Marshall McLuhan
DAL CLICHÉ ALL'ARCHETIPO
L'uomo tecnologico nel villaggio globale
tit. orig. 'From Cliché to Archetype', the Viking Press, New York
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Prefazione
di Gianpiero Gamaleri*
Il rischio maggiore che si corre nello scrivere qualche parola di presentazione di questo lavoro
(possiamo davvero chiamarlo « libro»?) è di commettere lo Stesso erro-re attribuito
dall’antropologo E. S. Carpenter a Robert Graves, poeta, narratore e saggista estremamente
prolifico, autore tra l’altro di una nota Mitologia greca, di cui si parla nella voce «Archetipo»
di questo singolare dizionario.
Graves — dice Carpenter (e con lui McLuhan) — si dimostra «incapace di cogliere le strutture
a livelli multipli». Ed essendo tale la mitologia greca intreccio di eventi e di « sogni» certo non
riducibili al rapporto di causa ed effetto o spiegabili in base a una successione « lineare» di
avvenimenti — Graves finisce, sempre secondo Carpenter, per « correggerla, eliminando le
contraddizioni, riparando alle omissioni, riallineando ogni eccesso, in breve operando un
riaggiustamento generale».
Accade così che la sua grande erudizione e versatilità trovino il loro limite proprio in questo:
nell’applicare un’ « interpretazione letteraria alle culture non letterarie », nel mettere in ordine
miti e simboli cedendo all’antica tentazione del «post hoc propter hoc», in una parola
«sottomettendo all’ordine visuale ciò che appartiene all'ordine orale»: e per cogliere tutta la
portata di questo arbitrio basta andare a leggere la voce « occhio-orecchio».
Ebbene, questa mia riflessione intende esplicitamente sfuggire a un analogo equivoco nei
confronti de Dal cliché all’archetipo, che si presenta a sua volta come una
«struttura a livelli multipli».
Questo lavoro di McLuhan costituisce infatti uno dei suoi tentativi più riusciti di sfuggire all'«
ordine letterario», di evitare uno sviluppo di argomenti legati da espliciti nessi causali.
Citando il critico Raymond Williams potremmo dire che «paradossalmente la vera riuscita di
questo libro sarebbe di riuscire a pressoché annullare se stesso».
La stessa successione alfabetica nella presentazione del materiale costituisce un espediente per
sostituire la casualità alla causalità, tanto intimamente legata quest’ultima alla tecnologia
gutenberghiana della riga stampata.
È un libro, questo, che veramente può essere aperto a qualsiasi pagina e iniziato da qualsiasi
«voce».
L’Introduzione non è all’inizio, ma, coerentemente, alla lettera I. Ma non ci si ferma qui:
persino il significato di alfabeto viene messo in crisi, ricorrendo a un’intraducibile pagina,
ermetica e polisenso, del Finnegans Wake di Joyce, un vero e proprio saggio «per illustrare
simultaneamente i diversi livelli dei mezzi linguistici ». Alphabet si tramuta in allforabit e
Joyce può dire: «Quando un piccolo frammento prende il posto del tutto, noi ci adattiamo ben
presto all’uso di un all-for-a-bit (il tutto per un pezzetto)».
Si tratta, dunque, di una successione di riflessioni che cerca in ogni momento, per la sua stessa
architettura, di rompere lo schema lineare della scrittura, stabilendo una dialettica originale fra
parte e tutto, coerentemente allo sforzo di «trasfigurare » ogni cliché in archetipo, ogni
«immagine » abitudinaria e scontata in elemento origina-. le e significante.
A ben guardare, l’intera opera di McLuhan è stata un tentativo di servirsi della scrittura — ed
anche della grafica, del disegno, dell’impaginazione — per mettere in discussione il modello
stesso della comunicazione stampata di cui egli si serviva, seppur in modo non esclusivo,
considerati alcuni tentativi di rappresentare il suo pensiero con il linguaggio cinematografico.
*Docente di teoria e tecniche delle comunicazioni di massa all’Università degli Studi di Roma, La Sapienza.
Autore de La galassia McLuhan, Roma 1976, è stato project leader del convegno <<dopo McLuhan>>, Pescara
1981, e autore del programma televisivo di Raidue il villaggio elettronico di McLuhan» (1984).
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Si può ricordare la versione filmata de The medium is the message, scritto in collaborazione
con Quentin Fire: un programma di un’ora della McGraw-Hill Films, regia di Ernest Pintoff e
Guy Fraumeny costituito di un velocissimo montaggio di materiali di repertorio ed effetti
grafici, intervallati dal primo piano dell’autore che espone il suo pensiero, Ma tornando al
medium da lui più usato, e che l’ha reso tanto celebre, il libro, occorre osservare che egli
avverti la necessità di far precedere già alla sua opera fondamentale La galassia Gutenberg del
1962 (trad. it. Armando, Roma 1976) alcune annotazioni senza titolo per orientare il lettore
alla sua consultazione. Egli scriveva: «... la galassia, o costellazione, di eventi sui quali il
presente saggio è incentrato è essa stessa un mosaico di forme in costante interazione che
hanno subito, particolarmente nel nostro tempo, una trasformazione caleidoscopica. Forse
sarebbe stato meglio usare al posto di “galassia” la parola “ambiente”.
«Ogni tecnologia tende a creare un nuovo ambiente umano. La scrittura e il papiro crearono
l’ambiente sociale che abbiamo in mente quando parliamo degli imperi dell’antichità. La
staffa e la ruota crearono ambienti assolutamente nuovi di immensa portata. Un ambiente
tecnologico — precisava McLuhan — non è soltanto un contenitore passivo di uomini, bensì
un processo attivo che rimodella gli uomini al pari delle altre tecnologie. Nella nostra epoca
l’improvviso passaggio dalla tecnologia meccanica della ruota alla tecnologia dei circuiti
elettrici costituisce uno dei mutamenti principali cli tutta la storia».
E nello stesso modo che in Dal clichè all’archetipo, anche in La galassia Gutenberg i criteri
di prima e di dopo, di precedente e posteriore, tipici della comunicazione a stampa, sono messi
in discussione. Osservava infatti argutamente McLuhan: «L’ultima parte del libro, “La
galassia riconfigurata”, tratta dello scontro fra la tecnologia elettrica e quella meccanica (o a
stampa), e il lettore potrà trovare in essa il miglior prologo » (il corsivo ènostro). Anche qui
l’inizio e la fine, l’alfa e l’omega, si toccano in un gioco di elementi liberamente componibili
ed interscambiabili.
Ed ancora prima, in La sposa meccanica del 1951 (trad. it. SugarCo, Milano 1984), pur
all’interno di un impianto espositivo di taglio tradizionale, McLuhan invitava il lettore a
penetrare negli argomenti come il protagonista di Una discesa nel Maelstrom di Edgar Allan
Poe. «Il marinaio di Poe — scriveva McLuhan — si salvò studiando l’azione del gorgo e
cooperando con essa. Allo stesso modo questo libro non vuole tanto attaccare le fondamentali
correnti e pressioni esercitate oggi su di noi dall’azione meccanica della stampa, della radio,
del cinema e della pubblicità, ma cerca piuttosto di porre il lettore al centro dell’immagine
rotante creata da questi mezzi, in modo che egli possa osservare l’azione che si sta svolgendo
e in cui tutti sono coinvolti ».
