2. Dalla nascita del nuovo Stato federale alla Grande Guerra 2.7. La capitale stabile a Bellinzona 57 Con l’Atto di mediazione del 1803, Bellinzona fu scelta quale capitale del Cantone, ma subito nacque un’aspra contesa a seguito della richiesta di trasferire i poteri cantonali a Lugano. La disputa fu portata dinnanzi alla Dieta e la scelta di Bellinzona fu confermata. Con la caduta di Napoleone, il Gran Consiglio prese la decisione di alternare il capoluogo per periodi di sei anni fra Bellinzona, Locarno e Lugano. Anche dopo la riforma del 1830, nessuno osò mettere mano alla questione del capoluogo, sebbene l’aumento dei compiti dello Stato e l’ampliamento dell’amministrazione pubblica, rendesse sempre più evidente l’anomalia del governo itinerante. La questione venne affrontata e risolta nel 1878 dal nuovo regime conservatore che si era imposto nelle elezioni del 1875 e del 1877. L’impegno personale dell’avvocato valmaggese Gioacchino Respini (1836-1899), capo del partito conservatore, vinse l’opposizione dei luganesi, per l’occasione schierati senza distinzione di partito a sostegno della loro città. La scelta di Bellinzona, difesa in un opuscolo apparso poco prima della votazione, incontrò il sostegno di una parte cospicua dell’elettorato ticinese nella votazione popolare del 10 marzo 1878. Abbiam detto che la calma colla quale il Cantone si prepara a sciogliere la questione del capoluogo è sintomo evidente che la questione stessa è matura allo scioglimento. Né potrebbe essere altrimenti. I diversi conati che si sono succeduti ad ogni avvicendarsi dei periodi costituzionali; la solenne affermazione del popolo, quando il quesito gli fu sottoposto; il danno morale e materiale di questo vagabondaggio delle Autorità costituite, hanno formata la opinione pubblica. Ciascuno si è domandato se proprio era una ineluttabile necessità che un paese come il nostro, il quale conta 120 mila abitanti, debba pagarsi il lusso di tre capi-luoghi, esempio unico nella storia delle nazioni europee. E calcolando i danni che da questo eterno pellegrinaggio son derivati all’erario ed alla amministrazione dello Stato, ogni buon ticinese non può a meno di sentir vergogna di se stesso, pensando che tanto si è tardato a sciogliere tale questione. Oh chi di noi ignora i gravissimi inconvenienti del turno? Molte persone di merito incontrastato, che godono la fiducia dell’universale, che per la loro posizione sociale e talvolta anche per attitudini speciali ed inclinazione alla carriera del pubblico funzionario, accetterebbero di buon grado di prestare l’opera loro a favore dello Stato; ma il dover mutare dimora di sei in sei anni; abbandonare la famiglia o trascinarla seco; abbandonare i propri interessi ed i comodi di una dimora stabile; mutar clima e costumi; tutto ciò fa sì che molte capacità, le quali potrebbero recare eminenti servigi allo Stato, si astengono dal darsi alla carriera dell’impiegato o del funzionario, con grave danno della pubblica amministrazione. Ma e l’amministrazione stessa qual danno non risente da questo forzato S. Michele3, che si ripete ad ogni periodo? Due mesi prima almeno cessano le regolari operazioni nei dicasteri governativi. Tutto è sospeso. Negli uffici, sovrano regna il disordine. Un solo pensiero è il dominante: prepararsi al prossimo trasloco. Gli archivi, le carte, i registri vengono imballati; il mobigliare trasportato; il palazzo governativo 3. Un tempo si diceva «fare San Michele» per traslocare o partire: espressione nata dall’abitudine in alcune regioni di far scadere i contratti di locazione per la festa dell’Arcangelo (29 settembre). I. Istituzioni, vita politica e relazioni internazionali 8. Il palazzo del governo a Locarno (oggi sede della Società Elettrica Sopracenerina) ospitò le autorità cantonali nel 1839-45 e 1857-63. 