in collaborazione con il Liceo Classico “Vittorio Alfieri”, Torino
lunedì 12 NOVEMBRE 2012
Aula Magna del Liceo Classico “Vittorio Alfieri”, Torino
C.so Dante, 80
ore 14,45 -18
CONVEGNO
ROUSSEAU OGGI, NEL TRICENTENARIO DELLA NASCITA
PROGRAMMA
Presentazione: MARCO CHIAUZZA
Letture di brani di Rousseau
Relazioni:
Le idee politiche (GIUSEPPE FARINETTI)
Le idee sull'educazione (STEFANO VITALE)
Giuliano Gliozzi interprete di Rousseau (ANNA STRUMIA)
Lettura dei migliori elaborati del tema proposto agli studenti*
*Jean-Jacques Rousseau, del quale ricorre quest'anno il tricentenario della nascita (1712), scrisse nel
“Discorso sulle scienze e le arti” (1750): “regna nei nostri costumi una vile e ingannevole uniformità, e tutti
gli spiriti sembrano esser stati fusi in uno stesso stampo: senza posa la civiltà esige, la convenienza ordina;
senza posa si seguono gli usi e mai il proprio genio. Non si osa più apparire ciò che si è; e in questa
costrizione continua, gli uomini, che formano quel gregge che si chiama società, posti nelle stesse
circostanze, faranno tutti le stesse cose, se motivi più potenti non li distolgano” . Ti sembra che questo
conformismo di massa esista oggi? Se sì, quali sono a tuo giudizio i mezzi per contrastarlo? Se invece pensi
che non esista, trovi che comunque ci sia un avvertimento da tener presente nel brano di Rousseau?
Presentazione del convegno
Il 28 giugno Rousseau ha compiuto trecento anni. Era nato nel 1712 sotto il segno del
lutto: “Costai la vita a mia madre, e la mia nascita fu la prima delle mie disgrazie”
(Confessioni, I). Ci sono stati convegni e mostre a Ginevra e in molti altri luoghi. Sono
usciti numerosi libri.
Rousseau è un grande scrittore nel quale la riflessione filosofica e antropologica è
strettamente intrecciata a motivi autobiografici e personali, nel solco della grande
tradizione francese inaugurata da Montaigne. La sua scrittura si muove su diversi registri
e dimensioni. Dai discorsi à scandale premiati dall'Accademia di Digione sul progresso
delle scienze e delle arti (1750) e sull'origine della disuguaglianza (1755) alle opere della
maturità scritte a quasi cinquant'anni nel ritiro di Montmorency: Il contratto sociale, il
romanzo epistolare Giulia o la nuova Eloisa, che ebbe una straordinaria fortuna, e
quella specie di romanzo pedagogico che è l'Emilio; agli scritti autobiografici e di
autoanalisi di una vita errabonda segnata dalle persecuzioni dopo la pubblica condanna
e la proibizione del Contratto sociale e dell'Emilio a Parigi e a Ginevra (la patria,
perduta in gioventù, idealizzata e riacquistata in età adulta, mostrava il deludente volto
gretto e intollerante dell'oligarchia al potere). Una vita segnata anche dalla sempre più
gravi allucinazioni su un complotto universale ai suoi danni. Il filosofo scozzese David
Hume, che lo accolse nel 1766 e presto fu sospettato di colludere con i suoi nemici,
scrisse che Rousseau era dotato di una immaginazione vivissima e, soprattutto, di una
sensibilità che “gli dà un'acuta sofferenza piuttosto che piacere. È come un uomo che
fosse non solo svestito ma spellato, e in tal modo esposto alle ingiurie dei rudi e
turbolenti elementi che disturbano perpetuamente questo basso mondo”. Le opere
autobiografiche, uscite postume, sono le Confessioni, libro di una freschezza e di una
grazia di scrittura sorprendenti, e gli scritti degli ultimissimi anni: Rousseau giudice di
Jean-Jacques e le Fantasticherie del passeggiatore solitario, in cui prevalgono le sue
ossessioni e la malinconia del tramonto. Ma già troviamo un penetrante autoritratto
nelle quattro lettere al signor de Malesherbes, scritte nel 1762 dopo aver terminato nel
ritiro di Montmorency i suoi capolavori. Rousseau fu anche autore di teatro, che rischiò
di avere una pensione dal re per la sua opera musicale L'indovino del villaggio, e
tuttavia polemizzò con D'Alembert (e contro Voltaire) difendendo la Ginevra puritana
senza spettacoli. C'è in Rousseau un'intima connessione della critica radicale e
appassionata della disuguaglianza e dell'oppressione con il tema che potremmo dire del
“disagio della società”, una società in cui i rapporti sono falsi e superficiali, “alienati”.