Il suo tentativo è stato dunque quello di vivere il processo di trasformazione dal vecchio al
nuovo ambiente dal suo interno. Ma perché ciò possa avvenire, rendendoci capaci di stare al
passo col presente e col futuro, occorre che sappia realizzarsi anche per il passato, dandoci una
chiave di penetrazione nelle immagini consuete (i cliché) capace di restituircene la forza
originaria (gli archetipi).
Howard Luck Gossage, direttore di un’agenzia pubblicitaria di San Francisco che ha sfruttato
a fondo le idee-sonda di McLuhan, contribuendo alla sua notorietà, considera Dal cliché
all’archetipo il titolo principale tra le opere di McLuhan. Egli cerca di darne una spiegazione
ricorrendo a un’immagine estremamente pratica e persuasiva. « Per ciché — egli scrive —
McLuhan intende ogni elemento completamente integrato in un ambiente; un elemento
onnipresente che non viene più notato da nessuno. Si riprende a notarlo solo quando
l’ambiente cambia e quell’elemento diventa il “contenuto” di un nuovo ambiente e nel
contempo una nuova forma artistica. Se la vostra camera ha una tappezzeria stampata a grandi
fiori rosa — scrive Gossage — all’inizio vi colpirà, ma alla lunga non vedrete altro che una
tappezzeria. Ma supponiamo che un giorno decidiate di tappezzare di nuovo la vostra camera,
conservando però un quadrato della tappezzeria precedente per farlo incoriciare. Quel
quadrato non è più una tappezzeria, ma il contenuto di un nuovo ambiente.
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Ma è capitata anche un’altra cosa: quel quadrato è diventato una specie di forma artistica. Se
ha successo, se la si ammira, se la si copia diventerà un archetipo. L’archetipo d’oggi è l’arte
di ieri, il cliché dell’altro ieri e le demier cri del giorno precedente».
Si crea così una specie di rivoluzione einsteiniana nella visione della realtà, dalla sostanza alla
relazione. Per dirla ancora con le parole di McLuhan: «Le cose sfuggono all’osservazione:
solo i rapporti tra le cose sono osservabili».
Bisogna quindi passare da una concezione contenutistica a una concezione processuale del
mondo: la dialettica cliché-archetipo ne è la riprova, potendo lo stesso oggetto avere ora l’una
ora l’altra connotazione a seconda della dinamica del contesto. L’aspetto ordinario
dell'esistenza è costituito da una serie infinita di gesti e di ambienti che la coscienza non nota
perché la loro onnipresenza li rende impercepibili. Questi sono i cliché.
Ma quando per qualsiasi motivo si fissa l’attenzione su di un cliché, lo si illumina, per così
dire, con un raggio di energia, che mette in luce di esso i più antichi significati. fl diché, così
rinvigorito, si presenta a questo punto alla coscienza sotto forma di archetipo. Permane
l’oggetto ma varia la relazione che instauriamo con esso:
« Gli oggetti ci sfuggono — ha scritto McLuhan —. Solo i loro reciproci rapporti ci si
manifestano compiutamente».
Non si tratta di un puro gioco intellettuale. Assumere questa impostazione, cogliere questi
nessi significa alimentare anche il nostro impegno gnoseologico e morale. Capire e vivere il
proprio tempo vuol dire trascorrere, in tutte le esperienze che facciamo, dall’abitudinarietà del
ciché alla forza dell’archetipo.
Solo in una falsa visione statica l’esperienza del comunicare può essere considerata come una
meccanica sovrapposizione reciproca di conoscenze e di esperienze. «In realtà — dice
McLuhan — comunicare è agire. Chi guarda, chi osserva, chi ascolta si impegna in un
processo di azione che risponde a una situazione che egli stesso ha in buona parte inventato: ...
è l’arte del fare che spiega il mistero della comunicazione».
Lo scoprire la dimensione di archetipo che è racchiusa in ogni cliché costituisce dunque un
impegno esistenziale che tocca tutti i campi in cui si esercita la nostra esperienza.
Anche se questo libro-non-libro ha come mondo privilegiato di osservazione l’orizzonte
culturale di McLuhan, cioè la sua passione letteraria, il suo insegnamento è tendenzialmente
globale ed investe ogni aspetto della nostra vita.
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Dal Cliché all'Archetipo
Marshall McLuhan
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AMBIENTE (COME CLICHÉ)
Sono mentalmente malati coloro i quali, colpiti da una
seria malattia, non sentono alcun dolore.
(Ippocrate)
È dormizione [1]
(James Joyce, Finnegans Wake)
La città è il centro della paralisi [2]
(James Joyce)
Siegfried Giedion dedica molta parte della sùa introduzione a Space, Time, and Architecture
(Spazio, tempo, architettura) al tempo della « storia anonima», allo stesso moda in cui Hans
Selye ha affrontato la «farmacologia della sporcizia», ovvero l’intero ambiente di The Sness of
Life (Stress senza paure). Giedion si avvicina all’ambiente creato dall’uomo considerandolo
come architettura. La maggior parte di questo ambiente è accidentale e non pianificata, o
semplicemente costituita da ciarpame rimasto da altri periodi. Questa storia anonima tende ad
essere « invisibile » in modo molto simile a Silence (Silenzio) di John Cage, che consiste di
tutti i rumori accidentali dell’ambiente, oppure, come gran parte della poesia, che consiste di «
significati non intenzionali» o ambiguità.
In Propaganda, Jacques Ellui sostiene che è la cultura totale in azione a costituire la
propaganda o l’insegnamento. In tal modo la vera propaganda è ambientale e invisibile, come
i condizionamenti percettivi della propria lingua madre. I contro-ambienti creati dall’artista
servono ad elevare questi ambienti nascosti al livello dell’apprezzamento cosciente.
Le aree di servizio che si basano su cliché o nuove tecnologie di recupero e che circondano
intere comunità umane, sia piccole che estese, diventano cumuli di rifiuti, terre desolate o
cimiteri di rottami. Una delle caratteristiche delle aree di servizio è che due creano meno
servizio complessivo di una, ovvero, in altre parole, l’incremento dei servizi crea non un
aumento dell’efficienza ma anzi una sua riduzione. E possibile considerare gli insediamenti
umani o le città, come dipendenti da una molteplicità di aree di servizio. Una cultura molto
primitiva, scoperta recentemente in Anatolia, dipendeva quasi interamente, per quanto ci è
possibile dedurre dalle testimonianze attualmente a nostra disposizione, da un unico cereale
(l’orzo); e lo stesso accadeva in una certa misura per città molto più antiche come quelle del
centro America. Di solito le città, incrementando gli ambienti di servizio, riducono il servizio
stesso finché diventa drasticamente un disservizio. Un aumento del servizio disloca tutti quelli
pre-esistenti, creando grave disagio e inefficienza.
