I Quaderni II di Daniela Pampaloni Non sono libri, non sono opuscoli ma semplici quaderni di appunti del “mio laboratorio del pensare e del fare” che vuole essere “partecipato” a tutti i cittadini attivi, pensanti, nonviolenti. Daniela Pampaloni è dirigente scolastica all’Istituto Comprensivo “G. Mariti” di Fauglia e presidente della Fondazione Fiorentina per la ricerca e l’innovazione pedagogica-didattica “Idana Pescioli Onlus”. Ha una lunga esperienza politico-amministrativa svolta nei comuni di Calcinaia e Pontedera (PI). Da più di venti anni è a fianco del popolo Saharawi che vive in campi profughi nel sud dell’Algeria. Premessa Loro, le bambine ed i bambini sono accanto a me da tanti tanti anni; avevo 19 anni quando ho iniziato a fare l’insegnante di scuola dell’infanzia ed ora che da dirigente scolastica sono vicina alla pensione, i piccoli e le loro famiglie sono sempre in cima ai miei pensieri. Lo sono stati anche nella mia lunga (più di 25 anni) attività politica/amministrativa e lo sono oggi ancora di più per la fragilità affettiva, le incertezze sociali, le insicurezze psicologiche, la povertà culturale che accompagna la loro crescita. Questi appunti e riflessioni sono un grido di allarme per tutti coloro che indirizzano o determinano con le loro scelte la vita dei più piccoli (oltrechè la nostra), per tutti coloro che hanno voglia di futuro. Parlo in questo quaderno della vita dei bambini e delle bambine soprattutto per provare a dialogare, a stimolare i loro genitori ripartendo da capo, dalle cose essenziali. Ri-Cominciare dalle bambine e dai bambini H o scelto questo titolo per segnare un concetto importante, un punto fermo che dovrebbe guidare il lavoro degli adulti siano essi genitori, insegnanti, giornalisti od amministratori: “Le bambine ed i bambini hanno dei diritti fondamentali dai quali gli adulti non possono prescindere”. Non chiedono di venire al mondo i piccoli – purtroppo a volte non è neppure un atto di amore – non chiedono di stare da soli in famiglie sempre più problematiche, non chiedono di starsene seduti a vedere per ore la “televisione spazzatura”, non chiedono le molte violenze che gli adulti fanno loro. Le bambine ed i bambini chiedono di essere considerati cittadini con diritti e doveri. Ma oggi, più di sempre, per soddisfare questi diritti, è necessario che negli adulti si sviluppi la consapevolezza che le bambine ed i bambini sono il nostro futuro; abbiamo bisogno di diffondere “la coscienza dell’infanzia” (la definizione concettuale è di Idana Pescioli) così profonda e forte in ogni persona per costruire davvero e subito un futuro “diverso” ai nostri figli e nipoti: non di violenza ma di solidarietà nel mondo. E provo ad elencare i luoghi, i tempi, e le relazioni nei quali è necessario, urgente avere piena “coscienza” o consapevolezza per l’appunto dei “valori” affermati ogni giorno da tutti i bambini. La famiglia in primo luogo o per maggior precisione i genitori che questi piccoli hanno generato. Lo spazio della casa è il luogo privilegiato della crescita affettiva dei bambini e delle bambine, è il luogo delle relazioni forti che segnano per sempre lo sviluppo dei piccoli. Oggi le famiglie rappresentano però i nuclei dove sono presenti i maggiori ostacoli alla formazione di “valori forti” strettamente legati alla vita bio-psichica dell’infanzia. L’analisi che voglio fare non riguarda i dati sociologici delle famiglie monoparentali e allargate o quelle con difficoltà economiche; voglio puntare la mia riflessione sulla Cultura e quindi sul pensiero degli Umani adulti che hanno il dovere di educare gli Umani piccoli. I genitori dei bambini piccolissimi hanno al massimo quarant’anni, sono giovani generazioni cresciute nella fase storica del liberismo e della globalizzazione, nel culto dell’immagine e nell’assenza di regole di etica, nel virtuale più che nel reale, condizionati da stereotipie e luoghi comuni, sempre più omologati al “pensiero unico” e al “tutto e subito” piuttosto che al “pensiero creativo”, divergente, personale e allo sforzo, alla fatica, all’impegno, ai valori condivisi di libertà, di giustizia, di non violenza. È forse una loro responsabilità individuale? Oserei dire di no, anche se oggi urge che i giovani trentenni e quarantenni si riapproprino con l’aiuto della Cultura partecipata, di regole e valori per considerare e sentire, fino ad amare e rispettare ogni altro individuo della loro stessa specie quale figlio dello stesso pianeta. Come fanno i piccolini di oggi a crescere autonomi nelle attività di routine quotidiana se i loro genitori continuano a vestirli, a dar loro il biberon con il latte seduti al mattino davanti alla televisione anche a sei, sette anni oppure a sostituirsi a loro nel preparare e nel portare gli zaini a scuola; se continuano a tagliar loro la carne nel piatto senza far adoperare il coltello ai bambini “per paura” a otto, nove, dieci anni. Come fanno i piccolini di oggi a crescere autonomi nel pensiero se stanno molte ore seduti da soli davanti la televisione a vedere immagini pubblicitarie condizionanti e omologanti, o