ISTITUTO AUTONOMO CASE POPOLARI DELLA PROVINCIA DI FOGGIA PANORAMA CASA L’EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA IN TEMPO DI CRISI ATTI DI CONVEGNO FOGGIA VENERDI’ 9 LUGLIO 2010 INDICE INDICE p. 1 INTRODUZIONE p. 2 1. SALUTI p. 3 1.1 Gianni Mongelli – Sindaco di Foggia p. 3 1.2. Antonio Pepe – Presidente della Provincia di Foggia 2. INTERVENTI p. 5 2.1 RELAZIONE INTRODUTTIVA. Dott. Donato Cafagna - Commissario Straordinario IACP – Foggia p. 5 2.2 SOGGETTI GESTORI PER IL PIANO NAZIONALE DI EDILIZIA ABITATIVA. Luciano Cecchi - Presidente di Federcasa p. 20 2.3 UN MODELLO DI RIFORMA. Dott. Giuseppe Pezzè. Vicepresidente ATER di Belluno p. 24 2.4 IL PUNTO DI VISTA DELLA REGIONE PUGLIA. Angela Barbanenente Assessore alla Qualità del Territorio della Regione Puglia p. 27 2.5 INTERVENTO. Dott. Michele Lastella – Commissario Straordinario IACP Brindisi 3. TAVOLA ROTONDA. p. 37 p. 40 3.1 L’OSSERVATORIO REGIONALE, STRUMENTO CONOSCITIVO E STRUTTURA DI COOPERAZIONE. p. 40 3.1.1 Maria Teresa Cuonzo - Responsabile ORCA p. 40 3.1.2 Sabino Lupelli–Direttore Generale IACP-Bari p. 42 3.2 NUOVE FASCE DEBOLI, EFFICACIA DEGLI STRUMENTI ESISTENTI. p. 44 3.2.1 Nicola Zambetti – Coordinatore regionale Sunia p. 44 3.2.2 NUOVE FASCE DEBOLI, EFFICACIA DEGLI STRUMENTI ESISTENTI. (L’applicazione dell’art. 1/quater della Legge n. 199/2008 ad un caso concreto). Antonio Di Stefano - Direttore Generale IACP – Foggia. p. 47 4. HOUSING SOCIALE E PIANIFICAZIONE TERRITORIALE p. 52 4.1 Raffaele Capocchiano Presidente II Comm. Territorio Comune di Foggia p. 52 4.2 Augusto Marasco – Presidente ordine Architetti e P. P. C. – Foggia p. 55 4.3 Gerardo Tibollo – Presidente ordine Ingegneri – Foggia p. 57 CONCLUSIONI p. 60 1 INTRODUZIONE L’obiettivo del presente convegno è di approfondire alcune questioni attinenti al tema dell’edilizia residenziale pubblica. Segnatamente, l’intento è di verificare la sussistenza degli effetti derivanti dalla crisi economica sul settore immobiliare e le loro modalità di manifestazione. Ciò trae origine dall’evoluzione del settore economico, finanziario e sociale, registratosi di recente, proprio dalla riduzione del potere di acquisto delle famiglie che, a sua volta, si riflette sulle possibilità di accesso all’abitazione popolare. In particolare, si osserva la formazione di una classe sociale intermedia (tra cui si includono studenti, single, giovani famiglie), la quale, da un lato, non riesce ad accedere all’acquisto dell’abitazione sul libero mercato, dall’altro, non rientra nei programmi per l’edilizia residenziale popolare. La problematicità dell’argomento si caratterizza, inoltre, da ulteriori fattori di criticità, tra cui la vetustà del patrimonio, l’invecchiamento dell’utenza, la cristallizzazione della situazione dal punto di vista abitativo (con tendenza a creare fenomeni di abusivismo e, dunque, problematiche di legalità), la contrazione delle risorse finanziarie che crea una morosità. Il fenomeno, così descritto sommariamente, è reso poi particolarmente complesso ed articolato dalla necessità di coordinarlo con la presenza di alcuni elementi positivi, che vanno dal miglioramento della qualità del servizio reso, alla crescita di consapevolezza, da parte dell’utenza, dei propri diritti, ma anche dei propri doveri, all’utilizzazione dei canali informativi telematici e all’autogestione e responsabilizzazione (con la possibilità per gli inquilini di effettuare direttamente gli interventi di manutenzione, con rimborso degli oneri da parte dell’Istituto). Lo scopo dell’incontro in oggetto, pertanto, è promuovere un confronto fra i diversi soggetti coinvolti in tema di edilizia residenziale pubblica per verificare se quanto sta avvenendo non induca i differenti operatori a riformare le strutture a modificare la logica di gestione del patrimonio, a rivitalizzare gli investimenti per i nuovi interventi, ad orientare le finalità della politica abitativa pubblica nel senso di renderle più aderenti alle aspettative dell’utenza e di chi ha diritto al beneficio della casa popolare. Più precisamente, occorre chiedersi se gli Istituti debbano persistere nell’essere considerati prevalentemente come centri di gestione del patrimonio immobiliare statico o, piuttosto, assumere il diverso ruolo attivo di operatori economici pubblici, chiamati a realizzare nuovi alloggi da immettere sul mercato per rispondere ad esigenze sociali. 2 1. SALUTI 1. 1 Gianni Mongelli – Sindaco di Foggia «Il tema non è privo di interesse per la città e, in particolare, per la città di Foggia. Lo testimonia anche la partecipazione a questo convegno, fra gli altri, del geom. Raffaele Capocchiano. Vedo anche i rappresentanti degli organi professionali, dei Sindacati di categoria, di tutti i soggetti interessati a questo tema che è uno di quegli argomenti fondamentali del nostro agire. Il tema dell’emergenza abitativa è stato per anni ed è tutt’ora, difatti, uno dei punti sui quali tante Amministrazioni si sono confrontate. L’auspicio che mi sono dato, e che ci siamo dati, è che, alla fine del nostro percorso amministrativo (percorso sicuramente non semplice), si possa dire che a Foggia l’emergenza abitativa è terminata. Questo sarebbe uno di quei risultati ottimali da raggiungere, ma, nello stesso tempo, occorre precisare che non è un risultato che l’Amministrazione comunale può raggiungere da sola. Ecco perché sono qui a ringraziare, davvero in maniera convinta, lo IACP per il lavoro che sta svolgendo sotto la direzione del Dott. Donato Cafagna, così attento all’esigenza del nostro territorio. Ma, dicevo, è un tema che si affronta in modo organico e organizzato, sicuramente, dal punto di vista dell’offerta dell’edilizia residenziale pubblica. Questo è uno degli obiettivi che lo IACP sta perseguendo, ma contemporaneamente penso che sia da mettere in campo un vero progetto di gestione e di manutenzione dell’intero patrimonio immobiliare esistente. Questi alloggi, per certi versi, devono avere anche una precisa rispondenza, dal punto di vista delle obbligazioni, sia pur nei limiti di legge, assunti a carico degli inquilini di alloggi pubblici. In altri termini, si deve comprendere che avere un alloggio dell’edilizia residenziale pubblica è un diritto, ma è anche un dovere da parte loro contribuire a favorire la manutenzione». 1.2 Antonio Pepe – Presidente della Provincia di Foggia «Volevo, innanzitutto, ringraziare l’Istituto autonomo case popolari, il suo Commissario Dott. Donato Cafagna, il suo Direttore generale Ing. Antonio Di Stefano, per avere organizzato questo convegno su un tema che è sicuramente molto sentito, specialmente nell’attuale momento di crisi che il nostro Paese sta vivendo. Ma voglio anche ringraziare l’Istituto autonomo case popolari di Foggia per l’azione importante svolta sul nostro territorio. Essi sono a contatto prevalentemente con i soggetti che maggiormente avvertono il problema casa. C’è, in effetti, questo bisogno casa. Il 3 loro ruolo, quindi, è stato da sempre nel nostro territorio un ruolo molto attivo e fondamentale. Pertanto, sicuramente devo ringraziare per questa family casa del nostro territorio che aumenta nel momento di crisi e che interessa non soltanto, le classi sociali più deboli, ma, come si dice in questo invito, ormai classi di popolazione non comprese nell’ambito tipico dell’attività di edilizia residenziale pubblica. Un problema, inoltre, nuovo è la presenza sul nostro territorio anche degli extracomunitari (questione estremamente avvertita), nonché la presenza di giovani coppie. Questo rappresenta un mio vecchio obiettivo: dare delle risposte anche a chi deve creare una famiglia e ha come primo problema quello di possedere una casa; l’intento, dunque, è di elaborare una normativa particolare che possa aiutare le giovani coppie. Il sistema edilizio, certamente, è una problematica che deve interessare prevalentemente le Amministrazioni Comunali e la Provincia, e finalizzarsi anche a recuperare le nostre periferie per crearle a misura d’uomo». 4 2. INTERVENTI 2.1 RELAZIONE INTRODUTTIVA. Donato Cafagna - Commissario Straordinario IACP - Foggia Sig. Sindaco, Sig. Presidente della Provincia, Assessore regionale al Territorio, Presidente di Federcasa, Autorità, gentile pubblico, a voi rivolgo il benvenuto dello IACP di Foggia ed esprimo la più sincera gratitudine per aver accolto l’invito a partecipare all’incontro di oggi. Ringrazio particolarmente il Sindaco e il Presidente della Provincia per l’intervento in apertura dei lavori. La loro presenza e l’attenzione dei responsabili degli Enti locali sul territorio rappresenta, per quanto andrò a dire nella mia relazione, davvero il miglior viatico per il buon esito di quest’incontro. L’Istituto vuole proporvi una riflessione sulla casa con un approfondimento particolare alle tematiche dell’edilizia residenziale pubblica. L’obiettivo è quello di favorire il confronto con le esperienze degli altri Istituti, con i vari livelli di governo del territorio, con le categorie professionali, con le organizzazioni sindacali di settore e territoriali su contenuti e strategie delle politiche abitative, in una fase caratterizzata dalla crisi economica e finanziaria che colpisce i redditi delle famiglie e in prima battuta la loro capacità di mantenere o procurarsi un’adeguata sistemazione alloggiativa. Nei frequenti incontri di coordinamento promossi dall’Assessorato regionale all’ERP nei cinque anni di gestione straordinaria degli IACP pugliesi, si è potuto rilevare che, sia pure con qualche diversità legata alle situazioni finanziarie pregresse di qualche Ente, i problemi con i quali ci si confronta sono sostanzialmente analoghi; pertanto, non volendo attribuire all’esperienza foggiana un carattere paradigmatico in assoluto, credo che possa essere comunque rappresentativa della realtà dell’edilizia economica e popolare nella nostra Regione e in gran parte del Mezzogiorno, e dell’intero Paese. (D.1) Il primo elemento oggettivo che viene all’evidenza è relativo alla vetustà del patrimonio immobiliare che gli IACP sono chiamati a gestire. Gli immobili dello IACP di Foggia risalgono per l’80% a periodi antecedenti al 1991, addirittura il 50% a prima del 1981; su 11.000 unità immobiliari soltanto 657 sono state realizzate dopo il 2001. (D.2) Ciò è conseguenza principalmente della riduzione dei finanziamenti; quelli statali (Ex CER) diminuiti dalla fine degli Anni 90, sono stati surrogati parzialmente dai flussi finanziari regionali, con il risultato che per quanto riguarda lo IACP di Foggia una fonte 5 finanziaria in aumento è rappresentata dalle risorse proprie, ottenute con politiche di contenimento della spesa che hanno generato avanzi di amministrazione non irrilevanti. (D.3) L’altra fonte di finanziamento costituita dalla vendita del patrimonio, si è andata pure assottigliando, in considerazione della scarsa propensione degli inquilini a riscattare gli appartamenti nei quali abitano. Su un piano vendite di 7.156 alloggi, approvato nelle due tornate del 1994 e del 2000, ne sono stati alienati a tutto il 2009 complessivamente poco più del 20% e negli ultimi anni le vendite segnano ulteriormente il passo, sono solo 23 nel 2009. In questo contesto lo IACP svolge prevalentemente la funzione di gestore del patrimonio, riservando la maggioranza delle risorse alla manutenzione ordinaria e straordinaria di immobili vecchi e incontrando difficoltà nella realizzazione di nuovi programmi costruttivi. (D.4) Se osserviamo le statistiche relative alla composizione dei nuclei familiari, vediamo che in gran parte si tratta di famiglie composte da due-tre unità (50%), ma che sono quasi 2000 gli alloggi abitati da una sola persona. (D.5) I minori sono relativamente pochi, rappresentando solo il 16% degli abitanti di case IACP. (D.6) La situazione occupazionale degli utenti evidenzia che il 55% degli assegnatari è costituito da pensionati, quasi il 20% da operai, il 10% da disoccupati. (D.7) Per quanto riguarda il canone, questo è in media di € 68. Ho fornito questo schizzo, seppure rapido, perché credo emerga un fatto evidente: le nuove famiglie hanno pochissime possibilità di poter accedere legittimamente agli alloggi IACP. D’altra parte la scarsa capacità di garantire una minima mobilità dei soggetti destinatari degli alloggi, che finisce con l’essere attuata solo con forme patologiche di abusivismo strisciante o palese, comporta che gli inquilini titolari di contratto di locazione con l’Istituto appartengono ad una fascia di età che per la maggior parte supera i cinquant’anni. Quando parlo di abusivismo strisciante, mi riferisco ai trasferimenti di residenza con ampliamento dei nuclei familiari, non autorizzati dagli Istituti, ma assentiti di fatto dagli uffici anagrafici comunali, ai subentri abusivi e a quelli più palesi con occupazione a seguito del decesso del legittimo detentore, non comunicato tempestivamente all’Istituto. Tutto ciò avviene, nonostante un notevolissimo sforzo di monitoraggio, il censimento continuo delle posizioni contrattuali, la vigilanza costante sul patrimonio immobiliare, che consente di contenere almeno in parte questi fenomeni, ma non può evitare che, di fatto, si determini la cristallizzazione delle situazioni per la difficoltà di liberare gli appartamenti e corrispondere a nuove esigenze abitative legittime. 6 Dunque, ci troviamo di fronte a quattro fattori di criticità: -la vetustà del patrimonio; -l’invecchiamento dell’utenza; -la cristallizzazione della situazione dal punto di vista abitativo con tendenza a creare fenomeni di abusivismo e dunque problematiche di legalità; -la contrazione delle risorse finanziarie con una morosità che si mantiene tra il 20% e il 30% e con scarsa possibilità di incidere con gli interventi di sgombero. Si tenga conto che nell’ultimo anno sono stati notificati 104 provvedimenti commissariali di rilascio nei confronti di inquilini morosi o occupatori abusivi ed effettuate 213 diffide e benché sia stato attivato su richiesta dello IACP, d’intesa con la Prefettura di Foggia, un tavolo al quale partecipano i Comuni e le Forze dell’ordine, i provvedimenti non sono stati ancora eseguiti. Non di rado sono state le stesse Amministrazioni comunali a sollecitare il rinvio dell’esecuzione dei provvedimenti autoritativi di sgombero che li avrebbero caricati del problema di gestire la famiglia sgomberata. Io credo fortemente che, con la necessaria moderazione e nel rispetto delle poche situazioni davvero meritevoli di tutela segnalate dagli uffici dei servizi sociali competenti, valga la pena per tutti di perseguire fino in fondo, soprattutto in questo campo, il principio di legalità anche perché a volte l’abusivismo si manifesta in alcune realtà con comportamenti di proterva arroganza e di intimidazione, dietro cui si celano organizzazioni criminali. E’ nostro dovere per rispetto alla legalità e per senso di giustizia verso coloro che rispettano l’esito di pubblici concorsi e pubbliche graduatorie, perché non sorga il dubbio che la casa piuttosto che un bene sociale sia un privilegio solo per pochi e per di più guadagnata con la furbizia o con la prepotenza. Ma il panorama della casa sarebbe incompleto, se a fianco a questi fattori di criticità non riportassi i numerosi e importanti fattori positivi e di modernizzazione del sistema, introdotti in questi anni, che vanno nella direzione del miglioramento della qualità del servizio reso, della crescita di consapevolezza da parte dell’utenza dei propri diritti ma anche dei propri doveri; dell’utilizzazione dei canali informativi telematici; dell’autogestione e responsabilizzazione con la possibilità per gli inquilini di effettuare direttamente gli interventi di manutenzione, con rimborso degli oneri da parte dell’Istituto. Mi riferisco ancora alla definizione di posizioni debitorie e del contenzioso trascinatosi per decenni tra gli inquilini, lo IACP e gli enti erogatori di servizi (Acquedotto Pugliese, Enel ecc.). 