ARCHIVIO DI STATO DI BOLOGNA in collaborazione con Pinacoteca nazionale di Bologna Museo del Risorgimento di Bologna Biblioteca comunale dell’Archiginnasio Fondo per l’ambiente italiano – Delegazione di Bologna “In mezzo alla folla è il Pepoli” Il marchese Gioacchino Napoleone nel Risorgimento nazionale Mostra documentaria a cura di Salvatore Alongi, Francesca Boris, Giorgio Marcon, Francesco Nicita e Diana Tura Progetto grafico di Valentina Gabusi CATALOGO GENERALE INTRODUZIONE A 150 anni di distanza dalla proclamazione del Regno d’Italia e a 130 dalla scomparsa del marchese Gioacchino Napoleone Pepoli (1825-1881), questo protagonista del Risorgimento torna all’attenzione della comunità scientifica grazie all’acquisto e all’inventariazione, da parte dell’Amministrazione archivistica, del suo fondo personale, oggi conservato presso l’Archivio di Stato di Bologna. In occasione delle Giornate Europee del Patrimonio l’Archivio di Stato intende far conoscere anche a un pubblico più vasto questa importante documentazione attraverso una mostra allestita nella sala dell’antica biblioteca. Principale filo conduttore dell’esposizione è la vicenda politica del Pepoli, uno dei protagonisti dell’epopea risorgimentale bolognese, dai moti del 1848 fino al compimento dell’indipendenza delle Romagne nel 1859 e alla loro annessione al Regno di Sardegna nel 1860. Il percorso che portò la città e il territorio di Bologna nello “Stato nuovo” è così ricostruito alla luce delle principali tappe della storia politica del marchese attraverso i documenti del suo fondo personale, affiancati da ulteriori testimonianze coeve che aiutano a esporre, chiarire, confermare o smentire gli aspetti più significativi: pubblicazioni, manifesti, giornali, cimeli (sezioni “Il Quarantotto” e “L’Unità”). Un’attenzione particolare viene dedicata anche alla storia dell’importante famiglia patrizia dei Pepoli e al contesto culturale nel quale visse e si formò il giovane Gioacchino Napoleone (sezione “Le premesse”). A compimento del 1 percorso è presentata una scelta di opuscoli celebrativi degli anniversari risorgimentali (sezione “Le celebrazioni”). LE PREMESSE 1. I PEPOLI A BOLOGNA E IN EUROPA Gli storici del ‘600 facevano risalire le origini della famiglia Pepoli a personaggi famosi del X o XI secolo: si trattava di ipotesi fantasiose, finalizzate a esaltare il prestigio familiare. La casata, che alcuni studiosi recenti considerano di provenienza romagnola, sembrerebbe documentata in città già nell’ultimo decennio dell’XI secolo e nel secolo successivo. Ma le prime attestazioni certe di membri della famiglia risalgono al ‘200 e si trovano per lo più in documenti notarili scritti su pergamena. Fra questi il testamento di Zerra di Romeo (1) che già nel 1251 conferma la presenza dei Pepoli in via Castiglione, zona in cui il famoso Romeo acquistò il primo nucleo immobiliare su cui poi il figlio Taddeo avrebbe fatto costruire nella prima metà del XIV secolo la prestigiosa residenza familiare. Sin dalle prime generazioni i Pepoli avevano esercitato l’arte del cambio e avevano assunto come insegna lo “scacchese”, raffigurante la tavola a scacchi bianchi e neri utilizzata per rapidi conteggi sul rapporto fra monete diverse. Nel corso del ‘200 molti esponenti della famiglia ricoprirono cariche nelle magistrature comunali ed ebbero ruoli nella scena politica della città, mantenendo sempre la loro fedeltà alla Chiesa e scontrandosi per questo con le maggiori famiglie ghibelline di Bologna. Alcuni membri della famiglia furono protagonisti della vita economica bolognese: fra questi Romeo, che con la sua attività di banchiere aveva contribuito in maniera significativa all’incremento patrimoniale della famiglia (2). Dai primi anni del ‘300 Romeo ebbe anche l’autorità, se non il titolo, di signore di Bologna, accumulando, pur nel rispetto delle istituzioni cittadine, un forte potere politico ed economico, tanto da essere ritenuto uno degli uomini più ricchi e potenti dell’Italia del XIV secolo. Questo eccessivo potere lo fece scontrare con altre famiglie bolognesi che, coalizzatesi, lo costrinsero nel 1321 ad abbandonare la città con tutta la famiglia. Rientrati i Pepoli nel 1327, Taddeo (3) divenne nel 1337 signore di Bologna, acquisendo in seguito anche il titolo di vicario pontificio. Taddeo fu anche un personaggio di spicco nella storia italiana del ‘300: dottore in diritto civile e canonico e contrario alla violenza, svolse il ruolo di moderatore delle tensioni cittadine, conquistando la devozione dei bolognesi, attestata dalla solenne sepoltura in San Domenico e dalle decorazioni araldiche della splendida miniatura del Maestro del 1346 (4) che gli rende omaggio per il periodo di pace e tranquillità che aveva saputo donare a Bologna. Alla morte di Taddeo, la signoria passò ai figli Giovanni e Giacomo, che ressero la città fino al 1350, anno in cui iniziarono le signorie forestiere. Da 2 allora i Pepoli non furono mai più signori di Bologna, pur rimanendo sempre presenti nelle più alte magistrature cittadine. In età moderna, i Pepoli si ramificarono in alcune linee principali, tutte derivanti dai figli di Guido di Romeo, discendente da Giovanni signore di Bologna: il ramo dei legittimati (linea di Filippo), il ramo comitale e il ramo marchionale (linea di Girolamo). Di entrambe le linee abbiamo una documentazione archivistica vasta e antica: gli archivi della linea di Filippo sono conservati alla Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, quelli della linea di Girolamo in Archivio di Stato. Questi ultimi sono giunti in Archivio di Stato tramite gli eredi di Gioacchino Napoleone Pepoli. I tre rami continuarono ad abitare vicini, anche quando fu costruito, nel Seicento, il Palazzo nuovo davanti a quello vecchio in strada Castiglione (57), e a comportarsi da grande clan come ai tempi della loro attività di cambiatori. Molti Pepoli furono senatori di Bologna, in una linea e nell’altra. Il ramo comitale e il ramo marchionale, i cui beni si sarebbero riuniti nell’Ottocento proprio in Gioacchino, condividevano la gestione del feudo di Castiglione, concesso dall’imperatore Carlo IV nel 1369 (8). Ma i Pepoli avevano molte altre proprietà, nel modenese, nel ferrarese e in Romagna, vantavano due marchesati e titoli di nobiltà veneziana e romana (9-10), si consideravano sudditi dell’Impero (11) e molto poco dello Stato pontificio, in contrasto netto con la loro tendenza guelfa in età medievale. Il forte senso di coesione familiare, l’arroganza del loro passato di signori della città, la tendenza alle imprese militari e alle risse cittadine, persino uno stato di tensione e di polemica antiromana e anticuriale, furono caratteristiche costanti delle varie linee durante i secoli XVI-XVIII. Ma ci furono anche carriere e viaggi all’estero, come quello in Inghilterra narrato dal marchese Giovanni Paolo nel suo diario (12), o il mecenatismo del conte Sicinio, grande imprenditore di musica operistica e consigliere imperiale (14). Il marchese Giuseppe (15), all’inizio dell’800, ereditò i beni del ramo comitale che sarebbero poi passati a Gioacchino Napoleone Pepoli. Alcuni personaggi si distinsero in simpatie per il riformismo illuministico e contatti con élites straniere, una tradizione che doveva saldarsi nel matrimonio di Guido Taddeo, il padre di Gioacchino, con Letizia Murat, la figlia dell’ex re di Napoli Gioacchino Murat e di Carolina, sorella di Napoleone I. L’alleanza matrimoniale fra i Pepoli e i Bonaparte segna il punto d’incontro fra la storia dell’antica e orgogliosa famiglia bolognese e l’ideale napoleonicorivoluzionario, che sembrano entrambi una premessa: di quelli che saranno, in età risorgimentale, il fervido patriottismo e gli ideali sociali di Gioacchino Napoleone Pepoli. 1. Testamento di Zerra di Romeo Pepoli, rogato da Rolandino Passeggeri, 8 ottobre 1251. Uno dei documenti più antichi relativi alla famiglia Pepoli, ci attesta che a quest’epoca i Pepoli abitavano già in strada 3 Castiglione, dove sorgerà il primo palazzo di famiglia (San Francesco, 335/5078, n. 9) 2. Estimo di Romeo Pepoli e altri membri della famiglia, 1315. Contiene le denunce delle proprietà mobiliari e immobiliari dei Pepoli ed è la testimonianza di un forte incremento del patrimonio familiare rispetto alla fine del secolo precedente (Comune, Ufficio dei Riformatori degli Estimi, serie II, busta 161) 3. Ritratto di Taddeo Pepoli (tratto da Nelle auspicatissime nozze del n.u. marchese Gioachino Napoleone Pepoli con Federica Guglielmina principessa di Hohenzollern Sigmaringen. Dettato italiano del dottor Salvatore Muzzi colla versione tedesca dell’avvocato Enrico Facci, Bologna, Tipografia Sassi nelle Spaderie, [1844]) (Collezione privata Rosati Pepoli) 4. Statuto della società dei Drappieri, 1346. Questo prezioso codice, redatto e miniato negli anni della signoria di Taddeo Pepoli, dimostra l’importanza politica assunta dalla famiglia nel contesto cittadino, attraverso le scelte iconografiche: stemmi e cimieri dei Pepoli, una scena che rende omaggio alla cultura giuridica di Taddeo (Comune, Capitano del Popolo, Società d’arti e d’armi, busta VII) 5. Palazzi Pepoli in via Castiglione (Pepoli, Mappe, piante e disegni, cartella I, secolo XVII) 6. Rappresentazione di Palazzo Pepoli Campogrande (Anziani Consoli, Insignia, vol. XI, 1700) 7. Rappresentazione di Palazzo Pepoli Campogrande (Anziani Consoli, Insignia, vol. XI, 1710) 8. Pianta di Castiglione dei Pepoli (Pepoli, Mappe, piante e disegni, cartella III) 9. Concessione di privilegio della nobiltà veneta ai membri della famiglia Pepoli, 1686. Le concessioni di cittadinanza e nobiltà venivano rinnovate ai vari discendenti e conservate come prove del prestigio familiare (Pepoli, Storia genealogia nobiltà) 10. Concessione di privilegio della cittadinanza romana a Cornelio Pepoli, 1691. Il registro è rilegato in cuoio dorato con nastri di seta e un sigillo pendente racchiuso in una teca argentea con l’impressione dello scacchese, emblema di