A cura dell’Associazione culturale “La Grama”, C.P.62 - 48026 San Pancrazio (RA)
Supplemento a Ross zétar d’Rumagna - N.84 - Anno 43° - n.1 - Marzo 2010
Direttore Responsabile: Maria Chiara Duranti - Redattore: Girolamo Fabbri
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La segheria Bentini di San Pancrazio
Il punto
di Antonio Bentini
L’attività di falegnameria/segheria
fu iniziata da mio nonno Giovanni
Bentini (Zvanì) già a Chiesuola,
dove viveva la famiglia natale
(Marman), lavorando assieme a,
come diceva mio babbo, un certo
Bêrba. Sposatosi nel 1920 con
Angela Banzola (Angiulina) nel 23’
fu costruita la casa in quella che
allora era via Molinaccio (ora via
della Libertà) con annesso
capannone con travature in legno
per ospitare le macchine di
falegnameria, una sega a nastro, e
sotto una ulteriore copertura a
fianco della casa una grossa
segatronchi.
(Continua a pagina 4)
Foto di gruppo a metà degli anni 1950. Dall’alto e da sinistra: Giovanni Bentini, Banzola
Angela, Gino Randi, Evis Scozzoli, Costantina Casadio, Domenico Gottarelli, Bentini
Silvestro (Dino), Guardigli Pietro (Balilla), Roberto Casadio (Lumèn), Pierina Bentini, Pietro
Marangoni, Antonio Bassi (Faturaz), Guerrino Muccini.
Nel marzo del 2009
inaugurammo a San Pancrazio la
nuova sede destinata a Museo
della vita contadina in Romagna.
Abbiamo apprezzato tutti la
qualità architettonica, l’efficienza
dell’automazione applicata ai
servizi elettrici ed audiovisivi,
l’obiettivo, raggiunto (ce lo hanno
confermato alcuni esperti di
musei etnografici), di un nuovo
criterio di allestimento realizzato
all’ingresso dell’area espositiva
del piano terra.
Fatta la struttura, ora bisogna
fare il museo! A 15 mesi
dall’inaugurazione della struttura
la situazione si presenta come
segue. I volontari della Grama,
dopo un corso di conservazione e
restauro tenuto al museo nel
luglio 2009, hanno eseguito un
trattamento di conservazione a
circa 200 oggetti.
(Continua a pagina 2)
Famiglie e botteghe di
San Pancrazio (3a puntata)
Succedeva negli anni ‘50
Al lisègn cùn al qvàtar erb
di Carlo Turchetti
di Luisa Calderoni
Siamo nel 2010, un tiepido
pomeriggio di fine inverno, nel
soggiorno della casa di Giuliano.
La famiglia contadina in primavera
iniziava a raccogliere le erbe
fresche nei campi e negli orti.
Proseguiamo la visita lungo la via
centrale del paese segnalando,
come nei due numeri precedenti, i
ricordi personali di Vittorio Pezzi.
Dalla casa della Dina d’Topo fino a
quella dei Foschini l’aspetto
esterno, pur con alcune varianti, è
rimasto fedele all’originale.
(Continua a pagina 2)
(Continua a pagina 3)
(Continua a pagina 6)
1
Dri l'irola
(Continua da pagina 1) Il
punto
Ora sono pronti per essere
inseriti in un allestimento
provvisorio per far posto ad altri
oggetti che devono entrare nel
museo. E’ un lavoro lungo e
costoso ma contiamo sull’azione
del Comune di Russi che a fine
febbraio 2010 ha elaborato un
progetto (noi non l’abbiamo visto
ma per certo esiste) di
completamento del museo in tre
anni: progetto presentato
all’esame della Provincia di
Ravenna e della Regione EmiliaRomagna.
Nel frattempo i proprietari
dell’ex sala cinematografica
Marconi di San Pancrazio ci
hanno cordialmente chiesto di
lasciare libera la sala da anni
adibita a sede del magazzino del
museo. Siamo quindi di fronte ad
una emergenza che va risolta al
più presto e la priorità di questo
intervento è stata segnalata al
Sindaco di Russi che ha preso
atto della situazione e promesso
che studierà una soluzione.
I tempi degli Enti pubblici sono
lunghi e noi con le nostre risorse
cercheremo di andare avanti il
più a lungo possibile ma non
possiamo permettere che i beni
etnografici donati dalle famiglie
del territorio e conservati in
paese da 45 anni possano
rischiare di fare una brutta fine.
Non è nell’interesse di nessuno,
ovviamente, arrivare a questa
situazione limite ma intanto, a
metà giugno 2010, non si
muove una foglia!
ml
Succedeva negli anni ‘50
di Carlo Turchetti
(Continua da pagina 1)
Il camino è acceso e l’atmosfera e
quanto mai accogliente e calda.
