A∴ ∴G∴ ∴D∴ ∴G∴ ∴D∴ ∴U∴ ∴ MASSONERIA UNIVERSALE COMUNIONE ITALIANA LIBERTA' - UGUAGLIANZA – FRATELLANZA VALLE DEL PO PRIMO CENTENARIO della R∴ ∴M∴ ∴L ∴ A U S O N I A ALL' OR∴ ∴ DI TORINO 8 ottobre 1859 E∴ ∴V∴ ∴ 8 ottobre 1959 E∴ ∴V∴ ∴ PREFAZIONE Nel corrente anno 1959 cade il 1° Centenario della Fondazione della M.'. L.'. AUSONIA e del GR.'. Or.'. d'AUSONIA. Ricordare su documenti storici quell'avvenimento, compagno del Risorgimento Italiano e dello sviluppo civile, sociale, economico dei popoli, ricordare con grato animo le benemerenze di quei pionieri è l'intento di questo opuscolo, che, celebrando nomi e fatti degni di ricordo, vuole additare ai Massoni, posteri non degeneri, la via del dovere e del sacrificio per contribuire all'avvento di un'umanità migliore. Fr.'. F[lorio] F[oa] Gran Maestro Onorario ad Vitam TENTATIVO DI OBBIETTIVITA’ Due temperamenti forti e contrastanti, due concezioni opposte, due finalità differenti: Cavour e Mazzini. Si celebra il centenario del reale inizio della guerra per l'indipendenza e l'unità ed è naturale che si cerchi quali elementi hanno contribuito a preparare quegli avvenimenti che, sognati per secoli da grandi Italiani, parevano tuttora irrealizzabili per la secolare divisione interna, per gli interessi esterni impossibili a comporsi tra le Potenze europee, per le tradizioni lungamente oppressive, per la dominazione straniera imposta con le armi, per la presenza della Chiesa di Roma contraria ad ogni mutamento non solo per la sua esistenza di potere temporale, ma per i rapporti politici con gli Stati oppressori e per l'avversione al movimento liberale e unitario. Non si può nemmeno negare l'esistenza di contrasti tra coloro, che, pure sinceramente desiderosi di modificare le condizioni imposte all'Italia dalla Santa Alleanza, vedevano con diversa visuale la possibilità di risoluzione dell'arduo problema. E questo, bisogna riconoscerlo, si presentava dopo la Rivoluzione Francese con elementi del tutto differenti da quelli del passato e le coscienze degli Italiani si erano risvegliate al soffio di libertà che dalla Francia era passato al di qua delle Alpi e trovava non solo uomini di lettere, ma gente del popolo preparati e disposti ad agire, a lottare, a correre i pericoli che l'impresa comportava. Si deve tuttavia riconoscere che le due figure preminenti (accanto a quelle di molti altri validi artefici del Risorgimento) furono quelle di Cavour e Mazzini. Nella valutazione che si suol fare dell'uno e dell'altro è facile cadere nell'errore di tutto attribuire all'uno con esclusione dell'altro. Qui tentiamo appunto di considerare obbiettivamente l'opera di entrambi per concludere che essi si completarono e che parvero nati con la loro differente personalità perché lo scopo si raggiungesse. I due temperamenti, formati dall'ambiente di diversa origine, si presentano forti e contrastanti fino al punto di trasformare in odio da una parte e dall'altra i sentimenti, che, per essere disinteressati, potevano rimanere allo stato di opposizione; Cavour odiò Mazzini e Mazzini mescolò nell'odio Cavour e Napoleone III, nonché la politica che derivò dai loro rapporti. Non mi pare che porti a diversa interpretazione lo sfogo di Cavour, che dopo Villafranca minacciava di farsi mazziniano e rivoluzionario né la momentanea favorevole disposizione a pacificazione, quando la guerra fu dichiarata. Le concezioni erano troppo lontane perché potessero mai trovare un comune denominatore: Cavour, piemontese di nascita, nobile di famiglia, diplomatico per tendenza, legato alla Casa di Savoia e dall'abitudine di vita e forse da inconscio atavismo e dalla persuasione che la monarchia fosse elemento di ordine e di successo nelle prove da tentare; inoltre circondato da una larga schiera di uomini eccellenti, devoti e tutto intesi a favorirne con l'appoggio personale, con mezzi finanziari, con la propaganda fra il popolo per mezzo della parola e degli scritti, nelle Associazioni nazionali e nelle Società segrete, le volontà. Mazzini, ligure d'origine, idealista fino all'apostolato, lontano da ogni abilità diplomatica, fermo nei principi da anteporre ad ogni specie di machiavellismi, immutabile sognatore anche nel carcere, nell'esilio, nella solitudine, nello stesso abbandono degli amici più intimi e più fidati; inoltre religiosamente repubblicano con fiducia illimitata nel popolo, dall'educazione del quale vedeva sorgere una nuova Italia, ancora maestra di civiltà al mondo. Infine le finalità furono differenti e là dove Cavour arrivò soltanto a seguito degli avvenimenti incalzanti, Mazzini si trovò fin da giovane, senza mutare mai nulla del programma, nonostante le delusioni, le amarezze, i rovesci. Cavour non si propose da principio che la liberazione dell'Alta Italia e l'indipendenza dall'Austria e questo solo credeva di poter raggiungere con le forze militari del re, con le schiere dei volontari e con le forze francesi. Mazzini insistette sempre nel principio unitario repubblicano, tutto aspettando dall'insurrezione popolare. E Cavour ebbe la soddisfazione di vedere rapidamente superate tutte o quasi tutte le difficoltà che impedivano l'unità e di assistere alla proclamazione del regno d'Italia; Mazzini vide raggiunta l’unità con Roma capitale, ma non soddisfatto del modo in cui le cose si erano svolte e obbligato a nascondersi, considerato straniero nella patria da lui vagheggiata, per la quale tanto aveva sofferto tutta la vita. Ora, quale parte spetta all'uno e all'altro nel giudizio nostro? E prima di tutto quale parte ebbe Mazzini, il quale, a giudicare dai continui insuccessi, sembra estraniato dalle concrete realizzazioni ottenute tra il 1859 e il 1870? Se si considerano i moti direttamente preparati dal Maestro con sforzi per quei tempi enormi e quelli di ispirazione mazziniana dei fratelli Bandiera, di Carlo Pisacane, bisogna riconoscere che non raggiunsero lo scopo soprattutto perché al loro entusiasmo non corrispose l'aiuto delle popolazioni impreparate e che, soffocati nel sangue, non servirono per il momento che a gettare sgomento, sconforto e rimpianto per le vittime, oltrechè imprecazioni contro l'ispiratore. Fu anche errore di Mazzini credere che il popolo rispondesse favorevolmente alle nobili iniziative di pochi entusiasti: il popolo non è avaro di azione e di collaborazione, quando i tentativi sono bene avviati verso una soluzione, ma non si improvvisa esecutore senza consapevolezza e preparazione sotto la guida di buoni capi. E i capi possono anche provenire dal popolo, ma sono individui formati dalla coltura, dalla conoscenza della storia, da aspirazioni ideali. Ma il sangue versato per la causa della liberazione dalla tirannide e per la libertà non è mai versato invano; esso lascia tracce indelebili e getta semi che al momento opportuno crescono in frutti meravigliosi. La propaganda mazziniana fatta all'interno e all'estero con ogni mezzo, oltre a creare degli eroi disposti al sacrificio di se stessi, come esempio di virtù e dedizione, penetrò largamente in ogni strato della penisola e quanti a migliaia accorsero da ogni parte d'Italia ad arruolarsi per la guerra di liberazione erano tutti ispirati dalla parola, dagli scritti, dai giornali di Mazzini o dai seguaci di Mazzini. E la «Giovine Italia» nella severità della scelta degli affiliati, con l'attività clandestina dei capi e degli adepti non cessò di infondere a largo raggio la persuasione che i tempi erano maturi per uscire di schiavitù per acquistare dignità di nazione civile. Principale merito di Mazzini fu la costanza: altri si ritirarono dalla lotta, altri mutarono bandiera; Egli per cinquant'anni seguì gli avvenimenti con il medesimo impegno, con la medesima fede della giovinezza, ma con animo tanto grande che in data 20 settembre 1859 scriveva a Vittorio Emanuele una lettera aperta, contenente, tra l’altro, queste parole: “Sire, io vi credo - e lo scrissi tre anni addietro quando i vostri mi condannavano a morte per avere tentato di promuovere con armi liguri il tentativo d'un eroe amico del sud - migliore dei vostri ministri e dei faccendieri politici che vi circondano. Credo che sia in voi una scintilla d'amore e d'orgoglio italiano... Sire, la guerra italiana non è finita; non è se non cominciata. Per voi le vittorie di Lombardia non devono costituirne che la prima campagna... affratellatevi al popolo, affratellatevi, senza tremarne, alla rivoluzione... date pegno al popolo di libertà: lasciate vita alla stampa, alle associazioni pubbliche, alla pubblica parola... la libertà non ha pericoli se non per chi ha in animo di tradirla. Dimenticate per poco il re, per non essere che il primo cittadino, il primo apostolo armato della nazione... E allora, Sire, quando in mezzo al plauso d'Europa, alla ebbrezza riconoscente dei vostri e lieto della letizia dei milioni e beato nella coscienza d'aver compiuto un'opera degna di Dio, chiederete alla nazione quale posto ella assegni a chi pose vita e trono, perché essa fosse libera ed una - sia che vogliate passare ad eterna fama tra i posteri col nome di preside a vita della repubblica italiana, sia che il pensiero regio dinastico trovi pur luogo nell'animo vostro - Dio e la Nazione vi benedicano. Io, repubblicano e presto a tornare in esilio per serbare intatta fino al sepolcro la fede della mia giovinezza, esclamerò nondimeno coi miei fratelli di patria: Preside o re, Dio benedica a Voi come alla Nazione per la quale osaste e vinceste”. A Cavour questa preparazione che costò sforzi indicibili e molto spargimento di sangue, sebbene egli non rifuggisse dai sistemi più antiliberali per colpire la diffusione del pensiero e dell'azione rivoluzionaria nella stampa, fu apportatrice del necessario, indispensabile aiuto all'impresa, alla quale si accingeva e che non avrebbe avuto successo, nonostante l'aiuto delle armi francesi. Egli stesso lo riconosceva, quando affermava che per la dignità nazionale era necessario accompagnare i soldati mandati da Napoleone III almeno con altrettanti uomini. Ma quali uomini? Non quelli arruolati per forza, ignari della bontà della causa, ma proprio quelli, che, preparati dalla propaganda mazziniana, erano disposti ad ogni atto