Non è privo di significato che le grandi epiche, dall’Iliade omerica all’Ulisse joyciano, trattino
della distruzione di una città o della distruzione provocata da una chtà. Nella Waste Land
(Terra desolata) di Eliot, la città diventa deserto e ciò non tanto in senso figurato quanto
letterale. L’adattamento della gente in The Waste Land alla loro area di servizio li aveva resi
dei robot: « Io non credea che triorte tanti n’avesse disfatti».
Se aggiungiamo ambienti di servizio ad altri ambienti di servizio, in una città che è come dire
un deposito di rifiuti, finiamo con l’ottenere il tipo più selvaggio di giungla ambientale che sia
possibile immaginare. Ad un esploratore professionista della giungla, il cui compito era di
catturare animali e rettili pericolosi venne chiesto se un bambino di tre anni si fosse trovato in
maggiore pericolo nella giungla più insidiosa del mondo o a giocare su un marciapiede in un
ambiente urbano. Egli rispose: «Il bambino si troverebbe in un pericolo molto più grande in
una strada cittadina. Nessuna creatura nella giungla gli farebbe del male anche se fosse
affamata». Si potrebbero contestare le pianificazioni degli urbanisti quando cercano di
circondare la giungla delle città con ambienti di super servizio o cercano di rendere più fun.
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zionali le aree di servizio che, somrnate assieme, hanno creato la città. Un>area di servizio
mettendo a disposizione dei servizi automatici più o meno impersonali, inibisce o uccide lo
stimolo naturale all’indagine e gli istinti di esplorazione dell’uomo. La città diventa una
supergiungla.
Una situazione paragonabile a quella dell’dìbanista e della città ideale è quella dei codificatori
di linguaggi ideali ad uso internazionale. Rimuovendo tutto il superfluo, ci presentano uno
sterile guscio. E come se con uno sforzo erculeo per «ripulire le stalle augee del discorso» ci si
fosse liberati anche del « negozio da rigattiere del cuore», così indispensabile all’artista, come
punto di partenza delle sue creazioni.
L’archetipalismo letterario ha oscurato l’approfondita analisi shakespeariana del significato
della cultura. La maggior parte delle sue commedie, analogamente ai sonetti 1-20, tratta di
amministrazione oculata in tutti i sensi. Nei drammi storici d’ambiente inglese, Shakespeare
vede la città come cliché che diventa una feudale terra desolata o cumulo di ciarpame, e vede
il feudalesimo spesso come prodotto della crescita della città medievale. Il sonetto 124 rivela
come egli fonda le immagini del giardino (cultura) e della città (politica). L’amore,
Shakespeare afferma,
l’intrigo non teme, quell’eretico...
Ma tutto soio sta altamente politico,
Ché per calore non prospera, né per piogge si
spegne.
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ANESTESIA
Non solo il cinema deruba il sogno ad occhi aperti della sua aura evanescente e confusa, disperdendo così ogni
nebulosità per rivelare molto chiaramente dei fantasmi simili ad esseri viventi o anche di maggiore statura; non
solo zittisce la voce della realtà dicendo: « Posso fare a meno di te», ma anche la società diventa gradualmente
incapace di smascherare il sonnambulo. Se un giovane fosse andato zigzagando per la strada in tempi passati,
ancheggiando e borbottando «bee boh, boh, boh, bee bee boh boh » o avesse fatto le smorfie digrignando i denti e
socchiudendo gli occhi, sarebbe stato schernito e quindi svegliato. Oggi egli non incontra alcuna opposizione o
critica; chiunque riconosce e capisce il sogno in cui è immerso, il sogno reso rispettabile dall’industria. [1]
Elémire Zolla, Eclissi dell’intellettuale
Da quando lo Sputnik ha posto il globo sotto «un arco di proscenio» e il villaggio globale si è
trasformato in teatro globale, il risultato è letteralmente l’uso dello spazio pubblico per «far il
proprio gioco». Un pianeta messo tra parentesi da un ambiente costruito dall’uomo non offre
più alcuna direzione od obiettivo alle nazioni o agli individui. Il mondo stesso è diventato una
sonda. «Ficcare il naso negli affari altrui» oppure « spiare senza dare nell’occhio>, è diventata
un’attività primaria. Poiché l’occupazione principale a questo mondo diventa lo spionaggio, la
segretezza diventa la base della ricchezza, come avviene per la magia in una società tribale.
Forse questa non è l’unica forma recente d’indagine del cliché ma semplicemente la più
macroscopica e la più percettibile.
Soltanto quando le persone sono impegnate a spiare se stesse e gli altri diventano anestetizzate
rispetto all’intero processo. I tranquillanti e gli anestetici, privati e collettivi, diventano la più
grande industria al mondo nel momento in cui il mondo cerca di dare il massimo rilievo ad
ogni segnale di allarme. Spettacoli di luce e suono, intesi come nuovi cliché, sono in realtà
forme di assimilazione, che recuperano la condizione tribale. Si tratta di uno stato che ha già
superato l’impresa privata, nel momento in cui le industrie individuali si trasformano in
immensi consorzi. Come l’informazione stessa diventa la più grande industria del mondo, le
banche di dati sanno più sui singoli individui di quanto costoro non sappiano di se stessi.
Quanto più le banche di dati registrano informazioni su ciascuno di noi, tanto meno noi
esistiamo.
La vecchia città meccanica, congestionata e inquinata, interessa molti come esperien~a
psichedelica. Il rinnovamento urbano è una macroforma di chirurgia, resa possibile
dall’anestesia degli urbanisti e dal bombardamento della pubblicità che intorpidisce ogni
forma di coscienza pubblica. I cliché negativi dell’anestesia pubblica preparano il paziente per
l’intervento chirurgico dei demolitori e dei costruttori. La convalescenza, o la vera malattia,
viene dopo l’analisi, l’istologia delle arterie principali e il trapianto dei grattacieli.
I cliché negativi dell’anestesia messi in risalto dai mass media permettono lo smantellamento,
la rimozione e i! trapianto della psiche e della popolazione nella nuova terra desolata o città. «
Ho visto le menti migliori della mia generazione... cercare rabbiosamente una dose» (Allen
Ginsberg).[2]
The Love Song of J. AlIred Prufrock inizia con l’anestetico archetipale del paesaggio
romantico: «Andiamo allora, tu ed io, quando la sera si stende contro il cielo». La seconda
immagine è quella del ciché positivo o sondaggio: «Come un paziente narcotizzato su un
tavolo operatorio».[3] Il mondo orientale ha cercato, nel complesso, di anestetizzare se stesso
contro gli input delle sensazioni a causa dei millenni di conoscenza degli effetti empirici di
tale input. Il mondo occidentale, per contro, ha cercato di accentuare al massimo l’input delle
sensazioni e di minimizzare gli effetti empirici. È utile ricorrere ad un’abbreviazione per
questo modulo di input e rispondenza:
AS/IS — apporto (o impatto) sensoriale e inclusione (o coinvolgimento) sensoriale. Oggi
sembra che Oriente e Occidente si stiano scambiando i ruoli. L’Oriente è più incline a dare
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una possibilità all’AS delle cose, mentre l’Occidente, che sta subendo una retnibalizzazione,
può apparire già saturo di coinvolgimento e partecipazione dell’IS.
