INTERROGHIAMO GLI ABITANTI DI UN VILLAGGIO DELLO SHENSI
I cinesi ci parlano
Com’è la gente della Cina di Mao? Al di là dei rapporti ufficiali e
delle interpretazioni straniere, ecco per la prima volta il ritratto di
un villaggio cinese fatto dai suoi stessi abitanti. È il ritratto che lo
scrittore svedese Jan Myrdal ha potuto comporre dopo aver soggiornato per un mese a Liu Ling, una serie di testimonianze che l’autore
ha raccolto in un volume che uscirà con il titolo Rapporto d’un villaggio cinese
Nell’inverno 1960-61 mi misi in contatto con l’ambasciata
della Repubblica popolare cinese e Stoccolma. Esposi il mio
piano: desideravo recarmi in Cina e soggiornare per qualche
tempo in un villaggio, anche per studiare certi problemi relativi alle minoranze e certe questioni di frontiera della Mongolia
interna e dello Yunnan. Nella primavera del 1962 io e Gun
Kessle ottenemmo il visto per la Cina, e da Nuova Delhi partimmo per Pechino.
Lì ci fu consentito di stabilirci in un villaggio a nostra scelta. Io volevo un villaggio che appartenesse alle “prime zone
liberate”, un villaggio dove la rivoluzione contadina fosse stata
avviata da forze locali. Scelsi la zona immediatamente a sud di
Yenan, e quando giunsi a Yenan le autorità del posto mi proposero varie località.
Fra queste scelsi Liu Ling.
A Liu Ling soggiornammo dalla metà di agosto alla metà di
settembre. Eravamo alloggiati in una grotta (che era poi l’ufficio del segretario della sezione comunista) e io lavoravo in
un’altra grotta, che era la sala di lettura della brigata. Visto che
in un villaggio di grotte abitavamo in una grotta e mangiavamo pietanze locali e conversavamo di continuo con gli abitanti,
qualcuno potrebbe pensare che noi vivessimo in tutto e per
tutto come gli “altri”. Senonché un’idea simile sarebbe illusoria e inesatta. Noi eravamo i primi stranieri mai ospitati in
quel villaggio, e il buon nome del villaggio voleva che sulle
pareti della nostra grotta fosse passata una mano d’intonaco e
che noi mangiassimo bene. Sicché vivevamo assai meglio degli
abitanti veri. Tanta ospitalità verso gli stranieri non è del resto
un fenomeno esclusivamente cinese; la si riscontra in tutte le
civiltà contadine.
Subito i primi giorni io visitai tutte le cinquanta famiglie di
Liu Ling, e mi feci più o meno un’idea del Paese e dei suoi abitanti. Dopo di ciò, scelsi le prime persone da intervistare. Nel
primo pomeriggio e alla sera raccoglievo il materiale. La notte
riordinavo gli appunti, preparavo le interviste per l’indomani e
discutevo con Gun Kessle del lavoro svolto nella giornata.
Mi sono ben guardato dall’introdurre interpretazioni mie
personali e quando le richieste dei miei interlocutori mi parevano dubbie o apertamente inesatte, ripetevo la domanda, in modo
da essere sicuro di non avere capito male o di non essere stato
frainteso. Dopo di che registravo la risposta, qualunque fosse.
viaggio nel tempo
testata europeo
Oggi vediamo tutto o quasi tutto in
tempo reale. E a domicilio. La tv ci
porta direttamente a casa le immagini dello Tsunami e dell’ultimo
attentato terroristico a Bagdad, la
rielezione di George W.Bush e la
maschera di sudore e fatica di
Federer mentre si appresta a vincere
il Grande Slam. Fino a vent’anni fa
non era così. Per sapere che cosa
stesse succedendo in Russia, nella
Terra del Fuoco o a Voghera occorreva leggere i giornali, in particolare i giornali che disponevano di corrispondenti e di inviati “con la valigia in mano”, come si diceva allora.
L’Europeo di Giorgio Bocca e Oriana
Fallaci, per citare due nomi ben
conosciuti dal pubblico, era all’epoca
il più importante giornale italiano
di reportages. Le cose sono cambiate
negli anni Ottanta, soprattutto con
lo sviluppo della televisione e con i
news magazine, tipo Panorama ed
Espresso. L’Europeo è entrato in crisi
fino ad arrivare alla chiusura, alla
metà degli anni Novanta. Ma, come
l’Araba Fenice, è risorto dalle sue
ceneri con una formula e una periodicità inedite. Sotto la direzione di
Daniele Protti, l’Europeo è tornato
in edicola come mensile monografico (il grande sport, i grandi fatti di
cronaca, ecc.), recuperando e riproponendo l’immenso patrimonio
giornalistico accumulato negli anni
Cinquanta, Sessanta e Settanta. In
questo numero di east ne vogliamo
offrire due esempi: l’autobiografia
di una ex “guardia rossa” e il racconto dello scrittore svedese Jan
Myrdal sulla vita quotidiana in un
villaggio cinese ai tempi di Mao Dze
Don. Un “grazie” molto sentito alla
direzione dell’Europeo e alla Rcs.
111
Contrasto_Imagechina
DOSSIER
Ho lavorato servendomi d’interpreti. Questo comporta già
in sé il rischio di incorrere in errori. La condizione prima per
potersi servire di un interprete è che questi sappia interpretare,
cioè conosca a fondo le due lingue. Molto spesso, invece, si trovano interpreti che hanno delle lingue una conoscenza superficiale. In tal caso è impossibile lavorare. La mia principale interprete, Pei Kwang-li, conosceva però la mia lingua in maniera
quasi perfetta, e (caso ancor più raro) era così coscienziosa che
mai protestava o lavorava con meno impegno, per quanto
lunga fosse l’intervista.
In complesso ritengo quindi di essere riuscito a rendere ciò
che gli intervistati hanno detto veramente, e di avere interrogato queste persone nel modo più oggettivo possibile.
Naturalmente, ciò non significa che io abbia vissuto un mese a
Liu Ling senza provare emozioni di sorta. Al contrario, ho visitato il paese con profondo interesse e ho fatto amicizia con
molti abitanti. Ma non ho la pretesa di sostenere di “essermi
inserito” nella vita del villaggio. Un’affermazione simile sarebbe menzognera e poco seria, sarebbe soltanto un modo di allettare il pubblico, un’altra di quelle frottole che troppo spesso
s’incontrano nei libri che parlano di civiltà straniere: quei libri
in cui gli autori nascondono la loro fondamentale incomprensione, i loro pregiudizi e le loro erroneee conclusioni sotto un
velo di sentimentalismo e di belle parole.