eroico, perché avevano solennemente giurato di mettere ogni avere e la vita a servizio dell'idea per la libertà e l'unità della patria. Eppure la ponderatezza e l'abilità di Cavour erano indispensabili al raggiungimento dello scopo. E’ difficile, giudicando a posteriori, e a distanza dagli avvenimenti supporre quando si sarebbe risolto il fine del Risorgimento con gli scritti, con le pubblicazioni, anche con i tentativi generosi, simili a quelli fatti dal 1831, anno della ascesa al trono di Carlo Alberto fino al 1858. Gli storici affermano che uno degli errori commessi da Carlo Alberto nel dichiarare la guerra all'Austria fu l'affermazione che il Piemonte avrebbe fatto da se. Questo errore Cavour evitò, cercando di ottenere l'alleanza con Napoleone III, che a Mazzini appariva sempre l'uomo del colpo di stato del 2 dicembre, ma che alla causa italiana ha portato un contributo notevole, forse decisivo. Dobbiamo cercare di separare gli avvenimenti che seguirono al 1859 (i moti e la liberazione delle regioni dell'Italia centrale, la spedizione garibaldina e la preparazione della liberazione del Veneto e di Roma, tutti fatti di ispirazione mazziniana e repubblicana) dal periodo che corse tra la I e la II guerra di indipendenza, perché quei dieci anni mostrano nella pienezza della preparazione, saggiamente condotta, la grandezza di Cavour. Insormontabili apparivano le difficoltà per qualunque azione si volesse tentare, verso qualsiasi meta più o meno ampia e lo stesso insuccesso del 1848-49 non poteva che deprimere gli animi, distruggendo ogni fiducia in una favorevole ripresa. Esercito depresso e malfornito, finanze esauste, mancanza di capi, agricoltura abbandonata, miseria nella popolazione. Diciamolo francamente: la propaganda mazziniana non serviva a vincere questi mali. Vi si accinse Cavour con serietà, con competenza, con una fede differente da quella del suo antagonista, Mazzini, ma altrettanto cocciuta e più pratica. Egli non credette nelle disposizioni rivoluzionarie e improvvisate del popolo, ma pensò di valersi di tutti i mezzi che le circostanze gli presentavano: le forze ordinate, militarmente preparate, i volontari, gli aiuti stranieri. L'opera di Mazzini durò tutta la vita, quella di Cavour poco più di un decennio, perché, se l'esperienza acquistata nei viaggi e nelle lunghe permanenze all'estero permisero acute osservazioni su ambienti, uomini, istituzioni, la parte attiva dedicata al Risorgimento della patria accompagnò soltanto gli anni maturi, quelli seguiti al disastroso esperimento della I guerra all'Austria. Ma quale intensità di opera! raccolta una eredità passiva dopo la sconfitta, e una fatica instancabile, intesa a rendere probabile, se non certa, la riuscita. Infatti l'esito della campagna fu fortunato, come sappiamo, nonostante l'interruzione causata dalla pace di Villafranca, che sconvolse i piani iniziali e lasciò sotto il dominio dell'Austria il Veneto, che avrebbe dovuto essere redento fin d'allora. Quanta fermezza occorse nella preparazione! quanti ostacoli da superare! quanti sempre nuovi e impensati avvenimenti ad ogni passo, prima di giungere alla conclusione! Come dice Machiavelli, sono le circostanze estreme che dimostrano l'eccezionale abilità degli uomini. Ma questi uomini devono avere una fede incrollabile non disgiunta da capacità seria e pratica e conclusiva perché sappiano non soltanto cogliere le occasioni, ma lottare contro tutte le avversità con titanico sforzo. Come introdurre il piccolo Piemonte nella politica delle grandi Potenze? L'occasione è offerta dalla guerra di Crimea e l'intervento di un piccolo, ma coraggioso corpo di spedizione permette a Cavour di partecipare al Congresso della pace. Come ottenere quell'aiuto che è ritenuto indispensabile nella lotta contro un nemico potente e agguerrito? Ed ecco la diplomazia rivolta a sfruttare ogni elemento ritenuto favorevole e ad annullare quelli contrari. Ma quanti contrasti da vincere all'interno ed all'estero! quanta amarezza da trangugiare! quanta efficacia di persuasione verso gli avversari e contro le opposizioni variamente interessate dell'estero! E l'attentato Orsini, che minacciò di distruggere tutta l'opera preparata con prudenza, con destreggiamento, con costanza? Il problema dell'indipendenza della patria meritava la fortuna della riuscita, ma la capacità di Cavour meritava il premio della vittoria. E appunto tutte queste considerazioni lasciano comprendere l'irritazione di Cavour, quando giunse la notizia della pace separata di Villafranca. E non ebbe la fortuna di vedere l’Italia tutta libera e unita, ma dallo svolgimento degli avvenimenti posteriori, mentre era ancora vivo, trasse la sicura previsione di quanto era fatalmente inevitabile e poteva con intimo compiacimento, davanti ai rappresentanti delle regioni liberate, proclamare l'8 maggio 1861 nel Parlamento Subalpino il Regno d'Italia con Roma capitale. Due grandi figure che meritano di essere accoppiate perché apparvero necessariamente operanti, sebbene con metodi differenti e per lo più dissenzienti, al fine dell'indipendenza e dell'unità della patria. La mentalità, la situazione differente di chi ha la responsabilità di governo e di chi sente l'imperativo della responsabilità morale, l'ambiente diverso in cui si svolse l'azione dell'uno e dell'altro li tennero divisi senza la possibilità di intendersi e di essere concordi nei mezzi per il raggiungimento del fine idealmente e praticamente identico, ma la storia con giudizio sereno non può che riconoscerli entrambi fattivi fino a conchiudere che senza quella divergenza feconda il Risorgimento non avrebbe avuto così felice né così rapido esito. Ad essi e questa e le generazioni che verranno devono imperitura riconoscenza col pensiero che per opera loro gli Italiani hanno superato la secolare umiliante condizione di sottomissione e di separazione e poterono considerarsi ed essere considerati pari fra le nazioni civili, dopo che divennero liberi ed uniti. Cavour e Mazzini, che dovevano entrambi influire cosi efficacemente sulla vita della Massoneria Italiana, l'uno in senso patriottico e liberale, l'altro in senso patriottico ed insieme universale, l'uno rivolto alle vicende contingenti, non anteponendo mai le idee ai fatti, ma unendo i fatti con le idee, I'altro con una visione più filosofica, più religiosa, più assoluta, l'uno fondando tutta la pratica e I'azione sull'attualità, I'altro sui principi, ricavarono dalla Massoneria l'indirizzo da seguire per il raggiungimento dei fini comuni. Senza una fede profonda nella bontà della causa, non avrebbero lottato strenuamente contro tradizioni secolari, contro la potenza della Chiesa di Roma, non tanto dominatrice delle coscienze in senso spirituale, quanto dominatrice delle anime pavide e superstiziose con il terrore dell'al di là Ma la Massoneria insegna che la vita è lotta, che la patria non si conquista solo con l'affermazione del diritto, ma con la ferma volontà trasformata in azione, che l'umanità progredisce per gli sforzi volonterosi degli eletti contro lo spirito di conservazione dei privilegiati. Cavour e Mazzini con diversa visione e per diverse vie interpretarono - massonicamente - i bisogni del momento e le possibilità patriottiche e sociali dell'avvenire; essi prepararono il cammino a quelli che vennero dopo e a noi, ai quali si presentano ostacoli assai più gravi e più complessi e ai quali l'esempio degli uomini che furono deve essere non solo modello, ma stimolo a perseverare perché il trinomio massonico non sia soltanto inciso sui frontoni dei Templi, ma si attui in giorno non lontano nella pace e nell'uguaglianza fra gli uomini. Fr.'. F[lorio] F[oa] Nota: Per cortese concessione del Fr.'. Pietro GASCO - Venerabile a vita ad honorem - della R.'.L.'. Cavour-NUOVA Italia, abbiamo avuto dal Suo archivio personale le bozze di una pubblicazione del Fr.'. Pietro Buscaglioni, che non sappiamo se sia stata stampata in volume e diffusa. Per ricordare il 1° Centenario della Fonda zione della R.'. L.'. M.'. Ausonia (n. 11) dell'Or.'. di TORINO, ricaviamo quelle parti che più ci riguardano e che riteniamo più utili. Il Segr.'. L[uigi] C[ipriano] T. I FONDAZIONE DELLA LOGGIA AUSONIA Dopo la fortunata guerra del 1859, per il patto del non intervento straniero nelle cose d'Italia, tutto accennava possibile non solo l'indipendenza, ma anche l'unificazione della nostra Patria. Inoltre, dall'atteggiamento assunto dai numerosi esuli allora ospitati in Piemonte, specie da vecchi Massoni, si capiva pure facilmente che, conseguito un simile bene, le varie società segrete che per questo scopo si erano costituite nei diversi stati italiani si sarebbero tosto sciolte per far rifiorire in loro vece la Massoneria Nazionale. Prima di quell'anno la nobile Istituzione, in mezzo a tante agitazioni politiche e a tante persecuzioni a cui era fatta segno da parte degli antichi governi, non aveva potuto rinnovarsi regolarmente nella nostra penisola: le rarissime Loggie che clandestinamente si erano potute costituire lavoravano alla dipendenza di qualche Grande Oriente straniero, mantenendosi fra di loro in un completo isolamento perché forse dalle une non si sospettava nemmeno l'esistenza delle altre. Dalle memorie risalenti al periodo antecedente alla guerra del 1859 risulta che alcune Loggie sorte in Liguria e nella Lunigiana, non riuscendo a farsi riconoscere come regolari dai Grandi Orienti Europei, avevano finito per ottenere un simile favore dalla compiacenza della Massoneria del Perù. E’ noto come Napoleone III in sua gioventù avesse, stando a Roma, cospirato colla Carboneria contro il despotismo del papa. Divenuto Imperatore dei Francesi, diffidando delle sette italiane che si reputavano da lui tradite, aveva pensato di riorganizzare ufficialmente nella nostra penisola la Massoneria nella tema che, presto o tardi, ciò venisse effettuato dai suoi nemici. Per questo motivo nel 1856 sorgevano in Genova la Loggia «Il Trionfo Ligure», in Firenze «La Concordia» - entrambe gloriosissime - ed in Livorno «Gli Amici veri dei virtuosi»: tutte sottoposte all'obbedienza del Grande Oriente di Francia oltremodo ligio alla causa imperiale. E’ chiaro che