7 Un lavoro importante è stato fatto per rendere le procedure più trasparenti e vicine alle esigenze dell’utenza. Una testimonianza di questo impegno è l’opuscolo informativo “La Casa facile”, che abbiamo messo a disposizione di ciascun partecipante al convegno, concepito non come una carta dei servizi, ma come un vero e proprio strumento di partecipazione attiva per garantire la continuità del dialogo tra l’Istituto e i suoi inquilini. Anche il sito internet è stato profondamente rinnovato con la stessa logica di garantire una piena interattività. Il contributo delle organizzazioni sindacali su questo tema è sempre fondamentale, perché consente di raggiungere spesso quei settori di utenza meno disponibili al dialogo e favorisce, rafforzando la consapevolezza dei propri diritti, un processo parallelo di necessaria responsabilizzazione e migliore disponibilità verso i propri doveri. Restando al rapporto con le OO.SS., mi riferisco ora a quelle territoriali e al settore costruzioni, è stato avviato anche con loro un confronto positivo. E, in effetti, in un momento di contrazione degli investimenti pubblici, l’Istituto continua a rappresentare un motore dell’economia attraverso interventi che ammontano nell’ultimo quinquennio a € 40.000.000 complessivi. Sul fronte del controllo degli appalti, sotto il duplice profilo della regolarità del rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende concessionarie e del rispetto puntuale della disciplina in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, è stato definito nelle scorse settimane un protocollo operativo con la Direzione Provinciale del lavoro che consentirà di tenere monitorati non solo gli appalti, ma anche i subappalti, i noli, i cottimi, garantendo un flusso informativo continuo dallo IACP verso gli organi preposti al controllo. Peraltro, tenuto conto che il territorio si colloca in un’area non del tutto esente da condizionamenti di tipo criminale, la banca dati che si verrà a costituire è stata messa a disposizione del Prefetto e del Procuratore della Repubblica per l’attività di prevenzione e giudiziaria. Lo IACP di Foggia si è lanciato da alcuni mesi in una campagna nella quale abbiamo coinvolto Federcasa, il Ministero dell’Interno, il Prefetto di Foggia ed ora anche la neonata Agenzia per i beni confiscati, che consentirebbe di reperire nuove unità immobiliari da assegnare a chi ne ha bisogno, recuperandole tra il rilevante patrimonio di beni confiscati alla criminalità organizzata. E’ importante in questo ambito il supporto che la Regione e i Comuni potranno dare a questa richiesta che consentirebbe di mettere a frutto immobili che non si prestano ad essere utilizzati per finalità sociali diverse, trattandosi di appartamenti di medio e piccolo taglio che si trovano in contesti residenziali e che sarebbero ristrutturati e rimessi in uso con fondi IACP. 8 Oggi parliamo di edilizia residenziale pubblica in tempo di crisi, in realtà nell’esperienza quotidiana ci siamo imbattuti in situazioni nelle quali abbiamo potuto misurare l’entità della crisi. Mi riferisco all’esperienza di immobili riscattati da inquilini dell’IACP, che, quindi, ne erano divenuti proprietari, fatti oggetto di procedura di pignoramento immobiliare da parte di banche. L’intervento dell’Istituto in attuazione, credo la prima e unica finora, della Legge n.199 del 2008, ha consentito di mantenere nella disponibilità dell’immobile il debitore esecutato, in qualità di inquilino, subentrando lo IACP nella sua posizione debitoria nei confronti della Banca. La legge statale così come è costruita è di difficile applicazione, forse è anche per questo che l’esperienza di Foggia è rimasta isolata, ma con FEDERCASA stiamo lavorando per porre la questione di una revisione nelle Commissioni parlamentari competenti, in modo da rendere questo strumento più efficace. Analogamente mettiamo oggi a disposizione della Regione lo studio che abbiamo elaborato su questo argomento perché valuti la possibilità di un intervento normativo sulla materia che consenta di dare applicazione, a livello regionale, a questa che a me sembra un importante risorsa a sostegno delle famiglie in difficoltà. Ho fatto riferimento a queste due ipotesi, per così dire, de iure condendo, perché credo che trovandoci ad affrontare situazioni di criticità siamo chiamati ad operare con modi nuovi, ripensando, se necessario le finalità dell’Istituto con l’obiettivo di dare risposta ad un’esigenza sociale, che invece, restando passivi ed in una posizione meramente conservativa, rischiamo di non dare più. Gli IACP così come sono concepiti sono Enti strumentali della Regione, ma in realtà la loro attività è funzionale ad un obiettivo primario dei Comuni; non a caso le assegnazioni degli alloggi sono di competenza comunale e molti dei provvedimenti sono di natura sindacale. Se il legame forte con la Regione è indispensabile per le risorse, la programmazione degli interventi, il coordinamento nell’applicazione della normativa, è necessario che lo IACP e gli Enti locali operino anch’essi in stretta sintonia e comunanza d’intenti. In alcuni casi sono stato sorpreso nel verificare che si era determinata in passato, ma gli effetti continuavano a prodursi nel presente, una posizione competitiva o conflittuale tra l’Istituto e qualche ente locale. I PIRP hanno rappresentato in questi ultimi anni uno strumento che favorisce questo dialogo, anche se talvolta l’impressione è che sia più facile per i Comuni attuare interventi di edilizia contrattata con i privati, piuttosto che con lo IACP pubblico. Probabilmente questa circostanza trae origine anche dal ruolo diverso dello IACP che non può competere con l’operatore privato, il quale, almeno prima facie, sembra corrispondere 9 meglio alle esigenze del Comune di dotare la collettività delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria necessarie. Quello dell’equilibrio di interessi nel rapporto pubblico-privato nell’edilizia contrattata è uno degli argomenti più delicati. Non entrerò nel merito di questo dibattito sul quale l’Assessore e poi nella Tavola rotonda gli esperti del settore potranno offrirci utili indicazioni e valutazioni più appropriate. Certo le esperienze fatte su questo territorio con i PRU evidenziano la necessità di una maggiore attenzione sulle tempistiche di realizzazione degli interventi,che andrebbero calibrate in maniera da sviluppare paritariamente le parti d’iniziativa pubblica e quelle d’iniziativa privata. Nel titolo del convegno viene richiamata l’attenzione sull’attualità del contesto di crisi economico-finanziaria e questa circostanza potrebbe indurre a ritenere che non ci siano spazi per iniziative che vadano nella direzione del potenziamento degli interventi in questo settore. Spesso avviene, invece, che proprio nelle situazioni di difficoltà si determina una maggiore disponibilità a sviluppare nuove idee e si verificano le condizioni per un più radicale cambiamento. Da quanto finora descritto emerge che la politica abitativa è stata caratterizzata nel settore dell’edilizia pubblica da scelte ispirate al mantenimento dello status quo. Lo scopo dell’incontro di oggi è verificare se alla luce di quanto sta avvenendo, non sia opportuno fare scelte che vadano nella direzione di riformare le strutture, modificare la logica di gestione del patrimonio, di rivitalizzare gli investimenti per i nuovi interventi, di riorientare le stesse finalità della politica abitativa pubblica per renderle più aderenti alle aspettative dell’utenza e di chi ha diritto ad accedere al beneficio della casa popolare. Si tratta di un impegno complesso e delicato, cui non ci si deve avvicinare con un approccio di improvvisazione o emergenziale, come assai spesso accade in questa fase della vita politica e amministrativa. Mi permetto di lanciare agli illustri relatori che interverranno dopo di me alcune idee che nascono dall’analisi che ho appena sviluppato e che si propongono di rispondere a quello che deve essere, a mio avviso, l’obiettivo primario verso il quale deve tendere il nostro operato e che si può esprimere in questo semplice concetto: dare risposte ad esigenze sociali nel rispetto dei principi di legalità ed equità. Una più equa determinazione dei canoni, innanzitutto, è questa una chiave che consentirebbe anche ad altri, che ne avrebbero diritto e bisogno e, invece, pagano il canone di mercato, di accedere ai benefici dell’ERP, elevando il monte canoni che rappresenta la voce principale nella gestione dell’Ente. Peraltro la corresponsione di un canone adeguato, andrebbe 10 a stimolare l’interesse degli inquilini ad esercitare la facoltà di riscatto, con l’IACP che acquisirebbe dalla vendita ulteriori risorse da destinare ancora a nuovi interventi costruttivi, mentre si libererebbe dagli oneri di manutenzione, che assorbono, come si è visto, la stragrande maggioranza delle risorse. Il nocciolo della questione sta nel decidere se gli istituti debbano continuare ad essere, come è stato negli ultimi 10 anni, prevalentemente dei centri di gestione di un patrimonio immobiliare statico o piuttosto possano assumere il ruolo attivo di operatori economici pubblici chiamati a realizzare nuovi alloggi da immettere sul mercato per rispondere ad esigenze sociali. Una vocazione imprenditoriale, quest’ultima, non nuova per l’Ente e che ha caratterizzato fino agli anni ‘90 in maniera decisa il suo modo di operare. Sto continuando a parlare di Istituti, ma, in effetti, se l’obiettivo che ci proponiamo è quello ambizioso di marcare in maniera significativa e produttiva la presenza dell’edilizia residenziale pubblica sul territorio, si potrebbe pensare alla costituzione di un’unica agenzia regionale per la casa, in cui siano accorpate le funzioni di programmazione, progettazione, informatizzazione delle procedure e dei servizi, la consulenza amministrativa e legale, ivi compresa la gestione degli appalti. Agli sportelli provinciali resterebbe affidato il rapporto con l’utenza. Oltre alle economie di scala, ciò consentirebbe una migliore capacità di interlocuzione con gli operatori economici e con quelli del settore creditizio, nonché con le istituzioni, che il livello di gestione provinciale rende troppo debole e frammentaria. Su questi temi e sugli altri che riterranno di sottoporci, affido il testimone agli illustri relatori che seguiranno: il Presidente di Federcasa che ringrazio davvero per l’attenzione che ha mostrato verso il nostro progetto e per la cura e l’interesse che mette nel seguire ogni nostra iniziativa, dal suo osservatorio nazionale ci fornirà una visione ampia e completa dell’attuale momento che attraversa la politica abitativa nel nostro Paese. Un grazie anche al rappresentante degli ATER veneti, che ci racconterà di un’esperienza di riforma interessante. All’Assessore regionale Barbanente va il riconoscimento di tutti gli operatori istituzionali e non del settore per un impegno serio, professionale, tenace di coordinamento, impulso, supporto che ha contribuito in maniera determinante ad affrontare le molte difficoltà di cinque anni di gestione e che saprà offrire come sempre un contributo incisivo e compiuto. Mi piace ricordare poi la Tavola rotonda, in una fascia oraria non delle migliori, ma credo su temi altrettanto interessanti quanto quelli della mattina. Abbiamo coinvolto i Direttori Generali di Bari e Foggia per uno spaccato su esperienze amministrative particolari. Il responsabile dell’Osservatorio Regionale sui fenomeni abitativi, i Rappresentanti degli Ordini 11 degli Ingegneri e degli Architetti e il Rappresentante del Comune di Foggia sulle tematiche dell’housing sociale, un Rappresentante sindacale che è qui per dare voce al mondo delle organizzazioni che tutelano gli inquilini. Lo scopo è di offrire un quadro ricco di posizioni diverse. Crediamo, infatti, che possa essere importante acquisire una visione più multidimensionale possibile del tema e nel contempo che, al termine dei lavori, ad ogni relatore e ad ogni partecipante resti il convincimento forte da riportare presso le Amministrazioni, le Organizzazioni professionali, le Associazioni di appartenenza della necessità di una politica sociale della casa, che sappia rendere concreti i principi di legalità, equità e trasparenza e dare risposte certe ai bisogni dell’utenza, ma anche e soprattutto ai bisogni di quanti ancora aspirano ad averla una casa. 12 Diapositiva 1 13 Diapositiva 2 14 Diapositiva 3 15 Diapositiva 4 16 Diapositiva 5 17 Diapositiva 6 18 Diapositiva 7 19 2.2 SOGGETTI GESTORI PER IL PIANO NAZIONALE DI EDILIZIA ABITATIVA. Luciano Cecchi - Presidente di Federcasa Ringrazio il Commissario Straordinario dello IACP di Foggia Donato Cafagna, il Presidente della Provincia, il Sindaco di Foggia Giovanni Battista Mongelli, e l’Assessore Regionale alla Qualità del Territorio Angela Barbanente. Questo Convegno costituisce un momento di riflessione a cui partecipano amministratori e dirigenti per discutere sull’evoluzione delle problematiche della casa e sull’organizzazione degli Enti e sulle politiche editoriali nella Regione Puglia. Come base di riflessione è stata predisposta una documentazione che comprende anche il documento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, consegnato il giorno precedente all’Assemblea Generale, riguardante uno stralcio dalla relazione ai sensi dell’articolo 8 della decisione 2005/842/CE della Commissione Europea del 28 novembre 2005. La relazione oltre ad avere un peso politico istituzionale, riporta schede che confrontano i ricavi da canoni e il canone medio per alloggio (del patrimonio gestito dagli Enti nelle più importanti città). A tale proposito si raccomanda agli associati la lettura del rapporto anche al fine di verificare i dati contenuti e, nel caso si rilevassero incongruenze, di segnalarle alla Federazione per poter intervenire presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (e nel prosieguo rafforzare la collaborazione già avviata, ribadendo la necessità di avviare l’Osservatorio Nazionale per le politiche abitative in modo da fornire dati leggibili, realmente confrontabili e il più possibile veritieri). Stabilito questo, la proposta che formula la Presidenza di Federcasa è di muoversi su 4 linee con l’obiettivo di affrontare un confronto in occasione di un prossimo convengo che la Regione Puglia ha predisposto per la fine di ottobre sul tema della riforma degli Enti di gestione. Tale iniziativa può diventare un’importante occasione per approfondire l’argomento, in particolare per le Regioni del Sud, considerato che il Coordinatore della Conferenza delle Regioni sulle politiche abitative è il Governatore della Regione Basilicata – anche se infrastrutture e casa sono di competenza della Campania – che ha affidato la sottodelega alla casa alla Basilicata. Ciò significa che ci sarà la possibilità di mettere a confronto non soltanto le esperienze complessive quali Veneto o altro, ma proprio quelle specifiche dell’area meridionale, focalizzando l’attenzione su due Regioni (la Campania e la Sicilia), oltre alla Puglia che, con il commissariamento di tipo prefettizio, si sta predisponendo alla riforma. Per quanto riguarda il centro-sud, la Basilicata funziona, è riformata, il Lazio è riformato, mentre dalla Sicilia non si riesce a sapere cosa sta succedendo poiché ogni tre mesi circa ci viene comunicato il cambiamento di cariche negli Istituti. 20 La proposta per una migliore riflessione organizzativa della Federazione è quella di scambiarci liberamente le idee per un confronto di tipo nazionale, per poter lavorare arricchendo il bagaglio informativo anche con quello che si produrrà un evento che intendiamo organizzare nel Mezzogiorno d’Italia e Foggia rappresenta un primo momento per un utile dibattito. Relativamente alla manovra finanziaria una notizia di stampa annuncia che taglieranno i fondi accantonati per l’edilizia residenziale pubblica, con un provvedimento di congelamento dei fondi dell’art. 11 della Legge n. 133, e per la quale sono in fase di distribuzione i € 550.000.000 non ancora messi in cassa. I recenti studi ISTAT sulla povertà evidenziano un dato importante, individuando nella popolazione varie fasce: più povero, povero, meno povero/a rischio di povertà: la necessità di una differenziazione significa che il ceto medio si sta impoverendo. Cerchiamo di capire cosa diventerà il Piano nazionale di edilizia abitativa alla luce dei dati sulle evoluzioni economiche e demografiche: abbiamo questa classificazione delle fasce di povertà assoluta e relativa1, 600.000 domande e oltre di accesso alle case popolari, 1,5 posti letto disponibili rispetto ai 10 previsti per soddisfare il fabbisogno della popolazione studentesca, 2.000.000 di famiglie in più a parità complessiva di popolazione, ciò significa che con la scelta di vivere da soli causa divorzio/separazione e dopo il boom delle nascite del 1964/66 le persone devono lasciare la casa anche perché i genitori non ci sono più, elemento che modifica lo stato della nostra popolazione. Per aver il diritto a rimanere nelle case popolari non si devono superare i € 13.000 annui a famiglia, quindi, non si può pensare che i residenti in queste casa non siano poveri. A fronte di questo quadro si pone il Piano Nazionale di Edilizia Residenziale Abitativa, che tenta di offrire risposte articolate alle diverse fasce di bisogno. Il nostro settore non è finanziato, sappiamo che anche i fondi accantonati verranno sospesi. Voi sapete che l’art. 1 lettera b) del DPCM applicativo del Piano per l’edilizia abitativa indica nell’incremento dell’Edilizia Residenziale Pubblica l’obiettivo da perseguire attraverso finanziamenti dello Stato, delle Regioni, dei Comuni ed altri Enti Pubblici. Su questo capitolo non si prevede nemmeno un euro di finanziamento. Poi c’è il finanziamento dell’alloggio sociale che dovrebbe essere messo sul mercato attraverso investitori privati grazie ad un meccanismo di finanziamento supportato anche da prestiti di Cassa Depositi e Prestiti. 1 Nel 2009 l’incidenza della povertà relativa è pari al 10,8%, mentre quella della povertà assoluta risulta del 4,7%. Nel 2009, il Mezzogiorno conferma gli elevati livelli di incidenza della povertà raggiunti nel 2008 (22,7% per la relativa, 7% per l’assoluta) e mostra un aumento del valore dell’intensità della povertà assoluta (dal 17,3% al 18,8%), dovuto al fatto che il numero di famiglie assolutamente povere è rimasto pressoché identico, ma le loro condizioni medie sono peggiorate. L’incidenza di povertà assoluta aumenta, tra il 2008 e il 2009, per le famiglie con persona di riferimento operaia, (dal 5,9% al 6,9%), mentre l’incidenza di povertà relativa, per tali famiglie, aumenta solo nel Centro (dal 7,9% all’11,3%). (Istat, La povertà in Italia nel 2009). 