INTERROGHIAMO GLI ABITANTI DI UN VILLAGGIO DELLO SHENSI I cinesi ci parlano Com’è la gente della Cina di Mao? Al di là dei rapporti ufficiali e delle interpretazioni straniere, ecco per la prima volta il ritratto di un villaggio cinese fatto dai suoi stessi abitanti. È il ritratto che lo scrittore svedese Jan Myrdal ha potuto comporre dopo aver soggiornato per un mese a Liu Ling, una serie di testimonianze che l’autore ha raccolto in un volume che uscirà con il titolo Rapporto d’un villaggio cinese Nell’inverno 1960-61 mi misi in contatto con l’ambasciata della Repubblica popolare cinese e Stoccolma. Esposi il mio piano: desideravo recarmi in Cina e soggiornare per qualche tempo in un villaggio, anche per studiare certi problemi relativi alle minoranze e certe questioni di frontiera della Mongolia interna e dello Yunnan. Nella primavera del 1962 io e Gun Kessle ottenemmo il visto per la Cina, e da Nuova Delhi partimmo per Pechino. Lì ci fu consentito di stabilirci in un villaggio a nostra scelta. Io volevo un villaggio che appartenesse alle “prime zone liberate”, un villaggio dove la rivoluzione contadina fosse stata avviata da forze locali. Scelsi la zona immediatamente a sud di Yenan, e quando giunsi a Yenan le autorità del posto mi proposero varie località. Fra queste scelsi Liu Ling. A Liu Ling soggiornammo dalla metà di agosto alla metà di settembre. Eravamo alloggiati in una grotta (che era poi l’ufficio del segretario della sezione comunista) e io lavoravo in un’altra grotta, che era la sala di lettura della brigata. Visto che in un villaggio di grotte abitavamo in una grotta e mangiavamo pietanze locali e conversavamo di continuo con gli abitanti, qualcuno potrebbe pensare che noi vivessimo in tutto e per tutto come gli “altri”. Senonché un’idea simile sarebbe illusoria e inesatta. Noi eravamo i primi stranieri mai ospitati in quel villaggio, e il buon nome del villaggio voleva che sulle pareti della nostra grotta fosse passata una mano d’intonaco e che noi mangiassimo bene. Sicché vivevamo assai meglio degli abitanti veri. Tanta ospitalità verso gli stranieri non è del resto un fenomeno esclusivamente cinese; la si riscontra in tutte le civiltà contadine. Subito i primi giorni io visitai tutte le cinquanta famiglie di Liu Ling, e mi feci più o meno un’idea del Paese e dei suoi abitanti. Dopo di ciò, scelsi le prime persone da intervistare. Nel primo pomeriggio e alla sera raccoglievo il materiale. La notte riordinavo gli appunti, preparavo le interviste per l’indomani e discutevo con Gun Kessle del lavoro svolto nella giornata. Mi sono ben guardato dall’introdurre interpretazioni mie personali e quando le richieste dei miei interlocutori mi parevano dubbie o apertamente inesatte, ripetevo la domanda, in modo da essere sicuro di non avere capito male o di non essere stato frainteso. Dopo di che registravo la risposta, qualunque fosse. viaggio nel tempo testata europeo Oggi vediamo tutto o quasi tutto in tempo reale. E a domicilio. La tv ci porta direttamente a casa le immagini dello Tsunami e dell’ultimo attentato terroristico a Bagdad, la rielezione di George W.Bush e la maschera di sudore e fatica di Federer mentre si appresta a vincere il Grande Slam. Fino a vent’anni fa non era così. Per sapere che cosa stesse succedendo in Russia, nella Terra del Fuoco o a Voghera occorreva leggere i giornali, in particolare i giornali che disponevano di corrispondenti e di inviati “con la valigia in mano”, come si diceva allora. L’Europeo di Giorgio Bocca e Oriana Fallaci, per citare due nomi ben conosciuti dal pubblico, era all’epoca il più importante giornale italiano di reportages. Le cose sono cambiate negli anni Ottanta, soprattutto con lo sviluppo della televisione e con i news magazine, tipo Panorama ed Espresso. L’Europeo è entrato in crisi fino ad arrivare alla chiusura, alla metà degli anni Novanta. Ma, come l’Araba Fenice, è risorto dalle sue ceneri con una formula e una periodicità inedite. Sotto la direzione di Daniele Protti, l’Europeo è tornato in edicola come mensile monografico (il grande sport, i grandi fatti di cronaca, ecc.), recuperando e riproponendo l’immenso patrimonio giornalistico accumulato negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta. In questo numero di east ne vogliamo offrire due esempi: l’autobiografia di una ex “guardia rossa” e il racconto dello scrittore svedese Jan Myrdal sulla vita quotidiana in un villaggio cinese ai tempi di Mao Dze Don. Un “grazie” molto sentito alla direzione dell’Europeo e alla Rcs. 111 Contrasto_Imagechina DOSSIER Ho lavorato servendomi d’interpreti. Questo comporta già in sé il rischio di incorrere in errori. La condizione prima per potersi servire di un interprete è che questi sappia interpretare, cioè conosca a fondo le due lingue. Molto spesso, invece, si trovano interpreti che hanno delle lingue una conoscenza superficiale. In tal caso è impossibile lavorare. La mia principale interprete, Pei Kwang-li, conosceva però la mia lingua in maniera quasi perfetta, e (caso ancor più raro) era così coscienziosa che mai protestava o lavorava con meno impegno, per quanto lunga fosse l’intervista. In complesso ritengo quindi di essere riuscito a rendere ciò che gli intervistati hanno detto veramente, e di avere interrogato queste persone nel modo più oggettivo possibile. Naturalmente, ciò non significa che io abbia vissuto un mese a Liu Ling senza provare emozioni di sorta. Al contrario, ho visitato il paese con profondo interesse e ho fatto amicizia con molti abitanti. Ma non ho la pretesa di sostenere di “essermi inserito” nella vita del villaggio. Un’affermazione simile sarebbe menzognera e poco seria, sarebbe soltanto un modo di allettare il pubblico, un’altra di quelle frottole che troppo spesso s’incontrano nei libri che parlano di civiltà straniere: quei libri in cui gli