VEROLANUOVA splendore dei Gambara fertile d’acque e pianura Delegazione di Brescia Questa pubblicazione è frutto della collaborazione tra Fondo per l’Ambiente Italiano - Delegazione di Brescia Comune di Verolanuova Ideazione e coordinamento per il Comune di Verolanuova: dott.ssa Maria Carlotta Bragadina per il FAI Brescia : Maria Gallarotti Ratti Consulente storico: ing. Sandro Guerini Si ringrazia: Server.Com s.r.l. Fotografie Studio Gilberti Virginio Fotografo & C. s.n.c. - Verolanuova Progetto grafico Francesco Lonati Stampa Tipografia Artigianelli In copertina Veduta aerea del Palazzo Comunale © FAI, Fondo per l’Ambiente Italiano, Delegazione di Brescia. Tutti i diritti di riproduzione anche parziale dei testi sono riservati. Marzo 2010 Il FAI, Fondo per l’Ambiente Italiano, vive grazie ai suoi Aderenti ed agli aiuti di privati, Società ed Enti italiani e stranieri. Invitiamo chiunque fosse interessato alla nostra attività ed a cui sta a cuore il patrimonio culturale italiano a mettersi in contatto con: FAI - Delegazione di Brescia via Musei 34, 25121 Brescia telefono e fax: 030.3755030 [email protected] FAI - Segreteria nazionale viale Coni Zugna 5, 20144 Milano telefono 02. 467615.1 fax 02.48193631 sito: www.fondoambiente.it A bbiamo colto con estremo piacere la proposta del FAI di aprire le porte del nostro bel palazzo comunale, per renderlo protagonista del migliore patrimonio storico-paesaggistico d’Italia perché tutti possano ammirarne la straordinaria bellezza, gli impressionanti colori dei suoi soffitti e l’intensità delle luci che l’avvolgono. I tesori artistici e naturalistici di Verolanuova ci auguriamo diventino l’appuntamento non solo di questa giornata, ma un itinerario da proporre e promuovere tutto l’anno. Ci dobbiamo sentire fieri di essere custodi di un tale patrimonio, ma in particolare dobbiamo trasmettere ai nostri giovani il desiderio di conoscerlo ed amarlo, perché possano imparare a tutelarlo. Possiamo vantare il piacere di partire dal palazzo Gambara, attraversare la grande piazza Libertà e raggiungere la Basilica Romana Minore, scrigno di inestimabile valore, per proseguire verso la Disciplina, il castello “Merlino”, il parco Nocivelli, la chiesa di San Rocco. È la nostra storia che si manifesta attraverso l’emozione creata dagli spazi e dalle opere e di cui noi ne siamo i guardiani. Questo vuol essere un piccolo opuscolo di facile lettura, per facilitare la visita in un itinerario breve, ma ci auguriamo, ricco di sorprese. Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che in ogni modo hanno permesso il mantenimento di questo grande patrimonio del nostro paese. Il Sindaco dott.ssa M. Carlotta Bragadina Verolanuova splendore dei Gambara fertile d’acque e pianura Verolanuova. Particolare del centro storico visto dal Parco Nocivelli con il Castel Merlino, il campanile novecentesco, la chiesa della Disciplina e la cupola della Basilica di San Lorenzo sovrastata dall’Angelo in rame alto m 2,88, opera del Costioli. Posto nel mezzo di una fertile pianura della Bassa Bresciana, esito di una colossale opera millenaria effettuata dai ghiacciai e dai fiumi che hanno eroso le Alpi e trasportato materiale a valle, il primo insediamento Verolese (forse nel Neolitico, poi ad opera degli Ongari) sorse sulle rive a nord del fiume Strone, protetto su tre lati dal fiume e dall'altro da un terrapieno di cui si possono vedere ancora i resti. Verolanuova, però, a differenza di paesi limitrofi, a causa della sua posizione decentrata, non si sviluppò già in epoca romana. Scrive il Guerini: «Il territorio di Verolanuova, come quello di Verolavecchia, ancora nel sec. VIII era incolto e denso di boscaglie. Intorno al 760 dagli ultimi re longobardi venne assegnato alla nascente Badia di Leno da essi fondata, la bonifica agraria, che doveva essere compiuta da monaci e dai loro vassalli. Difatti nei diplomi imperiali, dove vengono elencati i beni della Badia Leonense si trova sempre accennata una Erola. Si è dunque dinanzi al nucleo primitivo della bonifica compiuta nei secoli VIII-IX-X-XI di tutto questo vasto territorio agricolo dove, sotto la guida dei monaci di Leno, furono