21 Con la cancellazione da parte della Corte Costituzionale della possibilità di coinvolgere nel Piano anche l’intervento privato, si apre una partita che chiamerà in causa anche l’Italia ad una definizione puntuale di cosa è l’alloggio sociale di cui vi leggo la definizione: “Decreto Ministeriale Infrastrutture 22.4.2008 “E’ definito alloggio sociale l’unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato”. Questa è la definizione data con Legge dello Stato. Questo vuol dire che il servizio riguarda la gestione dei bisogni del singolo o della famiglia non la costruzione dei caseggiati, questo è evidente. Il prestito previsto dal Piano va, invece, a favore della costruzione di alloggi nella speranza che ci sia la possibilità di accantonare quote da destinare a canoni sui € 350 - € 450 al mese, cui si devono aggiungere i servizi tariffati. Infatti, a questo costo del canone occorre sempre aggiungere la tassa dei rifiuti solidi urbani, le spese condominiali e quant’altro. Ciò significa che la famiglia che accede all’housing sociale dovrà avere un reddito superiore di molto a quello dell’ERP, calcolando che il canone non debba superare il 35% dell’incidenza sul reddito (parliamo di una famiglia che possa disporre di € 30.000- € 32.000 di reddito all’anno). Siamo così fuori dalla fascia dei meno poveri, poveri, più poveri e dei 600.000 che fanno domande di case popolari. Si tratta, dunque, di riflettere se il progetto del Piano Casa oggi corrisponde al bisogno dei cittadini, se l’offerta corrisponde alla domanda che sta sul mercato. Fra l’altro siamo all’85% delle cause di sfratto per morosità nel caso della locazione privata, non siamo più nel caso del fabbisogno di rientro in possesso del proprio alloggio da parte del proprietario e dell’opposizione dell’inquilino, siamo di fronte al fenomeno che l’inquilino non ha più i soldi per pagare il canone al proprietario. Tra l’altro abbiamo circa 154.000 casi di insolvenza mutuataria, ciò vuol dire che le banche dovrebbero bandire 154.000 aste per vendere quell’alloggio che non sarà mai di proprietà di colui che contrasse a suo tempo il mutuo. Tuttavia, se le banche non provvedono a ciò perché sul mercato c’è gente priva di mezzi economici, ne deriva che esse, non riuscendo a recuperare liquidità monetaria dai prestiti precedentemente concessi, sono impossibilitate a concedere finanziamenti alla piccola industria, agli artigianati e ad altri. Si tratta di capire, in un processo di questa natura, che ruolo possiamo avere noi, anche ai fini di dare un contributo al rilancio dell’economia. Noi abbiamo un solo percorso, quello di trovare in qualsiasi modo una risposta alla domanda andando nella direzione che era stata concordata da tutti i rappresentanti di interessi che operano nel mondo dell’abitare, da Confedilizia a Federcasa a 22 tutti i sindacati e rappresentanti degli inquilini, alle cooperative, ecc. (che indicarono la necessità di trovare una cifra da trasferire alle Regioni costante nel tempo e che consentisse alle Regioni di fare una programmazione che portasse il tema della casa verso un regime di normalità e che uscisse dallo stato emergenziale). Quella cifra fu indicata e sottoscritta da tutte queste componenti in un valore di € 1.000.000.000 – € 1.300.000.000 all’anno. Federcasa sostiene che sarebbe sufficiente come inizio che lo Stato non prelevasse dalle nostre aziende l’IRES, compresa la tassa di bollo e registro che più o meno si aggira sui 220.000.000 all’anno che versiamo allo Stato, mentre lo Stato non contribuisce con un finanziamento specifico al servizio di interesse generale che è l’alloggio sociale. Se questa risorsa venisse ritornata alle Regioni in termine di finanziamento di cui all’art. 1 lett. b del Piano nazionale noi avremmo per il nostro settore un finanziamento contenuto, ma costante nel tempo, che permetterebbe di effettuare una politica di programmazione garantita e in grado di risolvere localmente le diversità del fabbisogno gestendo una normalità del fabbisogno abitativo. E’ impensabile gestire adeguatamente un alloggio, dal punto di vista della decorosità dell’ambiente, della salubrità dello stesso, della sicurezza impiantistica con € 77 al mese – dato nazionale –, considerando poi che € 77 non sono i soldi che hanno a disposizione gli amministratori, ma è il canone, che va depurato dalle imposte, non solo l’IRES, lo diciamo alle Regioni, ma anche l’IRAP. Una situazione paradossale, per cui la Regione prima preleva l’IRAP poi “restituisce” al settore parte dei fondi attraverso un piano di finanziamento. Forse è il caso di lasciare l’IRAP ai gestori di modo che non ci sia neanche uno sperpero di costi di gestione nella partita dare e avere di una risorsa che potrebbe essere usata direttamente dai gestori. La soluzione sarebbe individuare e fissare un “canone di equilibrio” che garantisca la certezza di governare quell’alloggio dal punto di vista dell’ambiente, della salubrità, della sicurezza, della decorosità. Questa è una partita aperta, il canone può essere un canone che garantisca una capacità di accantonamento per delle politiche di investimento, vale a dire un canone da € 150 al mese. Non è una richiesta irrealistica perché chiunque presenta a Cassa depositi e prestiti il progetto per fare del social housing (sulla base del prestito garantito del 40% della Cassa depositi e prestiti) chiede ai Comuni, dove il progetto viene realizzato, la garanzia di intervento, qualora la quota di alloggi, destinati in affitto, produca morosità, a copertura delle entrate (perché un fondo immobiliare deve garantire il rendimento al risparmiatore che ha investito su quel fondo, se c’è morosità è a rischio il rendimento). 23 Allora è legittimo porci alcune domande. Perché deve essere garantito un operatore che investe e fa pagare un canone di € 400 al mese e noi, invece, che ne facciamo pagare € 77 non dobbiamo avere una copertura? Perché nella locazione privata c’è un art. 11 della Legge n. 431 che mette un fondo, se pure sempre più esiguo, alimentato anche con i contributi della Regione, che permette all’inquilino che non ce la fa a pagare il canone di ricorrere al Comune per compensare quello che non riesce a pagare al dott. Gabetti o al suo proprietario di casa? Perché questa cosa non deve essere presente anche nel settore pubblico? E’evidente, quindi, che occorre fissare un canone di equilibrio e avere un fondo di compensazione perché il meccanismo attuale di solidarietà e perequazione interna al sistema, con i dati di impoverimento attuali, non può raggiungere di per sé il canone di equilibrio. Ciò che chiediamo è sicuramente fattibile e non richiederebbe neanche una legge speciale rivolta a noi perché la stessa Legge n. 431 all’art. 11, che sorregge la locazione privata, dice che il fondo è a disposizione dell’edilizia residenziale pubblica e privata e, quindi, è già un fondo che può essere utilizzato dal nostro settore. Il problema è l’entità di fondi ex art. 11 che oggi è insufficiente per la domanda privata, ancora di più lo sarà se aggiungiamo la proposta che stiamo facendo. Questi sono gli indirizzi. Puntiamo a lavorare per questo convegno in collaborazione con la Regione Puglia, Basilicata e le Regioni del Sud per fine ottobre. 2.3 UN MODELLO DI RIFORMA. Dott. Giuseppe Pezzè. Vicepresidente ATER di Belluno «Buongiorno. Vorrei ringraziare il Dott. Donato Cafagna per il titolo di questo incontro che in modo appropriato puntualizza un momento particolare della situazione del patrimonio immobiliare residenziale. Saluto anche il Dott. Luciano Cecchi, Presidente di Federcasa, per il suo accurato intervento che ha anticipato in buona parte anche quello che sarà lo sviluppo della tavola rotonda del pomeriggio. Consentitemi, innanzitutto, di esprimervi le scuse del Prof. Luigino Tremonti, Presidente dell’ATER di Belluno, vi assicuro, molto dispiaciuto di non poter essere presente oggi, ma alcuni impegni organizzativi, collegati all’Assemblea degli Stati Generali degli Enti (che si occupano dell’edilizia residenziale pubblica organizzata, come è noto, da Federcasa a Belluno il 13-14 prossimo), non glielo hanno consentito. Faccio parte del Consiglio di Amministrazione dell’ATER di Belluno da cinque anni con una carica di Vicepresidente; ricopro 24 anche la carica di Presidente del Gruppo Nord-Est di cui sono soci, oltre alle altre sette ATER del Veneto, anche le quattro del Friuli Venezia Giulia e le Province Autonome di Trento e Bolzano, le Province lombarde dell’area di Brescia e Mantova. Sono qui lieto di portarvi le esperienze maturate dalle nostre ATER. Come è noto, con la soppressione definitiva delle contribuzioni ex Gescal, è venuto meno il partecipare al sostegno della realizzazione di nuovo alloggi. In conseguenza di tale scelta, con la delega della materia edilizia pubblica alle Regioni con la Legge Regionale n. 10 del 9 marzo del 1995, dal titolo “Norme per il riordinamento degli Enti di edilizia residenziale pubblica”, la Regione del Veneto ha intrapreso un percorso innovativo nella gestione dell’edilizia pubblica, con il quale ha accentuato gli aspetti economici, salvaguardando quelli sociali, per fornire una risposta al sostanziale disimpegno in una materia così delicata come quella dell’abitazione (che sta maturando a livello nazionale). Non voglio addentrarmi in una dissertazione, ma solo alla forma adottata, al metodo. Tuttavia, è giusto ricordare chi fu il primo in Italia ad assumere un provvedimento assolutamente innovativo nel settore dell’edilizia residenziale pubblica, seguito, poi, da larga iniziativa da parte di altre Regioni. Il provvedimento dell’epoca, considerato come avveniristico, trasformò l’Istituto Autonomo di Case Popolari del Veneto in Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale (ATER). In una nuovissima veste giuridica di Ente pubblico economico, dotata di autonomia gestionale e con il conferimento di compiti del mercato, l’ATER è stata posta potenzialmente in grado di reperire, attraverso la propria attività, soci per l’edilizia residenziale pubblica. Un anno dopo la costituzione delle ATER, una Legge Regionale n. 10 del 2 aprile del 1996 dal titolo “Disciplina per l’assegnazione e la fissazione dei canoni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica” fissa le regole per gli inquilini delle case popolari. Si tratta di una normativa ancora attuale, almeno per quanto riguarda i canoni di locazione, poiché in fondo ispirata a un condivisibile principio di equità solidale. In sostanza, chi ha più reddito paga di più in favore di chi è in situazione di disagio socio-economico, per questo motivo paga un canone inferiore. Voglio darvi qualche numero per inquadrare meglio la situazione delle ATER del Veneto: nel 2008 disponevamo complessivamente di un patrimonio di 43.196 alloggi di edilizia residenziale pubblica, oltre ad un discreto numero delle attività commerciali, dall’alto della domanda di richieste degli alloggi ERP inserite nelle graduatorie comunali risultavano essere 15.719 con un tasso di soddisfazione pari al 10% sull’intero territorio veneto. Vale la pena di ricordare che a quel tempo la popolazione del Veneto era pari a 4.910.170 abitanti, distribuiti in 581 comuni. La superficie del territorio veneto è pari a 18.391 Km2. La mia provincia (consentitemi questa breve precisazione), pur essendo con i suoi 3.678 Km2 quella più grande, è anche la meno abitata: infatti, ha solo 211.493 residenti distribuiti su un territorio completamente montano, non a caso la gran parte del territorio delle Dolomiti (di recente classificato patrimonio dell’umanità) ricade nella nostra 25 provincia. Le ATER del Veneto, subito dopo la trasformazione, si misero immediatamente con grande entusiasmo all’opera per assolvere al meglio la missione a loro affidata dalla Regione. Ci ha aiutato la Regione che ha finanziato interventi di costruzione che sono costati € 30.000.000: la metà finanziati dalla Regione, mentre i rimanenti con i fondi dell’ATER (ricavati dalle alienazioni dei risparmi dei gestori). Apporto venne anche dalle Amministrazioni comunali che, convinti dell’attivismo della nuova gestione, consentirono all’ATER, in particolare a quella di Belluno, anche la cessione estremamente vantaggiosa degli alloggi ERP di loro proprietà. Tuttavia, la missione delle ATER comprende anche una forma di autofinanziamento, non derivante dai canoni di locazione, da destinare alle finalità dell’edilizia pubblica, in quanto ai sensi dell’art. 5, l’ATER provvede ad intervenire sul mercato edilizio allo scopo di locarle o venderle a prezzi economicamente competitivi. Un compito al quale le ATER si dedicano con impegno, con buoni successi e con riflessi positivi, soprattutto, in termini di bilancio societario. Il bilancio del Veneto è pari in media a circa € 140 al mese. Ora tutte le ATER hanno un bilancio di una gestione in attivo, cito per tutte l’ATER di Belluno. Il Fondo mobiliare veneto casa, la cui valutazione finanziaria giungerà a € 50.000.000, è un’iniziativa portata avanti dal Veneto, prima in Italia, che mira a dare risposta al disagio abitativo e a chi ha un reddito troppo basso per poter fruire dell’edilizia sovvenzionata e non possono permettersi di corrispondere i prezzi richiesti dal mercato generale. Le riflessioni sull’edilizia residenziale pubblica vanno anche oltre: non si pensi, infatti, che le assegnazioni di un alloggio ATER sia un vitalizio, grazie al quale il cittadino possa ritenere archiviato il problema dell’abitazione. Gli alloggi sociali devono mantenere la loro primaria finalità, che è quella di sostenere temporaneamente le famiglie in difficoltà, ossia per tutto il tempo necessario affinché esse superino i problemi economici, anche con l’aiuto di altre vie di intervento nei settori dell’occupazione. In questa logica, il patrimonio immobiliare di proprietà dell’ATER deve cessare di essere un patrimonio morto (in realtà non lo è assolutamente) e, quindi, va ceduto agli inquilini a prezzi collegati al canone (ed uscendo, in questo modo, dalla logica assistenzialista sulle quali spesso certi tendono ad adagiarsi). La proposta è ancora in fase di definizione e non so se ne vedremo l’esito, visto che siamo a fine mandato. Tuttavia, voglio augurarmi che prevalga il buon senso di una soluzione equilibrata.». 26 2.4 IL PUNTO DI VISTA DELLA REGIONE PUGLIA. Angela Barbanenente - Assessore alla Qualità del Territorio della Regione Puglia «Buongiorno a tutti. In primo luogo, voglio ringraziare lo IACP della Provincia di Foggia per aver organizzato questo interessante incontro. Con estrema sincerità, io affermo il bisogno di riflettere sulla nostra esperienza, ormai quinquennale, data da una continuità amministrativa in questo secondo mandato. Avverto tutta la responsabilità di chi insediatosi nel 2005, ha trovato una situazione negativa di questi Enti: situazioni debitorie molto gravose (come quella di due IACP in dissesto finanziario, Brindisi e Taranto, ma anche la situazione di Lecce, benché il suo dissesto non era stato dichiarato, di fatto era una situazione debitoria molto pesante). Lo IACP di Foggia, ad esempio, registrava determinati livelli di morosità. Ma io voglio evidenziare, al di là dei numeri, una cultura che si era affermata per effetto anche di una norma che aveva acconsentito la sanatoria delle occupazioni abusive (che, poi, era stata interpretata come estensibile alla dimensione della morosità sui canoni, sui servizi, e, quindi, una situazione complicata dal punto di vista amministrativo). Io sottolineo questo aspetto culturale perché ritengo che sia un aspetto chiave. Noi siamo in una Regione in cui vige una legge vecchia, ma molto lungimirante; una legge ben fatta, il cui nucleo è dato dal principio del diritto alla casa. Malgrado ciò, lo scostamento tra quanto sancito dalle norme e le pratiche concrete è davvero rilevante. Questa, pertanto, è la situazione; una situazione che richiede la collaborazione degli Enti, dei Commissari, dei dirigenti, del personale degli Enti, dei i Sindacati, con i quali noi abbiamo un protocollo di intesa e condiviso tutte le azioni. C’è questo aspetto culturale che io devo sottolineare, soprattutto dopo aver ascoltato l’ultimo intervento. Qui ha dominato per lungo tempo l’idea che il patrimonio pubblico sia da utilizzare, una volta entrati, come un diritto assoluto senza doveri e, soprattutto, un patrimonio del quale non se ne avvertiva l’appartenenza. Quindi, a fronte di quel livello di canoni, noi avevamo una condizione culturale che forniva coperture a questa propensione a non pagare. Questo noi lo abbiamo immediatamente rilevato come inaccettabile, innanzitutto, per ragioni di equità. Non è pensabile, ormai a più di 10 anni dall’abolizione della tassa Gescal (che garantiva un flusso continuo delle risorse al settore dell’edilizia residenziale pubblica), immaginare che possa esserci un divario, tollerato dal punto di vista politico e sociale, così ampio tra chi (passatemi il termine) ha avuto la fortuna di accedere negli Anni Ottanta, fine Anni Ottanta, ad un alloggio dell’edilizia residenziale pubblica e godere di alcune tutele (l’11% massimo del livello di canone sul reddito delle persone; quanto previsto è stato ritoccato nella nostra manovra di riequilibrio dei canoni che noi abbiamo approvato nella scorsa legislatura), a fronte di coloro che (ossia i poveri 27 odierni, i cosiddetti nuovi poveri), invece, sul mercato non solo non trovano alloggi dignitosi, ma, quando ciò avviene, sono costretti a pagare dei canoni che (almeno nella mia città) raggiungono dieci volte quello che si paga in alloggio dell’edilizia residenziale pubblica. Allora, la politica ha il dovere di perseguire gli obiettivi di equità e tenere, si fa per dire, la “barra dritta”. Questo noi lo abbiamo fatto negli scorsi cinque anni, grazie alla collaborazione di tutti; devo, purtroppo, però sottolineare (perché voglio essere molto franca) quanto sia difficile modificare le culture, cioè il modo di ragionare e di comportarsi di tutti. Se, appunto, questi decenni trascorsi sono caratterizzati da queste abitudini culturali è abbastanza scontato che io in Consiglio regionale abbia dovuto fronteggiare richieste di estensione dei tempi della sanatoria prescritti dalla Legge n. 1/ 2005 all’art. 60; così come è ovvio che abbia dovuto fronteggiare norme che tendevano ad interpretare la sanatoria come estesa anche alla morosità, le spinte legate a singoli e specifici interessi che ignoravano la grande platea del disagio, alla quale noi oggi abbiamo difficoltà in tempi di crisi (per richiamare il titolo del convegno di oggi) a fornire risposte adeguate e tempestive. Di questo è importante esserne consapevoli tutti. Va sottolineato, in senso positivo, che gli argomenti utilizzati dalla sottoscritta e da altri Consiglieri del Consiglio regionale, sono riusciti a fronteggiare queste spinte corporative. Questo significa, inoltre, che stiamo parlando di argomenti forti, aventi una loro robustezza, e idonei a penetrare nella cultura delle nostre classi dirigenti. Spetta, dunque, a tutti noi avere quella forza, prima di tutto, etica e morale, di impegno civile e politico, tale da garantire la legalità nel patrimonio pubblico e l’equità nella condizione abitativa nella nostra Regione. Perché poi l’obiettivo è questo; il tema della sostenibilità economica è ineludibile se ci si pone degli obiettivi di equità. A questo proposito, l’efficienza degli Enti pubblici è di primaria importanza per garantire obiettivi di equità; il tema dell’efficienza non può essere declinato in termini scollegati e sconnessi da quello dell’efficacia e dell’equità delle politiche perché se non c’è efficienza, buona gestione (ossia, se non c’è una gestione attenta dei conti pubblici e del patrimonio pubblico in questi Enti) è di tutta evidenza che gli obiettivi sociali non sono raggiungibili. Quindi, queste dimensioni di sostenibilità sociale ed economica si devono intrecciare strettamente. E noi abbiamo messo appunto (come molti di voi sanno ma lo voglio ricordare per i nostri ospiti) un Piano casa tutto incentrato sul tema della riqualificazione. Questo perché noi siamo profondamente convinti (e i dati riportati dal Dott. Donato Cafagna sono particolarmente evidenti e non richiedono molti commenti) che il patrimonio degli Enti è obsoleto e necessita così di essere riqualificato, poichè la riqualificazione consente di spezzare quel circolo vizioso tra degrado del patrimonio e morosità dei canoni di affitto (che è una vera e propria piaga di questo settore). Parliamo, in effetti, di € 62.000.000 che noi 28 abbiamo investito proprio nella riqualificazione del patrimonio pubblico, che, a loro volta, hanno contribuito all’apertura di molti cantieri, in diverse parti della nostra Regione; fondi che hanno integrato quelli provenienti dalla Legge n. 560 (che evidenzia difficoltà, anche perchè è una legge dalla quale sono derivati tanti problemi). Come noi sappiamo, il problema dei condomini misti grava sugli IACP in misura non trascurabile; di qui, la recente norma che consente la vendita di