Le riviste di medicina: perché sono utili? La signora Maria ha 82 anni ed è venuta nel vostro studio per un controllo di routine della pressione poiché è ipertesa da almeno vent'anni e soffre di angina pectoris. La Il cinquanta per cento delle persone che lavorano nella Sanità fa come se le riviste scientifiche non esistessero. L’altra metà del mondo (sanitario) sa che esistono, ma non ha tempo per usarle. Una su due di queste persone, anche se teoricamente non lo avrebbe, trova comunque il tempo per farci qualcosa, con quel mare di carta stampata che inonda la Medicina: sfogliare le riviste, rincorrere articoli, provare a decifrarli, entusiasmarsi o accantonarli deluso. Qualcuno riesce persino a leggere qualcosa. Ma la metà di questi intraprendenti non conosce l’inglese… e quindi? Quindi è una parola. Anche chi la conosce, la lingua “universale” della comunicazione, non è detto che riesca ad usare le riviste traendone il massimo beneficio possibile. A che punto siamo arrivati, di questo invisibile algoritmo? Al sei per cento, più o meno. A quel sei per cento di persone che queste schede, più che leggerle, avrebbe potuto scriverle. L’inglese e il tempo: ecco i due ostacoli da superare in vista di una terza barriera, sottovalutata e difficile da valicare: la mancata conoscenza di come le riviste sono fatte e quali fattori ne condizionano i contenuti, barriera che ci porta a ignorare, di fatto, cosa possiamo trovarci e cosa invece è inutile cercare, in quelle pagine sempre più impalpabili e leggere. accompagna il figlio Fausto, di 63 anni, conducente di taxi e vostra vecchia conoscenza perché circa tre anni fa ha fatto una terapia a base di statine per abbassare il colesterolo. In quella occasione, Fausto aveva smesso di fumare. La ditta per la quale lavora ha richiesto dipendenti e superato un check-up Fausto vi brillantemente per i racconta tutte propri di le aver analisi, malgrado da lungo tempo faccia un discreto consumo di alcol (almeno 750 cc di vino al dì) per una depressione insorta in seguito al divorzio dalla colesterolo è propria risultato moglie. ancora Solo una il volta elevato: 295 mg/dl con un HDL di 44. Fausto è di corporatura robusta, ha praticato la boxe in giovane età, è alto 172 cm e pesa 90 chili. Una cosa è certa ed è bene dirla subito: se cercassimo indicazioni precise sulla strategia da mettere in atto con il signor Fausto, difficilmente troveremmo la risposta su una rivista. O meglio: potrebbe anche capitare, ma sarebbe una gran fortuna o il frutto di una ricerca fatta da una persona particolarmente esperta. Proviamo a dire diversamente; se decidessimo di vincere al totocalcio, hai voglia a leggere la Gazzetta o il Guerin sportivo: esistono altre strade che ci indicherebbero “sistemi” migliori, forse addirittura il tabaccaio sotto casa. Sempre di leggere, si tratta, ma è il modo in cui si fa che cambia. Il modo e il fine, l’obiettivo. Per vincere alla schedina – o per risolvere quel determinato caso clinico - bisognerà documentarsi sulle fonti (e non sui giornali tout court) in tempi e modi più vicini possibile alle partite della domenica – o al letto del malato – seguendo le tracce capaci di condurci al risultato migliore nel più breve tempo possibile. In inglese, questo approccio viene definito just in time search. E’ una ricerca della soluzione, appunto. Una specie di caccia al tesoro: il montepremi della domenica sera o la guarigione del malato. Pensate che David Sackett si era inventato un carrello che portava in giro un computer imbottito di database bibliografici, che il medico aveva con sé in reparto durante il giro di visite quotidiane. Un trabiccolo che è diventato un simbolo per gli aficionados della evidence-based medicine; un po’ come la carrozzina della scalinata Potemkin per i cinefili degli anni Settanta… Ma per la consultazione al bisogno servono tecniche di ricerca bibliografica specifiche, se non vogliamo perdere troppo tempo; talvolta, non sono neanche sufficienti se è vero che uno dei problemi principali riguarda la decisione su quando interrompere la ricerca, in altri termini sul “chi ci dice se quello che abbiamo trovato è davvero quello che cercavamo” (Green & Ruff, 2005). Chi ha studiato i cosiddetti bisogni informativi di chi assiste i malati sa che in genere gli operatori sono consapevoli delle proprie lacune ma difficilmente conoscono i propri punti deboli (Smith, 1996). Si tratta di solito di incertezze legate alle terapie da prescrivere, soprattutto riguardo i trattamenti farmacologici in situazioni complesse. Ma è molto importante anche un’altra delle zone grigie del medical knowledge: anche nella letteratura, i medici cercano sostegno tecnico e psicologico, chiedono un feedback circa le proprie preoccupazioni e insicurezze (Forsythe DE, et al 1992). La ricerca di risposte just in time coincide