2. Dalla nascita del nuovo Stato federale alla Grande Guerra 59 ha tutta l’aria di una casa saccheggiata. Giunge il 3 marzo, si parte con pompa di carrozze e di uscieri alla volta della nuova destinazione. Là giunti, il disordine è ancora più grave. Tutto è in iscompiglio; ciò che è destinato al Militare trovasi negli uffici dell’Educazione, il materiale delle Finanze è confuso con quello degli Interni, e va dicendo. E prima che un po’ d’ordine sia ristabilito, prima che gli impiegati si abituino al nuovo posto che è stato fatto a tutte le cose del rispettivo ufficio, passano dei mesi e molti. E intanto? Intanto addio amministrazione! Chi ha bisogno aspetti; il Governo ha altro da fare; bisogna anzitutto ch’esso abbia messo in ordine la propria casa, poi quella del pubblico, cioè la residenza governativa. Oh quanti gravi interessi privati e pubblici non hanno nel frattempo sofferto irreparabile pregiudizio; quanti documenti preziosi, titoli, carte constatanti diritti dello Stato non sono andati smarriti con irreparabile danno! Eppure ciò si è ripetuto ad ogni seennio dal 1821 a questa parte. Eppure ogni volta la coscienza pubblica protestava contro questo vandalismo. Ma nessuno aveva il coraggio di gridare: Or basta! […] Fra le tre località che hanno avuto l’onore del capoluogo, Bellinzona è quella che, secondo giustizia, doveva essere prescelta. Non per diritto proprio, perocché nessuna località nel Cantone può vantare diritti ad aversi la capitale a preferenza di un’altra località. Per noi, l’abbiam detto, si tratta di una questione di interesse generale del Cantone, e se ci siamo determinati per Bellinzona, non è già per simpatia per quella città, né per antipatia ad altre; ma unicamente perché l’interesse del Cantone esige che Bellinzona sia la preferita. Quelle stesse ragioni che già militavano per essa al principio della nostra esistenza politica, ed indussero Napoleone il Grande a proclamarla capitale della nuova Repubblica, esistono tuttora. Bellinzona è situata nel centro del Cantone. Ad essa si accede comodamente da tutte le parti. Ivi si incontrano le ferrovie e le vie principali del commercio e del transito. E quindi il luogo di più facile e comodo accesso tanto per quelli che scendono dalle Valli superiori, quanto per quelli che vengono dal Sottoceneri e dal Locarnese. In un piccolo paese come il nostro, la centralità deve essere il criterio determinante nella scelta del capoluogo. Locarno è posta ad una estremità del Cantone, e del resto essa medesima nel 1870 e precedentemente si è formalmente dichiarata disposta a cedere a Bellinzona il suo posto. Lugano, centro del Sottoceneri, non lo è del Cantone. E del resto all’una ed all’altra di queste due città non manca una vita propria che le fa prosperare, anche senza i pochi vantaggi che seco apporta il capoluogo. La capitale stabile a Bellinzona avanti al popolo. Votiamo sì, Locarno 1878, p. 7-12 2.8. La legge civile ecclesiastica All’inizio dell’Ottocento il Cantone Ticino, la cui popolazione era quasi tutta di religione cattolica, dal punto di vista ecclesiastico era organizzato in circa 250 parrocchie, dipendenti dai vescovi di Como e di Milano. Già al momento della nascita I. Istituzioni, vita politica e relazioni internazionali del Cantone, si era posto il problema del distacco delle parrocchie ticinesi dalle diocesi straniere. Le vittorie dei radicali, sul piano cantonale nel 1839 e poi con la guerra del Sonderbund a livello federale, impressero una svolta in senso anticlericale a tutta la vicenda. Una soluzione venne trovata finalmente nel 1884-88, con un compromesso tra Roma e Berna che istituì la Diocesi di Basilea e Lugano, ma affidò la cura delle parrocchie ticinesi a un amministratore apostolico nominato dal papa e indipendente dal vescovo di Basilea. La diocesi di Lugano venne istituita nel 1971. Per circa un secolo, i rapporti tra la Chiesa e lo Stato nel Cantone vennero retti dalla Legge sulla libertà della Chiesa cattolica e sull’amministrazione dei beni ecclesiastici del 1886. Questa legge riconosceva alle parrocchie ticinesi il carattere di ente pubblico, designava gli organi decisionali e amministrativi, ne fissava le competenze e stabiliva le norme per la gestione dei beni ecclesiastici. Il Gran Consiglio della Repubblica e Cantone del Ticino, Vista la convenzione 1° settembre 1884, stipulata in Berna, fra la Santa Sede ed il Consiglio federale, per la istituzione di una Amministrazione Apostolica nel Cantone Ticino; Vista pure la convenzione 23 settembre 1884, stipulata in Bellinzona, – fra la Santa Sede e lo Stato del Cantone Ticino, affine di stabilire i provvedimenti necessari a detta