(04-113) Articoli+Tac_Articoli Estivo 2010 19/10/10 17.27 Pagina 88 TACCUINO DI VIAGGIO • TACCUINO DI VIAGGIO Norvegia Il primo italiano a Capo Nord nel 1664 Testo e foto del capogruppo Luigi Melloni Museo Civico di Scienze Naturali Il viaggio Norvegia Solo percorre in automobile tutta la Norvegia, inserendo la deviazione per Bergen, fino all’estremo punto nord, l’isola di Capo Nord. Oltre 4450 Km da compiere sulle ottime strade norvegesi poco trafficate, rispettando tassativamente i limiti di velocità imposti dalle rigide regole del paese. Capo Nord è diventata una meta obbligatoria di tanti turisti e soprattutto motociclisti che partono dai paesi dell’Europa meridionale per raggiungere l’estremo lembo del continente. Ormai non c’è più nulla d’avventuroso. La strada asfaltata N° E06 fino a Olderfjord poi la E069 porta direttamente alla meta transitando sotto al modernissimo Nordkapptunnelen a pagamento. Lungo la direttrice distributori di carburanti, aree sosta dotate di servizi sanitari pulitissimi, campeggi con le economiche hytter e tante cittadine con ogni servizio ma dagli orari molto rigidi, per noi assurdi. Splendidi paesaggi si succedono: fiordi, coste, laghi, montagne con lingue di neve e ghiacciai che scendono verso il mare, cascate e le immancabile casine in legno con colori vivacissimi, s’inseriscono nel paesaggio nordico, quasi da presepio. Boschi di abeti, pini silvestri e betulle dalle bianche cortecce, nel sotto bosco prati di mirtilli neri e rossi, eriche, lamponi e funghi porcini che nessuno raccoglie. Una natura incontaminata rispettata dai 4,6 milioni di norvegesi amanti della vita all’aria aperta e degli sport. Giunti a Capo Nord per accedere al parcheggio c’è un pedaggio circa 17,5 ¤ a testa, il biglietto (valido ben 2 giorni!) permette di entrare nell’enorme e moderna struttura affacciata all’estrema rupe di terra europea. Una costruzione tipo centro 88 Da un Norvegia Solo commerciale con vetrate dove all’interno si trovano negozi di souvenirs e paccottiglie, bar, ristoranti (tutt’altro che economici), l’ufficio postale, la sala multimediale che trasmette documentari sull’area, piccole esposizioni che illustrano storia e aspetti naturali. Fuori c’è la veranda che si affaccia sul Mar Glaciale Artico per le foto di rito. Una riproduzione del geoide terrestre è preso d’assalto dai gruppi di turisti arrivati alla meta da tutto il mondo con ogni mezzo: bus, nave da crociera, auto, moto, bicicletta, auto stop. In mezzo a tale moltitudine ci si sente avviliti, l’agognato traguardo è snaturalizzato, ridotto a punto estremo del commercio globalizzato a tutti i costi. Forse era meglio fermarsi alcuni Km prima tra i boschi di betulle o tra la tundra artica, sicuramente ci s’immerge in tutt’altre realtà dopo i 4450 km percorsi! Il primo italiano che raggiunse Capo Nord nel 1664 riportò impressioni molto diverse dal viaggio attuale. Non c’erano strade, punti di ristoro, mezzi di comunicazione ed era tutta un’avventura che si succedeva ora per ora, giorno per giorno. Di seguito narro l’impresa di questo indomito italiano, avventuriero convinto e romagnolo ferrigno che raggiunse il punto estremo d’Europa a 71°10’21”N. Francesco Negri nacque a Ravenna il 27 marzo 1623, da Stefano agiato e facoltoso ravennate citato dal Pasolini nei “Lustri Ravennati”. Si dedicò fin da giovane allo studio dei classici, della filosofia e delle Sacre Scritture tanto che di spontanea volontà, vestì l’abito sacerdotale. Fu sempre attratto dalle scienze naturali in particolare dalla geografia ed astronomia con la perspicacia e l’intuito che i mezzi e le conoscenze dell’epoca mettevano a sua disposizione. In Ravenna tenne come intendente scolastico i corsi delle scienze ed osteggiò sempre l’astrologia come forma di divinazione falsa e superstiziosa attraverso l’interpretazione delle Sacre Scritture e delle teorie filosofiche di Pico della Mirandola. Ma gli studi e le meditazioni a tavolino non bastavano al Negri, spinto dal desiderio d’approfondire le proprie conoscenze sui fenomeni naturali e sugli usi e costumi d’altri popoli. Nel 1663 all’età di 40 anni intraprese un viaggio che in tre anni lo portò a visitare i paesi dell’estremo nord d’Europa: Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia fino a Capo Nord.