questi, allentando alcuni vincoli previsti dalla Legge n. 560 (noi riteniamo che questo sia un nodo critico particolarmente importante, così come l’età degli utenti usufruenti il nostro patrimonio pubblico). Anche per questo abbiamo approvato una norma che è contenuta nella cosiddetta legge “sul recupero dei sottotetti” che consente, per quanto attiene al solo patrimonio dell’edilizia residenziale pubblica, la chiusura dei porticati, dei piloty a piano terreno. Tutto ciò è pensato per realizzare nuovi alloggi a basso costo a piano terreno, in modo tale da agevolare gli Enti che oggi sono costretti a realizzare gli ascensori (laddove non previsti) oppure appositi impianti per i diversamente abili; ulteriore vantaggio è, poi, anche quello di incrementare il patrimonio pubblico e di migliorare, dal punto di vista energetico, gli edifici. È un programma che mi pare stenti ad essere realizzato, perché richiede preliminarmente un censimento degli immobili che presentano queste caratteristiche e che, quindi, possono essere, così, trasformati. E poi voglio sottolineare l’esperienza dei PIRP che è stata più volte citata dal Dott. Donato Cafagna; questi programmi integrati di riqualificazione delle periferie hanno visto un investimento massicci (€ 93.000.000 con i fondi del Piano casa regionale che nel complesso ammontava a € 210.000.000) e un’integrazione di risorse mediante i fondi comunitari integrati con i fondi FAS: quindi, fondi FESR (per la realizzazione di infrastrutture e servizi) e i fondi FAS (per la realizzazione della residenza integrata ai servizi, perché oggi, lo sappiamo tutti, parlare di diritto alla casa significa diritto ad un abitare di qualità di case e servizi). Memori delle esperienze negative degli anni passati, nel momento in cui, per far fronte ad una domanda quantitativa di alloggi molto elevata, si sono costruite queste periferie urbane, si dovrebbe pensare alla difficoltà di ricucirle alla città storica e consolidata, per evitare la cosiddetta ghettizzazione, temuta, per i “nuovi italiani” (come venivano chiamati); problema che si mira a risolvere definitivamente, attraverso un approccio integrato, non solo integrazione pubblico/privato, mediante i PIRP. Questi programmi, difatti, sono costruiti con la partecipazione degli abitanti. In molti Comuni, in modo spesso inedito, i programmi sono stati messi appunto dai progettisti, professionisti incaricati dalle Amministrazioni Pubbliche, coinvolgendo le popolazioni che abitano quei quartieri e che, quindi, meglio di chiunque altro conoscono i problemi del quartiere. Quando si passa da un intervento sulle parti periferiche ed esterne, non edificate delle città, a interventi sulla città esistente, dal mio punto di vista, la partecipazione è ineludibile. La 29 partecipazione degli abitanti dovrebbe essere così scontata da non dover essere necessario introdurle in bandi e norme (come, invece, siamo costretti a fare perché questa non è la prassi; perché non c’è l’abitudine a farlo; perché al solito quanto previsto nelle norme ha anche bisogno di un accompagnamento sul territorio, cosa che abbiamo fatto con i PIRP attraverso dei veri e propri programmi di accompagnamento con l’assessorato alla cittadinanza attiva). E, spesso, i cittadini dicevano: «Ma cosa vuol dire questa partecipazione addirittura nella fase di organizzazione dell’intervento; come mi devo organizzare? Cosa faccio un’assemblea pubblica?». Questa attività importante di accompagnamento è stata un’esperienza talmente diffusa nella nostra Regione, perché ha coinvolto 122 Comuni con 129 programmi. Essi avevano la possibilità di avanzare due programmi. Io credo che questa strada, ormai, sia spianata e quasi obbligata. Dopo avere sperimentato questo modo di lavorare, io mi auguro che sia difficile tornare indietro, ossia che quando si interviene nei quartieri si senta l’esigenza di realizzare quel valore aggiunto di comunicazione e di partecipazione che ha introdotto molti elementi di qualità in programmi, altrimenti, chiamati integrati (ex Legge n. 203; i primi programmi integrati erano quelli, in piena zona agricola, siamo a Foggia quindi non devo spendere molte parole per ricordarlo). La Legge n. 21, “Norme per la rigenerazione urbana”, tende a tradurre in modo ordinario ciò che è stato, con l’esperienza dei PIRP, straordinario. Più di recente, ai fini della selezione delle proposte comunali per l’asse 7 del Fondo europeo di Sviluppo regionale, noi chiediamo il documento programmatico per la rigenerazione urbana, quale condizione per poter accedere ai finanziamenti (destinati alla riqualificazione della città, quindi alla rigenerazione urbana nel linguaggio della Legge n. 21). I Comuni sono in ritardo su questo punto, perché molti di essi non hanno ancora adottato documenti programmatici per la rigenerazione urbana. Tuttavia, conoscendo vizi e virtù di questi ultimi, noi abbiamo previsto che, qualora entro 180 giorni dall’approvazione della legge (che è del 2008, lo ricorderete tutti), i Comuni non si siano dotati di documento programmatico per la rigenerazione urbana, tutti i soggetti, pubblici e privati, possono proporre programmi integrati di rigenerazione urbana. Io credo che su questo i nostri IACP debbano lavorare, diventando essi stessi promotori di programmi integrati di rigenerazione urbana. Ciò proprio nei Comuni in cui particolarmente critiche sono le condizioni di vetustà del patrimonio pubblico, avendo la garanzia del sostegno regionale, anche dal punto di vista delle necessarie varianti urbanistiche. Io lo dico in modo molto chiaro: spesso, questi nostri quartieri di edilizia residenziale pubblica sono stati progettati, soprattutto nelle grandi città, non a misura d’uomo. Noi abbiamo la necessità di realizzare delle buone varianti, ossia delle varianti urbanistiche che consentano intanto di creare un’integrazione tra classi sociali, laddove non c’è. Dove questi quartieri sono sorti con una 30 grande densità di patrimonio pubblico e, dunque, di fascia sociale a basso reddito, abbiamo bisogno di integrare la residenza con servizi, con infrastrutture, con impianti sportivi, con attività che possono essere gestite dal pubblico ma anche dal privato. Spesso in queste aree mancavano i negozi, erano pensati come modelli isolati dalla residenza. Quando questi quartieri erano grandi, la distanza tra la residenza e i servizi diveniva intollerabile. Ciò vuol dire che non c’è stata convenienza economica a realizzare questi centri servizi. In altri termini, occorre lavorare molto su questo tema, perché questa è una legge, avente delle rilevanti potenzialità, dal mio punto di vista, non ancora utilizzate e valorizzate. L’altra norma, che questa volta i Comuni non hanno ancora appieno utilizzato, è la Legge n. 12/2008) finalizzata ad aumentare l’offerta di edilizia residenziale sociale. Noti il nostro patrimonio e, soprattutto, i nostri strumenti urbanistici, noi abbiamo messo appunto una legge che si aggancia ai due commi della Legge finanziaria del 2007, proprio quelli relativi alla definizione di legge sociale. Abbiamo approvato una legge che consente di utilizzare le aree destinate a standard urbanistico in esubero, rispetto ai minimi di legge, per la realizzazione di edilizia residenziale pubblica e di edilizia residenziale sociale. Con un meccanismo molto semplice, che prevede la possibilità di rimettere in circolo, possiamo dire, le aree a standard non utilizzate (con i vincoli decaduti e, quindi, a rischio di utilizzazioni non coerenti con la destinazione a servizi): esse si reintroducono nel sistema della pianificazione urbanistica, attraverso il meccanismo del comparto perequativo, quindi, attribuendo un indice molto basso e conservando la destinazione a servizi per la parte necessaria a raggiungere lo standard urbanistico (garantendo, così, la cessione dell’altra parte da destinarsi a edilizia residenziale pubblica e sociale). Ulteriore argomento è la possibilità di incrementare gli indici di zona. Un altro difetto di alcuni nostri strumenti urbanistici è quello che, io dico sempre scherzando, per raggiungere i terreni dei cugini non solo si prevedevano 35 m2 per abitante di standard urbanistici, (perché quelli non erano sottoposti al controllo del dimensionamento residenziale urbanistico), ma anche indici molto bassi; quando i piani erano molto sopradimensionati, la Regione nell’operare il controllo su questi ultimi, non sapendo dove risparmiare, riduceva l’indice, col risultato che questi insediamenti sono spesso rimasti sulla carta, perché un indice troppo basso non è un indice sostenibile dal punto di vista economico. E allora l’idea è quella di prevedere un incremento di indice da destinare all’edilizia residenziale pubblica e sociale con cessione di una parte di suoli, perché altro problema patologico di questa Regione è la mancanza di suoli; perciò, io ne sottolineo l’importanza, proponendo, se volete, di creare un gruppo di lavoro a livello regionale per l’attuazione, attraverso proposte degli IACP ai Comuni, della Legge n. 21 e della Legge n. 12 del 2008. Un gruppo di lavoro che, sostenuto dal nostro Osservatorio, 31 regionale per la condizione abitativa, e con la partecipazione, ovviamente, delle Organizzazioni Sindacali, degli organi professionali, faccia una ricognizione per potere avanzare proposte alle Amministrazioni comunali di programmi di rigenerazione urbana direttamente gestiti dagli Istituti, proposte di applicazione della Legge n. 12 in ambiti di 167, nelle quali spesso queste aree destinate a servizi abbondano in maniera davvero cospicua. Questa è una prima proposta che mi sento di fare. L’altro aspetto da approfondire attiene al problema della vetustà del patrimonio, perché è possibile mettere appunto degli interventi che consentano, laddove conveniente, la demolizione delle costruzioni assieme al privato. Io cito l’esperienza che forse molti di voi conoscono, altri sicuramente no ed è in corso a Bari al quartiere S. Girolamo, dove abbiamo trovato una situazione che io non condividevo, dal punto di vista politico, nè ritenevo realizzabile, dal punto di vista pratico. Noi a Bari abbiamo due quartieri: uno risalente al primo Novecento (esso è tra i più antichi insediamenti di edilizia residenziale pubblica in Italia di grande interesse, tra l’altro vicino al mare, al palazzo della Provincia, della Regione, vale a dire in un luogo di grande pregio dal punto di vista ambientale, culturale, urbanistico); mentre, l’altro, il quartiere S. Girolamo, è molto degradato, da in punto di vista di edilizia residenziale pubblica, con una situazione risolta più volte ma senza risultati significativi. Lo studio di fattibilità che abbiamo svolto prevedeva la demolizione dell’insediamento di pregio per la realizzazione di due grattacieli (questo era l’esito di un concorso di idee, tutti da destinare ad edilizia privata) e il trasferimento delle famiglie di quel quartiere in quello di S. Girolamo (ossia quello degradato che sarebbe stato demolito e ricostruito con una densificazione più o meno doppia rispetto a quella esistente), per effetto della possibilità data dallo strumento urbanistico che consentiva un indice più alto rispetto a quello vigente. Ovviamente, questo intervento non mi trovava assolutamente d’accordo; per altro, io lo trovavo di difficile realizzazione, perché quelle famiglie, composte, spesso, da persone anziane che, vivendo nel quartiere di pregio, non avrebbero mai abbandonato le proprie abitazioni; avremmo avuto, dunque, problemi sociali. Abbiamo, così, radicalmente modificato l’intervento, prevedendo il recupero del quartiere sito al centro della città (nella zona di pregio) e nel quartiere S. Girolamo, mettendo insieme risorse diverse (regionali, comunali, di fonte comunitaria per la riqualificazione del lungomare) e pubblicando alcuni bandi che richiamassero il privato a demolire e ricostruire per riassegnare un nuovo alloggio efficiente e confortevole. Questo, secondo me, è il modello da seguire, perché ha il vantaggio di aver creato in quell’ambiente da un lato una condizione di riqualificazione urbana evidente, dall’altro quella mescolanza sociale che consente all’edilizia residenziale pubblica di integrarsi realmente nel tessuto della città. 32 Abbiamo avviato questo processo (poi, probabilmente ne parlerà anche oggi pomeriggio l’Avv. Sabino Lupelli) con grande pazienza e fatica, perché si tratta di demolire degli alloggi e mettere a disposizione degli alloggi nuovi, effettuando una rotazione del patrimonio pubblico. Ma io credo che questa sia una strada obbligata, perché a volte lo stato di degrado è così notevole da richiedere interventi radicali. Quanto detto riguarda non solo il patrimonio pubblico nel nostro Paese, ma, in particolare, il patrimonio pubblico che nei cosiddetti “Anni della quantità” è stato realizzato con materiali spesso scadenti e in ubicazioni non convenienti. In altri termini, oggi il patrimonio pubblico necessita di un radicale intervento di riqualificazione. Il tema dei beni confiscati alla mafia poi mi sembra davvero di notevole interesse. Oggi noi abbiamo una gamma di diverse situazioni di bisogno alle quali dobbiamo rispondere, ma la domanda è più articolata rispetto a quella dei decenni passati. Parliamo degli immigranti, dei giovani, ma anche delle famiglie numerose, degli studenti, dei giovani single, delle nuove famiglie in formazione. Più segnatamente, noi abbiamo una gamma di domande a cui dobbiamo essere in grado di dare le risposte più mirate e pertinenti, con un’attenzione per quanto riguarda il tema dei migranti e degli studenti, per non creare conflitto tra chi (attendendo una casa da decenni, in alcuni casi) è in graduatoria e i nuovi cittadini italiani. Questo è un punto molto delicato in alcune parti del Paese, nel quale, come nel Mezzogiorno, a bisogni mai soddisfatti se ne sommano nuovi emergenti. A Foggia è importante dire questo, perché si vive ancora nei container, nelle grotte, nelle baracche, nei quartieri settecenteschi, ci sono condizioni di disagio molto profondo. Allora dobbiamo prestare attenzione a tale problema e costruire dei percorsi mirati che consentano di dire che per gli immigranti lavoriamo sul piano dell’inclusione sociale, sul quale si comprende la casa come diritto anche per costoro. Con il collega Frattoianni (che ha la delega alle politiche sull’immigrazione), stiamo progettando un percorso per promuovere l’autocostruzione, destinato in modo mirato agli immigranti, legato a percorsi di formazione per il loro inserimento nel mondo del lavoro. Sappiamo bene che la gran parte degli immigrati poi trova lavoro, soprattutto, in ambito dell’edilizia. Unire, dunque, questi due aspetti è un modo anche per gestire la complessità del fenomeno migratorio, evitando di mettere in concorrenza figure diverse e generare quei fenomeni che possiamo definire a rischio razzismo (che sono avvenuti in tutti i Paesi occidentali con massicci ingressi di stranieri non sostenuti dagli Enti pubblici conosciamo episodi francesi più recenti, ma anche quelli della Gran Bretagna). Questo è un tema. L’altro riguarda proprio i giovani, per i quali dobbiamo costruire dei percorsi mirati. Si pensi, a titolo esemplificativo, al tema del co-housing. E’ molto interessante, proprio con riferimento ai giovani, la sperimentazione di modelli flessibili di abitazione. E’ molto 33 importante quanto detto dal Presidente Luciano Cecchi in merito. Noi dobbiamo cambiare il modo di costruire e sperimentare sempre più nuovi metodi. Le case sono costruite sempre con lo stesso criterio, ormai da secoli, ma oggi è necessario pensare ad abitazioni che siano facilmente modificabili (soprattutto nel patrimonio pubblico), qualora il nostro obiettivo, nel patrimonio pubblico, sia quello di migliorare il turn-over per una maggiore equità anche nella gestione e distribuzione del patrimonio. Oggi noi abbiamo case molto grandi, abitate da una sola persona anziana. Ecco questo è uno spreco che non ci possiamo permettere ed anche questo, secondo me, deve essere un intervento da sostenere. Io credo che in questa legislatura vada assolutamente varata una riforma. Io ho subito molti attacchi e diverse pressioni per aver prolungato questi commissariamenti, perché molto spesso il tema del commissariamento si associa ad una gestione politica cosiddetta impropria. Non abbiamo avuto difficoltà con il Presidente nel sostenere e dimostrare che questo è stato un diverso commissariamento; diverso, innanzitutto, perché affidato ai Viceprefetti, “non agli amici degli amici”. In secondo luogo, perché le questioni che noi abbiamo trovato non erano tali da essere risolte realisticamente in un arco di tempo breve, in quanto è emerso un ventaglio di situazioni, derivanti da decenni di mal governo degli Enti. Guardate, io vorrei essere chiaro: questi erano Enti gestiti in modo da avere come ultimo pensiero quello dell’utenza. Se fosse stato diversamente, io credo che ci sarebbe stata la fuga dagli Enti e nessuno mai avrebbe voluto fare il Commissario o il Presidente di uno di questi Enti (io lo dico almeno dal punto di vista della mia sensibilità). Io non avrei voluto trovarmi in quella posizione, perchè essere in una posizione nella quale non si è in grado di dare delle risposte è la posizione peggiore nella quale una persona di normale sensibilità possa trovarsi. Allora, è di tutta evidenza che se c’è la corsa a quegli Enti significava che forse il primo pensiero non era l’utenza (ma questo lo sappiamo, questo riguarda anche la sanità e altre strutture). Questi lunghi commissariamenti, pertanto, sono stati commissariamenti giusti per avere oggi finalmente delle posizioni diverse rispetto a quelle che abbiamo trovato. Lo ha riferito il Dott. Donato Cafagna per Foggia; mentre per Bari lo dirà l’Avv. Sabino Lupelli: noi abbiamo recuperato oltre € 50.000.000 di debiti a Brindisi, oltre € 20.000.000 a Lecce, oltre € 30.000.000 a Taranto, attraverso transazioni con l’Acquedotto, gente che si è rimboccata le maniche e giorno per giorno ha lavorato per difendere l’edilizia residenziale pubblica, perché qui (diceva benissimo Cecchi) c’è “un’ubriacatura collettiva”, nel senso che noi non possiamo fare a meno dell’edilizia residenziale pubblica. Noi non possiamo dare ai privati la responsabilità di una salvaguardia sociale che non rientra nella loro missione; ciò rientra nella nostra missione. Allora se le parole hanno un senso e se la casa è un diritto e un servizio sociale per chi è a basso reddito, devono conseguire una serie di 34 provvedimenti rilevanti. Non si pagava l’ICI sul patrimonio IACP? Ci sono delle