compiute opere ingenti di incremento agrario dai feudatari del monastero. Fra questi spicca principalmente la famiglia dei Capitani di Gambara, alla storia della quale è Verolanuova, piazza Libertà. legata la storia delle due Verola». Dai Gambara è connotata la storia, l’arte e la cultura di Verolanuova, che diventa la capitale di questa potente famiglia bresciana nel contesto politico-diplomatico italiano ed europeo in età rinascimentale e barocca. Il primo palazzo dei Gambara risale al secolo XIV e circa dello stesso periodo è la chiesa della Disciplina. Bella e importante Verolanuova è anche per la meravigliosa piazza principale del paese, Piazza della Libertà, del XVII sec. come il Palazzo del Comune; al tempo infatti questa era parte del giardino privato del Palazzo tant'è vero che si può osservare la sua forma ad anello tipica dei maneggi dell'epoca. Lo stemma del Comune Nel centro dello scudo azzurro campeggia la ninfa bionda coronata di fiori di campo, che stringe nella destra tre frecce d'oro e solleva con la sinistra un velo bianco, poggiata su una mezzaluna montante d'argento. Sotto lo scudo, su lista bifida svolazzante d'azzurro, il motto: Nec fide infirma nec amoris vinculo capta (“Non presa con una promessa ingannevole e neppure con il vincolo dell'amore”). Toponomastica di Verolanuova • secondo Guerrini Verola deriverebbe da vigriola, termine che significa “terreni incolti”; in un altro studio basandosi sul dialetto erola, egli risale all’etimo era = aia e conclude che verola significa piccola aia; • secondo Olivieri il nome di Vérola sembrerebbe riflettere villula, se pure non un latino viriola, “cerchietto”, allusivo, in tal caso, al fiumicello Verrone (che oggi è detto Strone); • secondo Gnaga Verola è il nome volgare dell’edera elix; Vegher = terreno incolto e non lavorato; etimologia: se la pronuncia è Veròla forse è l’alterazione di Verona, nome reto-ligure, se è Vérola forse è derivato da villula; • secondo Bottazzi in origine Virola o Verola si riferisce probabilmente al fiume locale largo una dozzina di metri e che venne nominato poi Strone dai Longobardi da stro che nelle lingue germaniche significa fiume. Il nome di Virola passò o rimase ai due villaggi che sorsero o che sorgevano nei due luoghi ove il fiume abbandonando il suo rettilineo andamento da nord verso sud fa un doppio gomito a forma di Z per poi riprendere in entrambe le località la sua direzione normale. È a questo virare del fiume che deve risalire Verola, toponimo al diminutivo. Cadignano Il toponimo ha assonanze col gallico e con il latino e potrebbe significare “punto di passaggio di un fiume”, da gat (in gallico passaggio), in-agno (in latino: fiume, in gallico: acqua). Breda Libera Il toponimo viene dal germanico-longobardo e significa “spazio vuoto”, “pianura aperta” o “aperta campagna”. Prima recava il genitivo “gambara” e poi “maggia”, dai suoi proprietari Gambara e Maggi. Il toponimo breda è assai diffuso nella pianura padana ed è nome di molti cascinali. L’aggettivo “libera” fu apposto dai giacobini nel 1797. I Gambara nel passato di Verola Verolanuova (o Verola Alghise come si Stemma in pietra della famiglia Gambara trova nei documenti antichi dal nome di Alghisio Gambara, potente feudatario della Badia di Leno su tutte le terre circostanti della Bassa Bresciana) ricoprì dal Quattrocento alla Rivoluzione bresciana del 1797 il ruolo di una vera e propria capitale all’interno del principato economico, culturale ed artistico costituito dai feudi della famiglia Gambara. Non divenne il centro politico di un piccolo stato padano perché i domini dei Gambara si trovarono, nel periodo più propizio per le Signorie, e cioè tra il Trecento ed il Quattrocento, troppo incuneati tra il Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia e lo Stato dei Gonzaga. Fu così che Brunoro I, il personaggio di maggior spicco della dinastia, dovette astutamente barcamenarsi ed avuta nel 1408 da Pandolfo Malatesta l’investitura dei beni che erano stati confiscati a suo zio Pietro, ritornò ai Visconti nel 1426, ottenendo il feudo di Castenedolo, ma si orientò poi decisamente su Venezia, sposando la nobile veronese