UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL’EDUCAZIONE TESI DI LAUREA IN PSICOLOGIA DI GRUPPO L’ALCOLISMO E I GRUPPI DI MUTUO AIUTO Relatore: Laureanda: Prof. Enzo KERMOL Anuska MAZZORAN Correlatore: Prof. Vanessa GRECO ANNO ACCADEMICO 2004-2005 1 A nonna Santina 2 “Nessuno ha mai commesso un errore più grande di colui che non ha fatto niente perché poteva fare troppo poco.” (Edmund Burke) “La perfetta ragione rifugge gli estremi e vuole che uno sia saggio con sobrietà.” (Seneca) 3 INDICE Introduzione CAP.1 CHE COS’E’ L’ALCOLISMO 1.1. Definizioni di alcolismo p.10 1.2. L’evoluzione nel tempo p.16 1.3. I modelli di riferimento p.19 1.4. Le cause dell’alcolismo p.22 1.4.1. Modello organicista (biochimico-genetico) p.23 1.4.2. Modello psicologico p.24 1.4.3. Modello socio-culturale p.28 1.5.La fenomenologia dell’alcolismo p.29 1.5.1. L’alcolismo femminile p.29 1.5.2. L’alcolismo giovanile p.32 1.5.3. L’alcolismo negli anziani p.34 1.6.Riferimenti legislativi p.36 CAP.2 I GRUPPI DI AUTO-MUTUO AIUTO 2.1. Una nuova concezione di benessere p.40 2.2. La capacità di azione e l’auto-aiuto p.43 2.3. L’auto-aiuto: alcune definizioni p.44 2.4. Le varie tipologie di auto-aiuto p.46 2.5. La mutualità come esempio di cura p.47 2.6. L’organizzazione di un gruppo A.M.A. p.48 2.7. I gruppi di auto-mutuo aiuto e i servizi p.49 4 CAP.3 IL GRUPPO A.A.: ALCOLISTI ANONIMI 3.1. L’inizio di Alcolisti Anonimi p.51 3.2. Che cos’è Alcolisti Anonimi p.52 3.3. Le riunioni di gruppo p.53 3.4. Il programma di recupero di Alcolisti Anonimi: “I Dodici Passi” p.58 3.5. Le “Dodici Tradizioni” di A.A. p.64 3.6. A.A. vista da un alcolista anonimo p.75 3.7. Vivere sobri: alcuni spunti p.81 3.7.1. Stare lontani dal primo bicchiere p.82 3.7.2. Usare il piano delle 24 ore p.82 3.7.3. Ricordare che l’alcolismo è una malattia inguaribile, progressiva e mortale p.83 3.7.4. “Vivi e lascia vivere” p.84 3.7.5. Essere attivi p.85 CAP.4 I GRUPPI FAMILIARI AL-ANON 4.1. Al-Anon: informazioni generali p.87 4.2. Il distacco p.89 4.3. Alcune testimonianze p.93 4.3.1. Testimonianza n.1 p.93 4.3.2. Testimonianza n.2 p.94 CAP.5 IL CLUB DEGLI ALCOLISTI IN TRATTAMENTO 5.1. L’Approccio Ecologico Sociale p.96 5.1.1. L’alcolismo come stile di vita p.97 5.1.2. L’approccio multifamiliare p.98 5 5.1.3. La sofferenza multidimensionale della famiglia p.99 5.1.4. La spiritualità antropologica p.100 5.1.5. L'etica p.100 5.2. Il Club: un modo per cambiare stile di vita p.100 5.3. Le regole del Club p.103 5.4. Il servitore insegnante p.105 5.4.1. La formazione dei servitori insegnanti p.106 5.4.2. La Scuola Alcologica Territoriale p.107 5.5. Il metodo ecologico sociale e i servizi p.108 5.6. Le tappe evolutive dei C.A.T. p.109 Conclusioni p.112 Bibliografia p.116 6 INTRODUZIONE La decisione di trattare l’argomento “alcolismo e gruppi di auto-mutuo aiuto”, nasce da un’esperienza personale e professionale che ha portato alla necessità di approfondire, da un lato le problematiche alcolcorrelate e dall’altro le possibilità esistenti di affrancamento dalla schiavitù dell’alcol. L’alcolismo rappresenta un fenomeno sociale costante, un male che aggredisce continuamente la società moderna costringendola a considerevoli perdite umane, economiche, sanitarie e sociali. Nonostante questo però, l’interesse pubblico nei confronti del problema alcol sembra destarsi solo in casi di particolare clamore, come incidenti stradali, episodi di violenza e di disordine sociale o altri eventi di cronaca che testimoniano l’estensione più cruenta del fenomeno in questione. In tutti gli altri casi l’alcolismo rimane un problema per gran parte sommerso, reso invisibile agli occhi di una cultura già miope che sostiene “il bere” senza metterne in discussione il senso. L’alcol, sin dalla notte dei tempi, è stato per l’uomo un compagno di strada speciale ed ora che pubblicità ed interessi economici rilevanti spingono al suo consumo, lo è ancor più. In qualsiasi direzione si guardi, è difficile considerare l’alcol un nemico o un potenziale elemento dannoso, anzi risulta quasi naturale attribuire ad esso simboli di virilità, seduzione, affermazione. Ma la realtà è molto differente e spesso tragica. L’alcolismo distrugge la persona e chi la circonda minacciando la salute fisica e psichica e innalzando barriere comunicative all’interno della famiglia e nei rapporti sociali. Chi vive con l’alcolista ne condivide il doloroso vissuto, fatto di continua incertezza, di incostanza, di ansia e talvolta di violenza. Eppure dal dramma si può uscire, lo testimoniano alcolisti che festeggiano anni di sobrietà e nuclei familiari rinsaldati. La mutualità dell’aiuto, dimensione ancora poco conosciuta e non certo valorizzata in campo medico, offre inaspettate possibilità di recupero. Ne sono prova la fortuna e la diffusione dei due principali gruppi di auto-mutuo aiuto presenti sul territorio nazionale: Alcolisti Anonimi (e Al-Anon per familiari e amici di alcolisti) e i Club degli alcolisti in trattamento. 7 Entrambe le associazioni mostrano di avere sia elementi di somiglianza che divergenze anche sostanziali di approccio, ma l’apporto positivo al benessere della comunità intera rimane indiscusso. La struttura della tesi si apre con una presentazione generale del problema alcolismo, partendo dal processo evolutivo che ha coinvolto la stessa definizione del termine, per poi passare a brevi cenni di storia dell’alcol attraverso le civiltà. Vengono toccati poi i diversi approcci all’alcolismo ed esposte le possibili cause del fenomeno. Segue l’approfondimento di tre tematiche di interesse sempre attuale: l’alcolismo femminile, l’alcolismo giovanile e l’alcolismo nell’anziano. Il primo capitolo si chiude con il riferimento all’attuale legge quadro in materia di alcol e di problemi alcolcorrelati: la Legge n.125 del 30 marzo 2001. Il secondo capitolo, che delinea i contorni e le caratteristiche interne dei gruppi di mutuo aiuto, si apre con una premessa dedicata allo “stato di benessere” in tempi attuali, e alle nuove dimensioni qualitative che lo determinano. Tra queste il concetto imprescindibile di “empowerment” o “capacità di azione”, e la conseguente distinzione tra soggetto-utente, destinatario di un servizio unidirezionale, e un soggetto che si fa consumatore e insieme produttore del servizio. In questa seconda categoria rientrano i gruppi di auto-mutuo aiuto, definibili in termini di reti sociali deliberatamente create per produrre aiuto e sostegno. Dopo una breve analisi delle caratteristiche principali che un gruppo di questo tipo deve avere, viene affrontato il rapporto con il sistema formale dei servizi, superando una rigida contrapposizione concettuale e auspicando una collaborazione e un reciproco scambio a livello operativo. Il terzo capitolo è interamente dedicato al gruppo di mutuo aiuto più “vecchio” e più diffuso a livello internazionale: Alcolisti Anonimi. Vengono presentate le generalità dell’associazione e i requisiti per divenirne membri, nonché gli elementi organizzativi elementari necessari al mantenimento del gruppo. Maggior approfondimento viene riservato al programma di recupero proposto in Alcolisti Anonimi e costituito dai “Dodici Passi”. Nella trattazione delle “Dodici Tradizioni” si troveranno invece i principi che garantiscono sopravvivenza e crescita alle migliaia di gruppi che fanno parte dell’associazione. 8 Parallelamente ad Alcolisti Anonimi, ma indipendente da essa, nasce l’associazione Al-Anon, costituita da gruppi di familiari e amici di alcolisti. Il quarto capitolo parla proprio di questi gruppi nella convinzione che “non c’è bisogno di bere per soffrire a causa dell’alcolismo”. Nel quinto ed ultimo capitolo, viene infine presentato il lavoro dei Club degli alcolisti in trattamento e l’approccio ecologico sociale che li sostanzia. Tale approccio guarda all’alcolismo da una prospettiva differente, allontanandolo dalla connotazione di stato morboso per definirlo in termini di comportamento o stile di vita. Un comportamento per cambiare ha bisogno non solo dell’impegno del singolo, ma di tutta la sua famiglia e della comunità di cui fa parte. È per questo che il Club è una comunità multifamiliare che matura nel cambiamento verso uno “stile di vita sobrio”, definizione cara al suo fondatore professor Hudolin. Essendo il Club parte integrante ed espressione del mondo in cui si trova ad operare, è facile pensare che il processo di crescita e di cambiamento culturale in esso avviato, non rimanga al suo interno ma contribuisca al benessere della comunità di appartenenza. Da qui il notevole apporto alla protezione e promozione della salute, considerata allo stesso tempo diritto e dovere della persona. 9 CAPITOLO 1 CHE COS’E’ L’ALCOLISMO 1.1. DEFINIZIONI DI ALCOLISMO Nella società in cui viviamo l’alcolismo è purtroppo un fenomeno sociale rilevante ed in costante aumento, che si presenta eterogeneo e complesso conservando aspetti celati e irrisolti. Per molto tempo un atteggiamento di tipo moralistico, tipico del pensiero pre-scientifico, ha contribuito ad alimentare nei confronti dell’assunzione di bevande alcoliche, una sorta di “miopia culturale”. Ancora oggi manca una vera e propria consapevolezza del fenomeno, e termini quali “alcolismo o alcolista” pur facendo parte da tempo del linguaggio comune, si riferiscono ad una imprecisa varietà di significati che vanno dal concetto sociale del “bere eccessivo” a quello clinico di “alcol-dipendenza”. Da una parte esistono definizioni quali “bevitore eccessivo”, “bevitore inadeguato”, che riflettono principalmente la quantità di alcol ingerito, in relazione al consumo alcolico medio dell’area sociale di appartenenza; dall’altra esistono definizioni globali, come quella adottata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo la quale “gli alcolisti sono bevitori la cui dipendenza alcolica ha raggiunto livelli così alti da mettere in evidenza un marcato disturbo fisico o una chiara interferenza con la loro salute fisica e mentale, con le loro relazioni interpersonali e con il loro armonico sviluppo sociale ed economico; oppure quei soggetti che mostrano i segni prodromici di una simile evoluzione patologica”1. L’introduzione del concetto di dipendenza o, più precisamente, di “sindrome da dipendenza alcolica”2, ha permesso un graduale distacco dal termine poco 1 Cioni P., Perugi G., Poli E., Manuale di Psichiatria, UTET 2004, pag. 185 Gallimberti L., Uso adeguato e inadeguato degli alcolici in Patologia e problemi connessi all’uso di alcolici, quad. di Educazione Sanitaria, Regione del Veneto, 1982 2 10 soddisfacente sul piano clinico-operativo di alcolismo, inclusivo di condotte alcoliche diverse per gravità, evoluzione e prognosi. Attualmente l’O.M.S. ha ulteriormente aumentato il potere di definizione del suo sistema nosografico, fornendo un inquadramento il più completo possibile sul versante clinico (Intossicazione Acuta, Sindrome da Dipendenza, Stato di Sospensione) e sul versante comportamentale della malattia (uso a rischio, uso dannoso). I sistemi nosografici internazionali più recenti tendono pertanto a utilizzare il termine alcolismo non in senso generico, ma accompagnato da ulteriori definizioni che possano meglio inquadrare le fasi e il decorso della malattia. Il DSM IV include la dipendenza da alcol, in accordo con l’orientamento dell’O.M.S., tra i “disturbi correlati a uso di sostanze”, fornendo un preciso schema di orientamento diagnostico sotto forma di criteri sintomatologici, temporali e di decorso. L’ O.M.S. definisce la Sindrome da Dipendenza Alcolica (S.D.A.) come “Stato psichico e generalmente anche fisico caratterizzato dalla compulsione ad assumere alcol in modo continuo e periodico allo scopo di provare i suoi effetti psichici e di evitare il disagio della sua assenza”3. La tolleranza, intesa come propensione progressiva ad aumentare i quantitativi di alcol assunto, può essere presente come assente. Per la condizione di “abuso” il DSM IV intende una categoria diagnostica residua, ovvero, una condotta alcolica caratterizzata da una “modalità d’uso patologica” 4, dimostrata da ricorrenti e significative conseguenze avverse correlate all’uso ripetuto della sostanza alcolica. L’alcol in questo caso viene utilizzato come un farmaco (ansiolitico) che con il passare del tempo viene riconosciuto dal soggetto come unico mezzo per combattere , o meglio arrestare, ogni malessere, sia che si tratti di depressione, di ansia, di paura, ecc. In queste circostanze il ricorso all’alcol diviene indispensabile da un punto di vista psicologico per poter affrontare situazioni percepite come sempre più difficili dal soggetto in questione. Nell’abuso si può riscontrare una reiterata incapacità di adempiere ai principali 3 4 Rossi S., L’alcoolista, Milano, Guerini Studio, 1994, pag. 41 Cioni P., Perugi G., Poli E., op. cit., pag. 186 11 obblighi legati al ruolo5 sul lavoro, a scuola o a casa (per es. ripetute assenze o scarse prestazioni lavorative correlate all’uso di tale sostanza; assenze, sospensioni o espulsioni da scuola; trascuratezza nella cura dei bambini o della casa); un uso ripetuto in situazioni nelle quali è fisicamente rischioso (per es. guidando un’automobile o facendo funzionare dei macchinari in uno stato di menomazione per l’uso della sostanza) e inoltre molteplici problemi legali e ricorrenti problemi nell’ambito sociale nonché una progressiva chiusura nei rapporti interpersonali (per es. arresti per condotta molesta, discussioni coniugali, scontri fisici) che vanno a determinare uno spiccato senso di solitudine nel soggetto. Questi problemi devono ricorrere periodicamente durante lo stesso periodo di 12 mesi. Diversamente dai criteri per la Dipendenza, i criteri per l’Abuso di sostanze non includono tolleranza, astinenza o una modalità d’uso compulsivo, e invece includono le conseguenze dannose dell’uso ripetuto. Una diagnosi di Abuso è più probabile in soggetti che hanno cominciato ad assumere la sostanza soltanto recentemente, alcuni soggetti però continuano ad avere conseguenze sociali avverse correlate all’uso della sostanza per un lungo periodo di tempo senza sviluppare prove evidenti di Dipendenza. Va inoltre precisato che l’intossicazione alcolica si può manifestare in due forme: - Alcolismo acuto o ubriachezza, che consiste nell’ingestione di una grande quantità di alcol, variabile da individuo a individuo, in un tempo relativamente breve (ad es. una sola volta); - Alcolismo cronico dove la consumazione di alcol, anche a dosi moderate, è abituale; esso può instaurarsi gradualmente con sintomi che possono rimanere a lungo latenti, ma tale subdolo andamento può divenire manifesto sfociando in complicazioni gravissime, talvolta anche mortali. Fatte queste precisazioni si userà il termine Dipendenza quando l’assunzione di alcol è abituale e continua assumendo un andamento cronico. La mancata autosomministrazione della sostanza di abuso comporterebbe, in questo caso, 5 Orlandini D., Di Pieri M., Scacchi L., Glossario della prevenzione delle dipendenze, pubblicazione realizzata all’interno del Progetto Itinerari 2000, finanziato dal Fondo Regionale Lotta alla Droga della Regione Veneto (2000-2002), pag. 17 12 l’insorgenza del cosiddetto “craving”, ovvero una forte pulsione soggettiva ad assumere alcol. Ne consegue che, per giungere ad una diagnosi di Dipendenza, devono essere riscontrati due aspetti: 1. l’Abuso, quindi una modalità patologica di assunzione dell’alcol, nonché difficoltà da un punto di vista sociale o professionale; 2. in secondo luogo devono essere presenti tolleranza e astinenza. La tolleranza corrisponde al bisogno di quantità notevolmente più elevate di alcol per raggiungere l’effetto desiderato, o a un effetto notevolmente diminuito con l’uso continuativo della stessa quantità di sostanza. L’astinenza è una modificazione patologica del comportamento che si verifica quando le concentrazioni ematiche o tissutali di alcol diminuiscono in un soggetto che ha fatto un uso prolungato e pesante di tale sostanza. Si vengono a manifestare perciò sintomi quali tremore, capogiri, sudorazione eccessiva,ecc. in seguito ai quali la persona tende ad assumere l’alcol per poterli attenuare o evitare, tipicamente facendone uso durante tutto il giorno e iniziando presto dopo il risveglio. Dopo l’assunzione infatti, l’individuo ha la sensazione di riuscire a controllare la sintomatologia emergente e di garantirsi un adeguato funzionamento sociale e professionale. Appare chiaro come un atteggiamento di questo tipo finisca con l’innescare un circolo vizioso che va a cementare uno stato di Dipendenza in cui l’alcol diviene “principio organizzatore” della vita quotidiana 6. La persona alcol-dipendente tende perciò ad assumere alcol continuamente per ottenerne gli effetti desiderati (rilassamento, perdita di inibizione, loquacità, ecc.) e per mitigare i disturbi associati all’astinenza (tremore, nausea, vomito, alterazioni dell’umore, insonnia, nervosismo, ecc.). Dal quadro tracciato finora appare chiaro che, quando si parla di alcolismo, non ci si riferisce ad un vizio, ovvero il ripetersi nel tempo di una cattiva abitudine, ma ad uno stato di dipendenza vero e proprio dove la volontà della persona è 6 Orlandini D., Di Pieri M., Scacchi L., op. cit., pag. 33 13 totalmente assente. L’individuo si trova ad essere privato di arbitrio, in potere di qualcosa, sottoposto ad una volontà superiore che non riesce a fronteggiare. Una ulteriore precisazione va fatta in merito all’utilizzazione del termine “sindrome”7 in riferimento alla dipendenza alcolica. Non presentando sempre le stesse caratteristiche, è preferibile evitare il termine di “malattia”, che richiede una diagnosi specifica di riferimento, e usare invece “sindrome” ovvero un insieme di sintomi che concorrono alla caratterizzazione di un quadro clinico non sempre riconducibile alla malattia manifestata da quel tipo di sintomatologia, ma che possono essere attribuiti a malattie di natura diversa. Dal DSM IV (1994) si evince che i disturbi alcol-correlati comprendono8: - disturbi da uso di alcol (dipendenza ed abuso); - disturbi indotti da alcol (intossicazione,carenza); - delirium (legato ad intossicazione e carenza); - demenza persistente indotta da alcol; - disturbo psicotico indotto da alcol (con delirio o allucinazioni); - disturbo dell’umore indotto da alcol; - disturbo ansioso indotto da alcol; - disfunzione sessuale indotta da alcol; - disturbo del sonno indotto da alcol; - disturbo alcol-correlato non altrimenti specificato. Tra le patologie provocate dall’abuso di alcolici a carico dei vari apparati vanno riportati: - apparato digerente: gastrite, cancro dell’esofago, pancreatite alcolica, epatopatia alcolica; - apparato cardiovascolare: miocardiopatie, aritmie; - sistema nervoso: neuriti (pericolosa è la neurite ottica), polineuriti; - apparato riproduttivo ed endocrino: ipertrofia dei testicoli nell’uomo, riduzione della fertilità nella donna. 7 8 Gallimberti L, op. cit. pag. 74 Cioni P., Perugi G., Poli E., Manuale di Psichiatria, UTET 2004, pag. 193-198 14 Il fenomeno dell’alcolismo pertanto si configura come un disagio vissuto direttamente dalla persona che cerca di placare l’ansia, l’insicurezza, la paura, la tristezza, il senso di solitudine, la delusione e la rabbia senza però riuscirvi poiché, ricorrendo all’assunzione di alcol e alle sue conseguenze negative, vengono meno le capacità necessarie per affrontare il problema che, al contrario, si aggrava. Il problema dell’alcol-dipendenza però non viene vissuto e affrontato solo dal singolo, soggetto e al tempo stesso oggetto della sostanza di abuso, ma coinvolge più persone, in particolare quelle che vivono a stretto contatto con chi soffre. Non si tratta quindi di un problema esclusivamente soggettivo, ma anche familiare poiché emergono nuove dinamiche relazionali controproducenti se non fallimentari. Si assiste così ad una perdita del proprio ruolo di padre, di madre, di figlio e ad una chiusura delle comunicazioni col venir meno dei rapporti, restando in questo modo bloccati in una situazione di conflitto. Nonostante siano molti i tentativi di confinare il problema entro le mura domestiche, riesce difficile nasconderlo a lungo dai contesti di vita quotidiana. La persona alcol-dipendente spesso non riesce a mantenere responsabilmente il proprio ruolo nel posto di lavoro, o come cittadino, o nei momenti di condivisione e ritrovo con gli altri. Emergono difficoltà nell’affrontare situazioni particolarmente frustranti e il rispetto verso gli altri può venire a mancare, sfociando anche in comportamenti aggressivi. L’alcolismo viene quindi riconosciuto anche come disagio sociale in termini per esempio di perdita economica, di condotta aggressiva o di coinvolgimento in incidenti stradali per guida in stato di ebbrezza. Come in precedenza riportato, l’alcolismo si presenta anche come problema medico se si considerano i danni indotti ai vari organi ed apparati (fegato, sistema nervoso e cardiocircolatorio, metabolismo, funzioni sessuali, ecc.). A tal proposito merita di essere ricordato che, nel nostro Paese, le richieste di ospedalizzazione per patologie alcol-correlate corrispondono a circa il 10-15% dei ricoveri ospedalieri in un anno; circa due terzi di questi ricoveri interessano i reparti di medicina, mentre un terzo viene effettuato in divisioni psichiatriche e neurologiche. La cirrosi epatica rappresenta la complicanza più frequente, in 15 continuo aumento nel nostro Paese, e la più importante causa di mortalità per alcolismo con oltre 49 decessi per centomila abitanti. Si stima che i danni correlabili al consumo di alcol investano il 5-6% del Prodotto Nazionale Lordo nelle spese per le cure terapeutiche 9. Per la persona che lo vive, l’alcolismo è anche problema spirituale poiché l’assunzione di alcol ostacola i rapporti affettivi, il riconoscimento di sé e, in una parola, il senso di pace. Tale condizione è dovuta alla mancata capacità del soggetto di dedicarsi all’autorealizzazione, al riconoscimento personale e sociale della propria identità. Affinché tutto ciò risulti possibile è necessario che essa divenga significativa in più dimensioni: - in quella affettiva, nella reciprocità dei rapporti familiari; - in quella sociale, dove il riconoscimento si costruisce attraverso la negoziazione di competenze, significati e valori e si traduce nella partecipazione attiva del soggetto nei diversi ambiti sociali; - in quella economica, intesa come autosufficienza, spesso messa in crisi dalla perdita del lavoro provocando nell’individuo un marcato senso di fallimento. Appare chiaro, in ultima analisi, come il problema dell’alcolismo impedisca sia al singolo individuo, sia alle persone più prossime sia anche alla società, intesa nell’accezione più ampia del termine, di raggiungere quello che viene definito “stato di benessere”. 1.2. L’EVOLUZIONE NEL TEMPO L’alcol è stato definito la sostanza “ricreazionale” più diffusa al mondo e viene assunto con modalità e riti diversi nei vari paesi, in funzione delle culture locali, delle tradizioni, degli usi e delle religioni. Da sempre accompagna la vita dell’uomo attraverso tutte le civiltà fin dai tempi più antichi. Già nell’epoca preistorica era nota la proprietà analgesica ed inebriante dei liquidi alcolici ottenuti mediante fermentazione dei prodotti della 9 De Maria F., De Vanna M., Canzian G., Di Guida A., Alcolismo; Problemi Diagnostici e Prognostici, Edizioni Lint, Trieste, 1986 16 terra. Dapprima i cereali e poi l’uva, grazie alle loro proprietà naturali, furono investiti di poteri magici e considerati un dono degli dei per combattere la malattia, l’indebolimento fisico e psicologico e per ridare vigore e felicità. Si può dire che il legame tra l’uomo e l’alcol sia antico quanto l’umanità stessa: è presente con significati e simboli differenti in momenti di festa, di ozio, di tristezza10. In ogni tempo e in ogni luogo le bevande alcoliche sono segno dell’essere insieme, della convivialità, dell’integrazione. Il bicchiere di vino, la birra, l’amaro, sono tutte immagini riconducibili ad un momento di aggregazione, di desiderio di socialità. I dati dell’indagine Doxa “Gli Italiani e l’alcol”, compiuta nell’anno 2000 per incarico dell’Osservatorio Permanente sui Giovani e L’alcol11 su un campione di 8000 persone, conferma tale modalità di consumazione. Risulta infatti che, la maggior parte degli intervistati beve in compagnia di amici e in famiglia consolidando l’immagine dell’alcol come sostanza aggregante. L’alcol è, tra quelle psicoattive, la sostanza più diffusa e il suo consumo è pienamente legale nel nostro Paese, non solo, ma a costituire un incentivo importante si aggiunge il fatto che esso sia reperibile ovunque e ad un prezzo accessibile. Inoltre, a rendere la situazione più complessa, contribuisce il fatto che il gesto del bere sia considerato un comportamento ben integrato nel contesto culturale e sociale. Contrariamente alle droghe illegali, raramente l’alcol è vissuto come sostanza marginalizzante, a meno che non venga consumato “in eccesso”. Proprio questo suo essere elemento naturale, potremmo dire ecologico, impedisce di sentirlo come “nemico”, di bandirne il consumo e la vendita come invece accade per le sostanze stupefacenti. Basti a tal proposito pensare alla tradizione popolare, per esempio veneta, dove ancora sopravvivono credenze che attribuiscono all’alcol poteri benefici per il sistema cardiocircolatorio (“il vino fa buon sangue”; “il vino fa bene al cuore”) oppure per affrontare la fatica fisica e il freddo (“il vino fortifica”; “il vino riscalda”). Certamente tutte queste tradizioni, 10 Cottino A., L’ingannevole sponda, l’alcol tra tradizione e trasgressione, Roma, NIS, 1991 Nel marzo 1991 si assiste alla costituzione dell’ “Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcol”, sorto con lo scopo di informare la popolazione sulle principali problematiche legate all’alcol e di promuovere un consumo di alcol più responsabile, soprattutto nell’ambito dell’universo giovanile. 11 17 seppure difficili da scardinare, non possono essere considerate causa dell’alcolismo, ma in buona parte possono incrementare il consumo delle bevande alcoliche e sminuire invece i rischi derivanti da un uso inadeguato. Non va sottovalutata, inoltre, l’enorme influenza esercitata in merito dalla pubblicità, che incita notevolmente al consumo di alcol soprattutto in paesi produttori come il nostro, dove l’interesse economico legato a questo settore è decisamente forte, e dove il rapporto tra spesa per la pubblicità e stanziamento in favore della lotta all’alcolismo vede quest’ultimo in posizione nettamente inferiore. L’industria pubblicitaria veicola messaggi più o meno espliciti in cui all’immagine del consumatore di alcol viene associata quella della persona vincente e socialmente affermata. Oltre a ciò va aggiunto un altro fattore che certamente favorisce una percezione ambigua dell’alcol, ovvero l’accreditamento in ambito scientifico della tesi secondo cui alcune bevande alcoliche, se assunte in dosi limitate, possono avere effetti positivi sulla salute. Al contrario, i dati raccolti dal gruppo epidemiologico della Società Italiana di Alcologia dimostrano come anche piccole quantità di alcol non siano innocue per il nostro organismo 12. Assodato che l’uso di bevande alcoliche risale alla notte dei tempi, si osservano comunque delle differenze tra il “vecchio” modo di bere e quello “attuale”. La vecchia tendenza culturale si rapportava alla bevanda alcolica, in prevalenza vino, utilizzandola quotidianamente come un alimento che dava quindi all’organismo un apporto nutrizionale; la nuova tendenza, invece, si orienta verso l’assunzione di birra e spesso superalcolici e ad un consumo saltuario ma eccessivo (etilismo acuto)13. Si evince che, se nel passato le motivazioni che spingevano all’uso di alcolici potevano essere in relazione a norme sociali come l’ospitalità e l’accoglienza, nel presente la spinta motivazionale risponde ad 12 Durante il primo Congresso Internazionale di epatologia tenutosi a Saint Vincent il 14 luglio 2000, il gruppo epidemiologico della Società Italiana di Alcologia ha raccolto dei dati che dimostrerebbero come anche piccole quantità di alcol non siano innocue. Due bicchieri di vino o due bicchierini di superalcolici o due lattine di birra al giorno basterebbero a far raddoppiare, rispetto agli astemi, il rischio di ammalarsi di cirrosi epatica. Ogni anno questa patologia uccide 34 italiani ogni 100mila; vino, birra, superalcolici, è indifferente poiché il rischi di cirrosi non dipende dal tipo di bevanda ma dalla dose. Il consumo di alcol è responsabile del 68% dei casi di cirrosi, contro il 32% attribuibile all’epatite C. (Fonte: Bollettino Ministeriale per le farmacodipendenze e l’alcol, n.1, 1999) 13 Pierlorenzi C., Senni A., L’alcolismo, prospettiva di ricerca e di intervento, Roma, NIS, 1994, pag. 25 18 esigenze di altro tipo quali: affrontare meglio le situazioni di disagio, desiderio di conformismo, trasgressione, ecc. Soprattutto negli ultimi anni il problema dell’alcolismo ha assunto vaste proporzioni, e secondo recenti indagini i bevitori inadeguati nel nostro Paese corrisponderebbero a circa il 20% dell’intera popolazione e, tra questi, i bevitori dipendenti sarebbero circa un terzo14. Il consumo tra i giovani e le donne, in particolare, si configura come nuova emergenza sociale. 