Un’altra questione è invece in che misura gli intervistati
abbiano riferito con esattezza le loro esperienze e gli avvenimenti a cui hanno partecipato. È chiaro che le loro dichiarazioni non sono “vere” se per verità s’intende un resoconto scientificamente oggettivo. Una simile oggettività potrebbe esistere
soltanto in un mondo ideale, statico. Ma nel nostro caso si tratta di testimonianze di protagonisti, di persone che si muovono
e agiscono, e come tutte le testimonianze anche quelle contenute nel presente libro non collimano tra di loro. In un processo per un incidente stradale (anche il più semplice) non si trovano mai due testimoni che riferiscano i fatti nello stesso identico modo (a meno che non dicano il falso). Le nostre testimonianze non riguardano un incidente stradale, ma una grande
rivoluzione d’importanza fondamentale per la vita di tutti. È
anche evidente che le varie dichiarazioni tendono al tempo
stesso a uniformarsi alla “concezione generale”, che nel caso
specifico è l’interpretazione ufficiale cinese della rivoluzione.
Neppure questo è un fenomeno tipicamente cinese. Se si svolgesse un’indagine analoga in Svezia (per esempio sulle origini
delle cooperative agricole) si constaterebbe la stessa cosa. I protagonisti interpretano le proprie azioni a posteriori alla luce di
esperienze e convinzioni posteriori. Perciò le dichiarazioni qui
riportate vanno accolte con le stesse riserve con cui si accoglierebbe qualsiasi altra testimonianza. Ma anche se ogni giurista
sa bene che ogni deposizione è soggettiva, nessuno si è mai
sognato di concludere che bisogna rinunciare alle testimonianze e giudicare in base a ragionamenti astratti.
Mattine in cui dormiamo di più non ne abbiamo mai. Da
queste parti non si usa. Nel periodo in cui c’è più da fare, il
periodo del raccolto, non ci prendiamo giorni liberi. Ce li riserviamo per un altro momento dell’anno. Nel villaggio in genere
non vado a trovare i vicini. Li vedo tutti i giorni nei campi, sicché non ho bisogno di andarli a trovare anche la sera.
È d’inverno che ci riposiamo. Allora raccogliamo combustibili. O rami o tronchi secchi, se li troviamo; altrimenti scaviamo un po’ di carbone. A regola dovrebbero essere i bambini a
spazzare davanti alla grotta, ma spazzano male e spesso e
volentieri sono trascurati, e allora io preferisco fare da me.
Abbiamo comprato una bicicletta nel 1960 e un carretto con
due ruote di gomma nel 1961. Quanto alla bicicletta ci ho pensato molto, prima di comprarla. È più semplice andare in città,
quando si ha la bicicletta. Sono io che la uso. Mia moglie non ci
sapeva andare quando la comprammo, allora ho cercato d’insegnarle, ma ancora non ha imparato senza farsi reggere. Tengo
la bicicletta su nella grotta, la prendo quando dobbiamo andare
a Yenan, e, se deve venire anche lei, la porto sulla canna.
Vado in bibicletta a Yenan due volte al mese. Allora vado
all’opera. Se a Yenan danno un’opera buona, smettiamo di
lavorare già alle cinque e mezzo. Ci mettiamo d’accordo per
andare all’opera tutta la squadra. Partiamo con sette o otto
biciclette, ognuno di noi porta anche un altro.
Ogni tanto si va all’opera
in bicicletta
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TUNG YANG-CEN, trentacinque anni:
DOSSIER
Gli anni passano, tutti uguali. Cominciamo con l’aratura di
primavera e continuiamo per un mese. Poi seminiamo il
miglio, poi il kaoliang e il mais. Ariamo per i due tipi di miglio
glutinoso, ci vogliono dieci giorni, poi seminiamo. Rivoltiamo
la terra per la segale e seminiamo segale. Poi cominciamo a
sarchiare la gramigna nei campi e continuiamo a farlo fino al
raccolto, un campo dopo l’altro ricominciando poi dal primo.
Mietiamo il grano e lo portiamo giù dal monte. Ci mettiamo a
trebbiare e ariamo i campi di grano. Seminiamo il grano e raccogliamo la segale e poi i due tipi di miglio glutinoso, il miglio
comune, il mais e le fave. Portiamo il raccolto giù dal monte.
Lo portiamo con la bilancia. Trebbiamo e terminiamo di trebbiare verso la fine dell’anno. E in gennaio abbiamo l’inverno e
allora ci riposiamo e raccogliamo legna e simili, se non c’è
qualche progetto per la regolazione delle acque o qualche altra
cosa del genere, e poi ricominciamo l’anno con l’aratura di primavera.
La vita va avanti. Ora ho quattro figli. Una bambina va a
scuola; ha dieci anni. Ho un maschio che ha otto anni e una
femmina che ha cento giorni. Ho anche una figlia di dodici
anni, è andata a scuola un anno, ma i maestri l’hanno rimandata a casa. È troppo stupida per andare a scuola, hanno detto. È
tutto.
La pompa elettrica
è conveniente:
si risparmiano
due asini e un uomo
114
CING CIUNG-YING, cinquantaquattro anni,
segretario della squadra degli ortaggi
Ora la stagione degli ortaggi sta per finire e ci stiamo occupando delle cipolle. Ogni giorno due di noi vanno a Yenan a
vendere verdure. È un lavoro facile e piacevole, sicché si fa a
turno. Vendiamo alla Compagnia delle verdure e quello che ci
avanza lo vendiamo al mercato. Facciamo così fin dal 1956. La
Compagnia delle verdure paga il 20% di meno del prezzo di
mercato. Ma noi dobbiamo andare prima lì, per avere il diritto
di vendere al mercato. I prezzi migliori li abbiamo la mattina;
nel pomeriggio i prezzi sul mercato scendono continuamente.
Non esistono prezzi fissi. Per gli ortaggi i prezzi sono sempre
stati quelli del mercato, dal 1956. La Compagnia delle verdure
paga in contanti all’atto dell’acquisto. Se però abbiamo molte
cose da fare, possiamo passare a incassare anche più tardi.
Nel 1961 la squadra degli ortaggi ha guadagnato circa
14.000 yuan. Ma questi soldi non vengono divisi direttamente
tra i membri della squadra. Noi facciamo pur parte della brigata di lavoro di Liu Ling e siamo il gruppo che porta più danaro
contante. Per questo lasciamo i soldi alla brigata di lavoro di
Liu Ling come fanno le altre squadre. Poi le entrate complessive della brigata vengono suddivise tra i vari membri secondo le
giornate di lavoro. Del resto, noi della squadra degli ortaggi
coltiviamo anche il frumento. Della coltivazione del frumento è
responsabile il vicedirettore dei lavori, Fu Hai-tsao.
