L'inconciliabile
o l'importanza dell'orologio
Dramma in 4 quadri di Tiziano Rovai
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"La direzione del tempo è quella
in cui l'entropia aumenta"
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Personaggi:
• XX – Pupazzetto femmina dell'orologio
• XY – Pupazzetto maschio dell'orologio
• L'orologiaio
• L'ispettrice (solo voce fuori scena, non entra mai sul palcoscenico)
Ambientazione:
Unità di luogo: l'interno di un orologio meccanico a cucù con figurine animate.
La vicenda si articola in quattro atti, corrispondenti ognuno ad un diverso orario: le 21, le 22, le 23,
mezzanotte.
Prospetto scenografico:
N.B.:
Nel testo, il simbolo // indica un'interruzione secca.
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LE ORE 21:00
Buio sul palcoscenico; si sente un ticchettio. Da fuori scena arrivano delle voci.
Voce dell'orologiaio – Una dimostrazione?
Voce dell'ispettrice – Sarebbe preferibile, sa... Anche se, infine, si tratta solo di una verifica di
routine. Naturalmente la commissione non intende mettere in dubbio la qualità del suo lavoro.
Voce dell'orologiaio – Vorrei proprio sperarlo.
Voce dell'ispettrice – Ma no, si figuri. Lei è un professionista molto stimato, tutti i membri della
giuria la conoscono e la apprezzano. Ma, ecco... Si deciderà l'orologio del municipio; una certa
severità nelle selezioni è necessaria. Desideriamo... Mantenere un livello elevato, per così dire.
Spero che capisca le nostre esigenze.
Voce dell'orologiaio – Vuole che lo faccia scattare?
Voce dell'ispettrice – Che ore sono?
Voce dell'orologiaio – Le nove meno due.
Voce dell'ispettrice – Allora lasci stare, aspettiamo lo scoccare dell'ora esatta. Così avremo modo
di verificare anche l'assoluta puntualità del suo apparecchio.
Voce dell'orologiaio – Come preferisce.
Un lungo silenzio.
Voce dell'ispettrice – Quanto tempo manca?
Voce dell'orologiaio – Ha fretta?
Rumore di carta sfogliata.
Voce dell'ispettrice – No... No, è solo che dovrò visitare altri due concorrenti dopo di lei...
Voce dell'orologiaio – Mancano una manciata di secondi, sia paziente. Per quelli che fanno il
nostro mestiere, la pazienza è più di una qualità: è una dottrina. Avere pazienza significa avere
rispetto per il tempo. Se non si ha rispetto per il tempo non si può fare l'orologiaio; sarebbe come
fare il pescatore e non avere rispetto per il mare.
Cessa il rumore di carta sfogliata. Colpi di tosse dell'ispettrice.
Voce dell'ispettrice – Ecco, non... Ehm, forse mi ha frainteso. Non pensi che volessi mancarle di
rispetto, certamente. Ci teniamo soltanto che stasera tutto sia //
Voce dell'orologiaio – Sssht! Comincia.
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Una serie di scatti e di scricchiolii. Rumori ritmici, meccanici, di ingranaggi. Poi una musica di
carillon, che sembra salire dal pavimento. Lentamente, le luci sul palcoscenico si alzano.
La scena: due porte a due ante a fondoscena, identiche, chiuse; due binari a quarto di ellisse
(possono essere anche soltanto disegnati in terra) che partono dal centro del palcoscenico senza
congiungersi, arrivano alle due porte e, idealmente, proseguono fuori. Al centro, vicino al fondo,
una grossa chiave per la carica montata su un supporto, che ruota molto lentamente, ticchettando.
L'ultima quinta a sinistra è contrassegnata con un cartello a forma di freccia, con la scritta EXIT. A
parte tutto quanto indicato, la scena deve apparire spoglia, nuda, un po' sporca, squallida. In scena
ci sono i due pupazzetti: XX e XY.
Sul binario sinistro sta XY: è vestito con una camicia a sbuffi e pantaloni "lederhosen", ha un
cappello piumato in testa, una mantellina sulle spalle legata al bavero e un grosso martello che
regge con entrambe le mani. Sul binario destro sta XX: indossa un dirndl dotato di gonna lunga,
grembiule colorato, camicetta e corpetto; porta capelli legati bassi con un fiocco e una campanella
in una mano; l'altra è libera. Gli oggetti (martello e campanella) sono sproporzionati e come
incollati alle loro mani.
I due pupazzetti hanno movenze meccaniche e i loro spostamenti sono vincolati ai soli binari.
Possono muoversi liberamente dalla vita in su (seppure in modo poco plastico, un po' “a scatti”)
mentre le gambe vanno da sole, con l'ingranaggio.
Appena le luci sono salite del tutto, le gambe dei due si mettono in moto, in sincrono. Cominciano
una marcia sul posto, alzando molto le ginocchia, come dei grotteschi militari. Poi, sempre in modo
simultaneo, si mettono in moto marciando lungo i binari. Mentre stanno facendo la curva le due
porte a fondoscena si spalancano verso l'esterno, rivelando una luce abbagliante. I due
proseguono, uscendo dalle porte (rivolgendo così le spalle al pubblico). Fanno un inchino
meccanico e innaturale, ma sincrono, verso il fondoscena, quindi si voltano uno verso l'altra e
spariscono dietro la parete che separa le due porte. Il carillon cessa di suonare. Sentiamo,
distintamente, nove rintocchi di campanella; il suono è cristallino. Il carillon riprende a suonare. I
due tornano indietro, fanno ancora un inchino, si voltano verso la scena e rientrano. Le porte si
richiudono alle loro spalle, la musica dura ancora un po', poi smette. Si torna a sentire il consueto
ticchettio.
XY – Ho sempre paura di confondermi. Tic tac.
XX – Hai sempre paura di confonderti. Tic tac.
Voce dell'orologiaio – È soddisfatta?
Rumore di penna che fa click, e che scrive.
Voce dell'ispettrice – Mhhh...
XY – Sono le ventuno.
XX – Sì, le ventuno. Cioè le nove.
Voce dell'ispettrice – Molto grazioso.
XY – È quello il punto, le ventuno sono le nove.
XX – Sono le ventuno ma devi dare nove rintocchi.
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XX e XY – Le nove post-me-ri-dia-ne.
XY – Ma quando sono le nove non devo dare ventuno rintocchi.
XX – No. Soltanto nove.
XX e XY – Le nove an-ti-me-ri-dia-ne.
Cessa il rumore di scrittura.
Voce dell'orologiaio – Ha verificato quello che doveva?
Voce dell'ispettrice – Certamente. Metta una firma qui.
XY – Ho suonato bene XX?
XX – Hai suonato bene XY.
Voce dell'ispettrice – Tenga. In questo opuscolo ci sono tutte le informazioni sulla serata.
XY – Gli intervalli erano giusti?
XX – Erano giusti. Erano tutti uguali. Din din din. Sei stato bravo.
XY – Din din din. Anche tu sei stata brava.
XX – Quindi siamo stati bravi tutti e due.
Voce dell'ispettrice – Arrivi un po' prima della mezzanotte... Il tempo di sistemare il suo
apparecchio, caricarlo...
Voce dell'orologiaio – La dimostrazione si svolgerà alle ventiquattro?
Voce dell'ispettrice – Precisamente. Abbiamo scelto la mezzanotte perché i rintocchi sono di più.
In questo modo la giuria potrà apprezzare meglio la coreografia.
Voce dell'orologiaio – Una scelta sensata.
XY – Mi è venuto un dubbio. Tic tac.
XX – Ti è venuto un dubbio. Tic tac. Ti vengono sempre.
Voce dell'ispettrice – Dove ho appoggiato la borsa?
XY – Secondo te siamo usciti in contemporanea?
XX – Secondo me siamo usciti in contemporanea. Ma non posso saperlo con esattezza.
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XY – Non puoi saperlo con esattezza. Neanche io.
XX – Neanche tu. Ma abbiamo sempre fatto così.
Voce dell'ispettrice – Allora la aspetteremo stasera davanti all'ingresso del municipio. Arrivederci!
Voce dell'orologiaio – Arrivederci.
Rumore di passi.
XX – Forse eravamo un po' fuori tempo.
XY – Forse. Davvero?
XX – Ho detto forse. Forse vuol dire che non lo so.
XY – Se non lo sai perché lo dici?
Voce dell'ispettrice – Mi perdoni... Dov'è l'uscita?
Voce dell'orologiaio – Katia, accompagni la signora ispettrice. E chiuda la porta del laboratorio.
Rumore di passi e di porte.
XY – Sai qual è la parte difficile?
XX – Ce ne sono tante di parti difficili.
XY – Ce ne sono tante di parti difficili. Ma sai qual è la parte più difficile?
XX – Non lo so.
XY – La parte più difficile è l'inchino.
XX – Per me l'inchino è facile. Ma per te è la parte più difficile. Perché?
XY – Per colpa del martello. Mi impiccia.
XX – Me lo avevi già detto XY. Lo dici ogni volta.
XY – Lo dico ogni volta.
Pausa.
XY – Però tu, ogni volta che te lo chiedo, dici che non sai qual è la parte più difficile.
XX – Te lo dico ogni volta.
XY – Perché?
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XX – Perché mi piace quando dici che il martello ti impiccia. È una parola buffa.
XY – È una parola buffa. “Impiccia”. È vero. È una parola buffa.
XX – Sì. È buffa.
XY – Me lo avevi già detto XX. Lo dici ogni volta.
XX – Però anche a te piace quando lo dico io. “Impiccia”.
Pausa.
XX – Adesso dovremo aspettare un'ora. Tic tac.
XY – Dovremo aspettare un'ora. Tic tac. Come sempre.
XX – E poi saranno le ventidue.
XY – E quando saranno le ventidue io batterò dieci rintocchi.
XX – Perché le ventidue sono le dieci.
XY – E le ventuno sono le nove.
Pausa.
XY – Quanto ci mette un'ora a passare?
XX – Un'ora a passare ci mette un'ora.
XY – Cioè due volte mezz'ora.
XX – Cioè quattro volte un quarto d'ora.
XY – Cioè sessanta volte un minuto.
XX – Cioè tremila seicento volte un seco //
L'orologiaio irrompe in scena, dalla quinta con il cartello EXIT. Ha un aspetto algido, un paio di
occhialetti spessi con alcune lenti d'ingrandimento montate su una delle stanghette, che ne
nascondono in parte il viso, e un camice immacolato con ricamata sopra la bandiera della
Svizzera.
XX – Oh! Benvenuto, Signor Orologiaio!
XY – Che sorpresa, Signor Orologiaio!
Orologiaio – Cosa mi dite della vostra esibizione di un attimo fa?
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XX – Era la stessa di sempre, Signor Orologiaio.