autori nascondono la loro fondamentale incomprensione, i loro pregiudizi e le loro erroneee conclusioni sotto un velo di sentimentalismo e di belle parole. Un’altra questione è invece in che misura gli intervistati abbiano riferito con esattezza le loro esperienze e gli avvenimenti a cui hanno partecipato. È chiaro che le loro dichiarazioni non sono “vere” se per verità s’intende un resoconto scientificamente oggettivo. Una simile oggettività potrebbe esistere soltanto in un mondo ideale, statico. Ma nel nostro caso si tratta di testimonianze di protagonisti, di persone che si muovono e agiscono, e come tutte le testimonianze anche quelle contenute nel presente libro non collimano tra di loro. In un processo per un incidente stradale (anche il più semplice) non si trovano mai due testimoni che riferiscano i fatti nello stesso identico modo (a meno che non dicano il falso). Le nostre testimonianze non riguardano un incidente stradale, ma una grande rivoluzione d’importanza fondamentale per la vita di tutti. È anche evidente che le varie dichiarazioni tendono al tempo stesso a uniformarsi alla “concezione generale”, che nel caso specifico è l’interpretazione ufficiale cinese della rivoluzione. Neppure questo è un fenomeno tipicamente cinese. Se si svolgesse un’indagine analoga in Svezia (per esempio sulle origini delle cooperative agricole) si constaterebbe la stessa cosa. I protagonisti interpretano le proprie azioni a posteriori alla luce di esperienze e convinzioni posteriori. Perciò le dichiarazioni qui riportate vanno accolte con le stesse riserve con cui si accoglierebbe qualsiasi altra testimonianza. Ma anche se ogni giurista sa bene che ogni deposizione è soggettiva, nessuno si è mai sognato di concludere che bisogna rinunciare alle testimonianze e giudicare in base a ragionamenti astratti. Mattine in cui dormiamo di più non ne abbiamo mai. Da queste parti non si usa. Nel periodo in cui c’è più da fare, il periodo del raccolto, non ci prendiamo giorni liberi. Ce li riserviamo per un altro momento dell’anno. Nel villaggio in genere non vado a trovare i vicini. Li vedo tutti i giorni nei campi, sicché non ho bisogno di andarli a trovare anche la sera. È d’inverno che ci riposiamo. Allora raccogliamo combustibili. O rami o tronchi secchi, se li troviamo; altrimenti scaviamo un po’ di carbone. A regola dovrebbero essere i bambini a spazzare davanti alla grotta, ma spazzano male e spesso e volentieri sono trascurati, e allora io preferisco fare da me. Abbiamo comprato una bicicletta nel 1960 e un carretto con due ruote di gomma nel 1961. Quanto alla bicicletta ci ho pensato molto, prima di comprarla. È più semplice andare in città, quando si ha la bicicletta. Sono io che la uso. Mia moglie non ci sapeva andare quando la comprammo, allora ho cercato d’insegnarle, ma ancora non ha imparato senza farsi reggere. Tengo la bicicletta su nella grotta, la prendo quando dobbiamo andare a Yenan, e, se deve venire anche lei, la porto sulla canna. Vado in bibicletta a Yenan due volte al mese. Allora vado all’opera. Se a Yenan danno un’opera buona, smettiamo di lavorare già alle cinque e mezzo. Ci mettiamo d’accordo per andare all’opera tutta la squadra. Partiamo con sette o otto biciclette, ognuno di noi porta anche un altro. Ogni tanto si va all’opera in bicicletta Contrasto_Imagechina TUNG YANG-CEN, trentacinque anni: DOSSIER Gli anni passano, tutti uguali. Cominciamo con l’aratura di primavera e continuiamo per un mese. Poi seminiamo il miglio, poi il kaoliang e il mais. Ariamo per i due tipi di miglio glutinoso, ci vogliono dieci giorni, poi seminiamo. Rivoltiamo la terra per la segale e seminiamo segale. Poi cominciamo a sarchiare la gramigna nei campi e continuiamo a farlo fino al raccolto, un campo dopo l’altro ricominciando poi dal primo. Mietiamo il grano e lo portiamo giù dal monte. Ci mettiamo a trebbiare e ariamo i campi di grano. Seminiamo il grano e raccogliamo la segale e poi i due tipi di miglio glutinoso, il miglio comune, il mais e le fave. Portiamo il raccolto giù dal monte. Lo portiamo con la bilancia. Trebbiamo e terminiamo di trebbiare verso la fine dell’anno. E in gennaio abbiamo l’inverno e allora ci riposiamo e raccogliamo legna e simili, se non c’è qualche progetto per la regolazione delle acque o qualche altra cosa del genere, e poi ricominciamo l’anno con l’aratura di primavera. La vita va avanti. Ora ho quattro figli. Una bambina va a scuola; ha dieci anni. Ho un maschio che ha otto anni e una femmina che ha cento giorni. Ho anche una figlia di dodici anni, è andata a scuola un anno, ma i maestri l’hanno rimandata a casa. È troppo stupida per andare a scuola, hanno detto. È tutto. La pompa elettrica è conveniente: si risparmiano due asini e un uomo 114 CING CIUNG-YING, cinquantaquattro anni, segretario della squadra degli ortaggi Ora la stagione degli ortaggi sta per finire e ci stiamo occupando delle cipolle. Ogni giorno due di noi vanno a Yenan a vendere verdure. È un lavoro facile e piacevole, sicché si fa a turno. Vendiamo alla Compagnia delle verdure e quello che ci avanza lo vendiamo al mercato. Facciamo così fin dal 1956. La Compagnia delle verdure paga il 20% di meno del prezzo di mercato. Ma noi dobbiamo andare prima lì, per avere il diritto di vendere al mercato. I prezzi migliori li abbiamo la mattina; nel pomeriggio i prezzi sul mercato scendono continuamente. Non esistono prezzi fissi. Per gli ortaggi i prezzi sono sempre stati quelli del mercato, dal 1956. La Compagnia delle verdure paga in contanti all’atto dell’acquisto. Se però abbiamo molte cose da fare, possiamo passare a incassare anche più tardi. Nel 1961 la squadra degli ortaggi ha guadagnato circa 14.000 yuan. Ma questi soldi non vengono divisi direttamente tra i membri della squadra. Noi facciamo pur parte della brigata di lavoro di Liu Ling e siamo il