situazioni sulle quali noi dobbiamo riprendere la capacità di scandalizzarci, di dire «Ma scusate, ma come legiferate? Come è possibile una cosa del genere?». Il Piano casa nazionale ha delle criticità nella sua attuazione nel Mezzogiorno, perché noi non abbiamo un privato sociale robusto, attrezzato, capace di investire e di gestire; perché il problema serio dell’affitto è la gestione. Io quotidianamente parlo con imprenditori per il lavoro che faccio ormai da cinque anni e loro si rendono perfettamente conto che, se il loro contributo possono darlo per la costruzione (che è il loro mestiere), per la gestione no. Quelli che nella nostra Regione possono farlo, sono solo gli IACP della Puglia (spero di essere smentita, se qualcuno volesse, ma ne dubito perché neanche le più grandi Organizzazioni Cooperative sono in grado di farlo), perché la redditività è bassa rispetto ai livelli di reddito e alle tutele che noi dobbiamo garantire. Allora, è certo che dobbiamo rendere questi Enti più attrezzati e orientati a un modo attivo di operare. Questo è, credo, il compito che noi abbiamo di fronte, già individuato nell’atto di indirizzo che abbiamo condiviso con le Organizzazioni Sindacali, con gli IACP e con la Giunta Regionale (dove noi abbiamo approvato nello scorso mandato i punti sollevati dal Dott. Donato Cafagna e contenuti in quel documento). Altro argomento è la definizione dei canoni. Io sono d’accordo sulla più equa definizione dei canoni. Io sottolineo “più equa”, perché noi dobbiamo dare questo messaggio: guardiamo all’intero disagio, come Ente pubblico, non soltanto agli utenti del patrimonio degli IACP; noi dobbiamo guardare ai cittadini della Puglia in condizione di povertà e di disagio. La forbice è troppo ampia tra chi è dentro e chi è fuori e, siccome noi vogliamo ampliare la platea di chi è, per così dire, dentro, occorre operare sui canoni. Ciò significa, però, anche operare con intelligenza e con capacità, vale a dire che per le fasce più alte di reddito si può ritoccare in misura maggiore, perché non è lineare il rapporto reddito/fitto. Del resto, ciò non può essere lineare, dal mio punto di vista. Si richiede, pertanto, di migliorare tale punto, mediante quello che noi chiamiamo “foto sociale”, ossia con l’integrazione dell’affitto da parte degli Istituti, non solo dei Comuni, della Regione, ex Legge n. 431 (nella quale concorrono diverse fonti di finanziamento, statale, regionale, comunale). In questo caso potremmo pensare anche a quella degli IACP (derivante dal meccanismo che prevede che da canoni più elevati si riesce a trarre anche un po’ di risorse per i canoni più bassi). Per quanto attiene all’unica Agenzia regionale, nell’Atto di indirizzo, approvato in Giunta regionale, facevamo un ragionamento meno incisivo: «Conserviamo i cinque Enti, creando una forte struttura di coordinamento». Devo essere molto sincera: poiché questa nostra esperienza di commissariamento prosegue e prevede un monitoraggio continuo delle situazioni, mi rendo conto 35 che ci sono alcune questioni critiche di alcuni Enti, i quali rischiano di non essere proprio sostenuti, dal punto di vista economico. L’idea di un accentramento di alcune funzioni, quindi, già contenuta nel nostro Atto di indirizzo, riguardante solo il coordinamento di alcune funzioni in capo a una struttura ad hoc, va, dal mio punto di vista, attentamente valutata con l’accortezza di calibrare bene il rapporto tra funzioni da accentrare e funzioni da decentrare e, probabilmente, da decentrare ancora di più in talune situazioni, come, ad esempio, l’apertura di sportelli comunali (perché Foggia è una Provincia molto ampia e il rapporto con l’utenza, sempre più anziana nel capoluogo, può non essere adeguato; lo stesso vale per Lecce). E’ necessaria, quindi, un’analisi delle situazioni di fatto e dei rapporti tra attività gestionale e attività di promozione e di progettazione che, secondo me, è un punto molto critico. La Puglia è ancora impegnata intensamente su questo tema della casa. Noi adesso speriamo che, rapidamente, dopo l’incontro intervenuto tra il Presidente Vendola e il Ministro Fitto, riusciamo a sbloccare le risorse FAS, nelle quali non solo è prevista una quota cospicua di finanziamenti per l’edilizia residenziale pubblica nell’ambito di programmi di rigenerazione urbana, ma anche un grande programma di miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici, ovviamente ivi compresi gli edifici pubblici. Io credo che sia molto importante l’incontro di oggi per riprendere anche un ragionamento sui temi ad inizio mandato, che ci stanno particolarmente a cuore. Io credo che nel mese di ottobre prossimo dovremo organizzare una nuova conferenza programmatica, come quella che tenemmo nel 2006, che si ricorderà, è diventata il canovaccio sul quale abbiamo lavorato negli anni successivi di quel mandato. Questo incontro io lo considero quasi come preparatorio a questa conferenza di ottobre, che ci dovrà traguardare verso alcuni obiettivi: quello della riforma degli Enti; della revisione della Legge n. 54 per quanto attiene non solo ai canoni, ma anche ad alcune incongruità nei meccanismi di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Mi piacerebbe moltissimo se riuscissimo a lavorare, in questi mesi fino ad ottobre, per presentare alcune proposte ai Comuni di rigenerazione urbana per quartieri di edilizia residenziale pubblica nella nostra Regione». 36 2.5 INTERVENTO. Dott. Michele Lastella - Commissario Straordinario IACP Brindisi «Per la prima volta nella mia vita, onestamente, mi sono sentito investito di una doppia responsabilità, cioè quella di “curatore fallimentare” e di “Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati” perché ho ricevuto, per venti giorni circa, undici avvocati al giorno, che ci difendevano in centinaia e centinaia di cause. In altri termini, si è scoperto, insieme ai miei collaboratori, che lo IACP di Brindisi dispensava tutto ad eccezione dei servizi all’utenza. Si registrava, dunque, un disordine difficilmente gestibile. Avevamo trovato la struttura fortemente demotivata, con dipendenti trascurati e diffidenti, con le Organizzazioni Sindacali di categoria degli inquilini emarginati e che non partecipavano, ormai, da tempo alla vita democratica dell’Ente nell’assunzione di responsabilità e nella conoscenza della struttura dell’Ente. Ci siamo trovati in questa situazione dove la dignità dell’Ente, anche nel rapporto e nel dialogo istituzionale con gli altri Enti, era sminuita: debiti, una morosità di canoni di locazione e controversie con l’Acquedotto di decine di milioni di euro. A quel punto, siccome io non ritengo che nella Pubblica Amministrazione vi siano scienziati dell’Amministrazione, ma solamente persone di buona volontà che lavorano nel perseguimento dell’interesse pubblico (e in questo, chiaramente, io ringrazio i miei più stretti collaboratori, che, dal primo momento, hanno capito la mia intenzione a tal riguardo e hanno cercato di lavorare insieme, al fine di raggiungere qualche piccolo obiettivo), dopo cinque anni (c’è voluta tanta fatica, di complesse trattative, di lavoro indefesso, di visite, di controlli, di controllo del patrimonio, controllo dei lavori fatto personalmente) e dopo che al cittadino è stato fatto percepire che vi era in corso un cambiamento di mentalità e di cultura e di approccio al bene della casa (e che la casa era un bene usufruibile in quanto l’Ente e il cittadino condividevano insieme le sorti del bene e l’utilizzo del bene), abbiamo ottenuto un utile di esercizio di € 3.000.000. Tutto ciò è stato ottenuto in cinque anni, ma io penso che in un paio di anni raggiungeremo il pareggio del bilancio. Questo non significa che è “tutto rose e fiori”. Negli ultimi due anni, noi abbiamo recuperato un utile di € 1.200.000 di morosità di canoni di locazione, perché la nostra azione è stata di comprendere le esigenze di tutti gli assegnatari; noi valutiamo, persino, nel dettaglio ogni singolo caso specifico: dalla condizione familiare, ad eventuali stati di handicap in famiglia, a condizioni lavorative; tutto ciò per bilanciare la massima comprensione alla massima durezza e rigidità nei casi di furbizia, nei casi di approfittamento della cosa pubblica e, soprattutto, nei casi in cui ci siamo accorti che c’erano anche persone che potevano sostenere il pagamento dei servizi e non lo facevano. Siamo stati implacabili. Però, del resto, abbiamo fatto comprendere al cittadino che cosa significa rendere un servizio pubblico. 37 Io vi inviterei a vedere che cosa è la zona delle case popolari (diciamo così volgarmente) di Cisternino, dove abbiamo creato un gioiello; tra l’altro mi ricollego a quello che diceva l’Assessore Barbanente e mi sono accorto che nella Provincia in cui lavoro, alcuni beni paesaggistici, su cui si insediano gli IACP, sono caratterizzate da visioni panoramiche di notevole splendore, perché, sebbene c’è stato lo IACP, sono state costruite case, purtroppo abbandonate da quarant’anni. Vi invito a vedere alcune zone di Ostuni e Cisternino, dove la zona è rimasta intatta, e abbiamo fatto alcuni interventi e responsabilizzato i cittadini; si è, così, riscoperto il desiderio, avvertito in alcune zone del territorio, di crescere insieme a noi. Certamente la Provincia di Brindisi è molto variegata: la zona nord ha un reddito più alto, perché ha una forte vocazione turistica (la Valle d’Itria); la zona centrale di Brindisi ha un carattere fortemente industriale; la zona sud ha un aspetto prevalentemente agricolo con diversità di fasce sociali e di reddito etc. In altri termini, alcune zone rispondono meglio di altre. Però, abbiamo visto anche in materia di pagamento dell’acqua, avevamo € 18.000.000 di debiti con l’Acquedotto, che i cittadini, se adeguatamente informati sull’utilità di quello che fanno, pagano. Certo è un sistema, un circuito vizioso perché si fa l’intervento solo se il cittadino è in regola con il canone, diversamente, se questi non lo è (perché non paga), significa che non vede l’intervento. Si constata che le situazioni si modificano con la buona volontà e con il coraggio, dice il Direttore generale dello IACP. Io dico con comune senso dell’interesse pubblico, perché ci siamo assunti delle responsabilità con firme pesantissime, di fronte anche al vaglio della Corte dei Conti; io ritengo, però, che, a prescindere da tutte le leggi che si possono fare, sia fondamentale la qualità delle persone che si assumono la responsabilità e che cercano di risolvere il problema (perché la Pubblica Amministrazione questo deve fare: risolvere il problema della gente). Chiudo, ma solo per rendere edotti di dove siamo arrivati con tutte le difficoltà aggiungo che noi abbiamo addirittura allestito una palestra, che era occupata da oltre trent’anni da una famiglia di pregiudicati. Abbiamo cacciato costoro, ristrutturando, per la terza volta in trent’anni, questa palestra e l’abbiamo affidata, con il consenso del CONI nazionale e regionale, ad una federazione di sport minori. Brindisi è diventata, in quella palestra dello IACP, centro di eccellenza come quella di Milano. Abbiamo riqualificato il patrimonio, siamo passati a € 270.000.000 di patrimonio, perché gli elenchi catastali non erano stati mai aggiornati, erano rimasti a 30-40 anni fa. Abbiamo svolto diverse iniziative; non da ultimo vi è l’intenzione di avviare un programma di informazione istituzionale con la cittadinanza, per renderla partecipe alla vita dell’Ente; di capire qual è il bilancio e la sua funzionalità, di creare degli info point nelle zona disagiate. Vi potrei parlare di tanto altro, ma era solo per darvi un segnale di quella che è stata la nostra esperienza a Brindisi fra le tantissime difficoltà. 38 Questo che vi ho detto serve a rispondere all’ipotetica domanda del convegno: «E’ possibile l’edilizia residenziale pubblica in questo momento?». Secondo me sì e sarà ancora più possibile se, dal punto di vista ideologico, si trasmettesse a livello nazionale che il diritto alla casa è come il diritto alla salute, cioè tutti possono avere bisogno della casa, soprattutto, con le nuove povertà. Fra l’altro la Prefettura di Brindisi avvierà a settembre la prima Conferenza provinciale sul disagio sociale, a cui lo IACP parteciperà (perché non è stata fatta mai un’indagine approfondita e seria su quelle che sono le nuove fragilità sociali su come si può, non solo eliminare il fenomeno, ma studiarlo in anticipo e cercare di anticiparlo nelle strategie operative; mi riferisco al fenomeno immigratorio, ai giovani senza la possibilità di un alloggio, agli studenti, alla crisi industriale, che a Brindisi ha portato a un notevole incremento dei disoccupati, disoccupati già esistenti). Purtroppo, queste strategie operative vanno anche studiate dal punto di vista sociologico, analizzate insieme, non solo per individuare i rimedi, ma anche per evitare che in futuro si possano aggravare». 39 3. TAVOLA ROTONDA 3.1 L’OSSERVATORIO REGIONALE, STRUMENTO CONOSCITIVO E STRUTTURA DI COOPERAZIONE. 3.1.1 Maria Teresa Cuonzo - Responsabile ORCA «Il problema dell’abitare è complesso e riguarda una pluralità di attori che molto spesso si sentono soli. Le famiglie si sentono sole e abbandonate, ma anche gli IACP e i Comuni. A questo proposito, occorre creare una sinergia ovvero una rete per capire la portata del problema. Ed ecco perché l’Osservatorio ha iniziato proprio col porsi una domanda: «Noi parliamo di disagio abitativo, ma che cos’è il disagio abitativo?». Io scommetto che se chiedessi adesso ad ognuno di voi di elaborare una definizione di disagio, ciascuno esprimerebbe una propria visione. Visione che potrebbe dipendere da personali esperienze, da problematiche economiche di una famiglia, dalle condizioni dell’alloggio, dalle aspirazioni familiari. Il disagio abitativo di un anziano, difatti, è diverso dal disagio abitativo di una giovane coppia. Rilevano anche i problemi di accesso alla casa (stamattina l’Assessore ha parlato del diritto all’abitare). La Regione Puglia ha avviato una politica abitativa fondata sul diritto alla casa che non è scontato; come assicurare, difatti, questo diritto a varie tipologie, a varie categorie di utenti? L’Osservatorio ha iniziato con il chiarire che cosa si racchiude nell’ambito dell’espressione di “disagio abitativo”. A tal fine, sono state individuate alcune categorie specifiche di disagio, posto che la condizione di una famiglia che vive in un container non è simile a quella di chi vive sotto minaccia di sfratto oppure di una giovane coppia che non riesce ad avere accesso all’edilizia residenziale pubblica. Abbiamo dovuto capire (e lo sforzo è stato anche quello di individuare alcune categorie del disagio, sulle quali, poi, abbiamo costruito attraverso l’individuazione di indicatori specifici di rilevamento) una serie di mappe tematiche, consultabili sul nostro sito web. Ecco: struttura conoscitiva e strumento di cooperazione. La conoscenza e poi la costruzione di reti, che noi vogliamo realizzare anche attraverso la condivisione delle informazioni (realizzare una buona piattaforma informativa online) è anche un modo per rendere le informazioni accessibili, affinchè i vari attori coinvolti dal problema della casa abbiano una possibilità di comunicare e di scambiarsi informazioni. Ecco perché stiamo lavorando alla realizzazione di un sistema informativo che ci permetta di individuare le banche dati e alcuni indicatori per monitorare e ricostruire il quadro relativo alla condizione abitativa pugliese e fare in modo che questi dati siano fruibili e accessibili a chiunque. Questa è la costruzione del quadro attinente alla conoscenza; un quadro complesso perché si tratta di individuare anche i diversi livelli 40 degli attori. Articolato appare anche individuare le banche dati che ci possono permettere di creare questo flusso informativo multilivello tra tutti gli attori coinvolti. Lo strumento conoscitivo si affianca così alla struttura della cooperazione. Come attivare questo flusso informativo? Come rendere questa informazione valida, efficiente e fruibile da tutti? Attraverso l’apertura e la creazione di canali di cooperazione interistituzionale. È importante non lavorare a compartimenti stagni; è fondamentale che i diversi obiettivi riescano ad accordarsi sulla visione comune, che è quella di assicurare l’accesso alla casa e l’accesso ad una casa di qualità ad una più ampia categoria di utenti. A questo proposito abbiamo avviato alcuni piccoli progetti pilota, piccole iniziative, anche per capire in che modo l’Osservatorio riesce a dialogare con gli attori sul territorio. Tra i nostri compiti abbiamo attivato quello che noi abbiamo chiamato “i sensori territoriali”, cioè le nostre antenne sul territorio. Noi vogliamo che l’Osservatorio, grazie alla collaborazione dei soggetti che vivono in prima linea il problema della casa, riesca a costruire un quadro reale della problematica abitativa in Puglia. Gli IACP, in questo ambito, hanno un ruolo fondamentale, così come i Comuni, che vivono in trincea il problema della casa. Io sono molto contenta che il mio intervento sia stato abbinato a quello dell’Avv. Sabino Lupelli, perché proprio con lo IACP di Bari abbiamo promosso un progetto sul risparmio energetico domestico presso le famiglie dello IACP, il progetto “Wayt-in spegniamo lo spreco”. È stata una prima sperimentazione. Ho sentito parlare, con molto piacere, stamattina del problema dell’abitare associato anche ad un problema di cambiamento culturale. Ecco: se vogliamo promuovere quest’ultimo ed una maggiore responsabilità delle famiglie, dobbiamo anche essere in grado di interloquire con loro, di farli sentire responsabili e inserirli in un quadro di persone che lavorano per un abitare di qualità. Abbiamo coinvolto le famiglie inquiline dello IACP di Bari in una sperimentazione, sottoforma di gara, in cui si chiedeva loro, entro un mese, di modificare le proprie abitudini legate all’uso dell’energia domestica, monitorando i propri consumi, anche grazie alla messa a disposizione di un decalogo di consigli sui consumi. Così abbiamo dimostrato alle famiglie come rapportarsi in modo consapevole all’uso dell’energia e il conseguente vantaggio non solo nell’ambito della sostenibilità ambientale, ma anche in quella, più specifica per la famiglia, economica. Più di recente, stiamo pensando di estendere questa sperimentazione a tutti gli IACP pugliesi per coinvolgerli in una sperimentazione che, non solo tocchi il risparmio energetico ed idrico, ma anche la morosità legata al pagamento delle bollette. Devo dire che in questo progetto pilota un ruolo fondamentale lo hanno avuto anche i Sindacati, in particolare il Sindacato degli inquilini che ci ha aiutati a comunicare con le famiglie. Ecco è stata una prima prova, che ci ha fatto capire che cooperare si può, cooperare si deve. Quindi, questa è la strada che noi vogliamo percorrere assieme a tutti gli attori che hanno voluto lavorare con tanta passione e con tanta professionalità. Ecco i progetti che l’Osservatorio ha (i sogni che l’Osservatorio ha e che sono 41 partiti un po’ dal sogno dell’Assessore Barbanente): istituire questa struttura, che è a servizio dei Comuni, con l’auspicio di raccordare il livello regionale al livello comunale. E quali sono i nostri progetti, i nostri sogni, i nostri desideri futuri? Ampliare la nostra banca dati con dati relativi agli IACP, che raggiungano il livello comunale, quindi, realizzare davvero un sistema informativo, che possa aiutare chi lavora in prima linea sul tema della casa a promuovere progetti e programmi in campo abitativo. Altra idea è costruire insieme; abbiamo sentito stamattina la proposta bellissima dell’Assessore Barbanente di lavorare ad un tavolo sulla Legge n. 12 e la Legge n. 21. Noi siamo davvero molto contenti di poter avviare questo tavolo. Magari oggi, ecco, consideriamo un po’ tutti come l’avvio di questa nuova avventura che deve vederci tutti protagonisti. E questo come si può fare? Innanzitutto, cercando di capire, di utilizzare termini comuni, ossia un linguaggio comune. Allora, perché non costruire anche un quadro che ci aiuti a capire quando si parla di edilizia residenziale sociale e che ci aiuti a monitorare anche il fabbisogno dei Comuni? In altri termini, un quadro conoscitivo che ci aiuti a comprendere come attivare i programmi di rigenerazione urbana e quali altri attori includere in questa rete. Io avevo preparato alcune slides: l’ultima finiva con puntini puntini puntini. Ecco queste sono alcune proposte che possono provenire dall’Osservatorio, però noi vogliamo che altre proposte siano elaborate dagli attori locali». 