spettacoli per adulti con messaggi violenti e superficiali. Come fanno i piccolini di oggi a crescere in salute se i genitori continuano a offrire loro merendine o cibi ricchi di sostanze ingrassanti, nocive al posto di frutta, verdura, latte prodotti dagli agricoltori locali con la scusa che “ai bambini non piacciono” e “almeno mi mangia”. Forse un piccolino assaggia e mangia se ha accanto adulti disponibili a concedergli tempo e relazioni affettive. è sempre promozione di salute per le bambine e i bambini costruire piste ciclabili, chiudere al traffico i centri cittadini purificando l’aria e chiedendo da parte dei genitori percorsi sicuri casa-scuola invece che portarli in fretta in macchina scaricandoli davanti al cancello della scuola. Tutto questo succede perché i genitori a loro vicini sono cresciuti e sono stati educati dalla televisione del “grande fratello” o del “mercato dei calciatori”; sono stati educati in una scuola che ha lavorato per anni, e il domani sarà peggiore, per il bambino medio, “il bambino massa”, per “un alunno con la valigetta delle fotocopie al posto di quella della ricerca”. Anche la scuola quindi può essere il luogo dell’omologazione - tutti le stesse fotocopie, tutti lo stesso grembiule, tutti gli stessi troppi quaderni e così via - oppure è il luogo dell’autonomia, della partecipazione, della responsabilità, della personalizzazione dell’apprendimento in un contesto sociale aperto, accogliente. Perché non rispettare i diversi tempi dei piccini che hanno il diritto di vivere in spazi belli, puliti, colorati con accanto adulti che pensando a teste-ben-fatte piuttosto che a teste piene e a cuori solidali piuttosto che competitivi. E come fanno i piccolini di oggi a sviluppare il senso della giustizia se i grandi, i potenti decidono che i bambini provenienti dai Paesi economicamente più poveri devono essere non accolti nelle scuole e negli ospedali anzi, se sono privi di documenti, devono essere denunciati. Quale futuro si prospetta nelle città piene di telecamere, con autobus discriminanti o con cartelloni pubblicitari che istigano alla violenza sulle donne? Quale futuro se si permette, anzi si stimola, ad andare a scuola con i coltelli in tasca “per proteggersi”? Certo è che i padri e le madri di questi bambini, oggi, se hanno valori e cultura sono precari se invece scelgono di stare dentro le fiction, i reality, le isole, le fattorie hanno la possibilità di avere futuro anche dentro le nostre aule Parlamentari. Questa è una Italia che si avvia verso il buio pesto per le coscienze ancora attive. Io non ci sto: per questo dico ri-cominciamo dalle bambine e dai bambini e dai loro genitori. Ma come? A più livelli tutti sinergici. A partire dalla nascita i servizi che vedono protagonisti i bambini e le bambine devono essere di qualità negli spazi offerti, nei tempi proposti e soprattutto nelle relazioni stabilite: consultori, nidi, centri gioco educativi, ludoteche, scuole. Se la qualità dei servizi accompagna gli spazi, i tempi e le relazioni della crescita dei piccoli e sostiene, stimola la riflessione sull’esser genitori oggi, pian piano si costruiscono atteggiamenti e comportamenti prima degli adulti e poi dei piccini in direzione nonviolenta. Ebbene io penso che questa “la costruzione della nonviolenza attiva” debba essere la finalità del nostro agire sociale (come adulti con responsabilità: educatori, amministratori, urbanisti, giornalisti) e la prassi metodologica del nostro agire quotidiano con i bambini e i loro giovani genitori. La nonviolenza attiva è una scelta di vita e un metodo di lavoro che si concretizza in azioni educative tutti i giorni. Accogliere, dialogare, confrontare, ascoltare, criticare, pensare, progettare, innovare, osare, dare sicurezza, dubitare, competere con noi stessi, stare accanto, condividere sono alcune parole che esplicitano concetti da cui derivano azioni individuali e collettive che possono determinare la qualità della vita delle famiglie, dei servizi alla prima infanzia, della scuola, della città. Ed è sulla qualità della città nella quale i piccoli e i grandi vivono che vorrei soffermare la mia riflessione di ex ammini- stratrice che ha da pochi mesi terminato un percorso decennale bello, coinvolgente, sofferto. La città, ogni città è sinonimo di complessità, di interessi contrastanti, di sopraffazione del “più forte” sul “più debole”; ogni città è lo specchio delle scelte più o meno condivise di coloro che sono al potere economico, politico, amministrativo, dell’informazione. È quindi a questi poteri che bisogna rivolgere le nostre attenzioni e le nostre richieste: per me sono due le richieste, ma appartengono ad una stessa medaglia: Le Bambine e i Bambini da un lato e la Cultura dall’altro. Se gli urbanisti provassero a progettare le città mettendo al primo posto la qualità della vita dei piccoli e se facessero la stessa cosa i costruttori di case sicuramente alzeremmo la qualità della vita di ognuno di noi; se i diritti dei bambini fossero al centro di un tavolo in cui si discute di traffico e di piste ciclabili, di aria inquinata