Napoleone III, coll'incoraggiare la creazione di quelle Loggie, intendeva di istituire in Italia una Massoneria che avesse lo speciale incarico di paralizzare l'azione delle precedenti sette che, per l'uomo del 2 dicembre, non costituivano certo una garanzia, come doveva poi dimostrare l'attentato di Felice Orsini contro la di lui vita. Le Loggie, che verso il 1859 lavoravano sotto l'obbedienza dei Grandi Orienti stranieri, non erano però le prime che fossero nate in Italia dopo il congresso di Vienna il quale, col restaurare le antiche tirannie, aveva posto la nostra Istituzione nell'impossibilità di funzionare regolarmente. A Bari, per esempio, veniva fondata nell'aprile del 1834 la Madre Loggia Capitolare «Peucezia» che ebbe poi otto Loggie alla sua dipendenza, a Livorno veniva eretta nel 1846 la Loggia «Amicizia» la quale, dopo molti anni di vita indipendente, finiva come la precedente per sottoporsi nel 1861 al Grande Oriente Italiano sedente in Torino; nel 1854 i vecchi Massoni pure a Bari davano vita alla Loggia «I Liberi Armeni» la quale trasse sempre un'esistenza clandestina ed indipendente fino oltre il 1860. Non indifferente doveva essere il numero delle altre Loggie sorte in Italia nel critico periodo in cui si maturavano i destini della patria, ma, data la prudenza che dovevano usare per mantenersi in vita, è facile spiegarsi il motivo per cui non ne siano giunte fino a noi che delle memorie vaghe ed incerte. «I rivolgimenti politici, - scriveva un vecchio Massone nel 1867 - il dominio straniero che per la discordia nazionale ci avvinse lunghi anni, avversarono ulteriormente ogni regolare lavoro massonico nella penisola; pure ad ogni conato, ad ogni parziale aura di libertà che allietava la patria nostra, una Loggia Massonica sorgeva ad attestare che, fidenti nell'umana rigenerazione, proscritti dal trono e dall'altare, lavoravano i Fratelli della famiglia italiana. Firenze, Napoli, Palermo, poi Torino e molte città delle Romagne ebbero Loggie Massoniche che alimentarono il fuoco della libertà ed iniziarono quei centri rivoluzionari vivificatori, nei tempi della schiavitù, della tradizione, delle glorie italiane, e che alimentarono nel popolo eterno l'odio contro i tiranni, concultatori sempre, di libertà, eguaglianza e fratellanza nella famiglia umana». «Quando il genio di un uomo e la volontà del popolo rese possibile tra noi un regno nazionale, la Massoneria Italiana, uscendo dagli antri ove barbara prepotenza l'aveva confinata, ricomparve più bella e forte per i sostenuti lavori, essa si annunziava al mondo massonico ed alle famiglie consorelle cooperatrice del programma che è la nostra divisa» Nota: L'Umanitario (Organo del Grande Oriente di Palermo), Anno I, 6 novembre 1867, n. 30, pag. 1. E’ cosa certa che, negli anni in cui i despoti soffocavano tra di noi ogni manifestazione massonica, i più fervidi agitatori Italiani, oltrechè fondare in patria delle Loggie clandestine, ricorrevano all'aiuto delle Massonerie straniere, affigliandosi nelle Loggie di quegli Stati d'Europa e d'America in cui la nostra istituzione non era condannata. I nostri esuli - i quali, ove fosse mancata ogni possibilità di cimentarsi per la redenzione d'Italia, erano sempre pronti ad offrirsi in olocausto per la libertà altrui - venivano volentieri invitati a farsi iniziare nelle Loggie estere, perché ad essi si rivolgevano le maggiori sollecitudini dei Fratelli stranieri specie in quei centri ove maggiore era il fermento rivoluzionario. E non v'ha dubbio che un attento esame dei registri delle antiche Loggie di Londra, Parigi, Marsiglia, Ginevra, Bruxelles, Nuova York, ecc., ci darebbe il conforto di trovarvi iscritti i più bei nomi della emigrazione italiana, che dalla potente organizzazione massonica attingeva quella forza che le era necessaria per raggiungere, in mezzo ai più ardui cimenti, lo scopo di rendere l’Italia libera e una. Nei brevi periodi di libertà che si conseguirono durante i vari moti rivoluzionari scoppiati in Italia nel secolo scorso, la Massoneria era riapparsa or qua or là in tutte quelle regioni che erano riuscite a scuotere momentaneamente il giogo delle antiche tirannie. Ciò faceva prevedere che, allorquando si fossero definitivamente resi liberi i ducati e le legazioni che, allo scoppiare di quella guerra, erano insorti per unirsi al Piemonte, la Massoneria si sarebbe nuovamente riorganizzata nell'Italia Centrale per opera dei Mazziniani che avrebbero certamente cercato di assumere la direttiva. Simile previsione destava non poca preoccupazione in coloro che fidavano più specialmente nella iniziativa della monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II per conseguire la sospirata da secoli redenzione dell’Italia, e dava non poco ombra al governo piemontese il quale, costretto a fare buon viso all'elemento rivoluzionario in tutte quelle sollevazioni, non avrebbe poi potuto, dopo averlo aizzato, impedirgli di organizzare la Massoneria Italiana e servirsene per osteggiare la forma monarchica che intendevasi dare al regime della futura nazione. A togliere il governo da tanto imbarazzo sorsero i costituzionali della «Società Nazionale», allora capitanati da Giuseppe La Farina e Carlo Michele Buscaglioni, i quali, assecondando in simile frangente i suggerimenti del conte di Cavour, dopo le prime annessioni, pensarono di prevenire il partito d'azione nel ridare vita all'Ordine Massonico in Italia onde poterlo signoreggiare a loro talento, ed impedire che in esso potesse prevalere la fazione che vedeva nella costituzione repubblicana l'assetto preferibile all'Italia redenta. Si proposero adunque di fondare in Torino una Loggia completamente indipendente dai Grandi Orienti stranieri la quale, «rintracciando Fratelli dispersi e costruendo nuovi Templi, potesse rannodare attorno a se medesima la Famiglia Massonica d'Italia e delle coIonie e coadiuvare il movimento nazionale». I capi della «Società Nazionale» non stimarono prudente di mettersi subito alla testa dell'Istituzione, specialmente per non destare i sospetti e le gelosie del partito d'azione; pensarono invece di affidare il delicatissimo compito che si erano prefissi ad un insigne personaggio che era stato uno dei primi ad aderire con entusiasmo alla costituzione della «Società Nazionale», e portava un nome anche per altri motivi caro e venerato da tutti i patrioti italiani. Era costui il conte colonnello Livio Zambeccari che, durante le rivoluzioni del 1820 e 1821, aveva resi importanti servigi alla causa nazionale; che, costretto perciò ad esulare dall'Italia, era accorso nel 1823 in Spagna a difendere colà la costituzione minacciata dalla reazione europea; che nel 1826 in America si era cimentato in favore della libertà del popolo argentino, e che in seguito aveva preso parte a tutti i rivolgimenti italiani - organizzando quasi sempre i moti dell'Italia Centrale - e alle guerre della nostra indipendenza. Per opera adunque del colonnello Livio Zambeccari bolognese, coadiuvato da Filippo Delpino da Genova, stenografo alla Camera dei deputati; Carlo Flori da Reggio Emilia, avvocato; Francesco Cordey da Losanna, litografo; Sisto Anfossi da Dego, medico, vecchio cospiratore per la libertà italiana; Vittorio Mirano da Alessandria, commerciante; Giuseppe Tolini da Varallo e Celestino Peroglio da Palestro, professore universitario, il giorno 8 ottobre del 1859 venivano poste le basi dell'odierna Massoneria Italiana per mezzo della Loggia da essi fondata in Torino sotto il titolo distintivo di «Ausonia», antico appellativo d'Italia; fatidico nome opportunamente scelto perché ricordava ai vecchi Fratelli l'omonimo patto dei Carbonari, compendiava in se stesso le aspirazioni unitarie della Giovine Italia e della Società Nazionale e simboleggiava il pensiero dei più illustri patrioti italiani. I primi cinque verbali riguardanti la Loggia «Ausonia» e le due prime lettere relative al periodo della sua fondazione fanno parte dell'archivio lasciato da Felice Govean. Nota: Furono rinvenuti dal chiar.mo prof. Adolfo Colombo e da lui per la prima volta pubblicati ed illustrati nella «Rassegna storica del Risorgimento», (anno 1, fasc. 1). L'articolo è intitolato: «Per la storia della Massoneria nel Risorgimento Italiano». Sono documenti di un'importanza eccezionale per la storia del nostro Ordine e della Loggia suddetta. Il verbale che inizia la storia dell'AUSONIA e della nostra MASSONERIA NAZIONALE e così concepito: «Atto primitivo del Grande Oriente Italiano costituitosi nella Valle di Torino. «A Gloria del Grande Architetto dell'Universo». «Sette Fratelli dispersi, essendosi trovati in questa città di Torino, convennero di gettare la pietra di un Tempio, per ivi proseguire nei loro lavori. «Trovato un luogo coperto agli sguardi dei profani, alla mezzanotte dell'otto corrente ottobre 1859 si aprì la Loggia nel grado di Maestro; si passò alla nomina del Venerabile di età e ad unanimità fu eletto il Fratello Delpino, quindi a quelle dei vice Sorveglianti che riuscì ai Fratelli Zambeccari e Peroglio. «Dopo vari discorsi sull'attività dei Liberi Muratori a vantaggio dell'umanità, si venne a trattare del come riunirsi alla gran famiglia Massonica onde regolarmente essere costituiti e riconosciuti da tutti i Fratelli dell'Universo. «Un Fratello disse di credere che in Genova esistesse una Loggia sotto il titolo di "Unione dei Cuori" e trovarsi nella discesa che costeggia il Palazzo Ducale partendo da piazza Carlo Felice per scendere alla via delle prigioni. «Dicesi che il Venerabile sia un medico che abita sulla piazza del Palazzo Ducale, sopra l'antico caffè dei militari, accanto alla discesa dei pollaroli. «Si stabilì di spedirvi un Fratello ed a preferenza il Fratello Mirano e frattanto ogni Fratello si incaricò di fare nuove e più diligenti ricerche di altri Fratelli organizzati e dell'esistenza di un Grande Oriente Italiano. «Torino, lì 8 ottobre 1859. Zambeccari» Da questo documento non si può fare a meno di rilevare che i benemeriti Fratelli che l'8 ottobre del 1859 si erano riuniti allo scopo di far rifiorire la Massoneria Nazionale, se per un verso erano convinti che in Italia esistessero delle altre Loggie - perché la nostra