XY – Facciamo sempre le stesse cose, Signor Orologiaio.
Orologiaio – Infatti. Nessun miglioramento. Mi sarei aspettato che almeno i passaggi basilari
fossero chiari, dopo ventiquattro coreografie al giorno per più di cinque mesi.
XX – Che intende dire? Tic tac.
XY – Noi non la capiamo. Tic tac.
XX – Ventiquattro sono le ore del giorno.
XY – Perché ogni giorno ha ventiquattro ore.
XX – Anche se dodici sono le ore della notte.
XY – Perché anche la notte fa parte del giorno.
XX – Quindi noi ci esibiamo ventiquattro volte al giorno. Notte e giorno.
XY – E facciamo sempre le stesse cose. Nel solito modo. Notte e giorno.
XX – Nel solito modo. Perché questo è il nostro lavoro.
XY – Il nostro lavoro è battere le ore.
XX – E quindi è quello che noi //
Orologiaio – Fatela finita! Lo so qual è il vostro lavoro, vi ho costruiti io. Ventiquattro ripetizioni al
giorno, e sembra che le giunture vi traballino come se le avessi appena incastrate. Vi sembra di aver
fatto una bella figura?
XX – La solita figura, Signor Orologiaio.
Orologiaio – Proprio così: quella. Solo quella. Eseguite la sequenza e non avete niente nella testa; il
nulla più assoluto. Però è toccato a me guardare in faccia l'ispettrice.
XX – Era una faccia severa?
XY – Una faccia cattiva?
XX – Una faccia triste?
XY – Una faccia brutta?
XX – Una faccia annoiata?
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XY – Una faccia schifata?
XX – Una faccia stordita?
XY – Una faccia delusa?
XX – Una faccia car //
Orologiaio – Nessuna! Nessuna faccia! Neanche un minimo cenno di emozione; niente!
XY – È venuto per dirci questo, Signor Orol //
Orologiaio – Tu! (indica XY) Ti pare di aver battuto bene i colpi? Io ero addirittura in imbarazzo. Li
hai battuti tutti diversi! Uno forte, uno piano... Un pasticcio indicibile! Per non parlare della
puntualità. Avevate quasi un secondo intero di ritardo! La puntualità in un orologio è tutto; e in ogni
caso è il primo punto che i commissari valuteranno.
XY – La prego, mi perdoni, Signor Orologiaio.
XX – Siamo molto spiacenti, Signor Orologiaio.
Orologiaio – Avete idea di quanto ci ho messo a costruire il meccanismo, il dispositivo di carica, il
telaio? Quanto ci ho messo a costruire voi? Il tempo che quest'orologio ha segnato da quando lo
caricai per la prima volta non è neanche un quindicesimo di quello che c'è voluto a me per
fabbricarlo.
XY – Faremo in modo che il suo tempo non sia sprecato, Signor Orologiaio.
Orologiaio – Ma lo sarà. Nelle condizioni attuali non possiamo vincere, e questo a causa del vostro
lavoro mediocre. Eppure, dovreste aspirare anche voi a diventare il cucù del municipio. (a XY) Quel
tuo inchino, poi...
XY – Lo so, Signor Orologiaio. Ma è così difficile.
Orologiaio – Difficile! Difficile, addirittura! Devi fare solo tre cose: uscire fuori, fare l'inchino e
battere la campana. Che c'è di tanto difficile?!
XY – Ha ragione, Signor Orologiaio.
XX – Però è vero. È difficile, Signor Orologiaio. Il martello lo impi //
Orologiaio – Nessuno ha chiesto il tuo parere, XX. Tu pensa a far bene la tua parte.
XY – Cercherò di fare meglio la prossima volta, Signor Orologiaio.
XX – Cercherà di fare meglio. Sono sicura che //
Orologiaio – Sarà bene che vi sforziate, sì. È tardi e abbiamo solo altre due prove: quella delle
ventidue e quella delle ventitré. Poi sarà mezzanotte e ci sarà tutta la piazza a guardarci. Le
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prossime coreografie devono essere perfette, sono stato chiaro? Abbiamo tre ore; anzi, due ore e
quarantanove minuti. Vedete di schiarivi le idee. Io vado sotto ad oliare gli ingranaggi; voglio anche
fare qualche modifica. Così magari riusciamo a distogliere l'attenzione dalla vostra imbarazzante
performance.
L'orologiaio va alla carica al centro e la gira diverse volte, poi si avvia verso l'uscita.
Orologiaio – Mi raccomando: due prove; meno di tre ore. Pensateci bene. (è sulla soglia) E vedete
di sorridere un po'.
Esce l'orologiaio. Una lunga pausa.
XY – Non sono bravo.
XX – Invece sei bravo. Lui è nervoso.
XY – Lui è nervoso ed io non sono bravo. È venuto addirittura qui. Non viene quasi mai qui.
XX – Non viene quasi mai qui. Ma stavolta è venuto. Si chiama “evento”.
Pausa.
XY – Tu hai capito cosa vuole da noi?
XX – Non ho capito cosa vuole da noi. Si lamenta che la sequenza è sempre quella. Tic tac.
XY – Ma poi vuole che la rifacciamo uguale. Tic tac.
Pausa.
XY – Come si fa a sorridere?
XX – Non lo so come si fa a sorridere. La bocca ce l'ha disegnata l'Orologiaio.
XY – Ce l'ha disegnata lui. Forse a me l'ha disegnata male.
XX – Forse. Però mi piace come dici “impiccia” con quella bocca disegnata male.
Pausa.
XY – Tu credi che ce la farò?
XX – Io credo che ce la faremo.
Buio.
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LE ORE 22:00
XY – Ti senti carica, XX?
XX – Mi sento a posto. Ti senti carico XY?
XY – Mi sento a posto. (guarda verso la chiave della carica a centro scena) Ma vorrei che mi
caricassero di più.
XX – Me lo avevi già detto XY. Lo dici ogni volta.
XY – Lo dico ogni volta. Però l'Orologiaio dovrebbe caricarci di più.
Pausa.
XX – Adesso non dobbiamo sbagliare.
XY – L'importante è il ritmo. Tic tac.
XX – L'importante è la sincronia. Tic tac.
XY – Il ritmo o la sincronia?
XX – Che vuoi dire?
XY – Quale dei due è importante?
XX – Tutti e due. Sono la stessa cosa.
XY – Non è vero. Ritmo è “tic-tac”, sincronia è “titìc-tatàc”.
XX – Ma se abbiamo lo stesso ritmo siamo in sincronia.
XY – Non ci avevo pensato.
Pausa.
XY – Mi è venuto un dubbio.
XX – Ti è venuto un dubbio. Ti vengono sempre.
XY – Secondo te cos'ha fatto l'Orologiaio? Ha parlato di modifiche.
XX – Non lo so. Tu lo sai?
XY – Non lo so.
Pausa.
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XX – Hai paura?
XY – No. Lascia stare.
XX – Di cos'hai paura?
Voce dell'orologiaio – (da fuori scena) Tra trenta secondi scatteranno le ventidue. Tenetevi pronti.
Voglio un lavoro ben fatto, intesi?
XY – Ci siamo.
XX – Devi restare calmo. Pensa a concentrarti. Tic tac.
XY – Devo restare calmo. Devo concentrarmi. Tic tac - tic tac - tic tac. Dieci rintocchi.
XX – Tutti uguali.
XY – Un bell'inchino.
XX – Il migliore possibile.
XY – Il ritmo giusto. Tic tac.
XX – La sincronia impeccabile. Tic tac.
Passa qualche attimo, poi il meccanismo si mette in moto. Come prima, si attiva il carillon e le
gambe dei pupazzetti cominciano a marciare sul posto. I due si avviano verso le porte che si
spalancano. Stanno per inchinarsi quando si sente un rumore sinistro, seguito da dei cigolii
fastidiosi. I due pupazzetti restano bloccati in piedi di spalle al pubblico, rivolti verso l'esterno. Il
carillon perde la melodia e comincia a suonare una cacofonia di rintocchi sovrapposti. Il rumore si
mischia a quello di alcune molle che saltano e ad un gracchiare di ingranaggi che non girano come
dovrebbero. Il ticchettio si interrompe. I pupazzetti restano bloccati così, sulla soglia, per molti
secondi. Nel silenzio che cade, si sente in sottofondo una donna che canta e alcuni sbuffi di ferro da
stiro. La melodia cantata dalla donna è un Kühreihen, la canzone è lontana e si sovrappone alle
parole dell'orologiaio.
Voce dell'orologiaio – Che succede?! ...dev'essere saltato il bilanciere qua sotto. Ah! Proprio
adesso!
Cigolii, rumori. Uno scatto. I pupazzetti sono improvvisamente risucchiati verso l'interno, e le
porte si richiudono sbatacchiando. Un lungo silenzio, durante il quale il ticchettio riprende.
XY – Che è successo?
XX – Un guasto.
XY – Un guasto. Al bilanciere.
XX – Un guasto...
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Pausa.
XX – L'hai vista anche tu, vero?
XY – L'ho vista anche io.
XY – Che stava facendo?
XX – Non saprei.
XY – Chi era?
XX – Non saprei. Ma era... Luminosa.
XY – Era armoniosa.
Pausa.
XX – Perché non l'abbiamo mai vista prima?
XY – Non ne abbiamo mai avuto il tempo. Non ci siamo mai fermati così tanto sulla soglia.
XX – Non ci siamo mai stati così tanto. Io appena esco mi inchino.
XY – Anche io. Mi guardo le scarpe. Quelle ormai le conosco bene.
XX – E la porta del laboratorio era sempre chiusa.
XY – Di solito era chiusa. Mentre stavolta se la sono scordata aperta. Anche questo si chiama
“evento”?
XX – No. Questo è di più. Ha un altro nome ma non lo conosco, o l'ho dimenticato.
Pausa.
XY – Aveva le mani di fumo...
XX – Aveva una voce morbida...
XY – ...anzi, non era fumo!
XX – ...e la usava per fare musica!
XY – Non era fumo. Era quella roba che usa l'Orologiaio quando viene a pulirci i vestiti. Si chiama
vapore. “Vaaa-pooo-re”.
XX – Come faceva a fare musica con la voce? Io non lo so.
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XY – Non lo so. Come faceva a spruzzare tutto quel vapore? Io non lo so.
XX – Non lo so. Credevo che per fare la musica ci volesse il carillon.
XY – Aveva in mano una specie di lancetta, ma ancora più corta e tozza di quella delle ore.
Pausa.
XY – Sai cosa penso?
XX – Non lo so.
XY – (risoluto) Penso questo: ci sono cose che non sappiamo. Molte cose.
XX – Non me lo avevi mai detto, XY.
XY – Non te lo avevo mai detto, XX.