istituzione; Visto che le parrocchie ticinesi sono state canonicamente staccate dalle diocesi di Como e di Milano; Dovendosi ora porre in armonia con questi atti la legislazione cantonale; Sulla proposta del Consiglio di Stato, decreta: Art. 1. Le parrocchie ticinesi sono poste sotto l’amministrazione d’un Ordinario proprio. Art. 2. L’Ordinario (ora Amministratore Apostolico) esercita la sua spirituale giurisdizione in tutto il territorio del Cantone. Art. 5. Le parrocchie e vice-parrocchie attualmente esistenti e quelle che venissero in seguito istituite in conformità della presente legge, sono dichiarate come corpi morali. Art. 10. Tutte le chiese, oratorii, luoghi e beni sacri sono posti sotto la sorveglianza dell’Ordinario. Quando si tratti di beni destinati a pubblico uso, nessuna soppressione od alienazione o commutazione degli stessi, o distrazione ad altro uso, fosse pure anche dei soli frutti, non potrà farsi senza l’assenso della Autorità ecclesiastica. Art. 12. L’amministrazione dei beni e proventi parrocchiali e vice-parrocchiali, e di quelli destinati alla fabbrica, alla conservazione ed alle provviste ordinarie delle chiese parrocchiali e vice-parrocchiali, appartiene al Consiglio parrocchiale […]. Art. 13. Il Consiglio parrocchiale è nominato dall’Assemblea parrocchiale, e si compone di un numero di persone non inferiore a 3 e non superiore a 7, come sarà determinato nel regolamento; con un numero di supplenti da 2 a 5. Se la parrocchia si compone di più d’un Comune, si avrà riguardo a che tutti i Comuni sieno rappresentati. Per quanto sarà possibile, se la parrocchia consta di frazioni di Comune importanti, si avrà riguardo a che tutte esse frazioni sieno rappresentate. 2. Dalla nascita del nuovo Stato federale alla Grande Guerra 61 Art. 18. Sono di competenza dell’Assemblea parrocchiale: a) la nomina del parroco o vice-parroco; b) la nomina del Consiglio parrocchiale […]; c) La alienazione o commutazione di beni stabili appartenenti alle chiese parrocchiali o vice-parrocchiali; d) Le deliberazioni relative ad intraprendere o stare in lite; a contrarre debiti od altre obbligazioni, con o senza ipoteca, a carico dei beni parrocchiali o vice-parrocchiali; e) L’esame ed approvazione annuale dei conti della parrocchia […]. Art. 20. L’Assemblea parrocchiale o vice-parrocchiale si compone di tutti i cittadini attivi cattolici apostolici romani, domiciliati nel territorio della parrocchia o viceparrocchia. Essa si raduna nel Comune dove esiste la chiesa parrocchiale o vice-parrocchiale. Le norme per la sua convocazione e tenuta sono quelle stabilite dalla legge organica comunale. Raccolta officiale delle leggi e degli atti esecutivi della Repubblica e Cantone del Ticino, 1886, vol. XII, p. 32-37 2.9. Lotte politiche in Ticino a fine Ottocento Nel 1876 liberali e conservatori si erano affrontati in una sparatoria che aveva lasciato sul terreno quattro morti; nel 1890 un colpo di forza organizzato dai radicali rovesciò il governo conservatore e il consigliere di Stato Luigi Rossi (1864-1890) venne ucciso sulle scale del palazzo governativo a Bellinzona. La violenza aveva segnato, per gran parte dell’Ottocento, la storia politica del nostro Cantone. Il sistema elettorale maggioritario, che determinava la conquista del potere anche con uno scarto minimo di voti, e il voto palese nelle assemblee di circolo rendevano più facili le irregolarità e il ricorso alla violenza fisica contro gli avversari. Come conseguenza per i fatti del 1890, il Cantone Ticino fu oggetto di un’ulteriore occupazione militare: furono necessari due battaglioni di soldati bernesi agli ordini del colonnello Künzli, commissario federale, per ristabilire la legalità. Sotto la pressione del Consiglio federale nel 1892 venne introdotto il sistema proporzionale per l’elezione del Gran Consiglio e l’anno seguente si tennero le prime elezioni con il nuovo sistema. L’invito alla riconciliazione e alla moderazione rivolto da Alfredo Pioda (1848-1909) ai suoi concittadini fu accolto solo grazie all’intervento delle autorità federali. La maggior parte dei liberali considera l’opera sua politica come un’opera civile ed umanitaria, come lo sfranchimento degli intelletti da viete pastoje, come un impulso alla libera manifestazione delle coscienze. E però si può asserire, senza tema d’andare errati, che le due fazioni, le quali si arrabattano a divenir l’anima del popolo ticinese, hanno attitudini da missionari, religiosi o filosofici, con tutte le intolleranze di chi s’identifica con un’idea creduta unica fonte di bene. Donde un veleno, che corrode la vita civile, una intensità di conflitto, che sperpera le forze migliori, intellettuali I. Istituzioni, vita politica e relazioni internazionali 9. Bellinzona 1890: la rivoluzione radicale. 