Il percorso esteriore è stato specialistico e occidentale, il viaggio interiore è stato ecologico e
orientale. Entrambi i tipi di percorso sono cliché sonda. Ciascuno ha i propri metodi e
preferenze nell’operazior~e di recupero dal « negozio da rigattiere» dell’esperienza passata. il
percorso esterno preferisce recuperare le antichità o gli archetipi. Quello interno preferisce il
mondo del ciché di sonda del modulo.
Vi è un esempio affascinante nel Paradiso Perduto di Milton del processo. di anestesia
intellettuale. Il problema di Milton, che è un problema di ortodossia teologica, è di spiegare
come Satana, dotato di una suprema intelli. genza indotta> debba immediatamente poter
intuire i risultati di qualunque peccato. Il problema dunque si pone così: come è possibile che
commetta il peccato e abbia un’intelligenza superiore. Milton risolve questo problema con
arguzia, mostrando come Satana usi il linguaggio per oscurare il proprio pensiero. Tale
processo carattenizza i discorsi di Satana a Beelzebub nel primo libro del Paradiso Perduto:
Sei mai tu quello... ahimé quanto caduto! quanto da lui
Mutato che nei regni beati della Luce
Rivestito di fulgor trascendente, sorpassava
Le pur splendide angeliche miriadi! Se mutua lega lui,
Pensier comune e consiglio e speranza uguale a
rischi
Uguali nella Gloriosa Impresa,
A me congiunse già, ora la sciagura ancor ci
unisce
Nell’ugual rovina: in qual Bolgia caduti ora tu
vedi...[4]
Qui Satana chiaramente riconosce la situazione. Egli giace ancora prono negli abissi
dell’inferno. Non è nemmeno eretto, ma giace mezzo in superficie e mezzo sommenso. In
posizione supina si volge> roteando gli occhi e guarda i suoi simili. Come procede il disconso,
egli finisce per confondersi la mente al punto che può alla fine del brano far riferimento a:
il nostro gran Nemico
Ora trionfante e in smodata gioia perché
Essendo solo ora a regnare, tiene la Tirannide
del Cielo. [5]
In questi ultimi due o tre versi, Satana ha completamente celato a se stesso il fatto della sua
subordinazione a Dio come Essere creato nei confronti di un Essere non creato, e ha
dimenticato la sconfitta che gli è stata inflitta e di cui era consapevole all’inizio del discorso.
Quel gruppo di studiosi dell’anchetipo che considerano la forma linguistica come modulo
ricorrente di esperienza letteraria, descrivono ciò che è antitetico al cliché come sonda.
L’idea convenzionale del ciché come anestetico dovnebbe essere posta a contrasto con
l’archetipo poiché induce al sonnambulismo. Il cliché per eccellenza («verde come l’erba»,
«furbo come una volpe») può in qualsiasi momento affinarsi e diventare metodo di sondaggio,
come ad esempio: « I pascoli lontani sembrano vendi»; «L’erba del vicino è sempre più verde
», « Strambo come una volpe». Al contrario, la definizione che Northrop Frye dà
dell’archetipo è «un simbolo, solitamente un’immagine, che ricorre abbastanza spesso in
letteratura da essere riconoscibile come elemento della propria esperienza letteraria nel suo
complesso». Non importa che nell’espressione « nel suo complesso» Frye stia usando un ciché
per eccellenza, poiché egli insiste sul fatto che l’esperienza archetipale è una forma gradevole
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di sonnambulismo. [6]
Nell’introduzione alla Psicologia dell’inconscio di Yung, B.M. Hinkle menziona i vari gradi
con cui l’ipnosi ha portato Freud alla scoperta dell’inconscio. Omette di menzionare che
l’ipnosi era stata usata inizialmente da Freud come tecnica medica di anestesia chirurgica,
archetipo dell’operazione.
Jurgen Thorwald fornisce ulteriori dati sugli esperimenti di Freud con le droghe, dalla
insensibilità alla psiche-delizia:
Freud si era versato alcune gocce cli una soluzione di cocaina sulle gengive, senza
spiegare la natura della panacea. Il giorno dopo incontrò ancora Koller, il quale gli
fece delle domande sulla natura della medicina. Freud spiegò e lo invitò, come aveva
fatto con altri, a partecipare agli esperimenti. Koller accettò prontamente e per
diverse settimane prese la cocaina assieme a Freud. Entrambi misurarono la loro
forza fisica e il grado con cui era potenziata dalla cocaina. Osservarono come la
cocaina produceva calore, rendeva più profonda la respirazione e aumentava la
pressione sanguigna. Durante questo periodo, tuttavia, nessuno dei due fece
commenti sull’effetto anestetico locale della cocaina in bocca. [7]
Il seguito di queste avventure viene raccontato in una lettera da Freud a Marta.
Sventurata te, o mia principessa, quando arrivo ti baceró finché diventerai rossa e ti nutrirò,
finché diventerai tonda. E se sarai decisa, vedrai chi è il più forte, una ragazzina che non
mangia abbastanza o un omaccio grande e grosso che ha cocaina in corpo. Nella mia ultima
terribile depressione ho preso ancora coca e una piccola dose mi ha portato al settimo cielo, in
modo meraviglioso. Sono tutto preso ora a raccogliere letteratura per un inno di lode a questa
sostanza magica. [8]
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ARCHETIPO
Archetypal, termine che ha goduto di una certa
popolarità fra gli «intellettuali» dal 1946 al 1955; e oggi
è tutt’altro che sconosciuto. [1]
Eric Partridge, Usage and Abusage (Uso e abuso)
E. S. C. Carpenter, l’antropologo, ha scritto sull’incapacità di Robert Graves di afferrare le
strutture a molti livelli. La mente letteraria convenzionale cerca naturalmente di «connettere»
e di classificare i materiali mitici e simbolici riducendo le forme orali a forme ordinate visive.
Carpenter considera Graves semplicemente come un caso tipico d’approccio letterario ad ogni
cultura non letterata. Ciò che Carpenter indica come «il colmare le lacune» è l’abitudine della
persona orientata visivamente a cercare di trovare delle connessioni, laddove la persona
illetterata cerca di creare degli intervalli, pause e interrelazioni:
Graves, non a caso, ha « corretto» la mitologia greca in due volumi, eliminando le
contraddizioni, colmando le lacune, sistemando e «chiarendo ogni cosa» in genere, in
modo lineare. Ne deduco che innanzitutto si trasformano questi miti in ciò che non
sono; organizzando simboli si crea il « contenuto»; poi incasellando questi vari «
contenuti» se ne ricavano archetipi. Niente di tutto questo mi interessa salvo il fatto
che, come per Frye, riversano la loro attenzione su un problema molto importante e,
come un riccio, costruiscono sistemi privi di umorismo e inconfutabii (con fedeli
sostenitori che leggono « il Libro»), i quali invece di rispondere al problema o anche
di farvi luce, ne bloccano l’accesso. [2]
Graeme Wilson, introducendo la sua traduzione delle poesie di I-{agiwara Sakutaro, cita dalle
traduzioni giapponesi del 1882 di poesie inglesi del primo Ottocento:
La Prefazione attaccava la brevità vincolante delle forme tradizionali («Come può un pensiero
coerente essere espresso in forme così serrate?»)...