Ginevra Nogarola ed accasando i figli maschi con fanciulle della prima nobiltà padana. Pietro sposò dapprima una Bevilacqua e poi la nipote del Colleoni, Niccolò Lucrezia Gonzaga di Novellara, Maffeo una Da Correggio e Gian Francesco una Pio da Carpi. Da lì poi continuò un’attenta politica di alleanze matrimoniali che coinvolse i Pallavicini, i Serego, i Da Porto, gli Scotti, i Boiardo, i Brembati, i Secco d’Aragona, i Costa di Bene Vagienna, i Dal Verme, i Borromeo, i Valenti Gonzaga, i Campofregoso, persino i Da Montefeltro nel periodo aureo del Rinascimento italiano. I due Cardinali Uberto e Gian Francesco furono il coronamento di questo astuto e sofferto disegno, ma anche le soavi e caritatevoli personalità della Beata Paola e di sua sorella Laura, fondatrice dell’Istituto delle Convertite di Brescia con la finalità di assistere le donne travolte dalle vicende militari del Cinquecento bresciano, nobilitano la storia di questa stirpe che sembra aver affidato la sua fama soprattutto all’attività poetica di Veronica. A Verolanuova, dopo le divisioni dell’eredità di Brunoro I (+1468), si installarono i due rami più rappresentativi della famiglia: quello dei cosiddetti nobili veneti in Castel Merlino e quello dei Cardinali nel castello che Brunoro I aveva fatto edificare in contrada del Fiorino e che costituì il nucleo originario dell’attuale palazzo comunale. L’intervento dei Gambara non si limitò solo alle residenze di famiglia, ma segnò l’urbanistica della piazza e l’aspetto degli edifici sacri, dall’antica parrocchiale di San Lorenzo, poi sede della Disciplina, alla nuova grande Basilica seicentesca, allo scomparso Convento dei Padri Cappuccini. Anche l’agricoltura occupò i pensieri dei feudatari verolesi che erano principalmente impegnati in mezza Italia con le loro compagnie mercenarie e che affidavano la gestione domestica a mogli con qualità fuori dal comune. Al Conte Nicolò di Lucrezio, fratellastro di S. Carlo Borromeo e valoroso combattente a Lepanto, si deve così l’idea, purtroppo non realizzata, di costruire alla Breda una piccola città ideale per i coloni, con tante casette a schiera disposte lungo le due vie principali del borgo, composte al pianterreno da orto, cucina, stalletta ed al piano superiore dalle camere da letto e dal fienile. Nel Settecento la lungimiranza e la sensibilità della famiglia portò alla costruzione di un Ospedale per i vecchi ed i poveri ed il progetto fu affidato a Giovan Battista Caniana, il più importante architetto bergamasco allora vivente. Infine si ricordano le numerose opere pittoriche conservate nella Basilica, dovute al Malosso, al Maffei, al Ricchi, al Liberi, al Celesti, al Tiepolo. Come raggiungere Verolanuova no Rovato Mila Au BRESCIA tos tra da A4 Mi lan Travagliato oV enez ia em ona Lograto iace o-P Tor in 21 rad tich iari Ghedi aA Mon nza -B Bre is 5B Offlaga ino- Manerbio ost onc San Paolo n. 4 68 S Leno Aut n. 6 SS SS Bagnolo Mella Fiume Mella Orzinuovi res c scia ia -Cr Azzano Mella Cadignano Breda Libera Bassano Bresciano Verolanuova Quinzano d’Oglio Cigole Verolanuova Pavone d. Mella S. Gervasio Milzano Pontevico Fiu me Gottolengo Og a e Mell lio a on em Cr rino To Fium Fiu me na log o Bo ilan M Crem ona Alfianello Verolanuova, Comune d’Italia in provincia di Brescia. Situato a 29 km a sud di Brescia e a 28 km a nord di Cremona, è centro della Pianura bresciana. Confina a nord con Offlaga, a est con Manerbio e Bassano Bresciano, a sud con Pontevico e a ovest con Verolavecchia e San Paolo. Superficie: 25,85 kmq Abitanti: 8.131 Altimetria: min. 60 max 73 m /s.l.m. Festa patronale: 10 agosto, S. Lorenzo martire Pralboino Gambara Og lio Giorno di mercato: giovedì mattina in Piazza Libertà Per chi giunge in automobile: – autostrada Torino-Piacenza-Brescia (A21): uscita casello Pontevico (per chi arriva da Cremona); uscita casello Manerbio (per chi arriva da Brescia). – strada statale n. 668 Soncino-Montichiari – strada statale n. 45 bis Brescia-Cremona I monumenti, i siti d’arte e natura di Verolanuova Portico esterno del Palazzo Comunale Il palazzo comunale, In contrada del Fiorino i documenti del primo Cinquecento testimoniano