Resoconto dell’incontro, a Roma, con la signora Marita Grazia Oliva Lapadula, nipote della celebre Bice Lazzari.
Ecco le pupe di Pupa
Forse dovrei scusarmi per il titolo che può apparire irriverente,
ma in realtà è venuto spontaneo e vuole esprimere tutta
l’ammirazione per una meravigliosa Signora che a Quero
molti ricordano proprio con il nome di “Pupa”.
So che in molti parlano ancora della famiglia Oliva;
ricordano la loro ospitalità nella casa di via Roma,
la loro disponibilità a porgere un aiuto. Qualcuno
infatti si è sistemato nel lavoro e qualcun altro
ha conosciuto la loro prodigalità. Infatti,
quella domenica di giugno in trasferta a
Roma, portavo alla Signora Marita Grazia
proprio i saluti di molti queresi, e l’abbraccio di qualche signora che ha
conosciuto molto bene la famiglia e ama ancora ricordarla con affetto.
Eravamo in tre diretti a Roma per completare un progetto, promosso dal Comitato
di Gestione della Biblioteca di Quero, dedicato alla storia della nostra comunità. E a
Roma volevamo raccogliere la testimonianza della Signora Maria Grazia sugli anni
vissuti da lei a Quero durante la Seconda guerra mondiale. In realtà accompagnavo
Doriano Dalla Piazza e Fulvio Mondin, i veri intervistatori (attrezzati di tutto punto come si
addice a quel ruolo); il mio compito era presentarli all’architetto Filippo Lapadula, il figlio della
Signora “Pupa”. Era stato proprio Filippo a convincere la mamma a raccontare (per i giovani queresi) la sua esperienza
vissuta in quegli anni difficili. Le aveva assicurato che sarebbe stata cara la sua testimonianza sulla vita durante
l’occupazione tedesca, durante le leggi razziali e la persecuzione degli Ebrei. C’era voluto qualche mese, perché
accettasse: era molto restia, non voleva apparire e parlare di memorie ancora private. Da parte mia, coglievo
l’occasione di quel viaggio per mantenere una promessa fatta nel novembre: farle visita per conoscerci personalmente.
Non potevo nascondere né a Doriano, né a Fulvio la forte emozione per l’incontro con la “amatissima Pupa”. Ne avevo
sentito tanto parlare quando con Silvia Carelle stavo preparando un opuscolo sulla vita artistica di Bice Lazzari;
chiedendo notizie o ricordi, fra le persone di Quero,ho scoperto che era proprio “amatissima”. A Roma volevo
soprattutto ringraziarla a voce per la infinita disponibilità mostrata durante la stesura; per averci fornito tutto il materiale
e offrendoci la sua personale testimonianza sulla vita e l’arte di zia Bice. Tutto con una gentilezza e cordialità quasi
incredibili. Già allora mi era venuto spontaneo dedurre che quella Signora
dalla calligrafia bellissima, fosse speciale. Ora però a questo viaggio si era
aggiunto un ulteriore regalo: a margine dell’incontro avremmo potuto
visitare l’archivio di “zia Bice”. A margine!? Si fa per dire. L’appuntamento
era fissato per le 8,30 nella sua abitazione e all’incontro ci accompagna il
figlio, l’architetto Filippo, figlio dell’architetto Attilio Lapadula, che nel 1960
progettò la Cappella del nostro cimitero. Ora molti queresi lo conoscono
meglio anche per la campagna di raccolta fondi per il restauro dell’opera.
Con Filippo facciamo quattro passi a piedi per il centro di Roma: una
sensazione sempre forte, perché ovunque si vada, si cammina nella
Storia. Il palazzo in cui vive la Signora Maria Grazia ha bellissimi e alti
rampicanti che ricoprono la facciata, e tutto intorno è molto curato.
Particolare è anche l’ingresso, un po’ bohèmien (ho subito pensato che in
quella casa ci vivessero degli artisti). Ed ecco, in cima alle scale dell’ultimo
piano ci accoglie una Signora sorridente, minuta, delicata, con un abitino
giovanile e ballerine rosse ai piedi. Ci dà il benvenuto con quella voce
gentile che già conoscevo. Dopo averle dato la mano mi sono
permessa, sfacciatamente forse, di abbracciarla. Subito però mi sono
scusata dicendo che le portavo gli abbracci di molte signore di Quero.