XX – Eppure parliamo tutto il tempo.
XY – Tutto il tempo lo usiamo per parlare, ma di questo non ti avevo mai parlato. Tic //
XX – Non lo dire, per favore. Non dire “tic tac”. Non dirlo mai più.
Pausa.
XY – Hai visto com'era precisa a buttare il vapore? E lo soffiava su una specie di vestito in
miniatura. Chissà a cosa serve... L'Orologiaio lì dentro non c'entra, e lei nemmeno.
XX – Magari è per me.
XY – Non essere sciocca.
XX – Non so perché, ma se ci penso mi tremano le mani. Quel vestito è così azzurro! Magari è per
me.
XY – Anche se è piccolo, lei lo maneggiava con gesti abili, sicuri, veloci. E quegli sbuffi
sembravano così leggeri.
XX accenna un vocalizzo, un canto molto rudimentale, poi, spaventata, si mette le mani davanti
alla bocca.
XY – Che stai facendo?
XX accenna di nuovo un vocalizzo con più decisione. Guarda XY. Scoppia a ridere.
XX – Senti, XY! Ho trasformato la mia voce in un carillon, come faceva lei! Anche lei usava la
voce come un carillon, solo che era più brava... Quanto vorrei averla potuta ascoltare un attimo di
più. Da qui dentro non si sente, c'è solo questo ticchettio.
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XY – Quale ticchettio?
XX – Questo! (oscilla le dita a tempo col ticchettio) Non lo senti?
XY – Hai ragione. Non mi ero mai accorto che ci fosse un ticchettio. Ti dà fastidio?
XX – Lo odio. Non puoi farlo smettere?
XX si copre le orecchie con le mani e alza il tono di voce.
XX – Dove viviamo noi?
XY – Noi viviamo qui.
XX – Ma dov'è qui?
XY – Qui è qui. Nell'orologio.
XX – E perché viviamo qui?
XX toglie le mani dalle orecchie.
XX – Perché, XY?
Pausa.
XX – Questo posto non ha neanche un nome. Non è “casa”. È solo “questo posto”. Ci hai mai
pensato? Abbiamo sempre vissuto qui, eppure questa non è la nostra casa. È solo un posto nella
casa dell'Orologiaio. Noi siamo suoi ospiti.
XX si guarda attorno.
XX – Qui non mi piace. Non me ne ero mai accorta, ma è proprio così. Ne sono sicura.
XY – Ne sei sicura. Come fai a dirlo? Ci siamo sempre stati. Non ti sei mai lamentata.
XX – Non mi sono mai lamentata. Neanche tu. Ma a te piace, XY? Ti piace questo posto?
Pausa.
XX – Immagina come sarebbe se ci fosse...
XY – Cosa?
XX – Non lo so. Qualcosa. È così vuoto.
XY – C'è tutto quello che ci serve. Niente di più.
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XX – Niente di più di quel che serve, solo l'essenziale. Neanche la musica è essenziale, però è così
bella.
XY – C'è il carillon.
XX – Quella non è vera musica, è solo il carillon.
XY – Che differenza c'è?
XX – Che il carillon è solo il carillon. Il carillon delle ventidue, per esempio, è lo stesso carillon
delle ventuno, e lo stesso delle venti, e lo stesso delle diciannove, e lo stesso di sempre. Le stesse
pause, lo stesso ritmo, sempre uguale. Il carillon è il concerto degli ingranaggi; invece lei sembrava
così... Imperfetta.
XY – Credevo che mi piacessero le cose sempre uguali. Le cose perfette.
XX – Non dobbiamo essere d'accordo per forza.
XY – Non so se sono d'accordo. È che tu metti tutto su un altro piano, come... Come un orologio
che va in senso antiorario. Capisci?
XX – No.
XY si guarda i vestiti.
XY – Scusa se ti ho chiamata sciocca.
XX – Me l'ero già dimenticato.
XY – Ma davvero non credo che quel piccolo abito fosse per te.
XX – Non lo credo nemmeno io. Peccato...
Pausa.
XY – Mi piacerebbe cambiarci vestiti.
XX – Vuoi dire che io mi vesto con i tuoi e tu con i miei?
XY – Oppure potremmo stare senza.
XX – Senza i vestiti?
XY – Sì. Ho voglia di vederti senza i vestiti.
XX – Perché?
XY – Non lo so. Ti vuoi togliere i vestiti?
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XX – Sì.
XX usa l'unica mano libera per sbottonare la camicia, ma si ferma dopo il primo bottone.
XX – Tu non te li vuoi togliere?
XY – Io? Dopo. Dopo di te.
XX riprende a spogliarsi. Toglie il grembiule e apre la camicetta, scoprendo il reggiseno.
XY – Sei gonfia, lì. Io no.
XX – Vuoi toccare?
XY guarda il martello. È in difficoltà: ha entrambe le mani occupate.
XY – Il martello... Mi impiccia.
Ridono piano.
XX – Appoggiati contro di me. Ce la fai?
XY ed XX si protendono uno verso l'altra, in un tentativo di abbraccio mal riuscito, per via della
distanza e del martello. XY sfiora XX con l'asta.
XY – Come si fa? Che devo fare?
XX – Non lo so. Aspetta.
XY – Aspetto...
Passa qualche attimo.
XX – Senti qualcosa?
XY – Sembra morbido. Strano. Non sei fatta di legno, tu?
XX – Davanti è cotone.
XY – Ah.
Ancora qualche attimo, poi entra l'orologiaio. Cammina con ampie falcate e ha in mano una
valigetta degli attrezzi da cui estrae vari strumenti: cacciaviti, chiavi inglesi, olio lubrificante ecc.
Bofonchia fra sé e sé e non presta la minima attenzione ai pupazzetti, non accorgendosi nemmeno
che XX è mezza nuda. Continua ad attraversare il palcoscenico avanti e indietro, uscendo da una
quinta e rientrando da un'altra, fermandosi di tanto in tanto su un binario, su una delle porte, sul
meccanismo a carica. XX cerca di rivestirsi in fretta.
XY – (sottovoce) Che fai?
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XX – (sottovoce) Non voglio che mi veda nuda.
XY – Perché? Guarda che ti ha fatto lui.
XX – È lo stesso.
XX termina di rivestirsi.
XX – (ad alta voce) Mi scusi, signor Orologiaio? (l'orologiaio non risponde) Mi scusi, signor
Orologiaio?
Orologiaio – (senza voltarsi o smettere di lavorare) Che c'è?
XX – Voglio uscire.
Orologiaio – Non siamo ancora pronti. Ora sta buona e lasciami lavorare.
Una lunga pausa, durante la quale l'orologiaio gira diverse volte la carica al centro.
XY – Credo che lei non abbia capito, signor //
Orologiaio – State a sentire, fra un'ora e cinquantatré minuti inizierà la gara; l'orologio per allora
dev'essere perfettamente funzionante. Affinché questo sia possibile, ogni più piccolo frammento di
tempo che ci resta dev'essere dedicato al lavoro e organizzato al decimo di secondo. La sostituzione
del bilanciere è un processo lungo e complesso, perciò il mio piano non prevede di intrattenere una
conversazione. In altre parole non c'è tempo per parlare con voi. Uscirete a riprovare la vostra
coreografia quando il meccanismo sarà stato riparato. Sono stato chiaro?
XY – Ma //
Orologiaio – Sono stato chiaro?
XX – Non vogliamo uscire per battere l'ora.
Orologiaio – Che cos'hai detto...?
XX – Non vogliamo uscire per batt //
Orologiaio – Che vuol dire? Non si può uscire senza battere l'ora.
XX – Perché no? Lei, quando esce, mica va da qualche parte con martello e campana.
Orologiaio – Non c'entra niente, ogni luogo ha le sue regole. Che vi siete messi in testa?
XY – Credevamo che ci piacessero le cose sempre uguali. Però forse potremmo cambiare.
Orologiaio – Non cambiare: migliorare. Far bene i movimenti, andare a tempo. Solo su questo
dovete concentrarvi.
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XY – Ma potremmo sempre fare qualcosa di diverso.
XX – Trovare un altro modo per dire che ore sono.
XY – Uscire dal tetto.
XX – Uscire dalla ripetizione.
Orologiaio – Ma che dite?!
XX – Cambiare.
XY – Cambiare.
XX e XY – Cambiare.
Orologiaio – Questo è fuori discussione! "Qualcosa di diverso"... Non sapete che state dicendo.
XY – Ha ragione, Signor Orologiaio. Ma noi siamo //
Orologiaio – Ve lo dico io, cosa siete: siete una parte di un orologio, servite a segnare il passaggio
delle ore, e le ore passano sempre, irrimediabilmente, nel solito modo. Non c'è niente che possa
essere cambiato in questo, né da voi, né da me. Punto.
XX – Però le ore non sono tutte uguali. Ci sono ore in cui regna un grande silenzio ed ore in cui la
casa è piena di voci, ore in cui l'aria sa di legno fresco ed ore in cui profuma di colla, ore in cui
l'ombra della morsa sparisce ed ore in cui si slancia a schiacciare le macchie sulle pareti.
Orologiaio – Ebbene? Anche con tutto questo, il vostro compito non è diverso. Solo una cosa siete
in grado di fare, dovreste impegnarvi unicamente per cercare di farla meglio. Il resto sono fantasie,
e la fantasia è una trappola. Non vorrei dovervi ricordare che tutto quel che vi circonda l'ho
costruito perché possiate replicare al meglio il vostro piccolo spettacolo. So io cos'è meglio che
facciate.
Pausa.
Orologiaio – Però sono proprio curioso: cos'avreste pensato di combinare la fuori? Sentiamo.
Silenzio.
Orologiaio – Ecco.
L'orologiaio fa per rimettersi al lavoro.
XX – Potremmo fare un carillon con la voce.
L'orologiaio guarda fisso XX.
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Orologiaio – Un carillon con... Intendi... Cantare? Alle ventidue e nove minuti tu mi dici che
vorresti uscire e cantare!? Ma che ne sai tu, del cantare?
XY – Noi abbiamo sentito //
Orologiaio – (a XY) Non ho chiesto a te. (a XX) Allora? Che ne sai, XX?
XX – Non ne so niente, ma ho sentito come faceva lei. Era una donna. Aveva in mano un piccolo
vestito azzurro. La musica le arrivava da dentro, non da fuori.
XX accenna goffamente un canto muto.
XY – A XX piace... (cerca la parola) “Cantare”. È brava.
XX – (interrompendosi) Davvero pensi che io sia brava?
XY – È quello che penso.
Orologiaio – Basta così! È assurdo. Vi proibisco di cantare. Vi proibisco di pensare di cantare!