l'esistenza di una "loggia vecchia" che corrisponde al porticato oggi inglobato nella sede della Biblioteca comunale, con colonne a pianta poligonale e capitelli a scudo. Sulle colonne e sulle ghiere degli archi corre una decorazione araldica con foglie di vite, rintracciabile anche sulle pareti della cappella della Madonna del Campanile nella chiesa della Disciplina, appartenente ad un personaggio della famiglia. Il porticato è collegato ad un corpo di fabbrica compatto che si sviluppa da sud verso nord, racchiuso in origine tra due torri, come si può vedere nel paesaggio sullo sfondo della tela di Pietro Liberi collocata nella Basilica romana minore di San Lorenzo Martire. Era questo il secondo castello dei Gambara in Verolanuova, di proprietà nel Cinquecento di Gian Francesco Gambara che lasciò il suo stemma unito a quello di sua moglie Alda Pio da Carpi sulla testata sud del grande porticato del palazzo ora sede del comune. I Pio da Carpi, magnifici signori del Rinascimento, ebbero l'onore di poter aggiungere nel loro stemma le insegne dei Savoia (furono perciò a volte detti Pio di Savoia) e la croce argentea in campo rosso si trova anche nello stemma verolese. La sorella maggiore di Alda Pio fu madre di Giberto Da Correggio, futuro marito della cugina Veronica che, per sposarlo, nel 1508 ottenne la dispensa ecclesiastica, mentre una seconda sorella, Emilia, sposò Antonio (1445-1508) signore di Cantiano e figlio naturale del Duca Federico da Montefeltro, tenne corte splendida in Urbino e fu ricordata da Baldassarre Castiglione nel Cortegiano. Lo stemma bipartito in pietra è collocato in corrispondenza dell'unica torre superstite del castello tardo quattrocentesco, decorata sulla fronte di contrada del Fiorino da beccatelli lunghi e robusti, identici a quelli dei castelli Martinengo di Padernello e Villachiara. Al primo piano della torre, entro una pittoresca intelaiatura di tralci di vite che formano un fresco gazebo popolato di uccellini, spicca uno stemma Gambara-Pallavicini, delineato con uno scattante e nervoso tratto da miniatura e databile intorno al 1470. Dovrebbe alludere perciò ad un matrimonio che per ora non è stato possibile rintracciare, poichè il più antico contatto tra le due famiglie risale al 1505, quando la giovanissima Domitilla di Maffeo Gambara sposò l'anziano marchese Rolando Pallavicini signore di Zibello e Roccabianca, portando, oltre alla sua fresca età, la sconvolgente dote di 12.000 ducati. I contatti tra le due stirpi sono comunque testimoniati anche dai nomi di Uberto (o Oberto) e Brunoro che si trovano spesso tra Quattrocento e Cinquecento negli alberi genealogici. La sala della torre è una interpretazione nostrana della mantegnesca Camera degli Sposi del Castello di S. Giorgio di Mantova (1474) e della ancor più celebre Sala delle Asse, decorata da Leonardo da Vinci nel Castello sforzesco di Milano (1498). Il Conte Brunoro II Gambara, figlio di Gian Francesco e fratello del Cardinale Uberto e della poetessa Veronica, nel 1547 ordinò le prime 18 colonne in pietra di Botticino (sulle 27 totali), alte ben dieci braccia, che dovevano decorare i tre lati di un porticato ad U, addossato al castello sul lato di mattina, verso la piazza. Si intendeva costruire una sorta di quinta grandiosa ad un giardino interno, una specie di "hortus conclusus" che si completava verso la piazza con una serra per gli aranci ed i limoni. La facciata di questo nuovo palazzo era però ancora prevista a sud, verso contrada del Fiorino, mentre un altro giardino fu realizzato ad ovest della scarpa del castello, dove nel Settecento erano collocate le statue marmoree di Marte e Minerva, capolavoro del bresciano Antonio Calegari. Le due sculture si trovano oggi ai lati del cancello verso la piazza, dopo che nell'Ottocento è stato distrutto il giardino prospettico occidentale ed è stato creato un nuovo ingresso dove un tempo c'era la serra del giardino d'inverno. Solo nove delle ventisette colonne previste dal Conte Brunoro II furono consegnate e sono quelle che ancora oggi fanno imponente la facciata e che ci fanno immaginare la grandiosità del progetto iniziale. All'interno del