“UN MINUTO PER NOI”
Focus formativi dei volontari del Servizio Civile Nazionale
dell’Opera don Calabria progetti 2011.
Casa San Benedetto
Progetto: “I ragazzi sono di chi li piglia”
Questo lavoro nasce all’interno del gruppo dei 16 volontari che
hanno realizzato il progetto dal 2 luglio 2012 al 1 luglio 2013.
Il materiale qui pubblicato è stato raccolto in occasione degli
incontri mensili di formazione specifica, allorché i giovani dovevano
condurre un approfondimento sui temi della pace, della fratellanza,
della solidarietà, della cooperazione, della cittadinanza attiva, della
Costituzione Italiana e del pensiero critico in senso generale, per
dire sì alla vita contro la morte.
Si è realizzato questo libretto per loro, quale prodotto a ricordo
dell’esperienza vissuta, e per chi vuole conoscere un po’ di più le
fondamenta del Servizio Civile Nazionale.
Opera Don Calabria - Ufficio per il Servizio Civile
www.serviziociviledoncalabria.it
045.8052962 / [email protected]
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CHICO MENDES
Chico Mendes, nome completo Francisco Alves Mendes Filho
(Xapuri, 15 dicembre 1944 – Xapuri, 22 dicembre 1988), è stato un
sindacalista, politico e ambientalista brasiliano.
Biografia
Raccoglitore di caucciù (seringueiro), è stato Segretario generale del
Sindacato dei lavoratori rurali di Brasiléia (Sindicato dos Trabalhadores
Rurais) dal 1975 e promotore della nascita del sindacato a Xapuri
(1976), lega il proprio nome alla lotta contro il disboscamento della
foresta amazzonica, condotta dai contadini con metodi assembleari ed
utilizzando con successo la pratica dell'empate ("impedimento, stallo"). Nel 1978 è eletto vice presidente
del consiglio comunale a Xapuri (l'anno seguente è presidente). Tende a trasformare il consiglio (Câmara
Municipal) in un'assemblea permanente in cui partecipano tutte le componenti politiche, sociali e
religiose della città, non ricevendo l'appoggio delle formazioni politiche ufficiali, incluso il proprio
partito, il Movimento Democratico Brasiliano (MDB). Viene pubblicamente minacciato dai possidenti
della zona e cominciano le repressioni violente degli empates, che perdono l'efficacia iniziale, e le
carcerazioni extragiudiziali di centinaia di contadini per tutto il decennio successivo; in quest'anno anche
Chico Mendes viene arrestato e torturato. Il sindacato dei lavoratori rurali conosce però una forte
espansione diventando il maggiore dello stato di Acre.
Dal 1979 con Lula, Josè Ibrahim e altri partecipa alle assemblee che porteranno alla nascita nel 1980
del Partido dos Trabalhadores (PT, Partito dei Lavoratori), un organismo che darà appoggio politico alle
rivendicazioni della CUT, la federazione sindacale generale di cui faceva parte il sindacato dei lavoratori
rurali. Nello stesso anno viene arrestato e processato per l'omicidio di Wilson Pinheiro, leader sindacale
di un'organizzazione avversaria, ma il processo rivela la montatura dell'accusa, per la quale sono invece
condannati 40 possidenti di Xapuri. Nei tre anni seguenti affronterà altri due processi per istigazione alla
violenza, essendo in entrambi prosciolto per insufficienza di prove.
Dal 1981, Mendes è segretario della CUT a Xapuri, carica che manterrà fino alla morte pur
continuando l'attività politica nel PT; nel 1982 perde le elezioni per un seggio a deputato nel parlamento
statale di Acre.
Nel 1985 guida il primo congresso nazionale dei seringueiros, durante il quale viene creato il
Consiglio Nazionale dei Seringueiros (CNS, Conselho Nacional do Seringueiros), che diventerà il
soggetto politico e sindacale che porterà le rivendicazioni di Mendes, dei contadini e delle popolazioni
indigene dell'Amazzonia all'attenzione dei media internazionali.
Nel 1987 una delegazione delle Nazioni Unite verifica direttamente a Xapuri le accuse rivolte alle
grosse finanziarie statunitensi che appoggiano progetti di disboscamento che causano la disoccupazione
forzata dei seringueiros, l'esilio forzato dei contadini indios dell'Amazzonia ed un danno ecologico di
dimensioni planetarie; in seguito a 40 giorni di campagna negli Stati Uniti, durante i quali Chico Mendes
parla anche di fronte al Senato statunitense, la BID (Bank of Interamerican Development) ritira i propri
investimenti in Amazzonia.
Nel 1988 Mendes lavora con successo alla creazione di una "riserva estrattiva" di caucciù nel seringal
Cachoeira, espropriato dallo Stato alla famiglia latifondista Alves da Silva che l'aveva a sua volta
illegalmente acquisito da dei piccoli proprietari terrieri. È l'anno in cui nasce l'União Democrática
Ruralista (Unione democratica rurale o UDR) un sindacato che compie in realtà azioni paramilitari in
tutto lo stato, minacciando ripetutamente Chico Mendes, che denuncerà alla polizia i nomi dei suoi futuri
sicari. Nel terzo congresso della CUT Mendes denuncia nuovamente i delitti della UDR, ed espone la tesi
congressuale "In difesa del popolo della foresta" davanti ai 6000 delegati che lo eleggeranno segretario
generale per acclamazione.
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La morte
Il 22 dicembre 1988 viene ucciso davanti alla porta di casa dai fratelli Alves da Silva, precedenti
proprietari del seringal Cachoeira.
Riguardo all'arresto dell'assassino e dei mandanti: nonostante fossero ben noti, furono considerati
fuori dalla portata giudiziaria per le loro connessioni politiche e il loro potere economico. Forti pressioni
nazionali ed internazionali riuscirono a far arrivare il caso in tribunale. Nel dicembre del 1990, Darly
Alves da Silva, proprietario terriero e allevatore locale, con il quale Chico si era scontrato più volte per
l'ottenimento del titolo di "reservas extractivistas" per la sua regione, ricevette una condanna a 19 anni di
prigione per essere stato il mandante dell'omicidio; suo figlio, Darci, ricevette la stessa condanna per
esserne stato l'esecutore materiale. L'entusiasmo iniziale fu molto, sia a livello internazionale e mediatico
che regionale, ma non appena i media spostarono i loro riflettori, gli omicidi continuarono. Dagli ultimi
anni del '70, delle centinaia di omicidi di capi sindacali che protestavano per i diritti della terra, l'unico per
cui si investigò e che portò ad una condanna fu quello di Chico Mendes.
La condanna a Darly Alves da Silva fu annullata nel febbraio del 1992 a Rio Branco dalla corte
d'appello statale.