1.3. I MODELLI DI RIFERIMENTO Una definizione chiara ed esaustiva di alcolismo manca a tutt’oggi. Conoscere e affrontare la problematica dell’alcolismo risulta un’impresa estremamente ardua per le incongruenze che ancora si riscontrano nella definizione del fenomeno in oggetto. A seconda del tipo di “lettura” vengono poi successivamente ricostruiti tutti gli ipotetici discorsi relativi alla possibilità terapeutiche. Diversi approcci si sono susseguiti ed evoluti nel tempo al fine di poter tracciare un quadro il più possibile completo a riguardo. Come in precedenza accennato, il primo approccio è stato di tipo moralistico dove il “bere oltre il limite” fissato dal codice comunitario, era ritenuto un evidente segno di difetto morale. Il bevitore, in questo caso, veniva sempre più rifiutato e alienato dalla società fino ad esserne completamente emarginato. Nei suoi confronti venivano poste in essere misure repressive a scopo penitenziale e indottrinamento poiché l’unica risoluzione possibile consisteva nella promulgazione di valori etici e morali. L’influenza di questo tipo di approccio è ancora presente nella maggior parte delle culture, compresa la nostra. Lo possiamo riconoscere nel nostro considerare l’alcolista un vizioso e, anche in ambito sanitario, permane l’idea di un malato di categoria inferiore. Successivamente si è fatta sentire l’esigenza di riconoscere il fenomeno in termini più precisi, facendo ricorso ad una prospettiva che definisce l’alcolismo in termini 14 Dati disponibili su: www.alcol.net/italiani/Doxa, Consumi, Tendenze e Atteggiamenti in Italia e nelle Regioni, Sintesi della IV Indagine Nazionale DOXA, 5 aprile 2001 19 scientifici, medico-clinici. Le basi di tale approccio, di stampo propriamente medico, furono gettate in Svezia verso la metà del XIX secolo ad opera del dottor Magnus Huss, il quale aveva osservato che numerosi disturbi gastroenterici, neurologici, psichiatrici e cardiovascolari erano direttamente collegati all’ingestione di grandi quantità di alcolici. Lo stesso termine “alcolismo” fu usato da lui per la prima volta 15. L’acquisizione dell’alcolismo come malattia, sganciata da etichette morali, risale a Jellinek (1960), che iniziò lo studio delle varie forme di malattia alcolica, nonché dei principali stadi di sviluppo di dipendenza 16. La scuola francese di Perrin e Fouquet, successivamente, coniò il termine di “alcologia”, ponendo le premesse per una nuova disciplina scientifica, essenzialmente medica, preposta ad una visione globale e unitaria dell’alcolismo 17. Il modello medico tradizionale riconosce l’alcolismo come malattia individuale e fornisce un preciso inquadramento diagnostico definendone eziologia, sintomatologia e relativa prognosi. Un approccio di questo tipo concepisce l’alcolismo come disfunzionamento del corpo, come un problema clinico non attinente alla sfera personale. Proprio in riferimento a tale aspetto, l’approccio medico solleva non poche critiche poiché, limitandosi ad una causalità somatica di tipo genetico o ambientale, trascura invece l’elemento più importante, ovvero la persona e la sua partecipazione attiva nel processo di cambiamento. Essendo il modello medico incentrato sulla cura delle complicazioni con terapie farmacologiche, risulta anche impossibile operare in termini di prevenzione nei confronti dei problemi alcol-correlati. Vi è un terzo modello definito psicoterapeutico in cui l’alcolismo viene sempre riconosciuto come disfunzionamento ma non tanto del corpo quanto invece della mente. Si assiste perciò ad un ribaltamento di prospettiva da disturbo fisico a disturbo psicologico dovuto a fattori interni di tipo affettivo, emotivo e cognitivocomportamentali. La psicoanalisi ha fornito in merito la propria visione secondo cui, nel soggetto alcol-dipendente, si può riscontrare un’organizzazione di 15 Cioni P., Perugi G., Poli E., op. cit. pag. 185 Jellinek E.M., Jolife N., Effects of alcohol on the individual: Review of the literature of 1939, Q. J. Stud. Alcohol, Millhouse Press, New Haven, 1940 17 Malka R., Fouquet P., Vachonfrance G., Alcoologie, Massson Ed., Paris, 1983 16 20 personalità dai tratti specifici18. Tale ipotesi non ha però trovato nel tempo soddisfacenti conferme tali da individuare, in un determinato tipo di personalità, una predisposizione alla dipendenza da sostanze alcoliche. L’abuso dunque si può verificare indipendentemente dalla tipologia di personalità, in relazione a conflitti interiori di qualsiasi ordine. La competenza “psicologica” da sola non è sufficiente per comprendere ed intervenire produttivamente nella risoluzione delle problematiche legate all’alcol-dipendenza, ma è necessario invece coniugarla con un intervento di tipo psicoterapeutico. Negli ultimi decenni tuttavia queste prospettive hanno contribuito alla nascita di un approccio nuovo, di tipo sistemico. Molti psicologi ed anche molti psichiatri hanno iniziato a focalizzare la propria attenzione non più soltanto sulla dimensione fisica o intrapsichica, ma su quella interpersonale. Hanno cominciato a studiare quelli che sono stati definiti i “patterns”, cioè gli elementi comunicativi disfunzionali presenti nelle modalità di trasmissione e ricezione dei messaggi e delle informazioni tra le persone. Hanno inoltre iniziato a lavorare per comprendere i modi di funzionamento e di organizzazione della struttura della famiglia 19. Intraprendere questa direzione ha significato la rottura con il pensiero tradizionale di tipo lineare e unidirezionale che va alla ricerca delle cause dell’alcolismo secondo un’ottica deterministica, e l’apertura verso una modalità di pensiero di tipo circolare che concepisce l’alcolismo come un sintomo relazionale tra più elementi che si combinano tra di loro. Malgrado permangano fattori di resistenza connessi a ipotesi “medicaliste”, tramite l’utilizzazione dell’ottica eco-sistemica nell’ambito dell’intervento psicoterapeutico con le famiglie dei soggetti dipendenti, sono stati ottenuti dei risultati positivi. Si spiega in questo modo perché un crescente numero di operatori psico-sociali sia orientato verso l’acquisizione di un modello epistemologico eco-sistemico 20 e verso l’acquisizione di competenze specifiche nel settore del lavoro con i nuclei familiari. 18 Freud S., Introduzione alla psicoanalisi, Torino, Boringhieri, 1980 Hudolin V., Manuale di alcologia, Centro Studi sui problemi alcolcorrelati, Trento, 1991 20 Hudolin V., AA.VV., L’approccio ecologico sociale ai problemi alcolcorrelati e complessi , Centro Studi Erickson, Trento, 1994 19 21 Focalizzare l’attenzione sul singolo soggetto “problematico” non conduce molto lontano, e arrivano conferme in tal senso dai molti tentativi di lavoro individuale con soggetti dipendenti che si rivelano fallimentari. Il problema del singolo non è scindibile dai problemi degli altri soggetti coinvolti nella sua vicenda umana; ciascuno assume un ruolo, una funzione rilevante nelle interazioni di tutto un sistema familiare che va considerato nel suo complesso 21. Da quanto esposto risulta evidente come, sul piano psicologico, non sia l’alcol in sé a costituire il vero problema, quanto invece i comportamenti del soggetto dipendente e i significati che tali comportamenti assumono in rapporto agli altri individui coinvolti in questo problema. Occorre pertanto prendere in esame i modi attraverso i quali i comportamenti degli altri membri del nucleo familiare del soggetto dipendente, interferiscono con l’abuso di sostanze alcoliche. Accanto ad ogni soggetto che abusa si muovono sempre altri soggetti che, con modalità diverse e a vario titolo, contribuiscono sia all’attivazione che al mantenimento o rinforzo di comportamenti e stili di vita inadeguati e disfunzionali22. Dal quadro fin qui tracciato non si può che ricevere la sensazione di un fenomeno estremamente complesso, che conserva delle zone d’ombra e di cui conosciamo solo alcuni frammenti. 1.4. LE CAUSE DELL’ALCOLISMO Un tema che è stato trattato da varie discipline è l’eziologia dell’alcolismo. Sono state elaborate in merito numerose teorie che hanno cercato di individuare le cause che inducono all’alcoldipendenza. Esistono tre fondamentali modelli di approccio che possono essere raggruppati in base a come l’individuo viene preso in considerazione da un punto di vista biologico, della personalità o familiare e sociale. 21 Hudolin V., Sofferenza multidimensionale della famiglia, Eurocare, Padova, 1995 Hudolin V., L’alcolista nella comunità locale, in Hudolin V., Geppini G., Zanon L., Verso un concetto ecologico di salute, Trento, Edizioni Centro Studi Erickson, 1992 22 22 1.4.1. Modello organicista (biochimico-genetico) Tramontate le teorie che vedevano nelle alterazioni metaboliche o endocrine la genesi della dipendenza alcolica, si riscontra un crescente interesse per i fattori ereditari e genetici. L’evidenza di una incidenza familiare rilevante contrasta con la mancanza di nozioni precise sul tipo di trasmissione genetica e sulla natura dell’anomalia geneticamente trasmessa. Verosimilmente, fattori di ordine socioambientale e culturale contribuiscono in misura più o meno rilevante alla slatentizzazione della predisposizione genetica, la cui esistenza è confermata dai tassi di concordanza del disturbo differenti nei gemelli monozigoti (intorno al 5060%) e dizigoti (intorno al 25%). Un’ulteriore conferma all’ipotesi genetica si ritrova negli studi condotti sui figli adottati da genitori non alcoldipendenti, dove si riscontra che il rischio di sviluppare il disturbo è 5-6 volte maggiore tra i figli maschi con almeno un genitore biologico affetto da sindrome da dipendenza alcolica23. Va precisato, comunque, che a tutt’oggi non c’è accordo tra i risultati riportati. Altri studi sono stati condotti sui cervelli di soggetti deceduti per etilismo, in modo da identificare una base genetica dell’alcoldipendenza. Secondo alcuni studiosi sarebbe stata scoperta una correlazione tra specifici cromosomi e la predisposizione genetica all’alcolismo 24. C’è da dire che le ricerche condotte in tal senso non hanno mai dato risultati certi e definitivi. Nel corso degli anni l’interesse dei ricercatori e dei clinici si è sempre più spostato a sottolineare la “familiarità” nella dipendenza alcolica, sia essa dovuta a fattori genetici che ambientali. Una ricerca scientifica che si ponga lo scopo di dimostrare con certezza una predisposizione genetica risulta ancora piuttosto ardua, in quanto non è ancora possibile accertarla; per ora si può solo affermare che esiste una certa familiarità nei confronti dell’abuso di alcol, e che le diverse risposte soggettive all’assunzione condizionano la velocità di comparsa della tolleranza e della dipendenza. Infatti è stato riscontrato che una familiarità positiva può giocare un ruolo predisponente nello sviluppo della dipendenza alcolica, così come il rischio di 23 Cioni P., Perugi G., Poli E., op. cit. pag. 190 Senini G., Inga Sigurtà F.E., Aspetti Biopatologici dell’alcolismo, Pitagora Editrice, Bologna, 1981 24 23 sviluppare tale dipendenza aumenta significativamente nel caso di problematiche di tipo ambientale. Se da un lato quindi, sotto un profilo più strettamente individuale, le basi biologiche sono importanti nell’eziologia del disturbo, altre variabili, quali fattori etnico-culturali e socio-ambientali, intervengono nel facilitare o meno la comparsa di una condizione di dipendenza, influenzando nel contempo la sua espressione clinica. In questo senso alcuni aspetti quali la solitudine, la disoccupazione o il basso livello culturale, vengono considerati fattori di rischio per lo sviluppo di abnormi condotte alcoliche; a questi vanno aggiunti altri fattori di rischio, derivanti dall’acquisizione di modelli culturali che utilizzano l’alcol come simbolo di successo, ed il suo uso come consuetudine quotidiana normale. Potrebbe essere ipotizzato che, in soggetti con vulnerabilità genetica in cui insorgono disturbi di tipo ambientale, si innesti un sinergismo tra questi due fattori che con maggiori probabilità porti allo sviluppo di condotte alcoliche di varia gravità. 1.4.2. Modello psicologico Nel tentativo di interpretare le motivazioni che spingono l’individuo a condotte alcoliche eccessive, si è cercato di enucleare le variabili psicologiche e psicopatologiche maggiormente predittive in questo senso. Così si sono sviluppati negli anni indirizzi di studio che hanno centrato la loro attenzione su due aspetti in particolare: la personalità alcolica e pre-alcolica. Nel tentativo di definire una personalità pre-alcolica, lo studio condotto sulle caratteristiche delle persone, basato sulla valutazione dei fattori psicologici che eventualmente porterebbero ad una condizione di alcolismo, non hanno ottenuto risultati chiari. Il limite di tali studi risiede nel fatto che la personalità viene di regola valutata partendo da un quadro già in qualche modo alterato dagli effetti dell’alcol, rischiando così di attribuire al soggetto, come caratteristiche premorbose, aspetti personologici legati alla malattia in atto. L’alcol modifica la personalità e le caratteristiche bio-funzionali del soggetto ed è quindi difficile stabilire un nesso tra ciò che è l’alcolista e la persona che era prima. 24 Per questo motivo non è ancora possibile stabilire se una persona che possiede certe caratteristiche sia più o meno predisposta di un’altra a divenire alcolista. Altrettanto difficoltosa si è rivelata la definizione di una personalità alcolica. Nel 1940 Jellinek era giunto a formulare questa intuizione: “gli alcolisti non formano una popolazione omogenea, ma sono eterogenei per quanto riguarda eziologia, manifestazione e decorso della malattia 25”. Ogni etilista è differente per modalità, quantità e qualità di assunzione della sostanza poiché vari sono i fattori fisici e psicologici che intervengono nella genesi dell’alcolismo. Nonostante ciò, gli studi condotti in merito hanno portato a distinguere tre aspetti generali comuni nella persona alcoldipendente: 1. la debolezza dell’Io, che include concetto negativo di sé, scarsa tolleranza alle frustrazioni, impulsività, debole identità sessuale, difficoltà nello stabilire relazioni umane soddisfacenti; 2. la depressione, sintomo che, in varia misura, si ritrova quasi nel 90% degli alcolisti. Nella maggior parte dei casi la presenza di disturbi depressivi all’entrata del paziente in trattamento, ha natura provvisoria dovuta allo stato di intossicazione e alla condizione esistenziale. La depressione pare comunque essere una conseguenza dell’alcolismo piuttosto che fattore predisponente. Sembra però che il 30-40% degli alcolisti soffra di sintomi depressivi gravi di tipo secondario, dato tuttavia sensibile al tipo di strumento di indagine utilizzato ed ai diversi criteri adottati per la selezione dei campioni studiati26. 3. la sociopatia, si tratta della presenza negli alcolisti di comportamenti antisociali riconosciuti da alcuni come tratto psicopatologico, da altri come disturbo della personalità. Emergono in questo ambito difficoltà nell’inquadramento diagnostico della sociopatia in quanto non si è riuscito ancora a capire quale sia il nesso eziologico tra alcolismo e comportamento antisociale, ovvero quale sia l’uno la causa dell’altro. Tuttavia non è stato possibile definire in modo soddisfacente la personalità alcolica, anche se, considerando le diverse dinamiche psicologiche, i differenti 25 26 Jellinek E.M., The Disease Concept of Alcoholism, Millhouse Press, New Haven, 1960 Schuckit M., Alcoholic Patients with Secondary Depression, Am. J. Psychitry, 1983 25 aspetti comportamentali e i cambiamenti nei confronti dell’ambiente esterno, è stato possibile delineare nel tempo alcune tipologie di bevitore. Una prima classificazione è stata fornita da Jellinek (1960) 27che ha individuato cinque categorie diverse di alcolismo: 1. alcolismo alfa: dipendenza psicologica per soffocare i conflitti interni, per provare un senso di sollievo, di rilassamento e per ritrovare maggior sicurezza in sé. Alcolismo tipico di chi è oppresso. 2. alcolismo beta: bere conformista, legato a norme culturali del gruppo di appartenenza. Tipico del bevitore occasionale che consuma alcol in dosi elevate, ma non è dipendente. 3. alcolismo gamma: dipendenza dovuta alla perdita di autocontrollo. Le caratteristiche sono l’eccessiva quantità di alcol assunto e l’impossibilità di controllare l’aggressività e la violenza accumulate. 4. alcolismo delta: dipendenza fisica dall’alcol, legata alla mancata capacità di astenersi. Il soggetto beve ininterrottamente e in modo regolare grandi quantità di alcol, l’astensione risulta impossibile perché sente il bisogno di una determinata quantità di alcol nel sangue. 5. alcolismo ipsilon: dipendenza caratterizzata dalla capacità di astensione dall’alcol anche per lunghi periodi, ma con ricadute incontrollate ed eccessive. Il soggetto attraversa con regolarità periodi di crisi segnati da nervosismo e malumore. Questa classificazione individua nell’alcolismo le seguenti cause: - oppressione, conflittualità interna; - conformismo; - perdita di autocontrollo; - incapacità di astenersi; - compulsione. Negli anni a seguire sono state formulate ulteriori classificazioni, ciascuna delle quali con un criterio di discriminazione differente: il trattamento richiesto, il tipo di patologia correlato al tipo di personalità (Fouquet 1973)28, ecc. 27 28 Jellinek E.M., op. cit. Malka R., Fouquet P., Vachonfrance G., op.cit. 26 Oggi è possibile delineare alcune tipologie di bevitore distinguibili tra loro sia per la condotta etilica, sia per alcuni aspetti socio-culturali e ambientali29. Tali tipologie si possono distinguere in: 1. Bevitore compulsivo: sotto questa definizione troviamo i soggetti che bevono giornalmente, in modo incontrollato fino all’ubriachezza e nei quali lo stato di intossicazione alcolica è in fase avanzata. Questi soggetti alternano brevi periodi di astinenza a periodi di ritorno a modalità compulsive di assunzione. Gli studiosi riscontrano in essi personalità conformiste che tendono alla colpevolizzazione, e nelle quali momenti di aggressività vengono inevitabilmente seguiti da fasi depressive. 2. Bevitore autistico: in questa tipologia rientrano i soggetti emarginati che vivono ai margini della società pur non violando le norme sociali. È estremamente difficile coinvolgerli in un programma di disintossicazione e di tipo socio-riabilitativo. 3. Bevitore regressivo: generalmente questi soggetti amano essere coinvolti in situazioni conviviali facendo propositi di sobrietà che però non riescono a mantenere. Le ripetute ricadute producono un forte senso di vergogna nel soggetto che reagisce caricandosi di aggressività nei confronti dell’ambiente. 4. Bevitore gregario: appartengono a questa categoria coloro che frequentano i luoghi di aggregazione e che, pur assumendo grandi quantità di alcol, difficilmente giungono a perdere il controllo totale. Tali soggetti, privi di particolari conflitti interiori o frustrazioni, sono gratificati dall’appartenenza al gruppo che risponde alle loro esigenze di tipo relazionale. 5. Bevitore reattivo: si tratta di quei soggetti che, a seguito di un’esperienza dolorosa, trovano sollievo nell’uso di alcol che diviene un modo per ottenere una gratificazione immediata. 6. Bevitore solipsistico: sono coloro che usano l’alcol nei momenti di tensione e tendono a nascondere le proprie abitudini alcoliche sostenendo di poterle controllare. 29 Furlan P.M., Picci R.L., Alcol, Alcolici, Alcolismo, Bollati Boringhieri, Torino, 1990 27 7. Bevitore pulsionale: questi soggetti, pur consapevoli dei rischi insiti nell’uso di alcol, ricercano in esso gli effetti sedativi e di piacere. 1.4.3. Modello socio-culturale Secondo questo modello, le variabili etniche, familiari e ambientali costituiscono fattori di rischio nella genesi dell’alcolismo. È la dimensione sociale e culturale, pertanto, ad essere in particolar modo chiamata in causa, facendo riferimento alle sue componenti: - Economiche: la disoccupazione, il lavoro precario, la mal retribuzione, il ritmo elevato di lavoro, la monotonia, la scarsa valorizzazione, il licenziamento. Tutte questi eventi esistenziali negativi possono favorire l’abuso di alcol che, in queste circostanze, diviene elemento compensativo immediato poiché facilmente reperibile. - Ambientali: le zone a produzione vinicola, gli stessi produttori, i proprietari e i gestori dei locali, possono contribuire a favorire un consumo di alcolici eccessivo. - Familiari: le difficoltà relazionali intrafamiliari possono entrare a vario titolo nell’insorgenza dell’alcolismo. - Culturali: la cultura di appartenenza gioca un ruolo fondamentale di influenza sulle abitudini alcoliche. Nel nostro Paese “il bere” è ben integrato nelle abitudini quotidiane della popolazione ed è inoltre compatibile con il resto della cultura 30. Concludendo, va precisato che nessuno di questi tre modelli è di per sé soddisfacente ed adeguato per spiegare le cause dell’alcolismo; è più corretto parlare di un disturbo con cause multiple e con decorso complesso. È auspicabile quindi far riferimento ad un modello che non sia univoco ma multifattoriale che prenda in considerazione le possibili interazioni tra fattori genetici, psicologici, familiari, interpersonali e ambientali. Esso risulterà utile 30 Forni E., La cultura del vino del mondo rurale, in Gruppo di ricerca sui problemi dell’Alcolismo e delle Tossicodipendenze (a cura di), L’alcol nella società tra scienza, cultura e controllo sociale, Torino, Celid, 1985 28 anche e soprattutto per un corretto approccio terapeutico che dovrà essere flessibile e adattabile in base alle specifiche situazioni. 1.5. LA FENOMENOLOGIA DELL’ALCOLISMO L’indagine Doxa “Gli Italiani e l’alcol”, compiuta nell’anno 2001 per incarico dell’Osservatorio Permanente sui Giovani e l’alcol su un campione di 8000 persone, offre una “fotografia” della situazione nel nostro Paese. Secondo i dati pervenuti, il 65% degli italiani (pari a quasi 32 milioni) possono essere catalogati tra i cosiddetti “consumatori regolari”, mentre il 15% (7,4 milioni) sono invece consumatori occasionali. La bevanda più diffusa è ancora il vino di cui ne fa uso il 65% degli adulti, seguito dalla birra con il 54%, mentre il 25% degli italiani non disdegna di assumere superalcolici. Le modalità di consumazione differiscono rispetto alla sostanza: per il vino prevale il consumo regolare in famiglia durante i pasti, mentre la birra viene consumata soprattutto in compagnia di amici nei luoghi tipici di aggregazione quali bar, pub, ristoranti31. La ricerca di un prototipo di etilista è assurda, ma esistono particolari persone che, per altrettanto particolari motivi, fanno entrare l’alcol nella propria vita quotidiana, tra questi le donne, i giovani e gli anziani. 1.5.1. L’alcolismo femminile In quasi tutte le società antiche nelle quali era consentito bere, veniva distinta la modalità di consumo tra uomini e donne 32. Nell’antica Roma alle donne era severamente proibito bere alcolici tanto che venne persino introdotta la pena di morte per questo reato. Il diritto romano inoltre, affiancava a questa proibizione la pena per adulterio attribuendo all’alcol, in tal senso, una responsabilità per eventuali promiscuità sessuali da parte delle donne. Ubriacarsi e commettere adulterio erano considerati comportamenti inammissibili poiché si riteneva che 31 Fonte: Arcat Toscana, sito disponibile in rete all’indirizzo www.arcattoscana.org/welcome.htm Chinni C., De Luca P., Neri P., Alcuni aspetti dell’alcolismo femminile, Rassegna di Studi Psichiatrici, 1986 32 29 nel vino fosse contenuto un principio di vita e quindi la donna che lo assumeva faceva entrare in sé un elemento estraneo che favoriva la promiscuità sessuale. Un vero e proprio potere di controllo veniva esercitato sulla donna dai parenti più stretti attraverso il cosiddetto “ius osculi” ovvero il “diritto di bacio”, che consisteva nel baciare la donna per verificare se avesse bevuto. Nel mondo antico era quindi ben consolidata l’idea che il consumo di alcol da parte del genere femminile fosse riprovevole nonché causa di comportamenti lascivi. Durante il Medioevo e il Rinascimento erano molte le donne che abusavano di bevande alcoliche, nonostante fosse ancora forte la riprovazione nei loro confronti33. Nel periodo rinascimentale le donne potevano incontrarsi nelle taverne e trascorrere il tempo chiacchierando, giocando a carte e bevendo, ma tale momentanea apertura era destinata a scomparire tanto che già dal 1500 si ritornò al proibizionismo. Viene così ripristinata l’antica visione dell’identità femminile confinata nuovamente nel solo ruolo di casalinga, moglie e madre. Pur continuando lungo i secoli l’idea che, nelle circostanze di convivialità, il bere fosse prerogativa esclusivamente maschile, verso il 1800, in piena età industriale, si scopre che tra la classe operaia femminile era diffusa l’abitudine non solo di bere, ma anche di somministrare alcolici e oppiacei ai figli piccoli per irrobustirli e per conciliare loro il sonno. La donna continuava comunque a rimanere del tutto esclusa dalle occasioni di socialità o di festa, mentre l’uomo poteva consumare alcolici liberamente ed anche eccedere, considerando che ciò non destava né allarme né riprovazione sociale. Sia questa situazione di esclusione, sia anche la ridefinizione dell’identità femminile avvenuta negli ultimi decenni, possono essere ritenuti fattori influenzanti nell’uso inadeguato di alcol da parte delle donne. È a partire dagli anni ’60 che le donne cominciano a manifestare la loro posizione nei confronti dell’alcol frequentando i luoghi di incontro come bar o birrerie e iniziando ad acquistare bevande alcoliche. L’alcolismo femminile è tutt’oggi un fenomeno più sommerso rispetto a quello maschile pur evidenziando, al contrario, un tasso di incremento superiore. I motivi 33 Leclercq J., La figura della donna nel Medioevo, Jaca Book 30 per cui l’alcolismo in campo femminile non è stato ancora ben approfondito, sono da ricercarsi nel fatto che spesso il problema non è facilmente rilevabile, essendo sovente confinato nel privato o dissimulato per l’elevata riprovazione sociale 34. Le donne alcoliste sono vittime di una stigmatizzazione a più livelli: il primo riflette il pregiudizio comune a tutte le persone con problemi di dipendenza, ritenute prive di volontà; il secondo, legato allo stereotipo culturale per cui dalla donna ci si aspettano comportamenti più corretti rispetto all’uomo; infine un terzo livello, più subdolo e oltraggioso, di natura sessuale, vede la donna etilista come una donna di costumi licenziosi e pertanto maggiormente bersaglio di violenza sessuale. La donna etilista è ben consapevole di adottare un comportamento deviante, si può dire quasi che il suo sia un “alcolismo da professionista”, latente in alcuni momenti e riemergente invece in altri di particolare stress35. Non si riscontra nelle donne una modalità di consumo collettiva e l’assunzione di alcol rimane un fatto squisitamente privato, fatta eccezione per le ragazze di ultima generazione che consumano e talvolta abusano insieme ai coetanei maschi. Si parla pertanto di alcolismo di tipo reattivo, bevendo in solitudine e nella maggior parte dei casi nascondendosi. L’esordio dell’abuso di alcol è più tardivo nella donna rispetto all’uomo; si considera la quarta decade come il periodo a maggior rischio poiché si tratta di un’età in cui la donna può smarrire con più facilità i ruoli legati alla propria identità. Si verificano spesso situazioni di eccessiva routine, oppure di scarso riconoscimento: la donna non è più impegnata nella costruzione della famiglia, i figli ormai adulti lasciano il nucleo familiare, il marito dimostra meno interesse, la donna è meno oggetto di attrazione sessuale, ecc. Alcuni ritengono che la professione della casalinga sia quella che maggiormente influisce sull’alcolismo,soprattutto nei casi in cui questa condizione lavorativa non viene scelta ma imposta da motivi economici o familiari. Un elevato numero 34 Signorelli M., Zampieri B., Alcolismo al femminile in Animazione Sociale n.6/7, Gruppo Abele, Torino, 1998, pag. 88-89 35 vedi a tal proposito A.A. per la donna (opuscolo), Letteratura approvata dalla Conferenza dei Servizi Generali 31 di alcoliste si riscontra tra le pensionate e tra le donne sposate probabilmente a causa delle incomprensioni con il coniuge. Fattore predominante nel determinare un abuso di alcol nella donna è la motivazione psicologica, legata spesso al ruolo sessuale, mentre nell’uomo assumono primaria importanza fattori socio-culturali. La nuova immagine femminile dei nostri giorni con ruoli e compiti diversi, espone la donna nei confronti dell’alcol esattamente quanto l’uomo. La donna madre e lavoratrice è sottoposta a livelli di fatica e di stress elevati, a flessibilità di orario, a esigenze che contrastano con quelle classiche del lavoro femminile 36. In questo contesto è opportuno fare accenno, seppur brevemente, al rapporto tra alcol e gravidanza37. Diversi studi hanno dimostrato gli effetti negativi del consumo di alcol sul decorso della gravidanza e sullo sviluppo del feto. Alcuni studi hanno indicato come l’esposizione fetale all’alcol aumenti il rischio di sviluppare dipendenza da sostanze in generale, pertanto, non essendoci un dosaggio ritenuto “sicuro”, l’indicazione più attendibile sarebbe l’astensione completa da alcolici. Nel mondo occidentale l’etanolo è la sostanza teratogena più frequentemente chiamata in causa nella genesi del ritardo mentale. L’effetto dell’alcol sullo sviluppo fetale si verifica a causa del suo passaggio trans-placentare, inoltre il feto è dipendente dalla metabolizzazione epatica materna dell’alcol. In caso di eccessiva assunzione di alcol da parte della madre, il feto è quindi esposto ad elevate concentrazioni di etanolo. L’uso inadeguato di alcol in gravidanza può causare aborto spontaneo, morte intrauterina, parto pretermine e ciò può avvenire anche quando sia solo il marito l’alcolista. 