Istituzione, nel periodo preparatorio dei nuovi destini della patria, non cessò mai di esistere tra di noi e di cooperare efficacemente a quel nobilissimo scopo - all'incontro però non sapevano ove indirizzarsi per trattare con altri Fratelli l'unione delle forze massoniche italiane. Questo fatto non è difficile a spiegarsi quando si pensi che prima di quell'anno - stante i gravi pericoli che sovrastavano ai Massoni fatti bersaglio alla severità delle leggi emanate contro di essi dai vari tiranni d'Italia - le Loggie allora esistenti non erano molto proclivi a manifestare il loro recapito. Inoltre noi apprendiamo che, nelle elezioni fattesi in quella prima seduta delle più elevate cariche della nuova Loggia, veniva eletto Venerabile di questa un personaggio assai benemerito per il suo passato patriottico. Era desso l'ottuagenario Filippo Delpino. Nato in Genova da un'onorata famiglia di commercianti, dotato di ingegno pronto e vivace, ebbe - dicono i suoi biografi - sin da fanciullo la fortuna, non comune per quei tempi, di venire educato a sentimenti liberali. Entrato giovanissimo, al tempo della dominazione francese, nella Massoneria e, successivamente, nella Carboneria, nella Giovine Italia e nella Società Nazionale, prendeva parte attivissima a tutte le cospirazioni rendendo non pochi servigi alla causa d'Italia. All'epoca di cui parliamo il Delpino copriva da parecchio tempo la carica di stenografo della Camera dei deputati avendo egli avuto anche il merito di perfezionare l’arte stenografica, e di propagarla per il primo nel nostro paese. Una settimana dopo, cioè il 15 ottobre, veniva tenuta una seconda adunanza, di cui esiste il seguente verbale: «Riuniti i Fratelli, meno M[irano] e presente anche il F[lori], si convenne di scrivere direttamente a Genova ad un Fratello colà esistente per avere precise notizie della realtà dell'esistenza di una Loggia, incaricatosene specialmente il Fratello T[olini]. «E dopo vari discorsi all'oggetto di sempre più attiva opera Massonica, si sciolse rimandando al prossimo sabato. «Torino, lì 15 ottobre 1859. L. ZAMBECCARI, R+C». Della sollecita risposta del Fratello Genovese rimane fortunatamente un estratto fra i documenti Govean, autenticato dalla firma di Livio Zambeccari. Estratto di lettera del Fratello G[iuseppe] T[olini] in data 21 ottobre corrente. « Genova, lì 21 ottobre 1859 «Caro Fratello, «Ho ricevuto la tua in data 16 corrente. Con gran piacere e immediatamente mi sono occupato delle ricerche indicatemi, ma sotto quegli indizi mi fu inutile. Allora mi indirizzai ad un amico, che io avevo qualche supposizione che fosse Fratello e in fatto lo è, ed immediatamente mi portai dal Fratello serviente della Loggia sotto il titolo "Trionfo Ligure" regolarmente costituita sotto il Grande Oriente di Parigi. Il Venerabile e un negoziante, certo sig. Francesco Cipollini che ha negozio Strada degli Orefici ed a cui devono indirizzarsi quei della Loggia di Torino per mettersi in rapporto. «Oggi, addì 21, ho scoperto anche la società dei Fratelli che si chiama "Cuori Riuniti", ma questi sino ad ora non sono ancora costituiti regolarmente, ma però sono appresso a lavorare per costituirsi nazionalmente, cioé il loro intento è di formare un Grande Oriente Italiano, acciò non dipendere da Oriente straniero. Il Fratello con cui ho parlato è quello appunto incaricato di sollecitare la cosa e mi disse che desidererebbe molto di mettersi in vostra relazione, e che spera che la Loggia di Torino sia della medesima Idea Nazionale. Mi disse di più che le Loggie Levante e Ponente, cioè Sarzana, Lerici, Spezia, Savona e Nizza sono già in rapporto per lo stesso intento. Questo Fratello si chiama sig. Rapallo, falegname all'Acquasola, al quale si può scrivere. «Domenica, se sono ancora qui, sono invitato ad assistere una seduta massonica e vedrò quello che si farà e in caso potrò metterne al corrente il sig. Colonnello Zambeccari. Autenticato dalla firma di L. ZAMBECCARI, R+C» Graditissima riusciva invero ai fondatori della Loggia «Ausonia» la notizia che anche in Liguria si lavorava attivamente per raggruppare le varie Loggie colà esistenti in un solo nucleo, onde creare una Massoneria Nazionale, libera da ogni vincolo di soggezione coi Grandi Orienti stranieri. Ciò dimostrava sempre più che la Massoneria Italiana - malgrado le immense difficoltà di potersi mantenere in vita - prima del 1859 non si era spenta del tutto. Il fuoco sacro covava sotto la cenere, pronto a divampare al primo soffio di libertà che fosse venuto ad alitare sulla nostra penisola. Interprete della letizia provata dai Fratelli torinesi alla lettura di quella lettera è il verbale della terza seduta da essi tenuta il 22 ottobre, nella quale veniva anche proposta l'iniziazione alla Loggia «Ausonia» di Felice Govean che, per i suoi alti meriti e per essere condirettore di un autorevole giornale liberale, era in grado di rendere non pochi servizi alla nuova Massoneria Italiana creata dal partito costituzionale. «Riuniti i Fratelli, meno T[olini] e presenti i soliti in n. 6, fatta lettura del verbale n. 2, venne approvato. «Si passò quindi alla comunicazione dell'estratto di lettere del Fratello G[iuseppe] T[olini] sopra notato, e messo in discussione il da farsi, unanimemente si convenne di attendere le referte accennate dalla medesima. «Generale fu la gioia di vedere che in altre parti fosse iniziata l'idea della formazione di un Grande Oriente Italiano, scopo identico della nostra Loggia. «Vennero proposti dal Fratello M[irano] il sig. Giordano, segretario della fabbrica del Gaz, dal Fratello P[eroglio] il sig. Mattey, impiegato al Ministero degli interni, e dal Fratello D[elpino] M.to il sig. Govean, direttore della Gazzetta del Popolo. Iì, 22 ottobre 1859. «F.to: ZAMBECCARI, R+C». Dal 22 ottobre, data di questo verbale, fino al 13 dicembre successivo non esiste nelle carte dell’archivio Govean alcuna traccia di nuovi lavori da parte dei fondatori della Loggia «Ausonia». La ragione di questa sospensiva, lunga quasi due mesi, va ricercata negli avvenimenti che si maturavano allora nell'Italia Centrale, e che, per la nostra storia, assumono una capitale importanza. Quelle popolazioni, sollevatesi durante il corso della guerra di quell'anno, dopo di avere istituiti dei governi provvisori nelle sedi degli antichi ducati e nella Romagna, vollero unirsi al Piemonte. Nel contempo Farini, Cipriani e Ricasoli, reggitori politici di quelle provincie, stabilivano ivi una lega militare mettendo a capo dell'esercito Fanti e, in sottordine, Garibaldi. A quest'ultimo era stato dato il comando del contingente militare somministrato alla lega Toscana, ed egli trovandosi con quelle truppe a Cattolica presso i confini del territorio pontificio, stimolato dal partito d'azione, il 12 novembre stabiliva di varcare i confini stessi, persuaso che un'invasione delle truppe nello Stato vicino avrebbe provocato un'insurrezione vittoriosa nelle Marche e nell'Umbria. Dati i pericoli ai quali veniva esposta la diplomazia piemontese da quell'impresa, si incominciò fin d'allora a pensare dai più rigidi costituzionali che Garibaldi volesse sostituire, nelle sue iniziative, la politica di Mazzini a quella di Cavour, e soltanto per l’energico intervento di Fanti il disegno di Garibaldi non veniva attuato. Garibaldi non condividendo la prudenza che aveva determinato l'opposizione del generale Fanti, accorreva sdegnato a Torino ove, dopo un abboccamento con Vittorio Emanuele, il 17 novembre rassegnava le sue dimissioni. Due giorni dopo, stando a Genova, le annunziava al pubblico con un manifesto che, come dice il Guerzoni, «vuole essere integralmente riprodotto come il primo indizio di quel dissidio tra la politica rivoluzionaria garibaldina e la politica rivoluzionaria cavouriana, le quali procedendo ora emule ora rivali, ora complici, ora concordi, fecero l’Italia ». Diceva adunque il proclama di Garibaldi «Agli Italiani ! «Trovando con arti subdole e continue vincolata quella libertà d'azione che è inerente al mio grado nell'armata dell'Italia Centrale, ond'io usai sempre a conseguire lo scopo cui mira ogni buon italiano, mi allontano per ora dal militare servizio. Il giorno in cui Vittorio Emanuele chiami un'altra volta i suoi guerrieri alla pugna per la redenzione della patria, io ritroverò un'arma qualunque ed un posto accanto ai miei prodi commilitoni. «La miserabile volpina politica che turba il maestoso andamento delle cose italiane deve persuaderci più che mai che noi dobbiamo serbarci intorno al prode e leale soldato dell'indipendenza nazionale incapace di retrocedere dal sublime e generoso suo proposito; e più che mai preparare oro e ferro per accogliere chiunque tenti tuffarci nelle antiche sciagure. G. GARIBALDI ». «Il colonnello Zambeccari, 1° Sorvegliante delI'Aus onia, in quei critici frangenti, lasciata ogni altra cura, si portava nell'Italia Centrale, per lanciarsi a capo fitto in quelle lotte a coadiuvare l’opera di Garibaldi. Ecco in qual modo ne commenta le gesta un suo biografo, evidenternente avverso alla politica del governo di Vittorio Emanuele II. « Rivide la sua Bologna e, quantunque all'estremo delle forze fisiche, sostenuto dalle morali che in lui mai si scemarono, concorse con il consiglio e coll'opera alla grande risurrezione nazionale: e noi tutti il vedemmo a castel Pucci coadiuvare alla formazione di quell'eletto stuolo di volontari toscani che, destinato alla liberazione delle Marche e dell'Umbria giacenti sotto l'aborrito giogo pretino, nelle tergiversazioni del Ricasoli e nelle male arti dei regi ministri trovò quello ostacolo che salvò allora dalla sicura ed intera rovina il potere temporale del papa » Nota: Livio Zambeccari, per A.R. in «Strenna Garibaldina» del Giornale il Lampione pel 1863. Firenze, tip. Grazzini e C. Ripresisi pertanto i lavori massonici dopo il ritorno di Zambeccari dall'Emilia, la Loggia «Ausonia», nella tenuta del 13 dicembre di quell'anno, stabiliva di scrivere a Genova al Fratello Rapallo onde trattare la fusione della Massoneria ligure con quella di Torino. Ed ecco la copia della lettera: «Fratello Rapallo in Genova, « Alcuni Fratelli nel 8 ottobre 1859 si riunirono