Tributi
Canzoni
Diverse sono le canzoni dedicate a Chico Mendes:
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Ricordati di Chico dei Nomadi,
Chico Mendes dei Gang,
Per la gloria di Mario Lavezzi,
Cuando los angeles lloran (Quando gli angeli piangono) dei Manà,
Ambush dei Sepultura,
How many people di Paul McCartney
Tëra dël 2000 dei Mau Mau
Parchi e campi
Esistono diverse strutture intitolate a Chico Mendes, tra cui molti parchi, ad esempio il Parco Chico
Mendes nella frazione campigiana di San Donnino, realizzato in un'area precedentemente occupata da una
discarica, uno a Giarre, uno a Pantigliate (MI), uno a Reggiolo (RE), uno a Rezzato (BS), uno a Borgaro
Torinese, uno a Giulianova (TE), uno a Isola Vicentina (VI), uno a Terni, Spoleto e a Perugia, uno a Porto
Torres (Sassari), uno a Riccione (RN), uno a Cusano Milanino (MI), uno a Borgo Valsugana (TN), uno a
Romano di Lombardia (BG) oltre a un campo sportivo a Berceto ed un Giardino a Ravenna, uno a
Castegnato (BS), uno nel centro-città di Como. A Lecco è stata posata dal WWF Lecco una targa in
Piazza Manzoni. Esiste inoltre un percorso ciclabile (nonché polmone verde) che collega Mirandola (MO)
con il comune di Medolla.
(informazioni tratte da Wikipedia)
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RICORDATI DI CHICO
(Canzone dei Nomadi)
I signori della morte hanno sì,
l'albero più bello è stato abbattuto.
I signori della morte non vogliono capire,
non si uccide la vita, la memoria resta:
così l'albero cadendo ha sparso i suoi semi
e in ogni angolo del mondo nasceranno foreste.
Ma salvare le foreste vuol dire salvare l'uomo,
perché l'uomo non può vivere tra acciaio e cemento,
non ci sarà mai pace, ma il vero amore finché
l'uomo non imparerà a rispettare la vita.
Per questo l'albero abbattuto non è caduto invano,
cresceranno foreste e una nuova idea del uomo.
Ma lunga sarà la strada e tanti gli alberi abbattuti,
prima che l'idea trionfi senza che nessuno muoia,
forse un giorno uomo e foresta vivranno insieme,
speriamo che quel giorno ci siano ancora.
Se quel giorno arriverà ricordati di un amico,
ma proprio svigno se la foresta Ricordati di Chico.
Se quel giorno arriverà ricordati di un amico,
morto per gli indios e la foresta ricordati di Chico.
Lai la la la, Lai la la la, Lai la la la, Lai la la la
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STEVIA REBAUDIANA
Non tutti sanno che lo zucchero industriale moderno non fa male
solo a diabetici, arteriosclerotici o soggetti con malattie
cardiovascolari, ma fa male a tutti! La dolcissima polvere
bianca che in tutto il mondo si assume con una certa regolarità è,
infatti, altamente tossica e la sua continua assunzione può portare
danni fisici, psichici e ovviamente una forte dipendenza. La
lavorazione che rende la barbabietola prodotto finale è
incredibilmente “raffinata” tanto da fargli cambiare colore
attraverso coloranti chimici, sottrargli sostanze vitali e vitamine.
Inoltre, per far digerire questa sostanza sintetica che di naturale
non ha nulla, il nostro organismo è costretto a farsi rubare
massicce dosi di sali minerali per riuscire ad assimilarlo con il conseguente indebolimento del fisico.
Purtroppo però la natura nociva di questa sostanza non viene dichiarata pubblicamente poichè metterebbe
K.O. l'intera industria dello zucchero delle multinazionali che la producono.
Esiste però in natura una pianta, la stevia, che è un vero e proprio dolcificante naturale a zero calorie.
Descrizione e caratteristiche
La Stevia rebaudiana è una pianta erbaceo-arbustiva perenne, di piccole dimensioni, della famiglia delle
Asteraceae (Compositae), nativa delle montagne fra Paraguay e Brasile. È una pianta perenne poco resistente
al gelo, nei climi più freddi è coltivata solitamente come semi-perenne. Arriva ad un'altezza di mezzo
metro circa, ha fiori ermafroditi molto piccoli, numerosi, di colore biancastro, impollinati dagli insetti. La
fioritura è tardo-autunnale. Ha foglie ovali, opposte.
Caratteristiche e utilizzi
La stevia é conosciuta da molti popoli dell'area geografica Sud-Americana da diversi millenni, oltre che per il
potere dolcificante delle sue foglie, anche per le proprietà medicinali, infatti è stata correntemente usata da secoli
dai popoli indigeni del sud America per le sue doti curative, ed é usata ancora oggi. In Brasile è utilizzata come
rimedio della medicina popolare per il diabete. Viene coltivata estesamente e consumata in Thailandia, Israele e
Cina, ed in genere in tutta l America meridionale, dove è usata da secoli come dolcificante ma soprattutto come
pianta medicinale. Viene usata come dolcificante, in quanto é molto più dolce del comune saccarosio. La Coca
Cola in Giappone la usa come dolcificante per la Coca Cola light (Diet Coke). I principi attivi sono lo stevioside,
e il rebaudioside A. I principi dolcificanti sono in tutte le parti della pianta ma sono più disponibili e concentrati
nelle foglie, che quando sono seccate (disidratate), hanno un potere dolcificante (ad effetto della miscela dei due
componenti dolcificanti) da 150 a 250 volte il comune zucchero. Contrariamente allo zucchero i principi attivi
non hanno alcun potere nutrizionale (zero calorie), ed essendo prodotti naturali sono relativamente stabili nel
tempo ed alle alte temperature, per cui conservano perfettamente le loro caratteristiche anche in prodotti da forno
o in bevande calde, diversamente da altri dolcificanti di sintesi come l'aspartame, che subisce degradazione.
Senza troppi giri di parole é, pertanto, il dolcificante naturale più potente al mondo. Al contrario dello zucchero
bianco raffinato è completamente naturale, e potrebbe rappresentare la soluzione ideale, soprattutto per diabetici
e obesi. Le caratteristiche principali della stevia sono quanto mai sorprendenti:
-non causa diabete
-non contiene calorie
-non altera il livello di zucchero nel sangue
-non ha tossicità
-essendo priva di zuccheri, non provoca carie e placca dentali
-non contiene ingredienti artificiali
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La polemica sulla stevia
Il possibile uso della stevia, in Paesi diversi da quelli di origine, ha prodotto notevoli controversie e
contestazioni, facendo affermare l'esistenza di una cospirazione commerciale, interessata a contrastarne
l'usò, ed a favorire invece i dolcificanti artificiali. Di rilievo è il fatto che la stevia è normalmente
consumata in molti Paesi, in alcuni di questi da molto tempo e senza particolari problemi. In tali Paesi è
considerata meno dannosa di altri dolcificanti, come l’aspartame o l’acesulfame K, usata come estratto
secco o come infuso fresco. L'uso della Stevia nei prodotti alimentari è stato in passato limitato in dato che
alcuni suoi componenti, alle dosi testate, come lo steviolo e lo stevioside erano ritenuti sospetti di
cancerogenicità. Nel 1999 la Commissione sugli Additivi nei Cibi dell'OMS e il Comitato Scientifico per
gli Alimenti dell'Unione Europea, segnalarono la pericolosità della stevia come additivo alimentare.