1.5.2. L’alcolismo giovanile Dal problema dell’alcolismo i giovani non sono certamente esclusi, ma anzi, esso sta prendendo sempre più piede tra di loro. È noto, infatti, che la principale causa 36 De Maria, Abitudini ed opinioni di una popolazione femminile sull’uso delle bevande alcoliche in Alcolismo:prospettive di ricerca e di intervento, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994 37 Rizzo A., Viziello G., Fiorin A., Pavani V., Zingarello C., Molteplicità di problemi nei figli di genitori alcolisti in SI: rivista di studi locali del Veneto, 1990 32 di morte tra gli adolescenti sono proprio gli incidenti stradali, causati in gran percentuale dalla guida in stato di ebbrezza. Il dato più evidente è che il consumo di bevande alcoliche tra i giovani, è strettamente legato alla compagnia, al divertimento e a contesti specifici quali la discoteca, la birreria, il pub, ecc. All’interno i questi contesti l’uso di alcol si mescola spesso a quello di altre sostanze, o può fungere addirittura da “ponte”, da “droga di accesso” ad altre droghe illegali con conseguenze anche disastrose38. Numerose ricerche hanno testimoniato nel tempo questo fenomeno giungendo ad associare l’alcol alle droghe cosiddette “performative” poiché consentono prestazioni fuori norma, aiutano la socializzazione, riducono le barriere emotive e sono spesso oggetto di poliassunzione. La loro particolarità risiede nel fatto che non vengono percepite come droghe da chi le assume, e il loro uso riguarda ragazzi per nulla emarginati. Un ulteriore aspetto negativo del bere giovanile si può cogliere in riferimento agli episodi di abuso alcolico, nei quali l’atteggiamento trasgressivo è più evidente poiché costituisce l’ingrediente principale dei modelli culturali propri della prima giovinezza, periodo in cui attraverso la trasgressione i giovani vanno alla conquista di identità e autonomia. Tali modelli dovrebbero comunque essere abbandonati una volta raggiunta l’età adulta. Accanto però ad abusi cosiddetti “regolati”, indicatori dell’esistenza di una soglia, di un limite all’eccedenza, troviamo anche forme di abuso rivelatrici di situazioni problematiche. Le ricerche condotte a tal proposito in Italia segnalano il ruolo importante svolto dall’interazione del giovane nei tradizionali ambiti della socializzazione. Se il giovane svolge attività estranee a tali ambiti, e cioè vive fuori casa, fuori dalla scuola e fuori dall’ambiente di lavoro, tenderà più facilmente ad assumere comportamenti trasgressivi e ad essere classificato come consumatore eccedente. 38 Nel 1980 Kandel, esaminando i dati di alcune ricerche effettuate su campioni estesi di popolazione giovanile, ipotizzò che esistesse una sequenza nell’uso delle diverse sostanze, sulla base di quattro stadi differenziati: I) uso di birra e vino, che precede quello di II) tabacco e/o superalcolici, che a sua volta precede quello di III) marijuana e IV) eroina. Le ricerche esaminate dall’autrice indicano che, fra tutti i giovani che hanno provato l’alcol (93% circa), l’83% ha in seguito fumato sigarette e successivamente marijuana (68%). Mentre l’uso di alcol si protrae nel tempo, non vale altrettanto per il tabacco e la marijuana. Tra coloro che utilizzano marijuana, solo il 38% ne diventano consumatori regolari e di questi ultimi solo una percentuale limitata prova in seguito altre droghe. Tali dati comunque, consentono di attribuire un ruolo cruciale alla droghe lecite, come alcol e tabacco, nel favorire l’uso di marijuana e di altre droghe. 33 Analogamente, anche l’assenza di un coinvolgimento in un qualche tipo di attività, apre la porta a quello che è stato chiamato il tempo del “vuoto”, tipico di colui che né studia, né lavora. Tanto maggiore è il vuoto, tanto maggiore è la passività con cui i giovani si rapportano non soltanto al consumo del tempo, ma anche ai consumi alcolici39. Un ulteriore elemento che contribuisce ad accentuare la condizione di disimpegno o vuoto, attribuibile in questo caso non solo al singolo soggetto, ma anche all’intera generazione dei giovani d’oggi, è l’assenza di conflitto, caratteristica invece dominante negli anni ’70. L’impossibilità di identificare altre forme di conflittualità “mirate”, può provocare nei giovani un disorientamento nei valori fondamentali e un disagio da intendersi non come percorso di crescita e di emancipazione dalla famiglia di origine, ma piuttosto come atto i sfida e ribellione verso l’ordine sociale precostituito, alla luce del quale anche i comportamenti di abuso alcolico possono essere interpretati40. Si tratta quindi di un aspetto ulteriore della cultura giovanile che va sotto il nome di “cultura del rischio”, dove si tendono a valorizzare comportamenti che affrontano, in maniera più o meno consapevole, situazioni di pericolo 41. 1.5.3. L’alcolismo negli anziani Il rapporto tra anziano e alcol è un fenomeno sicuramente da non sottovalutare. Si possono distinguere due categorie di anziani alcolisti: la prima comprende i soggetti con problematiche già evidenziate durante il percorso di vita, la seconda è quella costituita da anziani che iniziano a bere proprio in tarda età, in risposta ad importanti fattori di disagio psico-sociale42. Emerge con chiarezza che i fattori di stress, legati alla vecchiaia, possono consolidare e spesso aggravare una situazione di alcolismo preesistente, oppure causarlo ex novo negli individui senza precedenti problemi di alcolismo. 39 Osservatorio Permanente sui Giovani e L’Alcol (a cura di), Prima Indagine Nazionale sui Giovani e l’Alcol, quad. n.2, Roma, Otet, 1992 40 Baldascini L., Vita da adolescenti, Milano, Franco Angeli, 1995, pag. 58 41 Carmalinghi R., (a cura di), Perché i ragazzi devono rischiare, in Animazione Sociale n.11, 2000, pag. 29 42 Almeno il 15% degli anziani non istituzionalizzati sono bevitori problematici, ma nascondonole loro abitudini al medico. La dipendenza dall’alcol viene, in genere, preceduta da depressione, solitudine e mancanza di supporti sociali. Va ricordato che la quantità di alcol abituale consumata in età adulta, può divenire invece a rischio in quella anziana con danni al Sistema Nervoso Centrale. 34 In riferimento a questi ultimi, la dipendenza dall’alcol viene in genere preceduta da depressione, solitudine e mancanza di supporti sociali adeguati. Costoro pertanto, chiedono all’alcol un “aiuto” contro i quotidiani e numerosi problemi della vecchiaia e, in particolare, cercano di utilizzarne gli effetti sedativi, antidepressivi e disinibenti. È facile immaginare per queste persone anziane una realtà esistenziale vissuta faticosamente giorno dopo giorno, quotidianamente triste, che in un certo senso le obbliga ad “aiutarsi” in qualche modo. All’inizio possono essere sufficienti modeste quantità di alcol assunte regolarmente, quasi alla stregua di una medicina, e spesso proprio contemporaneamente all’autosomministrazione di farmaci43. Questa categoria di bevitori, rispetto a quella più giovane, beve di meno ma con maggiore frequenza secondo un modello tipico routinario e giornaliero. L’alcolismo tardivo può comparire quindi, come forma di reazione ad eventi stressanti come la vedovanza, i lutti familiari in genere, le influenze negative psicologiche e socio-ambientali. Esiste una significativa correlazione statistica tra depressione psichica e alcolismo, situazioni entrambe che possono insorgere quando l’anziano è portato a sperimentare sensazioni di perdita quali la morte del coniuge, la mancanza di salute, la diminuizione del vigore fisico, la carenza di supporto familiare e la privazione del ruolo sociale e produttivo. In alcuni casi gli anziani sono a rischio di cedere all’abuso alcolico dopo il pensionamento, evento critico specie per quelle persone che sentono il proprio lavoro come una componente determinante e non commutabile della loro esistenza. L’anziano, in questi casi, si trova ad avere dinanzi un tempo enormemente dilatato ed esperimenta, da un giorno all’altro, una sorta di smarrimento di fronte ad una condizione esistenziale nuova a cui, il più delle volte, non si sente preparato. Non stupisce, quindi, che il passaggio tra questa condizione emotiva e psicologica e la susseguente ricerca di consolazione nell’alcol, sia piuttosto breve. Certamente il pensionamento, pur portando con sé tutta una serie di modificazioni alla vita quotidiana, non è il solo fattore chiamato in causa nell’insorgenza dell’alcolismo tardivo. Altri fattori possono subentrare, come per esempio il 43 Furlan P.M., Picci R.L., L’alcol fra le donne, i giovani, gli anziani in Alcol, alcolici, alcolismo, Bollati Boringhieri, Torino, 1990 35 trasferimento dell’ambiente di vita in sede diversa, con conseguente perdita degli abituali punti di riferimento o l’istituzionalizzazione in casa di riposo, che spesso è precoce per le persone isolate e non del tutto autosufficienti. Infine, la solitudine affettiva, che fa da comune denominatore in tutte le circostanze di cambiamento citate, di cui spesso l’anziano soffre anche quando è ancora inserito in famiglia, rappresenta un fattore favorente di grande importanza. 1.6. RIFERIMENTI LEGISLATIVI In un passato non molto lontano, per poter reperire un quadro completo della normativa in materia di alcol, era necessario attingere a più fonti legislative: leggi di ordine pubblico, di prevenzione sul lavoro, leggi riguardanti interventi sociosanitari e, non di minor rilevanza, tutto quel complesso di leggi che regolano produzione, commercio e pubblicizzazione di bevande alcoliche. Negli ultimi anni invece, attraverso la Legge Quadro in materia di alcol e di problemi alcolcorrelati n.125 del 30 marzo 200144, tali norme sono state raccolte in un unico quadro legislativo e, in alcuni casi, modificate. Eccone gli articoli esposti in sintesi: Art. 1. La nuova Legge reca “norme finalizzate alla prevenzione, alla cura e al reinserimento sociale degli alcoldipendenti”, ai sensi di varie indicazioni e risoluzioni: quella del Parlamento europeo (marzo 1982) sui problemi dell’alcolismo nei Paesi della Comunità, quella del Consiglio e dei rappresentanti di governo degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio (maggio 1986) concernente l’abuso di alcol, le indicazioni fornite dall’OMS con particolare riferimento al piano d’azione europeo per l’alcol, di cui alla risoluzione del 17 settembre 1992, adottata a Copenaghen dal Comitato regionale per l’Europa dell’Organizzazione stessa, ed alla Carta europea sull’alcol, adottata a Parigi nel 1995. La nuova Legge quadro si apre con una chiara definizione di bevanda alcolica, che viene così identificata: “ogni prodotto contenente alcol alimentare con 44 Disponibile sul sito: www.alcol.net/legilazione/legislazione.htm 36 gradazione superiore a 1,2 gradi i alcol” e di bevanda superalcolica, cioè “ogni prodotto con gradazione superiore al 21 per cento di alcol in volume”. Art. 2. Le finalità di questa Legge consistono nel: a) tutelare il diritto delle persone, ed in particolare dei bambini e degli adolescenti, ad una vita familiare, sociale e lavorativa protetta dalle conseguenze legate all’abuso di bevande alcoliche e superalcoliche; b) favorire l’accesso delle persone che abusano di bevande alcoliche e superalcoliche e dei loro familiari a trattamenti sanitari ed assistenziali adeguati; c) favorire l’informazione e l’educazione sulle conseguenze derivanti dal consumo e dall’abuso di bevande alcoliche e superalcoliche; d) promuovere la ricerca e garantire adeguati livelli di formazione e di aggiornamento del personale che si occupa dei problemi alcolcorrelati; e) favorire le organizzazioni del privato sociale senza scopo di lucro e le associazioni di auto-mutuo aiuto finalizzate a prevenire o a ridurre i problemi alcolcorrelati. Art. 3. Tale Legge fissa le attribuzioni dello Stato definendo i requisiti minimi, strutturali e organizzativi, dei servizi per lo svolgimento delle attività di prevenzione, cura, riabilitazione e reinserimento sociale dei soggetti con problemi e patologie alcolcorrelate (anche per le regioni e per le province autonome di Trento e Bolzano) secondo criteri basati sull’incidenza territoriale. Vengono inoltre definiti i criteri e la spesa massima annuale per il monitoraggio dei dati relativi all’abuso di alcol e ai problemi alcolcorrelati, e le azioni di informazione e di prevenzione da realizzare nelle scuole, nelle università, nelle accademie militari, nelle caserme, negli istituti penitenziari e nei luoghi di aggregazione giovanile. In questo articolo si stabilisce che, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, saranno intensificati i controlli sulle strade durante le ore “a rischio” di incidenti. Dispone inoltre che, entro 30 giorni, la Commissione unica del farmaco adotti un provvedimento per l’erogazione, a carico del Servizio Sanitario Nazionale, di farmaci utilizzati nelle terapie antiabuso o anticraving dell’alcolismo, per i quali è necessaria la prescrizione medico-specialistica, 37 definendo inoltre le modalità con cui i farmaci inseriti in classe “H” sono dispensati. Art. 4. La Legge è istitutiva della Consulta nazionale sull’alcol e sui problemi alcolcorrelati e ne definisce i membri componenti, i compiti specifici e i finanziamenti. I compiti della Consulta consistono nel collaborare alla predisposizione della relazione sugli interventi realizzati in materia, sulla base delle relazioni inviate dalle regioni, esaminando i dati relativi allo stato di attuazione della Legge e quelli risultanti dal monitoraggio; formulare proposte ed elargire pareri ai Ministri competenti, alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano per il perseguimento delle finalità e degli obiettivi di Legge; collaborare con Enti ed organizzazioni internazionali che si occupano di alcol e di problemi alcolcorrelati, con particolare riferimento all’OMS, secondo gli indirizzi definiti dal Ministro della sanità. Art. 5. Il presente articolo prevede l’introduzione di un corso di studio per l’apprendimento dell’alcologia nei corsi di diploma universitario relativi alle professioni sanitarie o a quelle ad indirizzo sociale e psicologico, nonché del corso di laurea in medicina e chirurgia. Art. 6. Introduce modifiche al codice della strada; tra queste la modifica dei livelli di concentrazione alcolemica nel sangue ammessa per i conducenti di autoveicoli, che è stata ridotta da 0,8 a 0,5 grammi per litro. Art. 8. Il Ministro della sanità trasmette al Parlamento una relazione sugli interventi realizzati ai sensi della presente Legge, sulla base delle relazioni inviate dalle regioni. Art. 9, 10, 11 e 12. I presenti articoli stabiliscono le attribuzioni delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano per l’individuazione di servizi e strutture incaricati della realizzazione degli interventi di prevenzione, cura e reinserimento sociale dei soggetti con problemi e patologie alcolcorrelate, e determina modalità di cooperazione con le regioni, le aziende sanitarie locali, gli Enti o associazioni pubblici o privati per lo svolgimento degli interventi sopra citati. Attribuiscono inoltre, sempre alle regioni e alle province autonome, la facoltà di realizzare strutture di accoglienza per pazienti alcoldipendenti nella fase successiva a quella acuta. 38 Art. 13. Vi troviamo le norme che disciplinano la comunicazione commerciale delle bevande alcoliche e superalcoliche: - adozione, entro 6 mesi dall’entrata in vigore delle Legge, di un codice di autoregolamentazione sulle modalità e sui contenuti dei messaggi pubblicitari relativi alle bevande alcoliche e superalcoliche da parte delle emittenti radiotelevisive pubbliche e private e delle agenzie pubblicitarie unitariamente ai rappresentanti della produzione; - la pubblicità degli alcolici e dei superalcolici è vietata: nei programmi rivolti ai minori e nei 15 minuti precedenti o successivi gli stessi; quando contenga messaggi con indicazioni terapeutiche legate all’alcol; quando rappresenti minori dediti al consumo di alcol o che rappresenti in modo positivo l’assunzione di bevande alcoliche o superalcoliche; - la pubblicità diretta o indiretta di bevande alcoliche è vietata nei luoghi frequentati prevalentemente dai minori di 18 anni; - è vietata la pubblicità radiotelevisiva delle bevande superalcoliche nella fascia oraria dalle ore 16.00 alle ore 19.00; - è vietata la pubblicità di bevande superalcoliche sulla stampa quotidiana e periodica destinata ai minori e nelle sale cinematografiche che proiettino film destinati prevalentemente ai minori; - la sanzione a carico delle industrie produttrici, dei responsabili delle emittenti radiotelevisive, degli organi e dei proprietari delle sale cinematografiche, consiste nel pagamento di una somma da Lire 5 milioni a Lire 20 milioni. È raddoppiata per ogni ulteriore trasgressione. Art. 14. Vieta la vendita al banco di bevande superalcoliche nelle aree di servizio lungo le autostrade dalle ore 22.00 alle ore 6.00. Art. 15. Le disposizioni per la sicurezza sul lavoro si riferiscono a quelle attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro o per la sicurezza, l’incolumità o la salute di terzi, per le quali è fatto divieto di assunzione di bevande alcoliche. È prevista inoltre la possibilità di controlli alcolimetrici nei luoghi di lavoro. Art. 16. Disposizioni finanziarie in merito alla presente Legge. 39 CAPITOLO 2 I GRUPPI DI AUTO-MUTUO AIUTO 2.1. UNA NUOVA CONCEZIONE DI BENESSERE L’Organizzazione Mondiale della Sanità propone una definizione del concetto di salute come uno stato di completo benessere e non semplicemente di assenza di malattia o di infermità, affermando che il miglior livello possibile di salute è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano. Il benessere viene quindi inteso, come uno stato di equilibrio tra fisico, psiche e relazioni sociali di un individuo. In merito a ciò si può dire che il nostro Paese ha dato dello “Stato del benessere” o “Welfare State”, una interpretazione particolare di “Stato assistenzialistico” 45. L’Italia infatti, ha sviluppato un sistema di Welfare tutto previdenziale, organizzato per le cosiddette categorie emarginate costituite da pensionati, anziani, bambini, handicappati, ammalati, tossicodipendenti ecc., per i quali elargisce aiuti ed eroga servizi46. È ben vero, però, che il sistema dei bisogni non colpisce soltanto queste categorie, ma investe tutto il corpo sociale dove il bisogno è riconducibile ad una migliore qualità della vita e delle relazioni sociali. Gli ostacoli in tal senso vengono rappresentati dalla solitudine, dalle difficoltà nei rapporti interpersonali e nella partecipazione sociale, e da ogni altro tipo di difficoltà che si frapponga al raggiungimento di uno stato di benessere largamente inteso. Si comincia così a capire perché si sia verificato un progressivo distanziamento tra la nuova domanda di benessere, portavoce di una trasformazione dei bisogni, e l’offerta pubblica a riguardo. Alla luce delle considerazioni fatte, è evidente che 45 Per un maggiore approfondimento: Ardigò A., Donati P., Politica sociale e perdita del centro, i Servizi sociosanitari nella crisi del Welfare State, Franco Angeli, Milano, 1982, pag. 16 46 Zanolin G., Costruire Welfare territoriali, in Animazione Sociale n.1, Gruppo Abele, Torino, 1999, pag. 22 40 un sistema di Welfare così inteso non può inseguire all’infinito la crescente complessità rispondendo con un servizio ad ogni nuovo bisogno. Appare necessario un cambiamento, senza però pensare di superare la crisi della tradizionale politica sociale semplicemente progettando un diverso intervento pubblico, o usando in modo diverso le risorse disponibili, ma ricercando la chiave del cambiamento nella trasformazione sociale e nell’evoluzione del concetto di benessere. In questo senso è illuminante quanto afferma Folgheraiter, secondo il quale, per una lettura della complessità, sembra più adeguato un approccio di tipo relazionale, per cui “le sofferenze e i disfunzionamenti umani si possono meglio comprendere e meglio modificare ragionando in termini di relazioni o di relazioni multiple, in cui la partecipazione attiva del cosiddetto utente al processo di cambiamento, è essenziale” 47. Nel processo di riformulazione di una nuova politica sociale, si rende quindi necessario riconsiderare il concetto di benessere in relazione a tutti i cambiamenti sociali, economici e culturali che hanno portato alla crisi del Welfare State negli ultimi due decenni. L’espressione “crisi” sta ad indicare che, il tentativo di favorire istituzionalmente il benessere, fabbricandolo artificialmente con servizi professionalizzati, si è rivelato un vero e proprio vicolo cieco 48. Come conseguenza di ciò, emerge il bisogno di fissare un orientamento che misuri il benessere collettivo partendo dall’autonomia delle persone. Nel tentativo di tracciare un quadro esaustivo del concetto di benessere, rapportato alla società contemporanea, ci troviamo di fronte a definizioni che prendono in causa le relazioni tra i membri di una società, i possibili vincoli di positività reciproca e la capacità dei soggetti di rendersi interdipendenti con altri soggetti. Appare evidente il passaggio dalla sfera dei bisogni in termini di materialità, alla sfera dei valori, in un contesto di tensione verso una migliore qualità della vita. Muovendoci in questa direzione emergerà chiaramente che, una tal concezione di benessere, non si presta a misurazioni oggettive. Sempre Folgheraiter sostiene in proposito che: “il benessere si misura principalmente dal grado di autonomia dei 47 Folgheraiter F., Interventi di rete e comunità locali, la prospettiva relazionale nel lavoro sociale, Centro Studi Erickson, Trento, 1994, pag. 16 48 Si veda anche: Ferrera M., Il Welfare State in Italia: sviluppo e crisi in prospettiva comparata, Il Mulino, Bologna, 1984 41 soggetti sociali, da quanto cioè i soggetti sono liberi di estendere la loro capacità di azione e di far fronte direttamente ai problemi e non invece da quanto sono tenuti lontani da questi o sostituiti nella risoluzione”49. La persona va liberata dal suo ruolo di utente che attinge a cure e servizi preconfezionati, e va invece sostenuta nell’imparare ad utilizzare nel miglior modo possibile le proprie risorse, anche se in alcuni casi queste possono essere limitate50. Nella tensione verso lo “star bene” di ogni persona, un punto fermo è rappresentato dalle relazioni affettive e sociali, le quali inconsapevolmente ci sostengono nella “normalità” del vivere e possono al contempo fornire un valido aiuto nei momenti di difficoltà e di avversità. In una prospettiva relazionale, quindi, compito dello Stato non è più quello di essere principale, se non unico, erogatore di benessere, ma invece quello di intervenire all’interno della comunità con i soggetti che ne fanno parte: individui, famiglie, reti primarie, volontariato. Appare evidente la necessità di ricomporre gli interventi socio-assistenziali su dimensione territoriale e multidisciplinare per rispondere alle difficoltà di vita del cittadino-utente creando servizi integrati nella comunità, avviando processi di inclusione e reinnestando processi di socializzazione interrotti in modo da recuperare risorse umane purtroppo sprecate51. In una prospettiva di questo tipo, si fa strada la ricerca di nuove metodologie di intervento improntate sul coinvolgimento di operatori, utenti, risorse, comunità. Superata la relazione duale servizio-utente, si può dire che la società lavora per costruire lo stato di benessere. 49 Folgheraiter F., Solidarietà di base e auto aiuto nel lavoro sociale, Centro Studi Erickson, Trento, 1989, pag. 12 50 Folgheraiter F., introduzione a Silverman P.R., I gruppi di mutuo aiuto, Come l’operatore sociale li può organizzare e sostenere, Erickson, Trento, 1989, pag. 24 51 Si veda: Folgheraiter F., introduzione a Maguire L., Il Lavoro sociale di rete, Centro Studi Erickson, Trento, 1987 42 2.2. LA CAPACITA’ DI AZIONE E L’AUTO-AIUTO Nella lingua inglese esiste un termine che racchiude, in una singola parola, un concetto che in italiano viene invece tradotto con una espressione più articolata. Si tratta del termine “empowerment”, ovvero di un processo tramite il quale le persone e i gruppi che vivono una condizione di impotenza, giungono ad apprendere modalità di pensiero e di azione che consentono loro di agire in maniera autonoma per far fronte ai propri bisogni. Si potrebbe parlare di un percorso di sviluppo che porta il soggetto ad incrementare la capacità di controllo della propria esistenza, ad una partecipazione attiva alla vita comunitaria, in sintesi, ad una migliore qualità della vita. Le persone che non hanno potere personale, quelle che lo hanno perduto o quelle invece a cui lo hanno tolto, scoprono di poterlo acquisire o di poterlo recuperare. Il potere di cui si parla, fa riferimento ad una competenza soggettiva maturata in termini di capacità di scelta, di miglioramento nelle relazioni interpersonali e nei rapporti con i servizi di aiuto. In questo modo il soggetto fa esperienza del proprio valore, aumentando la propria autostima e al contempo riducendo il sentimento di impotenza e sfiducia. Chiaramente, per far sì che la persona acquisisca capacità di azione, è necessario innanzitutto che venga superato il tradizionale modello lineare di risposta ai bisogni, in cui l’operatore esperto, che possiede “il potere”, offre la sua soluzione all’utente che invece ne è privo. Riconoscere la capacità di azione del soggetto a cui ci si rivolge, significa condividere parte della propria competenza e concepire l’altro come possessore di potere di azione anche quando questo è insufficiente 52. Si richiede, quindi, di spezzare la tradizionale asimmetria di rapporto, dove la capacità è concentrata da una sola parte, e includere invece le forme di reciprocità nelle relazioni. In un’ottica di questo tipo, l’aiuto fornito alla persona in termini di emancipazione da uno stato di impotenza, diviene indeterminato, ossia utilizzabile come risposta autonoma anche a bisogni di altro genere. Parallelamente al risveglio di consapevolezza del singolo, si assiste all’allargamento di tale processo alla collettività, ovvero allo sviluppo di 52 Canevaro A., Grosso L., Natoli S., Renzetti C., (a cura di), Un operatore sociale né rinunciatario né arrogante, in Animazione Sociale n.4, Gruppo Abele, Torino, 1999 43 competenze della comunità nel suo insieme 53. Muovendoci lungo questa direzione, apparirà evidente che le risoluzioni ai problemi e le possibili risposte ai bisogni non vengono più considerati esclusiva pertinenza dell’esperto, ma ridefiniti come responsabilità dell’intera comunità in una dimensione mutuale di aiuto54. La “capacitazione” del soggetto è infatti uno degli obiettivi dell’auto-aiuto, contesto in cui viene valorizzato il contributo del singolo, il sostegno sociale basato sulla solidarietà e sull’importanza delle interazioni con l’ambiente. L’auto-mutuo aiuto (self and mutual help) mira a rinforzare le reti naturali presenti nella società, mettendo a punto una serie di strategie per favorire l’attivazione di interazioni positive tra individui e ambiente. In questo modo viene rafforzata sia la singola persona, sia la comunità di cui fa parte 55. L’importanza che attualmente riveste l’auto-aiuto è riconducibile alla dimensione qualitativa dell’esistenza umana apportando, in tal senso, notevole contributo al benessere sociale. 2.3. L’AUTO-AIUTO: ALCUNE DEFINIZIONI I gruppi di auto-aiuto appartengono ad una particolare categoria di servizi, nei quali il soggetto stesso è promotore e gestore del sostegno e non semplicemente destinatario o fruitore di esso. Proprio in virtù di ciò, il movimento dell’automutuo aiuto si pone come alternativa ai tradizionali servizi sociosanitari, non a caso promotori e membri di questi gruppi hanno la convinzione di non poter trovare soddisfazione ai propri bisogni nelle normali istituzioni sociali. I gruppi di auto-aiuto sono strutture di piccolo gruppo che si creano deliberatamente per produrre aiuto/sostegno sociale. Sono stati definiti da 53 Donati P., Teoria relazionale della società, Franco Angeli, Milano, 1991, pag. 57 Donati P., Folgheraiter F., Gli operatori sociali nel welfare mix, Erickson, Trento, 1999 55 Per approfondire il contributo dell’auto-aiuto nell’ambito della promozione della salute: Ingrosso M., Lettura sociale della salute e promozione della qualità della vita, in Animazione Sociale n.5, Gruppo Abele, Torino, 2000, pag. 10 54 44 Folgheraiter come “reti sociali artificiali” 56, i cui nodi sono costituiti da soggetti portatori di un identico problema o condizione. Va tenuto conto che, comunque, ciascuno di questi soggetti possiede un proprio tessuto relazionale di appartenenza da cui spontaneamente riceve supporto e risorse di vario tipo. Le persone che compongono un gruppo di auto-aiuto condividono un medesimo problema e nel gruppo trovano vicendevole supporto, incoraggiamento e scambio di informazione. Vengono enfatizzate le relazioni faccia a faccia e valorizzato il senso di responsabilità personale da parte dei membri. Secondo Silverman, il self-help si differenzia dalle altre forme di aiuto proprio in base alla condivisione di una situazione o di una esperienza problematica. La mutualità “si verifica soltanto quando chi fornisce aiuto (helper) e chi lo riceve (helpee) condividono assieme la storia di un medesimo problema” 57. Ogni singola persona si trova ad essere al contempo fruitrice e fornitrice di aiuto in un sistema che fa dell’uguaglianza e della corresponsabilità valori imprescindibili. La partecipazione ad un gruppo rende il soggetto consapevole che gli altri partecipanti sono persone uguali a sé, che provano sentimenti analoghi e che quindi tali sentimenti possono essere considerati “normali”, poiché anche altre persone ne hanno fatto esperienza. Si assiste perciò ad un graduale incoraggiamento che porta a rendersi conto che si può diventare “aiutanti”, anziché essere semplici utenti e che da una situazione di impotenza si può passare ad una situazione di “empowerment”. Il potere passa ai non-esperti che però intervengono attivamente nell’ambito di un interesse che li investe in prima persona58. Il tipo di aiuto offerto da questi gruppi può assumere varie forme; può includere il rapporto faccia a faccia, oppure concretizzarsi in seminari di educazione, incontri sociali, culturali, ricreativi. Va sottolineato che alcune organizzazioni di mutuo-aiuto prevedono specifici programmi di addestramento per i membri che svolgono questo tipo di attività, o per chi desidera realizzare altri progetti simili. 