Tre volte al giorno andiamo in città a prendere un carro di
letame. È grazie a questo concime che riusciamo a produrre
tante verdure. Lo versiamo nella grande fossa dall’altra parte
della strada e di lì lo portiamo ai campi. Ogni carro che pren-
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diamo in città è di circa 1.000 jin. Fa 3.000 jin al giorno.
Abbiamo stipulato un accordo con l’ufficio d’igiene di Yenan
per vuotare ventuno latrine al giorno. Facciamo sette latrine
per volta. L’ufficio d’igiene di Yenan ha diviso tutte le latrine
della città, tra varie squadre di lavoro, e queste provvedono a
vuotarle.
Lo sterco umano di Liu Ling, assieme allo sterco dei maiali
di proprietà privata, va naturalmente ai lotti di terra privati.
Ma se qualche famiglia ha un sovrappiù, la squadra degli
ortaggi paga in contanti 0,40 yuan per due catini della capacità
complessiva di 100 jin.
L’anno scorso abbiamo messo l’elettricità, nel nostro villaggio. Arriva da questa parte, ma non arriva ancora a
Shiaoyuanchihou. Abbiamo corrente alternata a 220 volt, e
costa 0,26 yuan per kilowatt. Le spese d’installazione sono
state di circa 10.000 yuan. Una parte di questa somma ce la
siamo fatta prestare. Poi è sorta la questione della pompa.
Infatti eravamo costretti ad annaffiare continuamente le verdure. Il pozzo vicino ai campi lo scavammo nel 1957: ha l’acqua
migliore di tutta la zona, molto migliore dell’acqua che c’è qui
nel villaggio. Soprattutto nei periodi secchi le verdure hanno
bisogno di acqua. Ma per attingere l’acqua dovevamo utilizzare
due asini e un uomo ogni giorno. Una bestia la mattina e una
alla sera. Complessivamente era una spesa di 10 yuan al giorno. Poiché era un sistema troppo caro, discutemmo se non
fosse il caso di comprare una pompa elettrica. Nel febbraio del
1961 la brigata di lavoro ha deciso l’acquisto. La pompa è conveniente. Dal 1° gennaio 1961 al 30 luglio 1962 le spese di corrente elettrica per la pompa sono ammontate in tutto a 34
DOSSIER
yuan. Per l’autunno non abbiamo ancora ricevuto la fattura.
Noi stiamo abbastanza bene. Siamo in due a lavorare in
famiglia. Io e il mio figliastro Liu Ching-tsei. Lavoriamo. Io
sono iscritto al Partito. Non mi sono mai occupato di politica.
Prima eravamo oppressi, i poveri non avevano diritti. Non possedevano nulla. Quando venni qui avevo soltanto una pentola;
ora mi occorrerebbero vari carri di buoi per portar via tutte le
mie cose. Ho una bicicletta e un carretto con ruote di gomma.
Ora si può vivere abbastanza bene, se si lavora sodo.
Cantare è bello,
ma quando i genitori
non muoiono
di crepacuore
116
FU HAI-TSAO
Un giorno venne un uomo da Pechino. Si chiamava Ching e
lavorava per non so quale organizzazione: non ricordo più il
nome, ma era un’organizzazione che aveva a che fare con la
musica. Viaggiava per la regione e prendeva nota delle persone
che sapevano cantare. Quando arrivò a Yenan andò al
Complesso artistico di Yenan e lì gli dissero che io cantavo
bene e avevo insegnato loro molte canzoni. Tre cantanti di quel
complesso erano stati infatti qui da me alcuni giorni, e io gli
avevo fatto da maestro. Si chiamavano Li, Niu e Ciu. Erano
venuti qui da me e avevamo cantato insieme qui fuori. Ora
dunque dissero a Ching di parlare con me. Lui venne a Liu
Ling, cercò di me e mi pregò di cantare. Mentre cantavo, se ne
stava seduto accanto a me e segnava tutto su un libriccino,
esattamente come fate ora voi. Poi mi disse: “Vieni con me a
Pechino! Devi studiare canto. A Pechino t’insegneranno tutto.
Renderai grandi servigi alla patria come cantante. Viaggerai per
tutto il mondo”. Ma mia madre disse: “Tu sei il mio unico
figlio. Io ti ho partorito e per te ho lavorato e sofferto la fame.
Tuo padre e il tuo patrigno e tutti gli antenati prima di loro
hanno lavorato la terra. Se parti e ci lasci, non ci sarà più nessuno a occuparsi di noi. Nessuno mi seppellirà”. E si mise a
piangere. Mia moglie non piangeva; non disse una parola, uscì
soltanto. Allora Ching mi disse se per lo meno potevo promettere di andare alla grande festa di musica popolare a Sian. Mi
disse che se volevo potevo tornarmene a casa quando mi pareva. “Se non vuoi venire a Pechino nessuno ti costringe” disse.
“Ma in ogni caso puoi venire a Sian. Devi pur vedere una
grande città almeno una volta in vita tua. Devi sapere che cosa
perdi se non vieni con me a Pechino. Se vieni a Pechino, il
governo avrà cura di te. Tu e la tua famiglia non patirete mai la
fame, anche se tu non lavorerai la terra. Ai tuoi genitori non
mancherà nulla”. A sentire queste cose non potei più resistere
e decisi di andare con lui a Sian a vedere.
Mia madre piangeva e diceva: “Io morirò e tu non verrai mai più a trovarmi. Questa è la gratitudine per la fame che
ho sofferto per te. Tu ci abbandoni, ecco!”. Certo, io ero l’unico
Fu e anche l’unico Tsao che rimanesse. Mia moglie non mi
disse una parola. Il mio patrigno mi accompagnò a Yenan, dove
dovevo prendere l’autobus per Sian. Entrammo insieme in
città. Lui non aveva ancora detto nulla del mio viaggio, ma un
momento prima che l’autobus si avviasse, disse:”Sarebbe bene
che tu tornassi”.
Venti giorni rimasi a Sian. Era una città grande e bella. La
festa non finiva più, e quando ero libero e non cantavo, andavo
all’opera o a conferenze o ai giochi d’ombre. Alla fine pensai:
“È divertente cantare. Mi piacerebbe cantare tutta la vita. Mi
piacerebbe anche andare a Pechino”. Ma mia madre aveva detto
che se lasciavo il villaggio sarebbe morta, e più ricordavo queste parole e più pensavo a mia madre, più capivo che era
impossibile per me andare a Pechino. Dopo venti giorni dissi a
Ching: “Ormai devo ripartire”. Lui rispose soltanto: “Peccato”.