Ho approfittato della sua
disponibilità per fargli visita dopo
tanto, troppo tempo che non ci si
ritrovava.
Giuliano, che all’anagrafe è Luigi
Pezzi, è mio cugino. Mio nonno
Achille Turchetti e sua nonna
Giuditta erano fratello e sorella.
Dopo una vita ci ritroviamo qui,
ormai carichi di anni,
comodamente seduti davanti al
camino
con
accanto
un’immancabile bottiglia di ottimo
Trebbiano prodotto dalla Casa.
Carichi di anni dicevo, ma anche
carichi di ricordi. Ora, lo confesso,
è anche per rivangare parte di
questi ricordi che oggi sono qui,
ma anche per farmi raccontare
fatti e storie a me vagamente note
accadute attorno agli anni 50.
Sì, Giuliano è stato un
protagonista, un personaggio che
in quegli anni nel paese faceva
notizia ed ha lasciato più di un
segno e con lui i suoi compagni,
una decina circa: quelli della
“Banda del Colombo Nero.”
Tutti noi che abbiamo un po’ di
anni sappiamo di cosa si tratta,
ma chi è più giovane l’ha forse solo
sentita nominare.
Per una decina d’anni circa, a
partire dal 1950, la Banda ha
corso le sue scorribande in quel di
San Pancrazio e zone limitrofe,
Venerdì 9 e Sabato 10 luglio 2010
“IL PAESE SI RITROVA”
Programma del venerdì
Programma del sabato
Ore 19 Stand gastronomico con
specialità romagnole, torneo di
calcetto per bambini.
Ore 19 Stand gastronomico con
specialità romagnole, semifinale
e finale del torneo di calcetto.
Ore 21 Orchestra rock, area
giochi per bambini, degustazione
vini.
Ore 21 Esibizione Gruppo
ballerini Team Dance Borgo,
giochi per bambini, degustazione
vini, apertura museo.
Ore 21 Apertura museo.
Ore 21 Apertura museo, con il
libro “La Cà di Ragi” in vendita.
2
temuta dai contadini, temuta
nei Circoli del paese, temuta
nelle balere dei dintorni.
Una Banda di giovani che per il
loro divertimento, molto spesso
oltrepassavano il confine dello
scherzo e finivano per creare
timori, paura e qualche volta
terrore. Insomma una Banda
temutissima, nota non solo agli
abitanti di un quarto di
provincia, ma anche ai
Carabinieri.
Per buona parte del pomeriggio
Giuliano cattura la mia
attenzione riportandomi indietro
nel tempo raccontandomi con
quella sua semplice ma efficace
dialettica e mimica fatti e
“misfatti” della Banda alla quale
era a capo ………
Ma come riportare qui e
tentare di descrivere ciò che
essi hanno combinato?
Come narrare perché fossero
così temuti dai coltivatori di
cocomeri e ciliegie?
Come descrivere cosa
combinarono, nascosti sulla
vetta del campanile, quella sera
in occasione di una
processione?
Come descrivere cosa
combinassero alle biciclette di
quei malcapitati che la sera le
abbandonavano davanti ai
Circoli?
Basti dire che l’arma che più
utilizzavano ed impiegavano con
grand e maestri a veniva
autoprodotta all’interno della
banda e principalmente da uno
specialista “e’ Cagador“!
E cosa dire dei cancelli (circa
una decina) scomparsi dalle
case e ripescati poi nel fiume
Montone in un punto di acque
profonde sotto al ponte?
Non è praticamente fattibile e
poi ci vorrebbero pagine e
pagine; ed in molti casi meglio
non farlo !!
E’ dalla voce di Giuliano che
bisogna sentire narrare questi
fatti …. in dialetto, io li ho sentiti!
Dri l'irola
Cucina e tradizione
di Luisa Calderoni
TAGLIATELLE ALLE ERBE DI PRIMAVERA
Al lisègn cùn al qvàtar erb
(Continua da pagina 1)
Le erbe che crescevano nell’orto
erano il risultato di un lungo
lavoro fatto con amore e cura. I
nostri nonni avevano un rapporto
bellissimo con la natura ed erano
profondi conoscitori di tutte le
erbe
che
nascevano
spontaneamente nei prati, nei
campi, nei fossi. Le erbe di campo
erano una componente
importante nella cucina di un
tempo. I nonni conoscevano le loro
proprietà, i loro sapori, e le diverse
possibilità per preparare piatti
g us tosi . In p rim av e ra, i n
conseguenza delle restrizioni di
prodotti alimentari consumati
nell’inverno, si cercavano
alternative per il condimento delle
paste. Questa però non era una
scelta che rispondeva soltanto ad
un aspetto economico, ma
soprattutto a quello del gusto.