56 Folgheraiter F., introduzione a Silverman P.R., I gruppi di mutuo aiuto, Come l’operatore sociale li può organizzare e sostenere, Erickson, Trento, 1989, pag. 13 57 Silverman P.R., I gruppi di mutuo aiuto, Come l’operatore sociale li può organizzare e sostenere, Erickson, Trento, 1989, pag. 32 58 Per un ulteriore approfondimento: Folgheraiter F., L’utente che non c’è - lavoro di rete e empowerment nei servizi alle persone, Franco Angeli, Trento, 2000 45 Per concludere, i gruppi di auto-mutuo aiuto si possono considerare come reti sociali informali che nascono per produrre solidarietà e sostegno interpersonale tra i portatori di uno stesso problema o condizione. Ciascun membro di un gruppo, per essere considerato tale, ha compiuto un lavoro individuale, ha riconosciuto l’esistenza di un problema e si è attivato in cerca di aiuto. In questo personale cammino per acquisire sostegno è stato in grado di erogare a sua volta aiuto, attraverso l’interazione con altre persone che condividono i vissuti di una situazione esistenziale analoga. Per questo motivo si può chiamare auto-aiuto anche quello che viene definito mutuo- aiuto. 2.4. LE VARIE TIPOLOGIE DI AUTO-AIUTO Premettendo che le forme di mutualità sono sempre esistite, il primo a stilare una rassegna storica sul mutuo-aiuto fu Peter Kropotkin, filosofo sociale nonché rivoluzionario di origine russa. Secondo questo autore, già nella società preistorica si svilupparono forme di condivisione e di mutuo-aiuto e “la stessa evoluzione della specie umana è stata possibile grazie all’attitudine degli uomini a cooperare e ad aiutarsi reciprocamente di fronte alle difficoltà comuni”59. Sosteneva inoltre che “nella pratica del mutuo-aiuto noi possiamo scorgere la concreta e sicura origine delle nostre concezioni etiche. Possiamo affermare che nel progresso etico dell’uomo il sostegno mutuale abbia avuto un ruolo essenziale”60. I primi gruppi di auto-aiuto nascono negli Stati Uniti intorno agli anni ’30 dove ritroviamo come precursori del movimento gli Alcolisti Anonimi 61. In Italia si può parlare di gruppi di auto-aiuto dagli anni ’60 in poi e il numero stimato, seppur impreciso, riferisce di circa 4000 gruppi con destinatari differenti: - dipendenze: alcolisti, tossicodipendenti, fumatori, soggetti con disturbi alimentari e loro familiari; 59 Folgheraiter F., introduzione a Silverman P.R., I gruppi di mutuo aiuto, Come l’operatore sociale li può organizzare e sostenere, Erickson, Trento, 1989, pag. 7 60 Kropotkin P., Mutual Aid, Boston Extending Horizons Books, ristampa 1914 61 I gruppi Alcolisti Anonimi sono nati negli Stati Uniti nel 1935. In Italia l’Associazione ha iniziato la sua attività a Roma nel 1972. 46 - problemi psico-sociali: depressione, elaborazione del lutto, violenza sessuale, disagio familiare; - disabili e famiglie di disabili, familiari di malati mentali; - per malattie fisiche cronicizzati: Alzheimer, diabete, distrofia muscolare, epilessia, AIDS; - per problemi di disagio ed emarginazione sociale. All’interno di questi gruppi lo sforzo individuale, messo in atto per risolvere un proprio problema, diviene contemporaneamente sforzo per risolvere un problema sociale di cui ciascun membro ha fatto diretta esperienza. Ora, se il soggetto giunge a percepire se stesso come “esempio” di un problema generale, può anche arrivare a vedere i suoi sforzi tesi, non solo verso obiettivi particolari, ma anche verso obiettivi universali. Quindi un gruppo di auto-aiuto funge da risorsa per il territorio perché rende consapevole la comunità di appartenenza dei problemi che vengono trattati all’interno del gruppo. Va fatta una importante precisazione in merito al distacco percepito tra l’autoaiuto e l’aiuto professionalizzato. Sono state mosse molte critiche sull’accostamento tra queste due differenti tipologie di aiuto e, in alcuni casi, si è ritenuto che l’intervento da parte di un operatore professionale, potesse invalidare lo spirito dell’auto-aiuto. A mio avviso, porta dei benefici maggiori considerare questi due sistemi come complementari piuttosto che in antitesi tra di loro, aperti alla comunicazione e allo scambio anziché in contrapposizione reciproca. 2.5. LA MUTUALITA’ COME ESEMPIO DI CURA Essere fruitore e al tempo stesso fornitore di aiuto favorisce un processo di sblocco dalla condizione di isolamento e solitudine, dalla passività e dal senso di impotenza che spesso vivono le persone con problemi o disagi. La dimensione del gruppo, nel caso specifico del piccolo gruppo, agevola la condivisione, lo scambio di esperienze, l’attivazione e la promozione della dignità personale grazie ad un particolare flusso comunicativo. La comunicazione che i 47 gruppi di auto-aiuto favoriscono è fondata sulla comprensione empatica, i partecipanti si aiutano vicendevolmente a vivere più a fondo la loro esperienza e in questo modo si pongono al di dentro del mondo altrui. In cosa consiste quindi la terapeuticità di questi gruppi? In un principio sintetizzabile in questo modo: “chi aiuta riceve a sua volta aiuto”. Divenire fornitore di sostegno per altri accresce l’autostima, valorizza la considerazione di sé e delle propria capacità, restituisce il senso di fiducia smarrito. Nella condivisione di un vissuto ricevono beneficio sia l’aiutante che l’aiutato: l’uno perché, come già detto, acquisisce un rinforzo positivo dal nuovo ruolo assunto, l’altro perché si rende conto che la sua sofferenza non è permanente ma può essere superata, e vede in chi lo aiuta la prova tangibile di questo 62. In virtù di quanto detto, si può capire perché dare aiuto costituisca un esempio di cura: per la percezione di competenza che si riceve nell’interazione con il gruppo, per il contributo nell’apprendimento di strategie di cambiamento, per la possibilità di influire sulla vita altrui e per il riconoscimento sociale che da ciò deriva. Concludendo, nell’aiutare l’altro il soggetto vede restituita l’immagine positiva della propria identità. 2.6. L’ORGANIZZAZIONE DI UN GRUPPO A.M.A. Si è detto che un gruppo di auto-muto aiuto nasce dalla necessità di trovare risposta ad un disagio comune, per cui l’obiettivo prioritario è costituito dall’aiuto ai portatori del bisogno. Tale aiuto si concretizza attraverso varie forme che vanno dalle prestazioni specifiche, per esempio l’offerta di informazioni personalizzate, al sostegno morale reciproco che è anima e forza vitale di questi gruppi. Si capisce da queste premesse perché un’associazione di auto-aiuto diventi ben presto un’associazione di mutuo-aiuto, in cui “la necessità di ottenere risposta al proprio bisogno viene evasa attraverso l’interazione con altri, altri non genericamente solidali ma che, al contrario, condividono direttamente lo stesso 62 Si veda: Emiliani F., Zani B., Elementi di psicologia sociale, Il Mulino, Bologna, 2000, pag. 260 e seguenti 48 tipo di bisogno”63. Un gruppo di auto-mutuo aiuto nasce quindi sulla spinta di un bisogno, identifica degli obiettivi e si attiva per conseguirli proponendo strategie di miglioramento che sono il frutto di un lavoro di scambio. Scendendo nei dettagli del funzionamento pratico, possiamo vedere che questi gruppi, pur fondandosi su principi di uguaglianza e democrazia, suddividono a rotazione i compiti specifici tra i membri, in modo che ciascuno possa, nel tempo, assumere incarichi e ruoli differenti. All’interno del gruppo si crea un movimento circolare per cui, al conseguimento di un obiettivo, ne viene individuato un altro, attivando un sistema virtuoso di scambio e di crescita personale. 2.7. I GRUPPI DI AUTO- MUTUO AIUTO E I SERVIZI Come già sottolineato in precedenza, un nuova concezione di benessere ha preso il posto della vecchia definizione medica su cui era imperniata la tematica della salute e su cui vertevano gli interventi in proposito. Il benessere, concepito in termini nuovi, non può prescindere dall’apporto di ogni risorsa presente nel territorio sia essa pubblica o privata, e in tal senso il contributo offerto dall’auto-aiuto si rivela molto prezioso. È importante precisare però, che per quanto le risorse informali siano un bene irrinunciabile, possono apportare un contributo efficace soltanto se integrate nel sistema pubblico dei servizi. Nonostante la dimensione dell’auto-aiuto abbia acquistato credito e riconoscimento nel nostro Paese, essa non ha ancora raggiunto sufficiente dignità nell’ambito dei servizi, e le prestazioni di tipo tradizionale vengono ancora considerate alternativa preferibile. Serve dunque promuovere una immagine diversa, dove il mutuo-aiuto è visto come nuova linfa nel panorama di servizi e come potenzialità per la salute degli individui portatori di determinati bisogni. Sarebbe pertanto auspicabile che il rapporto tra auto-aiuto e istituzioni pubbliche fosse di reciproca interdipendenza e di vicendevole riconoscimento. Non serve 63 Boccacin L., Terzo settore: i mille volti del caso italiano, Vita e pensiero, Milano, 1997, pag. 76 49 ribadire che uno dei maggiori contributi apportati da queste associazioni consiste nell’aver sopperito alle carenze e ai limiti dell’intervento pubblico e di aver dato vita ad una vera e propria alternativa ai tradizionali servizi socio-sanitari. Nei gruppi le persone si impegnano per il loro cambiamento e si attivano in prima persona nella promozione di uno stato di benessere, elementi questi che dovrebbero conferire piena legittimazione all’auto-aiuto smantellando l’idea di un servizio di secondo ordine 64. Ora, se cominciassimo a considerare i due sistemi, formale e informale, non come due blocchi stagni, competitivi e concettualmente opposti, ma come sistemi complementari aperti alla comunicazione e allo scambio, otterremmo come conseguenza il potenziamento del servizio offerto e un incremento qualitativo al concetto di “benessere”65. Nell’ottica dello scambio, dalle rispettive fonti convergono risorse ed energie altrimenti inerti se lasciate progredire isolatamente. Nei gruppi di auto-aiuto la figura del professionista può essere più o meno contemplata, ma qualora vi sia, è di fondamentale importanza che esso non agisca da “esperto” ma come “pari”, mettendo in comune la competenza. L’operatore deve interagire senza far perdere autonomia al gruppo, agendo da “facilitatore” nei confronti di soggetti che hanno o possono acquisire capacità per aiutare sé stessi. Si deve procedere ad un livellamento, poiché tutti i membri possono divenire competenti e agire di conseguenza. Letta in quest’ottica, la figura del professionista può portare supporto e competenza verso le reti informali e ricevere a sua volta nuovi stimoli per integrare il sistema dei servizi tradizionali a cui appartiene. 64 Si veda a tal proposito: Folgheraiter F., Operatori sociali e lavoro di rete, Erickson, Trento, 1990, pag. 90 65 Folgheraiter F., introduzione a Silverman P.R., op. cit. pag. 9-13 50 CAPITOLO 3 A.A.: IL GRUPPO ALCOLISTI ANONIMI 3.1. L’INIZIO DI ALCOLISTI ANONIMI Alcolisti Anonimi ebbe la sua origine ad Akron nell’Ohio nel 1935, quando Bill, un uomo di New York giuntovi per affari ed essendo sobrio per la prima volta dopo tanti anni, scovò un altro alcolista. Durante la sua breve sobrietà egli si era accorto che il suo desiderio di bere diminuiva quando cercava di aiutare altri bevitori a mantenersi sobri. Ad Akron gli venne consigliato di rivolgersi ad un medico locale, Bob, noto ubriacone. L’uomo d’affari e il medico discutono insieme e capiscono che la loro capacità di rimanere sobri è strettamente legata a quanto aiuto e a quanto incoraggiamento essi erano in grado di offrire ad altri alcolisti. Per i primi quattro anni questo nuovo movimento rimase senza un nome, privo di una organizzazione interna e di una letteratura in merito, ma continuò a svilupparsi lentamente con gruppi aperti ad Akron, New York, Cleveland e in pochi altri centri. Nel 1939 viene pubblicato il libro “Alcolisti Anonimi” da cui deriva il nome dell’associazione e, in seguito, grazie all’aiuto di un certo numero di amici non alcolisti, comincia ad attirare su di sé l’attenzione nazionale e internazionale 66. Venne aperto a New York City il primo Ufficio dei Servizi Generali per rispondere alle migliaia di richieste di informazioni e di pubblicazioni che arrivavano ogni anno. Molto tempo è trascorso da questo seme primordiale di Alcolisti Anonimi, un’associazione che ha aiutato milioni di persone a uscire dall’alcolismo e viene considerata, anche da molti medici, una delle migliori soluzioni a questo problema. 66 Tratto da: Conoscere A.A., Qualche informazione su Alcolisti Anonimi, opuscolo informativo, Letteratura approvata dalla Conferenza dei Servizi Generali Per informazioni sulla letteratura A.A. disponibile: www.alcolisti-anonimi.it/testi.htm 51 Oggi Alcolisti Anonimi è presente in oltre 160 Paesi con più di 100 mila gruppi di auto-aiuto sparsi in tutto il mondo, comprese le centinaia negli ospedali, nelle carceri e in altri istituti. In Italia Alcolisti Anonimi è nata a Roma nel 1972 67: oggi è diffusa in tutto il Paese con circa 500 gruppi, con una presenza media di 10 mila membri e moltissimi alcolisti recuperati. Nonostante questi dati confortanti però, sull’attività di questi gruppi c’è ancora molta disinformazione: parecchie persone, magari influenzate da film che ne danno un’immagine poco realistica, li considerano “un’americanata”. Spesso dunque l’atteggiamento riscontrato è di sospetto misto a timore. I dubbi in merito sono tanti e le domande che più frequentemente si sentono fare sono: come funzionano questi gruppi? Perché non sono guidati da un professionista, magari uno psicoterapeuta? Sono simili a sette religiose? Perché è necessario raccontare ad altri i propri problemi? Prima o poi chiedono soldi? C’è il rischio di invischiarsi in un’altra dipendenza, quella dal gruppo? A queste e ad altre domande cercherò ora di dare risposta. 3.2. CHE COS’ E’ ALCOLISTI ANONIMI Per definire A.A. possiamo utilizzare la nota descrizione degli scopi e degli obiettivi riportata dall’associazione stessa: “Alcolisti Anonimi è una associazione di uomini e donne che mettono in comune la loro esperienza, forza e speranza al fine di risolvere il loro problema comune e di aiutare gli altri a recuperarsi dall’alcolismo. L’unico requisito per divenirne membri è il desiderio di smettere di bere. Non vi sono quote o tasse per essere membri di A.A.; noi siamo autonomi mediante i nostri propri contributi. A.A. non è affiliata ad alcuna setta, confessione, idea politica, organizzazione o istituzione; non intende impegnarsi in alcuna controversia, né sostenere od opporsi ad alcuna causa. Il nostro scopo primario è rimanere sobri e aiutare altri alcolisti a raggiungere la sobrietà” 68. 67 Nel 1972 alcuni alcolisti, dopo aver ritrovato la sobrietà nel gruppo di lingua inglese di Via Napoli 58 a Roma, cominciarono successivamente a riunirsi in un primo sparuto gruppo di lingua italiana. Nel luglio del 1974 nacque il gruppo di Firenze e, tra il 1975 e il 1976, i membri del gruppo romano contribuirono a dar vita al primo gruppo della Lombardia a Milano e della Liguria a Genova. 68 A.A., Alcolisti Anonimi, Il Grande Libro, 1939 e successive ristampe 52 L’alcolista non è tale perché beve tanto o perché beve tutti i giorni, ma è tale perché non controlla il suo comportamento, perché una volta che l’ossessione gli ha preso la mano non è capace di fermarsi, pur essendo cosciente dei danni che il bere gli procura69. Gli uomini e le donne che si considerano A.A. sono e rimarranno sempre degli alcolisti. Essi hanno capito che non saranno mai in grado di dominare l’alcol sotto qualsiasi forma e pertanto se ne astengono completamente. La cosa importante è che essi non tentano di risolvere le proprie difficoltà solo con le loro forze, ma portano il loro problema allo scoperto con altri alcolisti. Questo condividere esperienza, forza e speranza sembra essere l’elemento chiave per poter riuscire a vivere dapprima senza alcol e, in seguito, addirittura senza il desiderio di bere. Considerando la struttura dell’associazione, i membri di Alcolisti Anonimi si riuniscono in gruppi che possono essere limitati a poche persone oppure, come accade nelle grandi comunità, coinvolgere parecchie centinaia di membri. L’unico requisito per entrare a far parte di A.A. è desiderare di smettere di bere pertanto solo chi ha un problema con l’alcol è ammesso alle riunioni, ma una volta al mese c’è un incontro aperto a cui chiunque può prendere parte per ottenere alcune informazioni. La partecipazione è del tutto gratuita; a volte c’è un minimo contributo solo per l’affitto della stanza o del locale in cui avvengono le riunioni. Alcolisti Anonimi è finanziariamente autonoma e non accetta contributi. Va precisato che A.A. non assume posizioni proibizioniste né antiproibizioniste nei confronti dell’alcol, non sostiene alcuna idea politica. 3.3. LE RIUNIONI DI GRUPPO Entrare in un gruppo di Alcolisti Anonimi non comporta un’iscrizione nel senso letterale del termine. L’ammissione non prevede la compilazione di alcun modulo, tanto è vero che i gruppi non tengono alcun elenco dei partecipanti. Come già 69 Tratto da: Ritratto di un alcolista, opuscolo informativo, Letteratura approvata dalla Conferenza dei Servizi Generali, pag. 5 53 esposto, far parte di un gruppo non comporta né spese, né quote di iscrizione, né contributi di alcun genere. La maggior parte dei membri di A.A. diventa tale semplicemente frequentando le riunioni di un gruppo 70. L’ingresso in Alcolisti Anonimi può avvenire in molti e differenti modi: alcuni vi giungono dopo aver maturato una decisione propria, altri indirizzati da un familiare, un parente, un amico, un medico oppure da un consigliere spirituale. Tutti comunque, chi più chi meno convinto dell’aiuto che potrà trovare in A.A., si avvicinano all’associazione volontariamente. Generalmente un nuovo membro ha la possibilità di parlare con uno o più appartenenti al gruppo prima di partecipare alla sua prima riunione conoscendo, in questo modo, come A.A. ha aiutato queste persone ad affrontare l’alcolismo. L’unico requisito per diventare membri è il desiderio di smettere di bere, come abbiamo visto, e conoscere l’associazione aiuta la persona a capire se è veramente sicura di voler tagliare i ponti con l’alcol71. In un gruppo di Alcolisti Anonimi non esistono regole di partecipazione: se un nuovo membro, dopo aver preso parte ad alcune riunioni, ritiene che A.A. non faccia per lui, non sarà forzato da alcuno a rimanere. Potrà essere invitato a riconsiderare la sua decisione in un’ottica più aperta, ma senza mai sostituire la sua volontà con quella di altri anche se ben intenzionati. Solo l’alcolista può personalmente decidere se ha o meno bisogno di Alcolisti Anonimi. Al nuovo arrivato che intende intraprendere il programma di recupero di A.A., viene affiancato uno “sponsor”, ovvero un altro alcolista, in genere ben avviato nella strada della sobrietà, che si rende disponibile a seguirlo da vicino, a parlare con lui quando ne sente il bisogno, a ricevere telefonate nei momenti di crisi e ad aiutalo per qualsiasi difficoltà o necessità di chiarimento si presenti. In Alcolisti Anonimi le riunioni possono essere di due tipi: “aperte” e “chiuse”. Una riunione aperta è una riunione di gruppo a cui può prendere parte chiunque, alcolista o meno. La sola condizione richiesta è che i nomi dei membri non vengano svelati al di fuori del contesto della riunione. In una tipica riunione aperta 70 Tratto da: 44 Domande, opuscolo informativo, Letteratura approvata dalla Conferenza dei Servizi Generali, pag. 21-29 71 Si veda a tal proposito: C’è un alcolista nelle tua vita?, opuscolo informativo, Letteratura approvata dalla Conferenza dei Servizi Generali 54 normalmente c’è un “conduttore” e altri oratori. Il conduttore apre e chiude la riunione e generalmente presenta ogni singolo oratore, anche se in alcune occasioni gli oratori si presentano da soli. Salvo rare eccezioni gli oratori in una riunione aperta sono degli alcolisti. Ognuno, a turno, può parlare liberamente di sé stesso e delle proprie esperienze, ma può anche limitarsi ad ascoltare. Non è permesso commentare o, tantomeno, giudicare le testimonianze altrui. Il conduttore coordina gli interventi e fa osservare alcune regole molto semplici, come ad esempio il parlare uno per volta e non fare interventi molto lunghi. Ogni punto di vista espresso è puramente personale poiché, in Alcolisti Anonimi, nessuno parla a nome di altri, ma unicamente a suo nome. Molte riunioni aperte si concludono in una atmosfera conviviale in cui si consumano caffè, bibite analcoliche, dolci, ecc. Diversamente accade in una riunione chiusa che è limitata esclusivamente a coloro che fanno parte di un gruppo e ad amici provenienti da altri gruppi. Lo scopo di una riunione chiusa è quello di offrire l’opportunità di discutere particolari aspetti del proprio problema, aspetti che possono essere pienamente compresi soltanto da altri alcolisti. Queste riunioni si svolgono generalmente in modo del tutto informale, tutti sono incoraggiati a partecipare alla conversazione. Questo tipo di riunione è particolarmente importante per il nuovo arrivato poiché gli consente di trovare un clima favorevole per aprirsi, per porre domande sul funzionamento di A.A. e per rendersi conto che i suoi problemi sono simili a quelli degli altri, traendo vantaggio dall’esperienza maturata dai più “anziani” del gruppo. Quanto fin qui esposto lascia però aperto un quesito di grande rilevanza: “Con quale frequenza si deve presenziare alle riunioni?”. “Dovere” è un verbo che all’interno di un gruppo di Alcolisti Anonimi raramente viene utilizzato. Gli A.A. non devono frequentare un certo numero di riunioni per un determinato periodo di tempo; questa è una questione strettamente personale. Alcuni possono decidere di presenziare alle riunioni almeno una volta alla settimana, altri partecipano più assiduamente, altri ancora ritengono di potersi astenere dal frequentare le riunioni per periodi relativamente lunghi. Il suggerimento amichevole di cercare di frequentare le riunioni, rivolto ai nuovi arrivati, si basa sull’esperienza di molti alcolisti, che hanno notato come la qualità della loro 55 sobrietà dipenda direttamente dalla partecipazione costante al gruppo. Molti, per averlo sperimentato sulla loro pelle, sanno che se non frequentano le riunioni possono ricominciare a bere, mentre se le frequentano riescono con più facilità a rimanere sobri grazie al vicendevole sostegno. I nuovi arrivati, in particolar modo, sembrano trarre grande beneficio partecipando alle riunioni con frequenza durante il primo periodo di sobrietà. Ascoltando altri alcolisti con vissuti così uguali ai propri, è più facile che i nuovi riescano a rafforzare la comprensione del programma e dei vantaggi che ne possono trarre. Quasi tutti gli alcolisti hanno tentato più volte di rimanere sobri da soli, ma tale promessa, per la maggior parte di essi, si è risolta in un tragico insuccesso. Proprio per questo motivo, il suggerimento-guida dei più anziani è di frequentare le riunioni con assiduità. Così come la decisione sulle modalità di frequenza alle riunioni è lasciata al singolo, anche quella di parteciparvi per tutta la vita è una scelta puramente individuale. Alla maggior parte degli alcolisti non piace che venga loro imposto di fare una determinata cosa per un certo periodo di tempo, e l’ipotesi di dover frequentare le riunioni per tutti gli anni a venire può apparire una prospettiva pesante. Il principale motivo per cui un alcolista partecipa ad un gruppo risiede nell’aiuto che in esso trova per poter rimanere sobrio oggi, non domani o la settimana prossima o fra un anno. L’oggi, l’immediato presente, è il solo periodo della vita in cui Alcolisti Anonimi può essergli di aiuto. Egli non deve preoccuparsi per il domani o per il resto della sua vita, la cosa più importante per lui, l’unica che davvero conta, è di mantenere la sobrietà ora. Del futuro si preoccuperà quando esso arriverà, questa è la “filosofia” di A.A. Per questo motivo, un alcolista anonimo che desideri veramente fare il possibile per assicurarsi la sobrietà di oggi, cercherà di partecipare a più riunioni possibile per conservare lo stato attuale. Fino a che l’approccio con l’associazione si fonderà su questi principi e non su altri che ne travisano il significato, nessun impegno con se stessi assomiglierà ad un contratto a lungo termine. L’errore in cui spesso incorre un alcolista da poco entrato a far parte di un gruppo, è quello di voler rifarsi in gran fretta del tempo perduto. Non che il concetto sia del tutto sbagliato: è lecito tornare a dedicarsi con diligenza al lavoro come anche 56 alla vita familiare troppo a lungo trascurata, a cos’altro serve la conquistata sobrietà se non per gustare immediatamente una vita normale? La realtà di una lunga esperienza insegna che anche la conquista della sobrietà porta via gran parte del tempo a disposizione, proprio come in passato la continua ricerca dell’alcol. Il gruppo Alcolisti Anonimi non è una cosa che si prende come un farmaco, bensì richiede del tempo nell’interesse dello stesso alcolista. Gli uomini e le donne che sono maggiormente soddisfatti della loro sobrietà sono, non a caso, quelli che frequentano regolarmente le riunioni e non esitano a collaborare con altri alcolisti bisognosi di aiuto. Essi con onestà ricordano il tempo inutilmente sprecato nei bar, l’inefficienza sul lavoro e il distacco dalla famiglia. Il tempo per se stessi e per il proprio benessere, al confronto, è un bene assai più prezioso. Un altro quesito che spesso viene sollevato da chi teme di essere identificato dalle persone della comunità in cui vive, riguarda la possibilità di poter scegliere di entrare in un gruppo A.A. diverso da quello locale. Effettivamente ognuno è libero di avvicinarsi ad un qualsiasi gruppo A.A. Per ovvie ragioni sarebbe più conveniente entrare nel gruppo più vicino e sarebbe anche il modo più sincero per affrontare i propri problemi. Se, come spesso accade, la persona che si rivolge all’associazione è notoriamente additata come un “ubriacone”, anche le buone notizie di sobrietà finiranno presto con l’essere di pubblico dominio. Ben poche persone, siano esse vicini di casa o datori di lavoro, si interesseranno circa l’origine della sobrietà, sia essa il frutto della partecipazione ad un gruppo locale o ad uno ben più distante. Nessuno perde il posto di lavoro o viene socialmente emarginato per essere sobrio, per cui, il suggerimento di molti alcolisti recuperati è quello di cercare aiuto presso il gruppo più vicino, senza stare a preoccuparsi delle possibili reazioni degli altri. 57 3.4. IL PROGRAMMA DI RECUPERO DI ALCOLISTI ANONIMI: “I DODICI PASSI” Rivolgersi ad Alcolisti Anonimi non preclude alcuna altra strada terapeutica, anzi, nel corso degli anni, si sta rafforzando la collaborazione con i medici, i centri di alcologia, gli ospedali e gli operatori sociali. Sebbene il programma di recupero di A.A. abbia dato in molti casi buoni risultati, non è detto che funzioni sempre e per tutti. Alcuni alcolisti necessitano di essere prima disintossicati in un apposito centro, altri hanno bisogno di ricevere anche assistenza specializzata, altri ancora non sono ancora pronti per accogliere onestamente il programma. Ogni persona reagisce in modo differente al programma dei “Dodici Passi” 72. Ci possono essere recuperi clamorosi e immediati, ma essi non sono la regola; più spesso c’è un altalenare tra momenti di sobrietà e ricadute. Il vero scoglio, infatti, non è tanto quello di smettere di bere, quanto invece quello di scongiurare le ricadute. Trascorso un po’ di tempo, la motivazione che ha portato l’alcolista a smettere di bere, si indebolisce e subentra l’illusione di potersi controllare. Il passaggio da una precaria astinenza ad una stabile società avviene solo se si accompagna alla rottura dei vecchi schemi di comportamento e ad un radicale cambiamento interiore. Questo presuppone un impegno personale convinto e un sostegno esterno efficace e continuo. Soprattutto in questa fase, un gruppo di Alcolisti Anonimi può risultare uno strumento prezioso a costo zero, ovviamente senza nulla togliere al lavoro dei professionisti. Ma in cosa consistono dunque i “Dodici Passi”? Essi sono il nucleo del programma di recupero individuale dall’alcolismo. Essi non sono astratte teorie, ma si basano sull’esperienza, sulle prove e sugli errori dei primi Alcolisti Anonimi. Sintetizzano i metodi e le attività che costoro ritennero essenziali per il raggiungimento della sobrietà. Esattamente come l’avvicinamento ad un gruppo è lasciato alla personale scelta, anche l’accettazione dei “Dodici Passi” non rappresenta in alcuna maniera un obbligo. Ciascun Passo è suggerito come tappa per uscire dalla dipendenza. Tuttavia, l’esperienza insegna che chi si sforza di accettare questi Passi 72 A.A., Dodici Passi e Dodici Tradizioni 58 applicandoli seriamente alla vita quotidiana, ottiene per sé molto di più di chi presta ad essi un’attenzione superficiale. È pur vero che seguire tutti i Passi alla lettera è un’impresa assai ardua poiché il programma prevede una profonda revisione della propria vita. I “Dodici Passi”, di seguito esposti, sono contenuti nel libro dell’esperienza di A.A. che porta il medesimo nome: Alcolisti Anonimi. 