Conseguentemente, nel febbraio 2000 la Commissione Europea, seguendo le opinioni del Comitato
Scientifico per gli Alimenti, ha deciso che la Stevia rebaudiana (pianta ed estratti secchi) non può essere
immessa nel mercato come alimento o come additivo alimentare. Il 10 aprile del 2003 il Parlamento
Europeo ha approvato una risoluzione che chiede di rivedere le norme di utilizzo di edulcoranti
quali l’aspartame e la stevia. Nello stesso provvedimento si limita pesantemente la quantità massima di
edulcoranti nelle bibite gassate. Nel 2004 durante un simposio internazionale sulla sicurezza dello
stevieside é stata smentita la sua cancerogenicità, anche perché questa sostanza non verrebbe assorbita
direttamente dall'intestino, ma degradata dai batteri del colon a steviolo e in gran parte eliminata con le
urine. Esaminando i dati disponibili dai Paesi che ne fanno uso anche come infuso, la FAO e l’OMS hanno
cosi stabilito una dose massima giornaliera di 2 mg/kg peso corporeo di steviolo. Questo limite, nello
studio della FAO, ha un fattore di sicurezza 200, ossia è 200 volte inferiore alle quantità che possono
essere considerate “eccessive”, e quindi influenti negativamente sulla salute. L'European Food Safety
Authority (EFSA). il 14 aprile 2010 ha approvato l'uso della Stevia come Food Additivo, così come è
accettato in Svizzera, c storicamente in tutti Paesi latino-americani.
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INVICTUS
5 ottobre 2012
In occasione dell'incontro dei servizi civili mi è sembrato interessante
parlare di come spesse volte per risolvere i conflitti tra persone sia
necessaria una forza unificatrice ampia e positiva. Ho deciso di
prendere spunto dalla vicenda del Sudafrica dove, sul finire
dell'apartheid, lo sport - in particolare il rugby - è stato il motore
di un grande passo verso l'integrazione tra la popolazione bianca e
quella nera. Quindi ho fatto riferimento al film invictus che avevo
visto proprio pochi giorni prima. L'argomento del film di Clint
Eastwood ruota attorno alla nascita per intuizione del presidente
Mandela, intorno al 1995 in occasione dei mondiali di rugby in
Sudafrica, di una nazionale che guidata dal motto “one team, one
country”, avrebbe unito il paese con lo spirito dirompente di unità e
compattezza che è proprio di questo sport. Il forte legarne di
amicizia stretto tra lo stesso Mandela e François Pienaar (capitano
“afrikaner” quindi bianco della nazionale), è stato il primo
emblematico passo verso l'integrazione tra afrikaner e neri nella nazione Sudafricana. Lo stesso
arcivescovo Desmond Tutu ha definito, dopo questo evento, il Sudafrica “the rainbow nation”. È
evidente che le complessità della questione Sudafricana non siano state risolte solo grazie al mondiale di
rugby, ma sono stata colpita da come lo sport, strumento alla portata di tutti, sia stata la prima spinta
verso un'evoluzione in senso democratico della risoluzione dei conflitti razziali.
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LA STORIA DI UN’AMICA
Durante il minuto per noi di oggi, ho deciso di raccontarvi un
episodio capitato ad una mia cara amica qualche anno fa. Un
qualcosa che mi ha, e ci ha segnato profondamente, e che ho
ritenuto particolarmente adatto per la giornata di oggi.
A. ha creduto per diverse settimane di esser rimasta incinta
del suo ragazzo. L'evento non era stato assolutamente cercato,
ma dovuto ad una distrazione. Come potrete facilmente
immaginare, A. era sconvolta, spaventata, in balia degli
eventi. Sentiva di aver perso qualsiasi controllo sulla sua vita.
Un giorno decise di affidarmi le pagine del suo diario, su cui
aveva scritto tutta l'angoscia provata in quei momenti, un
modo per sfogarsi e per mettermi al corrente di quanto le stava accadendo. Ho ritrovato da poco quelle
pagine custodite con cura, e rileggendole, mi sono trovata ad interrogarmi su cosa voglia dire essere
davvero genitori. Divenirlo, è facilissimo, basta anche una piccola distrazione, ma esserlo, questo è
davvero difficile. Una difficoltà che forse oggi più che mai, viene sottovalutata. Diventare padre e madre,
significa mettere al mondo un altro essere vivente di cui si sarà per sempre responsabili, che dipenderà
per molto tempo unicamente da noi, e che ci obbligherà a non distrarci mai più. In una comunità, la prima
cosa di cui ti accorgi, è proprio questa difficoltà. Molti dei ragazzi che vi si trovano, hanno avuto
problemi a livello familiare, con genitori assenti, scostanti, disturbati, inadatti, o semplicemente incapaci
di fronteggiare quelle che sono le richieste di un figlio, magari già problematico. Ti rendi conto, e tocchi
con mano, di come il genitore sia il mestiere più difficile del mondo, e provi paura. Paura perchè, per
quanto tu possa dire, io non farei mai una cosa di questo genere, in realtà capisci, che in alcuni casi, le
difficoltà si sono presentate malgrado tutto. Ti accorgi che alcuni di loro vorrebbero essere bravi genitori,
ma non vi riescono per delle problematiche personali che non riescono a fronteggiare, incapaci magari di
occuparsi anche solo di loro stessi. Sono molteplici e ingarbugliate le variabili che intervengono a
complicare il mestiere di genitore. A. l'aveva capito, e ne era terrorizzata. Per un attimo, ha anche pensato
di abortire, nel caso. Pensava di non potersi occupare, di non essere ancora in grado di allevare un
bambino. Forse era vero, ma d'altro canto, ci siamo chieste: Come si può anche solo immaginare di avere
il diritto di pensare di porre fine ad una vita, o qualcosa che di lì a qualche settimana lo sarebbe anche per
la scienza? Come si può vivere in pace con se stessi sapendo di aver di fatto ucciso un essere umano?
Voglio essere chiara su questo punto: preferisco una donna che si renda conto di non essere in grado di
allevare un bambino e lo “rifiuta” pensando ad un'alternativa, piuttosto che una donna che lo tiene per poi
abbandonarlo a se stesso. Ma credo anche che una donna, di fronte a questo evento, debba trovare il
coraggio di lasciare che il bambino cresca dentro di lei, di farlo nascere, e poi di decidere se davvero non
lo vuole, e di darlo in adozione, ci sono così tante famiglie che farebbero di tutto per avere un bambino, o
di tenerlo, colte da quello che si chiama istinto materno. Ogni donna dovrebbe darsi questa possibilità e
darla al proprio bambino. Il problema è che purtroppo i tabù della nostra società rendono la gravidanza
una vergogna immensa per le ragazze. Certo, alcune non vorrebbero affrontare neanche quei nove mesi,
ma credo che se non ci fossero da affrontare i giudizi dei proprio genitori, e quelli della società, avremmo
un numero nettamente inferiore di aborti. Detto ciò, questo minuto per noi, mi è servito per fare una
riflessione profonda sull'aspetto della vita e della responsabilità, e credo fermamente che si dovrebbe fare
molto di più in termini di politiche sociali per affiancare la famiglia anche prima che questa si costituisca.