e di piantumazione di alberi, di condutture dell’acquedotto e di acqua nelle caraffe sui tavoli delle mense, di raccolta differenziata e di prodotti alimentari dalla filiera corta, di biblioteca e di promozione della cultura; ebbene le nostre città sarebbero più vivibili, più a misura della persona, più aperte, più solidali quindi meno violente. Forse i poteri economici sarebbero meno forti ma i cittadini - tutti - guadagnerebbero in salute, in libertà, in giustizia, in pace. E allora come aiutare gli adulti a fermarsi a riflettere, a ripensare alcune scelte scellerate, ad assumere come centralità politica “la coscienza dell’infanzia quale portatrice di valori etici”? Solo attraverso lo sviluppo della cultura di qualità è possibi- le contrastare l’imbarbarimento dell’uomo, l’atrofizzarsi del cervello e della coscienza. Non è lo spettacolo con l’artista conosciuto perché “televizzato” che fa cultura, non è la televisione con gli innumerevoli canali che hanno il compito di offuscare menti e cuori, non sono i giornali dalla carta patinata che mettono in piazza “pagando” la vita privata delle persone. Tutto questo non è Cultura di qualità perché è piatta, omologante, standardizzata, non costruisce pensieri e linguaggi innovativi frutto della ricerca partecipata. La Cultura è il pensiero che si pone dei perché, la cultura è lo strumento che dà un’anima alle nostre città, che ci aiuta ad elaborare la complessità di questo tempo, a riconoscersi in una comunità. La formazione per tutti, la produzione e la diffusione della cultura sono fondamentali per far crescere gli uomini e le donne, per farli partecipare ampliando gli spazi di democrazia; sono elementi essenziali in un moderno sistema di welfare così come lo sono i servizi di qualità per le bambine ed i bambini. Ecco perché diritti dei bambini e diritti culturali sono una pietra miliare dei diritti di cittadinanza e per questo devono “stare in cima ai nostri pensieri”. Ma come è di fatto oggi la vita quotidiana di ogni bambina o bambino se gli adulti non acquisiscono “la coscienza dell’infanzia?” Greta fra reale e virtuale (Provo a descrivere la giornata tipo di una bambina di sei/ sette anni in una città come Pontedera con un padre ed una madre che lavorano per l’intera giornata. Generalizzo ma non estremizzo. Provo anche ad esplicitare le azioni educative che gli adulti vicini alla bambina potrebbero fare se avessero consapevolezze dei Valori di cui sono portatori i bambini e le bambine). Greta (un nome di fantasia che mi piace) ha sette anni, frequenta la seconda elementare, è figlia unica. È una bambina apparentemente pigra, riesce discretamente a scuola, frequenta poco gli spazi gioco cittadini. 1° fotogramma al negativo La mamma ogni mattina sveglia Greta alle 7,45 anche se entra a scuola alle ore 8,30. Generalmente non fa colazione appena alzata perché nel poco tempo che ha a disposizione prima di entrare a scuola deve vestirsi, lavarsi, preparare lo zaino, salire in macchina e raggiungere la scuola. Spesso è la mamma che la veste, che le lava il viso, prepara e porta il pesante zaino in macchina. Certe mattine, poiché ha un poco di fame prende un merendino dalla cucina e lo mangia mentre è in macchina. Qui la mamma la informa ogni giorno dell’organizzazione della giornata: chi la prende all’uscita dalla scuola, a che ora deve andare a danza, dove trova la borsa per cambiarsi e poi le raccomandazioni :”non rispondere”, “fai la lezione” “non ti sporcare” “stai lontana da quei pericoli”. Un quarto d’ora di bombardamento linguistico da casa a scuola con Greta che non si è ancora ben svegliata. 2° fotogramma in negativo Greta varca il portone della scuola mentre suona la campanella; ha uno zaino appesantito da cinque quaderni, due libri, due astucci, un diario, la bottiglietta con l’acqua minerale (a volte sostituita da una bibita al sapore di thè) e una crostatina alla marmellata. Vorrebbe schiacciata con mortadella per la colazione di mezza mattina ma la mamma non ha tempo per fermarsi al negozio di alimentari e solo qualche volta torna a scuola a lezione iniziata per lasciare la colazione preferita da Greta. La maestra n.1 ha fretta di iniziare la lezione, ha solo due ore per spiegare e fare l’esercitazione scritta. Per accorciare i tempi consegna a tutta la classe la stessa scheda fotocopiata da appiccicare sul quaderno. È un po’ sbiadita la fotocopia in bianco e nero e Greta trova fatica a svolgere tutta l’attività nel tempo previsto. Ma la maestra n.1 deve lasciare il posto alla n.2 che propone altre schede da incollare su altri quaderni e da colorare a fine lavoro. (Anche il maestro unico proposto dal ministro Gelmini non risolve il problema della ripetitività del lavoro ma lo aggrava perché è proposto da una sola persona). La mattina, anzi tutte le mattine scorrono così per Greta; la ricreazione di mezza mattina è brevissima, poche volte esco- no in giardino a giocare; con i compagni di classe c’è poco tempo per dialogare e le parole che sente più spesso sono: sbrigatevi, fate veloci, state seduti, smettete di chiacchierare, non copiatevi. E Greta, pur essendo una scolara diligente, sempre più si annoia, si isola, parla poco, non partecipa. 