“Mi stimolò sempre sin dai primi anni il genio curioso, inseritomi dalla natura, a far qualche gran viaggio per osservare la varietà di questo bel mondo”. Così lasciò scritto nelle sue lettere pubblicate postume nel 1700 raccolte nel libro “ Viaggio settentrionale. Fatto e descritto dal Molto Reverendo Sig. D. Francesco Negri. Da Ravenna. Opera Postuma. Data alla luce dagl’Heredi del Suddetto. In Padova, Stamperia del Seminario, 1700”. Ma quali furono i motivi che spinsero il tranquillo romagnolo a scegliere il viaggio all’estremo nord? Difficile dirlo. Mentre i navigatori dell’epoca esploravano i mari australi ed orientali alla ricerca di linee commerciali e nuove terre riportando ricche descrizioni dei paesi tropicali, le aree nordiche risapute povere e sterili per le particolari condizioni climatiche, furono sempre accantonate dai mercanti navigatori, tanto che fino alla metà del XV secolo le carte nautiche rappresentavano la Svezia o Gothia come un’isola ed il Planisfero in foglio membranaceo (1452) di Giovanni Leardo Veneziano, recava al nord la scritta ”Dexerto deshabitato pel freddo” e ad est “Paradiso Terrestre”. Dopo i fratelli Nicolò e Antonio Zeno di Venezia nati tra il 1326 e il 1340 che si suppone siano giunti al nord della Scandinavia senza che i loro resoconti siano stati resi pubblici poiché dimenticati per due secoli negli archivi di famiglia, nel 1431 il veneziano Pietro Quirini o Quirino allestì una nave con il preciso intento d’intraprendere una linea commerciale con l’estremo nord Europa. Ma il veliero naufragò in prossimità delle isole Lofoten nel mar di Norvegia, e solo 11 marinai riuscirono dopo due anni, a rimpatriare e a portare alcune descrizioni dell’ambiente e delle popolazioni che giudicarono “di bello aspetto”. Altre succinte notizie sulla Lapponia si trovano scritte nel libro del veronese Alessandro Guagnini (1538-1614), e di Giovanni Giustiniani è conservato nel Museo Civico di Venezia un codice cartaceo del 1583 intitolato “Viaggio in Isvezia”. Probabilmente l’idea del viaggio settentrionale si accese nel Negri dall’attenta lettura dell’opera dell’Arcivescovo di Upsala Olao Magno “Historia de gentibus septentrionalibus” (1555) dove con dovizia di particolari trattava degli usi e dei costumi dei Lapponi e delle popolazioni scandinave con ricche e dettagliate descrizioni ambientali, tra l’altro Olao Magno fu autore della “Carta marina” la prima particolareggiata mappa della Scandinavia (1539). Non c’era occasione migliore per verificare di persona quanto già riportato dall’Arcivescovo: i lunghi giorni estivi, terre ricoperte da neve e ghiaccio, le tundre desolate e a maggior ragione, tutte cose mai viste personalmente da alcun italiano! Francesco Negri iniziò la sua avventura lasciando la tranquilla Ravenna e da Danzica navigò fino a Stoccolma dove sentì parlare di una strana invenzione che permetteva di scendere sul fondo marino “per ritrovar cose perduteci o per altro arbitrio...”. Veniva allestita una campana di piombo trattenuta da una lunga fune, all’interno s’introduceva un uomo vestito con stivali ed una rudimentale muta in cuoio, poggiando con i piedi su una barra trasversale posizionata alla base della campana; in mano reggeva una picca uncinata per raccogliere le cose dal fondo. Negri osservò personalmente l’immersione della campana in acqua, tanto che la sua infinita curiosità lo indusse a voler provare personalmente l’esperienza, ma ne fu sconsigliato. Il palombaro introdotto nella campana, restava sul fondo fino a 30 minuti comunicando con la superficie strattonando piccole corde. Il Negri spiegò esattamente il principio fisico: l’aria contenuta nella campana viene compressa verso l’alto dall’acqua e si forma una camera d’aria che permette al palombaro di respirare ed ope- (04-113) Articoli+Tac_Articoli Estivo 2010 19/10/10 17.27 Pagina 89 TACCUINO DI VIAGGIO • TACCUINO DI VIAGGIO Francesco Negri 1623-1698 rare sul fondo. Con questo sistema nel 1663 avevano recuperato già 16 cannoni di bronzo da una nave affondata nel porto di Stoccolma a 30 metri di profondità. Negri a piedi e con mezzi di fortuna, arrivò fino alle estreme propaggini nordiche tra le popolazioni Lapponi; raccontò tutto il viaggio descrivendo accuratamente gli aspetti naturali, la fauna, la flora le abitudini