Mi dette un biglietto per l’autobus per Yenan, e da allora non
l’ho più rivisto e non ne ho saputo più nulla. E io me ne tornai
a Liu Ling. Quando arrivai alla grotta disse mia madre:
“Credevo che fossi partito per sempre”.
Cerco di imparare a scrivere libri. Già nel 1954 pensai di
diventare scrittore. Prima mandai qualche cosetta ai giornali
locali di Yenan. Poi, dal 1958, ho cominciato a pensare come
potrei rappresentare tutto ciò che è accaduto. E infatti so che
sono successe tante cose, in questo paese, negli ultimi anni. Ma
descriverle è molto difficile. Vorrei scrivere quelle che sono
state le mie esperienze. Ché io sono figlio di contadini e contadino io stesso. Ho anche pubblicato alcuni racconti. In tutto tre.
Sono usciti sul Magazzino del Fiume Yen, una rivista letteraria
che si stampa a Sian, a cura della sezione di Sian dell’Unione
degli scrittori.
Il primo racconto lo pubblicai nel gennaio del 1959.
S’intitolava Noi lo amiamo. Parla della gente di questa zona
che fa un raccolto gigantesco e va nei campi e pensa al presidente Mao. Fu il mio primo racconto. Era un po’ ingenuo. Poi
nel 1960 ho pubblicato il secondo racconto, intitolato Visita
alla zia. Raccontando una visita a una zia ho voluto mostrare
che la vita è continuamente migliorata: questa donna, che nella
vecchia società era oppressa, è diventata ora una “lavoratrice
meritevole” in una comune popolare.
Nell’estate del 1961 ho pubblicato il terzo racconto: I due
Hsiu. Qui ho voluto mostrare come l’uomo nuovo che si va
formando nelle campagne ami la proprietà collettiva. Ho
cominciato col descrivere due uomini che si chiamano entrambi
Hsiu. Nella loro brigata ci sono due buoi malati. I buoi sono
magri e incapaci di lavorare. La gente parla dei buoi e dice che
sarebbe bene venderli al macello. Ma questi due Hsiu, che
amano la proprietà collettiva, propongono di tenere i buoi. A
una riunione promettono di curarli e di guarirli. Poi io racconto come essi curino i buoi e come studino tutti i modi possibili
per guarirli e così via. E alla fine i due buoi ridiventano sani e
forti e possono di nuovo lavorare nei campi. Il racconto si chiude con tutti i membri della brigata che elogiano i due bravi
Hsiu e li proclamano “lavoratori meritevoli”.
Quest’anno non ho ancora scritto nulla. Quest’anno non ho
fatto quasi altro che pensare. Ho pensato un nuovo racconto,
ma non mi viene. Non sono riuscito ad avviarlo. Forse è brutto.
Gli altri, quasi tutti m’incoraggiano, ma spesso mi prendono
Gli scrittori
non ce l’hanno
con i romanzi scritti
in prima persona
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TSAO CEN-KUEI, ventotto anni
117
DOSSIER
in giro e mi chiamano il “piccolo scrittore”. Tuttavia sono contenti che io scriva. In fondo, gli piace che io scriva di loro e che
la gente legga. Prima di mandare qualcosa, leggo quello che ho
scritto ai miei più intimi amici.
Vorrei scrivere un grande romanzo. Sarà un romanzo
come non ne ho ancora mai letti. Un romanzo su ciò che
veramente è successo qui. Sarebbe un romanzo lungo, lunghissimo, un’ampia rappresentazione di questa zona, della sua
gente e del suo destino. Non un romanzo in prima persona.
Non che io abbia qualcosa contro i romanzi in prima persona,
ma sono troppo giovane e vorrei narrare molte più cose di
quelle a cui ho potuto assistere. Risalire molto indietro nel
tempo. Tutta la rivoluzione, tutto quello che è accaduto nel
paese. Il grande romanzo.
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Alla sala di lettura
c’è l’orario di alta
e bassa stagione
LO HAN-HONG, ventotto anni, contabile della Brigata del lavoro
Abbiamo una grande biblioteca, nella nostra brigata. Io
sono stato eletto responsabile della biblioteca, e ora abbiamo
2468 volumi. Di questi: 824 sono libri di agricoltura, 681 di
politica, 418 di letteratura e 545 di scienze. La biblioteca è
stata fondata nel 1956. A quell’epoca molti seguivano il corso
di lettura, sicché parve opportuno che alla cooperativa agricola
avanzata “L’Oriente risplende di rosso” ci fossero dei libri. Io
sollevai la questione a una riunione del direttivo, e allora mi
risposero: “Se la gente vuol leggere libri, certamente possiamo
stanziare dei soldi a questo scopo”. Dopo di ciò, io, Tsao Chenkuei e Kao Liuchiang, di Wangchiakou, fummo incaricati di
acquistare dei libri. Andammo in giro per i villaggi e chiedevamo alla gente che cosa desiderava, e poi un giorno andammo
alla libreria di Yenan e comprammo più di 400 libri di vario
genere. Più tardi, in autunno, facemmo un altro viaggio a
Yenan e comprammo altri 200 libri. È stato uno degli incarichi
più piacevoli che io abbia mai avuto. Nel 1960 non comprammo libri direttamente, ma riuscimmo a farci a farci dare 400
libri dalla sezione culturale del Hsien di Yenan. Nel 1961 il
direttivo della brigata destinò 20 yuan all’acquisto di opuscoli
contenenti articoli del presidente Mao. Quello stesso anno
riuscimmo anche ad avere 600 volumi dalla scuola di partito di
Yenan. Anche la scuola media di Yenan ci dette dei libri. Nel
1962 non è stata stanziata nessuna somma per i libri. Abbiamo
soltanto ottenuto che il direttivo paghi i periodici per la sala di
lettura.
La sala di lettura è aperta due sere la settimana nella bassa
stagione e una volta la settimana nella stagione alta. Io ho un
registro dove si segnano i prestiti. La gente può tenere un
libro una settimana, poi deve rinnovare il prestito.
Quest’anno, alla data del 1° settembre ho registrato trecento
persone che hanno chiesto libri in prestito.