castello furono completate alcune sale voltate a botte e a crociera che vennero decorate con motivi a grottesca e con temi mitologici dal pittore Sebastiano Aragonese (celebre illustratore di iscrizioni e marmi romani) intorno al 1545-1550. Molto complesse, anche se un po' scoordinate, sono le scene della Guerra di Troia nel salone centrale che venne purtroppo tramezzato nel Settecento, con l'inserimento dello scalone e, in epoca più recente, con l'installazione dell'ascensore. Molto significativo è anche il soffitto di una sala che descrive Roma tra Epimeteo e Pandora, invasa da ogni sorta di mali. Sotto queste volte la marchesa Virginia Pallavicini, vedova di Ranuccio Farnese - il figlio del futuro Papa Paolo III morto giovane - e sposa in seconde nozze di Brunoro II Gambara, adunò un partecipato salotto letterario, Galleria interna del Palazzo Comunale Decorazione ad affresco di una sala del Palazzo Comunale Una delle statue (Marte) che ornano l’ingresso del Palazzo Comunale. frequantato anche dai giovani futuri cardinali Gianfrancesco Gambara e Gerolamo da Correggio, da Giulio Boiardo, dal condottiero Camillo Avogadro e dall'erudito Stefano Maria Ugoni. Tra gli ospiti vi fu anche l'eretico Padre Francesco Spinola, sospettato di intrattenere relazioni con gli Ugonotti e giustiziato nel 1567. I lavori di ristrutturazione del palazzo vennero ripresi nella seconda metà del Cinquecento da Ranuccio di Brunoro II, il fratello del Cardinale Gianfrancesco, che ridimensionò in modo drastico il progetto originario. A lui si devono probabilmente la costruzione della lunga galleria sopra il porticato, con soffitto a travetti, decorati da vistosi disegni, ed il completamento del secondo ordine della facciata verso la piazza, segnato da eleganti finestre manieristiche disegnate con ogni probabilità da Giuseppe Dattaro detto il Pizzafoco. Nel Settecento, oltre al giardino che si arricchì di terrazzamenti e siepi all'italiana, con prospettive di piante e fiori e giochi d'acqua, i Gambara si dedicarono all'ampliamento degli spazi residenziali aggiungendo l'ultimo piano di coronamento - rimaneggiato anche dai Ghisi e dai Rovetta che subentratono nella proprietà nell'Ottocento - e commissionarono l'elegante decorazione tardo settecentesca del salotto e dell'alcova (ora studio del Sindaco e Sala consigliare). Il Castel Merlino È la più antica residenza della famiglia Gambara in Verolanuova, collocata su un'altura che emerge dalla campagna e che un tempo era circondata da un fossato. Il Catasto napoleonico ci tramanda una pianta ad U dell'edificio che fu però stravolta da interventi dell'Ottocento e del Novecento. Tracce dell'esistenza del ponte levatoio sono evidenti nella facciata, dove si notano ancora oggi gli alloggiamenti per i bolzoni (arcieri, sentinelle). Il nervoso e ricco stemma in pietra sopra la porta, vero e proprio capolavoro della scultura quattrocentesca, è coronato da ben due cimieri e contornato dal motto (spesso contraddetto nei fatti): LARGA MANVS - FIDVM PECTVS LINGVA INSCIA FALSI. 'E il ricordo di Brunoro I che volle dedicare alla moglie Ginevra il forte maniero intitolandolo a Merlino, il mitico mago dei poemi cavallereschi. Varcata la soglia, si incontra sulla parete destra dell'androne un grande stemma in pietra contornato dalla collana dell'Ordine di S. Michele: si riferisce a Nicolò I Gambara che fu capitano di Luigi XII di Francia e dal quale ricevette l'ambito riconoscimento. Nel cortile si trova una vera da pozzo in pietra di Botticino, decorata con uno stemma bipartito Gambara-Maggi, che ricorda il matrimonio di Lucrezio II con Giulia Maggi o di Nicolò II con Barbara Maggi (i due fratelli sposarono due delle quattro figlie del ricchissimo Scipione Maggi). All'interno della parte antica dei fabbricati si trovano due camini monumentali della prima metà del Cinquecento: il primo testimonia il matrimonio tra Lucrezio I Gambara con la marchesa Veduta esterna del Castel Merlino Teodora Pallavicini di Zibello e Roccabianca (1532) ed il secondo il matrimonio dello stesso Lucrezio con Taddea Dal Verme. Quest'ultima, rimasta vedova, sposò Giberto Borromeo che era rimasto vedovo di