2. Dalla nascita del nuovo Stato federale alla Grande Guerra 63 e finanziarie, una divisione del paese in due tribù, ognuna delle quali riconosce schietto, incondizionato, il principio della giustizia, solo rispetto a quelli che le appartengono; donde infine un ardore di dominio smisurato, un convergere di tutte le potenze a mantenerlo in chi lo ha, ad ottenerlo in chi non lo ha, e, come ultimo corollario, l’ostracismo dell’amministrazione dello Stato di una grandissima parte di cittadini, la sfiducia di questi nell’amministrazione stessa. Se l’idea nuova coraggiosamente patrocinata dalla giovane scuola conservatrice, nuova non per la Svizzera, la quale diede posto nella sua costituzione, ma per il Ticino, se l’idea, diciamo, che lo Stato rappresenta l’universalità dei cittadini e però non dev’essere strumento di alcuna dottrina religiosa, di alcuna opinione filosofica, ma tutelarne la libera espressione in quanto non sia contraria al bene, che lo Stato non deve, in una parola, prendere parte al contrasto morale e intellettuale, caratteristica dei nostri tempi, ma tenerlo unicamente nelle vie del giusto, se quell’idea corretta delle competenze dello Stato, che diede già così benefici frutti, nelle Repubbliche americane del Nord, penetrasse nella nostra vita giornaliera, il pessimo costume d’invadere l’altrui coscienza, di combattere le credenze e le opinioni di una parte dei cittadini colle armi che sono di proprietà di tutti, sarebbe scalzato dalle radici. Ma essa non entrerà nella nostra economia intellettuale, se non quando i liberali avranno col proprio contegno tolto di mezzo il giudizio, accreditato in parte per opera loro, che essi, non paghi di svincolarsi dalle tradizioni avite, ne vogliono cancellare ogni traccia dal paese; fortunatamente da più d’un anno la stampa liberale va invalidando appunto col suo contegno quel giudizio, e, non dubitiamo, un governo liberale in brev’ora di reggimento lo toglierebbe di mezzo effettivamente. Ma intanto che lo si va teoricamente minando, s’ha pure a valerci delle condizioni propizie a scemarne le pratiche conseguenze. E certo favorevoli sono le condizioni; una calma relativa subentrata alla sommossa dell’11 settembre e il desiderio in tutti di un componimento; il partito conservatore trasformato per il predominio di un elemento più misurato, che dapprima non aveva potuto affermarsi nel suo seno; il partito liberale più unito nella sua azione, che va perdendo il carattere tribunizio; la maggioranza del paese oscillante da più di un anno tra i due partiti; finalmente i problemi economici fattisi più imperiosi per la crisi generale per lo scemare dei rientri e il crescere dei balzelli, diciamolo, per la miseria, che fa capolino nel popolo; tutto ciò accenna alla possibilità, alla necessità di una nuova forma della vita pubblica, ad un periodo, passaggiero forse, ma benefico, di lavoro comune pel vantaggio comune. A. Pioda, Pax, Bellinzona, 1892, p. 16-17 2.10. La nascita del Partito socialista ticinese All’inizio del Novecento il Ticino era ancora un cantone prevalentemente agricolo; tuttavia la crescita economica di fine Ottocento aveva aumentato il numero degli operai salariati (scalpellini, operai di fabbrica, artigiani...). La fondazione del Partito socialista svizzero nel 1888 non ebbe inizialmente conseguenze concrete in Ticino. Dopo i primi passi compiuti nel solco tracciato dall’Associazione svizzera del I. Istituzioni, vita politica e relazioni internazionali Grütli, nel 1897 nacque la Federazione operaia ticinese. Anche grazie al contributo degli operai italiani immigrati in Ticino e attivi nel Partito socialista italiano, si diffusero, nei principali centri del