Tra noi giovani della brigata ce ne sono parecchi che leggono molto. Leggiamo fino a tarda sera. Proprio ora io sto leggendo un libro sovietico. È intitolato Gioventù ed è scritto da
uno scrittore sovietico con un nome difficile, un certo
Aleksandr Bojcenko. In verità preferisco i libri cinesi. È così
faticoso leggere autori stranieri, perché nei loro libri i personaggi hanno nomi tanto lunghi e complicati che è difficile
ricordarli e perciò è facile confonderli.
Ma per lo più io leggo libri cinesi. Non tanto per via dei
nomi, quanto perché il linguaggio dei libri cinesi è molto più
comprensibile e vivo. Le traduzioni sono sempre così smorte,
come linguaggio, e un libro tradotto si riduce spesso e volentieri allo scheletro di un libro. Certamenti gli scrittori stranieri non sono così e la colpa è delle traduzioni. Si direbbe che i
nostri traduttori riescano soltanto a rendere l’idea del libro. Il
libro in sé non c’è più. Io non so, non conosco nessuna lingua
straniera e non m’intendo di traduzioni. Per leggere un libro
così mi ci vuole un mese. Posso leggere solamente di sera
prima di addormentarmi.
L’anno può anche essere diviso secondo le grandi feste.
Parlo sempre dell’anno lunare. L’anno solare non lo conosciamo. Per la festa di capodanno ammazziamo maiali e capre.
Allora facciamo dolci di miglio cinesi e pasticcini di legumi
cinesi, mangiamo involtini ripieni di lardo e molte altre cose.
Andiamo a far visita agli amici e i nostri vicini vengono a salutarci, e il giorno di capodanno ognuno mangia finché non gli
entra più un boccone in bocca. Beviamo vino fatto in casa e
acquavite comprata alla bottega. Attacchiamo strisce di carta
alla finestra della grotta. A questo provvede mia sorella che è
brava a farlo. Alla porta attacchiamo delle poesie, ma io non le
posso leggere perché sono analfabeta.
Poi viene la festa della metà di primavera. Allora andiamo
alle tombe dei genitori a fare offerte. Portiamo cibi e vino, e ne
mettiamo un po’ accanto alle tombe versandoci davanti un po’
di vino. Andiamo tutti: io, mio marito e i figli. Quel giorno
tutti gli abitanti del villaggio vanno alle tombe dei padri. Non
c’è nessuno che trascuri di farlo. Prima la gente si recava in
pellegrinaggio alla pagoda di Yenan. Ora invece lì c’è il mercato. Ci sono spettacoli, recite, cantastorie, ecc. ecc. Tutta la famiglia va lì per divertirsi. Non costa molto, se si guarda a quello
che si spende, ma se non si sta attenti c’è anche il rischio di
lasciarci tutti i soldi.
La festa successiva è il 5 maggio. Io non so bene che cosa si
festeggi. Certamente è una consuetudine antica. L’unica cosa che
facciamo quel giorno è che mangiamo involtini triangolari di
miglio glutinoso, ripieni di datteri. Il 6 giugno è già arrivata l’estate; festeggiamo l’estate e mangiamo budini di segale freddi.
Il 15 luglio è l’ “anniversario del raccolto” e lo festeggiamo
mangiando meglio del solito e rimpinzandoci a più non posso.
Il 15 agosto è luna piena e allora mangiamo pasticci a forma
di luna con dolciumi dentro.
Il 9 settembre la segale è appena maturata e allora festeggiamo l’avvenimento facendo pasta di segale. Porta fortuna.
Il 1° ottobre il miglio è appena stato raccolto, e abbiamo la
festa del miglio con dolci di miglio glutinoso ammorbidito al
vapore.
Ferragosto lo si festeggia
mangiando pasticcini
fatti a forma di luna
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LI YANG-CING, ventinove anni, madre di famiglia
DOSSIER
Poi in novembre abbiamo una festa in cui mangiamo pane
di miglio giallo e miglio glutinoso dell’altro tipo.
L’8 dicembre mangiamo una pappa di miglio glutinoso. In
questi giorni di festa gli uomini vanno al lavoro come di consueto e le donne restano nelle grotte per preparare da mangiare. Per il resto, mangiamo tutto l’anno la stessa roba. Il miglio
è il nostro alimento principale, lo cuciniamo in vari modi. Ma
di solito lo mangiamo come minestra. La carne la mangiamo
per capodanno; allora facciamo tutto un pasto a base di carne.
Poi saliamo il resto del maiale e ne mangiamo un po’ ogni
volta che viene una festa. Talvolta, quando abbiamo ospiti,
compriamo della carne al mercato e prepariamo qualcosa.
Quest’anno abbiamo mangiato carne tre o quattro volte anche
fuori delle feste. Le verdure le mangiamo a seconda della stagione. Tabacco non ne coltiviamo; mio marito non fuma.
LI KUEI-YING, trentadue anni, contadina
Dal 1958 abbiamo istituito anche un asilo e una mensa collettiva. Funzionano al tempo del raccolto, quando c’è tanto da
fare. È importante che ai lavori del raccolto partecipi più gente
possibile, e per questo è necessario che le donne si liberino dai
lavori domestici. È così anche al tempo dell’aratura. Li Hai-cing
è responsabile della mensa collettiva e Wang Yu-lan dell’asilo.
Sono stati eletti dal congresso della brigata. Sono posti di fiducia. Al tempo del raccolto e dell’aratura le donne incinte e le
vecchie con piedi piccoli e deformati lavorano all’asilo e alla
mensa collettiva. Tutti gli altri sono fuori nei campi. È un sistema assai buono. A questo modo le donne guadagnano dei soldi
e gli piace. Né l’asilo né la mensa collettiva sono gratis, ma la
brigata di lavoro paga parte delle spese. Anche questa questione
è stata discussa e decisa al congresso. Ogni bambino che passa
un mese all’asilo comporta una spesa pari a 30 punti di lavoro,
vale a dire pari a 3 giornate di lavoro. La famiglia paga l’equivalente di 15 punti e la brigata l’equivalente degli altri 15. Alla
mensa collettiva si servono tre
pasti al giorno. Gli avventori
pagano per questo da 7 a 8 punti
al mese, e la brigata 3 punti.
Così lavoriamo noi donne
della brigata di lavoro di Liu
Ling. Si progredisce sempre. La
brigata sceglie ogni anno alcuni
“lavoratori meritevoli”. Questi
ricevono vari premi, come segno
di stima. Io ho ricevuto un paio
di calze, una penna stilografica,
una vanga, qualche taccuino e
qualche diploma. Nel 1960 le
donne mi elessero delegata a una
conferenza di lavoratori meritevoli che ebbe luogo giù a Sian.