Toglietevi dalla testa la mia cameriera e le sue sciocche canzonette bucoliche. Non voglio dire altro
in proposito, e non voglio mai più sentir parlare di uscire da qui se non per fare il vostro dovere. Io
vi ho creato, e voi farete solo quello che è giusto e normale e... Ordinario che facciate. Non dirò
altro.
L'orologiaio raccoglie la sua roba e fa per uscire.
XX – (all'orologiaio, un attimo prima che sia uscito di scena) Lei la conosce?
Orologiaio – Cosa?
XX – Quella canzone. Lei la conosce? Sa come continua?
L'orologiaio si volta ed esce.
XY – Non dovevi chiedergli di uscire proprio oggi. Potevamo parlargli dopo la gara, forse ci
avrebbe lasciati...
In quel momento XY si volta e vede XX. Quest'ultima ha sollevato un piede dal binario, con un
gesto solenne, anche se un po’ insicuro. Lo appoggia piano a terra.
XY – XX! Che stai facendo?!
XX adesso si puntella sul piede che ha appoggiato e comincia a staccare anche il secondo. Si
solleva sulla punta.
XY – Fermati, così ti farai male! Torna sul binario!
Il piede di XX ricade pesantemente sul tallone.
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XX – Ti prego, fa silenzio un attimo. Devo concentrarmi.
XY si zittisce. XX riesce a sollevare anche il secondo piede dal binario e lo appoggia per terra.
Prova qualche passo traballante.
XX – Sono fuori! Guarda XY, sono fuori! Guarda cosa posso fare! Uno-due, uno-due, uno-due.
Dopo qualche passo, XX acquisisce sicurezza.
XX – Hai visto? Posso muovermi come mi pare! Posso andare dove voglio! È incredibile!
XY – Sì, ma non andartene via!
XX – Non ti lascio solo, sta' tranquillo.
XX si avvicina a XY.
XX – Non siamo mai stati così vicini, prima di adesso.
Con la mano libera tocca un pugno di lui, chiuso attorno al martello.
XX – Mi sono sempre chiesta come sarebbe stato toccarti.
XY – Davvero te lo sei sempre chiesta?
XX – No. In effetti me lo sono chiesta solo adesso. Ma è come se l’avessi sempre fatto.
XY – E com’è?
XX – Hai la mano ruvida.
XX sposta la mano e prende il polso di XY.
XX – Ho ricordato il nome di quel che ci è successo. Non è “evento”; si chiama “risveglio”.
XX fa un passo indietro senza lasciare il polso di XY, lui allunga le braccia e piega il bacino, ma
resta fermo con le gambe.
XY – Lasciami. Non sono capace.
XX – Non è vero. Tu stai ancorato al binario solo perché credi di sapere che non puoi vivere senza.
Ma noi, sui binari, ci siamo solo appoggiati. Me ne sono accorta per la prima volta un attimo fa. Me
l'ha detto lo sguardo dell'Orologiaio: lui ha più paura di te.
XY – E di cosa ha paura?
XX – Non lo capisci da solo?
Pausa.
22/46
XY – Quindi... Non c’è nemmeno una vite, un perno, un incastro?
XX – Nessuno. Adesso alza un piede, XY. In fondo sai che puoi farlo. L’hai sempre saputo.
XY – Sì, però aspetta.
XX – Non c'è niente da aspettare.
XX prende una mano di XY (chiusa sul al martello) e se l'appoggia sulla spalla, con l'altra prende
la mano di lui, in una posizione che ricorda quella del tango, con l'asta del martello in mezzo.
XY – E se poi non riesco a stare in piedi? Se mi vanno giù le gambe? Se mi rompo?
XX – Bisogna rischiare.
XY – Cosa trovo, se esco?
XX – Me.
XY poggia un piede a terra.
XY – È duro, per terra. Non mi farà male ai piedi?
XX – Guarda che ti lascio qui.
XY – No no! Vengo.
Anche XY si libera del tutto dai binari.
XY – I miei piedi! Guardali lì, i miei piccoli piedi!
XY fa per muoversi bruscamente ma perde l’equilibrio, XX lo sorregge. I due si trovano
abbracciati, si guardano sorpresi. XY recupera l’equilibrio, ma XX non allenta la presa: comincia
a percorrere il profilo del compagno con la mano libera. Si rende conto che la campanella la
impaccia. Agita una mano e prova a staccarla, senza risultato. Allora la prende con l’altra mano e
tira, ma niente. Quindi la prende fra le ginocchia, con la mano libera si afferra il polso e tira. Tira
molto forte, emettendo un lamento di dolore, finché alla fine la campana non si stacca. XX osserva
solo per un attimo la mano liberata, poi le usa entrambe per toccare il viso di XY. Dapprima sono
tocchi delicati, quasi carezze, poi si fanno sempre più pesanti, come se stesse modellando
dell’argilla. Lui si lascia fare tutto senza dir nulla. Di colpo XX si interrompe, comincia a
guardarsi intorno, abbandona XY e comincia a gironzolare per il palcoscenico, esplorandolo in
lungo e in largo ma senza avvicinarsi mai al meccanismo a carica al centro. Si sporge anche dietro
le quinte.
XX – Che c'è qui dietro? ...e da qui, dove si arriva? Oh, guarda! Da questo punto si vedono l'albero
di carica, gli anelli della corona e il bariletto!
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Mentre XX esplora, XY tenta qualche timido movimento sul posto: alza una gamba, la appoggia,
muove un piede nell’aria. Si ferma di nuovo sul posto, in una posizione rigida. Comincia come a
biascicare, a toccarsi la gola col dorso della mano. XX, nel frattempo, è uscita da una quinta.
XY – Ho una sensazione strana. Come se avessi la bocca polverosa.
XX – (parla da fuori scena) Sì, anche io.
XY – Cosa vorrà dire?
XX rientra tenendo in mano una bottiglia di liquido scuro dalla tipica forma delle fiaschette di olio
lubrificante, con un lungo beccuccio conico sul tappo.
XX – Non lo so, ma ho trovato questo di là. Credo sia olio lubrificante.
XX apre la bottiglietta svitando il tappo conico e avvicina il viso. Si ritrae velocemente, arricciando
il naso.
XY – Che succede?
XX – È come se mi avesse dato un morso dentro al naso.
XY – Fammi provare.
XX si avvicina e mette la bottiglia sotto al naso di XY. XY annusa. Prorompe in uno starnuto. XX,
spaventata, fa un balzo indietro.
XX – Ma che fai?!
XY – Non lo so. È venuto da sé. ...però è stato divertente!
XX – Mi hai fatto prendere un colpo. Ti metti a fare i versi, adesso?
XY – (imbronciato) Scusa.
XX lo guarda severamente, ma poi le viene da ridere, cerca di trattenersi ma non riesce e scoppia
in una risata.
XX – Sei troppo buffo!
XX assume la stessa posizione rigida di lui e fa il verso al suo starnuto, esasperando ogni
espressione.
XX – Eeeet chuuuu!
XY ride a sua volta, e fa come lei.
XY – Eeeet chuuuu!
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XX – Eeeet chuuuu!
XY – Eeeet chuuuu!
Ridono. Poi XY guarda la bottiglia e riprende il biascichio di prima.
XY – Me ne dai un po’?
XX – Apri la bocca.
XX rimette il tappo alla bottiglia e spruzza l'olio in bocca a XY, poi ne prende un po’ anche lei.
Quando ha finito di bere, guarda la bottiglia, perplessa. Poi ghigna, si volta verso XY e lo schizza
con una parte dell’olio rimasto. Quest’olio macchia molto i vestiti.
XY – Adesso perché hai fatto questo?
XX – Sei buffissimo.
XY – Cosa?!
XY, che ricevendo lo schizzo ha perso la posizione rigida di prima, colpisce la bottiglia con l’asta
del martello, facendo in modo che XX si schizzi da sola.
XY – Ecco fatto. Siamo pari.
XX – Neanche per sogno!
XX schizza di nuovo XY, che cerca di fuggire e di schivare. Escono da una quinta. Rientrano
immediatamente, ma XY ha una seconda bottiglia d'olio sotto l'ascella e la usa per spruzzare la
compagna. Parte una battaglia di schizzi d’olio, i due ridono molto e ne escono fradici e sudici.
Lentamente, smettono di ridere, e XX si stringe nelle spalle, rabbrividendo.
XY – Che ti prende?
XX – Non lo so, ma è qualcosa di molto sgradevole.
XY – Posso fare qualcosa?
XX – Mi daresti la tua mantellina?
XY – Sì.
XY si china e volge la schiena a XX, che gli sfila la mantellina e se la mette addosso. Subito dopo,
XY va dietro le spalle di XX, solleva il martello e passa l'asta oltre di lei, trovandosi così ad
abbracciarla da dietro. Lei si appoggia a lui.
XX – Così va meglio. Grazie.
XY – Odori di buono.
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XX – Sarà l'olio.
XY – Quando ti ha dipinto la bocca, l'Orologiaio ha fatto un capolavoro.
XX – Ecco perché a te l'ha disegnata male; si vede che era stanco.
XX si sfila da sotto all'abbraccio di lui, gli prende il cappello e se lo mette in testa. Dopodiché si
muove di nuovo: stavolta va a fondoscena e comincia a cercare qualche spiraglio nelle porte.
XY – Che fai adesso?
XX – Cerco un'uscita.
XY – Vuoi andartene?
XX – Sì.
XY – E la gara? Che cosa dirà l’Orologiaio?
XX – La stessa cosa che direbbe se ci trovasse qui, conciati in questo modo.
XY – Ma dove andremo dopo?
XX continua a cercare. Esce verso l’EXIT. Rientra.
XX – È tutto chiuso, anche la porta di qua. Forse ci vuole una chiave…
XX si rimette all'opera in modo sempre più frenetico, con sempre maggiore urgenza, ma tenendosi a
distanza dalla carica a centro scena. XY, nel frattempo, solo a centro scena, inizia una buffa
ginnastica, muovendo a turno le parti del corpo.
XY – Gamba? Gamba! Gi-noc-chio. Gomito gomito gomito. Baciiiiino, baciiiiiino. Collo. Collo.
Collo-collo. Piede su, piede giù. Hop!
XY spicca un salto.
XY – Oh! Oooh! Ho volato! So volare! XX, ho volato! Guarda: hop!
XX – (non lo sta guardando) C'è di sicuro una chiave. Avvertimi subito se la trovi.
XY si mette a saltellare, slanciando le gambe, stendendo le braccia e agitando il martello. Inizia
una specie di danza acquisendo gradualmente grazia e coordinazione. La scena è frenetica, con XX
che corre qua e la alla ricerca di un'uscita e XY che balza giocondo. Entrambi si tengono però
sempre bene alla larga dalla carica al centro.