L’orto era la prima fonte di
produzione delle erbe e delle
verdure perché c’erano molte
colture e perché c’era una cura
particolare per la loro produzione.
La ricetta che presento, la
facevano spesso le mie nonne ed è
veramente buona. Dall’orto
prendevano: le prime fave, i
carciofi, gli asparagi. I carciofi del
mio orto erano di una qualità
molto particolare, che adesso non
vedo più in giro, ma molto buoni;
non troppo grossi, di colore
tendente allo scuro, con le spine.
Gli asparagi invece spuntavano
dalla terra tutte le mattine; la
nonna tutti i giorni li andava a
vedere poi quando erano pronti,
con un coltello piccolo e appuntito
li tagliava e li portava in cantina al
fresco fino a quando aveva la
quantità necessaria per fare
quello che Lei voleva: o sugo o
frittate.
Gli asparagi però si andavano a
raccogliere anche nei fossi perché
quelli selvatici erano ancora più
buoni di quelli dell’orto. I nonni si
ricordavano anno dopo anno i
luoghi nei quali crescevano, quindi
per loro, era facile andarli a
trovare. Chi poi aveva la fortuna di
andare nella nostra pineta poteva
raccogliere gli asparagi selvatici
che crescono in quell’ambiente.
Ma fra le erbe primaverili non
potevano mancare gli strigoli, i
stridùl, che crescono nell’argine
del fiume. Andare a cercare gli
strigoli era un momento molto
divertente, si sceglieva una bella
giornata e si partiva a piedi con un
cesto di vimini per arrivare
sull’argine del fiume e si
cominciava a cercare e a
raccogliere. Poiché quando
eravamo piccoli ce n’erano molti, il
cesto si riempiva in fretta. Appena
arrivati a casa si pulivano, si
lavavano bene e poi si usavano o
bolliti come contorno alla carne o
per la frittata o per condire le
paste.
Ricordo che le mie nonne, che
erano vicine di casa facevano le
tagliatelle che chiamavano al
lisègn cùn al qvàtar erb,
utilizzando quattro tipi di erbe
primaverili: carciofi, asparagi, fave
e strigoli, che con l’aggiunta
dell’olio e della pancetta erano
molto buone.
Ingredienti per le tagliatelle:
3 uova, e 3 hg di farina
per il condimento:
carciofi, fave tenere, asparagi
dell’orto o selvatici, strigoli, olio di
oliva, pancetta stagionata tagliata
a fette sottilissime, poi a strisce,
cipolla, vino bianco, sale q.b. e pepe
a piacere (pomodoro a piacere).
3
PROCEDIMENTO
Fare la sfoglia per le tagliatelle e
lasciare ad asciugare.
Togliere ai carciofi le foglie esterne
più dure, le punte con le spine, poi
tagliare in quattro parti e mettere
a bagno per circa 15 minuti in
acqua e limone.
Questa operazione è sempre
importante quando si cuociono i
carciofi perché permette di
togliere il sapore amaro e di non
far diventare scuro il sugo.
Prendere le fave, scegliendo quelle
più piccole e mettere anche loro a
bagno con acqua e limone.
Per la bontà del piatto è
importante che le verdure siano
tenere.
Pestare la cipolla, anche questa
tenera, meglio usare i purot
primaverili, acquistare la pancetta
stagionata e affettata sottilissima,
tagliarla poi a listarelle. In un
tegame mettere l’olio di oliva, la
pancetta, la cipolla poi aggiungere
i carciofi e le fave tolti dall’acqua
limone, gli strigoli, gli asparagi
tagliati ad anelli.
Fare rosolare, aggiungere il vino,
fare evaporare, salare, mettere il
coperchio e cuocere lentamente
per circa un’ora, a piacere si può
aggiungere il pepe.
Tagliare le tagliatelle di una misura
di media larghezza, cuocerle in
abbondante acqua salata, versare
nel sugo delle erbe primaverili
molto caldo, condire e servire
accompagnate da parmigiano
reggiano grattugiato.
Un tempo l’abitudine più diffusa
nelle famiglia era di condire le
paste quasi sempre con sughi a
base di pomodoro: per questo una
variante al sugo bianco è quella di
aggiungere alle erbe nella prima
fase della cottura anche il sugo di
pomodoro. Non so dire quale delle
due soluzioni sia la migliore,
perché la scelta dipende sempre
dai gusti individuali e familiari.
Dri l'irola
La segheria Bentini di San Pancrazio
di Antonio Bentini
(Continua da pagina 1)
Questa macchina lavorava a
movimento alternativo orizzontale
e svolgeva l’attività di segagione.
In quegli anni la richiesta dei
contadini del circondario di
trasformare i propri tronchi in
tavolame era costante. Questo e
altri lavori di falegnameria furono
l’attività dei primi tempi.