Lo fecero perché avevo insegnato loro a leggere e scrivere. Io ne
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Un bambino
vale trenta punti
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rimasi commossa. Pensai che mi onoravano anche se in verità
non avevo fatto tutto quello che avrei dovuto. Decisi di lavorare meglio dato che le donne credevano in me. Io vorrei risolvere tutti i problemi delle donne di qui. Perché ancora non tutte
hanno coscienza di essere pari agli uomini. Alcune vedono
ancora l’uomo come lo vedevano prima di diventare libere.
Esse stesse ne soffrono, e devono essere aiutate a liberarsi da
questo modo di vedere.
LI HSIU-MIN, trentadue anni, dirigente del Partito
Qui a Liu Ling abbiamo sempre avuto lotti di terra privati.
Questi lotti rafforzano l’economia collettiva e contribuiscono
all’approvvigionamento della nazione. Non abbiamo mai deviato da questa linea e non vi abbiamo mai apportato modifiche.
Sul piano ideologico abbiamo lavorato molto per rafforzare
la coscienza proletaria dei contadini e per incoraggiare la parsimonia collettiva socialista. Da quando sono state introdotte le
comuni popolari abbiamo fatto grandi progressi sotto la guida
del Partito, seguendo le “tre bandiere”: la linea generale del
Partito, il “grande balzo” e le comuni. Ma non abbiamo nessuna esperienza riguardo al modo di dirigere e amministrare una
comune. L’agricoltura è tuttora arretrata; non abbiamo macchine e la produzione per “mu” è ancora bassa. A causa di varie
calamità naturali la nostra produzione agricola subisce degli
sbalzi da un anno all’altro, ma noi siamo certi che sotto la
guida del Partito e del presidente Mao questi difetti scompariranno e la produzione di cereali si stabilizzerà. Non ci accontentiamo dei progressi che abbiamo fatto, ma vogliamo andare
più avanti.
LI SCIANG-WA, sedici anni, contadina
Mia madre è morta molto tempo fa. Io ho finito le scuole
questa primavera. Veramente avrei voluto continuare gli studi,
ma siccome mia madre è morta, ho dovuto mettermi a lavorare
in casa. Abbiamo un maiale e due capre, e sono io che me ne
occupo. Ma non abbiamo né galline né pulcini. Mi piace fare da
mangiare, e guardo i miei fratellini. Ma in verità avrei preferito andare alla scuola media di Yenan. Certo, qualcuno deve
pure occuparsi della casa. In questo momento faccio conserve di
rape di loto per l’inverno.
Io non faccio parte della Federazione giovanile, e ora che ho
lasciato la scuola sono troppo grande per i pionieri. Mi piace
cantare e di solito canto per conto mio tutte le canzoni che mi
ha insegnato la maestra Kou. Vado a Yenan una volta la settimana per fare compere e andare al cinema. Mi piacciono
soprattutto i film di avventure e i film di guerra e di eroi. Mi
piace anche leggere e leggo diversi libri per bambini. Tanto per
i film quanto per i libri preferisco quelli che mi educano e
migliorano le mie doti.
L’opera non mi piace. Non capisco di che cosa si parli nelle
opere. Tutto è artificiale e basta. Invece mi piacciono gli spetta-
Le tre bandiere non bastano
per fare andare
meglio l’agricoltura
Le ragazze preferiscono
il cinematografo
121
DOSSIER
coli di canto e danza. Spesso torno alla scuola per poter cantare
insieme ai miei compagni.
Sono fiera di poter lavorare nell’agricoltura. L’agricoltura è
la base della società. Senza l’agricoltura non può esistere società. Io del resto accetto con gioia qualunque lavoro il partito mi
voglia assegnare. Noi che siamo giovani abbiamo un futuro
luminoso. Spero di poter dare un contributo alla lotta sul fronte della agricoltura e di essere una buona “rondine” come mi
hanno insegnato a scuola i maestri. Al matrimonio non ci
penso. Mi sposerò tardi. Sono troppo giovane per pensare all’amore. Accudisco alla casa di mio padre. Più in qua mi metterò a
lavorare nell’agricoltura.
Famiglie moderne
con l’orto privato
Qualcuno cercò
di rubare un carretto
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La moglie di MA HUNG-TSAI, venticinque anni
Mio marito va nei campi all’alba. Quando è uscito, io preparo la colazione per me, per i bambini e per lui. Poi dalla sua
squadra viene uno apposta a prendere la colazione, e gliela
porta. Oggi ara. C’è molto da fare, in questo periodo, ma d’inverno fa di solito colazione a casa e non esce fin verso le sette.
Io di solito vado al lavoro tra le sette e le otto. Torno alla
grotta verso le dodici e preparo da mangiare. Mentre io preparo, mio marito si riposa, poi mangiamo e ci riposiamo un po’. A
volte lui mi aiuta. Allora guarda i bambini. In realtà ogni tanto
cerchiamo di aiutarci. Siamo una coppia moderna, infatti. Alle
due del pomeriggio torniamo al lavoro e in genere rientriamo
verso le otto di sera. Allora ceniamo e poi andiamo a letto.
Prima di andare al lavoro, la mattina, do da mangiare al
maiale, alle galline e alle capre. Anche la sera accudisco un po’
alle bestie. È una cosa di cui mi occupo io. A volte mio marito
mi aiuta a mettere a posto la casa; altre volte faccio da sola. Gli
uomini hanno quattro giorni liberi al mese, le donne sei.
Possiamo prenderci queste giornate libere quando preferiamo.
La nostra famiglia ha un lotto privato di un “mu” e mezzo.
Ci coltiviamo mais, patate e fave. Per lo più è mio marito che
lavora lì nei giorni liberi, ma io lo aiuto. Ogni anno decidiamo
che cosa coltivare. Nelle famiglie di vecchio stampo è soltanto
l’uomo che decide, ma io e mio marito discutiamo insieme ogni
cosa, perché siamo una famiglia moderna. A volte cede lui, a
volte cedo io. La grotta l’abbiamo ritinta proprio ora. È una
cosa che facciamo da noi. Io ci tengo, che abbia un bell’aspetto.
Il maiale lo ammazzeremo per capodanno.
LI HUNG-FU, trentatrè anni, comandante del battaglione
della milizia popolare
Una volta si verificavano molti furti e succedevano molte
cose spiacevoli. Ricordo che un giorno, quand’ero bambino, ci
rubarono il nostro asino. Ma poi venne l’Ottava Armata di fanteria e noi avemmo un nuovo regime, e da allora le cose sono
andate meglio. E in quest’ultimo decennio non è successo più
niente. Il nostro primo compito è infatti quello di impedire i
crimini e di vigilare perché nulla turbi l’ordine pubblico. Noi
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siamo un’organizzazione che si occupa di scovare i malfattori,
siamo la forza del popolo che abbraccia tutto il popolo e perciò
previene i crimini.