Guardando il suo viso sereno, non si poteva non notare lo sguardo,
quegli occhi verdi molto belli. Le sussurro: “occhi verdi come quelli di
Bice Lazzari” ? “sono l’unica in famiglia ad avere ereditato gli occhi
verdi, ma non belli come quelli di zia Bice”.
Ci invita ad entrare in una casa piena di luce; ovunque, quadri, piante,
fotografie, cimeli, ricordi che la rendono piena di vita e svelano molte
passioni. Poi un terrazzo pieno di verde e una scala che porta ad un
altro terrazzo da cui si domina tutta Roma. Mentre Doriano e Fulvio
preparano le attrezzature per filmare e fotografare, la Signora mostra i
quadri di Zia Bice appesi alle pareti, e spiega i momenti artistici che
rappresentano. Poi si sofferma su oggetti ed altre opere create
soffermandosi sui ricordi che suscitano. Vivere in mezzo ad un tesoro
simile, deve essere meraviglioso e la Signora Maria Grazia ci ripete
“Sono stata fortunata!” Figlia unica, cresce coccolata e amata da
tutti i familiari. A Milano e a Venezia frequenta le scuole migliori, di tipo
svizzero. Ha una zia artista che l’adora e crea appositamente per lei vestitini bellissimi e maschere di carnevale uniche;
le sceglie i mobili della cameretta, con tanti piccoli Pinocchi. Vive a Milano dove il padre è un importante funzionario di
banca, anche un po’ geniale. Negli Anni Trenta (33-34) partecipa ad un progetto interessante: uno sportello bancario a
bordo di navi da crociera sulle rotte del Mediterraneo e dell’Atlantico. Quero entra nella vita di Maria Grazia nel 1938,
quando la famiglia trascorre le vacanze estive nell’Albergo al Sole. Papà Nico raggiungeva lei e la mamma il sabato;
spesso arrivano anche le sorelle della mamma: l’adorata zia Bice, con zio Diego, e zia Ninì con zio Carlo e il cuginetto
Tobia. Più tardi, quando scoppia la guerra, papà decide di prendere in affitto una casa e trasferirvi la famiglia: voleva
che lei e la mamma vivessero un po’ tranquille, lontane da Milano divenuta ormai troppo pericolosa. Infatti la loro casa
in Corso Magenta sarà bombardata, perché si trova di fronte al Palazzo delle Stelline, divenuta sede della Gestapo. In
quel bombardamento la famiglia Oliva perse quasi tutto; si salvarono solo pochi mobili, quelli depositati in un
magazzino al tempo del trasloco a Quero; e fra questi la sua cameretta. Durante l’anno scolastico Pupa lasciava Quero
per frequentare a Venezia le scuole superiori, abitando nella casa che sua nonna Francesca aveva messo a
disposizione di Carlo e Nini Scarpa. E proprio qui scoprirà l’esistenza delle leggi razziali e il loro terribile significato. Ma
la casa di via Roma a Quero continuerà ad essere, in qualsiasi periodo, luogo d’incontro e di ospitalità, anche in tempo
di guerra. Fra i conoscenti che Pupa ricorda conversare con
mamma Gina ci sono le sorelle Ostuni, Gina Miuzzi, la
maestra Rago; e poi la sua amicizia con i ragazzi più piccoli
della famiglia Forcellini e ancora le famiglie Resegati e Favero.
Pupa è stata anche madrina di battesimo di una bimba
querese. In tempo di guerra la casa di via Roma ha anche
accolto (accolto si fa per dire! Sono stati costretti a farlo), un
generale tedesco con il suo attendente. E il generale dormiva
nel letto della cameretta dei Pinocchi; quasi impossibile
crederci vedendone le dimensioni. (Forse, abbiamo pensato ci
dormiva tutto rannicchiato). Pupa studia con impegno e ama
l’arte, e a 16, 17 anni rivela buone doti artistiche, anche se ora
non vuole dirlo, ma per lei parlano i lavori che ci mostra; sono
precisi e pieni di fantasia, nonostante la realtà che la
circondava. Sì, perché si susseguivano i lunghi inverni freddi
della guerra, le brutture del conflitto. E quando arrivava Natale
non c’era nulla da sperare. Maria Grazia però volle rispondere
all’appello di Don Maddalon: “Pupa bisogna fare qualcosa per
questi bambini, perché almeno per loro sia Natale davvero”.
