A cura dell’Associazione culturale “La Grama”, C.P.62 - 48026 San Pancrazio (RA) Supplemento a Ross zétar d’Rumagna - N.84 - Anno 43° - n.1 - Marzo 2010 Direttore Responsabile: Maria Chiara Duranti - Redattore: Girolamo Fabbri Registr. Trib. Ravenna n.524 del 15-7-69 - Non contiene pubblicità. Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (con. in L.27-2.2004 n.46)- Art. 1, comma 2 - DCB Ravenna In caso di mancato recapito inviare al CPO di Ravenna per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa. La segheria Bentini di San Pancrazio Il punto di Antonio Bentini L’attività di falegnameria/segheria fu iniziata da mio nonno Giovanni Bentini (Zvanì) già a Chiesuola, dove viveva la famiglia natale (Marman), lavorando assieme a, come diceva mio babbo, un certo Bêrba. Sposatosi nel 1920 con Angela Banzola (Angiulina) nel 23’ fu costruita la casa in quella che allora era via Molinaccio (ora via della Libertà) con annesso capannone con travature in legno per ospitare le macchine di falegnameria, una sega a nastro, e sotto una ulteriore copertura a fianco della casa una grossa segatronchi. (Continua a pagina 4) Foto di gruppo a metà degli anni 1950. Dall’alto e da sinistra: Giovanni Bentini, Banzola Angela, Gino Randi, Evis Scozzoli, Costantina Casadio, Domenico Gottarelli, Bentini Silvestro (Dino), Guardigli Pietro (Balilla), Roberto Casadio (Lumèn), Pierina Bentini, Pietro Marangoni, Antonio Bassi (Faturaz), Guerrino Muccini. Nel marzo del 2009 inaugurammo a San Pancrazio la nuova sede destinata a Museo della vita contadina in Romagna. Abbiamo apprezzato tutti la qualità architettonica, l’efficienza dell’automazione applicata ai servizi elettrici ed audiovisivi, l’obiettivo, raggiunto (ce lo hanno confermato alcuni esperti di musei etnografici), di un nuovo criterio di allestimento realizzato all’ingresso dell’area espositiva del piano terra. Fatta la struttura, ora bisogna fare il museo! A 15 mesi dall’inaugurazione della struttura la situazione si presenta come segue. I volontari della Grama, dopo un corso di conservazione e restauro tenuto al museo nel luglio 2009, hanno eseguito un trattamento di conservazione a circa 200 oggetti. (Continua a pagina 2) Famiglie e botteghe di San Pancrazio (3a puntata) Succedeva negli anni ‘50 Al lisègn cùn al qvàtar erb di Carlo Turchetti di Luisa Calderoni Siamo nel 2010, un tiepido pomeriggio di fine inverno, nel soggiorno della casa di Giuliano. La famiglia contadina in primavera iniziava a raccogliere le erbe fresche nei campi e negli orti. Proseguiamo la visita lungo la via centrale del paese segnalando, come nei due numeri precedenti, i ricordi personali di Vittorio Pezzi. Dalla casa della Dina d’Topo fino a quella dei Foschini l’aspetto esterno, pur con alcune varianti, è rimasto fedele all’originale. (Continua a pagina 2) (Continua a pagina 3) (Continua a pagina 6) 1 Dri l'irola (Continua da pagina 1) Il punto Ora sono pronti per essere inseriti in un allestimento provvisorio per far posto ad altri oggetti che devono entrare nel museo. E’ un lavoro lungo e costoso ma contiamo sull’azione del Comune di Russi che a fine febbraio 2010 ha elaborato un progetto (noi non l’abbiamo visto ma per certo esiste) di completamento del museo in tre anni: progetto presentato all’esame della Provincia di Ravenna e della Regione EmiliaRomagna. Nel frattempo i proprietari dell’ex sala cinematografica Marconi di San Pancrazio ci hanno cordialmente chiesto di lasciare libera la sala da anni adibita a sede del magazzino del museo. Siamo quindi di fronte ad una emergenza che va risolta al più presto e la priorità di questo intervento è stata segnalata al Sindaco di Russi che ha preso atto della situazione e promesso che studierà una soluzione. I tempi degli Enti pubblici sono lunghi e noi con le nostre risorse cercheremo di andare avanti il più a lungo possibile ma non possiamo permettere che i beni etnografici donati dalle famiglie del territorio e conservati in paese da 45 anni possano rischiare di fare una brutta fine. Non è