Tuttavia, un caso di furto c’è stato, e noi l’abbiamo scoperto.
Fu nell’aprile del 1960. In città c’era l’opera, e noi pattugliavamo di sera la strada maestra. Ed ecco che arrivò un uomo che si
portava dietro un carretto. Era di un villaggio poco lontano da
qui. Noi ci meravigliammo che andasse in giro con un carretto
nel cuore della notte, e gli chiedemmo spiegazioni. Lui non
seppe dare una risposta soddisfacente e si comportava in
maniera veramente strana, aveva davvero la coscienza sporca.
Allora portammo lui e il carretto all’ufficio della comune popolare di Liu Ling nel Villaggio delle Sette Miglia. Lì risultò che
lui era stato all’opera e che al ritorno, uscito dalla città, aveva
visto il carretto davanti a una casa e non aveva fatto che prenderlo. La famiglia derubata riebbe il carretto prima ancora di
accorgersi che gliel’avevano rubato. È l’unico caso che si sia
verificato. Se infatti è il popolo stesso a rispondere dell’ordine,
i crimini sono impediti prima di essere commessi. Qui, nel
nostro villaggio, non è mai successo nulla; almeno per quel che
ne so io.
DOSSIER
LI HSIU-TANG, trentotto anni, il controrivoluzionario
Fui rilasciato nel dicembre del 1954, mi pare. Fui felice
quando mi dissero che potevo lasciare la colonia. Non avevo
tenuto bene il conto dei mesi, erano tutti assai monotoni, e mi
meravigliai quando mi dissero che il mio periodo di detenzione
era finito. Mi dissero: “Ormai hai scontato la tua pena. Puoi
andare. Le autorità del tuo villaggio si occuperanno di te e
faranno in modo che tu ti reinserisca bene nella società”.
Quando tornai a Liu Ling la gente fu cortese con me. Nessuno
mi parlò della condanna né mi chiese come fossi stato. Tutti
fecero come se non fosse successo nulla. Io lavorai per un anno
come contadino indipendente. Lo zio di mia madre, che si era
occupato della terra durante la mia assenza, se ne riandò a casa
sua. Mia madre era felice e io pensavo che era bello essere
fuori dalla colonia di rieducazione. Poi entrai nella cooperativa
agricola “L’Oriente risplende di rosso”.
Che cosa ne sia stato degli altri del mio gruppo, non so.
Alcuni furono condannati, altri avevano commesso reati così
insignificanti che furono soltanto ammoniti. Nel gruppo non
c’era nessuno di Liu Ling, e io non ho mai cercato di rimettermi in contatto con qualcuno di loro. Ora la mia vita è diversa.
Da Rapporto d’un villaggio cinese, di Jan Myrdal,
per gentile concessione de L’Europeo
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Il controrivoluzionario
torna a casa
IL DRAMMATICO RACCONTO DI UNA RAGAZZA FUGGITA DALLA CINA
Sono stata una guardia rossa
Macao
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Sono stata una gurdia rossa, ma non per lungo tempo. Né
sono stata, devo dire, una guardia rossa entusiasta e convinta.
Il fatto è che un ricordo spaventoso non mi aiutava ad amare il
regime. Un giorno dal 1952, avevo 6 anni, alcuni soldati irruppero nella nostra casa e portarono via mio padre. Fu celebrato
subito una specie di processo. Ero troppo lontana per udire che
cosa venne detto. Durò un’ora. Quello che accadde poi, non ero
né troppo lontana né troppo piccola per capirlo. Un soldato
puntò il fucile sulla nuca di mio padre e sparò. Ricordo il pianto di mia madre. Ricordo i miei fratelli ammutoliti. Ricordo
quel giorno come fosse ieri, e l’ho sempre ricordato, e credo
che lo ricorderò per sempre.
Poi andai a scuola. Mi sono diplomata l’anno scorso.
Durante l’estate aiutavo i contadini nel raccolto. Cercavo di
evitare le discussioni e le riunioni politiche, obbligatorie a ogni
livello e in ogni ambiente. L’atmosfera del regime mi era opprimente. Cercavo di capire l’entusiasmo e la buona fede di certi
miei compagni, ma capivo molto di più la freddezza e l’opposizione di altri: non potevo togliermi dalla mente quel giorno del
1952.
Quando nella mia città, Sciun Tak, nel dipartimento di
Ciung Scian, provincia del Kuantung, si formarono i gruppi
delle guardie rosse, mi chiesero di farne parte. Dapprima dissi
che, essendo la mia salute malandata, non me la sentivo. Essi
insistettero, e alla fine accettai. Dopo tutto avrei forse avuto
l’occasione di muovermi di più, di avvicinarmi alla frontiera, e
infine di scappare dalla Cina. Per quanto mi pesasse lasciare
dietro di me la famiglia (mia madre e otto tra fratelli e sorelle)
e abbandonare la terra natale, sarebbe stato pur sempre meglio
l’esilio.
Così divenni una guardia rossa. Seguii le guardie rosse nella
loro attività. Organizzavano spedizioni in molti luoghi.
Attaccavano la gente per strada, entravano negli appartamenti,
costringevano gente anziana e sotto ogni verso rispettabile a
gesti stupidamente umilianti come quello di inchinarsi di fronte a loro, schiamazzante marmaglia giovanile. Distruggevano
immagini religiose, picchiavano e insultavano senza ragione. Io
ero con loro. Il mio corpo era con loro, ma non il mio spirito.
Ogni volta che partecipavo a queste azioni soffrivo e me ne
vergognavo. Mi passava dinanzi agli occhi l’immagine di mio
padre fucilato. Quando venni a sapere che un gruppo di cittadini stava preparandosi a fuggire a Macao, chiesi di unirmi a
loro. Non fu facile farmi accettare: la mia qualifica di guardia
rossa li rendeva sospettosi. Non fu facile nemmeno attraversare il confine, posto nello stretto istmo che separa la penisola di
Macao dal territorio della Repubblica popolare cinese. Ma alla
fine riuscimmo a passare, e ora sono qui a raccontare, senza
eccessivo entusiasmo ma con l’intento di servire la verità, alcu125
ni aspetti della Rivoluzione culturale che mi sono noti personalmente o per racconto diretto. Oppure semplicemente per
averne letto sui giornali. Quello infatti che mi ha sempre stupito è l’assoluta mancanza di senso del ridicolo dei giornali
cinesi nel riferire certi atteggiamenti, nell’impostare certi temi,
nel commentare o riportare certi avvenimenti. Se posso dire di
aver trovato una qualche fonte di divertimento, in un periodo
della mia vita che certo divertente non è stato, ebbene l’ho trovato nella lettura dei giornali. La deificazione di Mao Tse-tung
ha raggiunto aspetti paradossali.