Mi permetto di raccontare alcuni
episodi “di famiglia” di cui ho
avuto testimonianza e che
inevitabilmente si intersecano con
l’attività.
Nel 1922 nacque il primo figlio
Silvestro (Dino), che diventerà mio
babbo nel 1960.
Come da famiglie di origine
cattolica praticante, i miei nonni
all’inizio del fascismo furono
soggetti a varie angherie fino al
punto che Giovanni dovette subire
un pestaggio in casa, nel ‘24, da
parte di personaggi “ch’in staseva
tant luntan” .
Non ho testimonianze in dettaglio
dell’attività svolta negli anni che
precedettero la guerra, ma sono
certo che iniziò allora la
collaborazione, con forniture di
vario genere, con l’impresa
Silvestroni e con la vicina officina
Gallignani
&
Garavini.
Collaborazione consolidata da
rapporti di amicizia e stima
personale fra i protagonisti di
queste attività.
Nel 1940, quando la Ditta era già
Bentini Giovanni & Figlio i primi
operai
registrati
nel
libro
matricola
furono:
Minghetti
Alfredo e Fabbri Bruno nel ‘41;
Dalmonte Giuseppe, Tampieri
Gino nel ‘44; Samorì Antonio nel
‘46.
Durante la guerra l’attività
continuò, anche se con difficoltà
comprensibili, perché mio padre
Silvestro nel ‘41 fu chiamato in
aeronautica e tornò a casa solo
nel ‘46, molto provato, dopo tre
anni di prigionia in Nord-Africa
(legione straniera, Sidi Bel
Abbes).
Al passaggio del fronte in parte di
casa Bentini si installarono alcuni
soldati tedeschi. Non furono
giorni facili, come mi raccontava
mia nonna. Uno dei militari
germanici fece capire di essere
figlio di falegname e volle aiutare,
quasi costringendolo, mio nonno
a mettere al riparo da probabili
bombardamenti le macchine da
falegnameria. Furono purtroppo
questi stessi militari a minare e a
far saltare il campanile della
chiesa, dando l’impulso al
detonatore proprio davanti a
casa. Poi improvvisamente una
mattina scomparvero tanto da
Dentro la segheria. Da sinistra: Dolcini Emilio, Minghetti Alfredo, Bendandi
Celso, Bentini Giovanni (Zvanì dla sega)
4
lasciare una pentola di brodo con
del pollo trovato non si seppe
dove, in cottura. Dopo poco si
presentarono alla porta soldati
canadesi! A quel punto mia nonna
Angelina, donna energica e
risoluta, pensò bene di offrire ai
nuovi arrivati ”di quatarnè“ in
brodo … dei tedeschi.
Con il ritorno a casa del figlio
Silvestro, l’attività riprese con
lavori di falegnameria di tutti i tipi
richiesti in quegli anni: riparazioni
di birocci e carri, riparazioni e
costruzioni di portoni e finestre,
cascelle e casse da uva. Ma
anche parti di macchine agricole
prodotte dalla Garavini.
Si trattava di ruote, casse e
timoni per seminatrici, bottoni da
motopompa per antiparassitari,
parti di altre macchine.
Arrivati gli anni ‘50, con una più
intensa commercializzazione e
produzione della frutta in zona,
aumentò la domanda di casse
per la raccolta e cassette per la
spedizione.
La procedura: gli elementi che
componevano le cassette erano
segati partendo da tronchi di
pioppo acquistati in genere da
contadini, possidenti e, in seguito,
da commercianti.
Si segavano ricavandone tavoloni
di vario spessore che venivano
Metà anni 1950.
Da sinistra: Bentini Silvestro, Fogli Urbano (Gadoni)
Dri l'irola
posti a stagionare in cortile
accatastandoli incrociati fino ad
ottenere alte cataste chiamate
“castelli”.
(Scommetterei
che
molti
“ragazzi” di San Pancrazio della
mia età ricordano le epiche
battaglie “a cerbottana” che si
svolgevano il sabato pomeriggio
d’estate attorno e sopra a queste
torri di legno).
Dopo ulteriore lavorazione le
tavolette
(sponde)
ricavate
venivano assemblate, grazie a
cantonali in legno più duro,
inchiodando il tutto a mano e
successivamente con le apposite
cucitrici a filo metallico. Era un
lavoro stagionale svolto da donne
prevalentemente (con la qualifica
di gabbiettiera) o da apprendisti.
Le prime donne assunte a metà
degli anni 50 sono state:
Costantina Casadio, Nilde Rafelli
e Lucia Laghi.
Nel 1955 un incendio distrusse il
capannone
che
fu
subito
ricostruito, (quello attuale) dalla
impresa Silvestroni. Si salvarono
alcune macchine da falegname.