nell’interesse di nessuno, ovviamente, arrivare a questa situazione limite ma intanto, a metà giugno 2010, non si muove una foglia! ml Succedeva negli anni ‘50 di Carlo Turchetti (Continua da pagina 1) Il camino è acceso e l’atmosfera e quanto mai accogliente e calda. Ho approfittato della sua disponibilità per fargli visita dopo tanto, troppo tempo che non ci si ritrovava. Giuliano, che all’anagrafe è Luigi Pezzi, è mio cugino. Mio nonno Achille Turchetti e sua nonna Giuditta erano fratello e sorella. Dopo una vita ci ritroviamo qui, ormai carichi di anni, comodamente seduti davanti al camino con accanto un’immancabile bottiglia di ottimo Trebbiano prodotto dalla Casa. Carichi di anni dicevo, ma anche carichi di ricordi. Ora, lo confesso, è anche per rivangare parte di questi ricordi che oggi sono qui, ma anche per farmi raccontare fatti e storie a me vagamente note accadute attorno agli anni 50. Sì, Giuliano è stato un protagonista, un personaggio che in quegli anni nel paese faceva notizia ed ha lasciato più di un segno e con lui i suoi compagni, una decina circa: quelli della “Banda del Colombo Nero.” Tutti noi che abbiamo un po’ di anni sappiamo di cosa si tratta, ma chi è più giovane l’ha forse solo sentita nominare. Per una decina d’anni circa, a partire dal 1950, la Banda ha corso le sue scorribande in quel di San Pancrazio e zone limitrofe, Venerdì 9 e Sabato 10 luglio 2010 “IL PAESE SI RITROVA” Programma del venerdì Programma del sabato Ore 19 Stand gastronomico con specialità romagnole, torneo di calcetto per bambini. Ore 19 Stand gastronomico con specialità romagnole, semifinale e finale del torneo di calcetto. Ore 21 Orchestra rock, area giochi per bambini, degustazione vini. Ore 21 Esibizione Gruppo ballerini Team Dance Borgo, giochi per bambini, degustazione vini, apertura museo. Ore 21 Apertura museo. Ore 21 Apertura museo, con il libro “La Cà di Ragi” in vendita. 2 temuta dai contadini, temuta nei Circoli del paese, temuta nelle balere dei dintorni. Una Banda di giovani che per il loro divertimento, molto spesso oltrepassavano il confine dello scherzo e finivano per creare timori, paura e qualche volta terrore. Insomma una Banda temutissima, nota non solo agli abitanti di un quarto di provincia, ma anche ai Carabinieri. Per buona parte del pomeriggio Giuliano cattura la mia attenzione riportandomi indietro nel tempo raccontandomi con quella sua semplice ma efficace dialettica e mimica fatti e “misfatti” della Banda alla quale era a capo ……… Ma come riportare qui e tentare di descrivere ciò che essi hanno combinato? Come narrare perché fossero così temuti dai coltivatori di cocomeri e ciliegie? Come descrivere cosa combinarono, nascosti sulla vetta del campanile, quella sera in occasione di una processione? Come descrivere cosa combinassero alle biciclette di quei malcapitati che la sera le abbandonavano davanti ai Circoli? Basti dire che l’arma che più utilizzavano ed impiegavano con grand e maestri a veniva autoprodotta all’interno della banda e principalmente da uno specialista “e’ Cagador“! E cosa dire dei cancelli (circa una decina) scomparsi dalle case e ripescati poi nel fiume Montone in un punto di acque profonde sotto al ponte? Non è praticamente fattibile e poi ci vorrebbero pagine e pagine; ed in molti casi meglio non farlo !! E’ dalla voce di Giuliano che bisogna sentire narrare questi fatti …. in dialetto, io li ho sentiti! Dri l'irola Cucina e tradizione di Luisa Calderoni TAGLIATELLE ALLE ERBE DI PRIMAVERA Al lisègn cùn al qvàtar erb (Continua da pagina 1) Le erbe che crescevano nell’orto erano il risultato di un lungo lavoro fatto con amore e cura. I nostri nonni avevano un rapporto bellissimo con la natura ed erano profondi conoscitori di tutte le erbe che nascevano spontaneamente nei prati, nei campi, nei fossi. Le erbe di campo erano una componente importante nella cucina di un tempo. I nonni conoscevano le loro proprietà, i loro sapori, e le diverse possibilità per preparare piatti g us tosi . In p rim av e ra, i n conseguenza