XY – (canta) Posso volare
come un uccello,
posso volare
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col mio martello!
Braccia e ginocchia,
piedi e talloni,
spalle e capoccia,
senza prigioni!
XX, durante la canzoncina, si è fermata a guardarlo e ad ascoltarlo.
XX – Ma l'Orologiaio non ci aveva proibito di cantare?
XY si ferma all'improvviso, preoccupato.
XX – Non volevo che smettessi. Dai, continua!
XY – Ma l'Orologiaio //
XX – Non è qui e non ti sente. Continua! Come fa la canzone? Posso volare...
XX afferra l'asta del martello di XY.
XY – Posso volare, col mio martello...
XX – Posso volare, col tuo cappello!
XX si calca il cappello in testa e inizia a saltellare, XY la segue dopo un attimo. Iniziano a saltare
assieme, volteggiando.
XX – Continua a cantare XY. Mi piace la tua canzone!
XY – (canta) Dentro il telaio,
dietro il quadrante!
Pendolo e molla!
Asse oscillante!
XX – (canta) Rocchetto e ruota
di scappamento!
Rotore e braccio
in movimento!
XY – (canta) Ancora e perno!
Corona di caricamento!
Ruota di minuteria!
Ingranaggi d'argento!
XX – (canta) Nel meccanismo
del bilanciere
posso volare
senza galere!
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XX e XY – (cantano) Braccia e ginocchia,
piedi e talloni,
collo e capoccia,
senza prigioni!
Il martello si stacca improvvisamente dalle mani di XY, il quale resta in equilibrio per un pelo. XX
cade invece all'indietro riuscendo comunque a non rovinare a terra. Così facendo lascia però
andare il martello, che viene proiettato verso la carica al centro della scena, ci sbatte
violentemente contro emettendo un rumore sordo e cade lì accanto. La chiave di carica si ferma e il
ticchettio si interrompe. XX e XY si zittiscono all'istante restano impietriti.
XX – Io non...
XY – Che abbiamo fatto?
XX – Non volevo... Io... Scusami.
XY – Ridammi le mie cose.
XX restituisce il cappello e la mantellina ad XY.
XY – Che facciamo ora?
XX – Lo riprendo io.
XX fa per avvicinarsi al martello ma XY la trattiene per una spalla. XX si volta ed accarezza il
volto di XY.
XX – Lasciami. Lo riprendo io.
XY – Stai attenta.
XX si accuccia e inizia a strisciare. In qualche modo riesce a spostare leggermente il martello fino
a riuscire ad afferrarlo. Lo tira delicatamente allontanandolo dalla carica, poi si mette carponi, lo
afferra per la testa e sfruttando interamente la lunghezza dell'asta inizia a pungolare la chiave di
carica. Dopo qualche tentativo, essa ricomincia a girare. Il ticchettio riprende. XY cade a sedere,
XX recupera la distanza di sicurezza dalla carica e gli restituisce il martello.
XY – Non avremmo dovuto XX, non avremmo dovuto.
XX – Non dire così. Non ti piaceva volare?
XY – Non avremmo dovuto XX. Tic tac.
Buio.
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LE ORE 23:00
Quando le luci si rialzano XY è seduto a terra. XX gli sta vicino, in piedi.
XX – Vuoi restare seduto lì in eterno?
XY – No.
XX – Allora ti vuoi tirare su?
XY – No.
XX fa qualche passo in giro, poi torna dov'era.
XY – Non ho voglia di parlare. Né di alzarmi.
XX – Ti piacerebbe cantare un po'?
XY – No XX. Mi sento vuoto... È come se avessi addosso tutto il peso di quest'orologio.
XX – È questo ticchettio. Questo maledetto ticchettio che non ci lascia in pace, ci tormenta, ci //
XY – Ci ricorda il nostro dovere: battere i rintocchi delle ore, fare quello per cui l'Orologiaio ci ha
costruiti. Noi lo stiamo tradendo. Se non vincerà la gara, saremo solo noi i colpevoli. Ed è sempre
più tardi, lo sai anche tu.
XX – Ti senti in colpa per aver cantato? Per essere uscito dai binari? Per aver fatto quello che
sentivi, che volevi e che sapevi di volere?
XY – Siamo colpevoli di ribellione.
XX – E quella donna che cantava e che spruzzava vapore, allora? Secondo te è una ribelle anche lei,
XY?
Pausa.
XX – Sai, gli orologi non esistono da sempre. Una volta sentii l'Orologiaio parlare con qualcuno di
una cosa chiamata clessidra. Era un vaso di vetro con dentro della polvere, e segnava il tempo solo
quando la rovesciavi. Decidevi tu quando farla iniziare, quella durava per un po' e poi smetteva.
Doveva essere una cosa semplice, che potevi capire, e potevi anche fermare; bastava metterla per
così.
XY – Ora non le fanno più?
XX – No. L'Orologiaio disse che questa cosa del girare era troppo laboriosa. Che la gente vuol
sapere che ore sono, ma vuole anche esser libera di dimenticarsi la risposta.
XY si alza.
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XX – Non so se riuscirò ancora a ripetere la coreografia. La sola idea mi fa mancare il respiro.
XY – Anche a me.
XY – Sai cosa penso?
XX – È da un po’ che non lo so più.
XY – Penso che avremmo dovuto impiegare meglio il tempo che abbiamo avuto. Il tempo...
Segniamo da sempre quello degli altri, ma finora che ne abbiamo fatto noi, del nostro?
XX – Lo abbiamo sprecato.
XY – Lo credo anche io. E intanto si è già formata qualche piccola macchiolina di ruggine sugli
ingranaggi, le molle si sono un po’ rilassate, la colla in qualche punto ha iniziato a cedere. Tutte
cose minuscole, trascurabili di per sé; ma sono il marchio lampante del tempo che è passato.
XX – Però i pezzi possono essere sostituiti. L’Orologiaio mette mano al meccanismo tutti i
pomeriggi, fra le quattordici e le diciannove.
XY – È vero. Ma siamo pezzi anche noi, XX; anche io e te possiamo essere sostituiti. E potrebbe
anche succedere che venga sostituito solo uno di noi due.
XX – Credi che in quel caso saresti tu, vero?
XY – Sei sempre stata più in gamba di me... Ma io come farei poi a stare senza di te?
Si abbracciano. XY inizia a singhiozzare.
XY – Per questo dobbiamo almeno tentare, XX. Proviamo a ripetere la coreografia; facciamo
contento l’Orologiaio. Rientriamo nei binari, ti prego.
XX – No, non possiamo tornare indietro. Forse le macchioline di ruggine si sono formate anche sul
mio collo, perché non riesco più a voltarmi alle spalle; posso solo guardare avanti. Anche tu hai
iniziato a guastarti... Hai una perdita d’olio sugli occhi.
XX asciuga le lacrime di XY con la manica della camicia. Dopo un nuovo, lungo momento di
silenzio, improvvisamente parte la musica del carillon: sono scattate le 23:00. I due pupazzetti si
guardano terrorizzati. Una misteriosa “forza magnetica” inizia a trascinarli inesorabilmente verso
i binari. XY abbandona la presa ma XX non smette di abbracciarlo, aggrappandosi a lui.
Raggiungono il punto in cui i binari convergono e iniziano la solita marcetta sul posto, mentre le
porte sul fondo si aprono. Le gambe dei due iniziano ad essere trascinate ma XX stringe XY molto
forte e così, mentre le parti dal bacino in giù sono spinte ad allontanarsi, i loro busti restano vicini,
ed è come se i loro corpi stessero per strapparsi in due.
XX – Dobbiamo resistere, XY! Aggrappati al mio corpo!
XY – Lasciami andare! Mi fa male!
30/46
XX – Anche a me, ma non dobbiamo uscire! Prendi le mie braccia!
Voce dell’orologiaio – (arriva molto remota, si sente appena) E adesso che succede?! Che state
combinando la dentro?! XX! XY!
XY afferra XX, forse per staccarla o per reggersi a sua volta; lei manda un grido di dolore, che
sovrasta il carillon, il cui ritmo diventa frenetico. Le gambe dei due scalciano l’aria e si muovono
in modo sempre più esasperato. Ad un certo punto, uno scatto secco. Il carillon si interrompe, e
tutto sembra fermarsi all’improvviso. Anche la carica al centro si blocca, e il ticchettio cessa. Con
estrema cautela, XX e XY allentano la presa uno sull’altra e recuperano la posizione eretta.
Respirano affannosamente. XY si tocca e si dà pacche sulle gambe, irrigidite, come se stesse
cercando di recuperare sensibilità.
XY – Non mi sento più le gambe!
XX – L’abbiamo fatto...
XY – Non mi sento più le gambe XX! Aiuto!
XX – Siamo stati più forti del congegno...
XY si percuote con violenza una gamba, che si rilassa improvvisamente facendogli perdere per un
attimo l’equilibrio.
XY – Ah, ecco. Ecco la mia gamba, è tornata.
XX – Abbiamo vinto noi...
XY si guarda le gambe come se le vedesse per la prima volta.
XY – Ma... Ma le avevamo sempre mosse a quel modo, le gambe?
XX – Sì XY, non te lo ricordi? È sempre così che facevamo la marcetta, durante le coreografie.
XY – Come stanno le tue, di gambe?
XX – Sono un po’ rigide.
XY – Aspetta, ti aiuto.
XY fa per muoversi ma resta impigliato nel binario. Si guarda sorpreso i piedi. Si china e si
massaggia i calcagni.
XY – Che succede...? C’è qualcosa di scomodo, che mi stringe i piedi...
XX – Il binario. Il posto dove sei sempre rimasto, fino ad un’ora fa.
XY – Non è possibile, è troppo fastidioso! Dev’essere cambiato qualcosa... Forse si è ristretto. (si
agita sul posto) Tu ci stai bene?
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XY riesce, con un gesto plastico, a liberare le gambe. Appena uscito dai binari si china e si
massaggia vigorosamente dalle cosce ai piedi. Poi si avvicina ad XX, la prende in braccio e la
solleva, liberandola; lei lo lascia fare. Lui la appoggia a terra, mettendola seduta, e inizia a
massaggiarla partendo dai piedi.
XY – Sta tornando la sensibilità?
XX annuisce. XY continua a massaggiarla, passando alle caviglie. Le sue mani scivolano sotto la
gonna di lei quando arriva a massaggiarle i polpacci, le ginocchia. XY si protende sempre più
verso XX.
XX – Va bene XY, sto meglio. Grazie. Puoi smettere, adesso.
XY non si ferma, ma le sue mani scivolano sempre più in profondità e lui si protende sempre più su
di lei. Lei ridacchia e si contorce dal solletico.
XX – Dai, può bastare, davvero. Ti ringrazio. Mi stai facendo agitare tutte le molle.