Margherita Medici, sorella di Papa Pio IV e madre di S. Carlo Borromeo, e portò nel palazzo di Milano i due piccoli Lucrezio (n.1537) e Nicolò (n. 1538) che crebbero con il giovane San Carlo (n. 1538). Stemma dei Gambara circondato dalla “Collana di San Michele”, incastonato nel muro di Castel Merlino Monumento funebre di Nicolò II Gambara nella chiesa della Disciplina La chiesa della Disciplina Di fronte a Castel Merlino, sopra una balza che costituiva il castello comunale di Verolanuova - più antico e a volte contrapposto a quello feudale - sorge la chiesa della Disciplina, già chiesa parrocchiale di S. Lorenzo, affiancata da una armoniosa torre campanaria tardo gotica (in un mattone ai piedi del campanile è graffiata la data 1473). L'interno, in origine ad una navata intervallata da archi a sesto acuto che sostengono un soffitto a due spioventi con travetti a vista e tavelle dipinte, venne dotato sulla metà del Seicento di una finta volta con arelle in legno intonacate e di un matroneo sopra l'ingresso, destinato alle riunioni della Disciplina. Nel frattempo, infatti, era sorta la nuova chiesa parrocchiale, in forme più grandiose, con pianta a croce latina e cupola, a nord dell'antico cimitero, in fregio alla via importante che attraversava la cittadina da est ad ovest e che costituiva una sorta di decumanus maximus. La chiesa della Disciplina, abbandonata per lungo tempo e riaperta solo da pochi anni, conserva nel suo interno copiose tracce della decorazione quattro-cinquecentesca ad affresco (di particolare interesse, nel sottotetto, sono i motivi del liocorno sormontato da un airone che si scorgono nelle fasce di coronamento degli arconi e le rose e le stelle dipinte sulle tavelle) ed il monumento funebre del Conte Nicolò II Gambara (+1592), vero e proprio capolavoro della scultura bresciana del Manierismo, opera di Pietro Maria Bagnatore, decorato nella cimasa da un dipinto ad olio su ardesia dello stesso artista, raffigurante la Cacciata dal Paradiso di Adamo ed Eva. Sull'ultimo altare a nord, verso il presbiterio, si trova il miracoloso affresco cinquecentesco della Madonna del Campanile, qui trasferito nel 1765, come ricorda un'epigrafe a destra dell'ingresso, proprio sotto il campanile. Il campanile novecentesco Dove un tempo sorgeva l’antichissima chiesa di S. Maria del Cimitero, tra il 1904 ed il 1911, su disegno dell'arch. Antonio Tagliaferri e dell’ing. Giovanni Tagliaferri, venne innalzato lo svettante attuale campanile che domina sul paesaggio verolese. L' ardita costruzione, alta circa 60 metri, rappresenta una delle prime testimonianze dell'uso del cemento prefabbricato nelle parti decorative. La Basilica romana minore di San Lorenzo Martire A partire dal 1633, subito dopo la devastante pestilenza del 1630, iniziarono i lavori di costruzione della nuova chiesa parrocchiale, intitolata, come l'antica, a San Lorenzo. Il progetto, attribuito ai fratelli Domenico e Sopra: la bella torre campanaria della Disciplina e, dietro, il campanile novecentesco, opera degli architetti Antonio e Giovanni Tagliaferri La monumentale navata della Basilica di S. Lorenzo Martire Francesco Maffei, L’angelo custode (1649) Antonio Comini, impresari edili ed architetti impegnati nello stesso torno di tempo nelle fabbriche del Duomo nuovo e della chiesa di S. Faustino in città e della parrocchiale di Gandino, dovrebbe risalire al primo decennio del Seicento; ricorda un disegno (forse del Bagnatore) presentato nel 1611 da Ottavio Rossi per il Duomo nuovo di Brescia (una sola navata con tre cappelle per lato e la grande cupola centrale affiancata da altre tre cupole, una sul presbiterio e le altre due sui cappelloni laterali) fuso con le idee proposte da padre Lorenzo Binago per la stessa cattedrale (due campanili ai lati della facciata). La basilica di S. Lorenzo, con pianta a croce latina, ampio transetto dedicato alle cappelle del SS. Sacramento e del Rosario, cupola a pianta circolare, profondo presbiterio e torri di facciata costituisce un unicuum nel panorama dell'architettura bresciana del Seicento. I lavori di costruzione si conclusero nel 1674 con la collocazione dell'Angelo sopra la