Diventare genitori è difficilissimo anche quando lo si è voluto e cercato, molte donne soffrono di
depressione post-partum e devono affrontare l'intero calvario da sole, sorrette dai mariti spiazzati almeno
quanto loro, e avrebbero diritto a qualcosa “in più” (un qualcosa in grado di aiutarle, sostenerle nel lungo
e tortuoso percorso di essere madri e padri. In Italia siamo troppo arretrati sulle politiche di sostegno alla
famiglia, e sono sicura che questo sostegno, concesso fin da subito, possa essere la chiave per evitare di
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trovarsi poi a dover fronteggiare crisi familiari conclamate che portano all'allontanamento, spesso
definitivo, dei minori dalle loro case, con traumi psicologici a volte indelebili, per i ragazzi, tanto quanto
per i genitori. Come sempre la prevenzione è la chiave di tutto, chissà perchè questo è il concetto che
facciamo più fatica a comprendere, da sempre.
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L’INNO ALLA VITA
UN INSEGNAMENTO,
UN SUGGERIMENTO,
UNA GUIDA,
UN PASSAGGIO DEL TESTIMONE...
… che 7 anni fa veniva dato a me e ai miei amici da parte di due
genitori che avevano appena subito la perdita della loro figlia, nonchè
la mia più cara amica, ultima speranza di due genitori che non avevano
più parole... così attraverso Madre Teresa hanno voluto trasmetterci
l'importanza di questa vita e di come non sia giusto sprecarla così e di
come in un secondo possa scapparti/sfuggirti dalle mani....
Mi ha fatto capire quanto importante sia la vita e come in un attimo
può sfuggirti di mano, solo in quel momento di sofferenza mi sono
fermata per la prima volta a pensare a cosa sia veramente la vita e di
quanto sia un peccato sprecarla, non coglierla dal punto di vista più
bello, di non riuscire a vederla come opportunità che ci viene data: una sorta di regalo. Per questo cercare
di viverla a pieno cercando di vedere il lato migliore delle cose, anche quelle più banali.
Io ho sempre pensato che la vita fosse come un foglio bianco che ci viene consegnato nel momento in
cui nasciamo.... Sta a noi poi la decisione... come vederla, come viverla, cosa apprezzare, che strada
prendere, STA A NOI RENDERLA BELLA E SPECIALE... LA VITA È COME LA VOGLIAMO
VEDERE! Questo, secondo me, è il messaggio che dobbiamo cercare di far passare in primis a noi per
poi riuscire a trasmetterlo ai nostri ragazzi attraverso gesti, parole, la presenza fisica, il divertimento. Farli
reagire anche se tutto sembra perduto, brutto, buio, insopportabile, invivibile... senza via d'uscita... NO..
c'e sempre una via d'uscita... basta avere la volontà di vederla....
L’INNO ALLA VITA
La vita è opportunità: coglila
La vita è bellezza: ammirala
La vita è beatitudine: assaporala
La vita è un sogno: fanne una realtà
La vita è una sfida: affrontala
La vita è un dovere: compilo
La vita è un gioco: giocalo
La vita è preziosa: abbine cura
La vita è un amore: godine
La vita è un mistero: scoprilo
La vita è tristezza: superala
La vita è un inno: cantalo
La vita è una lotta: combattila
La vita è un'avventura: corrila
La vita è felicità: meritala
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BANSKY
Parlando di artisti contemporanei, fuori dall'ordinario,
con forti messaggi comunicati attraverso la propria
arte, non si può non imbattersi in Banksy, forza
irriverente e sfacciata della street art.
Si sa di lui che è cresciuto a Bristol, luogo in cui
appaiono le sue prime opere, tra il 1974 e il 1975,
ma la sua vera identità è tenuta nascosta, sono le
sue opere a parlare per lui.
Le sue opere sono a sfondo satirico e
riguardano argomenti come la politica, la cultura, l'etica trasmettendo messaggi di pace anticapitalistici e
anticostituzionali; i suoi soggetti sono spesso animali come ratti e scimmie ma anche persone come
bambini, poliziotti, soldati e anziani.
Ha sparso per tutta Londra degli stencil di topi, i famosi Rats: curiosamente anagrammando la parola
rat si può ottenere art ("arte"). Per sua stessa ammissione, si tratta di una coincidenza. Il soggetto dei topi
è stato scelto in quanto odiati, cacciati e perseguitati, eppure capaci di mettere in ginocchio intere civiltà.
“Se sei piccolo, insignificante e poco amato allora i topi sono il modello definitivo da seguire”.
Nell'agosto del 2005 Banksy ha realizzato dei murales sulla barriera di separazione israeliana,
costruita dal governo israeliano nei territori della Cisgiordania (soprattutto a Betlemme, Ramallah e Abu
Dis), combinando varie tecniche. Le caratteristiche di questi murales sono veri e propri squarci nel muro
che permettono di “vedere” cosa c'è dall'altra parte. Nel 2007 è ritornato a Betlemme per effettuare
ulteriori murales.
Il significato dei suoi stencil, ma soprattutto il modo poeticamente ironico con cui viene sempre
espresso, fa sì che il messaggio penetri nelle coscienze rendendole sensibili a tematiche di cui non si parla
mai abbastanza.
Il muro è la sua tela, il suo pubblico è la gente che passa per caso passeggiando per la città, la sua arte
è per tutti.
In un periodo dove l'importante sembra solo l'apparenza ed essere riconosciuti per il proprio aspetto, a
discapito delle idee, delle convinzioni personali o ciò che davvero scuote gli animi delle persone, Bansky
fa esattamente il contrario, rifugge la fama, rimane anonimo e fa parlare attraverso la sua arte il suo
pensiero e le proprie idee.
«Alcune persone diventano dei poliziotti perché vogliono far diventare il mondo un posto migliore.
Alcune diventano vandali perché vogliono far diventare il mondo un posto migliore da vedere».
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IL CIELO SOPRA BERLINO
Mantova, 5 aprile 2013
Angelo ha 12 anni e lontano dai genitori
trascorre i tre anni di medie in un Collegio,
andando a casa solo nei fine settimana con un
sorriso enorme sulle labbra.
Ma una situazione diversa lo aspetta a casa.
Il padre molto spesso lo picchia anche senza
motivazioni, la madre incapace di fermare il
marito, piange ogni volta senza reagire,
sottomessa dalla figura maschile.
Ogni domenica Angelo torna in collegio e non
viene mai accompagnato dai genitori all'interno
della struttura, ma lasciato e salutato all'angolo della strada del Collegio.
Sull'ambito scolastico non va bene anzi, i voti.sono bassi e il comportamento pessimo, combinando sempre
disastri. Un giorno, durante le lezioni, Angelo entra nel laboratorio di Scienze e usando spago e scheletro di
plastica, lo fa penzolare fuori dalla finestra dell'aula sottostante, spaventando la classe e specialmente la
Professoressa che, essendo debole di cuore, fa un infarto. Nemmeno l'arrivo dell'ambulanza riesce a salvarla.