XY è ormai quasi sopra ad XX, e affonda la sua faccia sul ventre si lei, facendola sobbalzare. Le
sue mani frugano sotto la gonna, impazzite. Lei prende la sua testa e la spinge ancor più contro di
sé.
XX – XY, basta! Fermati! Ma che fai?! Non... Toccami. Non smettere, toccami qua! Ti prego, XY.
In quel momento sopraggiunge in scena l’orologiaio. Entra furioso ma si blocca sulla soglia,
sorpreso dalla scena che si trova davanti.
Orologiaio – Ma che sta succedendo?! Che fate?!
XY, sorpreso, si ferma per un attimo, dando modo ad XX di divincolarsi e di spingerlo via da sopra
il suo corpo. L'orologiaio avanza in scena.
Orologiaio – Alzatevi in piedi.
XX e XY si alzano in piedi e si mettono accanto. L’orologiaio gira loro attorno, squadrandoli da
capo a piedi. I loro vestiti sono ancora macchiati d’olio.
Orologiaio – Dove sono i vostri oggetti?
I pupazzetti indicano in direzione del martello e della campanella. L’orologiaio recupera entrambi.
Osserva con grande attenzione la campanella.
Orologiaio – Che ci fate fuori dai binari? Come mai i vostri vestiti sono ridotti in questo modo? E
soprattutto, perché non siete usciti a battere le ventitré?
XX – Perché non vogliamo.
Un lungo silenzio.
32/46
Orologiaio – So a cosa state pensando. Voi credete che questo sia sufficiente a farmi rinunciare alla
gara. Pensate che l’avete combinata grossa, così grossa che sia impossibile porre rimedio. Siete
convinti che lascerò perdere, che rinuncerò alle mie ambizioni a causa della vostra disobbedienza, e
che finalmente vi licenzierò dai vostri doveri. Ma non è così!
L’orologiaio getta a terra la campanella.
Orologiaio – Sei anni. Mi ci sono voluti sei anni per creare questo orologio. Avevo pensato che il
settimo mi sarei potuto riposare, godere del mio lavoro e farlo godere agli altri. Rendervi qualcosa
di bello, che le persone verranno a vedere da lontano, che desterà gioia ed ammirazione. Voi sarete
i protagonisti.
XY – Non le abbiamo mai chiesto niente di tutto questo.
L'orologiaio abbassa lo sguardo, e si sfila gli occhiali. Per un attimo, sembra molto più vecchio.
Orologiaio – È vero, XX; ma io so cos'è bene e cos'è male. Vi conosco meglio di voi stessi. Le
vostre coreografie le ho viste più di chiunque altro. (a XY) Quando tu non riuscivi a ricordare quante
volte battere la campana, io c'ero. (a XX) E c'ero anche quando tu portavi nell'altra mano un mazzo
di fiori. Te lo ricordi?
XX – Disse che non sapevo come tenerli in mano, quei fiori. Che non sembravano... “Veri”. Mi ha
chiamata “sciocca maldestra”. È da allora che ho la mano libera.
Orologiaio – E ancora oggi credo che sia stata una scelta saggia. Da quel giorno sei molto
migliorata, XX.
Pausa.
Orologiaio – Rifletteteci bene: il vostro posto è qui, nel mondo che ho creato per voi. Qui, dove
non avete niente da temere.
Un lungo silenzio.
Orologiaio – Mi farete contento, stasera?
XX – Questo mondo che lei tanto celebra, è una prigione.
XY – E lei, signor Orologiaio, è il carceriere.
XX – Io non tenderò più la mia campana.
XY – Io non muoverò più il mio martello.
XX e XY – Mai più.
L'orologiaio infila di nuovo gli occhiali.
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Orologiaio – Così stanno le cose, quindi. Sei anni, e voi vorreste mandare tutto a scatafascio in tre
ore. Ma questo non ve lo permetterò. I sessanta minuti che ci separano dalla gara sono più che
sufficienti per risistemare tutto. La vita è urgenza. Pulizia mentale, ordine e lucidità, sono queste le
chiavi del successo; ed io le possiedo tutte. Voi farete quello che dovete. Prima di tutto, i vostri
vestiti saranno lavati.
L’orologiaio afferra XX e fa per tirarle giù la gonna. Lei manda un grido e la regge con le mani,
evitando di essere spogliata. XY si mette in mezzo fra i due e blocca l’orologiaio. C’è una breve
colluttazione, poi XY spintona violentemente l’orologiaio, facendolo cadere a terra. L’orologiaio si
alza in piedi, si ripulisce con calma.
Orologiaio – Dovevo aspettarmelo. Vedo chiaramente la sequenza dei vostri pensieri, come una
catena di ingranaggi. Vi siete dimostrati più forti del meccanismo; è questo che vi gira in testa.
Avete vinto il congegno, siete riusciti a non uscire allo scattare dell’ora, perciò confidate sulla
vostra forza, pensate di essere invincibili, sapete che ho bisogno di voi. Ma, credetemi, non vi
basterà. Stroncherò questa vostra devianza; tutto tornerà alla normalità. Ho ancora un’ora.
L’orologiaio va alla carica al centro e afferra la chiave con entrambe le mani, quindi la estrae dal
supporto.
Orologiaio – Ecco qua, la facile fine della vostra ribellione. È bastato poco a mettervi con le spalle
al muro. Che fine farà tutta la vostra determinazione, quando vi mancherà pure l’energia per battere
le ciglia?
XY si scaglia contro l’orologiaio, ma prima che gli sia addosso quello estrae un grosso cacciavite
da una tasca e glielo punta contro come se fosse un pugnale, per tenerlo a distanza.
Orologiaio – Non provarci nemmeno, XY. Ti ricordo che ti ho costruito io: conosco ogni tua
giuntura, posso anticiparti in ogni movimento.
Sempre minacciando XY con il cacciavite e tenendo la chiave con l’altra mano, camminando
all’indietro, l’orologiaio esce dall’EXIT.
XX – XY? XY, vieni qui.
XY – Ci spegneremo...
XX – Non devi credergli, non arriverà a tanto. Vuole spaventarci, forse spera che litighiamo.
XY – Che ci succederà quando le molle si scaricheranno? A cos'è servito abbandonare i binari, se
siamo condannati a non reggerci più in piedi?
XX – Non essere ingenuo. Pensavi che l’Orologiaio avrebbe chiuso gli occhi davanti al nostro
comportamento? Era chiaro che si sarebbe arrabbiato, che ci avrebbe minacciati, eppure anche tu sei
uscito dai binari.
Pausa.
XX – XY, poco fa mi hai difeso. Dentro hai tutta la forza e l’energia che ti serve, lo so.
34/46
Un’improvvisa cacofonia di rumori. I due pupazzetti perdono entrambi l’equilibrio, oscillando
assieme, come sballottati.
XX – E adesso...?
XY – Ci hanno staccati dal muro del laboratorio! Stanno trasportando l’orologio!
Buio.
35/46
LE ORE 24:00
Si sente, in sottofondo, un vociare ovattato che proseguirà per tutto il resto della scena. XX e XY
sono esausti, i loro movimenti sono fiacchi e lenti: strascicano i piedi e alzano le braccia con
difficoltà, come se pesassero moltissimo. Anche il loro modo di parlare è rallentato. XX si trascina
seguendo il perimetro del palcoscenico, alla strenua ricerca di uno spiraglio o una breccia. XY sta
invece immobile vicino al suo binario, anche se non proprio sopra, con le gambe rigide, il busto
piegato in avanti, le braccia e la testa abbandonate. Si solleva per voltarsi verso XX in modo
appena accennato.
XY – Risparmia la carica. Non ci sono spiragli in quel muro, hai già controllato prima.
XX – Non ho controllato bene.
XY – È almeno la terza volta che guardi quella crepa.
XX – Ti sbagli.
XY – Lo sai anche tu che è inutile. Ci resta poco tempo. Vieni qui.
Pausa.
XY – XX, dammi retta. Solo per questa volta, ti prego: ascoltami. Se continui così ti spegnerai
subito.
XX – Io non voglio smettere di provare. Finché avrò forza, lotterò. Che dovrei fare? Stare a fissare
il pavimento e vedere se riesco a toccarmi le scarpe, come se qualcuno mi avesse appesa al chiodo?
XY – Come vuoi. (abbandona di nuovo la testa)
XX – Certo, non sei di grande aiuto...
XY – Sono stanco.
XX – Credi che io non sia stanca?
XY – E allora fermati.
XX sferra un colpo rabbioso sul muro.
XX – Ma come puoi essere così passivo?! Cosa credi di risolvere? Non capisci che mi sto
consumando anche per te? Che mi sto sfinendo anche per te?
XX appoggia le spalle al muro e si massaggia faticosamente gli occhi.
XX – Io sto cercando di salvarci, ma sembra che a te interessi solo crogiolarti nella tua
disperazione. Avremo perso la carica, ma l’Orologiaio non ci ha estratto la forza di volontà. Alzati
XY! Alzati e agisci.
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XY – Io vorrei solo che i nostri ultimi momenti insieme fossero diversi. Vorrei che riuscissimo a
parlarci come una volta. Come due ore fa.
XX – Chi ti dice che questi siano i nostri ultimi momenti insieme?
XY si srotola pian piano, vertebra per vertebra, alzando la testa per ultima.
XY – Perché rifiuti di accettare la realtà, XX? Stiamo esaurendo la carica. Ne abbiamo ancora per
qualche minuto, forse un quarto d’ora. Non è nemmeno detto che arriviamo a mezzanotte. E quando
ci spegneremo resterà il legno, la vernice, le cerniere di metallo. Chissà che ore sono...
XX – Preferisco non saperlo.
XX si siede sul supporto della carica, dove prima stava la chiave. È molto affaticata. XY raccoglie
il martello e ci si appoggia, come un vecchio ad un bastone.
XX – Io non smetterò mai di provare. Vivo nel presente. Per me c’è solo un’ora che conta: questa.
“Ora” sono sessanta minuti, ma “ora” è anche adesso, e adesso è un’istante.
XY – Ma che cos’è il presente, XX? Una briciola di tempo fra la pietra del passato e la macina del
futuro. Che significa “ora”, “adesso”? Quanto tempo è passato da quando ci siamo schizzati con
l’olio, e dove eravamo esattamente, me lo sai dire? Cosa abbiamo provato in quel momento? E che
abbiamo detto mentre cantavamo? Chi ci ha suggerito quelle parole? Dove le abbiamo perse?