con alcuni dei cosiddetti “gradini” della EBM, ma la medicina basata sulle prove ha ben più ampio respiro e ha bisogno dell’ossigeno del lifelong learning: di una predisposizione ad un apprendimento lungo l’intero corso della vita che, se sposato con convinzione, va anche oltre il ristretto ambito professionale. Per questo, sì che abbiamo bisogno di conoscere le riviste di medicina; perché ciò che trovi in quelle pagine può servire molto a noi e, indirettamente, alle persone malate con cui abbiamo a che fare. “Troppo spesso il medico non sa cosa non sa” (Williamson JW, 1989) e già questa sembrerebbe una buona ragione per affacciarsi al mondo sfogliando una buona rivista scientifica. La crescita dell’uso di PubMed dal 1997 al luglio 2006. William Osler, il grande clinico della Johns Hopkins University, sosteneva che praticare la Medicina senza leggere le riviste era simile ad andare per mare senza una mappa. Non sono ancora passati cent’anni, ma sembra davvero un altro millennio. Oggi, le riviste si citano, magari, ma si leggono molto raramente. Guardiamo come aumenta il numero di ricerche effettuate utilizzando PubMed, l’interfaccia web di Medline, la banca dati scientifica più conosciuta del mondo. Siamo ormai vicini ai tre milioni di search quotidiane: un’enormità. Ma non sono più “le riviste” ad essere lette: nel migliore dei casi, sono “gli articoli” da esse contenute. Perché le riviste sono meno lette di una volta? Perché si crede possano dare risposta agli Agli occhi di gran parte di noi, a sopravvivere è la testata, il “marchio” di fabbrica, che ci porta a ritenere a torto o a ragione che – per dire – gli Archives of General Psychiatry siano più o meno autorevoli del British Journal of Psychiatry, che di un articolo estratto da Gastroenterology ci si possa fidare più di uno pubblicato su Gut. Viviamo di “estratti” in Medicina non meno di quanto non si viva di download in campo musicale: un blob costruito da proposte di varia provenienza e di alterna qualità, che difficilmente può permetterci di costruirci un’opinione personale. Viviamo di estratti al punto che ci siamo dimenticati il gusto degli ingredienti originali. Un po’ come chi è talmente abituato ad usare dadi da brodo da aver dimenticato il sapore di un vero consommè. In occasione dei congressi, al medico è proposta una quantità spropositata di reprint tratti dalle riviste più varie: dal New England Journal of Medicine all’Eco-clinico dell’Alta Tuscia. In realtà, pochi si accorgono che non sempre gli articoli ristampati e regalati al personale sanitario portano acqua al mulino dell’azienda sponsor; talvolta, quest’ultima confida su tre cose: 1. che gli articoli non vengono quasi mai letti e quando lo sono… interrogativi quotidiani: quotidiani è quasi impossibile che ciò avvenga Sono diventate troppe: troppe come decidere quale seguire? Sono troppo costose: costose l’abbonamento cresce in media del 7% ogni anno 2. la conoscenza dell’inglese non è tale da permettere di accorgersi della frequente presa di distanza degli autori dal prodotto sperimentato, prudenza dissimulata quasi sempre in frasi ambigue e difficilmente decifrabili; Le biblioteche sono lontane dal posto di lavoro; l’accesso a internet sul lavoro è problematico E’ diminuito il tempo utilizzabile per aggiornarsi E’ aumentato il numero delle alternative, alternative le cose che si possono fare invece di aggiornarsi Le riviste di qualità sono soprattutto in inglese Le riviste italiane di qualità sono poco conosciute 3. l’associazione tra il marchio dell’azienda e la testata di una rivista prestigiosa è comunque un potente strumento di marketing in sé. Il marketing, però, non si nutre solo di reprint, ma anche di supplementi. “Di solito, ha ricordato Marco Bobbio, si tratta di un insieme di relazioni presentate in convegni sponsorizzati da industrie farmaceutiche che potrebbero essere pubblicate come atti del convegno o in un apposito opuscolo da distribuire ai medici attraverso gli informatori scientifici. Il medico è più motivato a leggere e dar credito a un articolo che compare sul supplemento dell’European Heart Journal, dell’American Journal of Medicine, dell’American Heart Journal o dell’American Journal of Cardiology (…) piuttosto che su un opuscolo con il logo dell’industria” (Bobbio, 2004). Anche questa abitudine, però, contribuisce a confonderci le idee: in molte occasioni, i contenuti dei supplementi non passano attraverso il vaglio della revisione critica e l’assenza di peer review è di fatto una condizione essenziale attraverso la quale matura l’accordo tra lo sponsor e la direzione della rivista. Ci illudiamo dunque di avere tra le mani un quaderno “speciale” di una rivista importante; in certo senso è vero, è proprio un fascicolo… “speciale”: • gli articoli che contiene sono di qualità inferiore rispetto ad un