famiglia (Pepoli, Storia genealogia nobiltà) 11. Rinnovi dell’investitura del feudo di Castiglione, secolo XVIII. I Pepoli richiedevano periodicamente agli imperatori del Sacro Romano Impero il rinnovo della investitura del feudo di Castiglione, la quale veniva concessa in forma solenne, corredata da sigilli in cera o in metallo dorato (Pepoli, Feudo di Castiglione) Diario di Giovanni Paolo Pepoli, 1707. Il marchese Giovanni 12. Paolo Pepoli (1667-1748) ha lasciato un diario in più volumi, in cui ricorda vicende familiari e cittadine e narra fra l’altro un suo viaggio in Inghilterra nel 1707 al seguito di un’ambasceria veneziana (Pepoli, Storia genealogia nobiltà) 13. Menù di un banchetto offerto dal conte Sicinio Pepoli, nella sua funzione di tesoriere della magistratura cittadina degli Anziani Consoli, 1717, particolare (Pepoli, Amministrazione) 4 14. Carlo Broschi Farinelli a Sicinio Pepoli, 1731. Il conte Sicinio fu grande mecenate degli artisti dell’opera teatrale italiana. In questa lettera il più celebre dei cantanti castrati del Settecento, Farinelli, si congratula affettuosamente con il conte per la nascita del suo unico figlio maschio, Odoardo, che sarà anche l’ultimo del ramo comitale della famiglia (Pepoli, Carteggi) 15. Ritratto di Giuseppe Pepoli (Biblioteca comunale dell’Archiginnasio [d’ora in poi BCA], collezione dei ritratti, A/45, cart. 74, n. 1) 2. CARLO PEPOLI E LA RIVOLUZIONE DEL 1831 Il conte Carlo Pepoli (16) nacque il 22 luglio 1796 da una delle più antiche e nobili famiglie bolognesi. Si distinse, fin dall’età giovanile, come poeta, letterato e uomo politico. Perfezionò i suoi studi anche nel campo filosofico e filologico orientandoli nel senso di un impegno ideologico, costantemente inscritto nell’orizzonte del Risorgimento italiano. Fu presidente dell’Accademia dei Felsinei, dove incontrò Giacomo Leopardi con cui stabilì un profondo rapporto d’amicizia, suggellato dalla leopardiana epistola in versi indirizzata al conte bolognese e letta presso la stessa Accademia il giorno 27 marzo 1826. Nel poemetto L’Eremo. Versi di Carlo Pepoli in morte di Livia Strocchi – apparso nel 1828 (17), il cui primo abbozzo fu inviato alla contessa Teresa Carniani Malvezzi (18-19) – l’autore concluderà il testo con un preciso riferimento leopardiano (attinto dalla suddetta epistola in versi) alla vita come ozio, puntualmente segnalato in nota: «Tra le mestissime poesie di G. Leopardi vi è una Epistola a Carlo Pepoli, ove si canta, come tornando oziose e vane tutte le cure poste dall’uomo a rinvenire la felicità, si può chiamare un vero ozio l’intera vita». I rapporti con Leopardi, furono ricostruiti dal Pepoli, a distanza di anni, nel I volumetto delle Ricordanze biografiche, 1881, corredato del carteggio leopardiano. Coinvolto nei moti bolognesi del 1831-32, in opposizione allo Stato Pontificio – il suo nome appare nel Libro dei compromessi politici (21) entro una lista che si aggira intorno a 1.800 persone e che indica anche le qualifiche professionali dei soggetti coinvolti (e ciò configura un coinvolgimento rivoluzionario di tutte le classi cittadine, in quanto espressione di una cultura anticlericale, aristocratica e borghese) – Carlo Pepoli, «possidente», fu schedato come uno «dei principali compromessi nell’accaduta rivoluzione […] in favore del liberalismo». Dopo essere stato nominato dai «ribelli» prefetto di Pesaro, il conte «s’imbarcò (come puntualizza la medesima e preziosissima fonte) per Malta, ma venne arrestato a mare e tradotto a Venezia in unione del generale Zucchi che faceva passare per suo domestico, ed ai loro 95 faziosi; fu di quelli che firmarono l’atto di detronizzazione, per cui non gli si permette il ritorno nello Stato». 5 Nei lunghi anni dell’esilio, Carlo Pepoli si rifugiò prima a Ginevra, poi a Parigi, dove strinse amicizia con Vincenzo Bellini, per il quale scrisse il libretto dei Puritani (anche il resoconto dell’amicizia con Bellini, unitamente alle vicende editoriali del libretto, pesantemente intaccato dalla censura politica, confluirono nella seconda serie delle Ricordanze biografiche, anch’esse datate 1881 e corredate delle lettere del musicista catanese, di séguito al sopra citato carteggio leopardiano), e infine a Londra. A Ginevra, egli raccolse in due volumi i suoi scritti – Prose e Versi, Ginevra 1833; il primo volume (22) reca sull’antiporta del frontespizio, in margine a un’immagine in cui svettano le due torri bolognesi, una pregnante autocitazione: «Io sono Bolognese, e n’ho vanto, in quanto che solamente sono Italiano; nome per glorie e sventure assai venerando!»), – ripubblicati nel 1837 a Londra, dove due anni dopo Carlo Pepoli fu nominato professore di lingua e letteratura italiana nel Collegio dell’Università londinese; incarico tenuto fino al 1847. Nella lezione inaugurale (in inglese) On the language and literature of Italy, Carlo Pepoli menzionava, in chiusura della sua prolusione, il contributo degli esuli alla nuova letteratura italiana: nel corposo elenco figuravano tra gli altri i nomi di Rossi (Pellegrino), Mamiani, Orioli, Gioberti, Rossetti, Mazzini, Berchet e Tommaseo. A Londra egli aveva inoltre pubblicato, in edizione bilingue, una raccolta di testi musicali e cantabili – Grand evening poetical and musical entertaiment, given at the great concert room, King’s theatre, London 1837; si tratta dell’unico esemplare esistente in Italia – (24), attinti da libretti d’opere, tra cui sono inclusi alcuni frammenti rossiniani e brani dei Puritani, che s’inquadrano nel contesto di due suoi precedenti studi (il discorso accademico Del Dramma musicale e la Lettera sopra alcuni canti popolari) poi accorpati nel volume londinese delle Prose. Nel 1859, al rientro in Bologna, Carlo Pepoli fu nominato deputato dell’Assemblea costituente delle Romagne, quindi del Parlamento nazionale, poi del Senato del Regno, prima di assumere la carica di sindaco di Bologna, dove morì il 6 dicembre 1881. Un particolare rilievo assunse il suo impegno presso il Ministero della pubblica istruzione, in relazione all’ordinamento dell’Università di Bologna, che gli affidò l’insegnamento di filosofia e filologia. Nel Discorso premiale letto da Carlo Pepoli nella R. Università di Bologna, datato 1866, Pepoli manifestò una notevole apertura nei confronti della dialettologia, che trae dai dialetti una «buona serie di elementi per la Filologia comparata, la quale medita sulla origine e le diramazioni e le trasformazioni del primo linguaggio […]», come egli stesso sperimentò nella traduzione dialettale del Vangelo secondo Matteo, apparsa a Londra nel 1862 (25). 16. Ritratto di Carlo Pepoli (BCA, collezione dei ritratti, A/45, cart. 69, n. 2) L’eremo. Versi di Carlo Pepoli in morte di Livia Strocchi, 3 ed., 17. Tipografia Cenerelli all’Áncora, 1868 6 18. Carlo Pepoli a Teresa Carniani Malvezzi, s.l., 30 giu. 1831 (MALVEZZI DE’ MEDICI, b. 114, Corrispondenza Carlo Pepoli) Ritratto di Teresa Carniani Malvezzi (ALDOBRANDINO 19. MALVEZZI DE’ MEDICI, Carteggio, b. 30) 20. Diploma dell’Accademia de’ Felsinei alla contessa Teresa Malvezzi nata Carniani (MALVEZZI DE’ MEDICI, b. 115/3 bis) 21. Libro dei compromessi politici nella rivoluzione del 1831-32, a cura di Albano Sorbelli, Roma, Vittoriano, 1935 Prose e versi di Carlo Pepoli, I (Prose), Ginevra, Vignier, 1833 22. 23. Prose e versi di Carlo Pepoli, II (Versi), Ginevra, Vignier, 1833 24. C. PEPOLI, Grand evening poetical and musical entertaiment, given at the great concert room, King’s theatre, on Wednesday, july 12, 1837, London, C. Armand, [1837] Il vangelo di S. Matteo volgarizzato in dialetto bolognese dal conte 25. Carlo Pepoli, Londra 1862 26. A. ZANOLINI, La rivoluzione dell’anno 1831 in Bologna, Bologna, Stabilimento tipografico successori Monti, 1878 Compendio storico de’ principali avvenimenti seguiti in Bologna 27. durante la rivolta e l’anarchia dell’anno 1831, ms. 3. LA FAMIGLIA, LA FORMAZIONE, IL MATRIMONIO GIOACCHINO FRANCESCO NAPOLEONE PEPOLI (Bologna, 10 ottobre 1825 – Bologna, 26 marzo 1881) fu l’unico figlio maschio di Guido Taddeo (17891852) e di Letizia Murat (1802-1859) (28), figlia di Gioacchino (1767-1815) (29), re di Napoli, e di Carolina Bonaparte (1782-1839), sorella di Napoleone I, imperatore dei francesi. L’infanzia del Pepoli dovette nutrirsi di un profondo risentimento antiaustriaco, intensamente alimentato dal contesto familiare: entrambi i genitori comparivano infatti nell’elenco dei compromessi politici della rivoluzione del 1831-32 come «nemici del governo, hanno estese relazioni con dei rivoluzionari stranieri, contribuiscono per quanto si crede alla Cassa della Propaganda e somministrano dei sussidi a dei ribelli che trovavansi in bisogno, egli [il padre, Guido Taddeo, ndr] fu in ambe le epoche monturato col grado di capitano, e volle che quelli della sua compagnia indossassero nei 44 giorni il bonetto tricolorato. Nel di lui palazzo si tengono bene spesso riunioni sospette. È ritenuto ancora settario» (21). Gioacchino crebbe inoltre nel culto dei propri avi, e in particolar modo dei nonni materni. Delle loro effigi adornò le pareti della sua dimora (30-31), raccogliendo allo stesso tempo sparute testimonianze scritte che ne tramandassero il ricordo. La madre Letizia, soprannominata “la Regina di Bologna” per via del suo salotto, il quale, oltre che dedicato alla cultura, all’arte e alla conversazione, divenne un centro di affari politici, affidò la sua formazione a due illustri maestri: il poeta senigalliese Giovanni Marchetti (1790-1852) (32), amico 7 d’infanzia di Pio IX («compagne in gioco e in feste», come scrisse lo stesso Marchetti nel sonetto del 14 dicembre 1840 per la creazione a cardinale del Mastai Ferretti) e segretario di Antonio Aldini nel periodo in cui questi fu ministro segretario di Stato del Regno d’Italia; e il religioso bolognese Paolo Venturini (1800-1850). Particolarmente affettuoso dovette essere il rapporto col Marchetti, che seguì Gioacchino nel corso di tutta la sua adolescenza, spronandone