Bisognava dunque fare qualcosa; lei si guarda in giro, per casa, cerca nei mobili, nei cassetti, raggruppa vari gomitoli
di lana, usa i ritagli di pannolenci regalati da zia Bice e gli scampoli di stoffa della Signora Tecla, la proprietaria della
merceria in via Nazionale. E si dice “bisogna creare qualcosa di speciale”. Con l’aiuto delle amiche realizza, per i
maschietti, sciarpine, cappellini e guanti di lana, coloratissimi. Per le femminucce crea delle bambole di pezza. Per
quel Natale arriveranno i doni. Era bastato qualche ritaglio di pannolenci, qualche piccolo scampolo per dar vita a delle
meravigliose pupattole.
La Signora Maria Grazia ce ne ha mostrate alcune, ed è stato davvero
un’emozione prenderle in mano: coloratissime, perfette, elegantemente vestite,
tenerissime da tenere in mano. Mi è venuto spontaneo pensare “solo la nipote di
Bice Lazzari poteva fare dell’Arte Applicata così significativa e bella. E in quel
momento mi è uscita l’esclamazione “ma queste sono le pupe di Pupa!”
Chissà se qualche bambina querese di allora ha conservato la sua “pupa”;
magari l’ha riposta in fondo ad un baule? Sarebbe davvero bello poterla
mostrare ai bambini di oggi; non solo perché testimonianza di un tempo molto
difficile, ma anche perché quelle bambole sono davvero bellissime. Per questo
ho chiesto di poterle fotografare. Chissà se qualcuno le ricorda, le riconosce?
Spero proprio che le bambine che ne hanno ricevuta una in dono, abbiamo
“percepito” con quanta cura e passione siano state cucite; sono “pupe” che
sprizzano gioia, allegria e voglia di giocare. Quelli sono stati anni durissimi e la
Signora Maria Grazia inizia a raccontare la sua vita a Quero; per noi è una
testimonianza importantissima. Inizia dai suoi 14 anni, poi ricorda la povertà, la
paura, le vendette, ma anche la solidarietà della comunità querese verso gli
Ebrei. Racconta della personale partecipazione di mamma Gina in difesa di
persone in pericolo. Lei stessa, fattasi un po’ più grande, ha cercato di evitare
tragedie; da anni conosceva molti giovani di Quero, li ha visti mutare a causa
della guerra. Sono diventati nemici, capaci di molta ferocia e più di una volta si è
messa fra loro per evitare vendette. E a Doriano racconta vicende dolorose e
tristissime: rappresaglie, incendi, deportazioni, ed episodi che mostrano quanto
in basso possano giungere gli esseri umani. Questa lunga e struggente
testimonianza non fa che confermare “la banalità del male”. Finita la guerra per
la famiglia Oliva, riprendono gli appuntamenti estivi con Quero, ma nel 1948, Maria Grazia sceglie Quero anche per
vivere un momento importantissimo della sua vita: il matrimonio con il suo adorato Attilio. Lo aveva incontrato per la
prima volta a Roma; era un architetto, titolare con il fratello dello Studio Lapadula: Pupa aveva 14 anni e, ci sussurra
che, per lei “fu amore a prima vista”. Si sono uniti in matrimonio 9 anni dopo, quando Attilio si sentì sicuro di poterla
rendere felice. A presenziare la cerimonia era venuta da Venezia una persona molto cara a Pupa, Monsignor Angelo
Maria Gottardi (destinato a diventare più tardi vescovo di Trento). Come testimone di nozze fu scelto lo zio Carlo
Scarpa. Da quel momento in casa Oliva le vacanze estive si susseguono anche per rallegrare nonna Francesca
Lazzari e mamma Gina. Da Roma Pupa raggiungeva Quero con i suoi 3 bambini. Nel 1960 don Maddalon chiese
all’architetto di progettare, per il cimitero di Quero, una cappella destinata ai sacerdoti. Per la famiglia Oliva fu sempre
un susseguirsi di legami con la comunità querese, di scambi ed inviti a raggiungere Roma. Quero è stato nel cuore di
Pupa anche in quel dolorosissimo 1981; nel mese di marzo scomparve il suo amatissimo Attilio, poi zio Diego e nel
mese di novembre la lasciò anche “zia Bice”. E’ stata proprio Pupa ad accompagnare, da sola, zio Diego nel nostro
cimitero e vi è tornata più tardi per portare zia Bice nella sua ultima casa. Ma Quero non ha mai smesso di esserci nel