gruppo che porta più danaro contante. Per questo lasciamo i soldi alla brigata di lavoro di Liu Ling come fanno le altre squadre. Poi le entrate complessive della brigata vengono suddivise tra i vari membri secondo le giornate di lavoro. Del resto, noi della squadra degli ortaggi coltiviamo anche il frumento. Della coltivazione del frumento è responsabile il vicedirettore dei lavori, Fu Hai-tsao. Tre volte al giorno andiamo in città a prendere un carro di letame. È grazie a questo concime che riusciamo a produrre tante verdure. Lo versiamo nella grande fossa dall’altra parte della strada e di lì lo portiamo ai campi. Ogni carro che pren- Contrasto_Imagechina diamo in città è di circa 1.000 jin. Fa 3.000 jin al giorno. Abbiamo stipulato un accordo con l’ufficio d’igiene di Yenan per vuotare ventuno latrine al giorno. Facciamo sette latrine per volta. L’ufficio d’igiene di Yenan ha diviso tutte le latrine della città, tra varie squadre di lavoro, e queste provvedono a vuotarle. Lo sterco umano di Liu Ling, assieme allo sterco dei maiali di proprietà privata, va naturalmente ai lotti di terra privati. Ma se qualche famiglia ha un sovrappiù, la squadra degli ortaggi paga in contanti 0,40 yuan per due catini della capacità complessiva di 100 jin. L’anno scorso abbiamo messo l’elettricità, nel nostro villaggio. Arriva da questa parte, ma non arriva ancora a Shiaoyuanchihou. Abbiamo corrente alternata a 220 volt, e costa 0,26 yuan per kilowatt. Le spese d’installazione sono state di circa 10.000 yuan. Una parte di questa somma ce la siamo fatta prestare. Poi è sorta la questione della pompa. Infatti eravamo costretti ad annaffiare continuamente le verdure. Il pozzo vicino ai campi lo scavammo nel 1957: ha l’acqua migliore di tutta la zona, molto migliore dell’acqua che c’è qui nel villaggio. Soprattutto nei periodi secchi le verdure hanno bisogno di acqua. Ma per attingere l’acqua dovevamo utilizzare due asini e un uomo ogni giorno. Una bestia la mattina e una alla sera. Complessivamente era una spesa di 10 yuan al giorno. Poiché era un sistema troppo caro, discutemmo se non fosse il caso di comprare una pompa elettrica. Nel febbraio del 1961 la brigata di lavoro ha deciso l’acquisto. La pompa è conveniente. Dal 1° gennaio 1961 al 30 luglio 1962 le spese di corrente elettrica per la pompa sono ammontate in tutto a 34 DOSSIER yuan. Per l’autunno non abbiamo ancora ricevuto la fattura. Noi stiamo abbastanza bene. Siamo in due a lavorare in famiglia. Io e il mio figliastro Liu Ching-tsei. Lavoriamo. Io sono iscritto al Partito. Non mi sono mai occupato di politica. Prima eravamo oppressi, i poveri non avevano diritti. Non possedevano nulla. Quando venni qui avevo soltanto una pentola; ora mi occorrerebbero vari carri di buoi per portar via tutte le mie cose. Ho una bicicletta e un carretto con ruote di gomma. Ora si può vivere abbastanza bene, se si lavora sodo. Cantare è bello, ma quando i genitori non muoiono di crepacuore 116 FU HAI-TSAO Un giorno venne un uomo da Pechino. Si chiamava Ching e lavorava per non so quale organizzazione: non ricordo più il nome, ma era un’organizzazione che aveva a che fare con la musica. Viaggiava per la regione e prendeva nota delle persone che sapevano cantare. Quando arrivò a Yenan andò al Complesso artistico di Yenan e lì gli dissero che io cantavo bene e avevo insegnato loro molte canzoni. Tre cantanti di quel complesso erano stati infatti qui da me alcuni giorni, e io gli avevo fatto da maestro. Si chiamavano Li, Niu e Ciu. Erano venuti qui da me e avevamo cantato insieme qui fuori. Ora dunque dissero a Ching di parlare con me. Lui venne a Liu Ling, cercò di me e mi pregò di cantare. Mentre cantavo, se ne stava seduto accanto a me e segnava tutto su un libriccino, esattamente come fate ora voi. Poi mi disse: “Vieni con me a Pechino! Devi studiare canto. A Pechino t’insegneranno tutto. Renderai grandi servigi alla patria come cantante. Viaggerai per tutto il mondo”. Ma mia madre disse: “Tu sei il mio unico figlio. Io ti ho partorito e per te ho lavorato e sofferto la fame. Tuo padre e il tuo patrigno e tutti gli antenati prima di loro hanno lavorato la terra. Se parti e ci lasci, non ci sarà più nessuno a occuparsi di noi. Nessuno mi seppellirà”. E si mise a piangere. Mia moglie non piangeva; non disse una parola, uscì soltanto. Allora Ching mi disse se per lo meno potevo promettere di andare alla grande festa di musica popolare a Sian. Mi disse che se volevo potevo tornarmene a casa quando mi pareva. “Se non vuoi venire a Pechino nessuno ti costringe” disse. “Ma in ogni caso puoi venire a Sian. Devi pur vedere una grande città almeno una volta in vita tua. Devi sapere che cosa perdi se non vieni con me a Pechino. Se vieni a Pechino, il governo avrà cura di te. Tu e la tua famiglia non patirete mai la fame, anche se tu non lavorerai la terra. Ai tuoi genitori non mancherà nulla”. A sentire queste cose non potei più resistere e decisi di andare con lui a Sian a vedere. Mia madre piangeva e diceva: “Io morirò e tu non verrai mai più a trovarmi. Questa è la gratitudine per la fame che ho sofferto per te. Tu ci abbandoni, ecco!”