le doti («Coltivate, mio buon Ninio, le rare disposizioni di cui vi è stata benigna la Provvidenza», 33), e frenandone gli slanci eccessivi («Gli stolti possono ammirare il far presto; ma i saggi non lodano che il far bene»). Anche col Venturini molto inteso fu lo scambio intellettuale. Ai componimenti inviatigli dal giovane, il padre barnabita rispondeva con consigli e indicazioni stilistiche («In tutte e due le terzine v’è del buono e del cattivo», 34), indirizzandogli a sua volta numerosi sonetti (come quello dall’incipit “Tu chiedi, amico, che la muta lira”, 35). La giovinezza del marchese ebbe però breve durata se «a diciannove anni sposò sua cugina, la principessa Federica Guglielmina di Hohenzollern Sigmaringen, figlia del principe Carlo e della principessa Antonietta Murat, e con questo matrimonio si imparentò con quasi tutte le famiglie sovrane d’Europa». È lo stesso Pepoli a ricordare le proprie nozze, in maniera particolarmente laconica, in un passaggio del manoscritto autobiografico dal titolo Documenti intorno alla mia vita, nel quale detta al proprio segretario Filippo Manaresi, tra il settembre e il dicembre 1880, le memorie dell’intera sua esistenza, proprio alla vigilia della morte. A Sigmaringen, dunque, il 5 dicembre 1844, Pepoli impalmò, giovanissimo sposo, la di lui più anziana cugina Federica Guglielmina di HohenzollernSigmaringen, detta Frida (1820-1906), figlia di Karl (1785-1853) e di Marie Antoinette Murat (1793-1847), figlia di Pierre (1748-1792), fratello di Gioacchino, re di Napoli. Un rigido protocollo regolò la cerimonia (36), mentre numerosi furono in quei giorni gli opuscoli pubblicati da amici ed estimatori per celebrare le “faustissime nozze” della coppia (37). Il padre di Federica Guglielmina era ancora, all’epoca del matrimonio tra la figlia e il Pepoli, sovrano del principato di Hohenzollern-Sigmaringen, stato indipendente membro della Confederazione germanica, situato nell’estremo meridione della Germania, nell’attuale regione del Baden-Württemberg. Karl cedette il trono, a seguito dei moti del 1848, all’unico figlio maschio Karl Anton (1811-1885), che però, solo un anno dopo, nel 1849, abdicò a sua volta in favore del cugino Federico Guglielmo IV, sovrano di Prussia, il quale integrò nel proprio regno il piccolo dominio che cessò così definitivamente di esistere quale entità statale autonoma nel 1850. Dal matrimonio tra Gioacchino Napoleone e Federica Guglielmina nacquero tre figlie, Letizia (1846-1902), che andò sposa nel 1868 al conte Antonio 8 Gaddi (1843-1914), Antonietta (1849-1887), maritata al conte Carlo Taveggi (1836-1902), e Luisa Napoleona (1853-1929), consorte del conte Dominico Guarini Matteucci (1848-1905). Riservata e schiva, Frida visse sempre all’ombra dell’egocentrico marito, che in occasione del loro quindicesimo anniversario di matrimonio lodò la consorte con una appassionata dedica (38). 28. Ritratto di Letizia Murat (BCA, collezione dei ritratti, A/41, cart. 54, n. 1) Ritratto di Gioacchino Murat (BCA, collezione dei ritratti, A/41, 29. cart. 53, n. 5) 30. Ritratto di Gioacchino Murat, piatto in bronzo dorato (Pinacoteca Nazionale di Bologna, inv. 1084) Ritratto di Carolina Bonaparte, piatto in bronzo dorato 31. (Pinacoteca Nazionale di Bologna, inv. 1085) 32. Ritratto di Giovanni Marchetti (BCA, collezione dei ritratti, A/36, cart. 57, n. 3) 33. Giovanni Marchetti a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.l. 1° gen. 1842 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Amici, 18. Marchetti Giovanni) 34. Paolo Venturini a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.l., 18 ago. 1841 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Letterati italiani, 38. Venturini Paolo) 35. Paolo Venturini a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 28 mag. 1842 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Autografi) 36. “Programm zur feier der hohen vermaehlung jhro durchlaucht der prinzessin Frida zu Hohenzollern-Sigmaringen mit dem herrn marquis Joachim Napoleon Pepoli den 5 december 1844”, aus der Lithograph Anstalto P. Liehner (Collezione privata Rosati Pepoli) 37. Quando le nozze di Gioachino marchese Pepoli con Federica de’ principi di Sigmaringen consolavano Bologna di speranze non dubitabili Luigi Tanari gli auguri dell’amico le congratulazioni del cittadino offeriva l’anno 1844, Bologna, Tipografia governativa alla Volpe, [1844] 38. Scritti politici ed economici di Gioachino Napoleone Pepoli, Bologna, Tipo governativa del Sassi e della Volpe, 1859 (Collezione privata Rosati Pepoli) IL QUARANTOTTO 4. LA PRIMA GUERRA D’INDIPENDENZA Discendente del ramo marchionale dell’antichissima famiglia Pepoli di Bologna, esponente dell’aristocrazia cittadina, liberale e moderata, Gioacchino Napoleone fu tra i 1.753 firmatari bolognesi della supplica (39) scritta d’accordo con Giovanni Marchetti, Marco Minghetti (40) e Luigi Tanari, e inviata nel giugno 1846 al camerlengo Tommaso Riario Sforza e ai cardinali riuniti in conclave, nella quale venivano esposti «con dignità e moderazione i gravi mali che hanno sofferti fin qui i sudditi delle Legazioni, e si fanno vive preghiere perché consci della verità 9 dell’esposto vogliano gli Eminentissimi Cardinali impetrare dal Pontefice che va ad essere da loro eletto, quelle concessioni fatte ormai troppo necessarie a queste popolazioni» (E. BOTTRIGRARI, Cronaca di Bologna, I (1845-1848), Bologna, Zanichelli, 1960, p. 63). Questo il racconto dell’ingresso sulla scena politica del giovane Pepoli attraverso le sue stesse parole: «E siccome pareva che molti tentennassero e paventassero di firmarlo, egli si recò di porta in porta, di bottega in bottega, per ottenere le adesioni, e giunse perfino ad andare nei grossi paesi del circondario, nei dì di mercato, per giungere al proprio intento. Il prolegato lo chiamò a se e lo redarguì severamente, ma egli gli rispose con nobile alterezza “Se non è contento dell’opera mia, mi faccia arrestare” e gli volse le spalle senza neppur prendere comiato. Pochi giorni dopo le cose erano mutate. Pio IX, salendo al trono, accordò l’amnistia. Grandi furono le feste, gli applausi, le ovazioni, le luminarie al nuovo pontefice. Il giovane patrizio, che mal si fidava della fede clericale, fece scrivere sul suo palazzo in carattere di fuoco queste parole: “Un bel principio è la metà dell’opera”. Sventuratamente la seconda metà non venne». Promulgata dunque dal nuovo pontefice l’amnistia per i detenuti e i fuoriusciti “per delitti politici”, Pepoli si adoperò per raccogliere fondi a loro favore (41). In quel periodo il marchese Gioacchino collaborò anche con la testata «Il felsineo. Giornale politico, economico, scientifico, letterario», che uscì in una nuova serie dal 7 gennaio 1847 al 16 maggio 1848 quale organo della Conferenza economico-morale, vale a dire dei liberali moderati, di quel «ceto dirigente cittadino, che aveva trovato nel processo riformatore un provvisorio punto di convergenza» (A. PRETI, Giornali, circoli, caffè: le idee di unità e di indipendenza a Bologna, in Storia illustrata di Bologna, a cura di W. TEGA, III, San Marino, AIEP, 1990, pp. 381-400, in part. p. 391). Istituita poi la Guardia civica pontificia anche a Bologna (42) sotto la guida di Alessandro Guidotti Magnani (43), Pepoli fu capitano della prima compagnia del primo battaglione (poi secondo battaglione) (44). Della formazione a lui affidata curò la riorganizzazione, fino a portarla al numero di settanta effettivi (45). Il 23 marzo 1848 l’esercito sardo varcò il Ticino dando inizio alle ostilità con l’impero austriaco e alla prima guerra d’indipendenza italiana. L’amministrazione di Bologna si mobilitò emanando l’11 aprile un editto per il soccorso economico al movimento: la famiglia Pepoli non mancò di contribuire, come testimonia una Nota delle offerte fatte al municipio di Bologna dal dì 12 aprile al 30 giugno 1848, dove, sotto la data del 28 aprile, la marchesa Federica Pepoli compare come offerente di quaranta scudi romani (46). 10 39. Minuta di lettera a Tommaso Riario Sforza e ai cardinali riuniti in conclave, Bologna, 11 giu. 1846 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Minute di lettere e manoscritti di discorsi, 9. Minute di lettere al cardinale legato) 40. Ritratto di Marco Minghetti (BCA, collezione dei ritratti, A/39, cart. 102, n. 1) 41. “Colletta pei graziati politici che versano in istato di povertà” (G. N. PEPOLI, Carte politiche, 1848, 2. “Raccolta per gli amnistiati”) Decreto di istituzione della Guardia civica pontificia a Bologna, 8 42. lug. 1847 (STAMPE GOVERNATIVE) 43. Alessandro Guidotti Magnani. Cenni biografici, Bologna, Tipografia Sassi nelle Spaderie, 1848 Alessandro Guidotti Magnani a Gioacchino Napoleone Pepoli, 44. s.l., 21 set. 1847 (G. N. PEPOLI, Carte politiche, 1848, 3. Guardia civica) 45. “Stato nominativo della prima compagnia del primo battaglione della Guardia civica di Bologna”, s.l., 1° ago. 1848 (G. N. PEPOLI, Carte politiche, 1848, 3. Guardia civica) 46. Nota delle offerte fatte al municipio di Bologna dal di 12 aprile al 30 giugno 1848, Bologna, Tipografia Sassi, [1848] 5. LA BATTAGLIA DELLA MONTAGNOLA Al fine di meglio disporre le difese della città in vista degli assalti dell’esercito austriaco (47) e di trovare un accordo fra la legalità e le necessità del movimento insurrezionale, il prolegato Cesare Bianchetti (48) decretò l’istituzione di un Comitato di salute pubblica, del quale il marchese Gioacchino fu chiamato a far parte già dal 6 agosto (49). Membri del Comitato, oltre al Pepoli, furono Silvestro Gherardi, Giovan Battista Ercolani, Oreste Biancoli, Matteo Pedrini, Lodovico Berti, Federico Rusconi ed Ermolao Conti. Durante i moti rivoluzionari del 1848 si distinse l’8 agosto tra i combattenti della battaglia della Montagnola; a molti anni di distanza sottoscrittori giurati affermarono «sul loro onore di avere veduto il marchese Gioacchino Pepoli tra i combattenti» (51). Il pittore Antonio Muzzi, chiamato proprio dal marchese Gioacchino a realizzare una tela commemorativa dell’evento, lo immortalò nel dipinto La cacciata degli austriaci da Porta Galliera l’8 agosto 1848 (52), dal Pepoli devoluto più tardi in beneficenza al Comitato di patronato pei superstiti dell’8 agosto in Bologna (53), e da quest’ultimo a sua volta donato, all’atto del suo scioglimento nel 1895, al Comune di Bologna. È oggi esposto al Museo del Risorgimento di Bologna. Scacciati gli austriaci dalla città (57), l’11 agosto Pepoli assunse infine il ruolo di colonnello facente funzioni di comandante in capo della Guardia civica (58) in un momento di profonda crisi per la città e le Romagne, caratterizzato dalla diffusa anarchia e dall’ondata di criminalità generate dal manifesto vuoto di potere che la debolezza del governo centrale e l’impotenza del legato provinciale tendevano ad alimentare. 