3.1.2 Sabino Lupelli – Direttore Generale IACP - Bari «Nella nostra Regione abbiamo realtà comunali territorialmente diverse. Pensate che, nella stessa provincia di Bari, io rinvengo alcune difficoltà nell’avere un unico indirizzo gestionale tra i vari Comuni, applicando la stessa normativa in materia di assegnazione e di gestione dell’apporto locativo di edilizia pubblica. Questo, secondo me, è un problema rilevante ed è (posso dirlo con assoluta certezza) uno degli obiettivi che dobbiamo tutti noi, e in primis l’Assessore regionale, risolvere in questo secondo quinquennio. Noi abbiamo lavorato benissimo con l’ORC, l’Osservatorio regionale, e lavoriamo tuttora benissimo. Maria Teresa Cuonzo è stata troppo modesta, ma io posso non esserlo, affermando che l’ORC ha centrato appieno tutti i suoi obiettivi, in questo primo quinquennio operativo. Secondo me, tale Osservatorio dovrebbe trasformarsi, in questo secondo quinquennio, in un organismo che ci affianchi, nell’elaborazione di questi dati, di questi progetti e da questi dati faccia nascere dei progetti concreti, come è stato Watt-in e come sarà quello che stiamo preparando insieme sul fotovoltaico (a questo proposito, stiamo preparando un concorso di idee per giovani architetti e giovani ingegneri). Ma io voglio dire di più: lo IACP di Bari ha avuto la fortuna di essere annesso al network europeo, che si chiama Euronet, il quale 42 racchiude i migliori Enti di edilizia pubblica d’Europa. Ormai è quasi un anno che siamo stati annessi e già lavoriamo a pieno regime con loro in sei gruppi di lavoro. Euronet non è altro che un’ORCA europea. Tanto è vero che io, se l’Assessore Barbanenete mi autorizza, ho invitato gli amici dell’ORCA a venire con noi alle riunioni di Euronet o, addirittura, a nominare dei componenti in seno ai gruppi di lavoro. Essi hanno dei gruppi di lavoro, sei principali e dieci complessivi, che si occupano a tema dei problemi dell’edilizia pubblica: l’invecchiamento della popolazione, le fonti energetiche alternative e così via. Qual è la differenza, malgrado tutto, rispetto a noi? L’Euronet tramuta l’elaborazione di questi dati successivamente in progetti annuali e li sottopone alla Comunità europea per il relativo finanziamento. Negli ultimi cinque anni ha già avuto ben quattro progetti finanziati dalla Comunità Europea. In Olanda, l’Euronet prevede la costruzione di mille alloggi; pensate quanto è diversa la realtà olandese dalla nostra. Per noi mille alloggi sono dieci anni di lavoro; loro, invece, hanno avuto dal Governo olandese “carta bianca” per costruire mille alloggi, suddividerli in tema gestionale (ad esempio, c’è un quartiere per gli anziani con determinati accorgimenti costruttivi e così via). È una realtà completamente diversa: in Olanda il patrimonio pubblico raggiunge quasi il 32% del patrimonio complessivo, mentre in Italia non arriviamo neanche al 3,5%, con una vacatio normativa e di fondi, colpevole il Governo centrale. L’unico contributo che avevamo è stato, poi, completamente abolito molti anni fa. Detto ciò, io penso che il futuro dell’ORCA debba essere questo: passare nella fase di studio importante, imponente. Mi dispiace che Maria Teresa Cuonzo non abbia avuto la possibilità di proiettare i suoi power point, perché io li ho visti e sono interessanti. Essi hanno anche elaborato un dvd molto bello. Vi posso garantire che costoro svolgono un lavoro prezioso. Noi dobbiamo passare alla fase operativa e al coinvolgimento degli altri IACP di Puglia, avviando la fase del coordinamento regionale. Io non voglio essere presuntuoso, però sto riportando quello che ho ascoltato dall’Assessore Barbanente: credo che sia una fase di riscatto di questo mondo dell’edilizia pubblica che per troppi anni è stato considerato di serie B, ossia come un’edilizia di scarsa qualità. Oggi noi di Bari, di Foggia, di Lecce, di Taranto, di Brindisi abbiamo fiori all’occhiello date dalle migliori sperimentazioni italiane; facciamo progetti importanti, ambiziosi, di qualità. Abbiamo avviato la fase della riqualificazione urbana. Quindi, prescindendo dalle strumentazioni politiche di parte, possiamo dire, con discrezione e con stile, che possiamo avviare una nuova fase e in questo l’ORCA ci può essere di grande aiuto». 43 3.2 NUOVE FASCE DEBOLI, EFFICACIA DEGLI STRUMENTI ESISTENTI. 3.2.1 Nicola Zambetti – Coordinatore regionale Sunia «Ringrazio lo IACP di Foggia, il Dott. Donato Cafagna, il Direttore generale, la Federcasa per l’invito e per la possibilità che ci dà oggi di discutere di casa e della sua definizione di bene primario; abitazione che ritengo sia costituita da tutti i servizi. Io questa mattina ha ascoltato molto attentamente le relazioni del Dott. Donato Cafagna, apprezzando moltissimo le statistiche delle tipologie di inquilini che occupano queste abitazioni, della loro composizione e dei loro redditi. Così come ho pienamente condiviso la relazione del Presidente di Federcasa, perché la verità è che si parla troppo di housing sociale, di investimenti per la casa. In realtà, non si fanno poi quegli aggiustamenti fiscali necessari per poterlo rilanciare. “Housing sociale” è una parola difficile che, analizzata, ha tanti segmenti a cui bisogna dare una risposta. Fino a ieri c’era lo IACP che doveva fornire delle risposte al ceto popolare, al proletariato (usiamo questi termini vecchi per darci un’idea). Poi c’era tutto un segmento che era fuori dall’edilizia sovvenzionata che si rivolgeva alle cooperative o al mercato (al mercato bloccato dell’equo canone) del contratto in comodato che non era controllato, pur essendoci una legge da rispettare. Nel corso degli anni, le cose sono mutate: qualcuno pensava che la liberalizzazione del mercato di locazione avrebbe immesso sullo stesso migliaia di appartamenti sfitti. Questo non è successo, così come neanche il mutamento dei costi che sarebbe derivato da quella liberalizzazione. Negli ultimi dieci anni, inoltre, la situazione è sempre più peggiorata: abbiamo avuto tante promesse. Ora abbiamo un’esigenza di case per la categoria dei soggetti poverissimi, dei meno poveri, dei poveri, del ceto medio (che è escluso da qualsiasi agevolazione per accedere al mercato). L’housing sociale deve dare una risposta a queste categorie (che l’Osservatorio regionale ha ben individuato, perché il nostro Osservatorio regionale ha anche ben classificato qual è il disagio e quali sono le famiglie che chiedono una politica diversa della casa). In tutto questo discorso, pertanto, dobbiamo comprendere qual è il canone conveniente per fare housing sociale. Stamattina il Presidente Luciano Cecchi faceva l’esempio delle famose € 450 che diventerebbero € 800 perché i servizi si devono pagare. Ma se noi riportiamo questi dati ai nostri redditi pro capite, dobbiamo pensare ad un housing sociale diverso da quello che stanno pensando altri. È fondamentale questo. Possiamo fare anche l’esempio di Foggia. Una cosa è costruire una casa nella città di Foggia, altra è costruirla a 5 Km da Foggia (che è un altro Comune); si dice “io ti affitto la casa a € 350 al mese” per me quello è housing sociale, però nel secondo caso non lo, perché il canone del mercato di quella zona è più basso. Quindi, l’housing sociale va 44 confrontato col mercato della città e dei servizi. Io credo che è utile l’Osservatorio, operativo sotto questa Giunta regionale e quella precedente. Io ritengo, inoltre, che alcune cose le deve svolgere il pubblico, perchè l’housing sociale non può essere delegato al privato. Io penso che questo non lo farà, perché il privato ha un problema: il primo è quello della tassazione, poichè costruire una casa da affittare ha una tassazione più alta, 10% di IVA; quindi, c’è già un costo più alto. I tempi, inoltre, sono molto lunghi: i nostri imprenditori non sono molto abituati a investire direttamente e a trattenere per venticinque anni le case; anzi, la nostra esperienza, formata anche sotto il vigore dell’art. 18, era di dismettere subito il patrimonio dalla locazione, per evitare difficoltà nella gestione. Detto ciò, consegue l’idea che noi dobbiamo assolutamente attrezzare i nostri IACP ad essere il soggetto che propone un housing sociale a vari livelli: quello di edilizia sovvenzionata e di edilizia convenzionata. Io, qualche tempo fa, dissi all’Assessore: «Vediamo se riusciamo a coinvolgere gli IACP a un investimento di housing sociale con i depositi cauzionali; prendiamo i depositi cauzionali che gli IACP hanno incamerato. Vediamo se funziona e come ciò può funzionare nei vari IACP». È una partita di giro: costruiamo dieci appartamenti; poi li aggiustiamo. Ciò perché io non guardo all’esperienza dell’Emilia Romagna, i nostri redditi pro capite, difatti, sono diversi. Noi non abbiamo i Comuni che esplicano politica della casa. Se noi siamo all’avanguardia, lo stesso non può dirsi dei Comuni. L’Assessore ha detto nella sua relazione che non tutti i Comuni hanno elaborato un Piano casa. Questo è un dato negativo, perché qualcuno scarica sull’altro Ente il problema della casa. No. Dovrebbe esservi una collaborazione di tutti gli Enti, diretta ad elaborare i Piani casa e gli interventi di recupero e costruzione e riuso della città; oppure noi continueremo a subire il problema della casa per i prossimi cinquant’anni, senza riqualificare le città e, soprattutto (come giustamente diceva stamattina Cecchi), consumando il territorio. Noi dobbiamo smetterla di ridurre il territorio, al fine di utilizzare il patrimonio pubblico come leva per la riqualificazione della città e la sperimentazione di nuove tecnologie. Noi dobbiamo avere la capacità di utilizzare il patrimonio esistente dell’edilizia pubblica, per sperimentare nuove forme di recupero in termini materiali e di risparmio energetico, nonché in termini di qualità. L’edilizia pubblica ha un’esperienza di oltre cent’anni; è necessario adesso, in questo momento di crisi, essere in grado di dire “noi siamo un punto di riferimento” non solo per fare le belle cose che diceva Sabino Lupelli, come il concorso per il fotovoltaico. Noi facciamo un nuovo recupero dove i risparmi energetici sono considerevoli, perché abbiamo utilizzato materiale nuovo. Nelle costruzioni a Scianatico è stato sperimentato un nuovo materiale con farina di legno e abbiamo ottenuto risparmi energetici. Io non voglio parlare di inquilini, gli inquilini ci sono, vanno 45 difesi. Sentivo dire la vendita. Se noi vendiamo tutto il patrimonio, non saprei dire di che cosa stiamo argomentando. Noi dobbiamo tenere il patrimonio e valorizzarlo. Credo che l’esperienza di Bari, come detto stamattina, sia positiva. Possiamo utilizzare il patrimonio pubblico come leva per migliorarlo e per averne in cambio un altro? Io penso che così debba essere. Credo che gli IACP, in questi cinque anni, abbiano lavorato anche per questo, cioè per le cose che ci siamo detti oggi; sono alcune cose di cui qualche anno prima di questa Amministrazione regionale, non si poteva neanche parlare. Anzi, si sosteneva: «Dismettiamo tutto il patrimonio, perché è l’unica soluzione ai problemi dei debiti e della gestione». Adesso, invece, io ritengo che ci stiamo dicendo qualcosa di diverso e io invito tutti a riflettere che, mentre in Europa si viaggia verso il 40% dell’edilizia pubblica, noi siamo ancora sul 3,5% (siamo ancora indietro e non possiamo continuare a dire “vendiamo tutto o se vendiamo dieci appartamenti ne costruiamo uno”. Non è quella la strada, assolutamente non è quella la strada). Possiamo ragionare nel senso di aumentare i canoni di locazione. Io non rifiuto un confronto su questo, malgrado ciò, vorrei riflettere: se mi dite che oltre il 50% degli utenti sono pensionati, che cosa si dovrebbe aumentare? Dobbiamo aumentare i canoni a chi non può stare più su quest’edilizia pubblica? L’intento, quindi, è comprendere come rivedere i canoni e se qualche IACP da questi canoni ha un avanzo di gestione, perché ciò vuol dire che qualcosa è migliorato rispetto a prima. Tuttavia, anche il canone in questa Regione è aumentato e proprio da Foggia qualcuno si era lamentato, i miei colleghi, che i canoni erano molto alti. Allora, io non rifiuto assolutamente un confronto perché sono convinto che se la forbice è molto alta tra il privato e il pubblico, bene fa, a mio avviso, Brunetta nel sostenere: «Smantelliamo tutto». Nonostante ciò, se riduciamo questa forbice tra pubblico e privato riusciamo a migliorare la gestione di questi Enti, ad investire in funzione del recupero e dell’uso della città. Io non vi chiederò mai di costruire migliaia di appartamenti, probabilmente, utilizzando tutto quello che abbiamo; non possiamo fare altro che adottare un programma di espansione o un piano di recupero urbano mediante l’art. 18. Abbiamo la necessità di ricucire le città e gli IACP che sono un fiore all’occhiello del pubblico. 46 3.2.2 NUOVE FASCE DEBOLI, EFFICACIA DEGLI STRUMENTI ESISTENTI. (L’applicazione dell’art. 1/quater della Legge n. 199/2008 ad un caso concreto). Antonio Di Stefano – Direttore Generale IACP – Foggia. In questa fase congiunturale, la crisi economica non colpisce solo le fasce sociali più deboli, che sono quelle tipiche di accesso all’ERP, ma anche fasce di popolazione fino a poco tempo prima a reddito medio e medio basso, che di colpo si trovano risucchiati in una situazione di emergenza economica, e quindi anche abitativa, con la perdita del lavoro e nella condizione di disoccupazione o al più di cassa integrazione. In ogni caso con una perdita sostanziale del proprio reddito, principalmente per famiglie monoreddito che non riescono più a far fronte al pagamento del fitto o della rata del mutuo. E’ questa una condizione in preoccupante crescita, sia che il lavoratore abiti l’alloggio nella qualità di conduttore che di proprietario. Nel primo caso la fotografia del disagio abitativo è rappresentata dai provvedimenti di sfratto, nel secondo caso dai provvedimenti esecutivi di rilascio degli immobili. I provvedimenti di sfratto in Italia, a fine 2009, sono cresciuti di circa il 18% rispetto all’anno precedente, con il valore più alto dell’ultimo decennio, e quelli effettivamente eseguiti del 10%. In Puglia la situazione è in controtendenza per Bari e Taranto, che denunciano una flessione dei provvedimenti di sfratto emessi, ma non per le altre Province. A Foggia il dato è in linea con quello nazionale (circa + 16%). Discorso a parte vale per i provvedimenti effettivamente eseguiti, che per la Puglia vede un dato superiore alla media nazionale, + 19% a fronte di un + 10%. Il dato più allarmante è che la maggior parte degli sfratti avviene per morosità (circa il 90%) e quindi i cittadini che si trovano in tali condizioni non hanno alcuna normativa che possa fungere da paracadute di protezione, non possono accedere ad alcuna proroga, ma vengono catapultati nella condizione di disagio abitativo. I provvedimenti esecutivi di rilascio immobili ad uso abitativo sono cresciuti a fine 2009 del 15% rispetto all’anno precedente, ma addirittura del 60% rispetto al triennio precedente. In tre anni sono andati all’asta oltre 130 mila abitazioni e ne sono a rischio 350 mila. E’ su questo secondo aspetto che mi voglio soffermare, al fine di analizzare gli strumenti legislativi che gli Enti gestori hanno al fine di intercettare questi bisogni, e con la loro mission alleviare questo particolare disagio. 47 Tale problematica era già all’attenzione del legislatore con la proposta di legge n. 1871 del 15/10/2008, presentata alla Camera dei deputati dall’On. Avv. Simonetta Rubinato, “Disposizioni per consentire la permanenza nell’alloggio ai contraenti di mutui per l’acquisto dell’abitazione principale divenuti insolventi” che proponeva: “ 1. Al fine di evitare il pignoramento degli immobili adibiti a prima casa di abitazione, gli immobili sottoposti a procedura esecutiva immobiliare o concorsuale, occupati a titolo di abitazione principale da un mutuatario insolvente, sono ceduti in proprietà agli IACP comunque denominati o trasformati, al prezzo a base d’asta al netto degli oneri fiscali per IVA o imposta di registro, con le agevolazioni per l’acquisto della prima casa di abitazione di cui (…), senza oneri notarili o di mediazione, di spese di trascrizione nei registri immobiliari e di cancellazione di ipoteche e pignoramenti. 