1. Noi abbiamo ammesso di essere impotenti di fronte all’alcol e che le nostre vite erano divenute incontrollabili. In genere chi si rivolge ad A.A. non si riconosce subito come alcolista, ma tende a considerarsi un forte bevitore. È cosciente di avere problemi con l’alcol e ha più volte tentato di smettere o di moderasi sia da solo che con supporto esterno. Quando comincia a frequentare le riunioni del gruppo e sente le testimonianze degli altri, attraverso un processo di identificazione, supera lo scoglio della negazione e diventa progressivamente più consapevole di ciò che sta vivendo. Proprio in questa fase iniziale, il nuovo arrivato apprende che quello che aveva sempre considerato un vizio di cui vergognarsi e da tenere nascosto, in realtà è una malattia di cui molti soffrono, e saperlo attenua i suoi sensi di colpa. Può inoltre rendersi conto della gravità e progressività dell’alcolismo e iniziare ad accettare l’idea che la sua vita da alcolista sta diventando incontrollabile, con pesanti conseguenze in ogni ambito della propria esistenza. Ammettere tutto ciò dichiarando la propria incondizionata resa è molto importante perché il programma di Alcolisti Anonimi richiede una revisione a 360 gradi dei propri modi di pensare e di agire. 2. Siamo giunti a credere che un Potere più grande di noi avrebbe potuto riportarci alla ragione. Questo passo è di fondamentale importanza, ma ha sollevato e solleva tuttora non poche perplessità. Molte persone si irrigidiscono alla sola idea di parlare di Dio e di spiritualità. Ma Alcolisti Anonimi non propone alcuna forma di religione né è in conflitto con alcun credo. Tra gli A.A. ci sono cattolici, protestanti, ebrei e molti agnostici o atei. Quello che qui si “richiede” è di avere una mente aperta 59 all’idea che vi sia qualcosa di più grande e forte della volontà del singolo soggetto. Alcuni scelgono di identificare il Potere Superiore con la forza del gruppo di alcolisti sobri e questo è sufficiente a soddisfare il principio. Ognuno è libero di dare l’interpretazione che preferisce di questo Potere Superiore: un’entità di puro amore, un’armonia universale, un Dio personale, e così via. Molti, non contrari all’idea di identificare il Potere in Dio, sostengono di aver perso la fede. Un attento esame di coscienza potrebbe portarli però ad ammettere di aver travisato le premesse domandando a Dio di esaudire desideri troppo spesso contraddittori. Una vera purificazione spirituale può dirsi perseguibile solo chiedendo al Potere Superiore che venga fatta la sua volontà. 3. Abbiamo preso la decisione di affidare la nostra volontà e le nostre vite alla cura del Potere Superiore, come noi potremmo concepirlo. Nella vita di un alcolista il bere non è l’unico problema. Ci sono tutte le difficoltà che accompagnano l’alcolismo, dai problemi finanziari a quelli emotivi. Non è possibile affidarsi al Potere Superiore solo per l’alcol lasciando tutto il resto immutato: una volta raggiunta la sobrietà, questa sarebbe minacciata dal perdurare dello stress, dai ragionamenti distorti, dalla sensazione di isolamento e di insicurezza, dalle tensioni che provengono da un modo di vivere sbagliato. È necessario che tutta la vita della persona si conformi ai principi spirituali: essi non sono né dogmi né regole, ma una serie di principi che consentono di sentirsi meglio con se stessi, di acquisire sicurezza, apertura mentale, sincerità, trasparenza, tolleranza e coraggio. Gioca un ruolo di fondamentale rilevanza la sensazione di fiducia riposta nei compagni di gruppo e nel Potere Superiore a cui ci si affida ridimensionando l’Io individuale. In Alcolisti Anonimi si fa spesso riferimento alla necessità di lavorare sull’egocentrismo, atteggiamento molto diffuso negli alcolisti. 4. Abbiamo fatto un inventario morale profondo e senza paura di noi stessi. L’inventario è una tappa importantissima nel programma di recupero. Molte persone che entrano in A.A. sono convinte di comportarsi bene eccetto per il bere. Ma quando cominciano a fare un’analisi più profonda della propria condotta, essi 60 si rendono ben presto conto che molti difetti sono ancora presenti nelle loro vite: orgoglio, avidità, paura, vigliaccheria, egocentrismo e così via. Fare l’inventario significa rivisitare con onestà tutti gli aspetti del proprio carattere e del proprio comportamento, anche quelli che vorremmo sottrarre alla consapevolezza, e farne una lista morale. Si tratta di riconoscere in tutta sincerità tutte le volte in cui si reca danno a qualcuno, sia esso il coniuge, il convivente, un figlio, un amico o il datore di lavoro. È un cammino difficile che richiede grande impegno, ma regala un senso di grande leggerezza, di liberazione, in una parola, di pace. Nascondere la verità, non di rado anche a se stessi, comporta un enorme carico di stress, e questo può essere gradualmente eliminato proprio stando di fronte a se stessi e ricominciando un cammino di vita questa volta basato sulla verità. 5. Abbiamo ammesso di fronte a Dio, a noi stessi e a un altro essere umano, la natura esatta dei nostri torti. È necessario condividere il proprio inventario non solo con Dio e con la propria coscienza, ma anche con un altro essere umano. Questo per molti motivi, il più importante dei quali è che la presenza di un’altra persona permette di fare la fondamentale esperienza di sentirsi accettati anche quando si è totalmente sinceri. Molti alcolisti recuperati riferiscono della profonda sensazione di liberazione che scaturisce da questa caduta delle maschere. 6. Eravamo completamente pronti ad accettare che il Potere Superiore eliminasse tutti questi difetti di carattere. Questo passo potrebbe sembrare all’apparenza molto facile, ma in realtà è molto difficile poterlo applicare alla pratica di vita quotidiana. Poche sono le persone davvero disposte ad abbandonare i propri difetti, a dire addio all’ambizione e all’orgoglio. In realtà tutti noi sentiamo il desiderio di restare aggrappati a qualche difetto, sia pur piccolo. Per mantenere la sobrietà è necessario un continuo progresso verso il miglioramento spirituale e un continuo tendere a fare meglio di quanto si è fatto finora. 61 7. Gli abbiamo chiesto con umiltà di eliminare i nostri difetti. La chiave di questo passo è nella comprensione di un vero e genuino senso dell’umiltà, come premessa per desiderare davvero di conoscere e di compiere la volontà di un Potere più grande, lasciando andare l’egocentrismo. L’Io, con la sua convinzione di bastare a se stesso, si sgonfia, cessa di voler controllare tutto, e apre la strada alla comprensione di valori umani più importanti, come la tolleranza, l’amore per il prossimo, il perdono, la comprensione. 8. Abbiamo fatto un elenco di tutte le persone cui abbiamo fatto del male e siamo diventati pronti a rimediare ai danni recati loro. Non basta fare un inventario dei difetti e riconoscerli: bisogna trovare la volontà di rimediare al male fatto in passato, per poter andare verso il futuro più leggeri, liberi da rimorsi, con la voglia di ricostruire dei rapporti umani davvero limpidi. Occorre stilare una lista delle persone che si sono danneggiate non solo a causa delle bevute (scenate, eventuali violenze fisiche e psicologiche), ma anche con i frequenti sbalzi d’umore, le paure, l’egocentrismo. Occorre operare un’analisi della propria vita, con ammissioni talvolta difficili, ma che sono la premessa indispensabile per poter davvero cambiare il modo di relazionarsi con il prossimo. 9. Abbiamo fatto direttamente ammenda verso tali persone, laddove possibile, tranne quando, così facendo, avremmo potuto recare danno a loro oppure ad altri. Non sempre è possibile porgere scuse dirette; in alcuni casi questo può fare del male al prossimo. Ciò che è davvero importante è avere la volontà sincera di scusarsi e fare chiarezza sul passato tutte le volte in cui è possibile. Non solo, è altrettanto importante imparare a perdonare gli altri, a diventare indulgenti e tolleranti, in modo tale che il comportamento altri non costituisca una provocazione a cui reagire magari con un bicchiere. 10. Abbiamo continuato a fare il nostro inventario personale e, quando ci siamo trovati in torto, lo abbiamo subito ammesso. 62 Si continua sul lavoro interiore al fine di raggiungere il benessere emotivo crescendo spiritualmente giorno dopo giorno, passando in rassegna i motivi degli atteggiamenti negativi che ancora permangono e correggendosi un poco alla volta. Questo cammino non è facile né tantomeno breve, ma consente un progressivo cambiamento interiore con la rottura degli schemi comportamentali che portavano al bere. Quanto più ognuno riesce a far propri i passi del programma, tanto più può garantirsi la sobrietà ed evitare i rischi delle ricadute. 11. Abbiamo cercato, attraverso la preghiera e la meditazione, di migliorare il nostro contatto cosciente con il Potere Superiore, come noi potemmo concepirlo, pregando solo di farci conoscere la sua volontà nei nostri riguardi e di darci la forza di eseguirla. La preghiera e la meditazione sono i mezzi principali per mettersi in contatto con il Potere Superiore. L’idea della preghiera trascina spesso con sé un alone di scetticismo, ma coloro che hanno delle riserve sull’idea di Dio possono comunque trovare beneficio nella meditazione o nella semplice ricerca di momenti di tranquillità e riflessione. Esiste una preghiera in Alcolisti Anonimi che racchiude in sé il fulcro dell’intero programma: “Concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso e la saggezza di conoscere la differenza. Sia fatta la tua volontà, non la mia”. 12. Avendo ottenuto un risveglio spirituale come risultato di questi passi, abbiamo cercato di trasmettere questo messaggio agli alcolisti e di mettere in pratica questi principi in tutte le nostre attività. La possibilità di crescita personale non deve essere gelosamente custodita da ognuno, al contrario, il messaggio va trasmesso ad altri come atto di amore libero e generoso per poter restare sempre in contatto con i principi spirituali del programma e poterli applicare alla propria vita giorno per giorno.73 73 Vedi anche: A.A., Pass it on (trad. Italiana: Trasmetti il messaggio) 63 3.5. LE “DODICI TRADIZIONI” DI A.A. Le “Dodici Tradizioni” di Alcolisti Anonimi sono dei principi suggeriti per assicurare la sopravvivenza e la crescita delle migliaia di gruppi che compongono l’associazione. Le Tradizioni sono basate sull’esperienza dei gruppi stessi, maturata durante i loro primi critici anni di vita. Esse sono importanti tanto per i nuovi arrivati quanto per i membri più anziani, poiché ricordano loro il vero fondamento di Alcolisti Anonimi come associazione di uomini e donne il cui scopo principale è di mantenere la sobrietà e di aiutare gli altri a raggiungerla. Cerchiamo di approfondire una per una queste “Dodici Tradizioni”74. 1. Il nostro comune benessere dovrebbe venire in primo luogo; il recupero personale dipende dall’unità di A.A. Questa prima Tradizione riassume il principio dell’auto-mutuo aiuto. È il benessere comune ad essere perseguito, non il benessere del singolo: l’aiuto reciproco per raggiungere e mantenere la sobrietà è la vera pietra miliare dell’associazione. Solo in un gruppo unito ciascuno riceve una ricompensa per il sostegno offerto: la sobrietà, dono ricevuto dalla collettività e alla collettività stessa restituito. 2. Per il fine del nostro gruppo non esiste che una sola autorità ultima: un Dio d’Amore, comunque Egli possa manifestarsi nella coscienza del nostro gruppo. I nostri capi non sono altro che dei servitori di fiducia; essi non governano. Soffermiamoci su questo ultimo enunciato per fare una importante precisazione. Qualsiasi incarico porti avanti un servitore di fiducia, ha durata limitata nel tempo. Infatti, la rotazione impedisce ai membri di Alcolisti Anonimi di fossilizzarsi su un servizio e assicura che ognuno possa partecipare al raggiungimento degli obiettivi del gruppo. Molti gruppi eleggono dei vice per ogni servitore di fiducia; costoro possono subentrare nell’incarico per il quale si sono preparati, mentre altri prendono i posti che loro hanno lasciato liberi. Lasciare ad altri un servizio che si 74 A.A., Dodici Passi e Dodici Tradizioni 64 ama particolarmente e che si è svolto con diligenza, può essere duro, ma può costituire un buon passo avanti nella crescita spirituale e nel senso dell’umiltà. La rotazione aiuta a trarre compensi spirituali molto più durevoli di qualsiasi fama. In Alcolisti Anonimi non esiste alcun “status”, per cui nessuno tra i membri sente il bisogno di mettersi in competizione per guadagnare titoli ed elogi. La rinuncia al prestigio personale in ogni lavoro compiuto per aiutare altri alcolisti, viene ribadito, come vedremo, nella Dodicesima Tradizione che ricorda di “mettere i principi al di sopra delle personalità”. 3. L’unico requisito per essere membri di A.A. è desiderare di smettere di bere. La Terza Tradizione, nella versione estesa, afferma che: “La nostra associazione dovrebbe includere tutti coloro che soffrono per alcolismo. Quindi, non possiamo rifiutare nessuno che voglia recuperarsi. Né appartenere ad A.A. dovrebbe mai dipendere dal denaro o da uno spirito di conformità. Due o tre alcolisti, riuniti in cerca della sobrietà, possono definirsi gruppo A.A., purché, come gruppo, non abbiano alcuna altra affiliazione” 75. In un gruppo A.A., i membri, tutti alcolisti, devono mantenere la porta aperta a tutti gli alcolisti che chiedono aiuto indipendentemente dalla loro professione, dalla posizione sociale, dal sesso, dall’etnia, dalle preferenze sessuali o da qualunque altra distinzione. Anche se nel nostro Paese è una realtà poco presente, esistono specifici gruppi A.A.: per soli uomini, per sole donne, per soli giovani, per medici, per gay, ecc. I gruppi di Alcolisti Anonimi sono invitati a registrarsi presso l’Ufficio dei Servizi Generali, nonché presso l’Area di appartenenza, presso la Zona e, nei Paesi di grandi dimensioni come per esempio gli Stati Uniti, presso l’Intergruppo. 4. Ogni gruppo dovrebbe essere autonomo, tranne che per le questioni riguardanti altri gruppi oppure A.A. nel suo insieme. L’autonomia consente a tutti i gruppi di Alcolisti Anonimi sparsi nel mondo di condurre le riunioni secondo un proprio modello. Tuttavia, esistono delle riunioni- 75 Tratto da: Il gruppo A.A.,…Dove tutto ha inizio, Come funziona un gruppo, Come si avvia, opuscolo informativo, Letteratura approvata dalla Conferenza dei Servizi Generali, pag. 8 65 tipo76 che possono fungere da riferimento, pur consentendo ampia libertà ai membri che vi partecipano. Eccone alcuni esempi: - Riunione di discussione: sia nelle riunioni chiuse che in quelle aperte, un servitore apre la riunione nella maniera usuale e sceglie un argomento per la discussione. Spesso gli argomenti sono tratti dalla letteratura di A.A. come il Grande Libro, Dodici Passi e Dodici Tradizioni, Come la vede Bill, oppure da alcuni spunti della rivista di A.A. I temi trattati riguardano: l’accettazione piuttosto che ammissione, la libertà attraverso la sobrietà, i principi al di sopra delle personalità, il fare ammenda, la tolleranza, la paura, e così via. - Riunione con oratore: uno o più alcolisti anonimi vengono scelti in anticipo per condividere la loro esperienza, raccontando il loro vissuto e il loro presente. Alcuni gruppi preferiscono affidare tale compito ad alcolisti con un certo periodo di stabile sobrietà. Questo tipo di riunione è spesso una riunione “aperta”. - Riunione per principianti: solitamente queste riunioni vengono coordinate da alcolisti sobri da un po’ di tempo e sono spesso riunioni a “domande e risposte” con lo scopo di aiutare e informare i nuovi venuti. - Riunione sui Passi, sulle Tradizioni, sul Grande Libro: molti gruppi dedicano una o più riunioni alla settimana all’approfondimento di uno o più Passi a rotazione, considerando che essi sono la base per il recupero personale. Lo stesso vale per le riunioni che hanno come argomento le Dodici Tradizioni. Molti gruppi hanno l’abitudine di leggere ad alta voce, all’inizio della riunione, brani tratti dalla letteratura di Alcolisti Anonimi. - Riunione di lavoro: alcuni gruppi programmano, nel corso dell’anno, delle riunioni speciali, al di fuori di quelle normali, per discutere con i servitori del gruppo le attività del gruppo stesso. I servitori del gruppo vengono di solito nominati durante queste riunioni. - Riunioni per l’inventario di gruppo: sono riunioni durante le quali i membri del gruppo si confrontano su come e quanto il gruppo stia adeguatamente 76 Tratto da: Il gruppo A.A.,…Dove tutto ha inizio, Come funziona un gruppo, Come si avvia, opuscolo informativo, Letteratura approvata dalla Conferenza dei Servizi Generali, pag. 10 66 perseguendo il proprio scopo primario ovvero aiutare gli alcolisti a recuperarsi attraverso i Dodici Passi suggeriti per il recupero. Alcuni gruppi fanno l’inventario esaminando le Dodici Tradizioni una per una, per determinare quanto stiano vivendo secondo questi principi. - Riunioni per informazioni di servizio: queste possono servire per le relazioni dei delegati o per altre comunicazioni. - Riunioni per la rivista di A.A.: lo spunto per queste riunioni è tratto da argomenti pubblicati sulla rivista dell’associazione. 5. Ogni gruppo non ha che un solo scopo primario: portare il messaggio all’alcolista che soffre ancora. Nel 1955 Bill W., co-fondatore di A.A., si espresse in proposito con queste parole: “C’è chi pensa che A.A. potrebbe essere un alfiere della diffusione di un risveglio spirituale in tutto il mondo. Quando i nostri amici si esprimono in tal senso, sono tanto generosi quanto sinceri, ma noi di A.A. dobbiamo riflettere sul fatto che un simile riconoscimento e un simile auspicio potrebbero trasformarsi per molti di noi in una sbornia mentale; cosa che avverrebbe se credessimo che questo sia il vero scopo di A.A. e cominciassimo a comportarci di conseguenza. Quindi, la nostra associazione dovrà attenersi prudentemente al suo unico scopo: trasmettere il messaggio agli alcolisti che soffrono ancora. Dobbiamo resistere di fronte alla presunzione che, poiché Dio ci ha consentito di essere bravi in un determinato campo, siamo destinati ad essere il veicolo della grazia e della salvezza per tutti.” 6. Un gruppo di A.A. non dovrebbe mai avallare, finanziare o prestare il nome di A.A. ad alcuna istituzione similare od organizzazione esterna, per evitare che problemi di denaro, di proprietà, e di prestigio possano distrarci dal nostro scopo primario. L’esperienza ha insegnato ai gruppi di evitare con attenzione qualsiasi forma di affiliazione a sostegno di altre istituzioni al di fuori di Alcolisti Anonimi, anche se queste possono avere un’attività veramente nobile. Pertanto un gruppo A.A. che tenga le proprie riunioni in un istituto di cura o penale o in una chiesa, dovrebbe fare attenzione a non usare il nome dell’istituzione che lo ospita e darsene uno 67 completamente differente. Questo per chiarire che il gruppo non è affiliato all’ospedale, alla chiesa, alla prigione o altro, ma semplicemente sta affittando in quel luogo spazio per tenere le proprie riunioni. La Conferenza di A.A. raccomanda anche che nessun gruppo prenda il nome di una persona viva o morta sia essa alcolista anonimo o meno. L’importanza di ciò verrà ribadita dalla Dodicesima Tradizione. Alcolisti Anonimi è unicamente interessata al recupero personale e alla continua sobrietà dei singoli alcolisti che si rivolgono all’associazione per avere aiuto. Non si impegna nel campo delle ricerche sull’alcolismo, delle cure mediche o psichiatriche, dell’educazione, o della pubblicità sotto qualsiasi forma, sebbene dei membri, come individui, possano partecipare a simili attività. Alcolisti Anonimi ha adottato una politica di “collaborazione ma non affiliazione” nei confronti di altre organizzazioni coinvolte nel campo della cura dell’alcolismo. 7. Ogni gruppo A.A. dovrebbe mantenersi completamente da solo, rifiutando contributi esterni. Per essere membri di Alcolisti Anonimi non ci sono tasse o quote da pagare, ma in realtà ogni gruppo deve affrontare delle spese. Esiste un’espressione tipica che indica fare colletta ed è “far girare il cappello” al fine di coprire le proprie spese quali l’affitto, l’acquisto di letteratura o di elenchi per le riunioni, per il caffè, per l’invio di contributi a sostegno dei servizi forniti dalle strutture locali e dall’Ufficio dei Servizi Generali. I membri sono liberi di contribuire come meglio credono: in Italia non è stato stabilito un limite massimo per il contributo, mentre negli U.S.A. questo è di mille dollari all’anno per ciascuno. 8. Alcolisti Anonimi dovrebbe rimanere per sempre non professionale, ma i nostri centri di servizio potranno assumere degli impiegati appositi. Nasce dalla necessità di sopperire a delle esigenze di tipo pratico e organizzativo di cui i singoli membri non possono farsi carico in maniera autonoma, per cui viene impiegato del personale addetto ad incarichi di segreteria (per es. rispondere al telefono, ricevere corrispondenza, eccetera). 68 9. A.A., come tale, non dovrebbe mai essere organizzata, ma noi possiamo costituire dei consigli di servizio o comitati, direttamente responsabili verso coloro che essi servono. Molti membri di A.A. concordano sul fatto che l’associazione non dovrebbe affatto essere organizzata; tuttavia, senza mettere in pericolo i principi di spiritualità e democrazia, possono essere costituiti dei consigli o comitati di servizio direttamente responsabili verso le persone che servono. Come già sottolineato, queste persone di fiducia vengono appunto chiamate “servitori” e generalmente vengono scelte dal gruppo per incarichi di durata limitata. La Seconda Tradizione ricorda che “essi non governano”. Ogni gruppo stabilisce quale sia il periodo minimo di sobrietà per poter essere eletti per questi incarichi. L’orientamento prevalente è di una sobrietà continuativa tra sei mesi e un anno, ma può richiedere anche un periodo più lungo. Questi incarichi possono avere dei titoli, ma abbiamo visto, i titoli in Alcolisti Anonimi non portano né autorità né onore, descrivono soltanto i servizi e le responsabilità. L’esperienza insegna, a tal proposito, che affidare incarichi a degli alcolisti con l’unico scopo di aiutarli a rimanere sobri, è una cosa che non funziona. Pertanto al momento delle elezioni sarebbe opportuno rileggere anche la Prima Tradizione in cui si ricorda che il benessere del gruppo è di fondamentale importanza nella scelta dei servitori. Ogni singolo gruppo ha diversi modi per ottenere che vengano svolti i servizi necessari attraverso un minimo di organizzazione. Ecco alcuni esempi di servitori e loro incarichi, suggeriti per adempiere ai bisogni del gruppo al suo interno e nella comunità in cui è inserito 77: - Il Presidente: presta servizio per uno specifico periodo di tempo: di solito sei mesi o un anno. L’esperienza suggerisce che egli abbia una sobrietà continuativa di almeno un anno e che possibilmente abbia già svolto altri incarichi di servizio nel gruppo. Il presidente coordina le attività degli altri servitori e di quelli che si assumono le responsabilità della letteratura, dell’accoglienza, dei rinfreschi, della programmazione delle riunioni e di altre 77 Tratto da: Il gruppo A.A.,…Dove tutto ha inizio, Come funziona un gruppo, Come si avvia, opuscolo informativo, Letteratura approvata dalla Conferenza dei Servizi Generali, pag. 17-23 69 funzioni vitali all’interno del gruppo. Tenendo bene a mente la Prima Tradizione e incoraggiando gli altri membri a familiarizzare con tutte le Tradizioni, il presidente aiuta il gruppo a rimanere in buona salute. - Il Segretario: nei gruppi che non hanno un presidente, i segretari possono svolgere anche questa funzione. Ogni gruppo ha le sue propri procedure, ma a meno che non ci siano altri servitori addetti alle singole funzioni, ci si aspetta dal segretario che: - annunci o spedisca informazioni relative a importanti attività o eventi di A.A.; - mantenga aggiornato un archivio strettamente confidenziale di nomi, indirizzi e numeri di telefono di membri del gruppo che ne hanno dato il consenso, e sappia quali sono disponibili per le chiamate da Dodicesimo Passo; - annoti i compleanni dei membri, se il gruppo lo desidera; - mantenga una bacheca per la pubblicazione di annunci e bollettini di A.A.; - si assicuri che l’Area di appartenenza e la Zona siano informati di ogni cambiamento di indirizzo e di servitori; - prenda e assegni a qualcuno le chiamate per aiuto da Dodicesimo Passo; - condivida con gli alcolisti anonimi del gruppo la posta proveniente da altri gruppi. - Il Tesoriere: come già precisato, i gruppi A.A. si mantengono da soli attraverso i contributi volontari dei loro membri. Nessuno è obbligato a dare contributi, ma la massima parte della gente lo fa. I fondi del gruppo sono di solito destinati a servizi quali affitto, acquisto di letteratura di A.A., elenchi di riunioni locali solitamente comprati dal Comitato di Zona o di Area, caffè e rinfreschi, supporto di tutte le strutture di A.A. generalmente su base mensile o trimestrale. I tesorieri registrano con chiarezza entrate e uscite e mantengono informati i loro gruppi su quanto denaro è stato raccolto e come è stato speso. Essi fanno dei resoconti periodici al gruppo e pubblicano trimestralmente dei rendiconti. 70 L’esperienza insegna che possono nascere problemi nel gruppo quando vengono accettate da un membro donazioni troppo grandi, in denaro, beni o servizi. Alcuni A.A. festeggiano il loro compleanno mandando un simbolico “regalo di ringraziamento” all’Ufficio dei Servizi Generali per i servizi mondiali, di solito un dollaro per ogni anno di sobrietà. - Il Rappresentante ai Servizi Generali (R.G.S.G.): lavorando attraverso i Comitati di Zona e di Area, è il legame del gruppo con la Conferenza dei Servizi Generali, dove i gruppi di tutto il Paese condividono le loro esperienze e danno voce alla coscienza collettiva di Alcolisti Anonimi. Questi rappresentanti vengono talvolta chiamati “Custodi delle Tradizioni” e vengono solitamente eletti per un periodo di due anni. Il loro incarico prevede che essi: - rappresentino il gruppo nelle assemblee dei servizi generali di Zona e di Area; - mantengano informati i membri del gruppo sulle attività di servizio; - ricevano e condividano con il gruppo tutta la posta dell’Ufficio dei Servizi Generali, compreso il Notiziario che è il mezzo fondamentale di comunicazione dell’Ufficio con l’Associazione. Assieme al Rappresentante viene eletto un vice che possa sostituirlo nel caso in cui non possa presenziare a tutte le riunioni di Zona e di Area. I vice dovrebbero essere incoraggiati a condividere le responsabilità del Rappresentante nel gruppo, in Zona e in Area. - Il Rappresentante della Rivista: il suo compito è fare in modo che i membri del gruppo familiarizzino con la rivista di Alcolisti Anonimi e con gli spunti che essa offre per la sobrietà mediante articoli scritti dagli alcolisti, basati sulle loro personali esperienze di recupero. Le riunioni che fanno riferimento alla rivista vengono talvolta chiamate “riunioni stampate”. I nuovi Rappresentanti della rivista dovrebbero mandare i loro dati e quelli del gruppo a cui appartengono, all’Ufficio dei Servizi Generali per poter ricevere trimestralmente moduli di ordine per libri, cassette o altro materiale. 71 - Il Rappresentante della Letteratura: deve assicurarsi che libri e opuscoli approvati dalla Conferenza e ordinati all’Ufficio dei Servizi Generali, siano sempre a disposizione e bene in vista durante le riunioni. Non tutti i gruppi hanno dei Comitati di servizio, ma per quelli che lo hanno, esso affronta per primo tutti problemi relativi alla conduzione generale, allo scegliere i candidati per il servizio e ad altre questioni, per poi rivolgersi al gruppo affinché manifesti la propria decisione in merito, come coscienza collettiva. Per un piccolo gruppo si è rilevato che funziona bene un Comitato di 3-5 membri, mentre per gruppi di dimensioni più grandi, servono 12 o più elementi per meglio dividersi il lavoro e per offrire uno spaccato più ampio dell’esperienza del gruppo. 10. Alcolisti Anonimi non ha opinioni su questioni esterne, di conseguenza il nome di A.A. non dovrebbe mai essere coinvolto in pubbliche controversie. A tal proposito sarebbe opportuno tener conto di ciò che Alcolisti Anonimi non fa: - non recluta i suoi membri, né tantomeno fornisce loro la motivazione per iniziare il cammino di recupero; - non tiene registrazioni di iscrizioni o di storie di casi; - non controlla i propri membri; - non fa diagnosi o prognosi mediche o psicologiche; - non fornisce ospedalizzazione, medicinali o trattamenti analoghi; - non fornisce alloggi, cibo, vestiario, lavoro, denaro o cose simili; - non da’ consigli di carattere familiare o professionale; - non cerca sponsorizzazioni; - non è affiliata a enti sociali, ma i membri possono collaborare con essi; - non offre servizi religiosi; - non si impegna in alcuna controversia sull’alcol o su altre questioni; - non accetta denaro per i propri servizi o contributi da fonti non A.A.; - non fornisce referenze ad avvocati, magistrati, scuole, imprese, enti sociali o qualsiasi altra organizzazione o istituzione. 72 11. La politica delle nostre relazioni pubbliche è basata sull’attrazione più che sulla propaganda; noi abbiamo bisogno di conservare sempre l’anonimato personale a livello di stampa, radio e filmati. I Rappresentanti dei Comitati di Servizio hanno la responsabilità di portare il messaggio di A.A. nella comunità e nel mondo intero. Tra i Comitati, quello di collegamento per la Pubblica Informazione, costituisce una risorsa fondamentale. I Rappresentanti di gruppo per questo settore informano periodicamente il gruppo a cui appartengono delle varie attività e possono mandare volontari del gruppo per partecipare a eventi di pubblica informazione richiesti dalle scuole, dalle imprese, dalle forze dell’ordine e da altre organizzazioni interessate all’approccio di Alcolisti Anonimi al recupero dall’alcolismo. La maggior parte dei gruppi si rende conto che gli alcolisti non possono chiedere aiuto ad A.A. se non sanno dove essa si trova. Fin dai primi tempi di A.A., brevi annunci sulle riunioni alla radio, sui giornali locali oppure, più tardi alla TV, sono stati utilizzati per attrarre nuovi venuti. 