11 È egli stesso a descrivere efficacemente l’ambiente bolognese di quel tempo in un suo ordine del giorno del 22 agosto: «Resterete inerti, e neghittosi dinanzi allo scandalo iniquo di misfatti inauditi? Soffrirete voi che il giorno più glorioso e più bello dell’istoria bolognese sia segnato come fonte di guai, come sorgente d’obbrobrio? Quello che non poterono migliaia di stranieri, lo potrà dunque impunemente una mano di scellerati?». Richiamo all’ordine del prolegato Cesare Bianchetti in vista 47. dell’ingresso degli austriaci di Welden, 6 ago. 1848 (STAMPE GOVERNATIVE) 48. E. SASSOLI, Biografia del conte Cesare Bianchetti, Bologna, Tipi Sassi nelle Spaderie, 1849 Cesare Bianchetti a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 6 49. ago. 1848 (G. N. PEPOLI, Carte politiche, 1848, 3. Guardia civica) 50. Proclama del prolegato Cesare Bianchetti sul suo tentativo di darsi come ostaggio agli austriaci, 8 ago. 1848 (STAMPE GOVERNATIVE) Sottoscrizioni giurate dei reduci della battaglia che attestano la 51. presenza del Pepoli alla Montagnola l’8 agosto 1848, s.l., s.d. (G. N. PEPOLI, Carte politiche, 1848, 1. Documenti sull’8 agosto, 2. Comitato di sussidio ai superstiti dell’8 agosto) 52. A. MUZZI, La cacciata degli austriaci da Porta Galliera l’8 agosto 1848, olio su tela, 1849 ca. (Museo civico del Risorgimento di Bologna) 53. Comitato di patronato pei superstiti dell’8 agosto 1848 in Bologna, Bologna, Società tipografica Azzoguidi, 1884 (Collezione privata Rosati Pepoli) 54. A. VESI, Narrazione storica del fatto d’armi avvenuto in Bologna nel di 8 agosto 1848, Bologna, Tipi delle Muse, [1848] 55. E. FARNÈ, Il giorno otto agosto 1848 in Bologna. Narrazione storica, [Bologna], Società Tipografica Bolognese, [1848] 56. V. PERI, Cronaca dell’8 agosto 1848 in Bologna con documenti officiali, Bologna, Regia tipografia, 1866 57. «Gazzetta di Bologna», 10 ago. 1848 58. Nomina di Gioacchino Napoleone Pepoli a comandante in capo della Guardia civica di Bologna, 11 ago. 1848 (STAMPE GOVERNATIVE) 6. BOLOGNA LIBERA Ritiratisi gli austriaci (59), tra il 26 e il 31 agosto il marchese Gioacchino si trovò coinvolto in quelle che la storiografia ha definito le “sedizioni militari”, fomentate dagli esponenti del partito democratico Agamennone Zappoli, Livio Zambeccari, Angelo Masina e Callimaco Zambianchi: la sera del 31 agosto, infatti, la Guardia civica comandata dal Pepoli offrì appoggio al prolegato contro il tentativo di 12 «nominare, col consenso e l’approvazione del popolo un Comitato o governo militare che tenesse le veci per ora di un Governo provvisorio» (E. BOTTRIGARI, Cronaca di Bologna, I (1845-1848), Bologna, Zanichelli, 1961, pp. 437), un esperimento insurrezionale o rivoluzionario, un tentativo di colpo di Stato, appoggiato da circa cento uomini armati del battaglione Zambeccari che non ebbe però seguito popolare. Il 2 settembre 1848 fu inviato a Bologna Carlo Luigi Farini quale rappresentante del Consiglio dei ministri in appoggio al cardinale Luigi Amat (60), nominato il successivo 3 settembre commissario straordinario per le quattro Legazioni. Questi invitò il Pepoli a partecipare ai lavori di una commissione costituita il 5 settembre con l’incarico di presentare un progetto di riordinamento della polizia. Quale colonnello il Pepoli orientò il proprio operato verso il generale riassetto dalla Guardia civica, l’organizzazione e l’ordinamento della Riserva (61), chiamata nello specifico a montare la guardia alle porte della città insieme ai volontari, l’acquisto di fucili per l’armamento della Guardia (62), senza trascurare iniziative “popolari” quali ad esempio la promozione di lapidi marmoree in ogni quartiere a ricordo dei caduti della battaglia dell’8 agosto. Del 17 settembre è l’ordine del giorno col quale il colonnello Pepoli sciolse le formazioni di volontari costituenti la Riserva della Guardia civica, salvo però, con un nuovo foglio del 21 successivo, invitare civici, soldati regolari di linea e popolani volontari a costituire pattuglie cittadine che perlustrassero il centro abitato con funzioni di ordine pubblico. Grande clamore suscitò in quei giorni il tentato omicidio del segretario generale della Guardia civica Carlo Rusconi. Pepoli, «sdegnato del contegno dubbio dell’autorità, diede la sua dimissione da colonnello della guardia civica, dichiarando che egli non voleva più oltre servire il governo dei preti» (n. 63). Numerosi furono in quei mesi gli attestati di riconoscimento e incoraggiamento per il suo infaticabile operato, pervenutigli da amici di lunga data, quali il precettore Paolo Venturini («lodo il vostro coraggio e l’amor patrio che vi sostiene», 64), o da esponenti della classe politica, quali il deputato Carlo Bevilacqua («che bel lampo di gloria è stato il fatto dei bolognesi nel momento che l’orizzonte italiano diveniva sì nuvoloso», 65) e il ministro Antonio Montanari («apprezzo sommamente le cure, ed i fastidi che avete sostenuto in tempi difficilissimi», 66). Le cronache dell’epoca registrarono, inoltre, l’intenzione del marchese di far pubblicare a Bologna un nuovo giornale da intitolare «La Nazione» (67). Effettivamente tra mercoledì 1 e giovedì 2 novembre il marchese Gioacchino, in qualità di redattore, pubblicò sulla «Gazzetta di Bologna» un avviso relativo all’imminente uscita di un foglio periodico da intitolarsi «Il Nazionale», la cui “divisa” sarebbe stata 13 «Indipendenza della Nazione, Libertà interna, Prosperità e ben essere di tutte le classi. Egli saprà non adulare né Popolo, né Governo: e saprà essere indipendente per essere imparziale». Sfortunatamente il quotidiano non riuscì a raccogliere un sufficiente numero di soci (l’abbonamento, per la cronaca, ammontava a cinque paoli mensili) e la pubblicazione rimase opera incompiuta. 59. Notificazione del Comitato di salute pubblica sul ritiro degli austriaci da Bologna, 9 ago. 1848 (STAMPE GOVERNATIVE, 287) 60. Ritratto di Luigi Amat (BCA, collezione dei ritratti, A/2, cart. 89, n. 1) 61. Luigi Amat di San Filippo e Sorso a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 6 ott. 1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Ecclesiastici, 2. Amat Luigi) “Nota dei fucili acquistati da me Francesco Aria per ordine del 62. signor marchese Gioacchino Pepoli facente funzione di colonnello della Civica di Bologna”, s.l., 5 ott. 1848 (G. N. PEPOLI, Carte politiche, 1848, 3. Guardia civica) 63. Luigi Amat di San Filippo e Sorso a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 6 ott. 1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Ecclesiastici, 2. Amat Luigi) 64. Paolo Venturini a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.l., 16 ago. 1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Letterati italiani, 38. Venturini Paolo) 65. Carlo Bevilacqua a Gioacchino Napoleone Pepoli, Roma, 16 ago. 1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Uomini politici, 165. Bevilacqua Carlo) 66. Antonio Montanari a Gioacchino Napoleone Pepoli, Roma, 16 ott. 1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Scienziati, 29. Montanari Antonio) 67. «Gazzetta di Bologna»,1° nov. 1848 7. BOLOGNA NELLA REPUBBLICA ROMANA Intanto a Roma gli eventi precipitarono rapidamente fino all’assassinio del presidente del Consiglio dei ministri Pellegrino Rossi il 15 novembre 1848 e alla fuga di Pio IX a Gaeta il successivo 24 (68). In quei frangenti Pepoli non mancò di condannare l’episodio in una lettera pubblica al deputato bolognese Carlo Bevilacqua. Innegabile, dunque, lo spirito di protagonismo che animò all’epoca il giovane Pepoli: di lui il Bottrigari, in merito al nuovo periodico annunciato dal marchese, annotò come questi fosse «sempre intento a far parlar di sé», e non trascurò di segnalare come il nostro si mostrasse «molto amante di popolarità» riportando la notizia dell’elezione del Pepoli il 30 novembre 1848 alla presidenza del Circolo popolare, associazione inaugurata il precedente 9 novembre presso l’atrio del Teatro Contavalli a seguito della scissione di alcuni membri del Circolo nazionale bolognese (69). Fu quest’ultimo l’evoluzione in senso democratico del Circolo felsineo, società fondata il precedente 25 aprile e votata per statuto a «procurare ai 14 componenti la medesima un luogo di convegno per la lettura dei giornali e per conversare insieme» (art. 2). Dal 10 ottobre 1848 il Pepoli ne ricoprì la vicepresidenza (70). A partire dal 13 novembre 1848, dopo il comprensibile periodo di sbandamento e dispersione, il Circolo felsineo aveva cambiato nome in Circolo nazionale e modificato lo statuto, dandosi come scopo principale la promozione degli «interessi patrii e nazionali» (art. 3). Primo presidente del sodalizio rinnovato fu l’avvocato Clemente Taveggi. Il 30 gennaio 1849 il suo successore e già dimissionario Quirico Filopanti arrivò ad offrire al Pepoli la presidenza del Circolo (71), che andò invece all’avvocato Pietro Faldi. Troppo radicali, dunque, dovevano apparire al giovane Gioacchino le proposizioni dei maggiorenti della società e ancora lontana dal suo orizzonte politico la prospettiva della «formazione di un regno dell’Alta