Sulla radice delle ingiustizie sociali, nel Discorso sull'economia politica, pubblicato
sull'Encyclopédie nel 1755, c'è un passo che fu citato anche da Marx nel Capitale:
“Riassumiamo in due parole il patto sociale tra le due parti: Voi avete bisogno di me,
perché io sono ricco e voi poveri; accordiamoci dunque: io permetterò che voi abbiate
l'onore di servirmi, a condizione che voi mi diate il poco che vi resta, visto che mi
prenderò la pena di comandarvi”. Rousseau pensò di rimediare all'ingiustizia con un
nuovo patto sociale. Così definì il problema del Contratto sociale: “Trovare una forma di
associazione che difenda e protegga con tutta la forza comune la persona e i beni di
ogni associato, e mediante la quale ognuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che
a se stesso e resti libero come prima”.
In questo convegno, diretto a insegnanti e studenti, la sezione torinese della Fnism
vuole presentare alcuni aspetti del pensiero di Rousseau che non hanno solo interesse
“storico” ma hanno una portata per l'oggi; ricordare il lavoro di Giuliano Gliozzi,
professore all'Università di Torino e militante della Fnism scomparso nel 1991, quando
stava scrivendo un importante lavoro sul ginevrino; dare voce agli studenti attraverso
un tema proposto alle ultime classi della secondaria superiore.
Marco Chiauzza -Cesare Pianciola
I RELATORI
Giuseppe Farinetti
Insegna storia e filosofia al Liceo Classico “Govone” di Alba. Per qualche anno è stato
docente a contratto alla S.I.S. dell’Università di Torino e dal 1989 partecipa ai laboratori
di filosofia della FNISM. Ha scritto saggi e articoli di argomento etico-politico relativi,
soprattutto, alla filosofia antica e moderna; ha collaborato con alcuni contributi
all’edizione critica della Repubblica di Platone, curata da Mario Vegetti per l’editore
Bibliopolis di Napoli (7 volumi apparsi tra il 1998 e il 2007). Insieme a Fulvia de Luise ha
pubblicato Felicità socratica. Immagini di Socrate e modelli antropologici ideali nel
pensiero antico (Olms, Hildesheim-Zürich-New York 1997), Storia della felicità. Gli
antichi e i moderni, (Einaudi, Torino, 2001), il corso di filosofia per i Licei in 4 volumi
Lezioni di storia della filosofia (Zanichelli, Bologna 2010) e ha curato un’edizione del
Simposio di Platone (La Nuova Italia, Firenze, 2001).