. Certo, io ero l’unico Fu e anche l’unico Tsao che rimanesse. Mia moglie non mi disse una parola. Il mio patrigno mi accompagnò a Yenan, dove dovevo prendere l’autobus per Sian. Entrammo insieme in città. Lui non aveva ancora detto nulla del mio viaggio, ma un momento prima che l’autobus si avviasse, disse:”Sarebbe bene che tu tornassi”. Venti giorni rimasi a Sian. Era una città grande e bella. La festa non finiva più, e quando ero libero e non cantavo, andavo all’opera o a conferenze o ai giochi d’ombre. Alla fine pensai: “È divertente cantare. Mi piacerebbe cantare tutta la vita. Mi piacerebbe anche andare a Pechino”. Ma mia madre aveva detto che se lasciavo il villaggio sarebbe morta, e più ricordavo queste parole e più pensavo a mia madre, più capivo che era impossibile per me andare a Pechino. Dopo venti giorni dissi a Ching: “Ormai devo ripartire”. Lui rispose soltanto: “Peccato”. Mi dette un biglietto per l’autobus per Yenan, e da allora non l’ho più rivisto e non ne ho saputo più nulla. E io me ne tornai a Liu Ling. Quando arrivai alla grotta disse mia madre: “Credevo che fossi partito per sempre”. Cerco di imparare a scrivere libri. Già nel 1954 pensai di diventare scrittore. Prima mandai qualche cosetta ai giornali locali di Yenan. Poi, dal 1958, ho cominciato a pensare come potrei rappresentare tutto ciò che è accaduto. E infatti so che sono successe tante cose, in questo paese, negli ultimi anni. Ma descriverle è molto difficile. Vorrei scrivere quelle che sono state le mie esperienze. Ché io sono figlio di contadini e contadino io stesso. Ho anche pubblicato alcuni racconti. In tutto tre. Sono usciti sul Magazzino del Fiume Yen, una rivista letteraria che si stampa a Sian, a cura della sezione di Sian dell’Unione degli scrittori. Il primo racconto lo pubblicai nel gennaio del 1959. S’intitolava Noi lo amiamo. Parla della gente di questa zona che fa un raccolto gigantesco e va nei campi e pensa al presidente Mao. Fu il mio primo racconto. Era un po’ ingenuo. Poi nel 1960 ho pubblicato il secondo racconto, intitolato Visita alla zia. Raccontando una visita a una zia ho voluto mostrare che la vita è continuamente migliorata: questa donna, che nella vecchia società era oppressa, è diventata ora una “lavoratrice meritevole” in una comune popolare. Nell’estate del 1961 ho pubblicato il terzo racconto: I due Hsiu. Qui ho voluto mostrare come l’uomo nuovo che si va formando nelle campagne ami la proprietà collettiva. Ho cominciato col descrivere due uomini che si chiamano entrambi Hsiu. Nella loro brigata ci sono due buoi malati. I buoi sono magri e incapaci di lavorare. La gente parla dei buoi e dice che sarebbe bene venderli al macello. Ma questi due Hsiu, che amano la proprietà collettiva, propongono di tenere i buoi. A una riunione promettono di curarli e di guarirli. Poi io racconto come essi curino i buoi e come studino tutti i modi possibili per guarirli e così via. E alla fine i due buoi ridiventano sani e forti e possono di nuovo lavorare nei campi. Il racconto si chiude con tutti i membri della brigata che elogiano i due bravi Hsiu e li proclamano “lavoratori meritevoli”. Quest’anno non ho ancora scritto nulla. Quest’anno non ho fatto quasi altro che pensare. Ho pensato un nuovo racconto, ma non mi viene. Non sono riuscito ad avviarlo. Forse è brutto. Gli altri, quasi tutti m’incoraggiano, ma spesso mi prendono Gli scrittori non ce l’hanno con i romanzi scritti in prima persona Contrasto_Imagechina TSAO CEN-KUEI, ventotto anni 117 DOSSIER in giro e mi chiamano il “piccolo scrittore”. Tuttavia sono contenti che io scriva. In fondo, gli piace che io scriva di loro e che la gente legga. Prima di mandare qualcosa, leggo quello che ho scritto ai miei più intimi amici. Vorrei scrivere un grande romanzo. Sarà un romanzo come non ne ho ancora mai letti. Un romanzo su ciò che veramente è successo qui. Sarebbe un romanzo lungo, lunghissimo, un’ampia rappresentazione di questa zona, della sua gente e del suo destino. Non un romanzo in prima persona. Non che io abbia qualcosa contro i romanzi in prima persona, ma sono troppo giovane e vorrei narrare molte più cose di quelle a cui ho potuto assistere. Risalire molto indietro nel tempo. Tutta la rivoluzione, tutto quello che è accaduto nel paese. Il grande romanzo. Contrasto_Imagechina Alla sala di lettura c’è l’orario di alta e bassa stagione LO HAN-HONG, ventotto anni, contabile della Brigata del lavoro Abbiamo una grande biblioteca, nella nostra brigata. Io sono stato eletto responsabile della biblioteca, e ora abbiamo 2468 volumi. Di questi: 824 sono libri di agricoltura, 681 di politica, 418 di letteratura e 545 di scienze. La biblioteca è stata fondata nel 1956. A quell’epoca molti seguivano il corso di lettura, sicché parve opportuno che alla cooperativa agricola avanzata “L’Oriente risplende di rosso” ci fossero dei libri. Io sollevai la questione a una riunione del direttivo, e allora mi risposero: “Se la gente vuol leggere libri, certamente possiamo stanziare dei soldi a questo scopo”. Dopo di ciò, io, Tsao Chenkuei e Kao Liuchiang, di Wangchiakou, fummo incaricati di acquistare dei libri. Andammo in giro per i villaggi e chiedevamo alla gente che cosa desiderava, e poi un giorno andammo alla libreria di Yenan e comprammo più di 400 libri di vario genere. Più tardi, in autunno, facemmo un altro viaggio a Yenan e comprammo altri 200 libri. È stato uno degli incarichi più piacevoli che io abbia mai avuto. Nel 1960 non comprammo libri direttamente, ma riuscimmo a farci a farci dare 400 libri dalla sezione culturale del Hsien di Yenan. Nel 1961 il direttivo della brigata destinò 20 yuan all’acquisto di opuscoli contenenti articoli del presidente Mao. Quello stesso anno riuscimmo anche ad avere 600 volumi dalla scuola di partito di Yenan. Anche la scuola media di Yenan ci dette dei libri. Nel 1962 non è stata stanziata nessuna somma per i libri. Abbiamo soltanto ottenuto che il direttivo paghi i periodici per la sala di lettura. La sala di lettura è aperta due sere la settimana nella bassa stagione e una volta la settimana nella stagione alta. Io ho un registro dove si segnano i prestiti. La gente può tenere un libro una settimana, poi deve rinnovare il prestito. Quest’anno, alla data del 1° settembre ho registrato trecento persone che hanno chiesto libri in prestito. Tra noi giovani della brigata ce ne sono parecchi che leggono molto. Leggiamo fino a tarda sera. Proprio ora io sto leggendo un libro sovietico. È intitolato Gioventù ed è scritto da uno scrittore sovietico con un