delle restrizioni di prodotti alimentari consumati nell’inverno, si cercavano alternative per il condimento delle paste. Questa però non era una scelta che rispondeva soltanto ad un aspetto economico, ma soprattutto a quello del gusto. L’orto era la prima fonte di produzione delle erbe e delle verdure perché c’erano molte colture e perché c’era una cura particolare per la loro produzione. La ricetta che presento, la facevano spesso le mie nonne ed è veramente buona. Dall’orto prendevano: le prime fave, i carciofi, gli asparagi. I carciofi del mio orto erano di una qualità molto particolare, che adesso non vedo più in giro, ma molto buoni; non troppo grossi, di colore tendente allo scuro, con le spine. Gli asparagi invece spuntavano dalla terra tutte le mattine; la nonna tutti i giorni li andava a vedere poi quando erano pronti, con un coltello piccolo e appuntito li tagliava e li portava in cantina al fresco fino a quando aveva la quantità necessaria per fare quello che Lei voleva: o sugo o frittate. Gli asparagi però si andavano a raccogliere anche nei fossi perché quelli selvatici erano ancora più buoni di quelli dell’orto. I nonni si ricordavano anno dopo anno i luoghi nei quali crescevano, quindi per loro, era facile andarli a trovare. Chi poi aveva la fortuna di andare nella nostra pineta poteva raccogliere gli asparagi selvatici che crescono in quell’ambiente. Ma fra le erbe primaverili non potevano mancare gli strigoli, i stridùl, che crescono nell’argine del fiume. Andare a cercare gli strigoli era un momento molto divertente, si sceglieva una bella giornata e si partiva a piedi con un cesto di vimini per arrivare sull’argine del fiume e si cominciava a cercare e a raccogliere. Poiché quando eravamo piccoli ce n’erano molti, il cesto si riempiva in fretta. Appena arrivati a casa si pulivano, si lavavano bene e poi si usavano o bolliti come contorno alla carne o per la frittata o per condire le paste. Ricordo che le mie nonne, che erano vicine di casa facevano le tagliatelle che chiamavano al lisègn cùn al qvàtar erb, utilizzando quattro tipi di erbe primaverili: carciofi, asparagi, fave e strigoli, che con l’aggiunta dell’olio e della pancetta erano molto buone. Ingredienti per le tagliatelle: 3 uova, e 3 hg di farina per il condimento: carciofi, fave tenere, asparagi dell’orto o selvatici, strigoli, olio di oliva, pancetta stagionata tagliata a fette sottilissime, poi a strisce, cipolla, vino bianco, sale q.b. e pepe a piacere (pomodoro a piacere). 3 PROCEDIMENTO Fare la sfoglia per le tagliatelle e lasciare ad asciugare. Togliere ai carciofi le foglie esterne più dure, le punte con le spine, poi tagliare in quattro parti e mettere a bagno per circa 15 minuti in acqua e limone. Questa operazione è sempre importante quando si cuociono i carciofi perché permette di togliere il sapore amaro e di non far diventare scuro il sugo. Prendere le fave, scegliendo quelle più piccole e mettere anche loro a bagno con acqua e limone. Per la bontà del piatto è importante che le verdure siano tenere. Pestare la cipolla, anche questa tenera, meglio usare i purot primaverili, acquistare la pancetta stagionata e affettata sottilissima, tagliarla poi a listarelle. In un tegame mettere l’olio di oliva, la pancetta, la cipolla poi aggiungere i carciofi e le fave tolti dall’acqua limone, gli strigoli, gli asparagi tagliati ad anelli. Fare rosolare, aggiungere il vino, fare evaporare, salare, mettere il coperchio e cuocere lentamente per circa un’ora, a piacere si può aggiungere il pepe. Tagliare le tagliatelle di una misura di media larghezza, cuocerle in abbondante acqua salata, versare nel sugo delle erbe primaverili molto caldo, condire e servire accompagnate da parmigiano reggiano grattugiato. Un tempo l’abitudine più diffusa nelle famiglia era di condire le paste quasi sempre con sughi a base di pomodoro: per questo una variante al sugo bianco è quella di aggiungere alle erbe nella prima fase della cottura anche il sugo di pomodoro. Non so dire quale delle due