Quando ci siamo affacciati fuori dall’orologio e abbiamo visto la donna che cantava, quanti
rintocchi ha dato il perno che abbiamo nel petto? Mentre vivevamo quei momenti avremmo dovuto
fermarci e riflettere su ciò che stavamo facendo, dire: “ecco, adesso. Adesso sta accadendo”. Ma
tutto appartiene già al passato; ora riesco solo a guardare indietro, a quei momenti, e sentire dentro
uno strano malessere. Come si può continuare a vivere se si deve aver nostalgia di ogni attimo che
passa? Come si fa a fermarsi per ricordare se non riusciamo a smettere di correre verso il tempo che
sarà, con la fretta della lancetta dei secondi? Cosa lasciamo, dietro di noi? Eravamo bloccati sui
binari, appoggiati al muro della casa dell’Orologiaio; ci siamo guardati negli occhi per un attimo ed
eccoci quasi quattro ore più tardi con le molle rilassate, gli abiti sporchi, l’Orologiaio infuriato,
esposti in una piazza per un pubblico di alieni. E intanto, qui davanti, quelle lancette affilate e
crudeli non smettono un attimo di tagliare altre fette di tempo. Quanti milioni di anni sono passati
da quando siamo usciti dal binario? Quando ha piovuto l’ultima volta? La vita forse non è altro una
collezione di attimi, che dovremmo tener stretti al petto senza farne cadere nemmeno uno per terra;
ma sono troppi, e l’Orologiaio non ci ha fatto le braccia abbastanza lunghe. Com’è finita lì la tua
campanella? Quante volte abbiamo suonato le ventiquattro, prima d’ora?
Un lungo silenzio. XX ha gli occhi chiusi, come se stesse dormendo.
XY – Scusami. Ti ho turbata, XX? Non volevo, davvero. Ti darò una mano a cercare uno spiraglio,
vuoi? XX?
XX non si muove, XY le si avvicina. Le luci calano, ed i rumori provenienti dall'esterno si fanno
meno definiti: un mugghiare lontano. In controluce, proiettate sullo sfondo, alcune ombre si
allungano. Sono forme vaghe: ricordano figure umane. Più netta, appare l'ombra della chiave della
carica a sovrastare le altre. In sottofondo è ripreso il tema della canzone della cameriera udita alle
22:00. La scena dura per un po'. XY resta a guardare XX e la chiama più volte, senza che lei
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reagisca. Prova anche a scuoterla, piano. Poi, si porta spaventato le mani alla bocca, così facendo
lascia andare il martello che picchia in terra. Il rumore improvviso sveglia XX, le luci ed i rumori
tornano all'improvviso quelli di prima.
XY – XX! Sei ancora qui! Oh, XX!
XY la abbraccia.
XY – Pensavo che avessi finito la carica. Non ti muovevi più! Non mi rispondevi!
XX – Io... Non ero... Non ero più dentro all’orologio. Dove sono stata?
XY si scioglie dal suo abbraccio.
XY – Qui. Sei sempre stata qui. Siamo sempre stati qui, insieme.
XX – No, sono uscita... Avevo varcato la soglia, indossavo il piccolo vestito azzurro, e cantavo con
quella donna... Intanto tu e l’Orologiaio pestavate i piedi e battevate il ritmo con le mani, ma lui
aveva la chiave della carica al posto della testa.
XY – Questo non è mai successo, XX. La testa dell’Orologiaio sta dov’è sempre stata, non credo
che possa essere smontata. Hai visto cose impossibili. Non ti muovevi più, sembravi scarica.
XX – Mi sento strana, in effetti. Forse sto meglio. È come se aprissi gli occhi per la prima volta.
XY – Mi sono preoccupato per te.
XX – E perché? Non è forse bellissimo quello che ci succede? Lasciare che l’impossibile prenda
possesso di noi, desiderare, soffrire... “Sognare”. Così si dice.
XX si fa da parte, lasciando uno spazio sul quale anche XY possa sedersi. Lui le si siede vicino, lei
prende le sue mani, e lo guarda dritto negli occhi.
XX – Siamo vivi, XY.
XY – ...vivi?
XX – Vivi, con il corpo e con l’anima! Vivi come il legno di queste pareti, quando ancora si
chiamava albero. Vivi come la donna che cantava. Vivi, e consapevoli di essere vivi.
XY – Vivi... Col nostro respiro?
XX – Vivi, col nostro appetito.
XY – Vivi con la nostra stanchezza.
XX – Vivi con le nostre canzoni.
XY – Vivi con la nostra curiosità.
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XX – Vivi con le nostre risate.
XY – Vivi col nostro dolore.
XX – Vivi. Con la nostra speranza.
Pausa.
XX – Possiamo farcela, dobbiamo solo resistere. Superare la mezzanotte.
XX si alza in piedi, XY la seguirà dopo poco.
XY – Perché la mezzanotte?
XX – Ascoltami con attenzione, XY. All’Orologiaio non importa di noi, per lui siamo ancora
soltanto dei fantocci. Vuole solo che facciamo bella figura davanti alla gente che sta fuori, per il suo
prestigio; nient’altro. La sua attenzione, la sua preoccupazione sono tutte rivolte alla gara degli
orologi. Ha bisogno di noi, e cercherà di convincerci in ogni modo a battere quei dodici rintocchi;
ma se non lo faremo saremo liberi.
XY – Qualche volta mi dispiace un po', per l'Orologiaio.
XX – Non farti ingannare. Lui cerca di far leva sui nostri sensi di colpa, perché si rende conto della
sua debolezza.
XY – Non ti ho mai vista così sicura di te stessa.
XX – Perché so di aver ragione. I ruoli sono cambiati, XY. Lui non ha potere, non può imporci
nulla.
XY – Ci ha negato la carica.
XX – Non ci serve più la carica! L’Orologiaio cerca di apparire onnipotente, ma ciò che è successo
va oltre il suo dominio. Adesso siamo noi a poter decidere del nostro futuro; non ci controlla più.
Dovrà rendersi conto che non è il nostro creatore: è un nostro pari.
XY – Ma allora perché non trattare con lui? Basterebbe fargli promettere di lasciarci andare dopo
che avremo fatto ciò che vuole che facciamo. Potrebbe accettare.
XX – No, XY. Battiamo l’ora solo un’altra volta, e saremo schiavi per sempre. Torneremo ad essere
i pupazzetti dell’orologio, la parte del meccanismo. Dobbiamo resistere alla mezzanotte. Possiamo
farcela, anche se abbiamo quasi finito la carica. Superiamo insieme le 24 e domani saremo vivi,
finché non moriremo.
Pausa.
XY – Ho pensato una cosa.
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XX – Cosa?
XY – Le 24 sono le 24, ma sono anche le zero-zero. Non credo che sia un caso. Quando arriva
mezzanotte qualcosa raggiunge il suo massimo, ma qualcos’altro ricomincia dal principio. Abbiamo
una possibilità.
XX e XY si abbracciano teneramente al centro della scena. In quel momento si sente un applauso.
Da fuori arriva la voce dell’ispettrice.
Voce dell’ispettrice – Grazie, grazie. Siete molto gentili, grazie. Benvenuti. Chi è ancora in piedi è
pregato di raggiungere un posto libero. Ancora qualche minuto di pazienza, prego. Nel frattempo
dovrebbe essere qui con noi il mastro Perrelet, l’artigiano che ha realizzato l’orologio di stasera, per
parlarci del suo lavoro.
Rumori: tramestio di sedie, voci, passi, confusione.
Voce dell’ispettrice – Mastro Perrelet? Non riesco a vederla. Si avvicini, per favore... Mastro
Perrelet? ...ma dov’è?
L’orologiaio entra in scena. Ha ancora con sé la chiave della carica tenuta con due fibbie sulle
spalle, come uno zaino. Porta anche abiti puliti per i pupazzetti.
Orologiaio – È quasi l’ora.
XX e XY si sciolgono dall’abbraccio. L’orologiaio avanza vero di loro. XY assume un
atteggiamento protettivo nei confronti di XX.
Orologiaio – Dovreste prepararvi all’esibizione.
Voce dell’ispettrice – Mastro Perrelet...?
XY – Là fuori la cercano, signor Orologiaio.
Orologiaio – Non mi interessa di farmi trovare. Tutto quello che ho da dir loro passa attraverso
quest’orologio.
Voce dell’ispettrice – Mastro Perrelet, coraggio! Venga a raccontarci della sua attività mentre
aspettiamo che scocchi la mezzanotte.
XX – Non varcheremo quelle porte, signor Orologiaio. Né stasera, né mai più.
XY – Farebbe bene a dirlo subito, a quelli che la stanno aspettando là fuori.
Orologiaio – Siete determinati. Ah, come vi ammiro... Siete proprio il mio capolavoro.
XX – Non ci prenda in giro. Io e XY abbiamo deciso che non saremo più i pupazzetti dell’orologio.
Stasera non batteremo la mezzanotte.
Orologiaio – Io invece credo di sì.
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L’orologiaio appoggia i vestiti puliti sul supporto della carica. XY prende XX per la mano.
XY – Questa volta si sbaglia, signor Orologiaio.
XX – Non ci interessa del suo ricatto, noi non usciremo.
XY – Anche a costo di tradire la sua fiducia.
XX – Anche a costo di terminare la carica.
XY e XX – Perché siamo vivi!
Voce dell’ispettrice – (molto remota) Gentile pubblico, siamo davvero spiacenti. Non riusciamo a
trovare il mastro Perrelet.
Orologiaio – Vivi... Vi riempite la bocca di parole, ma non sapete che vogliono dire. Vi siete
affacciati sul mondo per qualche ticchettio di lancetta, e già pensate di sapere tutto.
Voce dell’ispettrice – Attendiamo comunque insieme la mezzanotte per giudicare la coreografia.
Orologiaio – Ma cosa sarebbe la vita, secondo voi? Mangiare, dormire ed accoppiarsi? Pensate di
essere vivi solo perché ora nei vostri polmoni c’è dell’aria, e prima c’era legno di noce? Io sono
vivo. Eccola qua la vita. Ansie e litigi, responsabilità e lavoro, molte critiche e nessuna gratitudine.
Volete diventare come me? Pensate che vi piacerebbe essere come me?
XX – Lei non è l’unico al mondo, e non tutti sono come lei. Quella donna che cantava //
Orologiaio – Quella “donna che cantava” come la chiamate voi, è la signora Katia Schlange, la mia
cameriera. Conduce una vita dignitosa in Hauptstraße, ha un marito che coltiva patate e due figli, di
cui uno neonato. Viene a casa mia tutti i giorni tranne il giovedì e la domenica dalle dodici e trenta
alle ventidue e trenta. È pagata per stirarmi le camicie e prepararmi da mangiare, tener pulito in
terra e andare in mesticheria quando ho bisogno di colla o utensili. La tengo perché è puntuale, ed io
non tollero le persone che non sono puntuali. In quattordici anni di servizio, non è mai arrivata né in
anticipo né in ritardo, ma si è sempre presentata a casa mia tutti i giorni tranne il giovedì e la
domenica alle dodici e trenta, per rimanere fino alle ventidue e trenta. Si è assentata solo il giorno
che si è sposata e quando ha preso la varicella. La canzone che l’avete sentita cantare è un
Kühreihen, una canzone popolare che parla di pastorizia, attività che né io né lei abbiamo mai
praticato. La canta ogni mercoledì quando stira, vale a dire dalle ventuno e cinquanta alle ventidue e
dieci; ventidue ed un quarto quando il bucato è più sostanzioso o quando stira anche la sua roba. Ed
è sempre la stessa canzone, che io sento ogni mercoledì alle ventuno e cinquanta, da quattordici
anni.