dei popoli incontrati, arricchendo il diario con impressioni personali tanto da rendere la lettura tutt’oggi avvincente ed ancora attuale. Non si arrestò alle difficoltà del cammino né lo trattenne il timore di attraversare tundre sconfinate, folte boscaglie abitate da lupi ed orsi. Così andava dicendo: “Io son d’opinione che o tutti o la maggior parte degli animali feroci, che uccidono l’uomo, lo facciano solamente o costretti dalla fame per sostenersi, il che è rarissimo, o per difender la propria vita assaltati da essi, e non altrimenti lo facciano per sola crudeltà”. Smarrì la strada mentre solo costeggiava un fiordo affrontando la fame e il freddo. Nei momenti di sconforto e di solitudine ripeteva a se stesso: “Tu soffri molto Francesco, non è vero? Ma dimmi chi ti ha fatto venire da queste parti? Nessuno. Ci sei venuto spontaneamente per vedere le curiosità. Di che dunque puoi lamentarti?” In effetti le difficoltà che l’esploratore dovette superare possono sembrare enormi se pensiamo ai mezzi dell’epoca ed alla natura selvaggia ed inospitale che consentiva solo spostamenti a piedi, o con piccole barche o slitte trainate da renne. Rimase stupefatto da un animale simile al cervo, il ”rangifero”, la renna (Rangifer tarandus L.) impiegato dai Lapponi allo stato selvatico o domestico per ricavarne carne, latte, formaggio, pelli e nervi per cucire. Durante gli spostamenti dormiva presso famiglie di Lapponi che vivevano in capanne costruite con pertiche ravvicinate e ricoperte da un panno in lana; nel mezzo ardeva perennemente il fuoco. Descrivendo i Lapponi che sono piccoli di statura, umili, pacifici ed ospitali con gli stranieri, tanto da offrire alloggio e cibo. Non esiste il furto, così che lasciano sempre aperte e incustodite le loro cose e le abitazioni. Il pesce fresco e secco che pescano con facilità nel mare o nei laghi, costituisce il loro principale alimento. Non conoscono il pane tanto che per celebrare la S.Messa in lingua lappone, fu introdotto il vocabolo “leipa” che significa pane in finnico. Fanno largo uso degli uccelli marini che nidificano sulle scogliere saccheggiando i nidi e asportando pulcini e uova, utilizzano a scopo alimentare tutti gli animali selvatici: orsi, lontre, scoiattoli,” de lupi non so”. Non utilizzano l’ermellino poiché le carni sono molto limitate e impregnate di cattivo odore. Mangiano l’aquila, il corvo ed ogni specie di volatile. Non condiscono né salano i cibi, non conoscono i sapori dolci, piccanti o salati, utilizzano per dissetarsi e per cucinare l’acqua sciolta dalla neve aggiungendovi qualche volta latte di renna. I Lapponi vestono con lunghe giacche in pelle di renna, sopra alla pelle portano maglie di lana rozza, calzoni e calze unite insieme, le scarpe sono a barchetta con la punta all’insù cucite in pelle di renna. Le donne s’adornano con gli stessi abiti tanto che viste da lontano, non si distinguono dagli uomini. Francesco Negri partecipò alla vita giornaliera dei Lapponi seguendo la caccia al ” cane di mare”, la foca grigia (Halichoerus grypus F.) e alle renne selvatiche con l’impiego degli sci. Riporta una fedele descrizione, forse la prima arrivata in Italia, sulle tecniche d’uso degli sci da fondo. Per camminare sulla neve alta i Lapponi utilizzano due tavolette in legno legate con cinghie ai piedi che fanno scivolare in avanti. Per non retrocedere rivestono le tavolette nella parte sottostante con pelli di renna. Provò personalmente gli sci ed osservò che per ben procedere occorreva non incrociare le punte né le code, in caso contrario si finiva a gambe levate nella neve alta con notevoli difficoltà nel rialzarsi. All’estremo nord fu sorpreso durante l’estate, dalla moltitudine di ditteri ematofagi e zanzare, che a nugoli lo assalirono tanto da costringerlo a ripararsi. Anche oggi i turisti che raggiungono quelle latitudini lamentano le aggressioni di tali insetti famelici. Ovunque crescono “ i bedolli”, la betulla (Betula alba L.) e nel mese d’aprile ne viene incisa la corteccia per estrarre un liquido dolce e gustoso da bere, che viene raccolto in barili e botti. Dai pini (Pinus sylvestris L.) in maggio ricavano la resina, provvedendo a scortecciare la base degli alberi più vigorosi fino a tre metri d’altezza. Dalla resina portata ad ebollizione in