Anna Strumia
Insegna storia e filosofia al Liceo Scientifico “Galileo Ferraris” di Torino. Ha conseguito
il Dottorato di ricerca con il saggio L'immaginazione repubblicana. Sparta e Israele nel
dibattito filosofico-politico dell'età di Cromwell, Firenze, Le Lettere, 1991. Ha curato
gli scritti di Giuliano Gliozzi, pubblicati con il titolo Differenze e uguaglianza nella
cultura europea moderna. Scritti 1966-1991, Napoli, Vivarium, 1993. Con Davide Dalmas
ha curato Una Resistenza spirituale. Conscientia 1922-1927, Torino, Claudiana, 2000. Si
occupa del pensiero repubblicano inglese dell’età moderna e degli intellettuali
evangelici nella cultura italiana del Novecento. Tra i contributi recenti: Giuseppe
Gangale, l'esilio di un evangelico, in Culture dell'esilio tra libertà e rivoluzione. Echi
gobettiani nell'antifascismo internazionale. Atti del convegno di studi Torino, 18-19
ottobre 2007, Laboratorio Mezzosecolo 2009, pp. 57-65; Due convegni su Galileo, in
“Rivista di Storia della Filosofia”, 2010, 4, pp. 797-804. Per la Fnism ha curato
l’opuscolo Giuliano Gliozzi, Il nuovo Mondo nella cultura europea, tre interventi 19781985, FNISM, 1991, e ha tracciato il profilo Giuliano Gliozzi: il maestro e l’attivista
della FNISM in Due studiosi laici: Mario e Giuliano Gliozzi,Torino, Unione culturale
Franco Antonicelli, 15 novembre 2001.
Stefano Vitale
Laureato in filosofia, formatore e pedagogista, impegnato nel mondo associativo e della
cooperazione (in particolare per lo sviluppo della cultura della laicità), lavora presso i
CEMEA del Piemonte, dove ha ricoperto sino al 2002 la carica di vicepresidente e dal
2002 al 2011 quella di Presidente. È vicepresidente della Federazione Internazionale dei
CEMEA. Ha insegnato Progettazione educativa e Pedagogia presso le scuole di
formazione per educatori professionali di Alessandria, Asti e Torino dal 1991 al 2011. È
autore di numerose pubblicazioni sul tema delle attività ludiche e dell’azione educativa
edite presso Il Capitello,Torino. Ha sviluppato nuove ricerche nel campo della gestione
dei conflitti, della decostruzione degli stereotipi sessisti e dell’educazione ambientale,
pubblicando su questi temi alcuni saggi presso Carocci. Giornalista pubblicista, è autore
di numerosi articoli in riviste del settore educativo ed è redattore della rivista “Ecole.
Idee per l’educazione” (www.ecolenet.it). Ha anche un’attività letteraria “parallela” e
ha pubblicato libri di poesia: ricordiamo Semplici esseri (2005, Manni ); Le stagioni
dell’istante (2005, Joker), La traversata della notte (2007 Joker), Il retro delle cose (
2012, Puntoacapo).
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LETTURE DA ROUSSEAU
Leggeremo alcuni testi di Rousseau che evocano il personaggio. Il primo è un autoritratto che,
nel 1762, quasi cinquantenne, in un momento di crisi psicologica, dopo aver terminato nel
ritiro di Montmorency i suoi capolavori (Giulia o La nuova Eloisa, l'Emilio, Il contratto
sociale), tracciò nelle 4 lettere al signor de Malesherbes, magistrato preposto alla censura sotto
Luigi XV.
Dalla prima Lettera:
Sono nato con una inclinazione naturale alla solitudine, che è andata sempre crescendo, via via che
ho conosciuto meglio gli uomini. […]
Mi sono ingannato per lungo tempo circa la cagione dell'invincibile disagio che mi ha sempre dato
il contatto con gli uomini; l'attribuivo al rammarico di non avere sufficiente prontezza di spirito per
mostrarne in conversazione quel poco che possiedo e, di conseguenza, al fatto di non occupare in
società quel posto che credevo di meritare. Ma quando, dopo aver scarabocchiato un po' di carta, fui
ben certo di non esser preso per sciocco pur dicendo sciocchezze, quando mi vidi ricercato da tutti,
e onorato da una considerazione tanto più grande di quella che avrebbe mai osato pretendere la mia
più ridicola vanità, e nondimeno sentii lo stesso disagio crescere anziché diminuire, conclusi che
nasceva da un'altra causa e che questo tipo di godimento non era fatto per me.