Pausa.
Orologiaio – Questa è la vita: routine. Attività ripetute, abitudini consolidate; ecco perché gli
orologi sono così importanti. Là fuori non troverete niente che non esista già, qui. Là fuori, per non
farsi uccidere dalla malinconia, le persone vivono e sopravvivono nel guscio rassicurante della
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ripetitività; dove ogni momento assomiglia agli altri e si fa fatica a distinguere i giorni fra di loro.
Perché nella routine si annulla lo scorrere del tempo.
XY si scosta da XX, muovendosi strascicando i piedi. Si appoggia pesantemente, con un braccio, al
supporto della carica.
XY – (afflitto, tra sé e sé) La donna che canta... È come un pupazzetto di un orologio più grande.
Orologiaio – Questo vostro piccolo mondo è il posto più bello del mondo. Ed io l'ho fatto per voi.
XX – Può dire quello che vuole, ma qui c’è solo una verità: noi non batteremo la mezzanotte. È
troppo tardi per tornare indietro.
Orologiaio – Non sarà tardi fino alle zero-zero e zero-uno. La vostra carica sta per esaurirsi. XY
stenta a reggersi in piedi, non vedi? Quanta strada credi che fareste?
XX – Ci lasci uscire da qui. Ci apra la porta dell’orologio e vedrà di cosa siamo in grado, insieme.
Orologiaio – È questo che vuoi?
XX – Voglio solo andarmene.
Orologiaio – D’accordo.
L’orologiaio si sfila la chiave della carica da dietro la schiena.
Orologiaio – Eccola qui, la chiave dell’orologio.
XX – Quella serve per il caricamento. Non le ho chiesto di caricarmi, non farò quello che vuole lei!
Io voglio uscire!
XY – È la stessa, XX...
L’orologiaio tende verso XX la chiave, tenendola con una sola mano.
Orologiaio – Esatto. Non dovreste essere sorpresi: la chiave che serve per aprire l’uscita
dell’orologio è la stessa che serve a caricarlo. Perché avrei dovuto costruirne due differenti? Non
sarebbe stato comunque possibile usarle contemporaneamente.
XX – Una sola chiave?
Orologiaio – Una sola, da usare in un modo o nell’altro.
XY riesce a rimettersi in piedi, barcollante, e si appoggia con estrema fatica al martello. Si
riavvicina ai due.
XY – In un modo o nell’altro. La vita, la libertà...
Orologiaio – Sono inconciliabili.
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XX – Così, lei adesso ci lascerebbe andare? Rinuncerebbe alla gara, al lavoro...?
Orologiaio – Sì, XX. Non mi lasci alternative, sono nelle vostre mani. La mezzanotte bussa alla
porta, ed io non ho nessun modo per obbligarvi con la forza a fare ciò che voglio, quindi devo stare
alle vostre condizioni. Coraggio, fate la vostra scelta: prendete la chiave o rifiutatela.
Dopo lungo momento di esitazione, XX afferra la chiave che però si dimostra molto pesante per lei,
anche se l’orologiaio la teneva con una sola mano. Non riesce a tenerla ed essa cade a terra. Con
sforzo riesce a sostenerla, ma senza sollevarla da terra.
XX – XY! Aiutami, ti prego. Non ce la faccio!
XY – No, XX. (All’orologiaio) È stata lei. È colpa sua. Questa donna, che tu hai messo accanto a
me, mi ha istigato a disubbidire alle ventidue e mi ha trattenuto alle ventitré, impedendomi di fare il
mio dovere.
XX lascia andare la chiave, che ricade pesantemente a terra.
XX – XY! Cosa dici?
XY – Perdonami, Orologiaio. Farò del mio meglio, d’ora in poi. È quasi mezzanotte. Suonerò bene.
Sarò bravo.
XY sembra aver recuperato le forze. Va verso il supporto della carica, prende una camicia pulita, e
la indossa. L’intera operazione è svolta dando le spalle agli altri personaggi e al pubblico. XX
crolla a terra.
XY – Suonerò bene. Anche da solo. Tic tac.
XX si abbandona del tutto, morta. XY, nel frattempo, è pronto. Ha indossato la camicia pulita,
simile alla precedente ma dotata di papillon. Afferra il martello con due mani e si volta verso
l’orologiaio.
XY – Sono pronto.
Orologiaio – Per cosa?
XY – Per la mezzanotte.
Orologiaio – Che credi di fare?
XY – Battere l’ora.
Orologiaio – Non puoi.
XY – Perché?
Orologiaio – Sei solo. Non puoi suonare da solo. Ti serve lei. (Indica il cadavere di XX)
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XY – Posso farlo da solo. Posso battere il martello su //
Orologio – Non puoi. È finita, XY. Stasera non suonerete.
XY ricomincia a barcollare, si aggrappa al martello per non cadere.
XY – Ma io posso //
Orologiaio – Non puoi! L’hai uccisa. Le tue parole l’hanno uccisa. È colpa tua. Ho perso per colpa
tua.
XY – (crolla in ginocchio) Non l’ho uccisa io! Ha fatto da sé. Io l’ho fatto per la gara, l’ho fatto per
lei!
Orologiaio – L’hai tradita, come hai tradito me. Questo l’ha uccisa. È troppo tardi; la gara è
perduta.
L’orologiaio raccoglie la chiave. Sfila gli occhiali e dà le spalle ad XY.
Orologiaio – Vergognati.
XY cade a terra e muore. L’orologiaio guarda entrambi i cadaveri, poi nasconde il viso fra le mani.
Infine si riscuote, ed indossa di nuovo gli occhiali. Si avvia verso il supporto della carica, infila la
chiave e la gira più volte. Per ogni giro che essa compie, i corpi dei pupazzetti assumono una
posizione sempre più rigida, dritta. L’orologiaio lascia andare la chiave. Il ticchettio presente nelle
prime scene riprende, e la chiave ricomincia a girare, lentamente, come all’inizio. XX e XY,
improvvisamente, riprendono vita. I loro gesti tornano sicuri e scattanti, ma anche meccanici, come
quelli delle 21:00. L’orologiaio li aiuta a mettersi in piedi, e con lo stesso gesto li accompagna
dolcemente all’inizio dei binari. Prende un grembiule pulito e lo dà ad XX. Parla con grande
tenerezza.
Orologiaio – Indossa questo. (ad XY) Tu, nel frattempo, afferra saldamente il tuo martello. Così.
XX indossa il grembiule pulito sopra quello sporco. È quasi identico a quello precedente, differisce
solo nel colore.
Orologiaio – (ad XX) Il tuo nome è A. (ad XY) Il tuo invece è B. Me, mi potete chiamare signor
Orologiaio. Va bene? Vi piacciono i vostri nomi?
XX e XY – Sì, signor Orologiaio!
Orologiaio – Bene. Fra poco dovrete uscire fuori, fare un inchino e suonare dodici rintocchi, tutti
uguali. Sai contare fino a dodici, B?
XY – Certo, signor Orologiaio.
L’orologiaio raccoglie la campanella e la dà ad XX.
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Orologiaio – Molto bene. Mi dispiace, ma ora devo proprio salutarvi. Vedrete che vi muoverete in
automatico, non vi dovete preoccupare. Tu, A, ricorda di porgere bene in avanti la tua campanellina;
e tu, B, fai attenzione a non intralciarti col martello mentre ti inchini. Restate concentrati.
Arrivederci.
XX – Arrivederci, signor Orologiaio. Tic tac.
XY – Ci pensiamo noi, signor Orologiaio. Tic tac.
Orologiaio – Ed io penserò a voi. Fate un bel lavoro; forse dopo festeggeremo insieme.
L’orologiaio esce di scena. XX e XY si guardano. In sottofondo parte la musica del carillon.
XX – Sono contenta di conoscerti, B.
XY – Anche io sono contento di conoscerti, A.
Le gambe dei due pupazzetti iniziano a muoversi a tempo, nella solita marcetta sul posto.
XY – Pensi che riusciremo a fare quello che ci ha chiesto il signor Orologiaio?
XX – Io credo di sì. Tu credi di no?
XY – Io credo di sì.
I due pupazzetti iniziano a muoversi verso le porte, che si spalancano. Il carillon suona ad un
volume sempre più alto, i due sono costretti ad urlare per farsi sentire.
XY – Sono tanti dodici rintocchi, A?
XX – Sono tanti. Il numero massimo.
XY – Allora dovrò fare molta attenzione.
XX – Anche io, B. Ma sono sicura che ce la farai.
XY – Perché?
XX – Perché ho fiducia in te. Buona fortuna. Tic tac.
XY – Buona fortuna. Tic tac.
I due raggiungono le porte ed escono, lasciando vuoto il palcoscenico. La musica del carillon si fa
assordante, incalzante, potente. Poi alla musica si sovrappongono rumori di metallo che stride, di
ingranaggi che ruotano, di parti meccaniche che si muovono. Il fracasso raggiunge un volume
molto elevato poi, improvvisamente, cessa. Nel silenzio, si sentono distintamente dodici rintocchi
cristallini. Le due porte si chiudono. La luce in scena si spegne, resta solo un faro ad illuminare la
chiave della carica. Nel silenzio che cade, si sente distintamente il ticchettio: tic-tac, tic-tac, tic-tac.
Buio. Sipario.
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Un ringraziamento speciale a:
Renato Gabrielli,
Simone L., Alessandro 13, Laerte N.
Anna M., Sara M., Giulia G., Tiziano G.,
Costantino B., Silvia Z., Riccardo M., Anna N.
Giulia Wiwo, Francesco N., Dimitri A. F.,
Chica B., Alfredo M., Alessandro d. V.,
ed alla mia compagnia,
I Postumi teatro.
T. R.
Testo primo classificato per la sezione "testi teatrali" nel Concorso Letterario Nazionale IL COLOMBRE - prima edizione, 2014.
Testo vincitore del premo F.I.T.A. Messina nel Concorso per Autori Teatrali PAROLE IN SCENA - seconda edizione, 2014.
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File - Il ritrovo degli artisti sconosciuti Amici e ospiti