soluzioni sia la migliore, perché la scelta dipende sempre dai gusti individuali e familiari. Dri l'irola La segheria Bentini di San Pancrazio di Antonio Bentini (Continua da pagina 1) Questa macchina lavorava a movimento alternativo orizzontale e svolgeva l’attività di segagione. In quegli anni la richiesta dei contadini del circondario di trasformare i propri tronchi in tavolame era costante. Questo e altri lavori di falegnameria furono l’attività dei primi tempi. Mi permetto di raccontare alcuni episodi “di famiglia” di cui ho avuto testimonianza e che inevitabilmente si intersecano con l’attività. Nel 1922 nacque il primo figlio Silvestro (Dino), che diventerà mio babbo nel 1960. Come da famiglie di origine cattolica praticante, i miei nonni all’inizio del fascismo furono soggetti a varie angherie fino al punto che Giovanni dovette subire un pestaggio in casa, nel ‘24, da parte di personaggi “ch’in staseva tant luntan” . Non ho testimonianze in dettaglio dell’attività svolta negli anni che precedettero la guerra, ma sono certo che iniziò allora la collaborazione, con forniture di vario genere, con l’impresa Silvestroni e con la vicina officina Gallignani & Garavini. Collaborazione consolidata da rapporti di amicizia e stima personale fra i protagonisti di queste attività. Nel 1940, quando la Ditta era già Bentini Giovanni & Figlio i primi operai registrati nel libro matricola furono: Minghetti Alfredo e Fabbri Bruno nel ‘41; Dalmonte Giuseppe, Tampieri Gino nel ‘44; Samorì Antonio nel ‘46. Durante la guerra l’attività continuò, anche se con difficoltà comprensibili, perché mio padre Silvestro nel ‘41 fu chiamato in aeronautica e tornò a casa solo nel ‘46, molto provato, dopo tre anni di prigionia in Nord-Africa (legione straniera, Sidi Bel Abbes). Al passaggio del fronte in parte di casa Bentini si installarono alcuni soldati tedeschi. Non furono giorni facili, come mi raccontava mia nonna. Uno dei militari germanici fece capire di essere figlio di falegname e volle aiutare, quasi costringendolo, mio nonno a mettere al riparo da probabili bombardamenti le macchine da falegnameria. Furono purtroppo questi stessi militari a minare e a far saltare il campanile della chiesa, dando l’impulso al detonatore proprio davanti a casa. Poi improvvisamente una mattina scomparvero tanto da Dentro la segheria. Da sinistra: Dolcini Emilio, Minghetti Alfredo, Bendandi Celso, Bentini Giovanni (Zvanì dla sega) 4 lasciare una pentola di brodo con del pollo trovato non si seppe dove, in cottura. Dopo poco si presentarono alla porta soldati canadesi! A quel punto mia nonna Angelina, donna energica e risoluta, pensò bene di offrire ai nuovi arrivati ”di quatarnè“ in brodo … dei tedeschi. Con il ritorno a casa del figlio Silvestro, l’attività riprese con lavori di falegnameria di tutti i tipi richiesti in quegli anni: riparazioni di birocci e carri, riparazioni e costruzioni di portoni e finestre, cascelle e casse da uva. Ma anche parti di macchine agricole prodotte dalla Garavini. Si trattava di ruote, casse e timoni per seminatrici, bottoni da motopompa per antiparassitari, parti di altre macchine. Arrivati gli anni ‘50, con una più intensa commercializzazione e produzione della frutta in zona, aumentò la domanda di casse per la raccolta e cassette per la spedizione. La procedura: gli elementi che componevano le cassette erano segati partendo da tronchi di pioppo acquistati in genere da contadini, possidenti e, in seguito, da commercianti. Si segavano ricavandone tavoloni di vario spessore che venivano Metà anni 1950. Da sinistra: Bentini Silvestro, Fogli Urbano (Gadoni) Dri l'irola posti a stagionare in cortile accatastandoli incrociati fino ad ottenere alte cataste chiamate “castelli”. (Scommetterei che molti “ragazzi” di San Pancrazio della mia età ricordano le epiche battaglie “a cerbottana” che si svolgevano il sabato pomeriggio d’estate attorno e sopra a queste torri di legno). Dopo ulteriore lavorazione le tavolette (sponde) ricavate venivano assemblate, grazie a cantonali