Italia con l’annessione al Piemonte del Lombardo-Veneto e dei Ducati, mostrandosi favorevol[e] piuttosto al programma di una Lega fra gli stati italiani, indipendentemente da favoritismi e interessi dinastici» (G. NATALI, I circoli politici bolognesi nel 1848-49, in «Rassegna storica del Risorgimento», (1938), pp. 179-224, in part. p. 190). In realtà il Pepoli recava su di sé tutto il peso del nome della madre e delle rivendicazioni dei Murat al trono di Napoli. Non di meno continuò a rivestire, almeno fino al 5 febbraio 1849, la carica di vicepresidente del Circolo nazionale. Fu in questo contesto che maturarono verosimilmente l’orientamento verso il Circolo popolare, che, dopo l’estromissione di elementi radicali quali lo Zappoli, e l’arresto del predicatore barnabita Alessandro Gavazzi, si era stabilizzato su posizioni più moderate, e la collaborazione col periodico diretto da Luigi Frati «Unità. Giornale politico scientifico e letterario», uscito dal 22 maggio 1848 al 27 aprile 1849 quale organo dei “costituzionali pontifici” e dunque espressione dei sostenitori dell’idea federale declinata secondo il modello neoguelfo giobertiano. A Roma frattanto la Suprema giunta di Stato, insediatasi il 12 dicembre 1848 in sostituzione del potere esecutivo, aveva decretato la convocazione di un’Assemblea costituente degli stati romani (72), eletta a suffragio universale il 21 gennaio 1849 e convocata solennemente il successivo 5 febbraio. È il cugino e costituente Carlo Luciano Bonaparte a riassumere l’auspicio che animava all’epoca la classe dirigente più illuminata (73). Il Pepoli, data la “minore età” (non aveva, infatti, ancora compiuto i venticinque anni previsti), non poté essere eletto all’Assemblea nazionale, anche se fu membro di una commissione incaricata di garantire l’ordine pubblico durante le elezioni a Bologna (74). Il 9 febbraio 1849 l’Assemblea proclamò solennemente la decadenza del potere temporale del pontefice e la nascita della Repubblica romana (75), retta prima da un Comitato esecutivo e poi, a partire dal 29 marzo, da un Triumvirato. Bologna, sebbene non avesse inizialmente corrisposto al “giubilo comune” per la proclamazione della Costituente, prese parte attiva alla vita del nuovo 15 organismo statale, guidata dal preside della provincia il democratico Carlo Berti Pichat (76) e dal suo successore Oreste Biancoli. E anche il marchese Pepoli, sebbene di tendenze moderate, aderì alle iniziative di rinnovamento promosse dal governo centrale: fu, ad esempio, membro di una commissione incaricata di gestire il passaggio dei beni ecclesiastici alla Stato (77) e invitato, senza esito, dall’amico e ministro degli esteri Carlo Rusconi a prendere parte attiva alle relazioni diplomatiche della Repubblica con gli stati tedeschi (78-79). Tra il marzo e l’aprile 1849, tanto l’«Unità» coi suoi articoli che il Circolo popolare coi suoi manifesti, non risparmiarono comunque di polemizzare col governo rivoluzionario, ultrademocratico e unitario della Repubblica romana, incapace – secondo il Frati – di impostare e sostenere con efficacia l’azione militare contro l’Austria, guadagnandosi più di una diffida da parte della Commissione di pubblica sicurezza a desistere dal “pristino sistema”, ossia dal trattare questioni politiche in un momento «in cui gli animi si trovavano alquanto commossi per la grave incertezza in cui versavano le sorti della penisola» (L. FRATI, Il giornale “L’Unità”, Roma, Direzione della Nuova antologia, 1918, p. 6). 68. «Gazzetta di Bologna», 28 nov. 1848 69. Statuto del Circolo nazionale bolognese, s.l., [1848] Il Circolo felsineo bolognese a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.l., 70. 12 ott. 1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Comitati elettorali ed associazioni politiche, 15. Circolo felsineo) 71. Quirico Filopanti a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 30 gen. 1849 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Scienziati, 16. Filopanti Quirico) 72. Decreto di convocazione dell’Assemblea nazionale, 29 dic. 1848 (STAMPE GOVERNATIVE) 73. Charles Lucien Bonaparte a Gioacchino Napoleone Pepoli, Roma, 23 dic. 1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Principi, 21. Bonaparte Chalers Lucien) 74. Carlo Berti Pichat a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 17 gen. 1849 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Uomini politici, 85. Berti Pichat Carlo) Decreto di proclamazione della Repubblica romana, 9 feb. 1849 75. (STAMPE GOVERNATIVE) 76. Ritratto di Carlo Berti Pichat (BCA, collezione dei ritratti, A/6, cart. 91, n. 2) 77. Il preside della provincia di Bologna a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 28 feb. 1849 (G. N. PEPOLI, Carte politiche, 1848, 3. Guardia civica) 78. Carlo Rusconi a Gioacchino Napoleone Pepoli, Roma, 22 feb. 1849 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Impiegati, 60. Rusconi Carlo) 79. Carlo Rusconi a Gioacchino Napoleone Pepoli, Roma, 1° mar. 1849 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Impiegati, 60. Rusconi Carlo) 8. VENEZIA, LA RESA, L’ESILIO 16 Il 20 ottobre 1848 il Circolo felsineo costituì una commissione incaricata di raccogliere offerte in denaro per il soccorso a Venezia, assediata dagli austriaci fin dal maggio precedente. La stessa iniziativa fu adottata dal comando della Guardia civica (80). Depositario della commissione fu nominato Giovanni Malvezzi de’ Medici, mentre la carica di segretario fu ricoperta da Filippo Bianconcini. A presiedere la commissione fu naturalmente il Pepoli, che, sempre a vantaggio della repubblica di San Marco, la sera del 16 ottobre fece rappresentare al Teatro del Corso un suo dramma dal titolo Lucia da Treviglio, presentato dalla Compagnia Etrusca, grazie al quale raccolse ottanta scudi (81). E il presidente Daniele Manin (82) non mancò di far pervenire gli attestati della propria riconoscenza (83-84). Assediata, infine, dalle truppe austriache del feldmaresciallo Franz Emil Lorenz von Wimpffen a partite dall’8 maggio 1849, Bologna, dopo estenuanti trattative, frammiste a sporadici tentativi di resistenza, capitolò il 16 successivo (85-86). Alle prime fasi dei negoziati prese parte anche il Pepoli (87), invitato da Antonio Alessandrini, presidente della Commissione governativa municipale (88-89). Questi era stato chiamato dal capo della rappresentanza municipale, senatore Antonio Zanolini, il quale, dopo le proteste formali e le dimissioni del preside Biancoli, l’8 maggio aveva assunto la guida della città e della provincia, nominando il giorno dopo la Commissione presieduta da Alessandrini. Dopo Bologna, anche Roma dovette cedere all’assedio. Le truppe francesi entrarono in città il 5 luglio 1849. Non vi trovarono però il principale campione della Repubblica, il generale Garibaldi, che già da qualche giorno si era allontanato alla testa di circa quattro mila volontari allo scopo di portare l’insurrezione nelle province e tentare di raggiungere la repubblica sorella, Venezia. Durante la marcia al confine tra Toscana e Romagna, il generale fu braccato da francesi e austriaci. Il governatore Gorzkowskj impose il divieto di procurare aiuto ai ribelli fuggiti da Roma (90). Se Garibaldi, aiutato da numerosi patrioti, riuscì a raggiungere la Toscana e a imbarcarsi, stessa sorte non toccò al padre barnabita Ugo Bassi, che fu catturato a Comacchio e fucilato con Giovanni Livraghi a Bologna l’8 agosto 1849, primo anniversario della battaglia della Montagnola (91). La resistenza bolognese (92) e le gesta dei difensori della Repubblica romana (93) hanno nel tempo trovato ampio spazio in numerose pubblicazioni scientifiche e commemorative, delle quali (qui e nell’ultima sezione dedicata alle celebrazioni) si espone una piccola scelta. L’indomani della resa, Pepoli partì in esilio volontario con tutta la sua famiglia per la Toscana, dove trovò ospitalità a Pistoia nella villa del mecenate Niccolò Puccini, «col quale strinse vincoli di schietta e intensa amicizia». Nell’ozio forzoso cui l’aveva costretto la Restaurazione, il marchese tornò a occuparsi dei suoi prediletti studi drammatici; lì compose il suo capolavoro, Elisabetta Sirani pittrice bolognese. Dramma in tre atti (94), senza però perdere del tutto i contatti con gli amici bolognesi, che lo tennero costantemente aggiornato sulle vicende politiche del tempo (95). 17 80. Ordine del giorno del comandante Agucchi alla Guardia civica per la raccolta di aiuti a Venezia, 19 nov. 1848 (STAMPE GOVERNATIVE) 81. “Rendiconto della Commissione incaricata delle esigenze pel soccorso a Venezia”, Bologna, 24 gen. 1849 (G. N. PEPOLI, Carte politiche, 1848, 4. Raccolta per la difesa di Venezia) 82. Ritratto di Daniele Manin (BCA, collezione dei ritratti, A/36, cart. 20, n. 2) Daniele Manin al Comitato per i soccorsi a Venezia in Bologna, 83. Venezia, 29 dic. 1848 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Uomini politici, 75. Manin Daniele) 84. Daniele Manin alla Società del Casino in Bologna, Venezia, 24 feb. 1849 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Uomini politici, 75. Manin Daniele) Proclama della resa di Bologna agli austriaci, 16 mag. 1849 85. (STAMPE GOVERNATIVE) 86. «Gazzetta di Bologna», 18 mag. 1849 87. Antonio Alessandrini a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.l., 11 mag. 1849 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Scienziati, 1. Alessandrini Antonio) Ritratto di Antonio Alessandrini, BCA, collezione dei ritratti, A/2, 88. cart. 27, n. 3 89. Della vita e delle opere del celebre professore cavaliere Antonio Alessandrini commentario. Letto alla Società medico-chirurgica di Bologna il giorno 25 maggio 1862 dal cavaliere dottor Paolo Predieri socio residente, Bologna, Regia tipografia, 1862 90. Notificazione del governatore Gorzkowskj sul divieto di dare aiuto alle truppe garibaldine in fuga da Roma, 5 ago. 1849 (STAMPE GOVERNATIVE) 91. «Gazzetta di Bologna», 8 ago. 1849 92. La resistenza di Bologna contro le truppe austriache nelle otto giornate di maggio 1849. Notizie e documenti raccolti e pubblicati da Domenico Brasini, Bologna, Tipografia Fava e Garagnani, 1885 93. N. MORINI, L’arresto di Ugo Bassi e Giovanni Livraghi. Nei documenti dell’Archivio di Stato di Bologna, Bologna, Tipografia A. Brunelli, 1928 94. G. N. PEPOLI, Elisabetta Sirani pittrice bolognese. Dramma in tre atti, Firenze, Libreria teatrale di Angiolo Romei, 1851 Giovanni Marchetti a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 13 95. nov. 1849 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Amici, 18. Marchetti Giovanni) L’UNITÀ 9. LA SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA, D’AZEGLIO E NAPOLEONE III Dopo un’assenza durata tre anni, Pepoli rientrò a Bologna prendendo attivamente parte ai lavori del movimento liberale bolognese, centro e motore dell’opinione politica locale in preparazione dell’indipendenza delle Romagne. 