nome difficile, un certo Aleksandr Bojcenko. In verità preferisco i libri cinesi. È così faticoso leggere autori stranieri, perché nei loro libri i personaggi hanno nomi tanto lunghi e complicati che è difficile ricordarli e perciò è facile confonderli. Ma per lo più io leggo libri cinesi. Non tanto per via dei nomi, quanto perché il linguaggio dei libri cinesi è molto più comprensibile e vivo. Le traduzioni sono sempre così smorte, come linguaggio, e un libro tradotto si riduce spesso e volentieri allo scheletro di un libro. Certamenti gli scrittori stranieri non sono così e la colpa è delle traduzioni. Si direbbe che i nostri traduttori riescano soltanto a rendere l’idea del libro. Il libro in sé non c’è più. Io non so, non conosco nessuna lingua straniera e non m’intendo di traduzioni. Per leggere un libro così mi ci vuole un mese. Posso leggere solamente di sera prima di addormentarmi. L’anno può anche essere diviso secondo le grandi feste. Parlo sempre dell’anno lunare. L’anno solare non lo conosciamo. Per la festa di capodanno ammazziamo maiali e capre. Allora facciamo dolci di miglio cinesi e pasticcini di legumi cinesi, mangiamo involtini ripieni di lardo e molte altre cose. Andiamo a far visita agli amici e i nostri vicini vengono a salutarci, e il giorno di capodanno ognuno mangia finché non gli entra più un boccone in bocca. Beviamo vino fatto in casa e acquavite comprata alla bottega. Attacchiamo strisce di carta alla finestra della grotta. A questo provvede mia sorella che è brava a farlo. Alla porta attacchiamo delle poesie, ma io non le posso leggere perché sono analfabeta. Poi viene la festa della metà di primavera. Allora andiamo alle tombe dei genitori a fare offerte. Portiamo cibi e vino, e ne mettiamo un po’ accanto alle tombe versandoci davanti un po’ di vino. Andiamo tutti: io, mio marito e i figli. Quel giorno tutti gli abitanti del villaggio vanno alle tombe dei padri. Non c’è nessuno che trascuri di farlo. Prima la gente si recava in pellegrinaggio alla pagoda di Yenan. Ora invece lì c’è il mercato. Ci sono spettacoli, recite, cantastorie, ecc. ecc. Tutta la famiglia va lì per divertirsi. Non costa molto, se si guarda a quello che si spende, ma se non si sta attenti c’è anche il rischio di lasciarci tutti i soldi. La festa successiva è il 5 maggio. Io non so bene che cosa si festeggi. Certamente è una consuetudine antica. L’unica cosa che facciamo quel giorno è che mangiamo involtini triangolari di miglio glutinoso, ripieni di datteri. Il 6 giugno è già arrivata l’estate; festeggiamo l’estate e mangiamo budini di segale freddi. Il 15 luglio è l’ “anniversario del raccolto” e lo festeggiamo mangiando meglio del solito e rimpinzandoci a più non posso. Il 15 agosto è luna piena e allora mangiamo pasticci a forma di luna con dolciumi dentro. Il 9 settembre la segale è appena maturata e allora festeggiamo l’avvenimento facendo pasta di segale. Porta fortuna. Il 1° ottobre il miglio è appena stato raccolto, e abbiamo la festa del miglio con dolci di miglio glutinoso ammorbidito al vapore. Ferragosto lo si festeggia mangiando pasticcini fatti a forma di luna Contrasto_Imagechina LI YANG-CING, ventinove anni, madre di famiglia DOSSIER Poi in novembre abbiamo una festa in cui mangiamo pane di miglio giallo e miglio glutinoso dell’altro tipo. L’8 dicembre mangiamo una pappa di miglio glutinoso. In questi giorni di festa gli uomini vanno al lavoro come di consueto e le donne restano nelle grotte per preparare da mangiare. Per il resto, mangiamo tutto l’anno la stessa roba. Il miglio è il nostro alimento principale, lo cuciniamo in vari modi. Ma di solito lo mangiamo come minestra. La carne la mangiamo per capodanno; allora facciamo tutto un pasto a base di carne. Poi saliamo il resto del maiale e ne mangiamo un po’ ogni volta che viene una festa. Talvolta, quando abbiamo ospiti, compriamo della carne al mercato e prepariamo qualcosa. Quest’anno abbiamo mangiato carne tre o quattro volte anche fuori delle feste. Le verdure le mangiamo a seconda della stagione. Tabacco non ne coltiviamo; mio marito non fuma. LI KUEI-YING, trentadue anni, contadina Dal 1958 abbiamo istituito anche un asilo e una mensa collettiva. Funzionano al tempo del raccolto, quando c’è tanto da fare. È importante che ai lavori del raccolto partecipi più gente possibile, e per questo è necessario che le donne si liberino dai lavori domestici. È così anche al tempo dell’aratura. Li Hai-cing è responsabile della mensa collettiva e Wang Yu-lan dell’asilo. Sono stati eletti dal congresso della brigata. Sono posti di fiducia. Al tempo del raccolto e dell’aratura le donne incinte e le vecchie con piedi piccoli e deformati lavorano all’asilo e alla mensa collettiva. Tutti gli altri sono fuori nei campi. È un sistema assai buono. A questo modo le donne guadagnano dei soldi e gli piace. Né l’asilo né la mensa collettiva sono gratis, ma la brigata di lavoro paga parte delle spese. Anche questa questione è stata discussa e decisa al congresso. Ogni bambino che passa un mese all’asilo comporta una spesa pari a 30 punti di lavoro, vale a dire pari a 3 giornate di lavoro. La famiglia paga l’equivalente di 15 punti e la brigata l’equivalente degli altri 15. Alla mensa collettiva si servono tre pasti al giorno. Gli avventori pagano per questo da 7 a 8 punti al mese, e la brigata 3 punti. Così lavoriamo noi donne della brigata di lavoro di Liu Ling. Si progredisce sempre. La brigata sceglie ogni anno alcuni “lavoratori meritevoli”. Questi ricevono vari premi, come segno di stima. Io ho ricevuto un paio di calze, una penna stilografica, una vanga, qualche taccuino e qualche diploma. Nel 1960 le donne mi elessero delegata a una conferenza di lavoratori meritevoli che ebbe luogo giù a Sian. Lo fecero perché avevo insegnato loro a leggere e scrivere. Io ne Contrasto_Imagechina Un