3° fotogramma in negativo Da scuola Greta esce tutti i giorni alle ore 12,30, i suoi genitori hanno scelto di non farle fare il tempo pieno (ora Greta sa che hanno fatto una buona scelta perché lei non avrebbe resistito più ore a scuola anche se all’inizio desiderava andare con due amiche della scuola dell’infanzia che avevano scelto invece la scuola con il tempo lungo). Sono i nonni che vanno a prenderla all’uscita; abitano vicino alla scuola e lei vorrebbe/potrebbe andarci da sola a casa ma “Guai! È pericoloso !” c’è veramente tanto troppo traffico. Lo zaino pesantissimo “piega le spalle” e Greta volentieri lo lascia portare agli adulti. A casa si toglie il grembiule e si lascia cadere sul divano davanti alla televisione con il telecomando in mano. Risponde a monosillabi alla nonna che la interroga ma lei ha veramente poco da raccontare. La televisione è la protagonista per quasi due ore; davanti a lei si pranza ed a volte ci si addormenta. Prima la lezione di scuola e poi a lezione di danza (spogliarsi, cambiarsi d’abito, salire in macchina, sbrigarsi, ascoltare, impegnarsi). Finalmente a casa con mamma e papà stanchi della loro giornata lavorativa a consumare un pasto insieme davanti alla televisione. Per stasera il computer rimane spento. Greta sa che fino alle ventitrè potrà stare con papà sul divano a vedere la tv “dei grandi” e mamma in cucina “anticipa la giornata di domani”. (Provo ora a raccontare i tre fotogrammi al positivo non descrivendo però azioni perché sarebbe troppo banale ma evidenziando concetti pedagogici che sarebbe importante concretizzare in azioni educative dando valore ai bambini ed alle bambine. Rifuggo da dare consigli perché non esistono per genitori ed insegnanti ricette educative valide per tutti, esistono concetti ed azioni su cui riflettere in autonomia lasciando sempre aperta la finestra del dialogo fra adulti e ragazzi). 1° fotogramma al positivo. “Tempi lunghi” ed “autonomia nei comportamenti”. Sono due fattori essenziali per la crescita dei ragazzi oggi non facilmente riconoscibili come portatori di valori educativi. I bambini e le bambine non hanno fretta, hanno bisogno di un tempo individuale lungo per soddisfare le routine quotidiane, per imparare ad osservare il mondo naturale e sociale che li circonda, per costruire pensieri originali, per esprimersi con domande interrogative; hanno bisogno di tempi che gli adulti non donano più perché si è perso il valore del “donare tempo agli altri”. E questo succede non solo perché c’è una scansione dell’orologio dettata da fattori quali il lavoro, i percorsi nel traffico cittadino o gli orari dei mezzi di trasporto pubblico, l’ansia di far rientrare tante attività in tempi di fatto obbligati; succede anche perché avere tempi per pensare non è più un valore. La società odierna è orientata al fare, al produrre e al consumare, l’economia detta i tempi di vita e quindi anche i bambini non hanno più i tempi di cui hanno bisogno. Mi fermo a citare solo l’esempio della prima colazione che ho raccontato nel fotogramma: i piccoli devono avere tempo per alzarsi, vestirsi da soli, mangiare con tranquillità e prepararsi mentalmente per andare a scuola. Ciò serve alla loro salute fisica - fare una sana colazione dà energia per l’intera giornata - ma soprattutto alla loro salute mentale perché fare da soli alcune attività sviluppa l’autonomia e quindi di conseguenza la crescita individuale. L’autonomia nei comportamenti quotidiani è un obiettivo educativo che i genitori dovrebbero avere presente sempre; spesso gli adulti si sostituiscono nei comportamenti ai loro figli pensando di dare dimostrazione di affetto ma sostanzialmente è vero il contrario. Bere latte e mangiare biscotti con tranquillità a quattro/cinque anni dà al bambino la consapevolezza del saper fare e quindi fa acquisire fiducia in se stessi, autostima, pensiero positivo. Lavarsi, vestirsi da soli fa sentire grandi i bambini, li spinge a misurarsi con le proprie forze, fa acquisire loro competenze che producono sicurezze. Chi ha chiaro questi percorsi di crescita dona tempo ai propri figli e li mette in condizione di crescere. 2° fotogramma al positivo. “Spazi vivibili” e “stimoli culturali di qualità” dovrebbero caratterizzare la quotidianità del fare scuola. Lo “zaino pesante” è l’immagine di una scuola che non funziona, è la pesantezza di una scuola rigida, selettiva, ripetitiva, spersonalizzante. Greta appiccica molte fotocopie sui suoi molteplici quaderni e questa azione sicuramente non stimola la sua voglia di apprendere, al massimo le dà la competenza di “appiccicare con precisione”. Quali strumenti quindi utilizzare per stimolare in Greta la voglia di andare a scuola e soprattutto la voglia di imparare? Io rispondo semplicemente “stimoli culturali di qualità” cioè non stereotipati, non ripetitivi, non lontani dall’esperienza di vita dei bambini e delle bambine, non massificanti ma gratificanti. Del come rendere la scuola rispondente alle esigenze sociali e ai