Dunque quale sarà la causa? Non altro che un'indomabile spirito di libertà, che nulla ha potuto
vincere, e dinanzi al quale onori, fortuna e la stessa fama non son niente per me. È certo che questo
spirito di libertà si nutre piuttosto di pigrizia che d'orgoglio; ma la mia pigrizia è incredibile; tutto la
spaventa; i minimi doveri della vita civile le sono insopportabili. Una parola da dire, una lettera da
scrivere, una visita da fare, dal momento che bisogna farle, sono supplizi per me. Ecco perché,
benché le comuni relazioni umane mi siano odiose, mi è tanto cara l'amicizia intima; in tal caso non
esistono doveri. Si segue la voce del cuore e basta.
Dalla seconda Lettera:
Un'anima pigra, che si turba per un nonnulla, un temperamento ardente, bilioso, emotivo e
sensibile all'eccesso a tutte le proprie emozioni, sembrano inconciliabili nello stesso carattere;
eppure questi due contrari sono alla base della mia indole. Sebbene non riesca a risolvere tale
opposizione secondo principi, tuttavia esiste, la sento, è più che certa, posso almeno tracciarne,
attraverso i fatti, una specie di storia che giovi a comprenderla. Ero molto più vivace nell'infanzia,
ma non come gli altri bambini. Annoiato di tutto, mi rifugiai precocemente nella lettura. A sei anni
mi capitò fra le mani Plutarco, a otto lo sapevo a memoria; avevo letto tutti i romanzi, che mi
avevano fatto versare fiumi di lagrime prima dell'età in cui il cuore si appassiona ai romanzi. Nel
mio nacque così un gusto eroico e romanzesco che è andato sempre crescendo fino ad oggi, e che
finì per disgustarmi di tutto ciò che non somigliava alle mie follie. In gioventù credevo di ritrovare
nel mondo le persone che avevo conosciuto nei libri, e mi fidavo senza riserve di chiunque sapeva
ingannarmi con un certo gergo, del quale sono sempre stato la vittima. Ero attivo perché ero folle;
via via che restavo deluso mutavo gusti, affetti, progetti, e in ogni mutamento perdevo sempre
tempo e fatica, perché cercavo sempre ciò che non esiste. Con l'esperienza, ho perso a poco a poco
la speranza di trovarlo, e quindi lo zelo di cercarlo. Inasprito dalle ingiustizie subite, da quelle cui
avevo assistito, spesso afflitto dal disordine in cui fui trascinato dall'esempio e dalla forza delle
cose, presi in odio il mio secolo e i miei contemporanei; comprendendo che non avrei trovato tra
loro uno stato che potesse soddisfare il mio cuore, mi sono staccato a poco a poco dalla società
degli uomini, e me ne sono creata un'altra con la fantasia: l'incanto è stato tanto più forte, in quanto
potevo coltivarla senza sforzo, senza rischi, e ritrovarla sempre fidata e come la volevo.
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Dopo aver passato quarant'anni della mia vita così, scontento di me stesso e degli altri, tentavo
inutilmente d'infrangere i legami che mi univano a una società che stimavo così poco, e che mi
costringevano a occupazioni sgradevoli, destinate a soddisfare bisogni che credevo naturali e che
erano invece puramente convenzionali. Improvvisamente, un caso fortunato venne a illuminarmi
riguardo alla mia condotta e all'idea che dovevo farmi degli altri; nei loro confronti, il mio cuore era
in perpetua contraddizione con la mia mente, e pur avendo tante ragioni per odiarli, sentivo tuttavia
di amarli. Vorrei, Signore, potervi descrivere l'istante che ha fatto epoca nella mia vita e che mi sarà
sempre presente, dovessi vivere in eterno.
Andavo a trovare Diderot, allora prigioniero a Vincennes; avevo in tasca un numero del Mercure de
France e mi misi a sfogliarlo lungo la strada. Mi cadde sott'occhio il quesito dell'Accademia di
Digione che ha dato origine al mio primo scritto. Se mai v'è stata ispirazione improvvisa, tale fu
l'emozione che mi dette quella lettura; a un tratto la mia mente fu percossa da mille luci:
innumerevoli idee vive mi si presentarono insieme con un'energia e una confusione tali, da darmi un
turbamento inesprimibile: m'invase uno stordimento simile all'ubriachezza. Una violenta
palpitazione mi opprime e mi fa ansimare: col fiato mozzo, mi lascio cadere sotto un albero del
viale [...].