bambino vale trenta punti 120 rimasi commossa. Pensai che mi onoravano anche se in verità non avevo fatto tutto quello che avrei dovuto. Decisi di lavorare meglio dato che le donne credevano in me. Io vorrei risolvere tutti i problemi delle donne di qui. Perché ancora non tutte hanno coscienza di essere pari agli uomini. Alcune vedono ancora l’uomo come lo vedevano prima di diventare libere. Esse stesse ne soffrono, e devono essere aiutate a liberarsi da questo modo di vedere. LI HSIU-MIN, trentadue anni, dirigente del Partito Qui a Liu Ling abbiamo sempre avuto lotti di terra privati. Questi lotti rafforzano l’economia collettiva e contribuiscono all’approvvigionamento della nazione. Non abbiamo mai deviato da questa linea e non vi abbiamo mai apportato modifiche. Sul piano ideologico abbiamo lavorato molto per rafforzare la coscienza proletaria dei contadini e per incoraggiare la parsimonia collettiva socialista. Da quando sono state introdotte le comuni popolari abbiamo fatto grandi progressi sotto la guida del Partito, seguendo le “tre bandiere”: la linea generale del Partito, il “grande balzo” e le comuni. Ma non abbiamo nessuna esperienza riguardo al modo di dirigere e amministrare una comune. L’agricoltura è tuttora arretrata; non abbiamo macchine e la produzione per “mu” è ancora bassa. A causa di varie calamità naturali la nostra produzione agricola subisce degli sbalzi da un anno all’altro, ma noi siamo certi che sotto la guida del Partito e del presidente Mao questi difetti scompariranno e la produzione di cereali si stabilizzerà. Non ci accontentiamo dei progressi che abbiamo fatto, ma vogliamo andare più avanti. LI SCIANG-WA, sedici anni, contadina Mia madre è morta molto tempo fa. Io ho finito le scuole questa primavera. Veramente avrei voluto continuare gli studi, ma siccome mia madre è morta, ho dovuto mettermi a lavorare in casa. Abbiamo un maiale e due capre, e sono io che me ne occupo. Ma non abbiamo né galline né pulcini. Mi piace fare da mangiare, e guardo i miei fratellini. Ma in verità avrei preferito andare alla scuola media di Yenan. Certo, qualcuno deve pure occuparsi della casa. In questo momento faccio conserve di rape di loto per l’inverno. Io non faccio parte della Federazione giovanile, e ora che ho lasciato la scuola sono troppo grande per i pionieri. Mi piace cantare e di solito canto per conto mio tutte le canzoni che mi ha insegnato la maestra Kou. Vado a Yenan una volta la settimana per fare compere e andare al cinema. Mi piacciono soprattutto i film di avventure e i film di guerra e di eroi. Mi piace anche leggere e leggo diversi libri per bambini. Tanto per i film quanto per i libri preferisco quelli che mi educano e migliorano le mie doti. L’opera non mi piace. Non capisco di che cosa si parli nelle opere. Tutto è artificiale e basta. Invece mi piacciono gli spetta- Le tre bandiere non bastano per fare andare meglio l’agricoltura Le ragazze preferiscono il cinematografo 121 DOSSIER coli di canto e danza. Spesso torno alla scuola per poter cantare insieme ai miei compagni. Sono fiera di poter lavorare nell’agricoltura. L’agricoltura è la base della società. Senza l’agricoltura non può esistere società. Io del resto accetto con gioia qualunque lavoro il partito mi voglia assegnare. Noi che siamo giovani abbiamo un futuro luminoso. Spero di poter dare un contributo alla lotta sul fronte della agricoltura e di essere una buona “rondine” come mi hanno insegnato a scuola i maestri. Al matrimonio non ci penso. Mi sposerò tardi. Sono troppo giovane per pensare all’amore. Accudisco alla casa di mio padre. Più in qua mi metterò a lavorare nell’agricoltura. Famiglie moderne con l’orto privato Qualcuno cercò di rubare un carretto 122 La moglie di MA HUNG-TSAI, venticinque anni Mio marito va nei campi all’alba. Quando è uscito, io preparo la colazione per me, per i bambini e per lui. Poi dalla sua squadra viene uno apposta a prendere la colazione, e gliela porta. Oggi ara. C’è molto da fare, in questo periodo, ma d’inverno fa di solito colazione a casa e non esce fin verso le sette. Io di solito vado al lavoro tra le sette e le otto. Torno alla grotta verso le dodici e preparo da mangiare. Mentre io preparo, mio marito si riposa, poi mangiamo e ci riposiamo un po’. A volte lui mi aiuta. Allora guarda i bambini. In realtà ogni tanto cerchiamo di aiutarci. Siamo una coppia moderna, infatti. Alle due del pomeriggio torniamo al lavoro e in genere rientriamo verso le otto di sera. Allora ceniamo e poi andiamo a letto. Prima di andare al lavoro, la mattina, do da mangiare al maiale, alle galline e alle capre. Anche la sera accudisco un po’ alle bestie. È una cosa di cui mi occupo io. A volte mio marito mi aiuta a mettere a posto la casa; altre volte faccio da sola. Gli uomini hanno quattro giorni liberi al mese, le donne sei. Possiamo prenderci queste giornate libere quando preferiamo. La nostra famiglia ha un lotto privato di un “mu” e mezzo. Ci coltiviamo mais, patate e fave. Per lo più è mio marito che lavora lì nei giorni liberi, ma io lo aiuto. Ogni anno decidiamo che cosa coltivare. Nelle famiglie di vecchio stampo è soltanto l’uomo che decide, ma io e mio marito discutiamo insieme ogni cosa, perché siamo una famiglia moderna. A volte cede lui, a volte cedo io. La grotta l’abbiamo ritinta proprio ora. È una cosa che facciamo da noi. Io ci tengo, che abbia un bell’aspetto. Il maiale lo ammazzeremo per capodanno. LI HUNG-FU, trentatrè anni, comandante del battaglione della milizia popolare Una volta si verificavano molti furti e succedevano molte cose spiacevoli. Ricordo che un giorno, quand’ero bambino, ci rubarono il nostro asino. Ma poi venne l’Ottava Armata di fanteria e noi avemmo un nuovo regime, e da allora le cose sono andate meglio. E in quest’ultimo decennio non è successo più niente. Il nostro primo compito è