numero ordinario della rivista e, forse, non avrebbero superato l’esame dei revisori scientifici; • sono confezionati in maniera da enfatizzare il messaggio che intende trasmettere l’azienda sponsor: titoli formulati in maniera più giornalistica, enfasi sulle molecole aziendali, sbilanciamento a favore dell’iconografia; • viene citato il nome commerciale della molecola, cosa che non accade, per una norma condivisa a livello internazionale, sulle riviste scientifiche. Di gran parte delle riviste internazionali , anche di quelle teoricamente più autorevoli, dunque, finiamo per conoscere solo alcuni aspetti: l’attenzione dedicata alla pubblicazione dei risultati di ricerche originali o di rassegne sintetiche sponsorizzate, vale a dire le componenti più esposte al rischio di condizionamenti di tipo commerciale o politico. Quindi, la parte peggiore, probabilmente. Se conoscessimo meglio almeno le principali riviste di medicina… • inquadreremmo in un contesto più ampio i singoli articoli con cui veniamo in contatto, dando un peso più realistico alle informazioni che ci vengono proposte; in questo senso, si rivela spesso utile la lettura degli Editoriali che accompagnano gli special articles • noteremmo che le principali riviste di medicina stanno cambiando fisionomia: fisionomia sono proprio i report di sperimentazioni cliniche a diminuire di numero, a vantaggio di articoli dal taglio e dal contenuto differente • ci accorgeremmo che dopo la pubblicazione di un articolo originale (vale a dire il report di una sperimentazione clinica) giungono non poche lettere di commento alla Direzione della rivista: la corrispondenza mette in luce aspetti controversi del lavoro molto spesso pertinenti e rilevanti • vedremmo che esistono anche interventi sanitari che non confermano le attese: attese farmaci che non funzionano, attività di screening non costo-efficaci, programmi di riabilitazione da accantonare • scopriremmo che le riviste scientifiche sono molto meno noiose di quanto immaginiamo. “L’informazione medica, ha scritto un ex direttore del New England Journal of Medicine, è complicata anche quando è libera da condizionamenti. In Sanità, molte decisioni sono prese in condizioni di incertezza; ma anche in condizioni ottimali, i medici devono porre una diagnosi o prescrivere una terapia prima di sapere con esattezza cosa non va in quel determinato paziente. Quando le evidenze divergono dall’obiettività, il lavoro del medico è ancora più ostacolato” (Kassirer, 2005). Una cosa la sapevamo già: essere medico, infermiera, farmacista è davvero molto complicato. Altro, forse, ci era meno chiaro. PRO E CONTRO LE RIVISTE: COSA SAPPIAMO? • i medici di una volta leggevano le riviste; gli operatori sanitari di oggi leggono degli articoli o dei supplementi • leggere le riviste sembra poco utile perché non troviamo risposta agli interrogativi che nascono nell’assistenza al singolo malato • non sempre gli articoli originali pubblicati sulle riviste sono trasferibili alla pratica quotidiana • leggere una rivista richiede tempo e di tempo per aggiornarsi non se ne ha mai abbastanza • le riviste che contano sono in inglese e non sempre si ha una conoscenza adeguata della lingua • le biblioteche sono poco accessibili e spesso sono aperte in orari incompatibili con lo svolgimento dell’attività assistenziale • un articolo estrapolato dal fascicolo che lo ha Fonti citate in questa scheda Bobbio M (2004). Giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza. Torino, Einaudi. Forsythe DE, et al (1992). Expanding the concept of medical information : an observational study of physicians’ information needs. Comput Biomed Res;35:265-9. Green ML & Ruff TR (2005). Why do residents fail to answer their clinical questions? A qualitative study of barriers to practicing evidence-based medicine. Academic Medicine;80.176-82. Kassirer J (2005). On the take. How complicity of medicine with big business can endanger your health. New York: Oxford University Press. Smith R (1996). What clinical information do doctors need? BMJ 313:1062-8. Williamson JW, et al (1989). Health science information management and continuing education of physicians. A survey of US primary care practitioners and their opinion leaders. Ann Intern Med;77:372-80. pubblicato può essere fuorviante • seguire con costanza una rivista ben fatta aiuta a fare meglio il proprio mestiere, favorisce il ragionamento clinico ed è un momento chiave del lifelong learning … E NELLA PROSSIMA SCHEDA? • come trovare il tempo per leggere • come stabilire le proprie priorità: decidere che una cosa è più importante di un’altra • come analizzare il tempo di cui si dispone • come usare i ritagli di tempo © 2007 Il Pensiero Scientifico Editore www.pensiero.it www.vapensiero.info Schede a cura di Carlo Fudei [email protected] Tutti i diritti riservati.