12. L’anonimato è la base spirituale di tutte le nostre Tradizioni, che sempre ci ricorda di porre i principi prima delle personalità. In Alcolisti Anonimi si fa spesso riferimento all’anonimato come al più importante mezzo di protezione per assicurare il futuro e la crescita dell’associazione stessa78. A livello mediatico, l’anonimato garantisce l’uguaglianza di tutti gli alcolisti anonimi, inoltre mette un freno all’egocentrismo, all’autoesaltazione, alla mal riposta convinzione che violare l’anonimato possa aiutare qualcuno, e al desiderio di riconoscimenti personali. La Dodicesima Tradizione sottolinea con forza che è il messaggio di Alcolisti Anonimi che conta, non il messaggero. A livello più strettamente personale, l’anonimato garantisce il rispetto della riservatezza per tutti i membri. Ciò assume particolare rilevanza specialmente per i nuovi venuti, che spesso esitano a chiedere aiuto poiché sospettano che il loro 78 Si veda: Comprendere l’anonimato, opuscolo informativo, Letteratura approvata dalla Conferenza dei Servizi Generali 73 alcolismo possa diventare di pubblico dominio. Pur essendo di facile comprensione a livello teorico, l’anonimato non sempre viene rispettato a livello pratico. L’esperienza ha sviluppato negli anni alcune linee-guida per conservare l’anonimato a livello pubblico: - quando un alcolista anonimo interviene in trasmissioni radiofoniche o televisive, si astiene dal mostrare il viso e dal rivelare il cognome. Lo stesso vale per gli articoli di giornale dove viene indicato solo con il nome e con l’iniziale del cognome; - come membro di A.A., anche negli interventi in riunioni non A.A., ognuno usa esclusivamente il nome e l’iniziale del cognome; - non viene indicato A.A. sulle buste inviate attraverso la posta, anche per la corrispondenza con altre entità di servizio di Alcolisti Anonimi; - nel materiale inserito nei notiziari o stampato su avvisi e su programmi di A.A., che possono essere visti dal pubblico, viene omesso il cognome e ogni altro titolo di identificazione. Alcuni suggerimenti a livello di gruppo: - si può usare il cognome all’interno del gruppo, ma allo stesso tempo, si rispetta il diritto degli altri a mantenere incondizionatamente il proprio anonimato; - se il gruppo tiene un elenco di nomi e numeri telefonici, concessi su base volontaria, questi possono essere forniti solo ai membri del gruppo; - non deve essere riportato all’esterno ciò che viene condiviso nelle riunioni; - nei rapporti personali con i non-alcolisti, ognuno è libero di dire che è un alcolista in recupero, senza però divulgare il nome di altri A.A.; - riunioni e discorsi non possono essere filmati: come raccomandato dalla Conferenza dei Servizi Generali nel 1980, è preferibile che gli alcolisti anonimi parlino di persona, considerata la tentazione, quando si filma, di porre le persone prima dei principi così da incoraggiare una sorta di “divismo”. 74 3.6. A.A. VISTA DA UN ALCOLISTA ANONIMO Il programma di recupero in Alcolisti Anonimi è strettamente individuale e ciascun membro lo adatta alle proprie necessità. Fatta questa indispensabile premessa, è interessante vedere come uno dei membri dell’associazione descrisse il proprio cammino attraverso i “Dodici Passi” e le “Dodici Tradizioni”. Le considerazioni personali di questo alcolista anonimo sono tratte da un convegno sull’alcolismo tenutosi nel 1968 in una delle maggiori università americane, a cui venne invitato per tentare una descrizione di A.A79. L’apertura di questo cospicuo intervento venne interamente dedicata a sottolineare con forza l’impossibilità da parte dell’autore e da parte di qualsiasi altro membro di Alcolisti Anonimi, di parlare in modo obiettivo di un metodo di recupero così tanto personale. Non c’è infatti una interpretazione ufficiale da poter esporre, né tantomeno una dottrina o un dogma che gli A.A. debbano accettare. Usando le stesse parole dell’autore, “Anche se fosse qui presente il cofondatore di A.A., egli potrebbe parlare solamente dal suo personale punto di vista. Io considero questa assenza di ortodossia uno dei più validi ed efficaci principi terapeutici di A.A.”. La dissertazione prosegue cercando di estrapolare dall’esperienza maturata negli anni, le peculiarità che rendono questo metodo di recupero superiore ad altri. In cosa dunque consiste l’unicità di Alcolisti Anonimi? Per rispondere a questa domanda si potrebbe utilizzare la definizione “ufficiale” di Alcolisti Anonimi, la stessa che viene spesso letta all’inizio di molte riunioni, ma dice l’anonimo “..è prolissa e riesce abbastanza bene a evitare di dirvi cos’è sottolineando che cosa non è”. Nel V capitolo del libro Alcolisti Anonimi intitolato “Il nostro metodo”, si ritrovano dei passi che fanno riferimento all’impotenza umana di fronte all’alcolismo, e a un Dio che vorrebbe e potrebbe aiutare l’uomo in difficoltà, a condizione che sia proprio quest’uomo a cercarlo. Cominciano forse a delinearsi dei contorni più precisi per rispondere al quesito iniziale, ma manca ancora un criterio di unicità, poiché “l’uomo è stato messo in ginocchio e ha dovuto 79 Si veda: A.A. vista da un alcolista anonimo, opuscolo informativo, Letteratura approvata dalla Conferenza dei Servizi Generali 75 ammettere la sua impotenza personale da che mondo è mondo, e da sempre è stato attratto dall’idea di un Essere soprannaturale che avrebbe potuto liberarlo dal suo destino..”. Cosa c’è di nuovo o di peculiare nelle parole che presentano Alcolisti Anonimi come “un’associazione di uomini e donne che mettono in comune la loro esperienza, forza e speranza al fine di risolvere il loro problema comune e aiutare altri a recuperarsi”? La risposta sta in “chi” condivide esperienza, forza e speranza e nel “modo”in cui lo fa. Ragionando sul primo punto troviamo che questi “chi” sono degli alcolisti che cercano consciamente e deliberatamente altri alcolisti non per bere, ma per restare sobri assieme. Nel primo storico incontro tra Bill e il dottor Bob, seme di Alcolisti Anonimi, “chi” parlava era certamente più importante delle cose che stava dicendo. Nella carriera di un alcolista, prima di approdare ad A.A., quasi sempre si ritrovano episodi di richiesta di aiuto o di offerta di aiuto da parte di altre persone, ma esse sono generalmente degli “esseri superiori”: mogli, mariti, genitori, medici, datori di lavoro, preti, poliziotti e così via. “La colpevolezza morale dell’alcolista e la superiorità morale di chi lo vuole aiutare, anche se non specificate, sono sempre chiaramente sottintese”, sostiene l’anonimo alcolista nel suo discorso. Costoro, pur con le miglior intenzioni, rappresentano l’autorità e impartiscono ammonimenti e precetti sul comportamento corretto da tenere. Quando un alcolista per la prima volta fa il suo ingresso in una riunione A.A., non assiste a delle inutili prediche, ma sente dire in prima persona da qualcuno: “questo è quello che ho fatto”. Riporto in proposito le parole dell’autore: “Sono personalmente convinto che la ricerca di ogni essere umano, dalla culla alla tomba, sia quella di trovare almeno un altro essere umano davanti al quale poter stare completamente senza veli, senza finzioni né difese, e sapere che quella persona non gli farà del male, perché è anch’essa senza veli, come lui. Questa ricerca di tutta la vita può terminare al primo incontro con A.A.”. Continuando l’esposizione, vengono indicate alcune caratteristiche del programma di recupero tra cui l’idea, certo non nuova, dell’alcolismo come malattia. Oggigiorno questa conclusione viene largamente accettata, mentre 76 permangono divergenze di veduta sull’eziologia e sulle possibilità di cura dell’alcolismo. Quello che qui, nel contesto di Alcolisti Anonimi, fa la differenza, è scoprire questa semplice verità da un altro alcolista che può affermare di avere una malattia, ma anche di aver trovato il modo per fermarla. Queste parole, pronunciate in prima persona, donano a chi le ascolta un senso di alleggerimento e di liberazione immediata. Con ogni probabilità, il vero segreto del contatto con A.A. consiste nel fatto che il nuovo arrivato viene invitato a partecipare all’esperienza di recupero, e tale partecipazione è “da pari a pari, non come un mendicante”. Vengono offerte a chi arriva uguaglianza e comprensione, ma soprattutto una via di uscita già sperimentata da chi frequenta il gruppo. L’invito, chiaramente, può essere ignorato come accettato con intensità variabile da caso a caso, ma ciò che conta è che sia sempre valido in ogni momento. Seconda prerogativa di Alcolisti Anonimi è, per il nostro autore, la cura del sintomo come indispensabile premessa al cammino di recupero. Posto che l’alcolismo è “sintomo di turbamenti più profondi”, a poco serve una accurata diagnosi di questi turbamenti se nel frattempo il paziente muore. Dice l’anonimo: “è questione di tempo, ma sembra che A.A. riesca sempre, prima o poi, a far capire ai suoi neofiti che la battaglia si vince solo con l’astinenza totale”. Il recupero può cominciare solo “stando lontano dal primo bicchiere” e questo il nuovo arrivato lo impara da sé. Nessuno lo forza a prendere questa decisione, né tantomeno a mantenerla nel tempo; in Alcolisti Anonimi è sempre l’alcolista che fa le sue scelte. Quanto esposto ci introduce alla terza caratteristica dell’associazione: “nella comprensione intuitiva che l’alcolista trova nel gruppo, c’è simpatia ma non indulgenza”. I membri di un gruppo sono tutti alcolisti e, come tali, hanno ritratti comportamentali molto simili tra loro, perciò a poco serve bluffare con chi è stato maestro d’inganni. Meglio cominciare a dire la verità perché non si può fare diversamente. C’è ancora un quarto elemento distintivo che si ritrova in Alcolisti Anonimi più che in ogni altra organizzazione, ed è la volontà dell’alcolista recuperato di parlare all’infinito dell’alcolismo, del suo passato altalenante tra eccessi e slanci 77 propositivi di astinenza, e del suo presente faticoso ma appagante. Le parole dell’autore sono più che mai eloquenti in proposito: “Ho sempre trovato giusto e vero che quelle persone che si sono servite della bocca per ammalarsi, se ne servano ora per guarire”. Infine, quinto fattore discriminante citato dall’anonimo, è l’aspetto formativo del metodo di recupero che non consiste nell’assunzione di nuovi valori, ma nell’abbandono di quelli vecchi con i quali l’alcolista arriva in A.A. L’esperienza di Alcolisti Anonimi insegna che l’attaccamento tenace ai vecchi schemi mentali impedisce seriamente il raggiungimento di risultati di recupero apprezzabili. Uno degli obiettivi primari del programma è infatti quello di riuscire a fare in modo che l’alcolista individui queste sue radicate convinzioni, e possa allentare la morsa con cui rimane attaccato ad esse fino al completo abbandono. Ora, se il primo punto della definizione di unicità di Alcolisti Anonimi è stato ampiamente indagato, altrettanta importanza va prestata al secondo punto, ovvero il “modo” in cui viene condivisa l’esperienza. Se si leggono con attenzione i Dodici Passi, si può scoprire che in essi non vi è nulla di fisico, come per esempio una terapia da seguire giornalmente, e del resto gli stessi aspetti fisici dell’alcolismo non sarebbero così importanti se non fossero accompagnati da un progressivo decadimento spirituale. Usando la stessa espressione dell’autore, “se la cosa di cui dovessimo preoccuparci di più fosse l’allergia fisica all’alcol allora io credo che A.A. non sarebbe mai nata perché nessuno ne avrebbe mai sentito la necessità”. È facile concludere, a questo punto, che se il male è spirituale allora anche la sua cura dovrebbe esserlo. Ma i Passi del programma fanno riferimento a idee in circolazione dalla notte dei tempi, nulla che faccia pensare ad un miracoloso risveglio spirituale e nulla che un qualsiasi alcolista non abbia mai sentito prima in vita sua. Se non è nella sostanza dei suoi principi, è forse nella forma che va ricercata la novità del programma di recupero in Alcolisti Anonimi? La risposta è sì, il “modo” in cui vengono presentati i Dodici Passi è più importante di quello che dicono. Essi, per dirlo con le stesse parole dell’autore, “sono il resoconto di azioni compiute, più che regole da non infrangere sotto la minaccia di una sbornia”. 78 In A.A. ogni membro può riferire solo di quanto ha fatto personalmente e finché non lo farà, avrà la sensazione di sentirsi più un ospite che un membro effettivo dell’associazione. Forse è proprio questa situazione di disagio che ad un certo punto scuote l’alcolista dalla sua inerzia e lo spinge ad agire. Nel suo lungo discorso l’anonimo alcolista affronta alcuni aspetti del programma che ancora oggi, a distanza di quasi quarant’anni, sollevano non poche obiezioni. Tra questi riveste particolare importanza il cosiddetto “assillo di Dio” che pervade l’intera filosofia dei Dodici Passi. Le polemiche vanno di pari passo con l’ampliarsi dell’orizzonte dell’associazione, che acquista un carattere sempre più internazionale. I padri fondatori di Alcolisti Anonimi, pur vissuti nella cultura religiosa giudaico-cristiana, si astennero dal definire con precisione i connotati del Potere Superiore. Dice l’autore: “sono convinto che per un membro di A.A., con il passare degli anni, la natura di questo Potere diventa sempre meno importante. Non solo io, ma la maggior parte degli appartenenti di A.A. sembrano progredire, col passare del tempo, dalla ricerca di un Dio che noi possiamo capire, alla fede in un Dio che ci capisce”. Ci sono dei Passi, il Quarto e il Quinto, che sembrano essere in contraddizione con quanto detto a proposito dell’alcolismo. Essi riferiscono di un inventario morale e di una ammissione di torti di fronte a Dio e a un’altra persona. Perché fare questo se l’alcolismo in quanto malattia esclude il concetto di colpa? La risposta va cercata nella lunga esperienza di Alcolisti Anonimi che insegna che non serve a nulla, per un nuovo arrivato, sentirsi dire che l’alcolismo è una malattia, perché lui continuerà lo stesso a sentirsi in colpa. È questa “la più vecchia delle sue vecchie idee”, la prima a presentarsi e spesso l’ultima ad andarsene poiché un alcolista ci rimane gelosamente attaccato. Il problema è riuscire a scardinare questa convinzione e l’unico modo è proprio quello suggerito dai Passi citati ovvero fare un inventario e fare successivamente ammenda. Solo così l’atteggiamento dell’alcolista verso se stesso e il mondo che lo circonda potrà davvero cambiare. Prima ho fatto riferimento alla necessità di agire, ma questa espressione non deve essere presa alla lettera. Agire non significa correre forsennatamente di qua e di là portando il messaggio ad altri alcolisti, ma è invece un agire che su rivolge 79 all’uomo interiore. Ben nove dei Dodici Passi riguardano la vita interiore, ma se essi vengono osservati “il risultato sarà che l’alcolista uscirà da se stesso e andrà verso gli altri”. Il più evidente cambiamento nella personalità di un alcolista in recupero, è il venir meno dell’egocentrismo e l’offerta di aiuto agli altri. Secondo l’autore il vero segreto di Alcolisti Anonimi risiede nella duttilità delle sue strutture, nell’assenza di dogmi e regole, nella libertà dell’alcolista di fare sempre da sé le sue scelte. Riferisce: “La casa che A.A. aiuta a costruire è diversa per ogni occupante, perché ciascuno è l’architetto di se stesso (…) Quello che veramente importa è che A.A. ha dimostrato ampiamente come la casa che costruisce sia adatta per il ribelle come per il conformista, per il radicale come per il conservatore, per l’agnostico come per chi ha fede”. Un'altra questione cruciale toccata, è quella che scaturisce dall’enunciato, ripetuto da alcuni con ostentata sicurezza, che recita: “Alcolisti Anonimi è tutto quello che ti occorre”. Una interpretazione distorta di questa frase genera, a lungo andare, tutta una serie di inutili preoccupazioni e di conseguenti frustrazioni. Certo, inutili perché frutto di un fraintendimento, ma non da trascurare o da prendere con leggerezza per chi le esperisce in prima persona. In tutta la letteratura di A.A. non c’è alcun cenno che possa convalidare la massima che Alcolisti Anonimi sia l’unica cosa a cui dovrebbe interessarsi l’alcolista recuperato o sulla strada del recupero. Riporto le parole dell’autore: “Io stesso sono stato sempre cattolico, con diversi gradi di intensità e diversi livelli di virtù. Sono anche stato in cura da uno psicanalista per diversi anni, dopo undici anni di sobrietà in A.A. Non ho mai trovato che questi tentativi o interessi si escludessero l’un l’altro”. L’errore risiede nel ritenere che progredire nel tempo, voglia dire lasciare Alcolisti Anonimi, senza nemmeno considerare l’ipotesi di una sana convivenza di essa con altri interessi. Alcolisti Anonimi non è un ghetto spirituale dove gli alcolisti si possono rinchiudere additando tutto ciò che risiede al di fuori come “nemico”, non è una roccaforte che deve nascondere e proteggere. La crescita di un membro in A.A. si misura dalla capacità di riconoscere il vero nemico dentro di sé, di fare i conti con la realtà senza fantasmi. L’intervento venne concluso con una riflessione sull’ultimo Passo del programma o meglio sulle ultime dieci parole: “Mettere in pratica questi principi in tutte le 80 nostre attività”. L’anonimo riporta un aneddoto esemplare della propria esperienza di crescita non solo come alcolista, ma come uomo. Riferisce di non percepire differenze di razza, di credo religioso o di stato sociale quando è seduto in una riunione di Alcolisti Anonimi, ma di vedere accanto a sé solo un altro alcolista. Perché dunque circoscrivere questo nobile sentimento di comunione umana alla sola esperienza di Alcolisti Anonimi? Risponderò con le sue stesse parole: “..non dovrei mettere insieme quello che ho imparato e sperimentato e applicarlo non solo in A.A., ma in ogni altro campo della mia vita, alzare il capo e prendere il posto che mi spetta nella famiglia degli uomini? Potrò là, davanti a Dio, sapere che non sono seduto vicino a un altro bianco, un altro cattolico, un altro americano, e nemmeno un francese, messicano, ebreo, musulmano, indù, bianco o meticcio, e nemmeno a un altro alcolista, e potrò finalmente tornare a casa reduce da tutte le battaglie e dire nel profondo della mia anima: “Io sono seduto vicino a un altro essere umano”? Credo personalmente che queste riflessioni, pur soggettive, esprimano la vera essenza di un metodo di recupero che, sciolto da definizioni ufficiali, parla attraverso le voci di chi lo ha sperimentato. 3.7. VIVERE SOBRI: ALCUNI SPUNTI Nella letteratura di Alcolisti Anonimi esiste un libretto intitolato “Vivere Sobri”80 che propone alcuni metodi pratici per “non bere”. Come per tutto quanto accade in A.A., anche in questo caso si tratta di suggerimenti, non di precetti, provenienti dalla lunga esperienza dei membri dell’associazione. Potrebbero essere definiti delle “buone idee” per mantenere nuove abitudini mentali e comportamentali di sobrietà. Esse, ovviamente, non sono riportate in un elenco completo, né tantomeno sono utilizzabili da tutti gli alcolisti allo stesso modo. È pertanto preferibile che ognuno accolga quanto ritiene per sé interessante e metta da parte quanto invece non ritiene conforme alle proprie idee. Ho usato l’espressione “mettere da parte” perché permette di evitare un rifiuto assoluto e consente di 80 A.A., Vivere sobri 81 riprendere in futuro quanto attualmente scartato. Per esempio, alcuni alcolisti anonimi riferiscono di aver voluto subito lavorare sul programma dei Dodici Passi, altri invece hanno sentito la necessità di rinviare questa fase fin tanto che non fossero riusciti a rimanere sobri per un certo periodo di tempo. In Alcolisti Anonimi nessuno stabilisce un metodo di approccio giusto o sbagliato, l’unico consiglio prezioso è quello di essere il più possibile di mente aperta. Va fatta un’ultima precisazione, prima di esporre i suggerimenti: essi non offrono un rimedio per smettere di bere, ma parlano della cultura del “non bere”, di come poter “imbrigliare” la sobrietà seguendo i consigli non professionali di altri alcolisti. 3.7.1. Stare lontani dal primo bicchiere 81 : qualsiasi alcolista, nel corso della propria vita, fa dei tentativi per smettere di bere, o per lo meno cerca di controllare la quantità di alcol che assume. In qualche occasione arriva persino ad astenersi per un periodo, ma la tentazione di bere anche solo un bicchiere arriva presto e poiché apparentemente non arreca alcun danno, autorizza e prenderne un altro. Questa esperienza persuade il soggetto di sapersi gestire nei confronti dell’alcol e invece lo riporta esattamente al punto di partenza ovvero al bere eccessivo e incontrollato. L’esperienza di molti alcolisti che già hanno percorso questo infruttuoso cammino, porta alla logica conclusione che, se non si prende il primo bicchiere non si arriverà mai all’ubriachezza. Invece di concentrare gli sforzi nel limitare il numero dei bicchieri, si impara a non prendere uno: il primo, la causa di un’eventuale sbornia. 3.7.2. Usare il piano delle 24 ore 82: come già detto in precedenza, fare promesse di sobrietà a breve o lungo termine si rivela molto spesso fallimentare. Smettere di bere di colpo e con l’intenzione di stare lontani dall’alcol per un periodo indefinito è un proposito destinato a svanire nel nulla. Nonostante l’ostentata determinatezza e la più viva sincerità, i “mai più” e i “per sempre” non durano a lungo. 81 82 A.A., Vivere sobri, pag. 12-14 A.A., Vivere sobri, pag. 14-16 82 Per scongiurare il ripetersi di percorsi infruttuosi e frustranti, in Alcolisti Anonimi le espressioni appena ricordate vengono accuratamente evitate. L’esperienza insegna a non fare promesse a tempo indeterminato e a preferire intenti più realistici come ad esempio dire: “Non bevo solo per oggi”. Per le successive 24 ore si decide di non bere e lo si promette solo a se stessi, non ai familiari o agli amici già comprensibilmente stanchi di sentir ripetere vani propositi. Deve essere il soggetto a prendere i provvedimenti necessari per la propria salute e per il proprio star bene. Molte persone in Alcolisti Anonimi per contrastare il forte desiderio di prendere un bicchiere, ritengono utile suddividere le 24 ore in tempi più brevi, per esempio decidendo di non bere per almeno un’ora. A ben pensare ogni percorso di recupero dall’alcolismo inizia con un’ora di sobrietà alla quale può far seguito un’altra e così via. Il piano delle 24 ore è un metodo elastico, continuamente rinnovabile poiché si può ricominciare daccapo in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Si evitano in questo modo strategie inefficaci come fare promesse di “stare lontani dall’alcol per tutta la vita”. Si cerca invece di vivere il momento presente, l’oggi poiché ieri non esiste più e domani deve ancora arrivare. Una volta che questa idea entra a far parte integrante di uno stile di pensiero, diviene facile e naturale vivere la vita in segmenti di 24 ore, un giorno alla volta. 3.7.3. Ricordare che l’alcolismo è una malattia inguaribile, progressiva e mortale 83 : non vi è alcun dubbio che l’alcolismo peggiori con il passare degli anni, numerosi medici esperti nel settore lo sostengono. L’alcolista per primo deve essere convinto che l’alcolismo è inguaribile, proprio come alcune altre malattie. Del resto nella sua stessa esperienza può contare numerosi tentativi per provare il contrario che non hanno dato buon esito. L’alcolismo non può essere guarito poiché non è possibile cambiare chimicamente il proprio corpo e tornare ad essere bevitori moderati. All’autocommiserazione per essere stati ingiustamente defraudati di un piacere che non è più concesso, è più saggio sostituire la consapevolezza della propria costituzione fisiologica. Per poter 83 A.A., Vivere sobri, pag. 16-19 83 condurre una vita in buona salute è fondamentale imparare a vivere con il corpo che si ha, tenendo in debita considerazione i propri limiti. L’alcolismo è progressivo e fatale, ne sono prova le migliaia di alcolisti che non hanno smesso di bere e che sono morti. Per questa come per altre gravi malattie, l’atteggiamento frequentemente riscontrato è quello di ignorare le proprie condizioni e di sentire quel tragico destino che molti paventano lontano da sé. Se la strada scelta rimane questa ne consegue che non si accettano cure, si soffre e si muore. L’alternativa è scegliere di intraprendere un percorso differente riconoscendo fino in fondo la serietà delle proprie condizioni e facendo tutto quanto necessario per vivere una vita sana. Solo accettando senza amarezze la realtà del proprio alcolismo come una qualsiasi altra caratteristica del proprio corpo, come ad esempio la necessità degli occhiali o l’avere una particolare intolleranza alimentare, si può pensare di star bene. Quando invece si agisce senza la consapevolezza dei propri limiti, si incontrano ostacoli e si finisce col farsi del male. 3.7.4. “Vivi e lascia vivere” 84: è un detto popolare il cui abuso, come spesso accade, finisce col svuotare di significato. In Alcolisti Anonimi questa espressione viene utilizzata come aiuto per “non bere” e per affrontare le quotidiane provocazioni che provengono dall’ambiente in cui viviamo. Mettere in pratica il concetto del “Vivi e lascia vivere” significa accettare che in qualsiasi luogo, sia esso dentro o fuori Alcolisti Anonimi, si possano incontrare persone che dicono o fanno cose che non trovano in noi approvazione e che anzi ci indispongono. In questi casi è essenziale per la propria pace imparare a convivere con le diversità di ognuno e a tollerare il comportamento fastidioso degli altri che non deve mai essere più importante del recupero personale. Nessuna provocazione per quanto offensiva deve offrire l’alibi per una bevuta: il proprio benessere deve venire prima di tutto e tutti. Come prima nessuno era fisicamente obbligato a bere, così ora nessuno deve sentirsi mentalmente obbligato a farlo. Se “Lascia vivere” è un insegnamento valido, lo è ancor più la prima parte del detto: “Vivi”. Quando ci si interessa pienamente della propria vita e si persegue un modo di vivere davvero 84 A.A., Vivere sobri, pag. 19-22 84 soddisfacente e produttivo, non si ha alcun desiderio di trovare difetti negli altri o di preoccuparsi del loro comportamento. 3.7.5. Essere attivi 85: evitare di assumere alcolici o addirittura evitare di pensarci non è sufficiente per mantenere una stabile sobrietà. Più si cerca di eliminare un pensiero, più questo pensiero si riaffaccia alla mente con insistenza. Per un alcolista smettere di bere significa anche accorgersi di avere molto tempo a disposizione, un tempo prima impiegato in altre attività legate alla ricerca di un bicchiere, alla programmazione di una bevuta o al recupero dagli effetti di una sbornia. Questi spazi di tempo vuoti devono in qualche modo essere colmati con nuove abitudini ed attività che impieghino l’energia nervosa un tempo assorbita dall’ossessione del bere. Abbandonare vecchie abitudini senza sostituirle con altre nuove si rivela infruttuoso, meglio allora mettere al posto del bere un programma di azione positivo. Può accadere che inizialmente sia la paura a tenere lontani dall’alcol, ma vivere temendo qualcosa non assicura uno stato di serenità che può durare a lungo. Se si prova a considerare l’alcol come una qualunque sostanza velenosa se ne rispetterà il potere di nuocere al corpo, senza però averne costante timore. Se la paura non è quindi un valido deterrente, occorre ricercare delle attività utili ed interessanti da svolgere sia all’interno che all’esterno di Alcolisti Anonimi. Solitamente, con l’espressione “divenire attivi” si intendono le attività svolte all’interno di Alcolisti Anonimi e nel suo raggio. Queste all’inizio possono sembrare insignificanti, ma in realtà hanno un grande valore aggregante. Riordinare le sedie al termine delle riunioni, svuotare i posacenere, pulire la macchinetta del caffè e altre piccole faccende, sono in apparenza compiti di poco conto, ma gli effetti che si riscontrano sui nuovi membri sono sorprendentemente benefici. Molti alcolisti iniziano a sentirsi inseriti e a proprio agio in Alcolisti Anonimi solamente dopo aver prestato aiuto in queste semplici azioni. Prende parte ad un gruppo significa anche questo, smettere di sentirsi ospite e cominciare ad partecipare come membro effettivo. Naturalmente, qualora lo desideri, una persona può anche accettare delle responsabilità come ad esempio 85 A.A., Vivere sobri, pag. 22 e seguenti 85 svolgere compiti di tesoriere o di segretario, salvo aver accumulato un periodo sufficiente di sobrietà (nella maggior parte dei gruppi è di circa 90 giorni). È importante ribadire che l’occupazione in questi servizi è utile al solo scopo di dare forza alla sobrietà senza per questo accrescere il prestigio personale. In Alcolisti Anonimi non è richiesta alcuna competenza professionale per svolgere i servizi, non vi sono né gerarchie né livelli poiché il gruppo è un nucleo di uguali. REGIONE NUMERO DI GRUPPI A.A. PER REGIONE VALLE D’AOSTA 4 PIEMONTE 24 LIGURIA 14 LOMBARDIA 111 TRENTINO-ALTO ADIGE 16 VENETO 92 FRIULI VENEZIA GIULIA 24 EMILIA ROMAGNA 33 TOSCANA 25 UMBRIA 5 MARCHE 12 LAZIO 37 ABRUZZI 6 MOLISE 6 CAMPANIA 9 PUGLIA 8 BASILICATA 5 CALABRIA 5 SICILIA 9 SARDEGNA 6 TABELLA 1- NUMERO DI GRUPPI A.A. PER REGIONE IN ITALIA Fonte: www.cestep.it/centriaiuto_AA_frame.htm 86 CAPITOLO 4 I GRUPPI FAMILIARI AL-ANON 4.1. AL-ANON: INFORMAZIONI GENERALI L’alcolismo non colpisce solo l’individuo che ne è portatore, ma coinvolge l’intero gruppo familiare. Questa affermazione viene ripetutamente dimostrata in Al-Anon, un’associazione il cui programma di recupero basato sull’aiuto reciproco, è destinato alle famiglie e agli amici intimi degli alcolisti. Le persone vicine all’alcolista sono emotivamente, spiritualmente e molto spesso anche fisicamente, condizionate dalla malattia dell’alcolismo. Chiunque condivida l’esistenza di un alcolista vive in uno stato di continua incertezza, di ansia, di vergogna, di paura, qualora l’alcolista sia violento, e quindi di grande solitudine poiché si tende a nascondere agli occhi degli altri la situazione di disagio evitando contatti sociali di ogni tipo 86. A tutto ciò si aggiungono inevitabilmente difficoltà di ordine pratico ed economico. Nonostante il disagio si manifesti con modalità sempre differenti, e non sia facile identificare con esattezza la radice di ogni singola situazione problematica, i familiari hanno comunque bisogno di un recupero tanto quanto l’alcolista. Nel caso in cui il percorso porti ad un esito felice di ritrovata serenità e giusto equilibrio, potranno loro stessi agevolare il recupero dell’alcolista. L’esperienza insegna che per i familiari e gli amici è utile avvicinarsi ai gruppi Al-Anon comunque, anche quando l’alcolista non ha ancora raggiunto consapevolezza della propria malattia e rifiuta qualsiasi programma di recupero. Il comportamento tenuto dai familiari, anche con i migliori propositi, può non essere corretto e una volta modificato può portare l’alcolista a chiedere aiuto. 