L’Occidente ha scoperto il potere della discontinuità proprio quando l’Oriente stava provando
l’emozione della novità del corn’inuum occidentale.
Lauriat Lane, Jr., fornisce una versione più convenzionale della questione archetipale.
L’immagme primordiale o archetipo è una figura, sia che si tratti di un demone, di un
uomo o di un processo che ripete se stesso nel corso della storia ogniqualvolta la
fantasia creativa si manifesta pienamente. Essenzialmente, quindi, èuna figura
mitologica. Se sottoponiamo queste immagini ad un’indagine più attenta, scopriamo
che sono i risultati espressi in formule derivanti da innumerevoli esperienze, tipiche
dei nostri antenati. Sono, per così dire, il residuo psichico di innumerevoli esperienze
dello stesso tipo (Jung, La psicologia analitica nei suoi rapporti con l’arte poetica,
Londra 1928).
Il punto cruciale dell’enunciazione di Jung sta nell’espressione « residuo psichico »~,
che sembra implicare la presenza di caratteristiche mentali ereditate. La prova
scientifica completa di un simile presupposto sarebbe impossibile, ma è importante
riconoscere che come la psicologia di Jung è continuamente sul punto di diventare
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filosofia, allo stesso modo questo enunciato pseudoscientifico di ciò che Jung crede
vero, è essenzialmente metafisico e deve essere giudicato come tale. Altrettanto
valida quanto la sua definizione di archetipo e ancor più suscettibile d’analisi è la
distinzione che fa Jung fra scrittore introverso ed estroverso, una definizione centrale
a qualsiasi discussione dell’uso di archetipi letterari da parte di un autore particolare
[3]
Lauriat Lane, Jr.
Ci si potrebbe chiedere perché il termine « archetipo» sembri essere in rapporto
esclusivamente con la letteratura. La stessa domanda potrebbe essere posta riguardo al
«cliché»: perché è quasi esclusivamente verbale nella sua associazione? Quando I. A. Richards
si trovava per un ciclo di conferenze all’università del Wisconsin, cadde accidentalmente nelle
acque freddissime del lago Mendota mentre andava in canoa. Fu tratto in salvo in stato
d’incoscienza, ancora aggrappato al seggiolino della canoa. Una vignetta del giornale
studentesco « The Cardinal» portava la seguente didascalia: « Salvato da una reazione
automatica».
La maggior parte di noi è salvata da reazioni automatiche in tutte le situazioni non verbali
della nostra vita. E necessario considerare l’incidenza del tema cliché-archetipo nelle sue
forme non verbali. La lingua, come gesto, cadenza e ritmo, come rnetafora e immagine, evoca
innumerevoli oggetti e situazioni che sono in se stessi non verbali. La misura in cui il mondo
non verbale viene condiviso dal linguaggio è misteriosa ma non più di quanto sia l’effetto
degli artef atti umani e degli ambienti tecnologici sul linguaggio. Prendiamo per scontato che
vi è in ogni momento un’interazione fra questi mondi di precetto e concetto, verbale e non
verbale. Qualunque cosa possa essere osservata nel comportamento del cliché dell’archetipo
linguistico, si può ritrovare in abbondanza nel mondo non linguistico.
IL NEGOZIO DA RIGATTIERE
Quelle immagini magistrali in quanto complete
Crebbero nella pura mente, ma da che trassero
origine?
Un mucchio di rifiuti o la spazzatura di una
strada,
Vecchi bricchi, vecchie bottiglie e un bidone
rotto,
Vecchi ferri, vecchie ossa, vecchi stracci, la baldracca pazza
Che tiene la cassa. Ora che la mia scala è scomparsa,
Devo mettermi giù dove tutte le scale hanno
inizio,
Nella sudicia bottega da rigattiere del cuore. [4]
W. B. Yeats, The Circui Animals’ Desertion (La diserzione degli animali del circo)
La città umana in tutta la sua complessità di funzioni è così « un centro di paralisi», una terra
desolata di immagini abbandonate. La chiave che Yeats offre per capire il rapporto tra il cliché
verbale e non verbale e l’archetipo è, in una parola, « completa». Le immagini più magistrali,
quando sono complete, vengono messe da parte e l’intero processo comincia da capo. Il
linguaggio è una tecnologia che espande tutti i sensi umani simultaneamente. Tutti gli altri
artefatti umani sono, in confronto, espansioni specialistiche delle nostre facoltà fisiche e
mentali. La lingua scritta specializza immediatamente il linguaggio orale, limitando le parole
ad uno dei sensi. La parola scritta è un esempio di tale specializzazione, ma la parola parlata
risuona e coinvolge tutti i sensi. Il motto antico: « Parla, così ti possono vedere», era un modo
popolare di citare la qualità integrale ed inclusiva della parola parlata.
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Se il mondo dei bricchi, delle bottiglie e dei bidoni rotti come pure il mondo del commercio e
del denaro in cassa sono prodotti specifici e frammentari delle facoltà umane, diventa più
facile vedere il legame che rimane fra ciché o archetipo verbale e non verbale. La forma
dell’artefatto specialistico ha il vantaggio, rispetto al linguaggio, di intensificare e ampliare di
gran lunga i limiti della parola o dell’espressione. L’archetipo è una coscienza o
consapevolezza ricuperata. Di conseguenza èun ciché ricuperato, un vecchio ciché ricuperato
da un nuovo cliché. Poiché un cliché è una singola estensione unitaria dell’uomo, un archetipo
è una citazione in espansione, un mezzo, una tecnologia, o ambiente.
Gli esempi di archetipi che seguono sono stati prescelti per evidenziare la normale tendenza di
un ciché a fare delle citazioni interrelate fra una tecnologia e l’altra:
un palo che sventola una bandiera
una cattedrale adorna di una vetrata istoriata un oleodotto che trasporta petrolio
un fumetto con una didascalia
una storia con un’illustrazione incisa
una pubblicità di un profumo con un sacchetto profumato
un circuito elettrico che alimenta un fuoco artificiale
una nave con una polena
uno stampo e la sua fusione
Un palo su cui sventola una bandiera può diventare un complesso sistema di ricupero. La
bandiera potrebbe essere russa, con la falce e il martello. Come tessuto specifico, la bandiera
potrebbe riportare ad un’intera industria tessile. In virtù del fatto che la bandiera è una
bandiera nazionale, essa può ricondurre a bandiere di altre nazioni.
Il cliché, in altre parole, è incompatibile con altri cliché, ma l’archetipo è estremamente
coesivo; i residui di altri archetipi vi aderiscono quando consapevolmente ci mettiamo a
ricuperare un archetipo, inconsapevolmente ne ricuperiamo altri; e questo ricupero avviene in
un processo di regresso all’infinito. Infatti quando « citiamo ~ una coscienza, « citiamo» anche
gli archetipi che escludiamo; e questa citazione di archetipi esclusi è stata chiamata da Freud,
Jung e altri «inconscio archetipale ».