lanterna della cupola. L'interno della chiesa, nobilitato e irrobustito dalle decorazioni dipinte da Gaetano Cresseri, Roberto Galperti ed Angelo Cominelli su progetto di Antonio Tagliaferri, raccoglie una vera e propria pinacoteca della pittura veneta tra Seicento e Settecento. Iniziando da destra incontriamo l'Angelo Custode del vicentino Francesco Maffei, la Visione di S. Francesco Saverio e l'Immacolata Concezione e la Cacciata di Adamo ed Eva, due tele di grande respiro di Pietro Ricchi detto il Lucchese, la Madonna del Rosario tra i Santi Domenico e Caterina d'Alessandria (1588) di Giovan Battista Trotti detto il Malosso, tra i Misteri del Rosario di Ottavio Amigoni, la Natività di Maria e l' Assunzione di Andrea Celesti sempre nella stessa cappella, ed infine il Martirio di S. Lorenzo, ancora del Celesti, sopra l'altar maggiore. Scendendo nella navata si incontra la cappella del SS. Sacramento con i due "leggendari" teleri di Giovan Battista Tiepolo (mt. 10,00x5,50) raffiguranti il Sacrificio di Melchisedech e la Caduta della manna, commissionati nel 1739, che fanno da cornice alla tela dell'Ultima Cena di Francesco Maffei (1650). Segue l'altare dei Conti Gambara con la pala di Pietro Liberi raffigurante la Madonna con il Bambino venerata dai Santi Antonio di Padova e Carlo Borromeo che presentano due componenti della famiglia Gambara (i Conti Carlo Antonio e Gian Francesco). Continuando nella visita incontriamo la Pietà tra i Santi Lorenzo, Giovanni evangelista e Maria Maddalena, firmata (1581) dal cremonese Andrea Mainardi detto il Chiaveghino e Cristo in gloria e le Sante Apollonia, Agata e Lucia con i Santi Antonio di Padova e Giovanni Battista del padovano Giulio Cirello (1658). Nella controfacciata è collocata l’immensa tela della Crocefissione, Gian Battista Tiepolo (1696-1770) “IL SACRIFICIO DI MELCHISEDECH” (1740) - m 10x5.5 Gian Battista Tiepolo (1696-1770) “LA CADUTA DELLA MANNA” (1740) - m10x5.5 Melchisedech, presso l'altare, alza al cielo l'offerta del pane. Sulla destra i guerrieri, con le loro insegne, seguono in religioso silenzio il rito. Sulla sinistra il popolo con le vittime per il sacrificio, mentre alcuni giovani scendono suonando da una balza. In alto gli angeli tra le nubi. Mosè, stringendo una verga, tende le mani al cielo su di una balza. Alle spalle la tenda d'accampamento, i capi ed i sacerdoti ebraici. Dal cielo gli angeli versano la manna. In primo piano la folla raccoglie il cibo celeste. Ludovico Gallina, Il Golgota (1787) iniziata dal bresciano Ludovico Gallina e conclusa dal suo allievo Pietro Tantini nel 1786. Interno della chiesa di S. Rocco La chiesa di San Rocco La chiesa, edificata nel XV secolo dalla confraternita di S. Rocco, ha subito una trasformazione in senso barocco nel corso del XVIII secolo. Nei primi anni Ottanta un intervento di restauro ha portato alla luce numerosi affreschi cinquecenteschi, di cui uno, notevole, all’altare di destra, precedentemente nascosto da un quadro. All’altare maggiore troviamo una tela di Antonio Gandino, rappresentante i Santi Lorenzo, Rocco e Bernardino da Siena ai piedi della Vergine. Altre due tele, di autore ignoto, rappresentano rispettivamente i santi Fermo, Carlo e Sebastiano e la Madonna di Caravaggio con S. Biagio. L’Ospedale Nel Settecento i Conti Gambara si preoccuparono anche della salute dei loro coloni ed istituirono un moderno ospedale per i vecchi e gli infermi. L'edificio che ancora esiste e che si compone di un elegante cortiletto preceduto da un cancello con un'armonica recinzione in muratura, raccoglieva alcune grandi stanze che si affacciavano su un porticato al pianterreno e su un loggiato al piano superiore, tutti e due arricchiti da colonne in pietra. Il disegno solido e ricercato nel contempo si deve all'architetto bergamasco Giovan Battista Caniana. Un suggestivo scorcio del Parco Nocivelli Il Parco Nocivelli Il Parco si estende su un’area di proprietà comunale di oltre 40.000 mq, situato proprio nel centro storico di Verolanuova a due passi dal Palazzo comunale ed adiacente al Castel Merlino. È stato realizzato in collaborazione con l’Amministrazione Comunale dai fratelli Luigi