86 Vedi in proposito: Al-Anon, Ritratto di una famiglia che ha bisogno di Al-Anon, opuscolo informativo, Letteratura approvata dalla Conferenza dei Servizi Mondiali dei Gruppi Familiari AlAnon 87 I gruppi familiari Al-Anon per i familiari e gli amici, ed i gruppi Alateen per i familiari adolescenti di alcolisti, sono sorti con lo scopo di condividere esperienza, forza e speranza per risolvere il problema comune della convivenza con un alcolista. Conoscere veramente la malattia, condividere vissuti simili e incontrare la solidarietà all’interno del gruppo, permettono di affrontare le problematiche del vivere quotidianamente le difficoltà legate all’alcolismo. L’associazione Al-Anon nasce ufficialmente negli USA nel 1951 e attualmente conta 30.000 gruppi Al-Anon e 3.000 gruppi Alateen sparsi in 115 paesi nel mondo87. In Italia opera dal 1976 con 450 gruppi che spesso sono paralleli a quelli della associazione Alcolisti Anonimi, ma assolutamente autonomi da loro; come già ricordato infatti, possono essere frequentati indipendentemente dalla scelta di recupero dell’alcolista. Va ricordato che Alateen è parte integrante di Al-Anon e le sue riunioni sono condotte dai giovani con la guida di due membri Al-Anon. L’unico requisito per far parte di questi gruppi è di avere un parente o un amico per cui l’alcol sia divenuto un problema. Come è facile comprendere, i membri delle associazioni sono molto diversificati e comprendono mogli, mariti, figli, genitori, sorelle, fratelli, amici e anche colleghi di lavoro di alcolisti. Le esperienze sono certamente diverse, ma il programma di recupero è lo stesso e si basa sui Dodici Passi, principi universali validi per chiunque indipendentemente dal credo personale. È appena il caso di ricordare che i Passi a cui si fa riferimento ricordano quelli di Alcolisti Anonimi in cui però il problema dell’alcolismo è considerato da una prospettiva differente. La frequenza ai gruppi consente di riacquistare gradualmente un equilibrio psichico e mentale, un modo di vivere sereno correggendo i comportamenti sbagliati nei confronti dell’alcolista e assumendone altri corretti. Le riunioni dei gruppi possono essere “chiuse” o “aperte”. Alle riunioni “chiuse” partecipano esclusivamente familiari ed amici di alcolisti, mentre alle riunioni “aperte” possono partecipare tutti coloro che si interessano di alcolismo, dai medici ai sacerdoti a chiunque faccia parte di istituzioni pubbliche o private o voglia semplicemente informarsi sul funzionamento di questi gruppi. 87 Per ulteriori informazioni: www.al-anon.it/alateen.html 88 Come avviene in Alcolisti Anonimi, anche in Al-Anon e Alateen non vi sono quote da pagare, i gruppi sono autonomi e si autofinanziano attraverso piccoli contributi facoltativi dei membri stessi. La Settima Tradizione ricorda che i gruppi non possono accettare sovvenzioni dall’esterno, per cui non gravano sulla comunità. Essi sono pronti a collaborare con chiunque chieda il loro aiuto o segnali casi di alcolismo. Nell’Undicesima e Dodicesima Tradizione, che ricalcano quelle di Alcolisti Anonimi, viene ribadita l’importanza dell’anonimato inteso come discrezione e tutela dei membri e dei loro familiari alcolisti e come rinuncia a dannosi personalismi operando con umiltà e senza vanti personali. 4.2. IL DISTACCO In Al-Anon il recupero dagli effetti devastanti dell’alcolismo avviene smettendo di concentrare gli sforzi sull’alcolista per concentrarli su se stessi 88. Non è questa una cosa semplice da attuare, lo sanno bene molti membri di Al-Anon i cui pensieri sono ancora concentrati sul comportamento del familiare alcolista. Passo dopo passo, con il sostegno degli altri membri, si inizia a pensare a se stessi e alle necessità personali. Questo non vuol dire che si smetta di amare l’alcolista, bensì non gli si permette più di manipolare o ferire chi gli sta accanto. Spesso accade che quando un familiare acquista forza e sicurezza, anche l’alcolista manifesti desiderio di essere aiutato, ma non è certo un percorso facile. I familiari possono avere più necessità di consiglio e di assistenza dell’alcolista stesso per intraprendere un efficace programma di recupero. L’impatto emozionale dell’alcolismo sul nucleo familiare è molto forte e più si altera lo stato emotivo dei singoli componenti, meno utile diviene il loro aiuto. In Al-Anon si impara che nessuno è responsabile della malattia di un’altra persona né tantomeno del suo recupero, per cui ciascun membro della famiglia sia esso figlio, genitore, moglie o marito, non deve sentirsi colpevolizzato o peggio divenire mezzo per il recupero del proprio alcolista. Il miglior aiuto che inizialmente un familiare può 88 Vedi in proposito: Al-Anon, Una guida per la famiglia dell’alcolista, opuscolo informativo, Letteratura approvata dalla Conferenza dei Servizi Mondiali dei Gruppi Familiari Al-Anon 89 offrire consiste nel cercare aiuto e cura per la sua stessa situazione, in modo da non lasciarsi coinvolgere dalle conseguenze della malattia dell’alcolista. Familiari bene intenzionati commettono spesso errori che ostacolano il recupero e in alcuni casi possono anche contribuire al peggioramento della malattia. Il modo migliore per aiutare l’alcolista a recuperarsi è di eliminare l’ignoranza e acquisire informazioni sull’alcolismo per mettere in atto comportamenti idonei. Se al contrario si cerca di forzare l’alcolista a smettere di bere senza prima informarsi e cambiare il proprio atteggiamento, si rischia solamente di ottenere l’effetto opposto. Nessuno può fare per l’alcolista ciò che deve fare lui stesso; egli dovrà di sua propria volontà fare delle scelte e mettersi in azione affinché si verifichi nella sua vita un cambiamento radicale. L’alcolista esercita un notevole controllo sulla famiglia e fintanto che essa rimane nell’incapacità di opporsi alla sua onnipotenza, questa verrà inevitabilmente alimentata. La famiglia deve imparare a difendersi da questa situazione di potenziale schiavitù attuando quello che in Al-Anon viene definito “distacco”. Con questo termine si intende la conquista graduale di libertà dall’ossessione per il comportamento altrui, per poter vivere una vita serena e autonoma con dignità e consapevolezza dei propri diritti spesso calpestati. In Al-Anon si impara a: • non soffrire per le azioni e reazioni degli altri; • non lasciare che si usi e si abusi della propria persona nell’interesse del recupero di un’altra; • non fare per gli altri quello che dovrebbero fare loro stessi; • non manipolare le situazioni per fare in modo che gli altri mangino, vadano a dormire, si alzino, paghino i conti, ecc.; • non coprire gli errori e i misfatti degli altri; • non provocare una crisi; • non prevenire una crisi se questo fa parte del corso naturale degli eventi.89 “Distacco” non vuol dire essere gentili né essere scortesi. Non implica un giudizio sulla persona e sui fatti dai quali intendiamo distaccarci. Per i familiari e amici di 89 in Al-Anon, Suggerimenti utili, opuscolo informativo, Letteratura approvata dalla Conferenza dei Servizi Mondiali dei Gruppi Familiari Al-Anon 90 alcolisti è semplicemente un mezzo di recupero dagli effetti negativi che l’alcolismo produce nelle vite di ognuno. Il “distacco” aiuta la famiglia a vedere la propria situazione realisticamente e obiettivamente, così da poter prendere decisioni razionali. Chiunque divida la propria esistenza con una persona il cui bere è problematico, conosce benissimo le armi che questa utilizza in maniera più o meno evidente. Una delle principali armi dell’alcolista è la grande abilità di provocare l’ira in chi lo circonda. Se familiari o amici divengono ostili a loro volta, innescano un circolo vizioso che annulla ogni possibilità di cambiamento. L’alcolista proietta, consciamente o inconsciamente, un’immagine di odio di se stesso verso l’altra persona e se questa contraccambia l’ostilità ne consegue che l’immagine negativa di sé viene confermata e l’alcolista trova giustificazione ai comportamenti precedenti e una scusante per quelli futuri. In questi casi perdere la pazienza equivale a perdere l’occasione di aiutare l’alcolista. Un’altra arma usata con frequenza è la capacità di suscitare uno stato di ansia nella famiglia. L’ansia, l’apprensione angosciosa, l’incertezza, costringono familiari e amici a fare per l’alcolista ciò che dovrebbe essere fatto soltanto da lui. Il percorso di un alcoldipendente è spesso segnato da difficoltà economiche di varia origine e non è raro il verificarsi di indebitamenti. In tali circostanze accade che sia proprio la famiglia, spinta dall’ansia per le eventuali spiacevoli conseguenze, a procurare il denaro per sanare i debiti. Questo gesto sopisce l’ansia sia della famiglia che dell’alcolista, ma crea inevitabilmente un precedente che servirà all’alcolista come strategia per risolvere i suoi problemi. Se la famiglia copre le conseguenze negative del comportamento dell’alcolista, egli non vedrà più la necessità di tener fede ai propri impegni e non potrà così correggere ciò che gli altri hanno già corretto per lui. Questo stato di cose comporta un duplice effetto dannoso: da un lato accresce il senso di fallimento e di colpa nell’alcolista, dall’altro aumenta il senso di ostilità e di condanna verso di lui da parte dei familiari. Egli non potrà mai imparare a risolvere i propri problemi in maniera responsabile se l’ansia della famiglia porta all’eliminazione del problema prima ancora che l’alcolista possa affrontarlo, risolverlo o soffrirne le conseguenze. Questo modo di operare rivela che né l’alcolista né la sua famiglia sono in grado di affrontare la realtà. 91 I familiari e gli amici devono prima di tutto imparare ad affrontare i propri problemi per poter essere di supporto all’alcolista. È preferibile che l’aiuto provenga dall’esterno, fuori dall’ambito di parenti, amici e conoscenti e provenga da persone addestrate in questo campo di lavoro o da membri anziani di Alcolisti Anonimi o di Al-Anon. Una famiglia che sopporta il peso del bere dell’alcolista e le conseguenze che ne derivano, gradualmente rimpiazza l’amore con la paura, l’odio e il rancore. L’unico modo che ha la famiglia per conservare l’amore per l’alcolista consiste nell’imparare a non soffrire quando la malattia va peggiorando e a rifiutarsi di subirne le conseguenze. Qualsiasi rapporto senza giustizia e compassione non può essere un rapporto di amore. Conoscere la natura dell’alcolismo come malattia e metterla in pratica è essenziale per evitare che la paura prenda il posto dell’amore nelle relazioni. Nella maggior parte dei casi un cambiamento nella famiglia è necessario prima che si possa aspettare un cambiamento nell’alcolista. È il non alcolista infatti, a dover fare il primo passo poiché l’alcolista non cercherà aiuto per ristabilirsi finché le sue necessità verranno soddisfatte all’interno dell’ambiente familiare. L’errore i cui spesso cadono le persone vicine consiste nel proteggere l’alcolista dall’alcol tenendolo il più possibile lontano dalla bottiglia. La famiglia deve imparare a non prevenire il bere aiutando l’alcolista a trovare un motivo per smettere di bere. L’unico modo affinché ciò si verifichi è di permettere che il continuare a bere e le sue conseguenze, diventino così dolorose per se stesso da costringerlo a cercare una via di fuga da questa intollerabile sofferenza. Concludendo, all’interno di un gruppo Al-Anon i suggerimenti per il recupero dall’alcolismo possono essere così riassunti: • smettere di ignorare questa malattia e cominciare a informarsi per imparare che cos’è l’alcolismo; • non incolpare l’alcolista ma concentrarsi sulle proprie azioni perché saranno queste ad aiutare o distruggere se stessi; • non serve a nulla controllare quello che l’alcolista beve: è più utile concentrarsi sul suo bisogno di curarsi e cominciare ad offrirgli aiuto; 92 • smettere di proteggere l’alcolista e cominciare a lasciarlo soffrire e a fargli assumere la responsabilità delle conseguenze prodotte dal suo bere; • non preoccuparsi delle ragioni che l’alcolista dà per scusare il suo bere e cominciare a condurre una vita normale; • non minacciare, ma cominciare a dire quello che si pensa e a fare quello che si dice; • non accettare promesse e non chiederne; • non chiedere consigli a chi non è informato e intraprendere un programma di cura a breve e a lunga scadenza; • non nascondere all’alcolista il fatto che si sta cercando aiuto; • non criticare, predicare, insistere o minacciare e descrivere invece all’alcolista il suo comportamento inopportuno; • non permettere all’alcolista di essere violento e cominciare a proteggersi; • non essere una marionetta e cominciare a distaccarsi. 4.3. ALCUNE TESTIMONIANZE Credo che possa essere interessante riportare alcune testimonianze di membri dei gruppi familiari e amici di alcolisti Al-Anon. 4.3.1. Testimonianza n.1 “Io ho avuto la sfortuna di trovarmi in questa situazione e mi sono rivolta a questo gruppo per trovare un luogo dove poter parlare di questo mio problema che ha reso la mia giovinezza un inferno con grande disagio anche per la mia vita e qui ho trovato grande comprensione ed incoraggiamento per continuare a vivere e dare un senso anche alla mia vita che sembrava ormai distrutta. In questo gruppo ho trovato altre persone che come me avevano e hanno alcolisti in famiglia o al lavoro, o vicini di casa, o amici. Questo ha fatto sì che subito ci comprendessimo ed io, piano piano, sono riuscita a liberarmi dal peso e dalla vergogna che aveva creato in me forti coliche ed ansia, per il nascondere che avevo una persona ammalata di alcolismo nella mia famiglia. Purtroppo al di fuori nessuno ti capisce, 93 se non chi ha provato la tua stessa sofferenza. Gli stessi medici hanno difficoltà a comprendere tutta l’ansia, l’incertezza, la solitudine e i problemi che questa malattia crea in chi vive vicino a persone colpite dall’alcolismo e di quante malattie vengono colpite a sua volte le persone che ne vivono vicine. Devo dire grazie ai componenti del gruppo familiari Al-Anon che mi hanno accolto ed hanno cambiato la mia vita da negativa in positiva, grazie di cuore a tutti voi.” (Un’affezionata Al-Anon - Testimonianza pubblicata su “L’Amico del Popolo” del 6 Dicembre 2003) 4.3.2. Testimonianza n.2 “Frequento il gruppo Al-Anon da 13 anni. Inizialmente mi sono avvicinata al gruppo non per me, ma per aiutare mio marito alcolista e i miei familiari poiché io pensavo di non averne bisogno. Solo successivamente ho cominciato a frequentare il gruppo Al-Anon e a farlo per aiutare me stessa. Per un breve periodo anche il mio alcolista ha partecipato al gruppo A.A. ma non con costanza, poi purtroppo nel 1995 è mancato. Il gruppo per me è stato un grande sostegno, una “stampella” indispensabile per affrontare le quotidiane difficoltà. Nella mia famiglia mio marito non era purtroppo l’unica persona “problematica”, ma lo era e lo è anche mio figlio. Anni fa pensavo ingenuamente che anche il problema di mio figlio fosse l’alcolismo, tesi peraltro avvalorata dai medici che a vario titolo hanno visto mio figlio lungo tutti questi anni. Solo più tardi ho capito che per mio figlio il problema era diverso, che il suo bere era secondario e conseguente alla sua malattia mentale: la schizofrenia. Ci è voluto tempo per maturare questa consapevolezza perché la tendenza è sempre quella di rinnegare l’esistenza di problemi. La frequentazione del gruppo Al-Anon mi è servita anche per affrontare la difficile convivenza con un figlio violento, perché rifiutando le cure e le terapie appropriate al suo caso, assumeva invece alcolici e questo contribuiva a renderlo aggressivo sia verso di me che verso il fratello. Frequentando il gruppo ho imparato ad aiutare me stessa e a mettere in pratica ogni giorno la preghiera della serenità che recita: “Donami la Serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il Coraggio di cambiare le cose che posso e la Saggezza di conoscere la 94 differenza”. Ho imparato ad accettare la mia situazione, a smettere di colpevolizzare me stessa per l’alcolismo di mio marito e per la malattia mentale di mio figlio. Nel gruppo è diverso rispetto al mondo fuori, dove mi sono sempre sentita incompresa e a volte rifiutata. Leggere la letteratura di Al-Anon mi è stato di grande aiuto nei momenti difficili. C’è un passo che dice: “Quando arrivi a toccare il fondo reagisci” ed io quel “fondo” quasi lo desideravo per poter reagire. È arrivato quando, dopo numerose angherie e violenze subite da parte di mio figlio, ho trovato il coraggio di denunciarlo. Ora non posso dire di essere felice, ma sono serena. So di non poter fare nulla per mio figlio, che è un malato difficile e non nutro più rancore verso le istituzioni, che molto hanno mancato nei confronti miei e di mio figlio. Il programma di Al-Anon è applicabile alla vita in generale, non solo ai problemi legati all’alcol. Nel gruppo ho trovato tanto e mi sento di dover dare quello che ho ricevuto. Ho imparato con gli anni a seguire i “Dodici Passi”, non è stato immediato, anzi inizialmente mi chiedevo come mai ci fossero persone che frequentavano il gruppo da dieci, quindici anni e ancora fossero lì presenti a fare i conti con problemi che non avevano trovato soluzione. Solo più tardi ho capito che il vero significato dell’auto-aiuto sta nell’aiutare gli altri per aiutare se stessi, per stare meglio non solamente ricevendo aiuto, ma donandolo. Ora non vivo più nell’ansia e nell’angoscia e accetto la famiglia che posso, non quella che voglio.” (Anonimo-gruppo Al-Anon) 95 CAPITOLO 5 IL CLUB DEGLI ALCOLISTI IN TRATTAMENTO 5.1. L’APPROCCIO ECOLOGICO SOCIALE L’Approccio Ecologico Sociale ai problemi alcolcorrelati del professor Vladimir Hudolin è un esempio metodologico di azione comunitaria di promozione alla salute. Esso si pone a confronto con i tradizionali approcci che si sono susseguiti nella storia: da quello morale a quello medico a quello psichiatrico. Hudolin considera i problemi alcolcorrelati e complessi come un tipo di comportamento, uno stile di vita, un particolare modo di comunicare che crea disagi all’individuo, alla famiglia e alla comunità di cui essa fa parte. “L’alcolismo non è una malattia, ma lo può diventare quando compaiono lesioni organiche e psicopatologiche” 90. In una prospettiva che considera il bere un comportamento, ne consegue che il bere problematico e l’alcolismo vengono a loro volta ritenuti “stili di vita dolorosi e perdenti non solo per l’individuo ma anche per la famiglia e la comunità nel suo insieme” 91. Questo legame forte che esiste tra uomo e alcol è possibile poiché viviamo in una cultura che accoglie il bere al suo interno. I problemi alcolcorrelati non possono quindi essere definiti in termini di patologia o devianza, ma come comportamenti condizionati dal contesto relazionale e culturale di appartenenza. Questo tipo di approccio all’alcolismo attribuisce responsabilità al sistema relazionale, punto di partenza privilegiato su cui 90 Hudolin V., La riabilitazione delle famiglie con problemi alcolcorrelati e complessi, in Psichiatria, alcologia, riabilitazione, Hudolin V., Corlito G. (a cura di), Edizioni Centro Studi Erickson, Trento, 1997, pag.17 91 Centro Studi e documentazione sui problemi alcolcorrelati – Trento, Alcol…Piacere di conoscerti! Guida ecologica di educazione alla salute, Erickson, 1996, pag. 79 96 impostare un cambiamento per ricercare una migliore qualità della vita. Nell’Approccio Ecologico Sociale, il cambiamento rappresenta una necessità tipica di ogni sistema vivente, poiché l’assenza di mutamento, crescita ed evoluzione minaccia la sopravvivenza del sistema stesso. Nel caso dei problemi alcolcorrelati questo significa inizialmente abbandonare le sostanze alcoliche per ottenere la sobrietà e adottare in seguito un nuovo tipo di comportamento in un’ottica di miglioramento della qualità della vita. A tal proposito è utile riportare le parole dello stesso Hudolin nel definire la metodologia ecologico sociale: “quando si parla di approccio ecologico non si intende riduttivamente la difesa del verde o degli animali, bensì la qualità della vita dell’uomo, la difesa della comunità per metterla in grado di assicurare all’uomo i suoi fondamentali diritti umani e in primo luogo la libertà” 92. Appare evidente il riferimento alla protezione e promozione della salute che dovrebbero essere garantite dalla collaborazione tra servizi pubblici e privati e dall’iniziativa individuale, delle famiglie e della comunità. Pur essendo una metodologia flessibile e aperta alle influenze provenienti dal modo scientifico, dall’assetto politico-sociale e legislativo, dalla situazione economica e sanitaria93, l’Approccio Ecologico Sociale mantiene immutati alcuni principi base: - l’alcolismo come stile di vita; - l’approccio multifamiliare; - la sofferenza multidimensionale della famiglia; - la spiritualità antropologica; - l’etica. 5.1.1. L’alcolismo come stile di vita Nella nostra società l’idea di alcolista come persona malata e bisognosa di cure mediche o di ricoveri ospedalieri, è molto diffusa e difficile da scardinare. Considerare l’alcolismo uno stile di vita, anziché una malattia, presuppone il fatto di accettare la responsabilità dell’individuo bevitore e pertanto può non essere 92 Hudolin V., Manuale di alcologia, Erickson, Trento, 1990, pag. 256 Vedi in proposito: Conclusioni del Terzo Congresso Regionale Arcat Toscana, Hudolin Visnja, disponibile in rete all’indirizzo: www.arcattoscana.org/welcome.htm 93 97 immediatamente comprensibile ma richiedere tempi lunghi. In campo medico viene ancora largamente utilizzato il termine alcolismo come diagnosi di uno stato morboso o di un disturbo, anche se sono ormai evidenti i suoi limiti nell’offrire una definizione ad ampio spettro del problema. In virtù di questa considerazione, è più corretto parlare di problemi alcolcorrelati e di alcolismi94 piuttosto che di alcolismo, intendendo con questi termini mettere in rilievo l’eterogeneità e la complessità dell’argomento. Nella realtà non esiste “il bevitore problematico” o “l’alcolista”, come modello standardizzato di riferimento, ma esistono tanti bevitori problematici e tanti alcolisti, ciascuno con un percorso di vita diverso. L’unico aspetto che accomuna una popolazione tanto variegata è il punto di partenza ovvero cominciare a bere. L’Approccio Ecologico Sociale si contrappone quindi al modello medico e in special modo ai rapporti di causa-effetto che in esso trovano applicazione. Per i sistemi viventi non esistono rapporti lineari, ma catene senza fine in cui ciascun evento è a sua volta causa ed effetto di altri eventi. I problemi alcolcorrelati vanno affrontati cercando di sciogliere il legame che si crea tra l’uomo e l’alcol in un crescendo di problematicità e pericolosità, sostituendo alla terapia il cambiamento, la maturazione, la crescita, lo stile di vita sobrio. 5.1.2. L’approccio multifamiliare Usando le parole dello stesso Hudolin, secondo l’approccio ecologico “il trattamento dell’alcolista si compie nell’ambito del sistema familiare: il cambiamento dello stile di vita non si può ottenere al di fuori del sistema e non può mai riguardare una sola persona” 95. Il legame con l’alcol non deve essere considerato problema esclusivo del singolo, ma come problema della famiglia e della comunità in cui è inserita. In quest’ottica, a dover cambiare comportamento e stile di vita devono essere sia l’alcolista che i familiari, i quali devono accettare e realizzare la proposta di cambiamento. Per ottenere la risoluzione del problema e 94 Hudolin V., Disagi alcolcorrelati: vecchi problemi umani, Centro Alcologico Bresciano e Cassapadana, Brescia, 1997, pag. 12 95 Hudolin V., in AA.VV., Club degli alcolisti in trattamento, Scuola Europea di Alcologia e Psichiatria, Trieste, 2001, pag. 134 98 ristabilire l’equilibrio familiare non basta che il membro individuato come alcolista smetta di bere, ma occorre che tutti i componenti entrino in trattamento e seguano un percorso di maturazione imparando gli uni dagli altri. Pensare che l’alcolista e la sua famiglia debbano perseguire il reinserimento nella società è in parte sbagliato, poiché essi non ne sono mai stati esclusi. Il fine a cui punta il metodo ecologico sociale è quello di far crescere e maturare le famiglie con problemi alcolcorrelati all’interno delle comunità di cui fanno parte, attuando un cambiamento a livello di comunicazione e di interazione tra il soggetto e l’ambiente in cui vive e lavora. Si impara in questo modo a vedere la famiglia non solo e non tanto come portatrice di un disagio, ma come veicolo di risorse attivabili in un contesto di collaborazione e solidarietà. Tali risorse non andranno a beneficio soltanto del nucleo in questione, ma verranno estese alla comunità incrementando le possibilità di relazione e scambio. 5.1.3. La sofferenza multidimensionale della famiglia Un quesito che spesso ricorre riguarda i presunti segni distintivi del bevitore problematico e dell’alcolista, legittimato a torto dall’immaginario comune che vuole l’alcolista come persona debole, depressa, sfortunata e molto spesso viziosa. Nella realtà ogni alcolista vive una problematica multidimensionale anche se è il suo alcolismo ad essere manifesto rispetto a tutte le altre difficoltà che rimangono nell’ombra96. Tutti i bevitori problematici e gli alcolisti sono stati per un lungo periodo bevitori “moderati”. Il passaggio da un bere moderato ad un bere problematico avviene in tempi anche molto lunghi e comunque non è possibile fare previsioni né attribuzioni a particolari categorie di persone. Secondo la prospettiva ecologico sociale, come già detto, l’alcolismo è uno stile di vita e in quanto tale sottintende diverse matrici di comportamento che necessitano di essere riviste e sostenute nel cambiamento. 96 Vedi in proposito: Hudolin V., Sofferenza multidimensionale della famiglia, Eurocare, Padova, 1995, pag. 73 99 5.1.4. La spiritualità antropologica Il concetto di spiritualità antropologica non deve essere inteso come approccio religioso o spiritualistico alla realtà, bensì come cultura sociale umana basata sui valori che l’uomo da sempre possiede come codice interiore di comportamento 97. La cultura a cui si fa riferimento non è né erudizione né acquisizione di conoscenze nozionistiche, ma è “civiltà” nel senso più ampio del termine ed accoglie in sé manifestazioni sia elevate come l’arte o la scienza, sia materiali e pratiche. Nella complessità dei problemi alcolcorrelati, un disagio frequentemente riscontrato è proprio quello di tipo spirituale, che consiste nella non accettazione di se stessi e del proprio ruolo sociale. All’interno del metodo ecologico sociale si cerca di far fronte a questo disagio stimolando la comunicazione e il cambiamento e tendendo verso il raggiungimento di un equilibrio mai perfettamente raggiunto. 5.1.5. L’etica Le famiglie e i professionisti coinvolti nel processo di cambiamento sono chiamati ad un costante confronto sui temi dell’etica umana. Ciò implica la teorizzazione di alcuni principi e il continuo conformare la propria vita e la proprie scelte in ordine a tali principi. Il concetto di etica non può prescindere da quello di corresponsabilità, ovvero la presa di coscienza delle proprie azioni e di come queste possano influenzare gli altri. 5.2. IL CLUB: UN MODO PER CAMBIARE STILE DI VITA Il Club degli alcolisti in trattamento è un’Associazione privata costituita da un gruppo di famiglie con problemi alcolcorrelati e complessi. Le famiglie fanno parte della comunità in cui il Club si trova e pertanto il Club è espressione di quella comunità e ne fa parte a pieno titolo. Le famiglie si incontrano per iniziare, e successivamente consolidare, il cambiamento del proprio stile di vita e 97 Si veda: Hudolin V., AA.VV. in L’approccio ecologico sociale ai problemi alcolcorrelati e complessi, Centro Studi Erikson, Trento, 1994, pag. 113 100 ovviamente per smettere di bere. Vale la pena ricordare a tal proposito la definizione di salute proposta dall’O.M.S. in cui si fa esplicito riferimento alla qualità della vita in termini di armonico equilibrio fisico, psichico e sociale della persona ben inserita nella famiglia e nella comunità. Ne consegue che la salute è un bene personale e collettivo che va salvaguardato e promosso da tutti in quanto è insieme diritto e responsabilità di ognuno. La salute è un bisogno fondamentale della persona e per poterlo soddisfare sono necessari informazione e formazione, coinvolgimento, consapevolezza e capacità di critica e scelta. Cambiare e migliorare la qualità della vita dipende in primo luogo dalla persona che deve imparare a proteggersi da fattori di rischio che possono compromettere il proprio benessere e quello degli altri. Mettere in pratica atteggiamenti di autoprotezione può richiedere un lungo e non sempre facile cammino, ed è per questo che esistono i Club come associazioni basate sul principio dell’auto-mutuo aiuto, dove condivisione, solidarietà e amicizia possono stimolare il percorso di crescita individuale. L’approccio ecologico, che sostanzia l’intera attività dei Club, considera “l’alcolista e la sua famiglia non come malati alienati dalla società, ma come parti integranti di essa”98. Ne consegue un sostanziale ribaltamento di prospettiva che sostituisce gli interventi di controllo e repressione nei confronti dei comportamenti devianti, con un atteggiamento che si fa carico delle responsabilità collettive rispetto al disagio, e che vede nella famiglia con problemi alcolcorrelati un gruppo di persone portatore di risorse per il miglioramento dell’intera comunità. Il Club rappresenta quindi un nodo della rete territoriale per la protezione e promozione della salute della comunità ed è sempre aperto alle famiglie che si trovano in difficoltà. I Club degli alcolisti in trattamento sono comunità in cui si ritrovano persone e famiglie differenti tra loro per sesso, età, educazione, religione e professione, che condividono unicamente le problematiche alcolcorrelate. Scopo del programma è quello di ottenere la sobrietà inizialmente abbandonando l’alcol e successivamente adottando un nuovo stile di comportamento. 