Esempi cli sistemi di ricupero si riscontrano nell’alfabeto fenicio, nei dizionari, indici,
computer, tavole di standard ingegneristici ecc. Tutte queste forme ricuperano archetipi o
vecchi processi.
È stato osservato che la civiltà deve essere ricordata da ciascun cittadino. L’educazione,
qualunque forma assuma, è un ricupero dell’archetipo. Un sogno è un’esperienza «citata»,
ovvero è un archetipo, una purificazione onirica piuttosto che una sonda cosciente.
La critica letteraria in genere si è limitata ad usare la parola «archetipo » considerandola più o
meno aJJ’insegna della psicanalisi. La critica più recente invece la usa come simbolo
primordiale oppure, come nel caso Yeats, come simbolo ancestrale. Jung e i suoi discepoli
sono stati attenti nell’insistere che l’archetipo è da distinguersi dalla sua espressione.
L’archetipo junghiano è, in senso stretto, una facoltà o potere della psiche. Ciononostante,
persino negli scritti di Jung, il termine viene usato con significati intercambiabii. In La
simbolica dello spirito, Jung dichiara che l’archetipo è un elemento proprio della nostra
struttura psichica e pertanto una componente vitale e necessaria nella nostra economia
psichica. Rappresenta e personifica certi dati istintivi dell’oscura psiche primitiva,~ le vere,
invisibili «radici deifri coscienza». Jung è attento nel rammentare al critico letterario di
considerare l’archetipo come simbolo primordiale:
Gli archetipi non sono affatto reliquie o sopravvivenze arcaiche inutili. Sono entità
vive che causano la preformazione di idee sacre o rappresentazioni dominanti. Una
comprensione insufficiente, tuttavia, accetta queste preformazioni nella loro forma
13
arcaica. t’oiché hanno un’attrazione numidica verso la mente sottosviluppata. Il
comunismo, perciò, è un modello arcaico, primitivo e quindi altamente insidioso che
caratterizza i gruppi sociali primitivi. Esso implica un senso anarchico del comando,
inteso come compensazione vitale necessaria, un fatto che può cs-sere tralasciato
soltanto per mezzo di una unilateralità razionale, che è prerogativa della mente
barbarica.
E importante tenere a mente che il mio concetto degli « archetipi» è ,~tato
frequentemente frainteso come qualcosa che denota moduli di pensiero ereditati
oppure come un tipo di speculazione filosofica. In realtà essi appartengono al-la sfera
delle attività degli istinti e in tal senso rappresentano forme ereditate di
comportamento psichico. Come tali, essi sono dotati di certe qualità dinamiche che,
psicologicamente parlando, sono designate come « autonomia» e « numinosità ».
Jung spiega la sua teoria degli archetipi per mezzo di ipotesi di una memoria collettiva della
razza, anche se èben consapevole che non vi è accettazione scientifica di una simile idea. La
sua giustificazione, tuttavia, nell’usare il concetto di memoria collettiva si basa sulla
ricorrenza su vasta scala dei modelli archetipali in artefatti, letterature, arti ecc. oltre che su
una debole base scientifica.
José Argiiellas, nei suo scritto Computo ed evoluzione aliude alla capacità del nuovo
computer di ripristinare nei mondo contemporaneo l’importanza dell’antico I Ching:
Lo I Ching sta diventando popolare non tanto perché costituisce un rifugio dalla vita
moderna, ma perché la sua struttura è ancora una volta comprensibile; ora è
comprensibile perché gli uomini hanno inventato e capito i computer, poiché il modo
con cui lo I Ching funziona quando è consultato, con il suo sistema semplice ma
matematicamente impeccabile, è più o meno il sistema con cui funziona il computer.
Non importa da quale sistema linguistico dipenda il computer elettronico, il suo
funzionamento si basa sul sistema binario: lo stesso sistema che, in forma
semplificata, presiede la manipolazione degli steli dei millefogli o monete che
vengono usate per consultare lo I Ching. Non è troppo azzardato affermare che, in
termini di natura dell’input e dell’output del programmatore investigante, lo I Ching
può essere considerato un computer psichico. Se si tiene conto dello sviluppo dei
computer con tutte le implicazioni connesse (come abbiamo accennato prima,
riferendoci all’etica), non è affatto strano che molte persone oggi trovino lo I Ching
stranamente soddisfacente...
Lo I Ching funziona come un computer, e il suo funzionamento avviene soltanto in
base alla verità di programmazione. La verità di programmazione dipende da come la
persona che consulta il libro dei cambiamenti risponde ai suoi messaggi. [5]
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TEATRO DELL'ASSURDO
Bergman fa sì che l’uomo di massa possa accarezzare l’illusione di meditare scervellandosi.
«Un buon film è meglio di un brutto lavoro teatrale o di un brutto libro».
Questo luogo comune è come una roccia instabile; se la si alza rivela il marciume e i
parassiti al di sotto. Si tratta di un Robinsonismo, ovvero di una deduzione che
scaturisce da un’ipotesi di isolamento totale (come sull’isola di Robinson Crusoe),
applicata ad una realtà in cui non vi è isolamento. Allo stesso modo sì dice: «MegLio
una donna brutta e ignobile piuttosto che la masturbazione»; «Meglio una bella
fotografia che un brutto ritratto»; « Meglio un’allucinazione allettante che una realtà
orribile». La fallacia fondamentale di queste affermazioni consiste nel presupporre
una coercizione alla scelta, che non esiste.’
(Elémire Zolla, Eclissi dell’intellettuale)
L’impoverimento degli stupidi dalle stupidaggini per la stupidità.* [2]
(James Joyce, Finnegans Wake)
Agli appassionati di teatro degli anni Cinquanta i lavori di Samucì Beckett e di Eugène
lonesco apparivano carne qualcosa di strano e meraviglioso. Quanti erano in qualche modo
addentro alla letteratura contemporanea non avrebbero dovuto stupirsi perché questo culto
dell’assurdo era iniziato molto prima con Baudelaire. Da allora i critici hanno fatto risalire gli
inizi del movimento teatrale dell’assurdo a Joyce e a Ubu Roi (Van Re) di Jarry, che fu
rappresentato nell’ultima decade del XIX secolo. Camus venne visto come il divulgatore di
questo culto dell’assurdo, che include molti dei più semplici ma intensi aspetti del XIX secolo
e molta parte dell’espressione artistica del XX secolo: Magritte, Breton, il surrealismo, il
cubismo e il dadaismo.
Ionesco scrisse nel 1948 il suo primo dramma, La cantatrice calva, come tragedia del
linguaggio, usando i dialoghi stereotipati che trovò nel manuale del metodo Assimile
con cui stava imparando l’inglese. Mentre studiava il cliché di questo libro di esercizi
— « Vi sono sette giorni in una settimana, costa troppo, non ho da cambiare, la
stanza è troppo calda, dov’è il gabinetto?»