in Loggia irregolare onde procedere all'installazione di un Grande Oriente Nazionale. Procedendo i loro lavori sono venuti a conoscere che voi, Fratello, ne avete aperta da qualche tempo altra allo stesso iscopo e già si sono formate altre a Levante e Ponente. Se siamo in ciò bene informati, nulla di più grato ai membri della nostra di riunire i suoi lavori ai vostri. I voti sono stati unanimi alla riunione ed hanno incaricato i sottoscritti Fratelli ad esporvi il loro desiderio e mettersi in relazione con voi, Fratello, onde venire alla concretazione di un bisogno sentito da tutti i buoni Italiani. Noi ci riuniamo ogni sabato, sarebbe bene adunque che, prima del prossimo, vi compiaceste di risposta onde attivare la desiderata fusione. «Salute e fratellanza. «Torino, 13 dicembre 1859. L. Z A M B E C C A R I , R + C ». La risposta del Fratello veniva invano attesa in tempo utile per darne lettura nella successiva riunione convocata per il 20 dicembre; essa giunse invece alquanto più tardi e noi, data la sua importanza, ne riferiremo a suo tempo. II FONDAZIONE DEL GRANDE ORIENTE ITALIANO Uno dei più preziosi documenti per la storia della Massoneria Italiana è appunto il verbale della tenuta del 20 dicembre nella quale i Fratelli torinesi, su proposta di Govean, dichiaravano solennemente costituito il GRANDE ORIENTE ITALIANO sotto il titolo di GRANDE ORIENTE d'AUSONIA al rito francese. Filippo Delpino, già Venerabile della Loggia Ausonia, era pure chiamato ad assumere le funzioni di Gran Maestro provvisorio; Giuseppe Tolini veniva nominato 1° Sorvegliante in luogo di Zambeccari, eletto a qu ella carica fin dalla 1a seduta della Loggia stessa e resosi ora dimissionario in causa del suo nuovo ed imminente ritorno nell'Italia Centrale; Govean veniva destinato a coprire il posto di segretario. Non facendosi alcun cenno in quel verbale delle altre cariche, è da ritenersi che in quella di 2° Sorvegliante venisse riconfermato il professore Celestino Peroglio, e che le nomine dell'Oratore e dei dignitari inferiori venissero riservate a tempo più opportuno. Inoltre Govean offriva, per le successive riunioni provvisorie, la propria abitazione in Via Stampatori n. 18, in attesa che la Loggia Ausonia - immedesimata ormai nel Grande Oriente Italiano - coll'aumentare del numero dei Fratelli, si ponesse in grado di potere lavorare regolarmente nel proprio Tempio. Ciò premesso, ecco il verbale che documenta tali notizie, firmato non più da Zambeccari, ma bensì dal nuovo capo interinale della Massoneria Italiana: «A Gloria del Grande Architetto dell'Universo». «Oriente di Torino, 20 Xbre 5859 era massonica 1859 era volgare. «Alcuni Fratelli riuniti (in numero di otto) allo scopo di stabilire un Grande Oriente Italiano, scopo pel quale si radunarono già altre volte, procedettero ai seguenti lavori: «ll Fratello Zambeccari avendo fatto conoscere che verun riscontro era pur anco stato fatto alla lettera diretta al Fratello Rapallo in Genova il 13 andante mese, il contenuto della quale può rilevarsi dal processo verbale portante la data dello stesso giorno, venne proposto dal Fratello Govean di costituirsi immediatamente in Grande Oriente Italiano, dando vita in tal modo ad un progetto che forma da tanto tempo il voto dei Fratelli presenti non solo, ma quello bensì di altri moltissimi, per l'effettuazione del quale ebbero appunto luogo varie precedenti riunioni. Tutti i Fratelli presenti avendo applaudito alla proposta del detto Fratello Govean, deliberarono che da oggi stesso dovesse ritenersi costituito il Grande Oriente Italiano sotto il titolo di Grande Oriente d'Ausonia, rito francese. e passarono tosto alla nomina del Fratello Filippo Delpino; nominarono inoltre il Fratello Tolini in qualità di 1° Sorvegliante. «Il Fratello Govean avendo offerta la propria abitazione via Stampatori, n. 18, p. 2°, per le riunioni provvisorie e sino a tanto che, per la concorrenza di un necessario numero di Fratelli si possa formare un Tempio regolare, i Fratelli mostrarono all’Officina la loro riconoscenza, e determinarono che d'ora innanzi, e sino a nuovo ordine contrario, le riunioni ivi avrebbero luogo ogni domenica alle tre ore del pomeriggio. «Il Fratello Zambeccari avendo dichiarato che alla fine della corrente settimana sarebbe stato costretto di lasciare quest'Oriente per recarsi nell'Italia Centrale, ove lo chiamano imperiosamente non pochi importanti affari, tutti i Fratelli si mostrarono conturbati all'annunzio di una si triste novella, e convennero che una riunione straordinaria avrebbe luogo il giorno 22 andante mese (giovedì p.) nell'indicato locale, come sopra offerto, alle tre ore precise pomeridiane, per stringere la mano e dare il fraterno abbracciamento al suddetto Fratello inziatore ed indefesso propugnatore del Grande Oriente Italiano come sopra costituito. «In attestato poi di quella illimitata confidenza e somma stima che merita su d'ogni rapporto il Fratello Zambeccari, i Fratelli presenti autorizzanlo a stabilire altre Loggie da questo Grande Oriente dipendenti e soprattutto nell'Italia centrale mettendosi in diretto rapporto con quest'Oriente medesimo pel definitivo loro stabilimento. «Nulla essendovi più all'ordine del giorno, i lavori cessarono ed i Fratelli si separarono scambiandosi segni del più cordiale e fraterno affetto. F[ilippo] D[elpino], maestro». L'assunzione del Fratello Delpino alla suprema carica della Massoneria Italiana - risorta in quell'epoca specialmente per consiglio di Camillo Cavour - ci richiama ancora alla mente una riflessione: considerando che il Delpino, come stenografo della Camera dei deputati, era in strettissimi rapporti col grande ministro, del quale ebbe l'onore di consacrare alla storia ed allo studio delle generazioni future i discorsi parlamentari, non e audace affermare che la designazione di lui a quella carica possa riuscire molto significativa. Nota: Commemorazione del Fratello Delpino, 25 settembre 1862. Discorso dell’Oratore della Loggia Ausonia – Valle di Torino, Tip. Marzorati. II 22 dicembre aveva luogo la dimostrazione di affetto e di riconoscenza che i Fratelli della Loggia «AUSONIA» avevano deliberato di tributare a Zambeccari prima della sua partenza da Torino. In quella seduta veniva pure abbozzato un programma per i lavori del nuovo Grande Oriente Italiano. Prendeva a questo riguardo per il primo la parola lo stesso Zambeccari. Che cosa egli abbia veramente detto il verbale non spiega; solo ci fa conoscere che le sue proposte - sebbene cortesemente applaudite - vennero ribattute dal Fratello Flori come ancora troppo premature, dovendo la Massoneria in quell'epoca proporsi unicamente un lavoro generico e «soltanto appoggiare e dar vita a tutto ciò che tendesse all’umano progresso». Se però noi riflettiamo che Garibaldi - assai imbronciato in quei giorni contro il partito costituzionale che gli aveva impedita l'invasione delle Marche e dell'Umbria da Cattolica - sembrava propenso a lasciarsi influenzare dalle sollecitazioni dei partiti più avanzati, noi possiamo ben credere che il Fratello Zambeccari, sempre più solidale coll'eroico condottiero, dovesse in quella tenuta formulare un programma ispirato alle dee di quei partiti e perciò poco consono ai sentimenti dell'intera Loggia, la quale invece «approvava le idee emesse dal Fratello Flori, mostrandosi pronta ad applicarle immediatamente. Il verbale in cui vengono messe in luce tali notizie e anche l’ultimo della serie scoperta nell'archivio Govean: «A Gloria del Grande Architetto dell'Universo « Ausonia Grande Oriente Italiano in Torino «22 X.bre 1859 era volgare. «I lavori sono aperti nella solita forma, e si procede alla lettura del processo verbale, il quale è approvato all’unanimità. «Il Fratello Zambeccari domanda ed ottiene la parola per tracciare le basi della costituzione del Grande Oriente Italiano sotto il titolo d'Ausonia e mostra le tendenze e lo scopo del medesimo. «Il Fratello Flori applaude alle parole del suddetto Fratello, ma fa riflettere che le teorie del medesimo non potranno purtroppo mettersi in pratica che col tempo, cioè quando sarà estirpata la cancrena dei pregiudizi da cui è attaccata l'attuale società, e quindi propone che intanto si agisca dai singoli Fratelli con tutti i mezzi di cui possono ora disporre per promuovere, appoggiare e dar vita a tutto ciò che tende all'umano progresso. «I Fratelli avendo approvato l’idea emessa dal Fratello Flori, mostransi pronti ad applicarla immediatamente e determinano di darvi iniziamento nelle prossime elezioni col cercare che dalle urne sortano nomi di persone oneste e schiettamente devote ai principi d'indipendenza e di libertà. «Il Fratello Venerabile propone di fissare una retribuzione mensile da pagarsi da ciascun Fratello per far fronte alle spese che di mano in mano potranno occorrere nell'interesse della Famiglia in particolare ed in generale della Società ed è stabilito che questa retribuzione sia di una lira, e che debba cominciarsene il pagamento col prossimo gennaio ed anticipitamente. «Il Fratello Venerabile dietro invito fattogliene dal Fratello Tolini, 1° Sorvegliante, propone ai Fratelli presenti di fissare la parola semestrale. Il Fratello Govean suggerisce la parola Al... che viene adottata all'unanimità. «Il Fratello Zambeccari propone il profano Gal[lo] Fed[erico], proprietario, Via Bel[lezia] n. 34, dichiarandolo degno di far parte della Società. La proposta è presa in considerazione, ed il Venerabile prega i Fratelli tutti ad operare indagini sul conto del profano, riferendone alla prossima tenuta, la quale, dietro l'osservazione dello stesso Fratello Venerabile, è convenuto avrà luogo lunedì p. (26 spirante mese) alle ore 7 di sera in causa del giorno di Natale che trovasi essere domenica, giorno ordinario delle tenute. «Il Fratello Govean propone una dimostrazione di riconoscenza e di fraterno affetto verso il Fratello Zambeccari per tutto ciò che ha operato per lo stabilimento del Grande Oriente Italiano l'Ausonia, non che una espressione di cordoglio allo stesso Fratello per la prossima sua partenza da questo Grande Oriente. La doppia proposta del Fratello Govean fu applaudita ed i Fratelli presenti