98 Hudolin V., L’alcolista nella comunità locale, in Hudolin V., Geppini G., Zanon L., in Verso un concetto ecologico di salute, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento, 1992, pag. 9 101 Vale la pena ricordare che il Club non è un’associazione chiusa né tantomeno un’isola separata dal mondo reale, ma è del tutto simile alla comunità nella quale è inserito, la rispecchia e rimane ad essa costantemente collegato. Il Club nasce quindi per le famiglie poiché i problemi alcolcorrelati riguardano l’intero nucleo ed esso funziona quando tutti i membri lo frequentano, quando tutti e non solo una parte, smettono di bere e si impegnano per cambiare stile di vita. Se al Club arriva un alcolista solo, viene affiancato e condivide il percorso con una nuova “famiglia sostitutiva”. I membri del Club si riuniscono una volta alla settimana e durante gli incontri le famiglie raccontano le proprie esperienze, si confrontano e si mettono in discussione. La condivisione dei vissuti avviene in un clima di empatia e di solidarietà, sono banditi i giudizi e lo scambio di esperienze e consigli non ha valenza precettistica. Quando in un Club entrano nuove famiglie il gruppo si attiva per mettere a disposizione le proprie conoscenze e tra queste la famiglia neofita sceglierà in maniera autonoma quelle più appropriate alla situazione personale. Il Club non vive di regole e di obblighi, tuttavia per funzionare deve necessariamente mantenere un’organizzazione seppure elementare. Le uniche “medicine” che il Club utilizza sono la solidarietà, l’amicizia, la condivisione e l’amore nella consapevolezza dei limiti e delle risorse di ognuno. Il Club è un punto di partenza, un riferimento costante, ma il cambiamento reale avviene nella vita di tutti i giorni, a casa, al lavoro, nel quartiere, nel paese, ecc. Ogni tanto può succedere che il cammino di crescita subisca un temporaneo arresto per una ricaduta. La ricaduta non significa solamente riprendere a bere, ma soprattutto tornare al vecchio comportamento, al vecchio stile di vita. Per l’alcolista, la famiglia e il Club, la ricaduta è sempre un momento doloroso di crisi, ma non deve per questo essere esclusivamente connotata in maniera negativa. La ricaduta è anche, per tutto il Club, un momento di verifica, un’occasione di mobilitazione della solidarietà e di rinforzo dell’amicizia 99. Alcuni membri del Club possono far visita alla famiglia in difficoltà per offrire il proprio appoggio; tale azione viene detta “patronage”. La ricaduta può costituire uno stimolo per riflettere sul percorso fatto, per rivedere le tappe più difficoltose e 99 Hudolin V., (a cura di) De Stefani R., Pancheri R., La famiglia, l’operatore, il Club, Erickson, Trento, 1993, pag. 9 102 riprendere il cammino con maggiore impegno. Per questi motivi, molte volte la crisi, se viene subito riconosciuta e affrontata, determina una lenta crescita e maturazione del Club. 5.3. LE REGOLE DEL CLUB Come ho già in precedenza accennato, parlare di regole nel senso stretto della parola non è del tutto corretto. La regola per definizione prevede un obbligo e nel caso specifico dei Club non vige alcun ordinamento100. Si comprende facilmente però che non può esistere un’Associazione senza una struttura organizzativa anche minima. La vita del Club è scandita da un esiguo numero di regole che si prefiggono come unico scopo quello di garantire collaborazione e crescita armoniosa dei membri che ne fanno parte. All’interno del Club alcolisti, famiglie e servitore sono tutti sullo stesso piano e tutti devono ugualmente rispettare le regole. Eccole in sintesi: • Il Club ha una sede e un orario fisso, richiede puntualità e costanza nella partecipazione. Si incontra una volta alla settimana per un’ora e mezza e ogni eventuale assenza della famiglia deve essere comunicata. • Agli incontri del Club possono partecipare solo le famiglie e il servitore insegnante che è un membro del Club con ruolo e responsabilità specifiche. Il numero delle famiglie va da un minimo di due a un massimo di dodici. • Quando raggiunge le dodici famiglie il Club si “moltiplica” rispettando i criteri geografici di provenienza. Un gruppo troppo numeroso non consente una buona interazione tra i membri e una trattazione completa dei problemi di ciascuna famiglia. • All’inizio del trattamento le nuove famiglie devono seguire un percorso di formazione partecipando alla Scuola Alcologica Territoriale che serve a informare, sensibilizzare e aggiornare sia i membri dei Club che la comunità circostante. 100 Centro Studi e documentazione sui problemi alcolcorrelati – Trento, Alcol…Piacere di conoscerti! Guida ecologica di educazione alla salute, Erickson, 1996, pag. 122 e seguenti 103 • Durante la seduta del Club non si fuma. All’esterno è certamente possibile ma va ricordato che il Club si fa promotore della salute e fumare è un comportamento a rischio quanto bere. • Ai membri del Club si richiede massima riservatezza su quanto viene detto ad ogni incontro. • Il Club, come tutte le Associazioni, prevede delle cariche: presidente, segretario, tesoriere, ecc. Tutti i membri del Club si alternano in questi e altri compiti almeno una volta all’anno per far sì che tutti abbiano la possibilità di responsabilizzarsi. • Ciascuna famiglia, a turno, stende il verbale della seduta e conduce la successiva. • Al compimento di ogni anno di astinenza, l’alcolista in trattamento riceve un diploma che attesta la meta raggiunta, sempre che abbia frequentato regolarmente il Club e che abbia prestato aiuto agli altri. È opportuno precisare che i problemi alcolcorrelati raramente si presentano da soli. Oggi i Club sono aperti a tutte le famiglie in cui oltre ai problemi con l’alcol sono presenti altri disagi e altre sofferenze. Spesso vi sono problemi legati all’uso di altre sostanze sia legali, come tabacco e psicofarmaci, che illegali, come hascis, eroina e altre droghe. Ci sono inoltre casi in cui l’uso di alcol è associato al disagio psichico (disturbi del comportamento, problemi psichiatrici, ecc.) o a gravi problemi di emarginazione sociale (persone senza dimora, extracomunitari, ecc.). La presenza di famiglie con questo tipo di problemi detti “complessi”, non deve costituire una difficoltà per il Club. Il Club viene al contrario arricchito e reso più simile alla comunità di cui è parte offrendo uno spaccato del mondo reale. Un Club funziona bene quando i suoi membri accolgono le famiglie in difficoltà indipendentemente da quali siano i loro problemi, le loro idee, la loro origine, ecc. 104 5.4. IL SERVITORE INSEGNANTE Così come il Club ha vissuto un’evoluzione dalla sua fondazione ad oggi, così anche la figura del servitore insegnante ha subito dei cambiamenti nel tempo. Lo stesso termine che la definisce è mutato da terapeuta a operatore a servitore fino ad arrivare all’odierna accezione di servitore insegnante. Dal 1964, anno di nascita del primo Club a Zagabria, al 1985, la persona che prendeva parte all’incontro settimanale del Club insieme all’alcolista e alla sua famiglia, era definita “terapeuta”101. Come è facile intuire dal termine utilizzato, il Club degli albori aveva una concezione dell’alcolismo ancora molto vicina a quella di malattia, dove la figura del terapeuta rivestiva un ruolo di implicito potere mentre la famiglia si collocava ad un livello di subordinazione. Inizialmente, lo scopo del programma era di ottenere l’astinenza e il coinvolgimento della famiglia doveva fungere da sostegno all’alcolista, ritenuto ancora unico portatore di disagio. Nel 1985 ad Opatija si svolge il Congresso dei Club e dalle parole dello stesso Hudolin il terapeuta si trasforma in “operatore”, portando con sé un sostanziale mutamento. Il concetto di alcolismo come malattia infatti, cede il passo alla definizione di problemi alcolcorrelati come forme di comportamento o stili di vita e scompare l’idea di intervento terapeutico nel senso classico della parola. L’intero nucleo familiare viene coinvolto come portatore ad un tempo di disagio e di risorse, e il Club diviene contesto per lo sviluppo dell’aiuto reciproco tra tutti i membri che lo compongono. L’operatore conosce i problemi alcolcorrelati, facilita e stimola la comunicazione e il processo di cambiamento, ma non è né padrone né responsabile del Club anche se ne conosce e tutela il funzionamento. Nel passaggio successivo l’operatore diventa “servitore”, termine che arricchisce di nuovo significato questa figura, la quale mette a disposizione delle famiglie del Club e della comunità locale le proprie conoscenze. Nel 1996 alla denominazione di “servitore” si aggiunge quella di “insegnante”, indicando che ciascun servitore, oltre ai tradizionali compiti, acquisisce anche quelli di formazione per i futuri servitori insegnanti e di insegnamento nelle 101 Tosi A., L’evoluzione dal concetto di “terapeuta” a quello di “servitore insegnante” in Club degli alcolisti in trattamento, AA.VV., Scuola Europea di Alcologia e Psichiatria Ecologica, Trieste, 2001, pag. 154 105 Scuole Alcologiche Territoriali. Secondo il pensiero di Hudolin, il servitore è insegnante in quanto compie opera di sensibilizzazione e sostegno per le persone e le famiglie dei Club e della comunità intera, al fine di abilitarle ad aiutare e proteggere sé stesse. Così facendo, si contribuisce simultaneamente al rinnovamento della società e alla difesa e promozione del benessere collettivo. Il servitore insegnante è una persona che ha acquisito le conoscenze fondamentali in merito ai problemi alcolcorrelati, e lavora all’interno del Club ricoprendo il ruolo specifico di catalizzatore del processo di cambiamento verso nuovi comportamenti e stili di vita. Il servitore insegnante cresce e matura insieme al Club di cui fa parte, stimolando le condizioni per il cambiamento e scegliendo uno stile di vita sobrio. Il rapporto tra servitore e famiglie è un rapporto che deve mantenersi sempre egualitario, prescindendo dalla qualifica professionale di chi ricopre questo ruolo. Le caratteristiche che un servitore insegnante deve possedere sono indubbiamente doti umane quali la capacità di ascolto e comunicazione, ma non va trascurata la preparazione professionale per il lavoro all’interno del Club. 5.4.1. La formazione dei servitori insegnanti La formazione e l’aggiornamento sono fondamentali non solo per i servitori insegnanti, ma anche per le famiglie dei Club e della comunità 102. Vediamone le tappe: • Il Corso di Sensibilizzazione: la durata è di una settimana per un totale di 50 ore. Esso offre l’informazione di base per il futuro servitore insegnante che acquisisce conoscenze e consigli di tipo pratico e metodologico per l’abilitazione al lavoro nel Club. • I Corsi di Aggiornamento: oltre che dal lavoro pratico, ulteriore crescita formativa viene raggiunta dai corsi di aggiornamento che consistono in corsi tematici della durata di 2-3 giorni. Naturalmente, contribuiscono all’aggiornamento anche i convegni nazionali e gli incontri degli Interclub locali, regionali e nazionali. 102 Si veda: Hudolin V., La formazione di base dei servitori-insegnanti dei Club, in Club degli alcolisti in trattamento, AA.VV., Scuola Europea di Alcologia e Psichiatria Ecologica, Trieste, 2001, pag. 157 e seguenti 106 • La Scuola di Specializzazione in Alcologia: offre ai servitori insegnanti ulteriore possibilità di perfezionamento e la possibilità di confronto con le esperienze maturate in altre regioni. Altro scopo fondamentale della Scuola di Specializzazione è la formazione dei formatori, ovvero la preparazione dei servitori insegnanti ad un futuro insegnamento nei corsi di Sensibilizzazione e Aggiornamento. 5.4.2. La Scuola Alcologica Territoriale La Scuola Alcologica Territoriale 103 è un momento formativo che accompagna tanto il percorso delle famiglie nei Club, quanto la maturazione culturale della comunità rispetto alle problematiche alcolcorrelate. Si compone di tre moduli rivolti a destinatari diversi: • Scuola di primo modulo: è rivolta alle nuove famiglie che entrano nei Club di una zona. Lo scopo è informare, offrire spiegazioni sulla vita del Club e sensibilizzare. Si svolge in un ciclo di 8-10 incontri della durata di due ore. • Scuola di secondo modulo: è rivolta alle famiglie che già frequentano il Club. Lo scopo è l’aggiornamento e si svolge in almeno due incontri all’anno. • Scuola di terzo modulo: è rivolta alle famiglie della comunità locale al fine di informare e sensibilizzare in merito alle problematiche alcolcorrelate. Occupa due serate in giornate consecutive della durata di circa due ore. Il compito di docente è affidato ad un servitore insegnante il quale ricopre questo ruolo per l’intero ciclo di durata della scuola, in modo da stabilire con i partecipanti una relazione di tipo empatico, in linea con la filosofia della mutualità e dello scambio di esperienze che pervade l’intera attività dei Club. 103 Musso L., La scuola alcologica territoriale e il suo funzionamento, in Club degli alcolisti in trattamento, AA.VV., Scuola Europea di Alcologia e Psichiatria Ecologica, Trieste, 2001, pag. 173 e seguenti 107 5.5. IL METODO ECOLOGICO SOCIALE E I SERVIZI Come è stato più volte sottolineato, il processo di crescita e cambiamento che viene lentamente avviato all’interno dei Club e che accompagna le famiglie per tutta la vita, porta a maturare un ruolo di attivi tutori e promotori della salute nella comunità. In merito al significato del termine “promozione”, ben si esprime a mio avviso Ingrosso104, il quale ritiene che “il punto focale di tale processo non stia nel divenire sani, ma nello sviluppo di un concetto positivo misurabile dalla capacità di valorizzare la dignità, di incrementare il controllo e le risorse della gente, di apprendere modalità utili per far fronte ai bisogni secondo le proprie aspirazioni, in qualunque condizione fisica il soggetto si trovi. La salute diventa risorsa, incremento di potenzialità, processo in divenire, mentre fattore imprescindibile affinché tutto ciò possa realizzarsi, è il contesto ampiamente inteso. Il contesto specifica la salute delle persone e ne definisce il carattere ecologico, ovvero il rapporto tra individuo e nicchia ambientale nella quale si svolge giorno dopo giorno la sua vita”. L’esperienza nei Club degli alcolisti in trattamento dimostra in modo pratico come sia possibile raggiungere gli obiettivi di promozione della salute partendo dalla famiglia, unità minima di riferimento, e dalla comunità locale, per avviare un lento processo di cambiamento della dominante cultura alcolica, agendo all’interno dei sistemi sociali nei quali le persone vivono e lavorano105. Il lavoro del Club, proponendosi come nuovo modello culturale, viene a collocarsi a pieno titolo nella rete dei servizi, mentre l’individuo e la famiglia divengono responsabili del mantenimento e della promozione della propria salute. L’espressione “lavoro di rete” sottintende una possibile modalità di risposta comunitaria ai bisogni dell’uomo costituita da collegamenti e interazioni, pertanto è facile pensare al Club come ad un nodo essenziale nella rete per la tutela e la promozione della salute in merito alle problematiche alcolcorrelate. In quanto associazione calata nella società e aperta agli influssi che da questa pervengono, il Club entra in contatto sia con le reti informali, ovvero altre 104 Ingrosso M., La costruzione sociale della salute, Università degli Studi di Parma, Istituto di Sociologia, 1992 tratto da: Orlandini D., Di Pieri M., Scacchi L., Glossario della prevenzione delle dipendenze, pag. 55-56 105 Si veda in proposito: Tassin D., Le dipendenze tra scuola, famiglia e società, Atti del Corso di Formazione e Informazione per insegnanti. 108 associazioni e gruppi di volontariato, sia con le reti formali come i servizi sociali e i servizi sanitari, ma anche i comuni, le parrocchie, eccetera. Il Club “fa rete” con questi servizi, offre la propria conoscenza ed esperienza riguardo ai problemi alcolcorrelati e innesta il seme del cambiamento nello stile di vita nella comunità di appartenenza. In questo senso, l’Approccio Ecologico Sociale contribuisce alla costruzione di una “comunità competente” che sia in grado di individuare i propri bisogni e di mobilitare le risorse che possiede per soddisfarli. 5.6. LE TAPPE EVOLUTIVE DEI C.A.T. Il primo Club degli alcolisti in trattamento viene aperto nel 1964 a Zagabria per iniziativa, come più volte detto, del professor Vladimir Hudolin (1922-1996), psichiatra croato ed esperto di fama internazionale sui problemi alcolcorrelati. In Italia il primo Club nasce nel 1979 a Trieste, dopo un periodo di successo e di rapida diffusione non solo in Croazia, ma in tutto il territorio dell’ex Jugoslavia. Nel 1980 viene fondata la prima Associazione dei Club degli alcolisti in trattamento in Italia e successivamente, nel 1985, vengono organizzati i primi corsi di sensibilizzazione che contribuiscono alla nascita e allo sviluppo dei Club in tutto il territorio nazionale. La rapida diffusione dei Club in Italia determina un nuovo fermento all’interno dei servizi pubblici, i quali cominciano ad attivarsi aprendo servizi di algologia, prima inesistenti, e avviando, in alcune regioni, una stretta collaborazione con il mondo dei Club. Attualmente sul territorio nazionale sono presenti 2232 Club, riuniti in Associazioni locali (A.C.A.T., Associazione dei Club degli Alcolisti in Trattamento), regionali (A.R.C.A.T., Associazione Regionale dei Club degli Alcolisti in Trattamento) e nazionale (A.I.C.A.T., Associazione Italiana dei Club degli Alcolisti in Trattamento). 109 TABELLA 2- NUMERO DI CLUB PER REGIONE IN ITALIA NUMERO DI C.A.T. REGIONE PER REGIONE VALLE D’AOSTA 7 PIEMONTE 224 LOMBARDIA 310 LIGURIA 66 PROVINCIA DI TRENTO PROVINCIA DI BOLZANO VENETO 170 FRIULI VENEZIA GIULIA EMILIA ROMAGNA 257 TOSCANA 171 MARCHE 13 UMBRIA 32 LAZIO 38 ABRUZZI 19 MOLISE 10 CAMPANIA 26 PUGLIA 55 BASILICATA 13 CALABRIA 30 SICILIA 29 SARDEGNA 85 17 537 123 Fonte: www.aicat.net/club_italia.htm DATI AGGIORNATI AL 31/01/2005 110 Si evince, dai dati illustrati nella tabella, che le regioni con maggior numero di C.A.T. sono quelle del Nord, con particolare riferimento al Nord-Est dal quale è partito lo sviluppo nel nostro Paese. Attualmente in Italia il numero di Associazioni locali è salito a 235 A.C.A.T., mentre sono 21 le A.R.C.A.T. Negli ultimi anni i Club degli alcolisti in trattamento si sono diffusi anche in altri paesi: Svizzera, Spagna, Russia, Grecia, Brasile, Ecuador, Bolivia, Cile, ecc. 111 CONCLUSIONI Ogni anno circa trentamila persone muoiono per alcolismo, mentre un numero ancora superiore è costretto a fare i conti quotidianamente con le ampie strisce di sofferenza che il fenomeno trascina con sé. Come abbiamo visto però, di fronte al dramma di questa autentica epidemia sociale, non esiste ancora una definizione univoca del termine “alcolismo”, poiché ogni disciplina, coinvolta a vario titolo nella ricerca, ne possiede una propria. Una breve panoramica sul rapporto fra uomo e alcol attraverso i secoli, mostra chiaramente come il consumo di bevande alcoliche risalga agli albori della storia e sia da sempre considerato un momento aggregante, legato all’immagine della convivialità e dello stare insieme. Sono stati illustrati gli approcci all’alcolismo che in momenti storici differenti hanno costituito il modello di riferimento dominante, fino a giungere ad una visione di tipo sistemico che restituisce al fenomeno la multidimensionalità che lo contraddistingue. La ricerca delle possibili cause dell’alcolismo, a partire dal modello genetico a quello psicologico a quello socio-culturale, ha portato a concludere che nessuna prospettiva univoca può considerarsi adeguata per affrontare una alcolcorrelata. problematica Sono stati multifattoriale approfonditi e alcuni complessa aspetti come quella fenomenologici dell’alcolismo con particolare attenzione all’alcolismo femminile e al rapporto donna-alcol lungo le diverse epoche storiche. A conclusione di un quadro generale di presentazione, ho ritenuto opportuno fare riferimento alla Legge n.125 del 30 marzo 2001 in materia di alcol e di problemi alcolcorrelati, che ha unificato e in parte modificato, in un unico corpo legislativo, le norme esistenti su questo tema. Dalla trattazione emerge che la condizione dell’alcolista è totalizzante al punto da invadere ogni sfera dell’esistenza, ed è per questo che la pratica dell’auto-mutuo aiuto ben aderisce all’esigenza di affrontare il disagio attivando sostegni continuativi e integrati nella quotidianità. La dimensione della mutualità, ben lontana dall’intervento asettico e preconfezionato che caratterizza i servizi 112 tradizionali, utilizza le risorse umane di base come le relazioni e le comunicazioni interpersonali. In questo modo anche il soggetto cosiddetto “problematico” si riconosce portatore di energie e competenze per aiutare se stesso e per aiutare altre persone con analoghi vissuti. Si può così facilmente comprendere il motivo per cui i gruppi di auto-mutuo aiuto vengano a ragione definiti “catalizzatori” di risorse umane, considerate come preesistenti in ciascun soggetto, anche se in forma larvata o compromessa da fattori di varia origine. Nell’esposizione sono stati presi in considerazione i due principali gruppi di automutuo aiuto presenti sul territorio nazionale: Alcolisti Anonimi e Al-Anon per i familiari e amici di alcolisti, e i Club degli alcolisti in trattamento. In Alcolisti Anonimi la dipendenza dall’alcol viene affrancata dall’idea di un vizio da estirpare e viene considerata una vera e propria malattia del corpo e dello spirito. Il fulcro del metodo di recupero in Alcolisti Anonimi era già chiaro ai padri fondatori dell’associazione, entrambi con durissime storie di alcolismo alle spalle, i quali si resero conto che un alcolista che ha smesso di bere ha una grandissima capacità di raggiungere e aiutare l’alcolista che ancora beve. L’alcolista sobrio si pone come esempio vivente che dal problema si può uscire, suggerisce un modo valido per riuscirci e nel contempo mantiene e consolida la propria sobrietà. Il programma di recupero di A.A. è basato sui “Dodici Passi” e su un’ampia letteratura messa a punto negli anni dagli stessi membri dell’associazione, e che fornisce utili suggerimenti pratici e spirituali per imbrigliare la sobrietà giorno dopo giorno. In questi gruppi non vi sono figure professionali di alcun tipo, solo alcolisti che aiutano altri alcolisti a non bere. Per diventare membro è sufficiente il desiderio di smettere di bere, non ci sono quote associative, né tantomeno registri in cui si annotano le presenze. L’associazione si autofinanzia e non accetta contributi dall’esterno. L’elemento fondamentale che forse spiega il moltiplicarsi e la fortuna dei gruppi A.A. dal 1972 in poi, è il principio dell’anonimato, punto cardine attorno al quale ruota l’intera impostazione del programma. Anonimato che non è solo garanzia di riservatezza su quanto si vede e si sente all’interno di un gruppo, ma che significa soprattutto “mettere i principi al di sopra delle personalità” (Dodicesima 113 Tradizione), evitare i riconoscimenti personali, porre un freno all’autoesaltazione, in una parola preservare l’uguaglianza di tutti i membri nel gruppo. Diversa è la metodologia nei Club degli alcolisti in trattamento, come si è potuto vedere. Costituiti da comunità multifamiliari aperte e radicate nelle comunità di appartenenza, essi rappresentano l’applicazione pratica dell’approccio Ecologico Sociale. L’obiettivo nei Club è l’elaborazione di un comportamento, di uno stile di vita diverso per il raggiungimento di una migliore qualità della vita stessa. In questo tipo di associazione viene richiesto il coinvolgimento di tutta la famiglia, in linea con il principio secondo cui non è solo l’alcolista a dover essere investito dal cambiamento, ma ogni persona che lo circonda. Nei C.A.T. opera un servitore-insegnante opportunamente formato che assume specifici compiti all’interno del gruppo e che mette a disposizione, oltre a personali abilità umane e comunicative, anche la propria professionalità in termini di preparazione in materia di problematiche alcolcorrelate e anche di lavoro pratico. Come più volte ricordato, il Club è parte integrante della comunità in cui si trova e il lavoro che viene portato avanti nel gruppo di famiglie non rimane in esso confinato, ma contribuisce al cambiamento e alla crescita sociale ampiamente intesa. Da qui il considerevole apporto alla protezione e promozione della salute che da molti anni contraddistingue l’operato dei Club degli alcolisti in trattamento. Nell’esposizione dei tratti distintivi di questi gruppi, emerge con chiarezza che, tolta la dimensione della mutualità dell’aiuto che li sostanzia e l’indubbia validità di entrambi per il recupero dall’alcolismo, rimangono ben pochi aspetti somiglianti. Per sottolineare alcune peculiarità dell’uno e dell’altro gruppo, basta ricordare che per A.A. la partecipazione ai gruppi è completamente anonima e ciascun membro può liberamente frequentare più gruppi presenti sul territorio. Il programma di recupero di Alcolisti Anonimi, fondato sui “Dodici Passi”, richiede inoltre una buona capacità introspettiva e l’impostazione è molto orientata alla dimensione personale del soggetto. Nelle riunioni dei gruppi A.A. sono presenti solo ed esclusivamente alcolisti, mentre familiari e amici si incontrano in luoghi differenti e costituiscono gruppi a parte: il gruppo Al-Anon e il gruppo Al-Ateen per figli adolescenti di alcolisti. Questi gruppi si riuniscono 114 insieme solo una volta al mese, mentre per il resto degli incontri il percorso segue due strade distinte tra alcolista e familiare e ciascuno è tenuto a non rivelare quanto accade nelle sedi separate. Va precisato che la mancata frequentazione del gruppo dell’alcolista o del familiare non preclude all’altro di parteciparvi. Inoltre, il fatto che tra i membri dei rispettivi gruppi non debba esservi comunicazione in merito ai vissuti esposti durante le riunioni, serve principalmente ad evitare che si inneschino meccanismi controproducenti, specie quando il percorso di recupero è da poco iniziato. Questo non è però un obbligo che va osservato illimitatamente; spesso accade, ad esempio, che mogli e mariti o genitori e figli che si incontrano nella riunione aperta, scelgano liberamente di raccontare le proprie esperienze, segno del raggiungimento di un buon livello di recupero. Nei C.A.T. è prevista invece la figura del servitore-insegnante e vi prende parte, insieme all’alcolista, l’intero gruppo familiare. L’appartenenza a un determinato gruppo resta fissa in modo da assicurare continuità al percorso di cambiamento avviato. Inoltre, la definizione di alcolismo fornita dall’approccio Ecologico Sociale si discosta notevolmente da quella di Alcolisti Anonimi; per l’uno è da considerarsi un comportamento, uno stile di vita, per l’altro è una malattia e in quanto tale, esonera l’individuo dall’assunzione di responsabilità. La vita del Club si estende e coinvolge la comunità, basti pensare alla Scuola Alcologica Territoriale e al lavoro di informazione e sensibilizzazione che svolge in merito alle problematiche alcolcorrealte. Concludendo, in linea con l’impostazione libera e flessibile che ho ricevuto durante il periodo di tirocinio al Ser.T. dell’U.L.S.S. n.1 di Belluno, ritengo che la figura dell’educatore, in qualunque contesto venga inserita, debba conoscere e proporre le possibilità di sostegno mutuale presenti nel territorio, per far sì che ogni singola persona possa liberamente e consapevolmente scegliere il proprio cammino di recupero. 115 BIBLIOGRAFIA Associazione Italiana Club degli Alcolisti in Trattamento, sito ufficiale www.aicat.net Bollettino Ministeriale per le farmacodipendenze e l’alcolismo disponibile in rete, www.unicri.it/min.san.bollettino/default_en.htm Cerizza G., Leonzio R., “ALCOL, quando il limite diventa risorsa”, Franco Angeli 1998 Corlito G., “L’approccio ecologico-sociale e la psichiatria”, Centro Studi Europeo S.Francesco per i problemi alcol-droga correlati, Padova, 1996 Corlito G., Santioli L., “Vladimir Hudolin, Psichiatria sociale e alcologia: un pensiero vivo per il nuovo millennio”, Erickson, Trento, 2000 Donati P., Folgheraiter F., “Gli operatori sociali nel welfare mix”, Centro Studi Erickson, Trento, 1999 Emiliani F., Zani B., “Elementi di psicologia sociale”, Il Mulino, Bologna, 2000 Folgheraiter F., “Interventi di rete e comunità locali, la prospettiva relazionale nel lavoro sociale”, Centro Studi Erickson, Trento, 1994 Folgheraiter F., Maguire L., “Il lavoro sociale di rete. L’operatore sociale come mobilizzatore e coordinatore delle risorse informali della comunità”, Erickson, Trento, 1995 116