in legno più duro, inchiodando il tutto a mano e successivamente con le apposite cucitrici a filo metallico. Era un lavoro stagionale svolto da donne prevalentemente (con la qualifica di gabbiettiera) o da apprendisti. Le prime donne assunte a metà degli anni 50 sono state: Costantina Casadio, Nilde Rafelli e Lucia Laghi. Nel 1955 un incendio distrusse il capannone che fu subito ricostruito, (quello attuale) dalla impresa Silvestroni. Si salvarono alcune macchine da falegname. La domanda di imballaggio crebbe e vennero acquistate perciò le prime cucitrici a filo metallico che sveltivano parte del lavoro che rimase caratterizzato dai chiodi fino agli anni ‘60. I clienti furono inizialmente alcuni privati; ricordo Cicognani Silvio (Bruso) e le cooperative della zona sino dalla loro costituzione: S.A.I.A. (S.I.G.L.A. / A.G.R.A.), S.O.L.A.R. e C.O.F.U.R. Aumentò contemporaneamente il numero degli operai che erano impiegati tutto l’anno per preparare i componenti delle cassette e per seguire gli altri lavori di segheria e falegnameria. Ne cito alcuni che, con qualche sospensione, rimasero per parecchio tempo a partire dagli anni ‘50: Gottarelli Domenico, Guardigli Pietro (Mario d’Balilla), Casadio Roberto (Lumè), Marangoni Pietro, Muccini Guerrino, Laghi Giulio (l’Inglès). Ricordo personalmente che nei primi anni ‘60 collaborava saltuariamente come falegname anche il cav. Bassi Antonio, noto a tutti come e’ fator. Io piccolo monello mi divertivo molto a sottrargli alcuni attrezzi per farmi rincorrere e restituire il maltolto in cambio di una caramella di mou che quel burbero buon brontolone aveva sempre in tasca. Nel 1966 muore di malattia mio nonno Giovanni. Il lavoro continua gestito da mio babbo Dino. Negli anni che seguono vengono acquistati il primo muletto e altre macchine per imballaggio; la produzione aumenta e si rende necessario ricorrere anche a lavoratori occasionali nel lavoro di falegnameria. Aumenta dunque il numero degli operai fissi o stagionali e di apprendisti: ragazzi che in estate, anche se per brevissimo tempo, vengono in segheria a fare cassette. In certe estati si arriva ad essere al lavoro anche in 15 o 16. Finite le scuole superiori anch’io mi sono impegnato a tempo pieno in questa attività. Col tempo però cambia sia la domanda che la modalità di produzione dell’imballaggio. Tuttavia, pur non essendo economicamente conveniente, privilegiando il rapporto umano e affettivo consolidato negli anni con i lavoratori fissi e stagionali, decidemmo di continuare l’attività acquistando altre macchine semiautomatiche. Dopo alcune stagioni positive la domanda diminuì per l’arrivo sul mercato di imballi in cartone, in plastica e di offerte più basse provenienti anche da molto lontano. All’inizio degli anno ‘90 è stato indispensabile rivendere le macchine e “lasciare andare” i lavoratori fissi, l’ultimo dei quali, lo ricordo con affetto, è stato Mauro “James” Mazzoli. Dato il numero consistente delle persone che hanno lavorato nella falegnameria non credo di sbagliare dicendo che l’attività iniziata da mio nonno ha avuto 5 una certa importanza economica per San Pancrazio e i paesi vicini. Per quanto mi riguarda, sono nato e cresciuto in mezzo al legno e sia pure lentamente e in piccolo sto cercando di tenere in piedi l’attività eseguendo lavori di falegnameria, restauro, segheria, carpenteria da esterno, anche per non disperdere totalmente l’esperienza accumulata e l’amore per il legno che i miei vecchi mi hanno trasmesso. Dri l'irola Famiglie e botteghe di San Pancrazio nella prima metà del ‘900 a cura di Luciano Minghetti, Vittorio Pezzi e Luigi Silvestroni (3a puntata) (Continua da pagina 1) Dopo la casa della Dina, negli anni fra il 1920 e il 1940, c’era la bottega di Carulì e della Gilsa. La Gilsa si distingueva in modo particolare per la sua folta capigliatura bianca. Avevano una figlia sposata a Ravenna e là sono andati dopo aver venduto il negozio. Questo succedeva negli anni del passaggio del fronte di guerra, nel 1944-’45. La bottega venne