Cantone, alcuni circoli socialisti, mentre sorgevano i primi sindacati ticinesi. Il 5 agosto 1900 venne ufficialmente fondato il Partito socialista ticinese; la pubblicazione del settimanale L’Aurora, diretto da Mario Ferri (1875-1941), e la partecipazione alle elezioni del 1901 furono i passi più significativi nel primo anno di vita del nuovo partito. Le sollecitazioni rivolte all’elettorato con il proclama che qui si pubblica non diedero i risultati sperati; soltanto nelle elezioni cantonali del 1905 i socialisti ottennero per la prima volta tre seggi in Gran Consiglio. Concittadini! Il 3 marzo pr. v. sarete chiamati a rinnovare col vostro voto il Gran Consiglio. Per la prima volta, nel nostro Cantone, il partito socialista si presenta in diversi circondari con candidati propri e sollecita i vostri suffragi. Questo fatto nuovo, tanto diversamente commentato, deve tornar grato ad ogni amante della libertà, perché contrassegna un nuovo progresso verso quell’emancipazione del popolo che costò già sacrifici innumerevoli. Il partito socialista affronta la lotta elettorale in nome di ideali nuovi di giustizia e di eguaglianza e con un programma che, se attuato, tornerà di grande vantaggio a quella parte di cittadini che più ha bisogno d’aiuto. Non più la lotta ristretta alle sole gare di partito, ma allargata alle riforme sociali; non più la servitù dei lavoratori, ma la loro reale indipendenza; non più gli interessi dei singoli individui, non più militarismo; non più ingiusta ripartizione dei tributi. Ecco, o Concittadini, i sentimenti che animano i candidati socialisti. A voi di appoggiare colla vostra scheda i propugnatori dei nuovi ideali; a voi di aiutarli nella lotta intrapresa per il debole contro il forte, per lo sfruttato contro lo sfruttatore, per il Paese tutto contro gli interessi dei singoli individui. A voi, uomini indipendenti di ogni partito, di dare la mano ad un gruppo che si presenta senza pretese, senza pressione elettorale, e che attende dalla lotta il generale benessere. A voi, Cittadini dalle idee avanzate, di unirvi alla avanguardia dei partiti di progresso onde scuotere dal letargo chi s’addormenta sulle conquiste fatte. Operai! A voi più che mai di stringervi sotto la bandiera rossa della Democrazia sociale. A voi di compiere il lavoro intrapreso nei vostri Sindacati e nelle vostre Sezioni, affermandovi colla scheda socialista. A voi di procurare l’attuazione del Programma operaio per il benessere vostro e delle vostre famiglie, eleggendo candidati operai. A voi, Operai Ticinesi, di seguire l’esempio dei vostri compagni d’Oltre Alpi, che ben sanno come il riscatto del lavoro dev’essere opera dei lavoratori stessi. Nulla vi trattenga dal votare la scheda socialista! I soprusi e le intimidazioni che i potenti degli altri partiti faranno sopra di voi per carpirvi un voto contro i vostri interessi, vi spronino ad affermarvi, invece, liberi cittadini in libero paese ed a rialzare orgogliosi la testa in faccia a chicchessia. Avanti sempre per il progresso delle idee ed il benessere dell’operaio al grido di: Viva il Socialismo! Viva la Svizzera socialista! L’Aurora, 28 febbraio 1901 2. Dalla nascita del nuovo Stato federale alla Grande Guerra 2.11. Introduzione della proporzionale per le elezioni federali 65 A differenza delle elezioni per il Consiglio degli Stati che sono disciplinate da prescrizioni cantonali, per le elezioni del Consiglio nazionale si applicano le norme stabilite dalla Legge federale sui diritti politici. Dal 1848 al 1914, i deputati al Consiglio nazionale vennero eletti con il sistema maggioritario, che garantì, per tutto il periodo, una comoda maggioranza al gruppo radicale. A partire dal 1871, a più riprese vennero formulate proposte di vario genere allo scopo di introdurre il sistema proporzionale, ma le camere federali le respinsero tutte. Nel 1900 e nel 1910, due iniziative furono bocciate in votazione popolare. Una terza iniziativa venne presentata nel 1913, ma fu osteggiata sia dal Consiglio federale, sia dalla maggioranza parlamentare. L’impegno dei sostenitori dell’iniziativa e una diffusa consapevolezza per una più equa rappresentanza nel parlamento federale, come testimonia l’articolo del Corriere del Ticino, portarono