La domanda di imballaggio
crebbe e vennero acquistate
perciò le prime cucitrici a filo
metallico che sveltivano parte del
lavoro che rimase caratterizzato
dai chiodi fino agli anni ‘60.
I clienti furono inizialmente alcuni
privati; ricordo Cicognani Silvio
(Bruso) e le cooperative della
zona sino dalla loro costituzione:
S.A.I.A. (S.I.G.L.A. / A.G.R.A.),
S.O.L.A.R. e C.O.F.U.R.
Aumentò contemporaneamente
il numero degli operai che erano
impiegati tutto l’anno per
preparare i componenti delle
cassette e per seguire gli altri
lavori di segheria e falegnameria.
Ne cito alcuni che, con qualche
sospensione,
rimasero
per
parecchio tempo a partire dagli
anni ‘50: Gottarelli Domenico,
Guardigli Pietro (Mario d’Balilla),
Casadio
Roberto
(Lumè),
Marangoni
Pietro, Muccini
Guerrino, Laghi Giulio (l’Inglès).
Ricordo personalmente che nei
primi anni ‘60 collaborava
saltuariamente come falegname
anche il cav. Bassi Antonio, noto
a tutti come e’ fator.
Io piccolo monello mi divertivo
molto a sottrargli alcuni attrezzi
per farmi rincorrere e restituire
il maltolto in cambio di una
caramella di mou che quel
burbero buon brontolone aveva
sempre in tasca.
Nel 1966 muore di malattia mio
nonno Giovanni. Il lavoro continua
gestito da mio babbo Dino. Negli
anni che seguono vengono
acquistati il primo muletto e altre
macchine per imballaggio; la
produzione aumenta e si rende
necessario ricorrere anche a
lavoratori occasionali nel lavoro di
falegnameria.
Aumenta dunque il numero degli
operai fissi o stagionali e di
apprendisti: ragazzi che in estate,
anche se per brevissimo tempo,
vengono in segheria a fare
cassette. In certe estati si arriva
ad essere al lavoro anche in 15 o
16. Finite le scuole superiori
anch’io mi sono impegnato a
tempo pieno in questa attività.
Col tempo però cambia sia la
domanda che la modalità di
produzione
dell’imballaggio.
Tuttavia, pur non essendo
economicamente
conveniente,
privilegiando il rapporto umano e
affettivo consolidato negli anni
con i lavoratori fissi e stagionali,
decidemmo
di
continuare
l’attività
acquistando
altre
macchine semiautomatiche.
Dopo alcune stagioni positive la
domanda diminuì per l’arrivo sul
mercato di imballi in cartone, in
plastica e di offerte più basse
provenienti anche da molto
lontano. All’inizio degli anno ‘90 è
stato indispensabile rivendere le
macchine e “lasciare andare” i
lavoratori fissi, l’ultimo dei quali, lo
ricordo con affetto, è stato
Mauro “James” Mazzoli.
Dato il numero consistente delle
persone che hanno lavorato nella
falegnameria non credo di
sbagliare dicendo che l’attività
iniziata da mio nonno ha avuto
5
una certa importanza economica
per San Pancrazio e i paesi vicini.
Per quanto mi riguarda, sono
nato e cresciuto in mezzo al
legno e sia pure lentamente e in
piccolo sto cercando di tenere in
piedi l’attività eseguendo lavori di
falegnameria, restauro, segheria,
carpenteria da esterno, anche
per non disperdere totalmente
l’esperienza
accumulata
e
l’amore per il legno che i miei
vecchi mi hanno trasmesso.
Dri l'irola
Famiglie e botteghe di San Pancrazio nella prima metà del ‘900
a cura di Luciano Minghetti, Vittorio Pezzi e Luigi Silvestroni
(3a puntata)
(Continua da pagina 1)
Dopo la casa della Dina, negli
anni fra il 1920 e il 1940, c’era
la bottega di Carulì e della Gilsa.
La Gilsa si distingueva in modo
particolare per la sua folta
capigliatura bianca. Avevano una
figlia sposata a Ravenna e là sono
andati dopo aver venduto il negozio.
Questo succedeva negli anni del
passaggio del fronte di guerra, nel
1944-’45.
La bottega venne acquistata nel
1944 da Elisabetta Minghetti, Tina.
Aveva un forno ma nel frattempo le
era morto il marito e da sola non
riusciva a mandare avanti l’attività.
Dove adesso c’è il negozio “Il
Triangolo”, c’era la bottega della
Romanina (Golfarelli Amelia, classe
1895). Abitava con suo padre
detto Capanì, fratello di Capan di
Ragone. Capanì andava a pesca di
anguille senza usare l’amo ma solo
lombrichi all’estremità del filo.