vivamente dimostrano al Fratello Zambeccari in quanto pregio tengono le rare sue qualità della mente e del cuore; attestando al medesimo il generale rincrescimento di vederlo allontanarsi dall'Oriente, quantunque tutti siano persuasi che di siffatta lontananza saranno ad usura compensati dalla prossima cognizione che avranno del bene da lui operato nel paese nativo e nel Centro d'Italia. «Altro non essendovi all'ordine del giorno, i Fratelli formano la catena d'unione e si danno il bacio della fratellanza, dopo del che si separano in silenzio, i lavori essendo chiusi dal Fratello Venerabile nelle forme conosciute». III CAVOURIANI E GARIBALDINI La Massoneria Italiana, riorganizzatasi in Torino nella Loggia «Ausonia», aveva, come si e detto, ricevuto il soffio della sua novella vita dalla cavouriana «Società Nazionale» perciò, per i peculiari elementi onde si componeva, nelle future sue manifestazioni doveva immedesimare la sua causa con quella del sodalizio da cui traeva origine, seguirne e difenderne il programma politico. Le vicende della Massoneria che allora faceva capo alla Loggia «Ausonia» si intrecciavano per conseguenza con quelle della «Società Nazionale», quindi sarebbe cosa impossibile far la storia dell'una, senza sottintendere quelle dell'altra. La «Società Nazionale» - la quale prima della guerra del 1859 aveva cotanto contribuito coi suoi comitati a preparare il terreno alle future sollevazioni dell'Italia centrale; che nel gennaio e febbraio di quell'anno era stata la promotrice principale dell'emigrazione dei coscritti lombardi in Piemonte, e di quel forte contingente di volontari i quali, guidati poi da Garibaldi, dovevano far stupire il mondo con il loro eroismo contro l'Austria - allo scoppiare di quella memorabile guerra si scioglieva perché «il suo programma era divenuto il programma del governo e del paese». Dopo la pace di Villafranca, che troncava inopinatamente il corso vittorioso di quella guerra, il conte di Cavour, dimessosi dal governo, e ritiratosi contristato nel suo romitaggio di Leri aveva detto: torniamo a cospirare, e il fedele La Farina, felicissimo di poterlo assecondare, nell'ottobre del 1859 - epoca stessa in cui veniva fondata la Loggia «Ausonia» - ricostituiva la Società Nazionale con questi propositi che indubbiamente dovevano anche servire come programma politico della nuova Massoneria Italiana. La Società Nazionale ha ancora un grande e nobile ufficio da esercitare: ella deve confortare le provincie già libere a perseverare, le ancora serve a non disperare; ella deve provvedere affinchè restino deluse le ree speranze di coloro i quali, nella prolungazione di questo stato transitorio, sperano veder rotta quella mirabile concordia che ha fatta la nostra forza, ed il nostro decoro; ella deve invigilare affinchè il buon senso del popolo non sia traviato dalle follie degli insensati amici; ella deve incuorare i timidi, scuotere gli inerti, frenare gli incauti, destare sempre più nell'animo delle moltitudini la coscienza del proprio diritto, la fiducia delle proprie forze, il sentimento della propria dignità e sospingerlo a quei grandi sacrifici d'oro e di sangue, a quei grandi atti di patriottismo e di abnegazione; senza i quali non potrà compiersi giammai la redenzione della patria». Questa volta la presidenza onoraria veniva affidata a Garibaldi, quella effettiva era tenuta dallo stesso La Farina, mentre segretario generale veniva eletto Carlo Michele Buscaglioni e tesoriere Ermanno Buscaglioni. Garibaldi, accettando l'onorifica carica, rispondeva con questa nobilissima lettera: «Quartiere generale di Rimini, 19 ottobre 1859. «Mio caro La Farina, «Con vero piacimento ho accolto la vostra risoluzione di rimettere in piedi la « Società Nazionale Italiana » che tanto bene fece alla causa patria sotto gli auspici vostri e dell'illustre veterano martire dello Spielberg (il Marchese Giorgio Pallavicino Trivulzio). «lo sono certo dolente di non vedere fregiata la presidenza dell'Associazione del nome caro a tutti e venerato del nostro Pallavicino, ma se per alcun motivo, che dobbiamo rispettare, egli non volesse assumersi tale incarico, io lo assumo volentieri e riconoscente. La Grecia acquistò la sua indipendenza in dieci anni di disagi e di stragi, l'America in quattordici. Quelle valorose nazioni ebbero l'aiuto delle civili potenze dell'Europa, meritato nella loro costanza. Noi abbiamo pochi mesi di guerra di redenzione; abbiamo lo stesso aiuto e le simpatie dell'Europa intera. Noi avremo la stessa costanza! Finchè un palmo della nostra terra rimanga da redimere non lascieremo l'armi. Addio. Vostro G. GARIBALDI Nota: Epistolario del La Farina, lettera 504. IV INAUGURAZIONE DEL TEMPIO MASSONICO DELL'AUSONIA I membri della Loggia «Ausonia» essendo riusciti a trovarsi un locale adatto ai loro lavori, stabilivano di inaugurarlo solennemente il 1° genna io 1860. Durante quella seduta venivano fra gli altri iniziati l'avv. Filiberto Frescot morto poi senatore del regno e il pubblicista Casimiro Teia, fondatore del giornale umoristico il «Pasquino». Da una memoria stampata dal Fratello Mirano apprendiamo inoltre che allora veniva pronunziato dal Fratello Venerabile Filippo Delpino il seguente discorso notevole per la sua intonazione patriottica, per lo sfoggio di sentimenti liberali, per i sensi di sincera devozione manifestati alla persona del Re Vittorio Emanuele II ed alla politica di Camillo Cavour «personaggio non estraneo ai misteri della Massoneria». «Lo scopo umanitario che ci anima, l'amore vivissimo che noi tutti sentiamo per la nostra Patria ci ha mossi alla creazione di questa Loggia onde accentrare in essa tutto il movimento massonico italiano. Allorchè saremo riusciti (e il vostro buon volere mi è arra sicura di buon successo) a riunir sotto il Grande Oriente Italiano di «Ausonia» tutti i dispersi manipoli dell'italica Massoneria noi potremo vantarci di avere, colla unità del nostro Ordine, precorsa quell'unità politica che auguriamo assai prossima alla nostra Patria. «La Massoneria è un Ordine altamente umanitario perché alle sofferenze, ai mali che affliggono il genere umano esso tende a porre rimedio. E primo dei danni noi bene a proposito consideriamo la schiavitù dei popoli calpestati dagli stranieri. Questa calamità purtroppo pesa ancora sulla nostra nazione la quale, dopo avere sacrificato i suoi figli migliori in tante lotte, dopo la recente epica guerra, piange tuttavia sulle sue catene non ancora del tutto infrante. «L'Austria, l'aborrita Austria, tiene pur anco fra gli artigli la bella provincia già regina dell'Adriatico, ed incrudelisce sulle terre dove per secoli e secoli terribile si fece udire il ruggito del Leone di S. Marco. Parecchi milioni d'Italiani, nella parte della nostra penisola che è più sorrisa dalla natura, gemono ancora sotto una dinastia maledetta da tutti per le sue fosche gesta, per la ferocia del suo assolutismo e per i suoi spergiuri. Roma già padrona del mondo, poscia rimasta per secoli contaminata da tanti delitti, dall'opera nefasta dei suoi padroni in veste di pastor lupi rapaci, tende supplice le mani verso questo fortunato lembo d'Italia ove regna adorato dai suoi sudditi Vittorio Emanuele pronto sempre a commoversi al grido di dolore che si leva verso di lui dalle popolazioni italiane che ancor gemono nel servaggio. «Solo al lombardo e concesso riprendere la cetra e sposare ad essa con voce sicura l'inno della liberazione. «Anco nell'Italia centrale le spoglie dei nostri martiri si ricompongono in pace nei sepolcri, paghi che il loro esempio abbia spronato i superstiti a scuotere in quelle tetre prigioni l'infausta dominazione dei duchi, granduchi e legati pontifici. Ma il bel sole di libertà potrebbe ivi ancora venire offuscato mercè gli intrighi dell'Austria alleata coi retrivi. Che il Grande Architetto ci illumini e ci protegga e domani metà degli Italiani troveransi uniti per sempre in un felicissimo regno. «Gravissimo e il compito nostro, o Fratelli, in questa ora di affanni e di trepidanze. I Figli della Vedova che ci hanno preceduto hanno tutto sacrificato per l'Italia, e dal fondo delle tetre prigioni e dalla sommità dei patiboli ci hanno additata la via che dobbiamo tenere se non vogliamo mostrarci loro figli degeneri. Sgombriamo anche noi dal nostro cuore ogni affetto, ogni pensiero che non sia per l'Italia. L'ora della pugna non è per anco cessata e all'occorrenza, o come cittadini o come soldati dobbiamo renderla prospera, felice, grande; libera ed unita come vollero Dante e i migliori nostri concittadini da Machiavelli in poi. «L'opera così bene iniziata dal Re Vittorio Emanuele sarà certamente da lui condotta a termine. Re costituzionale, non venne mai meno ai suoi obblighi e, solo fra i principi italiani, seppe tenere elevato il vessillo delta libertà che allieta il suo popolo. La Massoneria, nemica di ogni dispotismo, deve restringersi intorno a lui e coadiuvarlo in ogni sua intrapresa, perchè la sua meta è la fortuna d'Italia. «Come cittadini di un libero paese il primo dovere che ci incombe è quello di partecipare alle elezioni. Nelle presenti elezioni amministrative noi dobbiamo scegliere dei consiglieri che siano veramente capaci, per onestà, patriottismo e sensi liberali, di promuovere il pubblico benessere. La Massoneria non ha voluto esimersi dall'essere nelle liste rappresentata, ed il nostro Fratello Anfossi ha accettato di essere il nostro candidato. Noi lo voteremo in rispetto alle preclare sue benemerenze e come cittadino e come antico e fedele Massone. «Liberi sempre nella scelta dei nostri candidati, purchè questi siano patrioti sinceri, noi dovremo sempre tenerci al di sopra delle meschine invidie specialmente se queste insidiano chi appaia dotato di qualità superiori. Tra i candidati noi troveremo il nome di Sua Eccellenza il conte di Cavour personaggio non estraneo ai nostri misteri, la cui lontananza dall'agone politico è una sventura per l'Italia. Il suo trionfo immancabile nelle attuali elezioni amministrative preludi il suo ritorno alla vita politica. L'Italia reclama a gran voce colui che col suo genio saprà guidarla ai più alti destini e noi pure, nell'interesse della