acquistata nel 1944 da Elisabetta Minghetti, Tina. Aveva un forno ma nel frattempo le era morto il marito e da sola non riusciva a mandare avanti l’attività. Dove adesso c’è il negozio “Il Triangolo”, c’era la bottega della Romanina (Golfarelli Amelia, classe 1895). Abitava con suo padre detto Capanì, fratello di Capan di Ragone. Capanì andava a pesca di anguille senza usare l’amo ma solo lombrichi all’estremità del filo. Usava l’ombrello aperto, come un retino, perché l’anguilla non cadesse in acqua. Vittorio Pezzi ricorda la bottega della Romanina come una bottega buia da morire; ci è entrato innumerevoli volte, ci racconta, con una bottiglietta a prendere un etto di olio oppure due etti di conserva o anche una “sporcata di carta” di marmellata per farsi il panino nel pomeriggio. Non si faceva ancora la marmellata fatta in casa ma si trovava nelle botteghe confezionata in piccoli mastellini di legno, e si comprava sfusa. Fra la bottega di Carulì e quella della Romanina in origine si trovava un portone: era un passaggio per andare sul retro di queste case. La Tina, a sua volta, cedette nel 1954 l’attività a Marangoni Marino. La casa venne risistemata e il passaggio diretto dalla strada al retro venne chiuso. In quella casa ci venne ad abitare anche il fratello Terzo Marangoni, stimato musicista, che aprì un negozio di scarpe. La bottega della Tina vendeva di tutto così che anche nella bottega della Maria Timoncini, moglie di Marino Marangoni, inizialmente vi si trovavano articoli di ferramenta, stoffe, di tutto. Poi la ferramenta passò nelle mani di Emilio Zannoni ed è tuttora gestita dai figli. A seguire, sullo stesso lato della strada, si trovava la casa di Martini, Martèn, che in una piccola stanza sul lato estremo sinistro della casa vendeva e riparava biciclette. Quando Martini si trasferì a Russi la bottega venne rilevata da Aldo Casadio che era stato suo aiutante prima della guerra. Con la morte di Aldo per malattia, la casa e la bottega vennero acquistate da Randi Francesco, Cichino. Randi spostò la bottega nella parte Nord-Est della facciata e aprì il distributore di benzina. Gatta Mario, Nanni Giacomo e Ravaglia Martino sono alcuni dei ragazzi che hanno lavorato in questa bottega. Poi, dove adesso c’è la ferramenta Zannoni, da una porticina si entrava nella macelleria di Medeo (Sandoli Amedeo). Vi lavorò a lungo anche il figlio Gino, e’ Pefar, un personaggio alquanto originale per le sue battute. Una volta, ricorda Vittorio, si ruppe una gamba mentre era al fiume. Riportato in paese con una barella di fortuna e con il piede che era girato all’incontrario, alcuni passanti si avvicinarono: “Gino set fat!”, “Gino, cosa ti è successo!”, gli chiesero preoccupati. Al che lui rispose, con tono di massima indifferenza: “A m so rot una gamba!”, Tradotto: “Mi sono rotto una gamba, cosa vuoi che sia!” La macelleria di Medeo è stata gestita dopo la guerra anche insieme a Onorio Bendandi. Più avanti Onorio spostò la macelleria a casa sua, dove ora si trova la pizzeria. Dopo la macelleria di Medeo, si trovava la bottega di Tugnazì, Antonio Fabbri, fratello di Minghì d’Lupini che aveva la bottega da falegname dall’altra parte della strada. Tugnazì vendeva e riparava biciclette. Aveva la marca Bianchi mentre Randi Francesco aveva la marca Legnano. Dopo la guerra Tugnazì riparava e noleggiava anche le motociclette. Morì abbastanza giovane e così l’attività andò perduta; ma molti giovani, dai 13 a i 14 anni, prima di andare a lavorare facevano gli apprendisti nella sua bottega . Dopo questa bottega c’era una saracinesca che chiudeva l’ingresso della Cooperativa di consumo. Venne aperta dopo la guerra e gestita da Vincenzo Foschini fino alla pensione. Nei primi tempi vi lavorava la moglie del Gnaf, la Castagnola e la Carulina d’Camata, sorella di Chiaro. La casa che fa angolo è ricca di storia. Andando indietro negli anni, si ricorda un certo Rossi che in una grande stanza vendeva stoffe, cotoni vari, ferramenta, generi alimentari ed altro. Il negozio veniva