2. Gli Istituti autonomi case popolari comunque denominati o trasformati, provvedono a stipulare contratti di locazione a canone sostenibile con i mutuatari che occupano gli alloggi di cui al comma 1 a titolo di abitazione principale, in possesso dei seguenti requisiti: il reddito complessivo del mutuatario nell’anno in cui si è verificata l’insolvenza non superi cumulativamente, euro (…); l’insolvenza del mutuatario si sia verificata senza dolo, colpa grave o negligenza del debitore e per eccessiva onerosità delle rate di mutuo in rapporto al reddito del debitore accertato per l’anno in cui si è verificata l’insolvenza e, in particolare, perché tali rate erano, in tale anno, superiori al 30% del reddito del mutuatario, calcolato in base ai criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate a norma dell’art. 59, comma 51, della L. 27 dicembre 1997, n. 449 e a norma del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 109, tenuto conto del reddito del coniuge o delle persone conviventi, e della presenza nel nucleo familiare, di figli fiscalmente a carico, di persone ultrasessantacinquenni, di malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento. 3. Per le finalità di cui alla presente legge sono definiti canoni sostenibili i canoni di importo compreso tra il 30 e il 50 per cento dei canoni di locazione medi di mercato del comune in cui si trova l’immobile. 4. Il ministro dell’Economia e delle Finanze, con proprio decreto, emanato di concerto con il Ministro della Giustizia, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, provvede alla definizione dei criteri, dei limiti e delle modalità per l’attribuzione delle agevolazioni fiscali di cui al comma 1, e alla modifica delle procedure esecutive vigenti per il pignoramento e la vendita degli immobili”. Federcasa se ne è occupata con la circolare n. 122 del 28 novembre 2008. 48 La detta proposta è confluita poi, con modificazioni rispetto al testo originario, nell’art. 1/ quater della Legge di “Conversione in Legge con modificazioni, del decreto legge 20 ottobre, n. 158, recante misure urgenti per contenere il disagio abitativo di particolari categorie sociali” che ha assunto il n. 199 del 18 dicembre 2008 (in G.U. n. 196 del 19/12/2008), più nota come legge di proroga degli sfratti. L’art. 1/quater della detta Legge n. 199/2008 recita: “1. Gli immobili sottoposti a procedura esecutiva immobiliare o concorsuale, con le caratteristiche di quelli facenti parte del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, e comunque non rientranti nelle categorie catastali A/1 e A/2, occupati a titolo di abitazione principale da un mutuatario insolvente, possono essere ceduti in proprietà agli Istituti autonomi case popolari, comunque denominati o trasformati, che li acquistano a valere su risorse proprie e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le agevolazioni previste per l’acquisto della prima casa di abitazione, al fine di favorire la riduzione del disagio abitativo e la riduzione delle passività delle banche. Gli Istituti autonomi case popolari, comunque denominati o trasformati, provvedono a stipulare contratti di locazione a canone sostenibile con i mutuatari che occupano gli alloggi a titolo di abitazione principale. 2. Sono definiti canoni sostenibili, per le finalità del presente articolo, i canoni di importo pari al 70 per cento del canone concordato calcolato ai sensi dell’art. 2, comma 3, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, e successive modificazioni, e comunque non inferiore al canone di edilizia residenziale pubblica vigente in ciascuna regione o provincia autonoma. 3. Il canone sostenibile corrisposto a fronte del contratto di locazione è computabile a parziale restituzione delle somme pagate dagli Istituti autonomi case popolari comunque denominati o trasformati, per l’estinzione del mutuo relativo all’immobile e degli oneri accessori corrisposti. Resta ferma la facoltà di riacquisto dell’immobile prioritariamente da parte del mutuatario insolvente alla scadenza del contratto di locazione secondo le modalità stabilite da leggi regionali”. E’ evidente la finalità di pubblico interesse che il legislatore ha voluto dare alla norma, al fine di favorire la risoluzione del disagio abitativo, con la contestuale risoluzione della passività delle banche. L’espropriato, con l’estinzione dei mutui da parte dell’Ente gestore di ERP, continua a mantenere il possesso dell’alloggio, a titolo di locazione a canone sostenibile, con successiva possibilità di riscatto al termine della locazione. La norma però non costituisce per l’Ente un diritto e/o un obbligo all’acquisto, e dà al mutuatario insolvente la facoltà di trasferirlo in capo allo stesso. 49 Ma proprio questo è origine di mancata conoscenza per l’Ente ed impedisce l’intervento dello stesso nell’ambito del processo di esecuzione. Tale norma è stata invocata ed applicata dall’IACP di Foggia in un caso concreto, andato a compimento all’inizio di quest’anno. Si trattava di un alloggio ERP a riscatto, su cui gravava ipoteca a garanzia del pagamento delle rate. Nell’ambito della procedura esecutiva immobiliare, per un mutuo al consumo, la Banca notificava all’Istituto, creditore iscritto non intervenuto, l’avviso di avere proposto istanza di vendita dell’immobile. L’Ente ha ritenuto quindi opportuno costituirsi nel giudizio di esecuzione al fine di far valere il diritto dettato dall’art. 1/quater della legge 199/2008, in linea con la mission dettata dal fine istituzionale di provvedere alle classi in stato di bisogno ed in situazioni di disagio abitativo. Ha provveduto, quindi, da un lato alla soluzione del disagio abitativo sofferto dall’espropriato, con l’acquisizione in proprietà dell’alloggio e la locazione allo stesso a canone sostenibile, e dall’altro con il soddisfacimento del credito vantato dalla Banca. Il nuovo locatario conserva, in virtù della stessa legge, il diritto a riacquistare l’alloggio, con le modalità stabilite da apposita disciplina regionale, che ancora non è stata introdotta dal nostro legislatore. Il caso descritto è forse uno dei pochi attuato in Italia in virtù della detta legge. Ma rappresenta in sé un’anomalia rispetto alle previsioni generali ed astratte previste dallo stesso legislatore. Infatti, la norma non parla di cessioni agli IACP di alloggi ERP riscattati, ma si proietta alla generalità degli alloggi che abbiano le caratteristiche dell’ERP ed i cui proprietari si trovino in condizioni di insolvenza per mutui contratti, non necessariamente destinati all’acquisto della stessa casa. Gli IACP potrebbero pertanto divenire acquirenti di tutti gli immobili sottoposti a procedure esecutive immobiliari aventi caratteristiche di ERP. Ma gli stessi, data la carenza della Legge, non sono legittimati ad avere conoscenza delle procedure di vendita, se non vantano un diritto di prelazione attraverso iscrizione ipotecaria. Quindi solo il Giudice dell’esecuzione potrebbe, su istanza del debitore esecutato, interessare l’Ente territorialmente competente. Ma il debitore esecutato può non conoscere l’opportunità che gli offre la detta legge. Occorrerebbe pertanto una modifica legislativa che preveda un obbligo di avviso all’Ente. Nelle more, l’IACP di Foggia ha provveduto, con note scritte, a richiedere ai Presidenti dei Tribunali di Foggia e Lucera di adottare informativa in merito, diretta ai Giudici delle Esecuzioni. 50 Naturalmente ciò poggia sulla volontarietà di divulgazione della norma e non sull’obbligo di conoscenza da parte degli interessati, per poter poi liberamente adottare le proprie decisioni. Altra modifica normativa che occorrerebbe apportare sarebbe quella relativa alla costituzione di un apposito fondo di rotazione che si autoalimenterebbe con gli stessi canoni. Con l’adozione delle dette modifiche, e l’applicazione piena della norma, si farebbe un passo in avanti verso la casa quale bene sociale da proteggere, com’è sancito nella carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza l’8 dicembre 2000, e com’è riportato nel successivo decreto interministeriale del 22 aprile 2008 che ha definito l’alloggio sociale. L’applicazione fatta dall’IACP di Foggia della norma in esame è stata portata all’attenzione delle Commissioni Legislative della Camera, insieme ad uno approfondito studio dell’avv. Andrea Blonda che ha curato gli interessi dell’Ente, e della Federazione nazionale, al fine di divulgare tra gli associati l’opportunità che la stessa offre e perché si faccia anch’essa portatrice di istanze di modifica (vedi circolare Federcasa n. 110/2009 del 04/11/2009). 51 4. HOUSING SOCIALE E PIANIFICAZIONE TERRITORIALE. 4.1 Raffaele Capocchiano - Presidente II Comm. Territorio Comune di Foggia Per molti anni, e ancora oggi, i diversi governi pubblici (il Comune anzitutto ma, nel recente passato, è accaduto anche alla Regione) sono stati accusati di prendere decisioni sul consumo del suolo delle città sotto dettatura dei costruttori. Da tre anni il Comune di Foggia si è ritagliato un nuovo protagonismo proprio mentre cresceva la domanda di intervento pubblico per la casa, entrato in crisi dopo quasi un decennio in cui sono spariti i programmi nazionali di edilizia residenziale pubblica. Abbiamo scelto di sperimentare la strada di un rapporto molto esigente con i costruttori. Forse perché è cresciuta, a Foggia, la consapevolezza che c’è un destino comune che tutti dobbiamo riprenderci e che non esistono angoli dove relegare la marginalità, mantenendola a distanza di sicurezza dal benessere diffuso. Non abbiamo aspettato di ascoltare i dati diffusi dall’ISTAT due anni fa, secondo cui circa il 45% dei giovani fra i 25 e i 34 anni (quasi 4.000.000 di persone) vive ancora con i genitori. Non si tratta di giovani tutti senza lavoro, la metà di loro ha un’occupazione: se continua a vivere con i genitori significa che non ha i mezzi necessari per accedere alla prima casa. Una banale osservazione, oggi nel 2010. Una realtà che sperimentiamo ogni giorno, da almeno un decennio, in una città che senza dubbio non è ai vertici della vivacità economica e che senza ancor meno dubbi soffre di una storica emergenza casa. Tuttavia, parlando di emergenza abitativa, commettiamo un errore di valutazione del problema. Quella formula, infatti, limita l’osservazione alle fasce sociali indigenti o ai baraccati, che sono anche una realtà foggiana da cancellare (vedere allegato). II problema, ormai riconosciuto a ogni livello, è costituito da quelli che sono stati definiti i “né poveri, né ricchi, né disoccupati, né occupati stabili”, singoli e coppie che metterebbero su famiglia, ma che non hanno la possibilità di accedere alle offerte di mercato. Fabbrizio Ghibellini, membro del Comitato monetario dell’Unione Europa, ha scritto che “sulla base dei dati disponibili è possibile arrivare a stimare l’ordine di grandezza e le componenti del fabbisogno totale di “Social housing”. Si tratta di quasi 4.000.000 di abitazioni, da destinare quasi totalmente alle suddette categorie di utenti. E’ il fabbisogno stimato a livello nazionale nel 2008 (l’anno della Legge Finanziaria) che ha permesso che, in certi ambiti, la trasformazione urbanistica (quello che il pubblico decide di fare per rispondere alla domanda di un investimento privato) sia “subordinata alla cessione gratuita da parte 52 dei proprietari di aree o immobili da destinare a edilizia residenziale sociale, in rapporto al fabbisogno locale e in relazione all’entità e al valore della trasformazione”. Non siamo stati i primi a cogliere questa opportunità per fronteggiare un fenomeno sociale emergente e storico. Torino, ad esempio, ha realizzato programmi ottenendo in cambio dai privati il 10% di edilizia convenzionata; Firenze, invece, ha ceduto in affitto a canone sostenibile il 20% di alloggi (canoni compresi tra il 30 % e il 50 % degli attuali canoni di mercato, stimati in media a € 1.200). In Lombardia è attiva dal 2004, tre anni prima della Legge Finanziaria 2008, la Fondazione housing sociale, creata con la partecipazione della Regione e dell’ANCI, con l’obiettivo iniziale di realizzare migliaia di appartamenti da affittare a “canone moderato”. Iniziative simili si sono registrate poi a Bergamo con “Casa Amica”, a Padova con “Nuovo Villaggio”. A questo proposito, si leggono sigle del mondo della cooperazione come Confcooperative, Legacoop, Compagnie delle Opere. Tuttavia, si osservano anche modalità di finanziamento innovative, come i fondi immobiliari etici. C’è un dibattito forte, connesso alle opportunità anche di ordine economico dell’housing sociale. Finlombarda, la società finanziaria per lo sviluppo della Regione Lombardia, ha tenuto a Settembre dell’anno scorso un seminario a Londra, sulle partneship pubblico privato e la finanza di progetto applicata all’housing sociale. Perché è un tema che sta impegnando tutta l’Europa. Anci ideali (la Fondazione europea delle città creata dall’ANCI) ha indirizzato un decalogo ai parlamentari europei italiani, chiede che “i fondi strutturali dell’attuale programmazione finanzino in tutti i paesi dell’Unione interventi di riqualificazione energetica del patrimonio abitativo obsoleto e la creazione di nuovi alloggi sociali in favore delle fasce più deboli ma anche dei ceti medi”. La vicina Regione Basilicata ha varato il progetto “No Profit Housing”, mirato a favorire un mix sociale attraverso la diversificazione degli utenti. Esso è stato pensato per famiglie tradizionali e per giovani coppie, studenti, single, anziani, migranti, lavoratori temporanei, per i quali è prevista una diversificazione contrattuale, dalla locazione a lungo termine a canoni moderati, alla locazione a lungo termine a canone tipo “Social Erp”, dalla locazione temporanea a canoni moderati con futura vendita, alla vendita immediata a prezzi di mercato. Ecco, questo è un aspetto decisivo: evitare la ghettizzazione del nuovo bisogno abitativo secondo gli schemi dei vecchi comparti di case popolari. Dobbiamo fare molta attenzione a ciò che accade realmente nei nostri quartieri. Attualmente, a Foggia, abbiamo esperienza di fenomeni negativi. Per quanto concerne il quartiere Rione Martucci, la proposta PIRP ha avvertito le voci ostili alla collocazione di residenze sociali chieste dal Comune ai costruttori, affinchè le cedessero. 53 La stessa cosa abbiamo sentito recentissimamente, in un dibattito animato da una parrocchia, al comparto Biccari dove si realizzerà l’altro PIRP, quello arrivato primo nella graduatoria regionale e che il Consiglio comunale ha approvato a Gennaio di quest’anno. Ecco, dobbiamo stare attenti a mantenere serrati i tempi per la realizzazione dei programmi, trasmettendo il senso di un’operazione complessiva che riguarda la riorganizzazione di tutta la città: non possono esistere programmi edilizi più sostenuti, socialmente e politicamente, e altri che procedono a passo più lento. Quando tre anni fa organizzammo la nuova stagione urbanistica pensammo che la contestualità dovesse servire anche a questo. A ricucire il tessuto della coesione comunitaria. Questo abbiamo scelto nel 2006 adottando all’unanimità in Consiglio comunale il Documento programmatico Preliminare al Piano Urbanistico Generale. In quel documento c’è scritto che “alla base di molte situazioni di disagio sociale nei quartieri di nuova edificazione ghettizzazione - vi è proprio la scelta di separare le aree destinate agli interventi privati da quelle destinate agli interventi pubblici”. Oggi si ritiene che l’intervento pubblico sia solo una modalità di intervento e che, pertanto, non presupponga una propria riserva di aree. Ciò per realizzare un mix sociale, morfologico e urbano. Va detto, peraltro, - aggiungevamo nel DPP – che “probabilmente la manovra sul fattore fondiario è ancora quella più efficace perché l’operatore pubblico possa fare politica di “social housing”. E, circa le scelte da realizzare con il PUG, dicevamo che “è necessario che il PUG persegua l’obiettivo di favorire la realizzazione di programmi speciali di edilizia sociale, ispirati ai principi del “social housing”, applicati anche in Italia. I programmi dovranno servire a risolvere i problemi sia delle famiglie che cercano la prima casa, sia di quelle interessate da programmi di riqualificazione urbana”. Tema, quest’ultimo, che è necessario conciliare dato l’assoluto bisogno che la città ha di recuperare le aree degradate e il centro storico, di procedere a programmi di “demolizione e ricostruzione”: tutti interventi più onerosi rispetto alla nuova edificazione e che, perciò, vanno incentivati con premialità da realizzare in altre aree. La risorsa suolo dobbiamo usarla, quindi, a vantaggio della comunità. Abbiamo scelto la strada dell’housing sociale, emanando bandi specifici rivolti ai privati, quando l’istituzione Comune era chiamata a dare risposte a una serie di importanti programmi promossi dai privati o su cui i privati avevano consolidato aspettative ratificate anche dalla giustizia amministrativa. Abbiamo pensato costantemente ad una provvista di “housing sociale”, Ottenendo 22 alloggi sui 507 (da realizzare con accordi di programma), ed altri 139 alloggi che si devono realizzare, mediante gli accordi di programma nati dalle vecchie procedure dei PRUSST. 