Patria, ci auguriamo con tutto cuore che le sorti dello stato siano di nuovo guidate dalla mano sicura e dalla gigantesca mente del nostro Illustre Fratello conte Camillo Cavour. «E per ultimo ricordandovi ancora, carissimi Fratelli, che lo scopo della nostra Loggia Ausonia è di conseguire l’unità della Famiglia Massonica Nazionale sotto i cui auspici ne scaturirà, ne sono convinto, anche l'Unita d'Italia, io auguro che la costanza e la fede nei nostri travagli possano riuscire di coronamento ai nostri sforzi umanitari conseguendo, mercè gli aiuti del Grande Architetto dell'Universo, innanzi tutto la libertà e la indipendenza d'Italia ». Nota: Vittorio Mirano, ad memoriam: discorsi pronunciati dal Fratello Filippo Delpino Venerabile della Loggia Ausonia, all'Oriente di Torino e Gran Maestro ad interim del Grande Oriente Italiano Torino, tip. dell'Espero, 1862. Il discorso da noi trascritto è il primo della breve serie tramandataci dal Fratello Mirano ed è intitolato: Discorso pronunciato all'apertura dei lavori regolari della Loggia Ausonia. A nessuno sfuggirà l'importanza di questo discorso che ci rileva anche per bocca di Filippo Delpino - vecchio ed esperto Fratello, conoscitore di molti segreti dell'Ordine - come Camillo Cavour fosse anch'egli Massone. Inoltre questo discorso non poteva più chiaramente esprimere gli intenti cavouriani della risorta Massoneria e far comprendere come il Delpino, che ne era il capo, non agisse che secondo le intese che correvano fra lui, la Società Nazionale ed il grande statista. E che il Fratello Cavour sopraintendesse indirettamente all'andamento della Loggia «Ausonia», ci viene pure confermato dai primi elementi che entravano ad ingrossare le file come gli avvocati Bartolomeo Casalis e Giovanni Gallinati iniziati in giorno imprecisato della prima quindicina di gennaio 1860; l’orefice Carlo Borani, fornitore della famiglia dello stesso conte di Cavour, creato massone il 29 di quel mese; l’ambasciatore Costantino Nigra, il professore Michele Coppino e il deputato avv. Pier Carlo Boggio, reclutati rispettivamente il 4, il 17 e il 25 febbraio; l’avv. Carlo Elena iniziato il 10 marzo e molti altri di indiscussa fede costituzionale e devoti in sommo grado alla persona ed alla politica di Cavour. Fanno poi parte della Loggia Ausonia fra gli altri: Filippo Delpino - Pietro Garda esule del 1821 - il dott. Sisto Anfossi esule del 1830 per aver fondato in Torino la società segreta detta dei Centri alla quale appartenevano anche Gioberti e Brofferio - Costantino Nigra - Luigi Kossuth, eroe nazionale della Liberta dell'Ungheria - Stefano Turr - il colonnello Milbitz - il ministro Filippo Cordova - il deputato Giuseppe La Farina - Felice Govean - il deputato Pier Carlo Boggio - il deputato Michele Coppino - il prof. Carlo Michele Buscaglioni - il prof. Celestino Peroglio - il deputato Giuseppe Toscanelli - l'avv. Carlo Elena - C. A. Vecchi - il pubblicista Casimiro Teia - l’avv. Carlo Flori - il prof. Giacomo Arnaudon – l’avv. Giovanni Gallinati - l'avv. Bartolomeo Casalis - l’avv. Filiberto Frescot - l’ing. Carlo Giulio - il prof. Luigi Revelli - l’avv. Ilario Riccio - il deputato David Levi - l'industriale Pietro Dellarocca - il prof. Domenico Garelli - il deputato Angelo Piazza - I'avv. Giovanni Giordano - il commediografo Luigi Pietracqua - il capitano Giuseppe Valle - il maggiore Quartero - il colonnello Livio Zambeccari - il prof. Antonio Ponsa - l'industriale Francesco Lavaggi - il prof. Felice Bertogliatti - Francesco Lachenal - Cesare Correa - l’ing. Achille Pagano - il deputato Antonio Corrado - il causidico Giovanni Sola Vagione - il conte Leopoldo Debustelli - il nobile Pietro Manfrin - il geometra Leopoldo Veggiotti - Francesco Muller - il pubblicista Costantino Minon - il procuratore generale Enrico Clarenza - il capitano di st. magg. garibaldino Michele Bonetti - il capit. dei volontari del 1848 Raffaele Maresca - l'avv. Domenico Giurati - il geom. Nicolone - l'avv. Michelangelo Soria - l’avv. Ernesto Cossetta - Francesco Cordey - Carlo Masmejan - il chimico Federico Gallo, ecc., oltre duecento in tutto. La prima Loggia che si sottometteva all'obbedienza dell'Ausonia, costituita in Grande Oriente Italiano, era la «Concordia» creata in Bologna verso la fine di gennaio di quell'anno dal Fratello Livio Zambeccari in virtù della seguente patente d'autorizzazione a lui conferita: «Conte Colonnello Zambeccari «Il Grande Oriente Italiano sedente in Torino, nella sua tenuta generale del 15 gennaio 1860 a pieni voti decretava accordare a voi la facoltà e conferirvi l’incarico di stabilire nelle città d'Italia centrale le Loggie Massoniche sotto la sua obbedienza. «Di mano in mano ci comunicherete la nota delle Loggie e le porrete in immediata comunicazione con noi invitandole a rivolgere (sino a nuovo avviso) le loro lettere al nostro Venerabile sig. Delpino, Direttore della stenografia dello Stato in Torino. «Il Grande Oriente Italiano ha stabilito che le Loggie affigliate contribuiranno all'Amministrazione centrale sedente in Torino, per le maggiori spese a cui deve sottostare, una lira annua per ciascun Fratello effettivo di una Loggia. «Caro Zambeccari, a voi che iniziatore della nostra Associazione ve ne siete reso tanto benemerito, valga la presente munita del nostro sigillo e delle nostre firme per farvi riconoscere come nostro immediato rappresentante. «Torino, 21 gennaio 1860. Filippo Delpino Venerabile - avv. Carlo Flori Oratore - Felice Govean Segretario - Giuseppe Tolini 1° Vigilante - Carlo M asmejan 2° Vigilante Francesco Cordey Maestro delle cerimonie - Agostino Lincio Avv. Giovanni Gallinati - Federico Gallo - Casimiro Teia - Giuseppe Bertet» Nota: Questo ed altri importantissimi documenti interessanti la storia della Massoneria, li dobbiamo alla squisita gentilezza della Rispettabilissima Loggia «VIII Agosto». Uno dei primi Fratelli messisi indefessamente all'opera per lavorare d'accordo coi massoni della Loggia «Ausonia» fu Domenico Rapallo da Genova che il di sette gennaio 1860 rispondeva alla lettera già da noi citata, scrittagli da Zambeccari, annunziando ai Fratelli Torinesi che molto già si era fatto e molto si stava ancora facendo in Liguria per lo stabilimento della Massoneria; che egli come uno dei più anziani Fratelli era stato incaricato a promovere un Grande Oriente Nazionale «edificando un Tempio al Grande Architetto dell’Universo reso indipendente dal Grande Oriente di Francia al quale sta unita, da tempo costituita la Loggia “Trionfo Ligure” di questa città di Genova» Che avendo egli avuto occasione di favellare con molti Massoni Liguri e di viaggiare per i suoi bisogni da un paese ad un altro di quella regione e delle regioni limitrofe aveva scoperto che esistevano Loggie in Chiavari, Voltri, Spezia, Lerici, Oneglia, Savona, S. Remo, Nizza, Sarzana, Pontremoli e Massa; che molte di queste Loggie conducevano una vita autonoma ed altre invece dipendevano dal Grande Oriente del Perù; che egli a Genova stava istituendo allora una nuova Loggia sotto il titolo distintivo «La Rigenerazione» la quale, quando fossesi trovata in grado di funzionare, si sarebbe messa senza fallo in rapporto coi Massoni Torinesi. Per disciplinare la crescente Massoneria venivano pubblicate le prime «Costituzioni dell'Ordine Massonico del Grande Oriente d'Italia» discusse nella camera di terzo grado della Loggia «Ausonia» delle quali stimo opportuno di fare un breve riassunto. Le massime fondamentali che si contengono nelle sovraccennate Costituzioni sanciscono che la beneficenza, lo studio della morale universale e la pratica di tutte le virtù devono essere lo scopo della Massoneria Italiana che ammette l'esistenza di DIO e lo invoca sotto la formula del «Grande Architetto dell'Universo». E’ inculcato il massimo rispetto a tutti gli ideali politici e ad ogni fede religiosa. Fedeli all'antico programma di «Liberta Uguaglianza e Fratellanza», la Massoneria impone ad ogni Fratello di rispettare le leggi del proprio paese e l'obbligo del lavoro essendo l'ozio fonte di ogni vizio. Gli articoli che vengono in seguito trattano dell'organizzazione dell'Ordine che non riconosce che tre gradi: «l'Apprendista, il Compagnone ed il Maestro». E’ inculcata giustamente al Venerabile la più grande severità rispetto alla morale ed alla reputazione dei profani che vogliono entrare nell'Ordine e ad ogni Massone è prescritto l'obbligo di adoperarsi per il meglio dei suoi Fratelli. E’ proclamata l'uguaglianza perfetta di tutti i Fratelli nelle adunanze, mentre le Loggie Italiane dipendono e sono riunite insieme da un'autorità centrale. Questa autorità risiede nella «Loggia Centrale Ausonia», madre di tutte le altre che può costituire e far cessare. Le altre Loggie non possono deliberare collettivamente nè per delegazione; non devono tenere fra di loro che una corrispondenza fraterna affinchè non venga meno l'autorità massonica. L'autorità centrale sedente in Torino nella Loggia «Ausonia» prende il titolo di «Grande Oriente Italiano» il quale è composto, oltrechè del «Gran Maestro», anche del «Supremo Consiglio» Il «Gran Maestro» nominato dai Maestri della Loggia Centrale e dai deputati delle altre Loggie, deve avere il suo domicilio in Torino. Esso, come capo dell'Ordine, lo rappresenta presso le Potenze Massoniche estere ed è il suo organo ufficiale presso il governo locale. Dura in carica tre anni e giura nel modo seguente: «Giuro di obbedire alla Costituzione Massonica, agli Statuti e Regolamenti Generali del Grande Oriente Italiano solo legislatore e regolatore dell'Ordine Massonico d'Italia» Il «Supremo Consiglio» si compone dei Maestri della Loggia Centrale: vien presieduto dal Gran Maestro, ed e potere esecutivo, amministrativo e dirigente. L'«Assemblea Generale» forma e completa il Grande Oriente ed oltre i Maestri della Loggia Centrale si compone anche dei delegati delle altre Loggie. Essa ha luogo ogni anno ed i suoi componenti nel separarsi devono formare la catena di unione gridando: «Lo vuole l'Italia Unita !» V LA SPEDIZIONE DEI MILLE La più nobile, la più bella, la più grande manifestazione massonica di quell'epoca fu senza dubbio l'omerica spedizione dei Mille che schiacciava l'infausta tirannide dei Borboni e compiva quasi del tutto l'unità d'Italia. Questa spedizione sollecitata dal Fratello Mazzini, progettata dai Fratelli Bertani, Crispi e La Farina; imbarcata su due piroscafi forniti dai Fratelli La Farina e Buscaglioni in nome della «Societa Nazionale», e da quelli elargiti dal Fratello Bertani in nome del «Partito d'Azione»; capitanata dal Fratello Garibaldi e, in sottordine, dal Fratello Bixio e inquadrata da una mano di ufficiali volontari in gran parte Massoni; aiutata clandestinamente dal Fratello Cavour; questa spedizione leggendaria e superlativamente eroica; questa spedizione, che non ha l'eguale nella storia del mondo, rappresenta per la Massoneria Italiana tale titolo di benemerenza e di orgoglio che il canto del più insigne poeta o la più superba apoteosi non potrebbero mai sufficientemente magnificare. Note: - Sulla questione dell'appartenenza o meno di G. Mazzini alla Massoneria rimandiamo al Quaderno Massonico n.1, recentemente pubblicato (gennaio 60), del Ser.'