infatti quello di impedire i crimini e di vigilare perché nulla turbi l’ordine pubblico. Noi Contrasto_Imagechina siamo un’organizzazione che si occupa di scovare i malfattori, siamo la forza del popolo che abbraccia tutto il popolo e perciò previene i crimini. Tuttavia, un caso di furto c’è stato, e noi l’abbiamo scoperto. Fu nell’aprile del 1960. In città c’era l’opera, e noi pattugliavamo di sera la strada maestra. Ed ecco che arrivò un uomo che si portava dietro un carretto. Era di un villaggio poco lontano da qui. Noi ci meravigliammo che andasse in giro con un carretto nel cuore della notte, e gli chiedemmo spiegazioni. Lui non seppe dare una risposta soddisfacente e si comportava in maniera veramente strana, aveva davvero la coscienza sporca. Allora portammo lui e il carretto all’ufficio della comune popolare di Liu Ling nel Villaggio delle Sette Miglia. Lì risultò che lui era stato all’opera e che al ritorno, uscito dalla città, aveva visto il carretto davanti a una casa e non aveva fatto che prenderlo. La famiglia derubata riebbe il carretto prima ancora di accorgersi che gliel’avevano rubato. È l’unico caso che si sia verificato. Se infatti è il popolo stesso a rispondere dell’ordine, i crimini sono impediti prima di essere commessi. Qui, nel nostro villaggio, non è mai successo nulla; almeno per quel che ne so io. DOSSIER LI HSIU-TANG, trentotto anni, il controrivoluzionario Fui rilasciato nel dicembre del 1954, mi pare. Fui felice quando mi dissero che potevo lasciare la colonia. Non avevo tenuto bene il conto dei mesi, erano tutti assai monotoni, e mi meravigliai quando mi dissero che il mio periodo di detenzione era finito. Mi dissero: “Ormai hai scontato la tua pena. Puoi andare. Le autorità del tuo villaggio si occuperanno di te e faranno in modo che tu ti reinserisca bene nella società”. Quando tornai a Liu Ling la gente fu cortese con me. Nessuno mi parlò della condanna né mi chiese come fossi stato. Tutti fecero come se non fosse successo nulla. Io lavorai per un anno come contadino indipendente. Lo zio di mia madre, che si era occupato della terra durante la mia assenza, se ne riandò a casa sua. Mia madre era felice e io pensavo che era bello essere fuori dalla colonia di rieducazione. Poi entrai nella cooperativa agricola “L’Oriente risplende di rosso”. Che cosa ne sia stato degli altri del mio gruppo, non so. Alcuni furono condannati, altri avevano commesso reati così insignificanti che furono soltanto ammoniti. Nel gruppo non c’era nessuno di Liu Ling, e io non ho mai cercato di rimettermi in contatto con qualcuno di loro. Ora la mia vita è diversa. Da Rapporto d’un villaggio cinese, di Jan Myrdal, per gentile concessione de L’Europeo Contrasto_Imagechina Il controrivoluzionario torna a casa IL DRAMMATICO RACCONTO DI UNA RAGAZZA FUGGITA DALLA CINA Sono stata una guardia rossa Macao Contrasto_Imagechina Sono stata una gurdia rossa, ma non per lungo tempo. Né sono stata, devo dire, una guardia rossa entusiasta e convinta. Il fatto è che un ricordo spaventoso non mi aiutava ad amare il regime. Un giorno dal 1952, avevo 6 anni, alcuni soldati irruppero nella nostra casa e portarono via mio padre. Fu celebrato subito una specie di processo. Ero troppo lontana per udire che cosa venne detto. Durò un’ora. Quello che accadde poi, non ero né troppo lontana né troppo piccola per capirlo. Un soldato puntò il fucile sulla nuca di mio padre e sparò. Ricordo il pianto di mia madre. Ricordo i miei fratelli ammutoliti. Ricordo quel giorno come fosse ieri, e l’ho sempre ricordato, e credo che lo ricorderò per sempre. Poi andai a scuola. Mi sono diplomata l’anno scorso. Durante l’estate aiutavo i contadini nel raccolto. Cercavo di evitare le discussioni e le riunioni politiche, obbligatorie a ogni livello e in ogni ambiente. L’atmosfera del regime mi era opprimente. Cercavo di capire l’entusiasmo e la buona fede di certi miei compagni, ma capivo molto di più la freddezza e l’opposizione di altri: non potevo togliermi dalla mente quel giorno del 1952. Quando nella mia città, Sciun Tak, nel dipartimento di Ciung Scian, provincia del Kuantung, si formarono i gruppi delle guardie rosse, mi chiesero di farne parte. Dapprima dissi che, essendo la mia salute malandata, non me la sentivo. Essi insistettero, e alla fine accettai. Dopo tutto avrei forse avuto l’occasione di muovermi di più, di avvicinarmi alla frontiera, e infine di scappare dalla Cina. Per quanto mi pesasse lasciare dietro di me la famiglia (mia madre e otto tra fratelli e sorelle) e abbandonare la terra natale, sarebbe stato pur sempre meglio l’esilio. Così divenni una guardia rossa. Seguii le guardie rosse nella loro attività. Organizzavano spedizioni in molti luoghi. Attaccavano la gente per strada, entravano negli appartamenti, costringevano gente anziana e sotto ogni verso rispettabile a gesti stupidamente umilianti come quello di inchinarsi di fronte a loro, schiamazzante marmaglia giovanile. Distruggevano immagini religiose, picchiavano e insultavano senza ragione. Io ero con loro. Il mio corpo era con loro, ma non il mio spirito. Ogni volta che partecipavo a queste azioni soffrivo e me ne vergognavo. Mi passava dinanzi agli occhi l’immagine di mio padre fucilato. Quando venni a sapere che un gruppo di cittadini stava preparandosi a fuggire a Macao, chiesi di unirmi a loro. Non fu facile farmi accettare: la mia qualifica di guardia rossa li rendeva sospettosi. Non fu facile nemmeno attraversare il confine, posto nello stretto istmo che separa la penisola di Macao dal territorio della Repubblica popolare cinese. Ma alla fine riuscimmo a passare, e ora sono qui a raccontare, senza eccessivo entusiasmo ma con l’intento di servire la verità, alcu125 ni aspetti della Rivoluzione culturale che mi sono noti personalmente o per racconto diretto. Oppure semplicemente per averne letto