Oh, Signore, se fossi mai stato capace di scrivere appena la quarta parte di ciò che ho visto e sentito
sotto quell'albero, con quale chiarezza avrei posto in rilievo tutte le contraddizioni del sistema
sociale, con quanta forza avrei descritto tutti gli abusi delle istituzioni, con quale semplicità avrei
dimostrato che l'uomo è naturalmente buono, e che soltanto a causa delle istituzioni gli uomini
diventano malvagi. Quanto ho potuto rammentare della moltitudine di grandi verità che
m'illuminarono in un quarto d'ora sotto quell'albero è stato scarsamente diluito nei miei tre scritti
principali, ossia il primo discorso, il discorso sull'ineguaglianza e il trattato sull'educazione, tre
opere inseparabili, che formano un sol tutto. […] Ecco come divenni autore, quasi
involontariamente, quando meno me l'aspettavo. È facile immaginare come la lusinga di un primo
successo e le critiche degli scribacchini m'incitassero a proseguire su quella via. Possedevo un
genuino talento di scrittore? Non so. In luogo dell'eloquenza possedevo una viva persuasione, e ho
sempre scritto svogliatamente e male quando non ero fortemente persuaso. Forse è stato un ritorno
di amor proprio nascosto che mi ha fatto scegliere e meritare il mio motto [vitam impendēre vero ,
consacrare la vita alla verità], e mi ha tanto appassionatamente avvinto alla verità, o a tutto ciò che
ho ritenuto vero. Se avessi scritto per scrivere, son certo che non mi avrebbero mai letto.
(da Paolo Casini, Per conoscere Rousseau, Mondadori 1976)
Dal romanzo epistolare Giulia o La Nuova Eloisa, che ebbe quando uscì nel 1760 un enorme
successo, leggiamo la lettera del cavaliere di Saint-Preux che descrive all'amata Giulia la
triste impressione che gli fa la buona società parigina. In essa non conta l'essere ma l'apparire
(non l'être ma il paraître) e i rapporti sono falsi e superficiali.
Entro con segreto orrore in questo vasto deserto del mondo.
È un caos che non mi offre che un'orrenda solitudine, dove regna un cupo silenzio. La mia anima
angustiata cerca di espandersi e dappertutto è oppressa. […] Non già che non mi si facciano festose
accoglienze, e carezze, e cortesie, e che mille premure non paiano corrermi incontro. Ma di questo
appunto mi lagno. Come mai si può essere subito amico di qualcuno che non s'è mai visto? La
cortese sollecitudine umana, la semplice e commovente effusione d'un'anima schietta hanno un
linguaggio ben diverso dalle false esibizioni della cortesia e dalle ingannevoli apparenze volute dal
costume sociale. Temo molto che quel tale che al primo incontro mi tratta come un amico di
vent'anni, non mi tratti in capo a vent'anni come uno sconosciuto, dovessi chiedergli un servizio di
qualche importanza; e quando vedo uomini così dissipati esibire una così tenera sollecitudine per
tanta gente, mi induco a credere che non ne hanno per nessuno. [...]