bisogni culturali dei bambini e delle loro famiglie ne parlerò approfonditamente in un prossimo quaderno di appunti. Mi preme invece sollecitare una riflessione sul concetto di spazio “vivibile” dentro e fuori la scuola. La vivibilità non viene solo dalla sicurezza degli edifici anche se ovviamente è il punto di partenza; la vivibilità viene da un combinato di ampiezza spazi, controllo della luce naturale ed artificiale, controllo dell’acustica, della temperatura e della qualità dell’aria, del rapporto tra spazio interno ed esterno e da un uso attento dei colori, dei materiali, delle finiture , degli arredi. Tutto questo può generare un ambiente calmo e rilassante quindi vivibile. Vivibile diventa anche il luogo in cui i bambini possono dialogare tra loro, possono guardarsi negli occhi, possono scambiarsi idee e materiali, possono aiutarsi nel fare i campiti; vivibile è il luogo nel quale l’insegnante sta accanto ai bambini, lavora al loro tavolo, li ascolta e li stimola e non li giudica né li valuta. Se Greta appiccicasse meno fotocopie e dialogasse di più con i propri coetanei in uno spazio con regole condivise avrebbe molte cose da raccontare alla nonna al suo ritorno a casa e sicuramente molta più voglia di stare a scuola. Serve come dice E. Morin “una riforma del pensiero” degli adulti se vogliamo che i bambini crescano in “salute, giustizia, libertà e pace”. Edgard Morin aggiunge “abbiamo bisogno di rianimarci intellettualmente, istruendoci per pensare la complessità; per affrontare e per tentare di pensare i problemi dell’umanità nell’era planetaria”. 3° fotogramma al positivo Dopo aver fissato l’attenzione su “spazi vivibili” e “tempi flessibili” ricordo ora il terzo elemento da sviluppare per rendere gli adulti coscienti del valore dell’infanzia: “le relazioni cooperative”. Questo aspetto si intreccia fortemente con il tema degli spazi vivibili fuori dalla scuola e dalla casa. È evidente che in questi due luoghi i ragazzi intrecciano relazioni forti purtroppo non sempre cooperative e solidali ma sicuramente relazioni importanti, formative, condizionanti, spesso esclusive. Fuori da casa e da scuola c’è però un mondo di relazioni che i bambini devono vivere se vogliamo aiutarli a diventare cittadini “dalla testa-ben-fatta e dai cuori solidali”. (E. Morin) E le relazioni esterne al guscio di casa non sono solo la scuola di danza o il corso di musica o la squadra di calcio; sono anche queste se stimolano, se gratificano, se incoraggiano, se sostengono, se invogliano, se danno autonomia, se liberano pensieri, se diventano comunità. Dare la possibilità ai bambini di uscire dai primi loro gusci di vita - la casa e la scuola - per crescere in autonomia, sicurezza e solidarietà significa pensare spazi e relazioni nuove nelle nostre moderne città. E qui entra in gioco il ruolo che gli adulti amministratori, parroci, giornalisti, commercianti, vigili (questo elenco di diversi soggetti ha come significato “tutti gli adulti qualsiasi attività facciano”) esercitano per la crescita dei nostri ragazzi. Greta il pomeriggio, dopo aver visto la tv o giocato in solitudine con il computer va a danza e poi “incoraggiata o frustrata” torna a casa dentro al guscio della sua famiglia che per fortuna - ma non è così purtroppo in molti casi - la protegge ma la isola. Eppure Greta dovrà fare i conti con un guscio che le si schiude quando inizia la sua fase adolescenziale che diventa popolata di veline, di modelle, di magliette firmate ecc. Allora come offrire a questi nostri bambini tempi flessibili, spazi vivibili e relazioni cooperative? Dicevo prima: “adulti diversi hanno compiti precisi”. Facciamo alcuni esempi per capirci meglio e per sollecitare discussioni. Gli amministratori di una città hanno compiti e responsabilità importanti, oserei dire uniche nella scelta della città che vogliono e se la vogliono tenendo di conto dei diritti dei bambini e delle bambine. Sono i politici/amministratori che scelgono gli architetti/urbanisti che disegnano gli spazi della città a cui vengono consegnate le scelte dei politici per la stesura del piano urbanistico con tutto quello che ne consegue come ricordavo all’inizio di questo quaderno. È quindi a loro, ai nostri amministratori che bisogna chiedere di fare scelte per la qualità della vita dei nostri piccini pur sapendo per esperienza diretta che a volte le tante scelte non sono conciliabili tra loro; è qui che emerge la chiarezza delle idee, il coraggio di osare, la difesa dei diritti di tutti ed in particolare dei ragazzi. (Per gli adulti vorrei ricordare anche i doveri che i cittadini singoli hanno nei confronti della collettività e che spesso dimenticano). Mi si dirà che ci sono piazze e giardini attrezzati con i giochi per bambini, che ci sono luoghi all’aperto e al chiuso in cui i ragazzi possono giocare o leggere libri o vedere uno spettacolo o andare in battello; mi si risponderà che c’è la piscina per bambini, qualche pista ciclabile utilizzabile dai piccoli da soli; qualche campetto di calcio da usare liberamente per qualche tiro al pallone, mi si dirà che ci sono i