chiamato dalla gente e’ butigon. A sinistra. L’ingresso della Cooperativa di consumo aperta da Vincenzo Foschini in Via Gino Randi nel dopoguerra. A destra. Foto recente del portone nel muro laterale destro della casa di Bruna Foschini che ricorda l’ingresso della bottega di Fafina, il maniscalco. (Dall’archivio fotografico di Piero Miserocchi) 6 Dri l'irola Nella stessa casa Rossi gestiva un’osteria e sul retro della casa, dopo aver abbattuto qualche albero del parco, vi costruì una grande sala adibita a sala cinematografica per la proiezione dei primi film muti del tempo. A San Pancrazio Rossi impartiva lezioni di violino e nella sua bottega si esercitava un gruppo di giovani del paese amanti della musica da camera. Il gruppo era composto da cinque elementi: uno dei Rossi, Tugnazì, Pala, Mingò e’ quarcier (zio di Piero Miserocchi) e Marino d’Fì al violoncello. L’attività fiorente purtroppo finì miseramente. A causa del rifiuto del figlio di sposare la fidanzata incinta la gente del paese smise di comprare nella sua bottega. Rossi fallì e si trasferì a Ravenna. Entrando in casa, sulla destra, si trovava una stanza data in affitto al Circolo dei Combattenti. Anche i genitori di Vittorio Pezzi per 2 o 3 anni hanno fatto i bidelli del Circolo. Vino, gassosa e lupini erano gli unici prodotti disponibili. Questa stanza divenne poi la sede della Cooperativa di consumo mentre il Circolo venne spostato in una stanza sul retro. Sempre in quella casa venne ad abitare poi la famiglia di Fantini Giuseppe, detto Fafina, originario di Cesena, che prima era in affitto dietro lo spaccio Sali e Tabacchi in centro a San Pancrazio. Fafina aveva tre figli: Carla, Fernando ed Ezio, pilota di aviazione morto dopo la guerra. Per anni Fafina con il figlio e il nipote ha fatto il maniscalco nella ex sala di proiezione. Pillole del passato Da sinistra, in alto. Giuseppe Rossi (Pino dl’Eva, l’Avuchet), Guido Miserocchi (e Gadg d’Bagarì), Romano Fabbri (Martin, Romano dla Meglia d’Mot), Giuseppe Trerè (Pino ad Chilì d’Trirè), Vittorio Pezzi (Vitorio dla Raflina), Giordana Foschini (Giordana ad Pirò d’Tiger), Dante Randi (Pal, Dante dla Sufia d’Ragi), non riconoscibile, non riconoscibile, Ermanno Laghi (Ermano ad Baloga), Elvo Talloni (Ghèna, Elvo ad Chiaro), Wladimiro Amadori (Dimir, il barbiere), Martino Viroli (e’ Rizulì), Edgardo Cangini (Cangini), Giovanni Castagnoli (Castegna), Alvaro Castellani (Alvaro de spazi, Alvaro dla Pipina d’Gepeta), Da sinistra in basso. Eva Foschini (l’Eva d’Tiger), Vittorio Fabbri (Vitorio ad Gianì), Silva Minardi (Silva ad Cuciarol, Silva dla Maria d’Pleca), Giulio Turchetti (Giulio de Sartì), Aristide Spada (Rino dla Marianna ad Mot, Rino ad Silvio d’Balé), Giacomino Valeriani (Zaramegna, Giacumino ad Saladé). (Dall’archivio fotografico di Gino Randi) Dino Lumachi e Guido Ragazzini, Punta Marina, estate 1965. (Dall’archivio fotografico di Dino Lumachi) (continua nel prossimo numero) Premiazione del vincitore della gara in go-kart. San Pancrazio, SP club, primi anni ‘70. Da sinistra. Edvino Scozzoli, Guido Reggidori(nascosto), Giovanni Zama (Polo nero), “Sunil” Valeriani (di Godo), Romano Galli, Daniela Montanari, Aristide Spada, Giancarlo Randi, Cesare Montanari, Silvano Brunelli, Adrio Bertaccini, Roberto Rava, Settimio “Seti” Balella (di Godo). Di spalle si riconoscono Ermanno Bindandi, (Marò), Silvano Foschini (Celest). (Dall’archivio fotografico di Dino Lumachi) 7 Dri l'irola Notizie in breve Associazione culturale La Grama LA CA’ DI RAGI A SAN PANCRAZIO Indirizzo postale: c/o Museo della vita contadina Via XVII Novembre 2 A, 48026 San Pancrazio (RA) Tel 0544 535033 | E-mail: [email protected] Museo della vita contadina in Romagna E’ stato recentemente pubblicato nella collana “Sanpancraziana” il primo libro di Aldo Fabbri, “La Cà di Ragi”, in cui si narrano episodi accaduti nella storica dimora dei Raggi in Via Farini. Il libro si apre con una commovente prefazione di Ezio “Cicci” Randi che in quella casa è cresciuto e soltanto accanto ad essa potrebbe