Dopo questo episodio il ragazzo viene mandato in una comunità, situata in mezzo alla campagna sperduta
nel nulla. Al suo arrivo a riceverlo c'è Padre Costantino che fungeva anche da educatore, aiutato dalla cuoca
Maria. All'interno della comunità ci sono altri tre ragazzi: Nicola, Luca e Mara con cui Angelo avrà un
rapporto di amore e odio. Anche qui non riesce a comportarsi bene e arrabbiato per essere finito all'interno di
quella struttura continua a disturbare e fare disastri. Il prete però non ci fa molto caso, ma si limita a
sorridergli e dirgli che deve essere felice, continuando con i ragazzi le attività di tutti i giorni.
Una sera di fine estate Padre Costantino fa guardare ai ragazzi un film dal titolo "Il Cielo Sopra
Berlino", dove si parla di angeli invisibili che scendono sulla Terra per ascoltare i pensieri della gente, i
loro sogni, i desideri e le paure. E a furia di ascoltarli gli viene una gran voglia di averceli pure loro,
quei desideri, quei sogni. E pure le PAURE.
Angelo, guardando il film, sente il cuore gonfiarsi e le lacrime in arrivo. Il film lo fa sentire diverso,
pensa alla sua vita, ai genitori, al perchè è in quella comunità, alla Professoressa della sua scuola
scomparsa, sentendo addosso un peso enorme.
Pensa ai genitori che non lo vogliono a Casa dal giorno in cui è nato, un figlio forse non voluto o forse
nato per errore, troppo cattivo, violento e cinico per volerlo con sè. Il giorno che Angelo torna a casa per
vedere i suoi genitori accompagnato da Padre Costantino, suona ma nessuno gli apre la porta, pur
sentendo che il papà e la mamma sono in casa, allora viene immediatamente portato via dal Prete.
Pensa a come può diventare un bravo ragazzo, argomento che lo impauriva molto. Per questa paura
Angelo era diventato ciò che ora è, quel ragazzo superficiale e violento.
Con il passare dei giorni nella comunità si motiva ad affrontare la sua più grande paura e mano a
mano cambia e solo lì, in quella Casa, diventa un bravo ragazzo senza mai essere picchiato o insultato,
come spesso capitava a casa.
Riesce a prendere la Licenza di Scuola Media a pieni voti e si sente fiero di sè per aver finalmente
capito cosa doveva affrontare ed essere diventato un bravo ragazzo con paure ed emozioni, potendo
sorridere e piangere per i sentimenti che solo ora riusciva a provare.
Padre Costantino gli ha restituito ciò da cui Angelo stava scappando, LA VITA.
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LA LEZIONE DI MALALA
di Elisa Kidanè, missionaria comboniana
“Dateci penne per scrivere, prima che qualcuno
metta armi nelle nostre mani”. Sono parole di Malala
Yousafzai, una ragazzina pakistana di 14 anni, che
incarna da sola tutto il dolore e tutta la speranza del
mondo. Da sola riesce a far paura a uomini retrogradi
e violenti. Da sola fa quello che neppure le
associazioni umanitarie più solide riescono a fare. La
sua denuncia chiara, forte e senza distinguo ha
talmente spaventato i talebani che hanno cercato di
zittirla, per sempre.
A 11 anni decide di usare un blog, non per descrivere
frivolezze e amenità, ma per raccontare di diritti
negati a lei e a tante sue coetanee, solo perché donne. Racconta di scuole femminili chiuse o addirittura
distrutte, fa appelli, supplica di aiutare le donne del suo paese perché riescano a far fronte alla cultura
ancestrale che le vuole relegare, annullare. Parla, scrive, racconta. Troppo.
La minacciano, lei continua a scrivere, la avvisano che farà una brutta fine, lei continua a denunciare,
le fanno sapere che non avranno pietà se continua a parlare e lei con un sorriso disarmante va avanti nella
sua ostinata e solitaria battaglia: non alimentare il potere della forza bruta che ovunque si nutre di silenzi,
omertà e paure.
E, infatti, i detentori di questo potere reagiscono. Brutalmente. Programmano nei minimi dettagli
l'agguato. Le sparano mentre torna da scuola su uno scassato autobus. Ora è in fin di vita. Mentre scrivo si
sta facendo di tutto per salvarla. La piccola Malala continua la sua battaglia contro il mostro Golia. Spero
davvero che ce la faccia. Per ognuno di noi. Eh sì! Perché a questo siamo arrivati, ad avere bisogno di
bambini e bambine martiri per difendere il nostro domani.
Un altro su mille: lqbal, un ragazzino, anche lui pakistano, appena dodicenne. Aveva dato prova di
sapere da che parte stare in una società che umilia e soffoca l'infanzia. Venne ucciso nel 1992 per aver
denunciato i soprusi che subivano lui e altri bambini, resi schiavi e obbligati a lavorare in fatiscenti
fabbriche di tappeti venduti poi in tutto il mondo. Ucciso mentre correva in bicicletta, gustando l'ebbrezza
della vita che gli veniva incontro. Per lui non ci fu altro futuro che l'impatto sul selciato e l'oblio del suo
coraggio.
Purtroppo lqbal e Malala sono solo la punta d'iceberg delle nefandezze di cui il nostro mondo è
capace, ma anche l'iceberg di storie di bambini e bambine che cercano di insegnarci qualcosa. Noi adulti
facciamo proclami e costosi programmi a lunghissima scadenza su obiettivi irrealizzabili. Malala ne ha
uno solo e lo grida ai quattro venti: “Dateci penne per scrivere, prima che qualcuno metta armi nelle
nostre mani”.
Proprio nei giorni dell'agguato a Malala, una notizia assurda si è aggiunta a ingolfare le incongruenze
di questo nostro mondo di adulti. Il premio Nobel 2012 per la pace assegnato all'Unione europea. Ipocrita
la motivazione. L'Ue «ha contribuito a trasformare la maggior parte dell'Europa da un continente di
guerra in un continente di pace». Certo, ora le guerre vengono combattute per procura e altrove.
Sorvoliamo sul commercio mai in crisi delle armi, sul sostegno sfacciato ai dittatori di turno, sulle leggi
disumane verso gli immigrati... Quel premio l'avrebbero dovuto assegnare a bambini e bambine come
lqbal e Malala.
Penso alla mia Africa: “Dateci penne per scrivere, prima che qualcuno metta armi nelle nostre mani”.
Come vorrei che a gridare questo monito fossimo noi adulti, noi società civile, noi uomini e donne che
riempiamo blog e facebook di troppe parole che non hanno senso.
Dateci penne... Dateci scuole, dateci libri per alimentare la nostra mente, per capire che una società,
un paese, una nazione si costruiscono attraverso il dialogo, l'istruzione. Ci sono ancora troppe nazioni, in
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Africa e ovunque, che insegnano ai loro giovani l'arte della guerra invece che quella del dialogo, l'arte di
uccidere, non quella di costruire.
Mi diventa più chiaro quanto sia urgente accogliere il grido di Malala: dovremmo usarlo come
apertura di ogni nostro giornale, di ogni mezzo di comunicazione, farne un grido di protesta, di
avvertimento, di pericolo, di sfida.
