Il 2 aprile del 2009, PAMELA (un esperimento italorusso guidato dall’INFN) riferisce su “Nature” di aver trovato un’anomala abbondanza di positroni nei raggi cosmici. L’eccesso di positroni è ancora in attesa di una spiegazione ma lo studio dell’antimateria potrebbe aiutare la ricerca di nuovi fenomeni legati all’origine e all’evoluzione dell’intero universo. Una sorgente esotica di raggi cosmici potrebbe essere fornita dalle annichilazioni di particelle generate nei primi istanti di vita dell’universo, che non emettono luce e che interagiscono molto debolmente con la materia. Queste particelle costituirebbero una materia oscura, invisibile alle osservazioni astronomiche tradizionali ma deducibili dal comportamento anomalo del moto di galassie appartenenti ad ammassi lontani. Nel 2010 l’esperimento AMS-02 affiancherà PAMELA decuplicando il numero di particelle di antimateria da analizzare. La materia oscura è oggetto d’indagine anche nei laboratori sotterranei del Gran Sasso, dove sono attivi i progetti DAMA, WARP, XENON. Infine nei futuri laboratori subacquei si spera di poter rivelare i neutrini prodotti da queste annichilazioni.