54 LA PROGRAMMAZIONE DOPO IL DPP (Prodotti* della programmazione negoziata e del Programma speciale di social housing) tipologia n. abitazioni di cui al Comune ZoneF 487 58 Accordi di 507 programma PIRP Ambito “A” 397 22 PIRP Ambito “B” 540 56 PRUSST 1.509’ 139 Housing sociale 3.464 868 TOTALE 6.904 1.229 86 Stima fabbisogno 15.874 DPP * Sono esclusi dal calcolo infrastrutture, opre pubbliche, parchi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico 4.2 Augusto Marasco – Presidente ordine Architetti e P. P. C. – Foggia Un cordiale saluto a tutti gli intervenuti. Saluto che porgo a nome mio personale e dell’intero Consiglio dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Foggia. Ringrazio gli organizzatori di questo Convegno per l’invito ad intervenire con un nostro contributo su temi di grande attualità; contributo che mi consentirà di esprimere quella che è la posizione degli architetti italiani sul punto. Certo il tempo a disposizione non mi consentirà di affrontare in maniera esaustiva gli argomenti da trattare soprattutto con riferimento al tema della “pianificazione territoriale”. Su questo tema voglio semplicemente ricordare quello che nel corso degli ultimi anni nei nostri Congressi Nazionali affermiamo dopo attente riflessioni sulle strategie politiche, azioni e strumenti per una gestione sostenibile e condivisa del Territorio e delle città, ragionando sulla piccola e sulla grande scala delle trasformazioni urbanistiche, al fine di poter dare risposte credibili ai processi di costruzione urbana e territoriale. Sono emerse le strette relazioni che corrono tra il progetto di architettura, il risparmio energetico e la sicurezza, tra queste e l’urbanistica, tra 55 l’urbanistica e l’identità dei luoghi e la tutela dei beni storici e culturali, tra la regolamentazione edilizia e le energie rinnovabili, tra una struttura urbana attrezzata e il valore economico della “città bella”, valutando il transito dall’Urbanistica al “Governo del Territorio”, inteso come un sistema in equilibrio con l’Ambiente ed il Paesaggio; sono emerse, infine, le connessioni tra quanto detto e il processo virtuoso di Democrazia Urbana, considerata come la migliore modalità di identificazione/azione del ruolo di sussidiarietà dell’architetto tra cittadini e P.A. Tutto ciò va detto per arrivare ad identificare quelle che possono considerarsi le questioni centrali dell’urbanistica: • la pianificazione territoriale, paesaggistica e ambientale; • la progettazione del Piano generale comunale; • l’attuazione di questo piano. Di queste tre questioni, che sottendono il tema generale, è proprio su quest’ultimo punto che il processo pianificatorio incontra le sue maggiori difficoltà, perché: • la crisi economica e finanziaria degli Enti Locali, ovvero la capacità di investimento dell’Ente Locale, legata al patto di stabilità interno, è molto ridotta; • la storica arretratezza della questione fiscale e credibilità economica nell’attuazione del Piano generale comunale; • la permanenza di contenuti funzionali del Piano generale comunale ancora prevalentemente ancorati alla acquisizione della rendita fondiaria ed edilizia; • la conseguente permanenza di disparità di condizione tra vantaggi e svantaggi per i proprietari ed i cittadini. Se condividiamo questa sintetica rappresentazione dello stato della disciplina urbanistica del nostro Paese, possiamo convenire che, pur ritenendo non più rinviabile una riforma generale della legge urbanistica nazionale, non si può non constatare che tre argomenti ci obbligano a riconsiderare il problema delle innovazioni disciplinari in termini di “somma urgenza”: • le esperienze regionali o per lo meno la gran parte delle esperienze regionali in materia debbono ancora essere verificate a fondo al fine di stabilire se esiste, poi, un reale interesse “politico” delle Regioni per una riforma del G. del T.; • l’attualità esprime una forte domanda di norme statali in materia di Perequazione, Compensazione, Premialità, Partenariato e Fiscalità nel processo di trasformazione del Territorio; • la crisi in cui versa il Paese presenta le cosiddette “Urgenze edilizie ed urbanistiche” (il Piano Casa, la sicurezza degli edifici, della città e del territorio, l’Edilizia Sociale) che occorre coordinare, quanto prima, con il processo pianificatorio. 56 Occorre, in sintesi, dare concrete misure normative per dare basi giuridicamente solide all’innovazione disciplinare regionale ed omogeneità e certezza alle regolamentazioni differenziate al fine di scongiurare che i principi introdotti da molte leggi regionali possono essere messi in crisi dall’art. 117 della Costituzione come recentemente dimostrato dalla sentenza del TAR Lazio sul PRGC di Roma. Occorre cioè una legge quadro di principi fondamentali, idonea a mettere a sistema, sull’intero territorio nazionale, le indispensabili innovazioni già introdotte in diverse Regioni per mezzo dell’attività legislativa concorrente regionale. Occorre riattrezzare il sistema Paese per “rottamare” gli ultimi decenni di spreco, di inefficienza, di pericolosa spazzatura edilizia e ridare al Paese bellezza, sicurezza e dignità. Occorre un nuovo concetto di riforma urbanistica che non continui a governare il brutto ma che incominci a programmare un vero massiccio sviluppo del contenimento dei consumi energetici, che affronti l’emergenza sismica e geologica, che ridia un senso civile e dignitoso alle periferie delle nostre città. L’impatto sul territorio non deve spaventarci perchè è un costo che può essere pagato se vi è l’obbligo di migliorare le performances energetiche e strutturali degli edifici, nella logica di un’edilizia sostenibile al fine di eliminare i rischi strutturali, i consumi e l’inquinamento e accelerare un processo di riconfigurazione del settore delle costruzioni e di una parte dell’economia. Per quanto attiene, invece, all’altro tema, ossia quello dell’Housing Sociale, si può senz’altro affermare che la questione abitativa è tornata ad essere questione sociale. Negli anni ‘80 si costruivano ancora in Italia 18.000 case popolari l’anno, poi diventate 10.000 negli anni ‘90 e scese a 6.500 dal 2000 ad oggi. Fino alla metà degli anni ‘90 il motore Gescal, pagato dai lavoratori dipendenti, funzionava ancora. Poi il tema della casa è uscito dal dibattito politico e l’intervento pubblico non è stato rimpiazzato né da un intervento con fondi statali, né dal federalismo regionale. La domanda di case in affitto a basso prezzo è cresciuta a dismisura, coinvolgendo parti del ceto medio impoverito (soprattutto le giovani coppie). La spinta è arrivata anche dall’immigrazione, dal problema irrisolto del fabbisogno studentesco e dall’aumento delle famiglie italiane conseguente alla disaggregazione dei nuclei familiari. Molti Paesi europei hanno già trasformato i propri modelli abitativi con la leva delle innovazioni tecnologiche e sociali diffuse; in Italia, al contrario, non si è mai usciti dalla sperimentalità e dalla occasionalità; è mancato un quadro di regole e il collante di un intervento nazionale strategico a lunga scadenza, un piano casa pluridecennale, incentrato su certezze fiscali e normative di incentivi. Iin questo quadro, purtroppo, il contributo dell’architettura è stato finora occasionale. 57 L’esigenza ormai imprescindibile di un’edilizia sociale che risponda al bisogno abitativo e si confronti con la cronica carenza di risorse economiche pubbliche ha dato origine a una rinnovata attenzione del legislatore nazionale su questi specifici temi. Prova ne è la recente proposta dei Ministri Tremonti e Matteoli per l’istituzione di un fondo di investimento per il social housing con Cassa Depositi e Prestiti aperto alle Compagnie di Assicurazione, alle Casse Previdenziali private, ad investitori privati. Ma, ad oggi l’investimento in edilizia residenziale destinata alla locazione non viene preso in considerazione da parte degli investitori privati a causa della scarsa redditività del capitale investito. L’offerta di edilizia residenziale destinata alla locazione a canoni sostenibili può essere incrementata solo garantendo una sufficiente remunerazione del capitale investito, stimata in una redditività non inferiore al 5-6% tale cioè da rendere finanziariamente sostenibile l’operazione dell’investitore privato. Appaiono ormai maturi i tempi affinché sul piano normativo, in particolare nell’ambito del rinnovo urbano delle periferie degradate, si declini anche l’alloggio destinato alla locazione di lunga durata a canoni sostenibili, come una dotazione territoriale al pari di altri servizi di interesse generale. Sempre più, infatti, si va diffondendo la convinzione che “le residenze di interesse generale destinate alla locazione” rappresentano un servizio economico di interesse generale, da ricomprendere nella definizione di alloggio sociale, pertanto compatibili con tutti gli strumenti urbanistici locali, ivi compreso l’utilizzo delle cosiddette “aree a standard”. Secondo una stima elaborata da Asso Immobiliare, in Italia sono presenti circa 600.000.000-700.000.000 m 2 di aree a standard inutilizzate che potrebbero essere, in parte, destinate ad alloggi in affitto a canone contenuto. Ricorrere a queste aree inutilizzate non rappresenta solo l’occasione per abbattere i costi dei terreni e ridurre conseguentemente i costi di costruzione e locazione, ma costituisce anche un’opportunità per: • riqualificare e promuovere interventi di trasformazione di aree oggi residuali o degradate e, di fatto, non fruibili dalla collettività; • inserirsi come una componente all’interno di trasformazioni urbanistiche non specializzate, sostituendo il modello di quartieri costituiti interamente da edilizia residenziale pubblica con residenze integrate all’interno di tessuti socialmente misti; • produrre alloggi in affitto, non solo a canone sociale, ma su una gamma di canoni più articolata, proprio perché l’accesso all’alloggio in locazione non riguarda più solo le fasce economicamente più deboli; • coinvolgere risorse private negli investimenti immobiliari remunerati con risorse da affitto, attraverso un nuovo rapporto tra pubblico e privato; 58 • realizzare servizi realmente fruibili e rispondenti alle necessità dei quartieri della città con cui gli interventi andranno a rapportarsi. E devo dire che l’impianto normativo della Regione Puglia, messo a punto dall’Assessore Barbanente, è fortemente innovativo rispetto a quello di altre realtà regionali, e mi riferisco alla L.R. n. 12/2008 sulle “Norme urbanistiche finalizzate ad aumentare l’offerta di edilizia residenziale sociale” più conosciuta come “Norme sulle Zone F”, alla L.R. n. 21/2008 sulla “Rigenerazione Urbana”, ai PIRP, al bando per l’accesso ai finanziamenti per programmi di riqualificazione urbana per alloggi a canone sostenibile, fino ad arrivare alla L.R. n.14/2010, il cosiddetto “Piano casa” regionale, impostato nella logica prosecuzione di un percorso legislativo avviato, puntando su quegli aspetti necessari per dare “qualità” e “vivibilità” alle nostre città. Ma è anche necessario, per agevolare questo percorso, un “Piano Casa” pluridecennale finalizzato al rinnovo urbano periferico che oltre all’indispensabile sinergia pubblico-privata sia dotato di uno specifico provvedimento legislativo volto a definire: • un regime fiscale speciale prevedendo agevolazioni in termini di credito di imposta ai fini dell’IVA e delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, con riferimento ai trasferimenti di immobili e dei diritti edificatori per l’attuazione dello strumento perequato; • fondi pubblici di rotazione quale volano per l’avvio delle fasi attuative di piani, per l’acquisizione di immobili di eventuali dissenzienti e per contribuire alla realizzazione di un adeguato numero di alloggi di elevata qualità e sostenibilità finalizzati ad accogliere temporaneamente, a rotazione, i residenti dei comparti oggetto di rinnovo urbano; • estensione delle agevolazioni già previste per la prima casa in proprietà alla “prima casa in locazione”. 4.3 Gerardo Tibollo – Presidente Ordine Ingegneri – Foggia «Abbiamo contribuito, con l’Ordine degli Architetti e con l’Ordine dei Geometri, insieme alla struttura del Comune di Foggia, a preparare i bandi per l’housing sociale, esprimendo alcuni pareri, però, condizionati dalla necessità di dover superare l’attuale fase di emergenza abitativa. Per quanto riguarda, poi, la questione dell’housing sociale, nella sua essenza, io ritengo che sia necessaria una considerevole partecipazione del pubblico. Circa l’operatività degli IACP, io ritengo che debba continuare come negli antichi splendori, perché ci sono delle realizzazioni, fatte anche dalla struttura tecnica degli IACP, di grande rilievo e di grande bellezza architettonica. Il fatto è che, oramai, si parla di alta efficienza energetica e di progettazione biosostenibile; aspetti, a mio 59 avviso molto positivi, che, tuttavia, sono onerosi per cui è difficile conciliare il costo dell’housing sociale e con questi interventi di alta efficienza e prima di tutto, di adeguamento di tipo strutturale (perché, a titolo esemplificativo, sono intervenute delle nuove norme tecniche per le costruzioni in zona sismica, che hanno appesantito enormemente il costo degli edifici). Oggi ci vogliono strutture molto armate e, quindi, una struttura che oggi viene fatta al posto di un’altra identica, costa dal punto di vista strutturale, il 25 % in più. L’efficienza energetica impone (e di questo che poi devo parlare anche con gli amici del Comune di Foggia) la presenza di pannelli per il solare termico che coprano il 50% del fabbisogno dell’energia primaria; cioè dovremmo produrre acqua calda sanitaria gratis. Ci vorrebbero, inoltre, delle dotazioni di fonti rinnovabili nella produzione di energia elettrica pari ad 1 kilowatt per ogni appartamento fatto nell’edilizia residenziale, mentre nell’edilizia per attività artigianali ci vogliono minimo 5 Kilowatt per 100 m2 di struttura artigianale insediata». 60 CONCLUSIONI L’obiettivo del convegno è stato quello di verificare se e in quali termini nell’attuale momento storico possa parlarsi di edilizia residenziale pubblica. Dall’indagine è emerso un ruolo determinante rappresentato dal Piano Casa che ha introdotto un modello in cui dallo Stato centrale, per mezzo di un sistema di fondi immobiliari locali, è possibile far convergere risorse finanziarie, finalizzate allo sviluppo del social housing, inteso come edilizia residenziale a canone di locazione calmierato. Come noto, la centralità del ruolo svolto dai Piani casa è, del resto, confermata dalla recente pronuncia della Corte Costituzionale (sent. n. 121/2010), con la quale si dichiara la parziale illegittimità del d.l. 112/2008 degli artt. 11 e 13. E’ proprio con lo strumento del Piano Casa che si tenta di consentire agli operatori privati la possibilità di creare fondi immobiliari per la realizzazione di nuove unità residenziali, destinate alla locazione a canone ridotto e successivamente alla vendita. Oltre a un supporto finanziario pubblico, si richiede il ricorso a nuovi modelli che contemplino la collaborazione tra pubblico e privato, al fine di prescindere dai soliti paradigmi dello sviluppo e della gestione immobiliare. Un caso esemplare è offerto dall’Olanda, dove la social housing è realizzata con capitali privati. Il modello olandese, difatti, si basa su un programma integrato di rigenerazione urbana e sulla realizzazione di unità immobiliari più efficienti nei costi di gestione e nell’utilizzo delle superfici. Tuttavia, l’esperienza olandese pare non essere di agevole applicazione nel nostro Territorio, fortemente caratterizzato da disomogeneità di fattori. Se a Belluno, ad esempio, la normativa regionale consente di ricorrere a un canone di locazione ispirato al principio di equità sociale, a contributi regionali consistenti e a forme di autofinanziamento, così non è stato in passato in Puglia. Nella realtà pugliese, in effetti, è ancora in corso il processo di cambiamento della vecchia tendenza culturale che è ancora presente in parte dell’utenza dell’uso del patrimonio in maniera arbitraria (nel senso di non avvertire i limiti dei doveri), ma soprattutto, di vanificare l’effettiva finalità dell’alloggio sociale: sostenere temporaneamente le famiglie in difficoltà. Proprio per queste finalità, l’Osservatorio (istituito con L. n. 431/1998 e a livello regionale in Puglia con L. R. n. 20/2005) si prefigge di compiere indagini dirette, tra l’altro, ad individuare i contorni di definizione giuridica ed applicativa del concetto “disagio abitativo”, nonché delle nuove classi sociali disagiate. Solo dopo aver individuato tali indici, si potrebbe trattare successivamente degli strumenti utili per fronteggiare oggi il tema dell’edilizia residenziale con riferimento a tutte le sue 61 sfaccettature. Si pensi alla concertazione tra pubblico e privato che potrebbe consentire di giungere alla definizione di progetti in cui si riqualificano e si valorizzano aree urbane con un complesso di funzioni, idonee a creare servizi a livello di quartiere, innalzandone la qualità complessiva. La redditività complessiva del progetto, in tal modo, è sufficiente ad attirare investitori privati, oltre a quelli pubblici. Ulteriore rilievo dovrebbe essere rappresentato dalla tecnica costruttiva, con l’impiego di nuove tecnologie (che consentano una riduzione dei costi e dei tempi di costruzione) e dal risparmio energetico (finalizzato a ridurre i costi di gestione e a migliorare, così, il risultato economico). A ciò dovrebbe aggiungersi una progettazione attenta alle nuove esigenze, per ottimizzare l’uso degli spazi mediante la creazione di parti comuni che permettano di ridurre le superfici private senza diminuirne l’utilità. L’idea comune che si è avvertita nei diversi interventi del presente convegno sembra essere quella di mutare la cultura di fondo dell’edilizia residenziale, ossia di avvertirla come diritto essenziale del cittadino “bisognoso”. In realtà, così già emergerebbe dal tessuto normativo che gli riconosce un carattere trasversale dato da una tripartizione della normativa stessa: di primo livello (di esclusiva spettanza dello Stato, è diretta a garantire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili), di secondo livello (ossia di legislazione concorrente, concerne la programmazione dell’erp), di terzo livello (affidato in toto alle Regioni, attiene alla gestione del patrimonio immobiliare). L’Iacp è chiamato, perciò, ad operare in stretta sinergia con gli Enti territoriali, la Regione, della quale è ente strumentale, e il Comune, intervenendo nella fase successiva all’assegnazione degli alloggi e provvedendo alla consegna degli stessi, nonchè alla successiva gestione dei rapporti locativi. Il legame con la Regione è indispensabile perché consente di acquisire le risorse necessarie, di definire d’intesa il programma degli interventi, di avere costante riferimento e un coordinamento nell’applicazione della normativa, ma lo è altrettanto la stretta collaborazione con gli Enti locali che hanno il governo delle problematiche sociali ed urbanistiche sul territorio. Sempre più pressante è l’esigenza di dare corso nel settore delle politiche socio-abitative ad un reale cambiamento che vada incontro alle nuove esigenze che nascono dalla trasformazione della società e del quadro contingente di crisi economico-finanziaria che investe il Paese, a fronte di politiche abitative nel settore dell’edilizia pubblica che sono state invece caratterizzate negli ultimi anni dal mantenimento dello status quo. In tale contesto l’auspicio è che, a livello nazionale e regionale, vengano operate scelte rivolte a riformare le strutture, modificare la logica di gestione del patrimonio, rivitalizzare gli 62 investimenti e orientare le stesse finalità delle politiche abitative pubbliche in modo da renderle più aderenti alle aspettative dell’utenza, consentendo allo Iacp di svolgere un ruolo dinamico con l’obiettivo primario di rendere disponibili alloggi da destinare a quelle categorie (nuove famiglie, giovani, disabili), che attualmente hanno scarse possibilità di vedere soddisfatte le loro richieste. 63