Non ho mai sentito dire così spesso: « Fate conto su di me, caso occorrendo; disponete del mio
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credito, della mia borsa, della mia casa: della mia carrozza». Se le cose fossero proprio così, non ci
sarebbe popolo meno attaccato alla proprietà, la comunanza dei beni sarebbe qui pressoché
stabilita; il ricco che continuamente offre e il povero che accetta sempre finirebbero con lo stabilire
naturalmente un equilibrio sociale che nemmeno Sparta conobbe. In realtà Parigi è probabilmente la
città nella quale le fortune sono più disuguali, dove insieme regnano la più fastosa opulenza e la
miseria più deplorevole. Tanto basta per capire che cosa significano codesta apparente
commiserazione che par sempre prevenire i bisogni del prossimo, e codesta superficiale tenerezza
di cuore che in un istante contrae eterne amicizie. […] Si parla di tutto perché ciascuno possa dire
qualche cosa; non si sta a approfondire i problemi per evitare la noia, si propongono così di scorcio,
si discutono rapidamente, la precisione genera l'eleganza. Ognuno esprime il proprio parere e lo
sostiene con poche parole; nessuno si scaglia con foga contro quello altrui, nessuno difende
ostinatamente il proprio; si discute per chiarire le idee, ci si ferma prima del diverbio; ognuno si
istruisce, ognuno si diverte, tutti se ne vanno soddisfatti, e persino il saggio può portar via da questi
colloqui degli argomenti degni d'essere meditati in silenzio. Ma in fondo che cosa credi si possa
imparare in queste così piacevoli conversazioni? Forse a rettamente giudicare delle cose del
mondo? a far buon uso della società, a conoscere almeno le persone con le quali si vive? Niente
affatto, cara Giulia. Ci si impara a difendere con arte la causa della menzogna, a scuotere a furia di
filosofia tutti i principi della virtù, a colorare di sottili sofismi le proprie passioni e i propri
pregiudizi, e a conferire all'errore un certo aspetto alla moda, secondo le massime correnti. Non
occorre conoscere il carattere delle persone, ma soltanto i loro interessi per indovinare a un di
presso che cosa diranno su ogni cosa. Quando un uomo parla, non è lui ma per così dire è il suo
abito che esprime un parere; e ne muterà senza tante storie mutando di stato. Dategli
successivamente una lunga parrucca, un'uniforme d'ordinanza o una croce pettorale: lo sentirete
successivamente predicare con pari zelo le leggi, il dispotismo e l'inquisizione. […] In questo modo
nessuno mai dice cosa pensa, ma che cosa è opportuno che faccia pensare agli altri, e in loro
l'apparente zelo per la verità non è mai altro che la maschera dell'interesse.
Crederete magari che almeno le persone private e indipendenti avranno un loro modo di pensare:
niente affatto; sono anche loro macchine che non pensano, e che si fanno pensare meccanicamente.
Basta informarsi delle loro società, delle loro conventicole, dei loro amici, delle donne che
frequentano, degli autori che conoscono: su quello si può anticipatamente stabilire il giudizio che
daranno su un libro che sta per uscire e che ancora non hanno letto, su un lavoro teatrale che sta per
essere rappresentato e che non hanno visto, su questo o quell'autore che non conoscono, su questo o
quel sistema di cui non hanno nessuna idea. E come una pendola non si carica di solito che per
ventiquattro ore, così tutta codesta gente va ogni sera in società a imparare che cosa dovrà pensare il
giorno dopo.
In questo modo ci sono pochi uomini e poche donne che pensano per tutti gli altri e per conto dei
quali tutti gli altri parlano e agiscono; e siccome ognuno pensa al proprio interesse e nessuno al bene
comune, e gli interessi privati sono sempre opposti tra loro, ne risulta un perpetuo urtarsi di brighe e di cabale, un
flusso e riflusso di pregiudizi, di opinioni contrarie; e i più scalmanati, aizzati dagli altri, non sanno quasi mai di che
cosa si tratta. Ogni conventicola ha le proprie regole, i propri giudizi, i propri principi che altrove non sono ammessi.
Colui che è galantuomo in una casa, nella casa vicina è un furfante. Il buono, il cattivo, il bello, il brutto, la verità, la
virtù non hanno che un 'esistenza locale e circoscritta.
Colui al quale piace conversare e frequentare varie società, dev'essere più flessibile di Alci biade, mutare di principi
come muta di società, modificare il proprio spirito quasi a ogni passo, e adattare le proprie massime all'apparenza.
Bisogna che a ogni visita si spogli della propria anima, se ne ha una; che ne indossi un'altra dai colori della casa, così
come un servo indossa una livrea; e che allo stesso modo la lasci uscendo e se gli pare ripigli la sua propria fino alla
prossima occasione.