nidi, la banda musicale dei piccoli, le tante attività sportive, i laboratori culturali. Lo so, so che cosa c’è nelle città – perlomeno in questa città dove abito e dove per dieci anni ho contribuito a costruire i luoghi delle relazioni dei bambini – che oggi non bastano più così come sono; oggi serve un filo rosso ( cioè un pensiero politico, un’idea forte di città per bambini ed anziani, per donne e uomini) che lega gli spazi tra loro e li fa vivere come luoghi delle relazioni. Oggi, in questi tempi della non ribellione ad un potere mediatico che narcotizza, i nostri appar- tamenti sono chiusi a chiave, le nostre finestre non si aprono più neppure alle richieste di aiuto, i nostri ragazzi non si muovono più in bicicletta da soli in autonomia, non stanno a giocare o a chiacchierare nelle piazze in piccoli gruppi. Quindi le relazioni non nascono, i bisogni non si condividono e i problemi individuali si ingigantiscono, spesso si reagisce con violenza. Urge tornare a pensare, urge attivarsi per costruire dialoghi, confronti, amicizie, cooperazione, urge costruire comportamenti nonviolenti. E se questo fare e pensare è una priorità per un buon amministratore amico dei cittadini tutti e non legato ai poteri economici, lo è ancora di più per i nostri parroci che nelle nostre parrocchie hanno la pretesa o il compito di guidare all’amore per gli altri ogni individuo. Ma quanto accolgono le parrocchie? Quanto lavoro educativo fanno insieme e quante attività sono collettivamente pensate e gestite? Non conosco bene “il mondo degli oratori” che mi circonda per cui mi astengo da fare considerazioni di valore ma non percepisco “pensiero fecondo” “elaborazione di idee e di azioni” che mettano in moto coscienze ed etica. Percepisco appannamento, opacizzazione, ritualità, relazioni deboli. E allora come possono i bambini crescere in libertà e salute, giustizia e pace se gli adulti a loro più vicini - genitori, insegnanti, parroci ed amministratori - non li aiutano ad uscire dai vari gusci non comunicanti tra loro per proiettarli in un futuro altro di carattere planetario complesso e strettamente collegato. Se Greta continuerà ad avere una maestra che le fa appiccicare fotocopie sui troppi numerosi quaderni, una nonna ed un babbo che le fanno vedere la televisione fino alle undici di sera, un parroco che le parla per dogmi non riuscirà a capire perché la sua formazione civile e culturale è disseminata di divieti (le “famose” ordinanze antiborsoni, antialcolici, antirumore ecc.) al posto degli “stimoli culturali di qualità” che l’aiuterebbero a crescere insieme agli altri. E la differenza tra crescere con le teste ben fatte ed i cuori solidali aperti a conoscere il mondo oppure crescere con stereotipi e pregiudizi chiusi nei vari gusci non protettivi è determinata dalla politica e dalla cultura. Politica (chi fa le scelte) e Cultura (quali scelte vengono fatte) determinano il futuro del nostro pianeta e quindi di tutti i nostri ragazzi. Ri-cominciare dalle bambine e dai bambini intessendo trame positive tra politica e cultura ci obbliga a partecipare, a con-dividere, a confrontarsi, a co-operare. La scommessa vincente per un futuro democratico dei nostri ragazzi è la partecipazione alle scelte di governo della “res pubblica”. Attraverso le sue molteplici forme realizzative, la partecipazione stimola il risveglio della coscienza civile, la formazione del pensiero critico, originale, creativo, complesso; la costruzione di regole condivise, la ricerca dell’etica dei comportamenti, il riconoscimento dell’altro come diverso da sé, l’elaborazione del concetto di appartenenza ad un tutto ben definito, l’organizzazione democratica della polis. Ri-cominciare dai bambini e dalle bambine significa rico- minciare dai loro giovani genitori che viaggiano su internet, che dialogano su facebook, che sognano come macchina un suv e hanno un lavoro precario, che hanno poco tempo “da donare” e non sanno dire “no…perché” ai propri figli piccolissimi. A questa generazione di trentenni/quarantenni che si apprestano a governare il mondo noi adulti sessantenni dobbiamo dare sicurezze, senso del limite, appoggio critico, fiducia, ottimismo, voglia di essere attivi e di reagire al conformismo ed al qualunquismo dilagante. Prima di imboccare la via del non ritorno fermiamoci tutti a riflettere provando a costruire “pensiero fecondo” ed azioni in direzione nonviolenta per noi, per i nostri figli, per i nostri nipoti. In questo piccolo quaderno di riflessioni inserisco due articoli da me scritti nei mesi passati e pubblicati sui giornali locali. Entrambi si inseriscono bene nel contesto degli appunti del “mio laboratorio del fare e del pensare” riguardanti le bambine ed i bambini. Se la scuola ignora i ragazzi Pubblicato su il Tirreno il 6.4.2007 e su la Nazione il 26.4.2007 Leggo ogni giorno da parecchi mesi articoli, interviste, opinioni che descrivono il bullismo a scuola e fuori dalla scuola e danno ricette per contrastarlo fino ad inventare la proposta (Barbiellini Amidi) di mettere un fiore prima delle vacanze sulle cattedre dei docenti. Ritengo