Usava l’ombrello aperto, come un
retino, perché l’anguilla non
cadesse in acqua.
Vittorio Pezzi ricorda la bottega
della Romanina come una bottega
buia da morire; ci è entrato
innumerevoli volte, ci racconta, con
una bottiglietta a prendere un etto
di olio oppure due etti di conserva o
anche una “sporcata di carta” di
marmellata per farsi il panino nel
pomeriggio. Non si faceva ancora
la marmellata fatta in casa ma si
trovava nelle botteghe confezionata
in piccoli mastellini di legno, e si
comprava sfusa.
Fra la bottega di Carulì e quella della
Romanina in origine si trovava un
portone: era un passaggio per
andare sul retro di queste case.
La Tina, a sua volta, cedette nel
1954 l’attività a Marangoni Marino.
La casa venne risistemata e il
passaggio diretto dalla strada al
retro venne chiuso. In quella casa ci
venne ad abitare anche il fratello
Terzo Marangoni, stimato musicista,
che aprì un negozio di scarpe.
La bottega della Tina vendeva di
tutto così che anche nella bottega
della Maria Timoncini, moglie di
Marino Marangoni, inizialmente vi si
trovavano articoli di ferramenta,
stoffe, di tutto. Poi la ferramenta
passò nelle mani di Emilio Zannoni
ed è tuttora gestita dai figli.
A seguire, sullo stesso lato della
strada, si trovava la casa di Martini,
Martèn, che in una piccola stanza
sul lato estremo sinistro della casa
vendeva e riparava biciclette.
Quando Martini si trasferì a Russi la
bottega venne rilevata da Aldo
Casadio che era stato suo aiutante
prima della guerra. Con la morte di
Aldo per malattia, la casa e la
bottega vennero acquistate da Randi
Francesco, Cichino. Randi spostò la
bottega nella parte Nord-Est della
facciata e aprì il distributore di
benzina. Gatta Mario, Nanni
Giacomo e Ravaglia Martino sono
alcuni dei ragazzi che hanno lavorato
in questa bottega.
Poi, dove adesso c’è la ferramenta
Zannoni, da una porticina si entrava
nella macelleria di Medeo (Sandoli
Amedeo). Vi lavorò a lungo anche il
figlio Gino, e’ Pefar, un personaggio
alquanto originale per le sue battute.
Una volta, ricorda Vittorio, si ruppe
una gamba mentre era al fiume.
Riportato in paese con una barella di
fortuna e con il piede che era girato
all’incontrario, alcuni passanti si
avvicinarono: “Gino set fat!”, “Gino,
cosa ti è successo!”, gli chiesero
preoccupati. Al che lui rispose, con
tono di massima indifferenza: “A m
so rot una gamba!”, Tradotto: “Mi
sono rotto una gamba, cosa vuoi che
sia!”
La macelleria di Medeo è stata
gestita dopo la guerra anche
insieme a Onorio Bendandi. Più
avanti Onorio spostò la macelleria a
casa sua, dove ora si trova la
pizzeria.
Dopo la macelleria di Medeo, si
trovava la bottega di Tugnazì,
Antonio Fabbri, fratello di Minghì
d’Lupini che aveva la bottega da
falegname dall’altra parte della
strada. Tugnazì vendeva e riparava
biciclette. Aveva la marca Bianchi
mentre Randi Francesco aveva la
marca Legnano.
Dopo la guerra Tugnazì riparava e
noleggiava anche le motociclette.
Morì abbastanza giovane e così
l’attività andò perduta; ma molti
giovani, dai 13 a i 14 anni, prima di
andare a lavorare facevano gli
apprendisti nella sua bottega .
Dopo questa bottega c’era una
saracinesca che chiudeva l’ingresso
della Cooperativa di consumo. Venne
aperta dopo la guerra e gestita da
Vincenzo Foschini fino alla pensione.
Nei primi tempi vi lavorava la moglie
del Gnaf, la Castagnola e la Carulina
d’Camata, sorella di Chiaro.
La casa che fa angolo è ricca di
storia. Andando indietro negli anni, si
ricorda un certo Rossi che in una
grande stanza vendeva stoffe, cotoni
vari, ferramenta, generi alimentari
ed altro. Il negozio veniva chiamato
dalla gente e’ butigon.
A sinistra. L’ingresso della
Cooperativa di consumo aperta da
Vincenzo Foschini in Via Gino Randi
nel dopoguerra.
A destra. Foto recente del portone
nel muro laterale destro della casa
di Bruna Foschini che ricorda
l’ingresso della bottega di Fafina, il
maniscalco.
(Dall’archivio fotografico di Piero
Miserocchi)
6
Dri l'irola
Nella stessa casa Rossi gestiva
un’osteria e sul retro della casa,
dopo aver abbattuto qualche
albero del parco, vi costruì una
grande sala adibita a sala
cinematografica per la proiezione
dei primi film muti del tempo.