Ma c'è di più; ognuno si mette continuamente in contraddizione con se stesso, senza che nessuno ci trovi a ridire.
Ci sono dei principi per la conversazione, e altri principi per la pratica; nessuno si scandalizza se sono in contrasto, tutti
son d'accordo che non si debbano somigliare. [...]
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Così che gli uomini ai quali si parla non sono quelli coi quali si conversa; i sentimenti non gli nascono dal cuore, i
loro lumi non gli stanno nello spirito, i loro discorsi non esprimono i loro pensieri, di loro non si scorge altro che
l'aspetto esterno [...]. Questa è l'idea che mi son fatta del gran mondo, su quello che ho veduto qui a Parigi.
(da Paolo Casini, Per conoscere Rousseau, Mondadori 1976)
Rousseau è un critico radicale e appassionato della disuguaglianza e dell'oppressione che
esercitano i ricchi e i potenti. Leggiamo dal Discorso sull'economia politica, che venne
pubblicato sull'Encyclopédie nel 1755, una circostanziata denuncia delle ingiustizie sociali del
suo tempo (ma non solo del suo).
Un terzo rapporto, che non si considera mai ma che si dovrebbe sempre considerare per primo, è
quello delle utilità che ciascuno ricava dal patto sociale, che protegge fortemente gli immensi
possedimenti del ricco e lascia appena godere ad un miserabile la capanna che si è fatta con le sue
mani. Tutti i vantaggi della società non sono forse per i potenti ed i ricchi? non sono forse ricoperti
soltanto da essi tutti gli incarichi lucrativi? non sono forse loro riservate tutte le concessioni, tutte le
esenzioni? e forse la pubblica autorità non è tutta in loro favore? Se un uomo d'alto rango truffa i
suoi creditori o fa altre mascalzonate, non è sempre sicuro dell'impunità? I colpi di bastone che
distribuisce, le violenze che commette, perfino gli omicidi e gli assassinii di cui si renda
responsabile, non sono forse faccende coperte e messe a tacere nel giro di sei mesi? Mentre se lo
stesso uomo è derubato, tutta la polizia è subito mobilitata e guai agli innocenti di cui egli sospetta.
Passa in un luogo pericoloso? ecco le scorte schierate; l'assale della sua carrozza si rompe? tutti
volano in suo soccorso; fanno rumore alla sua porta? egli dice una parola e tutto tace; la folla gli dà
fastidio? egli fa un gesto e tutti si tirano da parte; un carrettiere gli sbarra il cammino? i suoi uomini
sono pronti a fracassarlo di botte e cinquanta onesti cittadini, che se ne vanno a piedi per i loro
affari, saranno all'occorrenza schiacciati perché un ozioso ribaldo con la sua carrozza non abbia ad
avere ritardi.
Tutti questi riguardi non gli costano un soldo; spettano di diritto al ricco e non sono il prezzo della
ricchezza. Quanto è differente, invece, il quadro del povero! Più l'umanità gli deve, più la società lo
respinge: tutte le porte sono chiuse per lui, anche quando ha il diritto di farsele aprire; e se qualche
volta ottiene giustizia, è con difficoltà, molta più di quanta ne presenti per un altro ottenere un
favore.
Se ci sono da fare corvées, se c'è da arruolare un esercito, è a lui che si dà la preferenza; egli porta
sempre, oltre al suo, il peso da cui il suo vicino più ricco ha il potere di farsi esentare; al minimo
accidente che gli capita, resta solo; se la sua misera carretta si rovescia, nessuno lo aiuterà e sarà
fortunato se sfugge intanto alle angherie degli svelti uomini di un giovane duca; in breve, ogni
gratuita assistenza lo sfugge quando egli ne ha bisogno, proprio perché non ha di che compensarla;
ma io lo ritengo perduto se ha la sventura di essere uno spirito onesto, di avere una graziosa figliola
ed un vicino potente.