18 Intenso fu in quegli anni lo scambio tra i rappresentanti del movimento: particolarmente lucida è l’analisi della situazione quale emerge dalla corrispondenza tra il Pepoli e il cugino Gioacchino Rasponi (96-97). In attesa del ritiro degli austriaci da Bologna, i membri del Comitato nazionale bolognese, formatosi nell’agosto del 1858 e presieduto da Luigi Tanari, Pietro Inviti e Camillo Casarini, intensificarono le loro riunioni, dividendosi tra l’ampia sala del Caffè della Fenice in piazza Santo Stefano («mezzo tra il Club e la taverna», cfr. E. MASI, Camillo Casarini. Ricordi contemporanei, Bologna, Soc. tip. dei compositori, 1875, p. 89), e i locali di Palazzo Pepoli nuovo, residenza del marchese Gioacchino. In realtà ben poco cordiali dovettero essere i rapporti tra i vertici del Comitato e il Pepoli, se questi (la cui opposizione è stata definita dalla storiografia «imbarazzante e pericolosa», cfr. U. MARCELLI, Le vicende politiche dalla Restaurazione alle annessioni, in Storia dell’Emilia Romagna, a cura di A. BERSELLI, Bologna, University press, 1980, pp. 67-126, in part. pp. 101-102) sentì la necessità di sottolineare nelle proprie memorie che «i suoi soliti nemici pretesero che tutto il merito si dovesse attribuire alla Società Nazionale presieduta da La Farina. Una nota del cardinale Antonelli dichiara invece che tutta la colpa è del marchese Pepoli, che è egli che ha tutto fatto, che ha tutto ordito contro il governo pontificio, valendosi della sua influenza presso l’imperatore». Dopo l’ingresso di Napoleone III a Milano (98-99) e la caduta del governo pontificio a Bologna, il 12 giugno 1859 Pepoli entrò a far parte della Giunta provvisoria di governo nominata dall’amministrazione municipale, incaricato della sezione degli affari esteri (101). Così lo stesso Pepoli descrive nelle sue memorie quella giornata “gloriosa”: «L’alba del 13 giugno 1859 saluta nella piazza un numero considerevole di cittadini che acclamano il Piemonte, la Francia, l’indipendenza, la libertà. IN MEZZO ALLA FOLLA È IL PEPOLI, che, non ostante il timido parere di molti, dà ai pompieri della città l’ordine di calare lo stemma pontificio dal palazzo di città, facendosi egli pubblicamente garante che l’imperatore Napoleone non avrebbe mai ristabilito in Bologna il governo pontificio. Queste parole, pronunziate dall’alto della ringhiera del palazzo di città, furono quelle che vinsero le renitenze dei paurosi e che tolsero ogni dubbio dall’animo dei cittadini» Su questo episodio cruciale per la storia del Risorgimento bolognese una sintesi efficace viene fornita da Aldo Berselli: «Nessuna idea chiara in proposito, dunque, a Torino, circa la condotta che i liberali bolognesi avrebbero dovuto tenere nel caso della partenza degli Austriaci. Ma i liberali bolognesi, il Pepoli, il Malvezzi, il Tanari, ecc., seppero trovare da soli la loro strada: partiti gli Austriaci, rovesciarono il Governo pontificio ed affrontarono coraggiosamente la posizione estremamente difficile e pericolosa nella quale vennero a trovarsi» (A. BERSELLI, Movimenti 19 politici a Bologna dal 1815 al 1859, in «Bollettino del Museo del Risorgimento», V/1 (1960), pp. 201-254, in part. p. 251). Il 24 dello stesso mese, dopo la decisiva battaglia di Solferino, una deputazione della Giunta composta da Pepoli, Rasponi, Casarini e Luigi Palmucci, fu ricevuta al campo militare da Vittorio Emanuele e dall’imperatore Napoleone III per presentare al sovrano sardo l’offerta della dittatura sulle Romagne. Fu il Pepoli a recare con un dispaccio alla Giunta la notizia della vittoria dell’esercito franco-piemontese. Il sovrano acconsentì all’invio nelle Legazioni di un commissario straordinario che predisponesse il reclutamento dei volontari per la guerra d’indipendenza. L’arrivo di Massimo D’Azeglio (102), inviato dal governo sardo a Bologna, fu prima organizzato riservatamente (103) e poi annunciato pubblicamente (104). Il commissario istituì il 15 luglio un Governo provvisorio delle Romagne, designando il Pepoli quale gerente della sezione delle finanze e, ad interim, degli affari esteri (105). E da ministro degli esteri diramò quella famosa Note circulaire adressée par le gouvernement des Romagnes à ses agents à l’etranger (106), che i giornali dell’epoca definirono – a dire del Pepoli – «il più bel documento della rivoluzione italiana» e che suscitò tanta sorpresa nell’ambiente ecclesiastico da spingere l’arcivescovo di Bologna Michele Viale Prelà (107) a compilare una serie di osservazioni che replicavano puntualmente alle affermazioni sulla condotta del clero (108). Intanto la pubblicazione delle condizioni degli accordi preliminari dell’armistizio di Villafranca, firmato l’11 luglio dai sovrani di Francia, Sardegna e Austria, e il ritiro del commissario sardo sembrarono gettare nello sconforto l’opinione pubblica italiana (109) e francese (110). La necessità spinse il Pepoli a Torino, dove, dopo un animato colloquio col cugino Napoleone, ottenne dall’imperatore l’impegno a non intervenire a favore di una restaurazione del governo pontificio nelle Legazioni a patto che si mantenessero l’ordine pubblico e la tranquillità (111-112). Ritratto di Gioacchino Rasponi (BCA, collezione dei ritratti, 96. A/48, cart. 53, n. 1) 97. Gioacchino Rasponi a Gioacchino Napoleone Pepoli, Ravenna, 10 giu. 1859 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Uomini politici, 189. Rasponi Gioacchino) 98. Ritratto di Napoleone III (BCA, collezione dei ritratti, A/42, cart. 14, n. 10) 99. Proclama dell’imperatore Napoleone III per il suo ingresso a Milano, 8 giu. 1859 (STAMPE GOVERNATIVE) 100. Notificazione del comandante le truppe di occupazione austriache Habermann, 9 giu. 1859 (STAMPE GOVERNATIVE) 101. Notificazione della Giunta provvisoria di governo ai cittadini, 12 giu. 1859 (STAMPE GOVERNATIVE) 102. Ritratto di Massimo D’Azeglio (BCA, collezione dei ritratti, A/18, cart. 48, n. 4) Minuta di lettera al commissario straordinario di sua maestà 103. sarda nelle Romagne Massimo D’Azeglio intorno al suo prossimo arrivo 20 a Bologna, s.l., 6 lug. 1859 (G. N. PEPOLI, Sezione, poi ministero, degli affari esteri del governo provvisorio delle Romagne, 2. “Miscellanea”) Proclama di Massimo D’Azeglio ai popoli delle Romagne, 11 lug. 104. 1859 (STAMPE GOVERNATIVE) 105. Proclama di Massimo D’Azeglio nel quale ripartisce le sezioni di governo, 15 lug. 1859 (STAMPE GOVERNATIVE) 106. G. N. PEPOLI, Note circulaire adressée par le gouvernement des Romagnes a sés agents à l’étranger, Bologne, Imprimerie du gouvernement, 1859 Ritratto di Michele Viale Prelà (BCA, raccolta dei ritratti, B/V, n. 107. 22) 108. Michele Viale Prelà a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 10 dic. 1859; in allegato “Osservazioni di fatto su la Nota circolare del Governo delle Romagne per ciò che concerne il Clero”, s.l., s.d., e “Memorie che rettificano i fatti della nota di cui”, s.l., s.d. (G. N. PEPOLI, Carte politiche, Governo provvisorio delle Romagne, 2. Esteri) 109. Giovanni Antonio Migliorati a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.l., s.d. (G. N. PEPOLI, Carteggio, Diplomatici italiani, 12. Migliorati Giovanni Antonio) Albine Hortense Lacroix Cornu a Gioacchino Napoleone Pepoli, 110. s.l., 15 lug. 1859 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Donne illustri, 1. Cornu Hortense) 111. Minuta di dispaccio telegrafico di Gioacchino Napoleone Pepoli al governo provvisorio di Bologna dettato a Torino da Napoleone III, s.l., s.d. (G. N. PEPOLI, Carte politiche, Governo provvisorio delle Romagne, 2. Esteri) 112. Registro copialettere con minuta di lettera di Gioacchino Napoleone Pepoli a Napoleone III, lug. 1859 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Minute di lettere e manoscritti di discorsi, 4. Minute di lettere all’imperatore Napoleone III) 10. CIPRIANI E L’ASSEMBLEA NAZIONALE DELLE ROMAGNE Ritiratosi il D’Azeglio, il 2 agosto i membri del Governo provvisorio, su indicazione di Napoleone III e con la mediazione del Pepoli, nominarono governatore delle Romagne Leonetto Cipriani (113-114), che si adoperò per la convocazione di lì a poco di un’Assemblea nazionale con lo scopo di ratificare la sua elezione e di decidere sulla costituzione da dare alle ex Legazioni (115). E Pepoli fu naturalmente fra i deputati all’Assemblea nazionale delle Romagne, eletto il 23 agosto in uno dei nove collegi di Bologna. Tra il 2 e il 12 ottobre si svolsero, inoltre, le consultazioni per la designazione dei consiglieri comunali di Bologna: Pepoli risultò tra gli eletti. Nel nuovo governo guidato dal Pepoli fu confermato alle finanze e agli esteri. Oltre naturalmente alle elementari esigenze della sopravvivenza e della difesa (per mezzo ad esempio dell’acquisto di armi, 116), numerose furono le 21 questioni alle quali si volse il Governo provvisorio nel breve arco della sua esistenza. Certamente la prima, più importante e delicata tra le missioni diplomatiche intraprese – senza esito – riguardò il progetto di “fusione” delle quattro provincie dell’Italia centrale in un unico soggetto