all’approvazione dell’iniziativa nella votazione popolare del 13 ottobre 1918. Nelle elezioni successive, il partito radicale, che contava ancora 105 seggi su 183 nella legislatura precedente, ne ottenne solo 60 su 189 disponibili. Domenica prossima, giorno 13, il popolo di tutta la Svizzera sarà chiamato ancora una volta a pronunciarsi sul progetto di riforma che vuole l’applicazione del voto proporzionale nelle elezioni dei deputati al Consiglio Nazionale; e speriamo che sia l’ultima; speriamo cioè che le minoranze non siano costrette a rinnnovare – in repubblica democratica – nuove agitazioni per avere quanto spetta loro per naturale diritto. Dal 1910, molto cammino s’è fatto; già allora avevamo la maggioranza dei cantoni accettanti! Solo il blocco dei cantoni più forti – e l’immagine di una tale forza è sgradevole per la nostra sensibilità democratica – quali Berna e Vaud, avevano potuto vincere con il folto dei voti radicali disciplinati, la vera, la legale maggioranza federalista. Oggi, anche nel campo radicale, uno spirito nuovo ha fatto breccia. La guerra ha dimostrato che si andava precipitosamente fra le braccia soffocanti di una oligarchia elettorale che della democrazia s’era valsa per mettere il diritto di eredità sulla porta del palazzo federale. Con quali benefici s’è visto in questi quattro anni di guerra: un impoverimento spaventoso del potere centrale, attorno al quale la maggioranza ha potuto barricarsi spossessando la rappresentanza nazionale, e cioè il popolo, di tutte le sue prerogative. Il radicalismo si era statizzato dandosi ciò che è peggio – l’anima e i gusti d’un imperialismo d’importazione, con tutte le degenerazioni di quest’ultimo: centralizzazione, istituzione di poteri extracostituzionali, di persone, di lingua, di casta e di classe. È confortante che in molti ambienti e circoli elveticamente sani anche d’oltre Gottardo, sia nata la reazione; e della reazione che promette molto bene per domenica ventura. Non solo i socialisti di tutta la Svizzera (ed è strano che ancora una volta il radicalismo abbia giuocato il giuoco pericoloso del contrasto assoluto con quel partito dopo averlo incoraggiato spesso dove era più pericoloso) ma anche i partiti contadini costituitisi recentemente nei cantoni di Zurigo e di Berna, si sono pronunciati per la proporzionale. Gli stessi radicali del neocastellese e del friborghese sono nella loro I. Istituzioni, vita politica e relazioni internazionali maggioranza proporzionalisti; i conservatori-cattolici di Python non ascoltano più il verbo egoistico del loro partito; nel basilese la «National Zeitung» batte la campagna con fervore; nel vodese, la «Revue» ortodossa per tradizione passata in anchilosi inguaribile alla spina dorsale, perde piede; nel ginevrino c’è vento di ribellione al verbo del comitato radicale centrale. E il Ticino? Il Ticino, cantone proporzionalista per eccellenza, sarà come nel 1910 in maggioranza per la proporzionale; lo sarà tanto più stavolta che il partito radicale non si sente più di seguire la parola d’ordine in contrasto con se stesso, col proprio programma e, soprattutto, coi propri elettori. Il partito radicale ticinese ha proclamato libertà d’azione per non urtare quei pochi tradizionalisti politicanti che escono di casa – dove si conservano in adorazione davanti ai ricordi dei banchetti partigiani di tanti anni fa – soltanto per ricordarsi che c’è un cosiddetto diritto della maggioranza da sostenere. Il partito radicale ticinese ha avuto torto; doveva essere più logico e più coraggioso, più nuovo: decidersi apertamente per la proporzionale. La politica di Pilato è politica passiva che il mondo ha condannato dacché è nata la storia umanizzata di Cristo. Ma non importa; il Ticino darà la sua bella maggioranza ed è ciò che più conta. Fedele alla sua tradizione, che fu sempre proporzionalista senza tentennamenti o tornaconti partigiani, il «Corriere del Ticino» anche oggi, intanto, vuol dire al popolo ticinese la parola, non della convinzione, ma dello stimolo, perché nessun elettore si trattenga dal fare un gesto che ha grande valore positivo e ideale specie in questi momenti. Facciamo largo ai principi integrali assoluti: votiamo sì. Corriere del Ticino, 10 ottobre 1918