A San Pancrazio Rossi impartiva
lezioni di violino e nella sua
bottega si esercitava un gruppo
di giovani del paese amanti della
musica da camera. Il gruppo era
composto da cinque elementi:
uno dei Rossi, Tugnazì, Pala,
Mingò e’ quarcier (zio di Piero
Miserocchi) e Marino d’Fì al
violoncello.
L’attività fiorente purtroppo finì
miseramente. A causa del rifiuto
del figlio di sposare la fidanzata
incinta la gente del paese smise
di comprare nella sua bottega.
Rossi fallì e si trasferì a Ravenna.
Entrando in casa, sulla destra, si
trovava una stanza data in affitto
al Circolo dei Combattenti.
Anche i genitori di Vittorio Pezzi
per 2 o 3 anni hanno fatto i bidelli
del Circolo. Vino, gassosa e lupini
erano gli unici prodotti disponibili.
Questa stanza divenne poi la
sede della Cooperativa di
consumo mentre il Circolo venne
spostato in una stanza sul retro.
Sempre in quella casa venne ad
abitare poi la famiglia di Fantini
Giuseppe, detto Fafina, originario
di Cesena, che prima era in
affitto dietro lo spaccio Sali e
Tabacchi in centro a San
Pancrazio. Fafina aveva tre figli:
Carla, Fernando ed Ezio, pilota di
aviazione morto dopo la guerra.
Per anni Fafina con il figlio e il
nipote ha fatto il maniscalco nella
ex sala di proiezione.
Pillole del passato
Da sinistra, in alto. Giuseppe Rossi (Pino dl’Eva, l’Avuchet), Guido Miserocchi (e Gadg
d’Bagarì), Romano Fabbri (Martin, Romano dla Meglia d’Mot), Giuseppe Trerè (Pino ad
Chilì d’Trirè), Vittorio Pezzi (Vitorio dla Raflina), Giordana Foschini (Giordana ad Pirò
d’Tiger), Dante Randi (Pal, Dante dla Sufia d’Ragi), non riconoscibile, non riconoscibile,
Ermanno Laghi (Ermano ad Baloga), Elvo Talloni (Ghèna, Elvo ad Chiaro), Wladimiro
Amadori (Dimir, il barbiere), Martino Viroli (e’ Rizulì), Edgardo Cangini (Cangini), Giovanni
Castagnoli (Castegna), Alvaro Castellani (Alvaro de spazi, Alvaro dla Pipina d’Gepeta),
Da sinistra in basso. Eva Foschini (l’Eva d’Tiger), Vittorio Fabbri (Vitorio ad Gianì), Silva
Minardi (Silva ad Cuciarol, Silva dla Maria d’Pleca), Giulio Turchetti (Giulio de Sartì),
Aristide Spada (Rino dla Marianna ad Mot, Rino ad Silvio d’Balé), Giacomino Valeriani
(Zaramegna, Giacumino ad Saladé).
(Dall’archivio fotografico di Gino Randi)
Dino Lumachi e
Guido Ragazzini,
Punta Marina,
estate 1965.
(Dall’archivio
fotografico di
Dino Lumachi)
(continua nel prossimo numero)
Premiazione del vincitore della gara in go-kart.
San Pancrazio, SP club, primi anni ‘70.
Da sinistra.
Edvino Scozzoli, Guido Reggidori(nascosto),
Giovanni Zama (Polo nero), “Sunil” Valeriani (di Godo),
Romano Galli, Daniela Montanari, Aristide Spada,
Giancarlo Randi, Cesare Montanari, Silvano Brunelli,
Adrio Bertaccini, Roberto Rava, Settimio
“Seti” Balella (di Godo).
Di spalle si riconoscono
Ermanno Bindandi, (Marò), Silvano Foschini (Celest).
(Dall’archivio fotografico di Dino Lumachi)
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Dri l'irola
Notizie in breve
Associazione culturale La Grama
LA CA’ DI RAGI A SAN PANCRAZIO
Indirizzo postale: c/o Museo della vita contadina
Via XVII Novembre 2 A, 48026 San Pancrazio (RA)
Tel 0544 535033 | E-mail: [email protected]
Museo della vita contadina in Romagna
E’ stato recentemente pubblicato nella collana
“Sanpancraziana” il primo libro di Aldo Fabbri, “La Cà
di Ragi”, in cui si narrano episodi accaduti nella
storica dimora dei Raggi in Via Farini. Il libro si apre
con una commovente prefazione di Ezio “Cicci” Randi
che in quella casa è cresciuto e soltanto accanto ad
essa potrebbe vivere. Vi sono foto inedite nelle
pagine interne e, in copertina, campeggia il dipinto
ad acquerelli della casa Raggi eseguito dal maestro
Luigi Silvestroni che lì di fronte ha abitato per
decenni. Ringraziamo Aldo Fabbri che ha donato 50
copie del suo libro alla Grama e vuole che il ricavato
sia destinato alle attività culturali dell’Associazione.