giuridico. Tra il 15 e il 17 settembre 1859, sia dall’inviato straordinario a Firenze Emanuele Marliani che dall’incaricato d’affari presso il governo toscano Gabiello Rossi arrivarono le prime relazioni sull’accoglienza riservata alla mozione: «Quanto favorevolmente si mostrò il marchese Ridolfi ministro degli esteri di Toscana […] altrettanto il ministro presidente barone Ricasoli si mostrò avverso ad essa» (117). Non era tuttavia Firenze l’unico fronte aperto dal Governo provvisorio. Sin dalla fine di agosto, infatti, era emerso il disegno di una deputazione che presentasse al re di Sardegna i voti che l’eligenda Assemblea nazionale delle Romagne avrebbe pronunciato in favore dell’annessione. Il 24 settembre la delegazione fu ricevuta a Monza (118), mentre il 23 ottobre espressioni di gratitudine furono rivolte all’imperatore dei francesi da un drappello di nobili bolognesi (119). Un’altra delle fatiche diplomatiche avviate dai governi provvisori degli ex stati dell’Italia centrale consistette nell’abolizione delle barriere doganali. Lo stesso giorno in cui Vittorio Emanuele accoglieva nella reggia di Monza la richiesta di annessione pronunciata dalle Romagne, il conte Giuseppe Pasolini iniziava la sua missione a Firenze presso il Ricasoli per «sopprimere le dogane intermedie, e i passaporti interni, e di parificare le tasse postali» (120-121). Il momento maggiormente carico di significato dell’operato del Pepoli quale ministro degli affari esteri è però da individuare nella relazione finale intorno al suo operato svolta all’Assemblea nazionale il 7 novembre 1859 (122), ossia nel giorno in cui si ricevettero le dimissioni di Cipriani e si decretò di offrire al principe Eugenio di Savoia Carignano la reggenza delle Romagne. Ritratto di Leonetto Cipriani (BCA, collezione dei ritratti, A/14, 113. cart. 98, n. 1) 114. Proclama di Leonetto Cipriani ai popoli delle Romagne, 6 ago. 1859 (STAMPE GOVERNATIVE) 115. Decreto di convocazione dell’Assemblea nazionale delle Romagne, 25 ago. 1859 (STAMPE GOVERNATIVE) 116. Leonetto Cipriani a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.l., s.d. (G. N. PEPOLI, Carteggio, Uomini politici, 93. Cipriani Leonetto, 8) 117. Gabriello Rossi a Gioacchino Napoleone Pepoli, Firenze, 17 set. 1859 (G. N. PEPOLI, Sezione, poi ministero, degli affari esteri del Governo provvisorio delle Romagne, 3. “Rossi prof. Gabriele incaricato d’affari presso il governo toscano”) 22 118. Gioacchino Napoleone Pepoli a Giuseppe Dabormida, Bologna, 21 set. 1859 (G. N. PEPOLI, Sezione, poi ministero, degli affari esteri del Governo provvisorio delle Romagne, 9. Deputazioni dell’Assemblea nazionale delle Romagne presso Vittorio Emanuele II e Napoleone III) 119. Gioacchino Napoleone Pepoli a Tancredi Mosti e Astorre Hercolani, Bologna, 22 ott. 1859 (G. N. PEPOLI, Sezione, poi ministero, degli affari esteri del Governo provvisorio delle Romagne, 9. Deputazioni dell’Assemblea nazionale delle Romagne presso Vittorio Emanuele II e Napoleone III) Giuseppe Pasolini a Gioacchino Napoleone Pepoli, Firenze, 23 120. set. 1859 (G. N. PEPOLI, Sezione, poi ministero, degli affari esteri del Governo provvisorio delle Romagne, 13. Giuseppe Pasolini in missione a Firenze) 121. Decreto di abolizione delle barriere doganali, 5 ott. 1859 (STAMPE GOVERNATIVE) 122. “Messaggio di sua eccellenza il ministro degli affari esteri letto all’Assemblea delle Romagne nella tornata del 7 nov. 1859”, s.l. s.d. (G. N. PEPOLI, Sezione, poi ministero, degli affari esteri del Governo provvisorio delle Romagne, 2. “Miscellanea”) 123. G. FINALI, L’Assemblea dei rappresentanti del popolo delle Romagne, Bologna, Tipografia governativa della Volpe e del Sassi, 1859 11. FARINI E L’ANNESSIONE AL REGNO DI SARDEGNA Subentrato Luigi Carlo Farini (124-125) quale nuovo governatore, questi – naturalmente dopo le dimissioni di rito – riconfermò il Pepoli al dicastero delle finanze del Governo provvisorio delle Romagne (126). Sancita poi l’unione delle ex Legazioni coi ducati di Modena e Parma nel novello Governo delle provincie dell’Emilia, Gioacchino entrò nel nuovo gabinetto presieduto dal Farini sempre quale ministro delle finanze. L’11 ottobre 1859 aveva intanto visto la luce il «Corriere dell’Emilia. Giornale politico quotidiano», fondato e ispirato dal Pepoli, diretto da Pasquale Cuzzocrea e stampato a Bologna alla tipografia Monti al Sole in piazza San Martino. La linea del giornale risultò chiara fin dal primo numero: l’unica possibile scelta fu individuata «nell’unificazione sotto lo scettro del leale e magnanimo nostro Re Vittorio Emanuele». A più di un decennio di distanza dalla sua comparsa sulla scena politica bolognese, il marchese Pepoli consumò così la sua definitiva “conversione” da una primitiva opinione federalista a una esplicita soluzione annessionistica. Per tutto il gennaio 1861 il giornale sospese le pubblicazioni, perché la direzione di esso si unificò con quella dell’«Età presente», per riprendere regolarmente dal 1° febbraio successivo sino al 31 dicembre 1867; dalla fusione, infine, del «Corriere dell’Emilia» con «La Gazzetta delle Romagne» nacque la «Gazzetta dell’Emilia», ispirata da Marco Minghetti, diretta dai fratelli Antonino e Pasquale Cuzzocrea e pubblicata a Bologna per i tipi Fava 23 e Garagnani dal 1° gennaio 1868 al giugno 1911, quando la sede del giornale si trasferì a Modena. Dopo la convocazione dei comizi elettorali (127) e le successive consultazioni (128), il naturale esito alle vicende fin qui descritte fu rappresentato dall’annessione delle Romagne al Regno di Sardegna (129). Fu – come lo stesso Pepoli ammise – «il punto culminante della sua popolarità»: «La sera del plebiscito tutta la popolazione si portò al suo palazzo e gli fece un ovazione che pochi cittadini possono onorarsi di aver avuta, ovazione che si rinnovò più tardi al teatro comunale. All’apparire nel suo palco tutti si alzarono in piedi acclamandolo fragorosamente». Intanto, il 22 marzo 1860 il marchese era stato promosso grand’ufficiale dell’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro, giusto in tempo per la solenne visita di Vittorio Emanuele a Bologna il 1° maggio successivo (130). Del suo rapporto col sovrano e del colloquio avuto con esso dopo Villafranca, egli lasciò memoria nell’orazione funebre pronunciata al Consiglio provinciale di Bologna il 23 gennaio 1879 per la morte del “gran re” (131). Gioacchino Napoleone Pepoli fu in seguito deputato e senatore del Regno. Come ministro dell’agricoltura firmò la legge che fece della lira la moneta nazionale. Dopo essere stato ambasciatore a San Pietroburgo, poi sindaco di Bologna, e ancora rappresentante a Vienna, dedicò gli ultimi anni della sua vita alla creazione di istituzioni di assistenza e previdenza per le classi operaie. Morì a Bologna il 26 marzo 1881 all’età di cinquantacinque anni, in una stanza al pian terreno della Palazzina Pepoli, al numero 1314 della piazzetta di Sant’Agata. Della sua vita intensa ci ha lasciato traccia nell’autobiografia Documenti intorno alla mia vita (132). Del suo archivio personale – dal quale sono state tratte le testimonianze che ci hanno accompagnato in questo percorso documentario – parla esplicitamente nel tuo testamento: «Ma siccome desidero che le memorie della mia vita, specialmente della mia vita politica, non vadino disperse, lascio a mia figlia Letizia tutte le mie carte, lettere, manoscritti, autografi […] Lasco poi l’obbligo alla stessa mia figlia Letizia, ove non trovasse già la cosa fatta, di far pubblicare tutte le lettere e corrispondenza» (134). Nel 2008 l’archivio personale di Gioacchino Napoleone Pepoli è stato acquistato dallo Stato, per il tramite della Soprintendenza archivistica della Toscana, dall’ultimo erede Gaddi Pepoli. Per la sua conservazione è stato scelto l’Archivio di Stato di Bologna, città natale del marchese, dove si trovava già depositato il grande archivio gentilizio dei Pepoli. Ritratto di Luigi Carlo Farini (BCA, collezione dei ritratti, A/22, 124. cart. 43, n. 2) Proclama di Carlo Luigi Farini ai concittadini, 9 nov. 1859 125. (STAMPE GOVERNATIVE) 24 126. Luigi Carlo Farini a Gioacchino Napoleone Pepoli, Bologna, 10 nov. 1859 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Uomini politici, 2. Farini Luigi Carlo) 127. Decreto di convocazione dei comizi elettorali, 1° mar. 1860 (STAMPE GOVERNATIVE) 128. «Il monitore di Bologna», 15 mar. 1860 129. Proclama dell’intendente generale Annibale Ranuzzi, 18 mar. 1860 (STAMPE GOVERNATIVE) “Feste a s.m. Vittorio Emanuele nei primi tre giorni di sua 130. dimora in Bologna” 29 apr. 1860 (G. N. PEPOLI, Carteggio, Comuni, 1. Bologna) 131. Gioacchino Pepoli, Funeralia, Bologna, Regia tipografia, 1880 (Collezione privata Rosati Pepoli) “Documenti intorno alla mita vita”, ms. (G. N. PEPOLI, Carte 132. politiche) 133. Medaglia commemorativa di Gioacchino Napoleone Pepoli (Collezione privata Rosati Pepoli) 134. “Apertura e pubblicazione del testamento segreto del fu nobil uomo marchese Gioacchino Napoleone Pepoli” (Atti dei notai del distretto di Bologna, Archivio del notaio Vecchietti Eugenio, 1881, vol. 180/48) LE CELEBRAZIONI 12. DAL 1893 AL 1961 Le date che hanno segnato la storia del Risorgimento bolognese sono state certamente l’8 agosto del 1848 e il 12 giugno 1859. Le principali celebrazioni legate a questi avvenimenti si sono svolte nel 1898, nel 1909-1911, nel 1948 e nel 1959-1961. In questa prima parte della sezione si dà spazio alle celebrazioni degli avvenimenti succedutesi a Bologna dall’8 agosto 1848, con la cacciata degli austriaci e la battaglia della Montagnola, alle otto giornate di maggio del 1849, nelle quali la città assediata dalle truppe austriache resistette con accanimento. Queste due fatti d’armi vennero riconosciuti come “Campagna di guerra combattuta per l’Unità e l’indipendenza italiana”. Emblema di quel periodo fu Ugo Bassi, frate barnabita e cappellano maggiore, arrestato a Comacchio nella locanda della Luna, condotto a Bologna in Villa Spada e lì giustiziato insieme a Giovanni Livraghi, esattamente un anno dopo la Montagnola l’8 agosto 1849 (137). IL MUSEO DEL RISORGIMENTO A BOLOGNA (1893) Le origini del museo bolognese dedicato al Risorgimento vanno collocate nell’Esposizione emiliana del 1888, la quale a sua volta non soltanto fu promossa “sotto gli auspici del padre della patria Vittorio Emanuele II” nel decimo anniversario della sua morte, ma si svolse in concomitanza con le celebrazioni dell’VIII centenario dell’Università di Bologna. 