sui giornali. Quello infatti che mi ha sempre stupito è l’assoluta mancanza di senso del ridicolo dei giornali cinesi nel riferire certi atteggiamenti, nell’impostare certi temi, nel commentare o riportare certi avvenimenti. Se posso dire di aver trovato una qualche fonte di divertimento, in un periodo della mia vita che certo divertente non è stato, ebbene l’ho trovato nella lettura dei giornali. La deificazione di Mao Tse-tung ha raggiunto aspetti paradossali. Ho qui con me alcuni giornali di date poco precedenti la mia fuga a Macao. Il Gemin gin pao (Quotidiano del popolo,organi ufficiale del Partito comunista cinese) del 23 settembre pubblica una lista di canzoni ammesse a un festival di varietà. Eccone i titoli: Presidente Mao, tu sei il sole rosso nei cuori dei popoli del mondo; Gli scritti del presidente Mao sono il sole; Noi siamo le guardie rosse del presidente Mao; Noi siamo con Mao; La grande patria; Il presidente Mao ci è più caro del padre e della madre; I cuori dei pastori e le idee di Mao Tse-tung sono strettamente uniti. Le parole di Presidente Mao, tu sei il sole rosso nei cuori dei popoli del mondo dicono così: Grande maestro, grande capo, presidente Mao ci indichi la strada, ci infondi coraggio e forza senza fine Tu sei il sole rosso senza limiti Nei cuori dei popoli del mondo. Il sole brilla alto Nel petto di ognuno E accresce lo spirito combattivo Di milioni di persone. Lo stesso Gemin gin pao riporta, il 26 settembre, la notizia di un incidente in una raffineria di petrolio. Ci sarebbe da credere a uno scherzo, se la notizia non fosse anche tragica. Nell’incidente, un incendio, perirono sei persone di una squadra di perforazione, anzi dell’ “eroica squadra di perforazione”, e altri “ventun compagni hanno ricevuto gloriose ferite” mentre combattevano le fiamme “ispirati dal pensiero di Mao Tsetung”. Uno degli operai feriti “gridava nel delirio: ‘lunga vita al presidente Mao’, e accettava cibo e medicine come espressioni del personale interessamento del presidente Mao”. Un altro dei feriti ha domandato, prima di volersi sottoporre a qualsiasi medicazione, una copia degli scritti di Mao Tsetung: “lottando contro il dolore, l’operaio gridava ‘viva il presidente Mao’ e cantava la canzone Solcare ilmare dipende dal timoniere”. Su un giornale di Wu Han ho letto, attorno a metà settembre, di un “fiore rosso del nostro movimento artistico letterario”. Il “fiore” era una giovane acrobata, Hsia Kiu-hua, che “lo studio delle opere e l’applicazione del pensiero di Mao Tsetung hanno aiutato a perfezionarsi nella sua arte”. La citazione può non essere esattissima, perché purtroppo non ho con me il giornale, ma la sostanza è questa. Scriveva il giornale che “dopo aver letto molte volte le opere di Mao Tse-tung” (e mi pare che fossero citati in particolare i discorsi sull’arte e la letteratura tenuti da Mao al forum di Yenan dopo la “lunga marcia” e la lotta contro i giapponesi), l’acrobata Hsia Kiuhua “è riuscita a eseguire nuove figure, una più complicata dell’altra”, guadagnandosi così, “grazie alla sua superba tecnica”, la simpatia “degli operai, dei contadini e dei soldati”. Lo studio del pensiero di Mao ha anche permesso alla giovane artista di superare “difficoltà come l’aumento di peso o un dolore alla spalla”. Come giovane e come studente, amo lo sport. Gioco a pallacanestro. Da qualche mese, prima di ogni partita, dovevamo cantare slogan rivoluzionari e durante gli intervalli qualcuno ci leggeva citazioni da Mao. Anche gli arbitri dovevano essere più istruiti sul pensiero di Mao che sul regolamento di gioco.So di qualcuno, cui l’idea che il risultato di una partita di pallacanestro (o l’abilità di un’acrobata) dipendesse dalla conoscenza delle opere di Mao Tse-tung appariva strana, il quale ha avuto noie, quando non vere e proprie persecuzioni. Il direttore di un giornale, lo Scensi gin pao, Ting Tsi-tang, amico di un mio amico, è stato epurato per un motivo del genere. Un compositore di canzoni, Ho Lu-ting, è stato definito “velenoso” dal giornale Sceh Fang gin pao. Il giornale scrive, in data 22 settembre, che la canzone Una notte sul fiume Sinan Ciang è composta su musica “debole e flaccida” e che “il tempo di sei ottavi impiegato da Ho Lu-ting è quello delle ninne-nanne, delle musiche da ballo della borghesia europea del 18°-19° secolo e della musica religiosa dell’Occidente”, particolare, quest’ultimo, che il giornale definisce più avanti “criminale”. Sullo spartito il musicista ha scritto a un certo momento l’annotazione tecnica “delicatamente”: “con quale intenzione?”, si chiede lo Sceh Fang gin pao, dal quale traduco letteralmente: “È chiaro come Ho Lu-ting abbia tentato di far passare l’ardore militante della nostra classe operaia per un miraggio verso la calma e l’indolenza. Forse che”, continua a chiedersi il giornale, “il musicista ha cercato di cantare gli eroi della nostra classe lavoratrice impegnati nella costruzione di centrali idroelettriche, o di dimostrarne l’entusiasmo rivoluzionario espresso nello spirito di appoggiarsi solo sulle proprie forze? Nulla di tutto ciò. Egli ha distorto l’eroica immagine della nostra classe lavoratrice e ha stoltamente cantato contro il nostro balzo in avanti (il “balzo in avanti” è il nome ufficiale della pianificazione economica lanciata nei primi anni Sessanta). Dietro lo schermo fumoso di un superficiale elogio al socialismo, Ho Lu-ting è maliziosamente velenoso”. Altri hanno avuto meno fortuna che l’epurazione o un attacco di giornale. So che la famosa cantante d’opera Hung Sin-nui si è uccisa, dopo essere stata umiliata e offesa dalle guardie rosse a Canton; e purtroppo so bene come le guardie rosse siano capaci di umiliare e offendere. So anche di altri suicidi, ma naturalmente di questo non si legge nulla sui giornali. Yau Yong Siun-go per gentile concessione de L’Europeo