ridicole queste esternazioni fatte solo ed esclusivamente per trovare spazio sui media come del resto ritengo superficiali tutte quelle analisi che non tengono conto della realtà dei ragazzi dentro la scuola, in famiglia , nei quartieri dove abitano. Provo a dare alcuni spunti di riflessione, senza avere la pretesa di dettare la verità ma certamente di conoscere la scuola si. Mi mancano pochissimi anni ad andare in pensione e da quando ho iniziato a lavorare ho fatto prima l’insegnante e ora, da parecchi anni la dirigente scolastica; sin dai tempi dell’università di magistero a Firenze faccio parte di un gruppo di ricerca e sperimentazione didattica oggi diventato una fondazione culturale che si occupa di educazione di bambini, ragazzi e giovani. Ho anche una esperienza ventennale di assessore alla pubblica istruzione in più comuni. Per tutto questo mi è venuta voglia di lanciare stimoli alla riflessione sul fenomeno del bullismo. E parto dalla scuola. L’organizzazione della scuola oggi, della maggioranza delle scuole medie inferiori e superiori italiane, è ancora ancorata a compiti, interrogazioni, valutazioni e punizioni ignorando i protagonisti veri delle scuole: i ragazzi con le loro aspettative, con i loro bisogni, con le loro opinioni. Rispettare i ragazzi dando loro la dignità di persone e non di “vasi” da riempire significa dar loro la possibilità di esprimere opinioni, di dialogare in classe, di partecipare alla progettazione degli apprendimenti, di stabilire regole condivise da rispettare, di provare ad esprimere autovalutazioni. Tutto questo rende i ragazzi attivi, protagonisti, partecipativi, corresponsabili insieme ai docenti del buon funzionamento delle scuole. Solo attraverso il reciproco ascolto è possibile costruire all’interno di ogni classe atteggiamenti e comportamenti in direzione nonviolenta sconfiggendo sopraffazione, competitività esasperata, violenza fisica e psicologica. La scuola è anche luogo di regole, di reciproco rispetto, di studio approfondito, di valorizzazione delle individualità, di sostegno per i più deboli; è comunità, è partecipazione, è responsabilità, è autonomia. Spetta agli adulti che vivono accanto ai ragazzi e che ricoprono ruoli educativi far si che la scuola diventi tutto quanto sopra delineato ed è possibile realizzarlo perché ci sono notevoli esempi di istituzioni scolastiche che vanno nella direzione sopra auspicata. Non si possono additare ai ragazzi atteggiamenti di bullismo, che pure ci sono, se non si analizza la realtà attuale della scuola a partire dagli edifici - perlopiù fatiscenti e non a norma- dalla presenza di docenti sempre più svalorizzati dal contesto socio-culturale e da un contratto di lavoro scaduto da due anni. Si può affermare, senza la paura di essere smentiti, che gli spazi intensamente abitati -come sono le scuole- sono rispettati se sono belli, curati negli aspetti strutturali ed estetici, pieni di luce e di fiori. I ragazzi non distruggono ciò che rispettano e rispettano tutto ciò con cui stabiliscono relazioni significative. Vale per le relazioni umane ma vale anche per gli spazi urbani, scolastici e di quartiere. Basta guardarsi intorno e gli edifici scolastici si commentano da soli da nord a sud di questa bell’Italia. E non è certo con una circolare del ministro e con l’apertura di un punto di ascolto per docenti e genitori che si risolve - e nemmeno si attenuano- episodi di violenza dentro le scuole. Serve, a parer mio, un massiccio intervento sulla formazione dei docenti che abbia come nucleo centrale una impegnativa riflessione sulla metodologia e sulla didattica. Sempre più, in particolare nelle nuove generazioni di docenti, manca la pur minima consapevolezza di che cosa significa didattica condivisa, metodologie che sviluppano apprendimenti. Ho rilevato negli anni la carenza di una seria preparazione universitaria che urge riprendere anche in contatto con le istituzioni scolastiche di base; penso a tirocini formativi lunghi e in luoghi preventivamente scelti per le loro caratteristiche fortemente innovative. Penso però anche ad interventi formativi sui docenti che sviluppino le relazioni educative, il senso di appartenenza ad una istituzione, la riflessione sui valori umanamente e culturalmente importanti espressi dalla nostra carta costituzionale. Penso ad una massiccia, grande attenzione politica sulla scuola come istituzione decisiva nella formazione delle nuove generazioni. Solo attraverso investimenti fortemente valoriali oltrechè economici è possibile combattere ora e prevenire poi fenomeni di bullismo. Tutte le iniziative fuori da questo contesto, anche quelle in atto oggi, sono risposte inefficaci e dispersive. E vengo alle famiglie. Si parla di patto educativo scuola-famiglia. Ben venga generalizzato in tutte le scuole e verificato puntualmente in ogni scuola da entrambi i soggetti sottoscrittori del patto: i docenti e i genitori a cui vanno aggiunti sicuramente i ragazzi a iniziare in particolare da coloro che frequentano la scuola media di primo grado. Non mi addentro in riflessioni sociologiche sulla famiglia