25 Per un certo tempo era stata valutata come data per l’inaugurazione del museo l’8 agosto, anniversario della battaglia della Montagnola: tale ricorrenza aveva rivestito una particolare importanza fin dai primi anni successivi all’Unificazione ed era già celebrata in città con manifestazioni di rilievo. D’altra parte, la data scelta per inaugurare un museo del Risorgimento non poteva essere significativa soltanto da un punto di vista meramente locale, per conciliare i valori dell’identità cittadina con il senso di appartenenza a una comunità nazionale. Altre giornate anniversarie apparivano ugualmente importanti e significative, ma non vennero prese in considerazione, come per esempio la data del plebiscito che aveva sancito l’annessione di Bologna e dell’Emilia-Romagna alla monarchia di Vittorio Emanuele II. Infine, non fu valutata neanche la data di proclamazione del Regno d’Italia, che già nel 1861 fu contrassegnata da manifestazioni di scarsa solennità. Alla luce di queste considerazioni, la scelta del 12 giugno 1893, data celebrativa di un evento fondamentale sia per la storia locale sia per quella nazionale, si rivelava come la più adeguata, per l’inaugurazione del Museo del Risorgimento (138). IL CINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA BATTAGLIA DELLA MONTAGNOLA (1898) I festeggiamenti per il cinquantenario dell’8 agosto si articolarono per l’intera giornata: si iniziò con un corteo di bande musicali dei comuni bolognesi. In seguito il corteo fece tappa alla Montagnola per la posa della prima pietra del monumento commemorativo a ricordo della memoranda giornata. Dopo questa sosta si passò da Casa Rizzoli, dove si conservavano le lapidi per i caduti della gloriosa battaglia. Le celebrazioni continuarono nel pomeriggio con una conferenza presso il Teatro Duse, già Brunetti, dove parlarono il sindaco Dall’Olio, il presidente del Comitato bolognese per il monumento della Montagnola Discoride Vitali, il professor Luigi Rava, onorevole deputato e sottosegretario al Governo, e infine l’avvocato Enrico Golinelli, consigliere comunale e poi sindaco di Bologna. La giornata si concluse con banchetti patriottici allestiti negli edifici pubblici illuminati e accompagnati dalle bande musicali dei comuni bolognesi. EVENTI PER IL CENTENARIO DEL 1848 Nel 1948 furono organizzate due mostre per il centenario del 1848. La Mostra bibliografica del 1848 bolognese, a cura della Biblioteca universitaria di Bologna e promossa dal Comitato per la celebrazione dell’8 agosto 1848, è forse l’evento che dà l’espressione più completa della passione patriottica che ha scosso la città nella lotta contro l’Austria; lettere, appelli e proclami esposti davano la misura dell’entusiasmo suscitato dalla battaglia della Montagnola (139). L’altra mostra, organizzata dal Museo civico del Risorgimento di Bologna, copriva sia la battaglia della Montagnola che il periodo della Repubblica romana, con l’assedio di Bologna da parte degli austriaci (8-15 maggio). In entrambe le mostre prevaleva il metodo didascalico e divulgativo, in cui i documenti e i cimeli dovevano provocare un sentimento di commozione per gli eroi protagonisti degli avvenimenti narrati. 26 IL 1859-61 A BOLOGNA Nella seconda parte della sezione, relativa alle celebrazioni del triennio 18591861, si è voluto soprattutto dare risalto alla data del 12 giugno 1859, perché segna la definitiva cacciata degli austriaci da Bologna, esponendo le pubblicazioni celebrative del centenario curate dal Comune di Bologna (144147). EVENTI PER IL CINQUANTENARIO DEL 1859 Il 1909 fu, di fatto, il primo di tre anni dedicati alla memoria del Risorgimento nazionale e Bologna fu presente a tutte le manifestazioni anche fuori dalla città, specie quelle promosse nel 1911. In quell’anno cimeli bolognesi vennero inviati all’Esposizione del Risorgimento tenutasi a Roma nei locali del monumento a Vittorio Emanuele II (inaugurata il 20 settembre 1911 e chiusa il 30 aprile 1912) – dove, sotto la guida di Vittorio Fiorini, quadri, ritratti, cimeli, manoscritti, bandi e opuscoli costituirono la “sezione bolognese” – e alla Mostra degli italiani all’estero allestita a Torino. A Bologna, poi, venne realizzata una mostra dei monumenti patriottici costruita con pannelli su cui erano stati riprodotti i monumenti eretti in numerose piazze italiane a memoria degli eventi e degli uomini che avevano contribuito all’unificazione nazionale. Nel 1911 usci su «il Resto del Carlino» in concomitanza con le celebrazioni per il primo centenario dell’Unità, un lungo articolo in prima pagina sulla ricorrenza del 63° anniversario della battaglia della Montagnola, con la foto di Gioacchino Pepoli in primo piano, uno dei protagonisti di quella eroica battaglia (142). AD UN SECOLO DALL’UNIFICAZIONE NAZIONALE Nell’Italia post seconda guerra mondiale, in una stagione che vedeva il Paese avviarsi verso il boom economico, si svolsero le celebrazioni del primo centenario dell’Unificazione nazionale, celebrazioni che per tre anni (19591961) coinvolsero anche Bologna, e che rappresentarono la riaffermazione di valori proposti in una continuità ideale tra il passato e il presente, legittimando l’identità nazionale costruita sul Risorgimento e sulla Resistenza. Il 7 giugno 1959 si intrecciarono diversi eventi: una sfilata dei gonfaloni di città e province decorate, di università italiane, di enti e associazioni popolari, seguendo un percorso che passava tra le piazze e le strade che, nel tempo, le diverse amministrazioni comunali avevano voluto dedicare alla memoria del Risorgimento: piazza XX settembre, via dell’Indipendenza, piazza VIII agosto, piazza Maggiore (già Vittorio Emanuele). Tra l’8 e l’11 giugno, poi, le serate dei bolognesi furono allietate da concerti di musiche risorgimentali; ancora nella sera dell’11 giugno fu possibile ascoltare dalla voce degli attori Gino Cervi ed Elena Zareschi un recital di poesie e prose. Il giornale dal titolo Bologna libera fu distribuito gratuitamente a cura del Comune di Bologna il 12 giugno 1959, e tutti poterono essere ancor più consapevoli delle ragioni di tanto impegno a rievocare i fatti del passato. La prima pagina era per metà occupata dalla riproduzione di una stampa ottocentesca raffigurante piazza Maggiore piena di bolognesi festanti la 27 mattina del 12 giugno 1859; nell’altra metà le parole del sindaco Giuseppe Dozza e quelle del presidente della provincia Roberto Vighi (148). Come cinquant’anni prima, le celebrazioni della liberazione di Bologna dal governo pontificio continuarono nei due anni a seguire creando un percorso unitario con le manifestazioni nazionali. Di quel fervore di attività resta ancora oggi memoria nei tre fascicoli del «Bollettino del Museo del Risorgimento» in cui vennero raccolti gli atti di un importante convegno sul Risorgimento in Emilia. Nei primi anni Sessanta, nella collana “Fonti e ricerche per la storia di Bologna”, si iniziarono a pubblicare altri volumi sul Risorgimento - a partire dalla Cronaca di Bologna di Enrico Bottrigari (curati da Aldo Berselli) - contribuendo ad arricchire la storiografia nazionale di importanti studi di storia politica, economica e sociale. L’8 agosto 1848 in Bologna. Notizie e documenti raccolti e 135. pubblicati da Domenico Brasini, Bologna, Tipografia Fava e Garagnani, 1883 136. Narrazione storica del fatto d’armi avvenuto in Bologna il giorno 8 agosto 1885 con l’elenco dei morti, feriti e prigionieri. Ricordi del veterano ufficiale Ponziano Sarti De’ Camaldoli, Bologna, Tipografia del commercio, 1885 137. Vita del padre Ugo Bassi narrata al popolo da Enrico Zironi, Firenze, A. Salani, 1888 138. Museo civico del 1° e 2° Risorgimento, testo di O. SANGIORGI, Casalecchio di Reno, Grafis, 1986 139. Catalogo della mostra bibliografica del 1848. 15 maggio - 31 agosto, a cura della Biblioteca Universitaria di Bologna, Bologna, Tipografia Luigi Parma, 1948 140. ‘48. L’Italia s’e desta, numero unico, 13 maggio-8 agosto 1948 Italiani morti a difesa di Bologna, Bologna, Municipio di Bologna, 141. [1874] 142. Nel 63° anniversario della cacciata degli austriaci da Bologna, «Il Resto del carlino», 8 agosto 1911 143. G. DEL BONO, Bologna e le Romagne durante la guerra del 1859, Roma, Laboratorio tipografico del Comando del Corpo di Stato maggiore, 1911 144. L. FRANZONI GAMBERINI, Come Bologna e la Romagna divennero Italia. Giugno-dicembre 1859, Bologna, Scuola grafica salesiana, 1959 S. ALVISI, Il Consiglio provinciale di Bologna cento anni fa, dal 145. vecchio al nuovo ordinamento. Celebrazione tenuta il 6 marzo 1959, Bologna, Amministrazione provinciale, 1959 146. 12 giugno 1859. Numero speciale per le celebrazioni centenarie, a cura di L. PASQUALINI – F. CECCHINI, Bologna, Comune di Bologna, 1959 147. Le celebrazioni centenarie del 12 giugno 1859, Bologna, Stabilimento tipografico Asca, 1959 28 148. Bologna libera. Numero unico per le celebrazioni bolognesi del Centenario dell’Unità d’Italia, Bologna, 12 giugno 1859, Bologna, Tipografico STEB, 1959 149. La liberazione di Bologna cento anni fa. Mostra a cura del Comitato bolognese per le celebrazioni del Centenario dell’Unità d’Italia. Bologna, 21 febbraio-1° maggio 1960, Bologna, Tipografia Luigi Parma, 1960 FUORI SEZIONE 150. Fotografia di Gioacchino Napoleone Pepoli, Paris, Disdéri photographe, s.d. (Collezione privata Rosati Pepoli) A. MUZZI, Ritratto del marchese Gioacchino Napoleone Pepoli 151. (Pinacoteca nazionale di Bologna, Gabinetto disegni e stampe, inv. 1255) 29