—
sentiva che il testo gli stava cambiando sotto gli occhi: cominciava a
fermentare, a quanto dice, e vedeva che queste conversazioni meccaniche
rappresentavano molto bene il crollo della nostra vita quotidiana. Continuiamo a
parlare come se fossimo colpiti da una sorta di amnesia. Così lonesco scrisse il suo
anti-dramma in cui gli Smith e i Martin parlano, parlano a vanvera, dicendo
sciocchezze, che, quando si riescono a captare, sono terribilmente simili a quanto si
sente dire ad un cocktail. I personaggi si disintegrano nel gergo che ci serve come
modas vivendi. [3]
Wylie Sypher, Loss of the seIf in Modern Literature and Art: (La perdita dell’Io nella
letteratura e nell’arte moderne)
*Rielaborazione joyciana della nota citazione di Abraham Lincoln pronunciata a Gctrysburg il 19 novembre
1863: «Government of the people.by the neonie for the neonie». [N.dT.]
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Gli Smith e i Brown erano così identici che alla fine del dramma il sipario cala sui Brown che
ripetono il dialogo d’apertura che era stato assegnato agli Smith. lanesco in origine aveva reso
tutti i cliché idiomatici inglesi in un francese letterario che presentava l’inglese nel suo aspetto
più assurdo possibile.
SIGNORA SMITH: Già sono le nove. Abbiamo mangiato minestra, pesce e patate
fritte, insalata inglese. I ragazzi hanno bevuto acqua inglese. Abbiamo mangiato bene
questa sera. La ragione è che abitiamo nei dintorni di Londra e che il nostro nome è
Smith.
SIGNOR SMITH (continuando a leggere fa schioccare k~ lingua)
SIGNORA SIvIITH: Le patate sono molto buone fritte col lardo; l’olio dell’insalata
non era ranci-do. L’olio del droghiere dell’angolo è di qualità migliore dell’olio del
droghiere ai piedi della salita. Non voglio dire però che l’olio di costoro sia cattivo.
La cantatrice calva
La cantatrice calva di questo dramma è una figura del mondo musicale artistico, una figura di
un mondo d’idiozie, eternamente risonante, in cui l’arte e ìe scemenze nella loro utilità
diventano intercambiabii. L’assurdo di lonesco è l’inconscio portato alla luce dell’indagine
quotidiana.
Pascal, nel XVII secolo, ci dice che il cuore ha molte ragioni che la mente non conosce. Il
Teatro dell’Assurdo e essenzialmente un modo di comunicare alla mente una parte dei
linguaggi silenziosi del cuore che la mente stessa negli ultimi due o trecento anni aveva
cercato di dimenticare. Nel mondo del XVII secolo, i linguaggi del cuore erano stati relegati
nell’inconscio del c liché della stampa dominante. Nel mondo contemporaneo l’inconscio
viene ricuperato e riportato alla luce della consapevolezza. Ciò viene fatto per la psiche sia
privata che collettiva. Edward T. Hall in The Silent Language (Il Imguaggio silenzioso) rivela
molti dei gesti non verbali con cui comunicano intere culture. Egli ci dice, ad esempio, che
uno spazio di venti centimetri tra interlocutori è un normale segno di amicizia nel mondo
arabo. Oltre venti centimetri non è facile annusare il proprio interlocutore. Quando l’arabo non
può più annusare il proprio interlocutore, smette di parlare e comincia a gesticolare. Qualcosa
di abbastanza simile avviene in La cantatrice calva, quando gli Smith e i Brown, nel bel
mezzo di un penoso silenzio all’inglese, si incontrano per la prima volta. Il dialogo si articola
così: «Sniff... sniff... snifff... sniff... snifff ».
lonesco coltiva in particolar modo l’arte del ciché verbale, lo usa per analizzare uno dei
fenomeni più aff ascinanti del nostro tempo ovvero il modo in cui la mente occidentale sta
cambiando. Il suo effetto caratteristico èuna sorta di brivido o frisson, non dissimile dal
brivido metafisico che George Williamson riscontrava in molta parte della poesia metafisica
del XVII secolo. È probabile che il brivido metafisico fosse correlato al passaggio dall’orale
allo scritto ed è probabile che il frisson dell’assurdo sia il sismografo di un brivido globale,
prodotto dalle nuove tecnologie ambientali. La coscienza individuale estremamente mobile
dell’uomo condizionato dalla stampa ora si tramuta nell’inerzia tribale della multi-coscienza.
Questo fenomeno è abbastanza simile a quanto accade quando le nazioni vengono smobiitate
alla fine di una grande guerra.
Chiunque si avvicini per la prima volta al Teatro dell’Assurdo potrebbe fare delle domande
come: « Perché la forma preferita di questo teatro viene chiamata “farsa tragica” come nel
caso di lonesco? ». Una possibile risposta viene data da Friedrich Durrenmatt in « Problemi
del teatro»
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La tragedia presuppone colpa, disperazione, moderazione, lucidità, visione, senso
della responsabilità. Nella burattinata violenta del nostro secolo, in questa ricaduta
della razza bianca, non vi sono più colpevoli né responsabili. E il solito ritornello: «
Non abbiamo potuto farne a meno» e «non volevamo che succedesse». Ed invero le
cose succedono senza che nessuno in particolare ne sia responsabile. Ogni cosa si
trascina e ciascuno rimane intrappolato nel vortice degli eventi. Siamo tutti
collettivamente colpevoli, collettivamente impantanati nei peccati dei nostri padri e
dei nostri avi. Siamo figli dei figli. Questa è la nostra sventura, ma non la nostra
colpa: la colpa può esistere solo come fatto personale e religioso. Soltanto la
commedia è adatta a noi. Il nostro mondo ha aperto la strada al grottesco oltre che
alla bomba atomica, e così èun mondo simile a quello di Hieronymus Bosch, i cui
quadri apocalittici sono pure grotteschi. Il grottesco tuttavia è solo un modo di
esprimerci in maniera tangibile, di far percepire fisicamente il paradossale, la forma
dell’informe, il volto di un mondo senza volto, e proprio come nel nostro modo di
pensare, oggi, sembriamo incapaci di fare a meno del concetto di paradosso, così
avviene nell’arte, e nel nostro mondo che a volte ~ are ancora esistere soltanto perché
esiste la omba atomica: per paura della bomba.
Ma il tragico è ancora possibile anche se non io è la tragedia pura. Possiamo giungere
al tragico dalla commedia. Possiamo metterlo in evidenza come un momento
spaventoso, come un abisso che si apre all’improvviso. In realtà, molte delle tragedie
shakespeariane sono già vere e proprie commedie da cui scaturisce la tragedia. [4]
La cantatrice calva e l’anatomia frigia di una metamorfosi
In La cantatrice calva il capo dei pompieri attende per rassicurarsi che tutti i fuochi siano «
spenti ».