vivere. Vi sono foto inedite nelle pagine interne e, in copertina, campeggia il dipinto ad acquerelli della casa Raggi eseguito dal maestro Luigi Silvestroni che lì di fronte ha abitato per decenni. Ringraziamo Aldo Fabbri che ha donato 50 copie del suo libro alla Grama e vuole che il ricavato sia destinato alle attività culturali dell’Associazione. Tel 0544 552172 | E-mail: [email protected] Orario invernale (da novembre a marzo): Lunedì e giovedì pomeriggio dalle ore 14 alle ore 18 Orario estivo (da aprile a ottobre): Martedì e Domenica mattina dalle 9,00 alle 12,30 Giovedì pomeriggio dalle ore 14,30 alle ore 18,30 Ingresso gratuito Antiche ricette di cucina “Serate nella natura” e “Cielo, Luna e Stelle” “I sapori della caccia” “I sapori della campagna” Si sono svolte recentemente al museo di San Pancrazio due rassegne tematiche di tre eventi ciascuna nei mesi di aprile e maggio. Molto interessanti e partecipate le serate dedicate alla natura, in particolare alle erbe tradizionali per uso cucina o uso medicale. Uno stupendo viaggio nel Delta del Po, attraverso un filmato realizzato dal compaesano Silvano Foschini ha chiuso in bellezza il ciclo. Grazie Silvano per la tua disponibilità. Più indigeribile per un vasto pubblico sono stati i primi due eventi a carattere scientifico dedicati alla Luna, ai Pianeti e alle Stelle, con l’osservazione dei Corpi Celesti attraverso le apparecchiature del Planetario di Ravenna e con la conferenza dedicata alla funzione della luce solare sulla Terra. L’ultima serata, tornando ad una visione più romantica e popolare dell’Astronomia, la presenza di Eraldo Baldini e di Michele Carnevali ha suscitato un maggior richiamo del pubblico. “Racconti paesani” vol. 1 - Il Grano e il pane vol. 2 - Una vita fra la canapa vol. 3 - Tessitura che passione! vol. 4 - Una vita fra i bigatti vol. 5 - Una fèta d’furmaj Documentari in DVD Testimonianze dal Museo Il grano e il pane: ieri e oggi Una vita fra la canapa Latte e formaggio Il maiale, l’amico dell’uomo Una vita fra i bigatti Romagna mia. Cofanetto 6 DVD, speciale 15° Autobiografia dell’Associazione “La Grama” Monografie dei Musei del Sistema Museale Cartoline storiche con annullo filatelico speciale “Incontro letterario”, 2008, CD audio Granoturco e polenta in Romagna, di G. Pozzetto Storia del pane a Ravenna, di U. Foschi I misteri dei musei: 1) Ombre arcane; 2) Il fuoco segreto; 3) L’ultimo custode. Laboratori didattici Nell’anno scolastico 2009-2010 da Ravenna e da Forlì sono arrivati 1.219 bambini di Scuole Materne, Primarie e Medie, accompagnati da 116 insegnanti. Il laboratorio più frequentato è stato “Dal grano al pane”, con un record di 30 laboratori. Da registrare il lavoro svolto con successo dai bambini di quinta elementare di San Pancrazio che si sono impegnati con entusiasmo nell’allevamento del baco da seta. Fra le novità di questo anno segnaliamo il nuovo laboratorio denominato “Dall’uovo alla sfoglia”. Questa importante attività non sarebbe possibile senza l’impegno generoso e professionale dei collaboratori e dei volontari della Grama. Elementi fondamentali di conservazione e restauro del legno e del ferro (opuscolo). Manufatti tessili prodotti nel nostro laboratorio di tessitura di varie misure e varie decorazioni. Libri e dischi sono disponibili presso la libreria del Museo o prenotabili all’indirizzo di posta elettronica sopra riportato. La quota associativa è di € 15,00 fino a 65 anni e di € 12,00 oltre i 65 anni. Si versa utilizzando il bollettino di C/C postale intestato a “La Grama” C/C N.11939485 oppure presso gli sportelli del Credito Cooperativo della Provincia di Ravenna e della Cassa di Risparmio di Ravenna oppure al Museo della vita contadina di San Pancrazio nei giorni di apertura al pubblico sopra indicati oppure consegnandoli a mano ai volontari dell’Associazione, che provvedono alla ricevuta. Indirizzo mail Per ricevere notizie sull’attività della Grama in tempi rapidi comunicateci il vostro indirizzo di posta elettronica o un telefono cellulare. 8