suo cuore. Forse è per questo mi ha sussurrato “quando sarà il momento mi porterò anche il mio Attilio!” (Anche in
questo somiglia a Zia Bice”). Lo ha bisbigliato, magari perché non sentisse il suo “Pipo”, impegnato a mostrare alcune
opere, e altri documenti storici a Doriano e Fulvio. Poi, spenti i microfoni, Filippo ci invita a seguirlo nell’Archivio che
oggi custodisce le opere di zia Bice. Io mi sono incamminata quasi in punta di piedi verso quella stanza; avrei potuto
guardare “dal vivo” le sue opere, avrei potuto toccare gli stessi oggetti, respirare la stessa aria. Ho pensato a quando
molti anni fa sentii parlare di questa artista innovativa, scomparsa da poco: una pittrice ma anche poetessa. Allora non
so cosa avrei dato per vedere una sua opera o leggere una sua poesia. Aperta la porta ci attendevano opere, opere,
ovunque opere e tutte catalogate; i quadri protetti con panni e ordinatamente riposti, in apposite scaffalature. Poi
disegni, progetti, un manichino con un abito creato da Bice Lazzari e indossato per il suo autoritratto, gioielli in materiali
poveri disegnati e realizzati da lei. E poi eleganti scatole ordinatissime contenenti altri bellissimi gioielli, abitini creati
per bambini (alcuni fatti apposta per Pupa). Straordinarie le borsette e gli accessori d’abbigliamento; alcuni, datati 1928
potrebbero essere perfetti per l’eleganza di oggi. Incredibile! Allora Bice Lazzari aveva solo 28 anni. Tutto è
meticolosamente conservato con cura, direi con amore. Molte opere mancavano perché prestate ad una mostra in
corso al Macro, il Museo d’Arte contemporanea a Roma. Poi Filippo ci mostra un’opera di Bice Lazzari; è stata scelta
appositamente dalla Signora Maria Grazia, per farne dono al Comune di Quero. A fianco 2 poster-locandine dedicate
alle mostre internazionali a cui ha partecipato Bice Lazzari. Una certa emozione ha preso ognuno di noi tre, seguita poi
dal timore di sciupare l’opera durante il viaggio di ritorno. E’ stato difficile lasciare quella stanza, ma si era fatto
veramente tardi e ci attendeva un lungo viaggio. Altrettanto difficile il commiato; non finivamo di scoprire ancora cose
interessanti. Io continuavo a salutare la Signora Maria Grazia e, nuovamente maleducata, l’ho abbracciata ancora. Ma
mi pareva il solo modo di ringraziare per avere conosciuto Pupa: una donna nobile di animo e capace di grandi
sentimenti. Che non è solo la nipote di una grande artista; è lei stessa artista. Certamente crescere al fianco di Zia Bice
l’ha arricchita di tanti segreti nelle tecniche, ma la creatività era già sua. Lei dice “sono stata molto fortunata”, ma credo
che siano stati fortunati anche coloro che le sono vissuti accanto. Certamente l’architetto Filippo, affettuosamente
chiamato dalla mamma “Pipo”, che nel suo DNA ha una altissima percentuale di genialità. Come epilogo possiamo
confermare che l’opera e le locandine sono giunte a destinazione sane e salve. Consegnate a chi di dovere saranno a
disposizione di tutti i queresi. La testimonianza della Signora Maria Grazia, su una importante pagina di storia querese,
merita l’attenzione di tutti i giovani, perché non si dimentichino di chi li ha preceduti.
Magari molti giovani potrebbero chiedere alla loro nonna, se in un Natale della loro infanzia, hanno ricevuto in dono
una di quelle pupe di Pupa.
Una litografia in omaggio
al Comune di Quero
La famiglia di Bice ha omaggiato il Comune di una
bella litografia che, a breve, sarà esposta nella sede
municipale. Qui sotto la descrizione interpretativa
dell’opera.
Bice Lazzari (Venezia 1900 - Roma 1981) L'artista,
prima di dedicarsi alla pittura, aveva studiato violino e
pianoforte al Conservatorio, quindi la musica
influenzerà sempre la sua opera. In questa litografia
del 1974 il reticolo di linee, verticali e orizzontali, è uno
spartito musicale, mentre le pennellate colorate, nere e
rosse, rappresentano dei suoni improvvisi o crescenti,
continui o frammentati, leggeri o forti che vogliono
esprimere l'immagine visiva di una melodia.
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Tornado le pupe di Pupa