perché non è il mio mestiere ma è evidente che la famiglia ha bisogno di essere supportata nell’ educazione alla genitorialità sin da quando i bambini sono piccolissimi. Dieci/quindici anni fa i bambini entravano a tre anni nella scuola dell’infanzia senza pannolone; oggi si fatica a far capire alle giovani famiglie i cui figli sanno già adoperare da tempo il telecomando della televisione o accendere un video gioco che togliere il pannolone e abituare il bambino al controllo sfinterico è un percorso necessario verso l’autonomia ,l’autostima, la crescita. E ciò vale anche per la colazione con il biberon ancora ad otto anni davanti ad un video mentre frettolosamente si viene vestiti. È colpa dei bambini e delle bambine? È colpa delle loro giovani mamme che devono andare a lavorare? È colpa delle nonne che ancora non sono in pensione e si occupano scarsamente dei nipoti? È colpa della non conciliazione dei tempi di vita con gli orari delle città o dei lunghi tempi trascorsi nel traffico cittadino? È colpa della televisione che legittima stili di vita comunemente improponibili o della chiesa che stigmatizza come negative nuove convivenze? Difficile districarsi in questo ventaglio di domande in una realtà che è in continuo movimento e trasformazione e che non va demonizzata ma gestita. Anche per ciò che riguarda la famiglia c’è bisogno di investimenti economici in servizi (casa, trasporti pubblici, nidi, spazi gioco sicuri) e di investimenti culturali che rimettano al centro dell’at- tenzione il ruolo fondamentale dei genitori. Servono luoghi di incontro per le famiglie e le scuole possono esserlo ma non da sole; c’è bisogno di un’assunzione di responsabilità collettiva che passa in primo luogo dai massmedia e dalla politica. E gli enti locali territoriali che compiti hanno nel combattere il bullismo giovanile? Sicuramente molti ma ne parleremo un’altra volta. Daniela Pampaloni Ancora loro (Pubblicato su il Tirreno il 27.11.2008) Ancora loro, ancora i piccini vittime di una violenza assurda maturata in famiglia. Un padre che si sente “perso”, che ha “paura”, che decide di trascinare nella sua tragica voglia di morire i suoi figli. Una tragedia familiare che colpisce ancora loro i bambini e le bambine che non hanno chiesto di essere messi al mondo e tantomeno chiedono di essere uccisi. La strage di questi giorni alla periferia di Verona come quella di Pisa di alcuni mesi fa è una delle tante che ogni anno con una ritualità spaventosa si ripetono nelle famiglie, cioè nel quotidiano, nella vita di tutti i giorni. Non riesco e non voglio esprimere giudizi, non spetta a noi comuni cittadini, mi limito a spendere parole ed azioni in difesa dei piccini. Tutti i bambini e le bambine di tutto il mondo hanno diritti che vale la pena ricordare: hanno diritto alla vita, ad una famiglia unita, ad una casa accogliente, all’istruzione di qualità, ad una città che li accoglie, al futuro. Chiedono protezione, chiedono regole, chiedono amore. Mai come in questi tempi le loro richieste perdono di significato e si confondono in un mare di egoismi individuali e collettivi propri di una società che fa dell’immagine la sua caratteristica principale. Egoismi in famiglia dove i padri e le madri hanno pesanti responsabilità sulle spalle, dove si chiede senza dare, dove i valori dello stare insieme, ascoltarsi, dialogare sono sopraffatti dalla televisione (anche nelle camere dei piccoli, da soli a guardarla senza nessuna protezio- ne), dai cellulari sempre più sofisticati, dall’uso del computer sempre più isolante. Egoismi a scuola dove non si lavora per far crescere i piccoli in socializzazione, in aiuto reciproco, in scambio di buone pratiche, dove si continua a tagliare risorse economiche ed umane per scelta governativa che invece sarebbero tanto utili per attivare percorsi didattici personalizzati. Egoismi nella società dove il corpo dei bambini e delle bambine diventa centro di attenzioni di molti-troppi adulti “malati”; dove i piccini vengono sfruttati e fatti lavorare in luoghi nascosti e malsani; dove la tv ignora nei propri servizi la qualità dell’informazione per i minori. Eppure loro i ragazzi, gli adolescenti, i giovani sono il nostro futuro ed a loro andrebbero rivolte energie, risorse, investimenti. Coloro che esercitano responsabilità politica ad ogni livello devono mettere al centro delle loro attenzioni i bisogni delle famiglie, delle giovani coppie e dei loro bambini In questi giorni invece per ricordare la Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia il presidente del Consiglio parla di grembiuli a scuola, di classi ponte per i bambini immigrati e un padre, ancora una volta uccide i suoi piccoli in una serata di follia e di violenza che coinvolge oggi troppe nostre famiglie. Daniela Pampaloni Il quaderno n° II viene regalato a 2,00 Euro per raccogliere piccoli contributi per l’Associazione Culturale e Solidale “Crescere insieme” che ha progetti di cooperazione a sostegno dei bambini Saharawi nei campi profughi del deserto Algerino. Stampato in digitale presso GRAM-Digital snc - Pontedera novembre 2009