Abolire le armi, inondare il mondo di libri, quaderni, penne. Il diritto allo studio non può essere solo
uno degli obiettivi del millennio: dovrebbe essere l'unico obiettivo che da solo aiuterebbe a raggiungere
tutti gli altri. E lo sanno troppo bene tutti: governi africani, Onu, stati occidentali, associazioni. Lo sanno
anche i misogini che una donna istruita è un ostacolo all'avanzare di una mentalità medievale, lo sanno i
governi che l'istruzione è la leva che scardina i troni dei dittatori.
Grazie Malala. Scusaci se abbiamo avuto bisogno del coraggio inaudito di te, bambina, per capire il
valore dell'impegno personale, del coraggio di sfidare una società misogina, con il tuo sorriso disarmante
di adolescente, e il coraggio di una leonessa.
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LA STORIA DI SIMONA
Simona Atzori nasce a Milano il giorno 18 giugno 1974 da
genitori di origini sarde. È nota al grande pubblico per essere
una ballerina e pittrice straordinaria, nel vero senso letterale
della parola. Simona è nata priva degli arti superiori, nonostante
ciò, ha saputo fare del proprio handicap un elemento di unicità
in campo artistico: potenziando e concentrandosi sull'uso degli
arti inferiori ha dedicato tutte le sue energie alla pittura e alla
danza, discipline nelle quali il suo talento eccelle in modo
oggettivo.
Si avvicina alla pittura fin da piccolissima, all'età di quattro
anni, e prosegue il suo percorso come autodidatta. Nel 1983,
all'età di nove anni, entra a far parte della VDMFK
(Vereinigung der Mund - und Fussmalenden Kiinstler in aller
Welt, e. V. - Associazione mondiale di artisti che dipingono con
bocca o piedi).
Nel 2001 consegue la laurea in “arti visuali” presso la
University of Western Ontario, in Canada. Oltre all'Italia, i suoi
dipinti trovano spazio nelle gallerie di tutto il mondo, dalla
Svizzera all'Austria, dal Portogallo alla Cina. Dal 2008 una sua
mostra permanente è presente nella città di London, in Ontario
(Canada).
Inizia a danzare all'età di sei anni, seguendo le prime lezioni. Coltiva questa passione negli anni, fino
ad arrivare nel 2000 ad esibirsi in un luogo unico, che prima di allora non aveva mai visto al suo interno
un'attività artistica di questo tipo, una Chiesa: Simona è in questo contesto Ambasciatrice per la Danza
del Grande Giubileo.
Nell'edizione del 2003 del Pescara Dance Festival, balla su una coreografia di Paolo Lando, al fianco
dell'etoile Marco Pierin.
In occasione delle Paralimpiadi invernali del 2006 che si svolgono a Torino, viene invitata a danzare
nella cerimonia di apertura.
Nel 2002 viene istituito il premio d'arte che porta il suo nome. Tale premio è stato conferito negli anni
a diversi nomi noti della danza, tra i quali ne ricordiamo due di grande spicco: Carla Fracci e Roberto
Bolle.
Nel corso della sua carriera di artista ha avuto modo di donare a Giovanni Paolo II un ritratto del
Santo Padre da lei realizzato.
Nel 2005 il grande giornalista Candido Cannavò, ex direttore de "La Gazzetta dello Sport" pubblica il
libro “E li chiamano disabili” (Storie di vite difficili coraggiose stupende, con prefazione di Walter
Veltroni). Nel libro vengono narrate sedici storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio della
non-rassegnazione; tra queste c'è anche quella di Simona Atzori. Una bellissima immagine che la ritrae
mentre danza nella penombra, viene scelta come copertina del libro. Insieme alla Fondazione
Fontana presta in prima persona il suo operato per aiutare a creare in Kenya un aiuto per il sistema
educativo.
Dotata di una vitalità e di un temperamento di straordinaria positività, Simona Atzori lavora anche
come formatrice, conducendo incontri motivazionali per studenti o dipendenti di grandi aziende. Con il
suo esempio e i suoi risultati, ma soprattutto grazie al suo atteggiamento verso la vita, riesce a trasmettere
efficacemente agli altri il giusto messaggio per affrontare un miglioramento personale. Nel 2011 esce il
suo libro “Cosa ti manca per essere felice?”.
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EVE
Dato che in questi mesi si è parlato molto del
calendario maya e dell'imminente fine del mondo
fissata per il 21/12/2012, abbiamo pensato di
costruirci su una storia con un progetto educativo
di fondo.
La protagonista di questa storia si chiama Eve
ed è una ragazzina sudamericana adottata da una
famiglia di Verona, che grazie alla sua
intraprendenza e curiosità decide insieme ad altri
suoi compagni di classe di seguire il suo
professore in questa ricerca di indizi a proposito
della fine del mondo. Per fare questo ci siamo
inventati dei collegamenti tra la città di Verona e una città Maya.
La cosa sorprendente, però, è che durante queste ricerche Eve e i suoi compagni vivono delle
esperienze molto forti, che noi abbiamo chiamato “momenti Paradiso”, che cambiano il loro modo di
vedere la realtà e in particolare la fine del mondo. Essa non viene più vista come un evento catastrofico,
ma come un nuovo inizio. I ragazzi, dapprima spaventati all'idea che tutto potesse finire, cambiano
visione grazie alla Fede che li aiuta a vedere la fine come un nuovo inizio: un qualcosa di cui noi stiamo
avendo solo un piccolo assaggio; il nome Eve infatti non è stato scelto a caso, bensì ha il significato di
“Vigilia”! Cioè anticipazione di quel mondo che ci sarà dopo e in cui sarà tutto talmente bello e intriso di
luce, quella di Dio, che non spaventa più l'idea di un'ipotetica fine. Ovviamente per poter parlare di tutto
questo ci siamo documentati, abbiamo letto un bel po' di libri tra cui "le cronache di Narnia" e "l'addio
alla Terra delle Ombre" di Lewis, avvalendoci anche degli scritti di s. Giovanni Calabria e della Bibbia.
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IL CASO LOCALE: GIANNI FAÈ
Gianni Faè nacque a Sant'Andrea di Badia
Calavena (VR) nel 1921. Si diplomò alla
Farnesina di Roma nel 1940, successivamente
dovette interrompere gli studi universitari a causa
della guerra che lo portò a combattere come
sottotenente in Jugoslavia.
Sopravvissuto al campo di prigionia in Germania
e superata la guerra, decise di tornare nel paese
natio e di sostenere il concorso pubblico, per
poter così esercitare la professione di maestro
nella piccola cittadina di Sant'Andrea.
Nel 1950 riuscì ad ottenere la cattedra
cominciando così “un'avventura” didattica che
potrò la piccola scuola elementare, e il metodo
adottato dal maestro, alla popolarità.
Il primo problema che Faè si ritrivò ad affrontare fu quello della frequenza scolastica, la voglia di
studiare era molto scarsa e i ragazzi erano molto indisciplinati. Durante le ore di scienze, il maestro
insegnava loro come lavarsi e le regole base del galateo, era importante imparare a comportarsi nella
società odierna, anche perchè per cambiare il proprio status bisognava uscire dal paese e sapere
confrontarsi con una società che stava rapidamente rivoluzionandosi.