grandi recipienti, si ottiene la pece impiegata per calatafare le chiglie delle navi e per ricoprire le pareti in legno delle abitazioni. Sono sconosciuti i “ pini fruttifeari”. Negri fa riferimento al pino domestico (Pinus pinea L.) dal quale si ottengono i pinoli, tipico della sua città, Ravenna . Riteneva che il lemming (Dicrostonyx torquatus Pallas), il roditore che a cicli poliennali si moltiplica a dismisura e compie migrazioni in massa raggiungendo il mar di Norvegia, si originasse in terra dalle gocce d’acqua piovana come le rane ed i lombrichi. Ne forniva una riprova asserendo che i lemming si ritrovavano fin dentro alle barche o sul capo dei viaggiatori. (Il Negri credeva ancora nella generazione spontanea!). Le malattie che affliggevano le popolazioni nordiche erano molto rare, in particolare le febbri. Soffrivano però di un’infermità conosciuta come scorbuto. Negri riteneva che tale patologia fosse conseguente all’esposizione del capo scoperto al freddo e all’umidità. Egli stesso raccontava, che faceva molta attenzione a coprirsi il capo e ad asciugarsi attentamente i vestiti bagnati. Sappiamo che lo scorbuto è causato dalla carenza di vitamina C (acido ascorbico) conseguente alla dieta priva di verdure fresche. Lo scorbuto era endemico a quel tempo in tutti i paesi scandinavi specialmente nei mesi invernali. Passato il Circolo Polare Artico e giunto a Capo Nord, di ritorno a Copenaghen, trovò calorosa accoglienza ed ospitalità presso il re Federico II che lo invitò a narrare le sue esperienze ed a mostrare le cose curiose raccolte durante il viaggio. Il re si stupì nel vedere che un italiano nato e proveniente da climi miti avesse avuto tanto coraggio e costanza nel raggiungere tali latitudini. Nel 1666 ritornato in Italia dopo tre anni, poteva riposarsi a Ravenna tra l’agiatezza della famiglia ma il sacerdote cercava ancora l’opportunità per partire alla scoperta di nuovi orizzonti nordici. Nel 1670 il Cardinale Altieri gli assegnò l’incarico della parrocchia di S. Maria in Coelis a Ravenna e questo lo costrinse a desistere dai progetti esplorativi e di viaggiatore incallito. Ma il Negri non era uomo da restare inattivo ed ino- Norvegia peroso. Forte nella fede di cui era ministro, s’adoperò per aiutare i poveri, i contadini, dedicandosi a questioni giuridiche e morali intervenendo personalmente presso la Sacra Congregazione del Buon Governo. Nel 1688 pubblicò un opuscolo di 80 pagine “Della riverenza dovuta a’ sacri tempii, e del modo più facile, et efficace per conseguirla”. La situazione politica e sociale del tempo, il lusso sfrenato dei costumi e l’estrema dissolutezza di coloro che avevano scelto la strada di ministro di Dio, provocarono nel Negri indignazione e risentimento così che operò per ripristinare l’antica morale. Chissà cosa direbbe ai giorni d’oggi! Seguirono altri memoriali: “Sopra li riti, diaconesse et liturgie, et separazione degl’huomini dalle donne nelle chiese”. Fu acceso assertore, inspiratosi alla consuetudine vissuta nelle chiese svedesi, di separare gli uomini dalle donne durante le funzioni religiose per evitare eventuali tentazioni carnali. Più volte di propria iniziativa si recò a Roma e ottenne udienza dal Pontefice Innocenzo XII. Sempre entusiasta dei ricordi nordici, discorreva con piacere del suo viaggio nei salotti di Ravenna, Firenze e Roma mostrando tutte le curiosità raccolte. Morì improvvisamente a Ravenna all’età di 75 anni nel 1698 mentre si accingeva a stampare “Il viaggio settentrionale”. Francesco Negri precorse i tempi, e mentre nella sua epoca Gruber e d’Orville esploravano l’Oriente, Tasman navigava nei mari australi, più semplicemente questo romagnolo a piedi, avvalendosi della perfetta conoscenza della lingua latina e dell’aiuto dei parroci che visitava, attraversò la Scandinavia, guadò fiumi, fiordi ghiacciati, superò tundre desolate e fredde rischiando il congelamento degli arti “fotografando” con la penna ciò che vedeva. Così riportò nella sua prefazione questa saggia deduzione: “Non può, per dir vero, parere strano, che noi europei trascuriamo parti così curiose della nostra Europa, intenti più tosto ad investigar con diligenti osservazioni i remoti paesi d’Oriente e dell’Austro... e ignoriamo poi le nostre stesse regioni...” Il gruppo Melloni