Tel 0544 552172 | E-mail: [email protected]
Orario invernale (da novembre a marzo):
Lunedì e giovedì pomeriggio dalle ore 14 alle ore 18
Orario estivo (da aprile a ottobre):
Martedì e Domenica mattina dalle 9,00 alle 12,30
Giovedì pomeriggio dalle ore 14,30 alle ore 18,30
Ingresso gratuito
Antiche ricette di cucina
“Serate nella natura” e “Cielo, Luna e Stelle”
“I sapori della caccia”
“I sapori della campagna”
Si sono svolte recentemente al museo di San
Pancrazio due rassegne tematiche di tre eventi
ciascuna nei mesi di aprile e maggio. Molto
interessanti e partecipate le serate dedicate alla
natura, in particolare alle erbe tradizionali per uso
cucina o uso medicale. Uno stupendo viaggio nel
Delta del Po, attraverso un filmato realizzato dal
compaesano Silvano Foschini ha chiuso in bellezza il
ciclo. Grazie Silvano per la tua disponibilità.
Più indigeribile per un vasto pubblico sono stati i
primi due eventi a carattere scientifico dedicati alla
Luna, ai Pianeti e alle Stelle, con l’osservazione dei
Corpi Celesti attraverso le apparecchiature del
Planetario di Ravenna e con la conferenza dedicata
alla funzione della luce solare sulla Terra. L’ultima
serata, tornando ad una visione più romantica e
popolare dell’Astronomia, la presenza di Eraldo
Baldini e di Michele Carnevali ha suscitato un
maggior richiamo del pubblico.
“Racconti paesani”
vol. 1 - Il Grano e il pane
vol. 2 - Una vita fra la canapa
vol. 3 - Tessitura che passione!
vol. 4 - Una vita fra i bigatti
vol. 5 - Una fèta d’furmaj
Documentari in DVD
Testimonianze dal Museo
Il grano e il pane: ieri e oggi
Una vita fra la canapa
Latte e formaggio
Il maiale, l’amico dell’uomo
Una vita fra i bigatti
Romagna mia. Cofanetto 6 DVD, speciale 15°
Autobiografia dell’Associazione “La Grama”
Monografie dei Musei del Sistema Museale
Cartoline storiche con annullo filatelico speciale
“Incontro letterario”, 2008, CD audio
Granoturco e polenta in Romagna, di G. Pozzetto
Storia del pane a Ravenna, di U. Foschi
I misteri dei musei: 1) Ombre arcane; 2) Il fuoco
segreto; 3) L’ultimo custode.
Laboratori didattici
Nell’anno scolastico 2009-2010 da Ravenna e da
Forlì sono arrivati 1.219 bambini di Scuole Materne,
Primarie e Medie, accompagnati da 116 insegnanti.
Il laboratorio più frequentato è stato “Dal grano al
pane”, con un record di 30 laboratori. Da registrare
il lavoro svolto con successo dai bambini di quinta
elementare di San Pancrazio che si sono impegnati
con entusiasmo nell’allevamento del baco da seta.
Fra le novità di questo anno segnaliamo il nuovo
laboratorio denominato “Dall’uovo alla sfoglia”.
Questa importante attività non sarebbe possibile
senza l’impegno generoso e professionale dei
collaboratori e dei volontari della Grama.
Elementi fondamentali di conservazione e restauro
del legno e del ferro (opuscolo).
Manufatti tessili prodotti nel nostro laboratorio
di tessitura di varie misure e varie decorazioni.
Libri e dischi sono disponibili presso la libreria del Museo o
prenotabili all’indirizzo di posta elettronica sopra riportato.
La quota associativa è di € 15,00 fino a 65 anni
e di € 12,00 oltre i 65 anni.
Si versa utilizzando il bollettino di C/C postale intestato a
“La Grama” C/C N.11939485 oppure presso gli sportelli
del Credito Cooperativo della Provincia di Ravenna e della
Cassa di Risparmio di Ravenna oppure al Museo della vita
contadina di San Pancrazio nei giorni di apertura al
pubblico sopra indicati oppure consegnandoli a mano ai
volontari dell’Associazione, che provvedono alla ricevuta.
Indirizzo mail
Per ricevere notizie sull’attività della Grama in tempi
rapidi comunicateci il vostro indirizzo di posta
elettronica o un telefono cellulare.
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Bollettino N.27 speciale1.pub