Il metodo utilizzato “dall'insegnante rivoluzionario” consisteva principalmente sul metodo “learning
by doing” dove si impara sperimentando concretamente le cose, meno teoria più pratica. Appena era
possibile, le lezioni venivano svolte all'aperto facendo fare ai bambini delle passeggiate dove i ragazzi
dovevano raccogliere ciò che li colpiva, il giorno seguente ciò che era stato raccolto veniva esposto
trasformando la classe in un piccolo museo di fiori, sassi, frutta, legni ecc.
Le problematiche climatiche erano comunque molto influenti sulle giornate dei ragazzi, infatti
durante l'inverno le temperature erano motto rigide e il riscaldamento all'interno della classe
consisteva in una piccola stufa che a malapena riusciva a riscaldare il piccolo locale. Per molti anni la
legna che occorreva per scaldarsi la portava il maestro stesso che la donava con piacere per poter rendere
più piacevoli le sue lezioni e per regalare un clima accogliente ai bambini.
I metodi di Gianni Faè erano da una parte ritenuti moderni e accattivanti ma anche
fortemente criticati e ritenuti blasfemi. Nonostante tutte queste critiche la voglia di insegnare
non diminuì, infatti durante il 1953 partì il progetto del giornalino di classe chiamato “Piccole
Dolomiti” dove i ragazzi iniziarono le prime incisioni su linoleum per il giornalino, e a rappresentare le
poesie di Sinisgalli.
Inviarono a Sinisgalli le incisioni che dovevano essere pubblicate sulla rivista della
“Finmeccanica” e su “Verona Fedele”. L'ingegnere rimase talmente colpito dalle incisioni dei ragazzi
che donò loro una somma di denaro che fu utilizzata per acquistare una piccola stamperia munita di
pressa, di una scatola di caratteri, un rullo e l'inchiostro, quindi si passò a produrre il giornalino da
manoscritto a stampato.
II maestro cercò di adattare il giornalino a tutte le materie scolastiche, i ragazzi non dovevano
più rimanere immobili durante le lezioni, ma erano attivi, erano i protagonisti e i creatori di un giornale,
imparavano a fare da soli, a muoversi, aiutarsi, si sentivano impegnati e regolarmente uno alla volta
tenevano direttamente loro la lezione.
Per non restare indietro con il programma fu proposto di stampare il giornalino al
pomeriggio, la proposta fu ben accolta dai bambini che alle volte "scappavano" dai lavori familiari nei
campi per poter “lavorare” alla stampa del giornale.
Nel 1955 il maestro con la piccola squadra di giornalisti fecero circa 30 incisioni e
illustrarono le poesie dei più grandi poeti italiani, da Sinisgalli a Saba a Quasimodo a Ungaretti.
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Dell'insegnante e del suo metodo si parlò sui giornali e si allestì addirittura una mostra a Roma con le
incisioni. Per un po' S. Andrea divenne famosa grazie alla scuola e al suo carismatico insegnante. II poeta
e premio nobel Salvatore Quasimodo venne a S. Andrea per vedere con i suoi occhi il lavoro dei
ragazzi e per conoscere il maestro. Restano di questo avvenimento le foto e una dedica poetica di
Quasimodo.
Durante i primi anni Settanta abbandonò il sentiero didattico per dedicarsi al suo comune, Badia
Calavena in Verona; fu infatti eletto sindaco e contribuì enormemente alla crescita economica-culturale
della piccola cittadina. Continuò comunque a mantenere vivo il suo interesse per gli avvenimenti
locali e la storia della Lessinia. L'attività di giornalista proseguì, al punto che il maestro diventò
direttore di redazione di “Vita Veronese” e direttore della casa editrice Corey.
Gianni Faè, iI poeta della Lessinia, appassionato storico e ricercatore, impegnato fino alla fine nella
divulgazione della storia della lingua e dell'arte Cimbra, mori prematuramente nel 1983, il suo ricordo
comunque rimane vivo tuttora e in sua memoria iI comune di Badia intitolò nel 1993 una via a suo
nome.
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UGO DE CENSI
Da un discorso di padre Ugo De Censi:
“Cari ragazzi,
siate sempre buoni, ottimisti e attenti.
Se amerete non vi mancherà nulla.
Il segreto della felicità è amare:
regala le tue cose, il tuo tempo, perdona…
Non preoccuparti mai di te ma degli altri.
Allora vi assicuro che se amerete
non vi mancherà nulla”
P. Ugo
Ugo De Censi (Polaggia di Berbenno, 26 gennaio 1924) è un presbitero
e missionario italiano, membro dei salesiani e fondatore dell'Operazione
Mato Grosso.
Biografia
Secondo di 6 figli, dall'età di 9 anni venne messo assieme al fratello
Ferruccio nel collegio del paese accanto, dall'altra sponda del fiume Adda.
Con l'appoggio del fratello (che aveva la stessa intenzione) scelse di
diventare un salesiano.
Nel 1940 suo padre Vincenzo partì in guerra, sua madre Orsola morì. A
causa della spondilite tubercolare fu costretto per diversi anni in ospedale,
ed alcuni sacerdoti temettero che non sarebbe riuscito a prendere i voti.
Durante un pellegrinaggio a Lourdes gli si rimarginarono le ferite. Concluse gli studi laureandosi in
teologia ed in scienze politiche; venne ordinato sacerdote l'8 marzo 1951.
La missione
Una tappa molto importante della sua vita fu la casa-salesiana di Arese in provincia di Milano. Ad Arese
i salesiani gestivano il locale Riformatorio, e don Ugo vi operò per quasi 20 anni. Nel 1965 partecipò a
Roma al XIX capitolo generale dei salesiani dove incontrò Padre Pedro Melesi inviato come rappresentante
dei salesiani dell'America Latina. Padre Pedro era missionario a Poxoreo [Brasile] precisamente nello stato
del Mato Grosso. Don Ugo fu colpito dalla sofferenza e dalla miseria che Padre Pedro gli raccontò circa il
Brasile; gli promise d'aiutarlo. Padre Pedro fu invitato a soggiornare durante l'estate alla casa di montagna
della Casa Salesiana di Arese: parlò con i giovani, ivi ospiti, fu ascoltato .. durante l'inverno dopo l'incontro
col missionario, Don Ugo, con altri due salesiani, raccolsero fondi e gente per andare nell'estate successiva a
dare un po' d'aiuto a Padre Pedro. nella sua Missione nell'America Latina. Nell'estate del 1967 ci fu la prima
spedizione concretizzata con la costruzione di un centro giovanile a Poxoreo.
Le richieste aumentarono e molti altri ragazzi si unirono alla causa di Don Ugo, nacque così
l'Operazione Mato Grosso.
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La partenza
Per dieci anni Don Ugo seguì i ragazzi dell'Operazione Mato Grosso in Italia e in Missione. Li
seguiva personalmente, aiutandoli nella spola tra l'Italia e l'America Latina. Nel 1976 partì anche lui.