Ho qui con me alcuni giornali di date poco precedenti
la mia fuga a Macao. Il Gemin gin pao (Quotidiano del popolo,organi ufficiale del Partito comunista cinese) del 23 settembre pubblica una lista di canzoni ammesse a un festival di
varietà. Eccone i titoli: Presidente Mao, tu sei il sole rosso nei
cuori dei popoli del mondo; Gli scritti del presidente Mao sono
il sole; Noi siamo le guardie rosse del presidente Mao; Noi
siamo con Mao; La grande patria; Il presidente Mao ci è più
caro del padre e della madre; I cuori dei pastori e le idee di
Mao Tse-tung sono strettamente uniti.
Le parole di Presidente Mao, tu sei il sole rosso nei cuori dei
popoli del mondo dicono così:
Grande maestro, grande capo,
presidente Mao ci indichi la strada,
ci infondi
coraggio e forza senza fine
Tu sei il sole rosso senza limiti
Nei cuori dei popoli del mondo.
Il sole brilla alto
Nel petto di ognuno
E accresce lo spirito combattivo
Di milioni di persone.
Lo stesso Gemin gin pao riporta, il 26 settembre, la notizia
di un incidente in una raffineria di petrolio. Ci sarebbe da credere a uno scherzo, se la notizia non fosse anche tragica.
Nell’incidente, un incendio, perirono sei persone di una squadra di perforazione, anzi dell’ “eroica squadra di perforazione”,
e altri “ventun compagni hanno ricevuto gloriose ferite” mentre combattevano le fiamme “ispirati dal pensiero di Mao Tsetung”.
Uno degli operai feriti “gridava nel delirio: ‘lunga vita al
presidente Mao’, e accettava cibo e medicine come espressioni
del personale interessamento del presidente Mao”.
Un altro dei feriti ha domandato, prima di volersi sottoporre
a qualsiasi medicazione, una copia degli scritti di Mao Tsetung: “lottando contro il dolore, l’operaio gridava ‘viva il presidente Mao’ e cantava la canzone Solcare ilmare dipende dal
timoniere”.
Su un giornale di Wu Han ho letto, attorno a metà settembre, di un “fiore rosso del nostro movimento artistico letterario”. Il “fiore” era una giovane acrobata, Hsia Kiu-hua, che “lo
studio delle opere e l’applicazione del pensiero di Mao Tsetung hanno aiutato a perfezionarsi nella sua arte”. La citazione
può non essere esattissima, perché purtroppo non ho con me il
giornale, ma la sostanza è questa. Scriveva il giornale che
“dopo aver letto molte volte le opere di Mao Tse-tung” (e mi
pare che fossero citati in particolare i discorsi sull’arte e la letteratura tenuti da Mao al forum di Yenan dopo la “lunga marcia” e la lotta contro i giapponesi), l’acrobata Hsia Kiuhua “è
riuscita a eseguire nuove figure, una più complicata dell’altra”,
guadagnandosi così, “grazie alla sua superba tecnica”, la simpatia “degli operai, dei contadini e dei soldati”. Lo studio del pensiero di Mao ha anche permesso alla giovane artista di superare
“difficoltà come l’aumento di peso o un dolore alla spalla”.
Come giovane e come studente, amo lo sport. Gioco a pallacanestro. Da qualche mese, prima di ogni partita, dovevamo
cantare slogan rivoluzionari e durante gli intervalli qualcuno ci
leggeva citazioni da Mao. Anche gli arbitri dovevano essere più
istruiti sul pensiero di Mao che sul regolamento di gioco.So di
qualcuno, cui l’idea che il risultato di una partita di pallacanestro (o l’abilità di un’acrobata) dipendesse dalla conoscenza
delle opere di Mao Tse-tung appariva strana, il quale ha avuto
noie, quando non vere e proprie persecuzioni. Il direttore di un
giornale, lo Scensi gin pao, Ting Tsi-tang, amico di un mio
amico, è stato epurato per un motivo del genere.
Un compositore di canzoni, Ho Lu-ting, è stato definito
“velenoso” dal giornale Sceh Fang gin pao. Il giornale scrive,
in data 22 settembre, che la canzone Una notte sul fiume
Sinan Ciang è composta su musica “debole e flaccida” e che “il
tempo di sei ottavi impiegato da Ho Lu-ting è quello delle
ninne-nanne, delle musiche da ballo della borghesia europea
del 18°-19° secolo e della musica religiosa dell’Occidente”, particolare, quest’ultimo, che il giornale definisce più avanti “criminale”. Sullo spartito il musicista ha scritto a un certo
momento l’annotazione tecnica “delicatamente”: “con quale
intenzione?”, si chiede lo Sceh Fang gin pao, dal quale traduco
letteralmente: “È chiaro come Ho Lu-ting abbia tentato di far
passare l’ardore militante della nostra classe operaia per un
miraggio verso la calma e l’indolenza. Forse che”, continua a
chiedersi il giornale, “il musicista ha cercato di cantare gli eroi
della nostra classe lavoratrice impegnati nella costruzione di
centrali idroelettriche, o di dimostrarne l’entusiasmo rivoluzionario espresso nello spirito di appoggiarsi solo sulle proprie
forze? Nulla di tutto ciò. Egli ha distorto l’eroica immagine
della nostra classe lavoratrice e ha stoltamente cantato contro il
nostro balzo in avanti (il “balzo in avanti” è il nome ufficiale
della pianificazione economica lanciata nei primi anni
Sessanta). Dietro lo schermo fumoso di un superficiale elogio
al socialismo, Ho Lu-ting è maliziosamente velenoso”.
Altri hanno avuto meno fortuna che l’epurazione o un
attacco di giornale. So che la famosa cantante d’opera Hung
Sin-nui si è uccisa, dopo essere stata umiliata e offesa dalle
guardie rosse a Canton; e purtroppo so bene come le guardie
rosse siano capaci di umiliare e offendere. So anche di altri suicidi, ma naturalmente di questo non si legge nulla sui giornali.
Yau Yong Siun-go
per gentile concessione de L’Europeo
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