.mo Gran Maestro U. Cipollone col titolo : «A smentita dell'affermazione che G. Mazzini sarebbe stato sempre avversario convinto della Massoneria». - G. Garibaldi con lettera del 6 giugno 1864 accettava quale «Gran Maestro a vita» l'altissimo ufficio di dirigere il lavoro unitario della Costituente di Firenze (24 marzo 5864 V.'. L.'.) e contemporaneamente eleggeva a suo rappresentante nel Gran Consiglio della Mass.'. Italiana, che andava a stabilirsi a Torino, il Fr.'. Antonio Mordini. (V. «II Massone Italiano» di U. Bacci - vol. II, pag. 154). Il periodo storico di questa leggendaria impresa è ben noto ed e scolpito nel cuore di tutti coloro che sentono un palpito per l'Italia. A noi per conseguenza non rimane altro compito che quello di conchiudere questo breve capitolo risplendente di tanta Luce Massonica, ricordando il concorso della Loggia AUSONIA che rappresentava nel 1860, fra tutte le Società patriottiche, la MASSONERIA ITALIANA e doveva partecipare largamente alle ansie, alle speranze e alle gioie suscitate dall'eroica spedizione dei Mille. Infatti appena lette le notizie che erano apparse sui giornali (Gazzetta del Popolo del 10 maggio 1860: «Garibaldi è partito») il Venerabile della Loggia «Ausonia», «desideroso che i Massoni Torinesi facessero anche collettivamente qualche cosa in favore della spedizione garibaldina, senza tante cautele diplomatiche, diramava a sua volta a tutti i FFrr.'. questa circolare: « A Gloria del grande Architetto dell'Universo ». « Rispettabile Loggia AUSONIA Grande Oriente Italiano, « Oriente di Torino, 10 Maggio 1860. «Fratello carissimo, «L'illustre Massone Generale Giuseppe Garibaldi è partito per la Sicilia per una nuova impresa redentrice. Ho perciò deciso di convocare per domani sera 11 corrente mese tutti i Fratelli della Rispettabile Loggia "AUSONIA". «Sicuro che voi non mancherete, vi stringo fraternamente al cuore come vostro affezionatissimo Fratello Venerabile Gran Maestro ad interim FILIPPO DELPINO» E la sera dell'11 maggio il Delpino, dinnanzi alla Loggia «Ausonia» affollata di Fratelli, pronunciava un rilevantissimo discorso: «L'ora di raccogliersi in noi stessi e di pensare ai provvedimenti che si rendono più necessari al bene della nostra Patria: l'ora critica che potrebbe realizzare il trionfo di un'idea fulgidissima è suonata. «Un pugno di eroi guidati da un Condottiero incomparabile - da colui che in prodezza rifulse nell'ultima guerra contro l'Austria, additando le vie della gloria ai "Cacciatori delle Alpi" - si è testè imbarcato verso la Sicilia per emancipare quell'isola da un ignominioso servaggio, per strapparla all'esosa dinastia dei Borboni ed affratellarla alle altre genti italiche... «Ardua è l'impresa: ma le sue difficoltà saranno sempre inferiori all'audacia del Condottiero ed al valore dei suoi militi... «Che il Grande Architetto dell'Universo assista il glorioso drappello, e che l'era del martirio, su quella terra insanguinata, possa considerarsi alla perfine cessata!... «Vendichi Cirillo, Pagano, Conforti, Caracciolo e tante altre anime elette travolte nelle stragi dell'inabissata repubblica partenopea!... « Fratelli! nella lontana Trinacria si svolgerà tra breve, in nome dell’unificazione d'Italia, un terribile dramma e nostro primo dovere, come Massoni e come patrioti è di aiutare, con tutti i mezzi che riteniamo migliori, l’eroica schiera garibaldina... « Io mi guarderò bene porre in questo momento in discussione se la nostra Loggia" Ausonia" debba prendere o no in seria considerazione la circolare trasmessa dalla "Societa Nazionale", e se debba o no accettare di concorrere con il suo obolo al sostenimento dell’impresa Garibaldina: sarebbe fare un'ingiuria troppo grave a ciascuno di voi, ed uno sfregio troppo solenne alla Massoneria... «Considerando che appunto, ossequienti a questo obbligo, non solo è Massone l'Invitto Fratello che guida le giovani schiere impegnate contro la tirannide dei borbonici, ma molti Fratelli pure vi sono tra quelle schiere: «Stabilisce di concorrere ad aiutare la spedizione Garibaldina con lire cento da farsi tenere alla Gazzetta del popolo, facendo voti che, se le deboli forze pecuniarie della Loggia "Ausonia" non le permettono di fare nè di più, nè di meglio come ardentemente essa vorrebbe, pur tuttavia tutti i Fratelli che le appartengono debbono particolarmente fare tutti i sacrifici possibili e tutti gli sforzi di cui sono capaci per aiutare l'impresa Siciliana, e ciò qualsivoglia momento venga fatto appello all’abnegazione ed al patriottismo dei liberali italiani» (Vittorio Mirano, opuscolo citato). Stabilita la sua quota di concorso, la Loggia « Ausonia » la trasmetteva alla «Gazzetta del Popolo » colla seguente lettera: «Torino, 15 maggio 1860. «Signor Direttore, «La Loggia dei Franchi e Liberi Muratori, residenti in Torino col titolo d'Ausonia sotto gli auspici del Grande Oriente d'Italia, deliberò nella sua seduta dell’11 andante mese all'unanimità di concorrere per la somma di L. 100 alla sottoscrizione apertasi in favore della santa guerra che si combatte in Sicilia eroicamente per la liberazione e l’unificazione d’Italia, ed ha incaricato me di esprimerle il suo rincrescimento che le sue forze appena incipienti e le ingenti spese del suo primo stabilimento non ci consentano di parteciparvi in modo più degno di una santa causa. «Accolga, o signore, ecc. «Per ordine della Loggia, il Segretario P.N.G.» La «Gazzetta del Popolo» in data 16 maggio nel pubblicare questa lettera la faceva seguire dalla seguente ricevuta: SOCIETA' NAZIONALE ITALIANA Comitato Centrale «Ricevo dal Signor Felice Govean, per conto della Società dei Franchi e Liberi Muratori, lire 100. Il Cassiere «ERMANNO BUSCAGLIONI». Nota: Ermanno Buscaglioni, ex capo ufficio al Municipio di Torino, fratello di Carlo Michele, morto il 23 febbraio del corrente anno, era l'unico superstite del Grande Oriente Torinese e del Comitato Centrale della Società Nazionale. Faceva parte della Loggia: «Osiride»; era nato nel 1835. CONGEDO Con l'intendimento di fare cosa degna dei Nostri Grandi Fratelli che fondarono la R.'. L.'. Ausonia e con il desiderio di lasciare un esempio tangibile della continuità del lavoro Massonico, concludiamo riportando la lettera del Risp.'. M.'. Ven.'. P[iero] S[inchetto], rivolta a tutti i Fratelli del Grande Oriente d'Italia, per ricordare il 1° Centenario della R.'. L.'. M.'. «AUSONIA». Fratelli, quanto precede a ricordo della fondazione della Madre Loggia AUSONIA vuole celebrarne il primo Centenario di vita. Gli uomini che l'hanno fondata furono ottimi Fratelli e valorosi Patrioti, che unitamente ai Massoni di altre Città Italiane grandi e piccole - anche se allora non ancora unite nel Grande Oriente d'Italia - collaborarono in modo determinante all'unità della nostra Patria. Quegli Uomini sono ancora oggi di esempio per tutti. Essi non disdegnarono i sacrifici e le lotte pur di raggiungere la meta che era nell'aspirazione di tutti gli Italiani. Combatterono e vinsero. Furono al fianco del popolo, lo consigliarono e lo guidarono. Oggi godiamo i frutti che essi hanno seminato. L'inizio del secondo secolo di vita per la nostra Loggia deve essere non soltanto motivo di orgoglio, ma soprattutto un impegnativo dovere per i Fratelli, affinchè la fiamma accesa nel «1859» rimanga sempre viva sia formalmente, sia particolarmente nelle opere quotidiane, allo scopo di consolidare i principi di libertà nella vita del nostro Paese, ponendo un argine al dilagante opportunismo e conformismo che sta tutto permeando. Quindi non meno duro compito è il nostro rispetto a quello dei nostri Fratelli Fondatori. Benchè in tempi diversi e senza dover ricorrere alla guerra guerreggiata per fare l'Italia unita politicamente, dobbiamo però oggi combattere e vigilare perché non venga divisa dagli oscurantismi. E’ questo il compito dei Massoni. Non sterili discussioni accademiche, ma seria preparazione spirituale all'interno e «azione» nel mondo profano, cioè nella vita quotidiana. Questo è il programma che ci è stato indicato. Non dimentichiamo che i nostri Avi prima discussero, poi agirono, portando fra i profani quanto acquisirono nei Templi. Ci è gradito comunicare qui che il primo Centenario della nostra Loggia è stato già ricordato dai Carissimi Fratelli dell'Oriente di Milano, in occasione delle celebrazioni del Centenario del Rito Simbolico nella Tornata del 4 ottobre 1959 E.’. V.'. Tornata alla quale il sottoscritto ha partecipato con alcuni Fratelli di Loggia. Ricordiamo ancora ai Fratelli la bellissima commemorazione che l'Ill.mo Fr. M[assimo] M[aggiore] tenne ai Fratelli dell'Oriente di Palermo il 13 giugno 1959 E.’. V.'. con la densa e documentata conferenza dal titolo: «Il Primo Centenario del Rito Simbolico Italiano». A nome della Loggia AUSONIA che in questo anno Massonico ho l’onore di presiedere, porgo ai Fratelli di tutte le Valli d'Italia il più cordiale e fraterno saluto con la consegna di sempre più tenacemente operare per il trionfo del Trinomio nel quale crediamo. Oriente di Torino, lì 8 ottobre 1959. E.'.V.'. Il Risp.'. M.'.Ven.'. della Madre Loggia Ausonia F.to P[iero] S[inchetto]