Andò a Chacas (Ancash-Perù), un paesino della Prelatura territoriale di Huarí a 3400 m d’altezza,
nella Cordillera Blanca a circa 600 km da Lima, nella povera e isolata valle dei Conchucos. Desiderava
solo di stare povero tra i poveri. Poi le evidenti necessità della gente lo hanno costretto a dare vita al
grande complesso che oggi c’è a Chacas.
Le scuole
Nel 1979 aprì la scuola d'intaglio del legno all'insegna di Don Bosco, fin dall’inizio ha funzionato
come un internato gratuito, dove gli alunni ricevono istruzione, formazione professionale, vitto e alloggio.
Gli allievi vengono accolti, dopo essere stati scelti tra molti candidati, in considerazione della povertà
della famiglia e della bontà del ragazzo. La scuola dura 5 anni, secondo quanto previsto dai programmi
delle scuole superiori. Il governo ha riconosciuto questi studi e alla fine rilascia agli alunni la qualifica
professionale d'intagliatori del legno. Alla fine del 2007 i Tallers sono molti e contengono circa 800
ragazzi. Visto la buona uscita del progetto Don Ugo creò altre scuole ma di stampo femminile, oggigiorno
400 ragazze sono ospitate in questi centri di formazione.
Gli oratori
Oltre alle scuole d'intaglio Padre Ugo creò anche degli oratori delle Ande per riuscire ad accogliere
tutti i ragazzi che non trovavano posto nelle scuole e per dar loro un aiuto concreto (la maggior parte dei
bambini non aveva nemmeno le scarpe). Lo stesso Padre Ugo diceva: « Le nostre parrocchie raccolgono
oggi con l’oratorio circa 15.000 ragazzi. Un fiume di ragazzi formato da tanti ruscelli, che scende cantando
dalla Cordillera. »
Con gli oratori e le scuole di formazione Padre Ugo creò anche sei istituti pedagogici sempre a nome
di Don Bosco. Costruì inoltre un seminario che nel 2007 conta una quarantina di chierici.
L'ospedale e le opere recenti
Con l'aiuto dei volontari-missionari costruì anche un ospedale, visto che in Perù non esiste
un'assistenza sanitaria gratuita e le cure ed i medicinali sono molto costosi. Dal 1994 esiste un ospedale
dedicato a Mama Ashu ovvero Madonna Assunta. I fondi per la costruzione dell'ospedale, come per la
maggior parte delle altre costruzioni, sono stati raccolti dall'O.M.G. e si sono concretizzati con l'aiuto
gratuito delle persone. Grazie alle donazioni della diocesi milanese portò a termine una casa di riposo per
anziani a Pomallucay, inaugurata dal cardinale Martini.
Attualmente Padre Ugo sta costruendo case per bambini abbandonati e orfani, molte delle quali già
terminate.
Rapporti con i salesiani
I suoi rapporti con i salesiani (l'Istituto religioso cui egli appartiene) non sono sempre stati buoni, in
particolare negli anni settanta, mentre la lontananza dall'Italia li ha comunque un po' allentati. Nonostante
tutto l'istituto ha generalmente visto in lui un punto di riferimento (anche se alcune volte i sacerdoti
temevano che Padre Ugo si accollasse troppe responsabilità), tanto che - ma solo nel 1992 - gli
consentirono ufficialmente di seguire la sua organizzazione con la formula Absentia a Domo Ratione
Apostolatus ovvero Assenza dalla Casa Religiosa per Motivazioni Apostoliche[1].
(informazioni tratte da Wikipedia)
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Il Servizio Civile Nazionale
Cos'è
Il Servizio Civile Nazionale (S.C.N.) è stato istituito dalla L. 64/2001, per favorire la realizzazione dei
principi costituzionali di difesa della patria con attività non militari e non violente, di solidarietà sociale,
per promuovere la solidarietà e la cooperazione, a livello nazionale ed internazionale, con particolare
riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona ed all’educazione alla pace tra i popoli, per
partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio storico artistico ed ambientale. Il Servizio dura 12
mesi per un impegno settimanale di 30 ore distribuite su 5 o 6 giorni. Ai volontari è corrisposto un
compenso di 433,80 Euro mensili netti direttamente accreditati dall’Ufficio Nazionale per il Servizio
Civile su conto corrente.
Legislazione
Tutta la legislazione e la normativa vigente riguardante il Servizio Civile Nazionale è riportata nel sito
www.serviziocivile.gov.it
Come partecipare
I volontari scelgono il progetto sul sito del SCN o dell’Ente e presentano la loro candidatura
direttamente alla sede presso la quale intendono prestare servizio. La selezione è affidata agli Enti ed
avviene per titoli e colloquio.
Requisiti per partecipare
Possono partecipare al S.C.N. i/le cittadini/e italiani/e che abbiano compiuto il diciottesimo e non
superato il ventinovesimo anno di età, nonché i cittadini che hanno già espletato il servizio militare.
Formazione
La L. 64/2001 attribuisce molta importanza all'aspetto della formazione dei volontari, intesa come aspetto
centrale del Servizio Civile, nella doppia valenza di abilitazione al servizio e di educazione ai valori della
solidarietà, della pace e della non violenza. I giovani che scelgono di partecipare al S.C.N. devono, attraverso
la formazione generale e specifica, essere in grado di verificare e maturare le proprie motivazioni.
L'Opera don Calabria e il Servizio Civile
L’Opera don Calabria, uno dei primi Enti convenzionati per il servizio
civile degli Obiettori di Coscienza, propone ora ai giovani l’esperienza del
Nuovo S.C.N. come spazio di maturazione, partecipazione e cittadinanza
attiva, attraverso l’impegno in progetti sociali nelle sue Case filiali in Italia
e all’estero.
Il S.C.N. offre l’occasione per una forte proposta valoriale e un percorso
formativo attraverso l’esperienza del servizio alla persona e ai più poveri,
della gratuità e della vita come dono, della condivisione dell’impegno per
il bene comune.
Con l’Opera don Calabria si può trovare l’opportunità di impegnarsi in
progetti di solidarietà nel campo delle povertà e del disagio sociale:
minori, malati, anziani, diversamente abili, immigrati, tossicodipendenti,
persone nell’area della malattia psichica, del carcere...; in case famiglia,
strutture di accoglienza, centri di formazione, parrocchie, servizi vari di
prevenzione, recupero e reinserimento...
Riferimenti: Opera Don Calabria - Ufficio per il Servizio Civile
www.serviziociviledoncalabria.it / 045.8052962 / [email protected]
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A nome dell’Ufficio Servizio Civile dell’Opera Don Calabria
si ringraziano gli Operatori Locali di Progetto:
Ermanno Anselmi, Daniele Armani, Serena Barbi, Giacomo Brusco, Marcella Carpene,
Gianpaolo Passarelli, Antonella Simone, Elisa Zoni, Alberto Tosetti.
Inoltre si ringraziano di cuore tutti/e quelle persone che a vario titolo
hanno favorito questo fondamentale istituto della Repubblica.
Opuscolo stampato da
Centro di Cultura e Spiritualità Calabriana
Novembre 2013
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