Un altro rilievo non meno importante da fare è che le perdite dei poveri sono molto meno
rimediabili di quelle del ricco e che la difficoltà di guadagnare cresce sempre in ragione del
bisogno. Non si fa nulla con nulla; ciò è valido in Fisica come negli affari; il denaro è la semenza
del denaro e la prima moneta è talvolta più difficile a guadagnarsi del secondo milione. Ma c'è di
più: il fatto è che tutto ciò che il povero paga è definitivamente perduto per lui e resta o torna nelle
mani del ricco [...]
Riassumiamo in due parole il patto sociale tra le due parti: Voi avete bisogno di me, perché io sono
ricco e voi poveri; accordiamoci dunque: io permetterò che voi abbiate l'onore di servirmi, a
condizione che voi mi diate il poco che vi resta, visto che mi prenderò la pena di comandarvi.
(Discorso sull'economia politica, Laterza, 1968)
Per terminare in tono più leggero, leggiamo un brevissimo dialogo riportato nei ricordi di
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James Boswell:
Rousseau: «Vi piacciono i gatti?»
Boswell: «No.»
Rousseau: «Ne ero sicuro. È un segno del carattere. In questo avete l'istinto umano del dispotismo.
Agli uomini non piacciono i gatti perché il gatto è libero e non si adatterà mai a essere schiavo. Non
fa nulla su vostro ordine, come fanno altri animali.»
Boswell: «Nemmeno una gallina, obbedisce agli ordini.»
Rousseau: «Vi obbedirebbe, se sapeste farvi capire da essa. Un gatto vi capisce benissimo, ma non
vi obbedisce.»
(da Visita a Rousseau e a Voltaire di James Boswell, Adelphi, pp. 72-73)
PROGRAMMA MUSICALE
Dal Codice MartinezCompanon
1. Cachua a duo y a cuatro
Cachua a voz y bajo
2. CachuaLa despedida
TonadaEl Tupamaro
3. Tonada La Brujita para cantar de Guamachuco
TonadaEl Congo
4. Cachuaserranita, nombradaelHuichoNuevo
Canción de la cigarra, canciónpopular
Cecilia ALBANESE, violino- Conservatorio “G. Verdi” di Torino
Lucia CAPUTO, violino- Conservatorio “G. Verdi” di Torino
Margherita CAPUTO, mandolino- Conservatorio “G. Verdi” di Milano
Serena CARAPELLESE, violoncello
Monica CHIARA, violino- Conservatorio “G. Verdi” di Torino
Gaia CICCARONE, direzione e voce, Orchestra internazionale per la pace “Pequeñashuellas”
Francesco CONRADO, violoncello- Conservatorio “G. Verdi” di Torino
Giovanni FASSI, violoncello- Orchestra internazionale per la pace “Pequeñashuellas”
Emilia GUARNERI, direzione e voce- Orchestra internazionale per la pace “Pequeñashuellas”
Alessio MERCURIO, flautoCamilla SOLLECITO, flauto- Orchestra internazionale per la pace “Pequeñashuellas”
Diego VILLANI, viola- Conservatorio “G. Verdi” di Torino
I musicisti sono allievi del liceo classico statale “V. Alfieri” di Torino e alcuni di loro fanno parte dell’
Orchestra internazionale per la pace “Pequeñashuellas” che è sostenuta da grandi protagonisti del
panorama musicale internazionale, come, tra gli altri, Claudio Abbado, José Antonio Abreu (fondatore della
rete sociale ed educativa di orchestre infantili, giovanili e cori del Venezuela),GianandreaNoseda, Claudio
Scimone, e, ponendosi sulla scia del lavoro condotto appunto da Abreu tra i bambini dei quartieri più
disagiati, avvicina, attraverso la musica, bambini e ragazzi di ogni stato sociale e provenienti da ogni
continente, perché portino in ogni parte del mondo, dove si esibiscono, un messaggio di pace e di fratellanza
e ribadiscano il diritto di tutti a un’infanzia serena.
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