e Gianfranco Nocivelli e intitolato ai loro genitori; è stato consegnato ufficialmente al Comune di Verolanuova il 21 giugno 2008, affinchè i cittadini potessero godere di questa stupenda area verde, ricca di piante, fiori ed essenze, davvero unica nel suo genere. È possibile accedervi da Via Castello o da Via San Rocco, dove è stata realizzata una speciale passerella pedonale in legno sopra il fiume Strone. Il Parco, oltre ad essere un elegante salotto della cittadina, è un punto d’osservazione privilegiato dal quale è possibile ammirare spendidi e caratteristici angoli e luogo di ritrovo per manifestazioni. PARCO FIUME STRONE Comunemente si dice che il fiume Strone nasce dal laghetto di Scarpizzolo (S.Paolo). In realtà, osservando le carte tecniche regionali si nota che nel Laghetto si immettono lo Strone Basso o Stronello e il Fosso Strone. Lo Strone Basso nasce da sorgenti in località Corno a Nord di Scarpizzolo. Il Fosso Strone deriva dalla confluenza delle rogge Torcola e Fenarola nella quale confluisce la roggia Provaglia. La Fenarola nasce nella frazione di Gerolanuova in una località situata tra l'ex-cascina Mangiaine e la cascina Celeste. Dal Laghetto lo Strone scende a Cadignano e con corso molto tortuoso passa fra Scorzarolo e Verolavecchia per giungere, dopo un percorso di circa 10 Km, a Verolanuova. L'ultimo tratto del fiume, di circa 8 Km, fra Verolanuova e lo sbocco sull'Oglio, è accidentato e con notevole pendenza. Lo Strone ha inizialmente piccole dimensioni e diventa via via più grande, per l'apporto di vari affluenti. È alimentato da rogge, da risorgive e da colatori irrigui: dalla roggia Fiumazzo nei pressi di Cadignano e dal Rio Lusignolo, che va ad incanalarsi nella Seriola del Molino prima di immettersi nello Strone dopo Scorzarolo. A Verolanuova viene alimentato dalla roggia Gambaresca. Presso la Cascina Vincellate viene deviato con la "seriola comunale di Pontevico", destinata all'irrigazione. E' definito uno scolmatore naturale, con ampio paleoalveo. Per le particolari ed importanti caratteristiche paesaggistiche e naturalistiche è stato istituito il Parco Sovra comunale del fiume Strone, comprendente l'intero corso del fiume e le relative zone golenali. Ristoranti e pizzerie Trattoria “La Vecchia Filanda”, Via Semenza 3, tel. 030.931974 Trattoria “F.lli Bonetti”, Via Volta 1, tel. 030.931687 Agriturismo “Le Magnolie”, c.na Vallate Sera 37, tel. 030.9362464 Ristorante “Vasco De Gama”, via Kennedy 62, tel. 030.931324 Pub-Ristorante “Excalibur”, via Circonvallazione 37/B, tel. 030.932105 Pub-Ristorante “L’Oltre”, piazza Gambara 4, tel. 030.9361410 “La bottega del Caffè”, p.zza Libertà 49, tel. 030.9362529 Pizzeria “Boomerang”, p.zza Celesti 1, tel. 030.932147 Pizzeria “Amalfi”, via Alcide De Gasperi 2, tel. 030. 9360684 Pizzeria “Lo Scoglio”, via Lenzi 24, tel. 030.931780 Fast Food “Mc Donald’s”, via delle Robinie 2, tel. 030.9361372 Oasi caffè, parco Nocivelli, tel. 3383268571 FAI, non solo una sigla, ma anche voce del verbo fare Un gesto concreto per l’arte, per la natura, per l’uomo Il FAI – Fondo Ambiente Italiano nasce dalla determinazione di uomini e donne che hanno deciso di fare qualcosa di concreto per il loro Paese. Fondazione nazionale senza scopo di lucro, il FAI dal 1975 ha difeso, salvato, restaurato e aperto al pubblico importanti testimonianze del patrimonio artistico e naturalistico italiano grazie al generoso aiuto di moltissimi cittadini e aziende che sostengono il suo lavoro. Oggi il FAI gestisce e mantiene vivi – per sempre e per tutti – castelli, ville, parchi storici, aree naturali e paesaggi di incontaminata bellezza. Questa è la missione del FAI: promuovere in concreto una cultura di rispetto della natura, dell'arte, della storia e delle tradizioni d’Italia e realizzare azioni concrete di tutela e recupero di un patrimonio che è parte fondamentale delle nostre radici e della nostra identità. Un compito infinito che non ammette soste e nel futuro la nostra determinazione è fare ancora di più: per questo abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti. Anche del tuo. Grazie! 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