IL CAPO DEI POMPIERI: « Il raffreddore». Mio cognato aveva, dalla parte paterna,
un primo cugino il cui zio materno aveva un suocero il cui nonno paterno aveva
sposato in seconde nozze una giovane indigena, di cui aveva incontrato il fratello
durante uno dei suoi viaggi, una ragazza della quale si era innamorato e da cui aveva
avuto un figlio che sposò un’intrepida farmacista la quale non era altro che la nipote
di uno sconosciuto ufficialetto di quarta categoria della Marina britannica e il cui
padre adottivo aveva una zia che parlava correntemente lo spagnolo, e che era forse
una delle nipoti di un ingegnere morto in giovane età...
SIGNOR MARTIN: Io ho conosciuto la terza moglie, se non vado errato. Mangiava
pollo in un nido di vespa.
CAPO DEI POMPIERI: Non era la stessa.
SIGNORA SMITH: Shh!
CAPO DEI POMPIERI: Come stavo dicendo... la cui terza moglie era la figlia della
migliore levatrice della zona e che, rimasta presto vedova...
SIGNOR SMITH: Come mia moglie.
CAPO DEI POMPIERI: . . .Aveva sposato un vetraio, che era pieno di vita e che
aveva avuto, dalla figlia di un capostazione, un bambino destinato a fare la sua
strada...
SIGNORA SMITh: Ferrata?
SIGNOR MARTIN: Come la mazza.
CAPO DEI POMPIERI: E aveva sposato una pescivendola il cui padre aveva un
fratello, sindaco di una cittadina, che aveva preso in moglie una maestra bionda, il cui
cugino, pescatore con la rete...
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SIGNOR MARTIN: Ferroviaria?
CAPO DEI POMPIERI: . . .Aveva sposato un’altra maestra bionda, chiamata pure
Maria, anche lei maestra bionda...
SIGNOR SMITH: Essendo bionda, non poteva essere che Maria.
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CAPO DEI POMPIERI: . . . E il cui padre era stato allevato in Canada da una vecchia
signora che era nipote di un parroco, la nonna del quale talvolta d’inverno, come
capita a tutti, si buscava un raffreddore...
I manuali dell’Assimile per studiare le lingue straniere erano una fonte di ispirazione
quotidiana anche per James Joyce (che insegnava alla Scuola cli lingue Berlitz). Il suo
Finnegans Wake eleva lo stereotipo verbale a consapevolezza archetipica, come lo Sweeney di
Eliot quando afferma: «Devo usare le parole quando ti parlo».
Ma o felice colpevolezza, dolce mala sorre* a te per un archetipista! [5]
Finnegans Wake
La caduta o demolizione del mondo della cultura ci mette tutti nella stessa fogna archetipale.
Come precursore del Teatro dell’Assurdo, Joyce espone l’inconscio archetipale come un
paesaggio assurdo di un mondo che si scava la tana su un altro mondo.
Jan Kott, in Shakespeare Qur Contemporary (Shakespeare, nostro contemporaneo), è pronto a
reinterpretare le tragedie shakespeariane come Otello e Re Lear in far-se tragiche. Peter
Brook, un ammiratore di questo maestro polacco del teatro, dirige Re Lear secondo la ricetta
di Jan Kott per la farsa tragica. Sembrerebbe probabile, ancora una volta, come accadeva nel
XVII secolo che, se forzate nella direzione dell’assurdo, le tragedie di Shakespeare si
potrebbero usare per esplorare le forme mutevoli della coscienza.
Un altro problema riguarda la predilezione da parte degli scrittori dell’assurdo a trattare i loro
personaggi in una situazione di impasse come quella delle quattro persone in Huis Clos di
Sartre o quelle in En attendant Godot (Aspettando Godot) di Beckett. Hugh Kenner ha
commentato questo aspetto dell’assurdo. Nel suo studio The Stoic Comedians (I commedianti
stoici), è arrivato a definire Samucì Beckett, in quanto « figlio » di James Joyce, drammaturgo
dell’impasse.
Perché Beckett, Joyce, lonesco, Picasso e molti altri artisti dell’assurdo, espatriati, si sono
alienati dal loro stesso paese? Si potrebbe azzardare la risposta che la condizione umana
universale, oggi in una fase di rapida innovazione, è necessariamente quella dell’alienazione.
Ogni cultura ora cavalca sul dorso di altre culture. The Exiles (Esuli) di Joyce è esplicitamente
un dramma dell’assurdo. Questo sovrapporsi di linguaggi e culture appare nell’indice verbale
del Finnegans Wake altrettanto quanto nella pittura di Picasso. L’assurdo non è privo di brio
persino nella farsa tragica, dove si va dal divertimento alla lonesco al « misérabilisme » di
Bernard Buffet.
Si pone un’altra domanda: qual è il rapporto fra il realismo «ibseniano » elettricamente
illuminato (nonsenso ibseniano, Finnegans Wake) e il Teatro dell’Assurdo? Possiamo pensare
all’elettricità del mondo moderno come ad una forma di recupero che riporta il realismo
austero di Ibsen ad una comicità eccessivamente esagerata in una vita comica. È un dato
dimostrabile che, se si mette in scena Ibsen in un teatro scarsamente illuminato, si assicura
l’effetto realistico che ci si propone. Se si aumenta tuttavia l’intensità delle luci, questo si
trasforma in un archetipo comico o in un archetipo che è parodistico-volgare o « comico » a
seconda dell’enfasi. Si potrebbe osservare che il Penguin Dictionary of Theatre (Dizionario
Penguin del teatro), alla voce relativa al Teatro dell’Assurdo considera finito questo
movimento nel 1960. Può anche essere. Ciononostante i critici scrivono ancora di elementi
dell’assurdo nei drammi contemporanei. Un numero piuttosto cospicuo di saggi è stato
dedicato alla definizione di questo movimento, con titoli quali The Theatre of Revolt (Il teatro
della rivolta) e Theatre of Protest and Paradox (Teatro della protesta e del paradosso) di
Wellwarth.
* termine inglese Cess significa sorte, come pure concorre alla formazione cli cesspool, che significa pozzo nero,
fogna. [N.d.T.]
19
Il Teatro dell’Assurdo sfocia quindi dopo il 1960 nel teatro del sangue e della crudeltà a cui si
richiama Arnaud in diversi manifesti inseriti nel suo libro Il teatro e il suo doppione, 1937.
Arnaud sta elaborando un processo di archetipizzazione. A quell’epoca la sua ricetta per il
teatro non trovò seguaci finché La persecuzione e assassinio di Jean-Paul Marat eseguiti dai
compagni del manicomio di Charenton diretti dal Marchese de Sade di Peter Weiss non
trasformò la sua formula arnaudiana in un diché indagante la violenza e la dislocazione del
villaggio globale multi-cosciente dal 1963 in poi.
Dall’epoca dello Sputnik e dei satelliti, il pianeta èstato circoscritto in un ambiente costruito
dall’uomo che pone fine alla «Natura » e che trasforma il globo in un teatro da repertorio che
va programmato. Shakespeare che al Globe enunciava « Il mondo non è che un palcoscenico,
e tutti gli uomini e le donne soltanto attori» (Come vi pare, atto 1.1, scena 7) è stato
giustificato dagli eventi più recenti in una quantità di modi che lo avrebbero colpito in quanto
assolutamente paradossali. Vivere sotto l’arco di proscenio dei satelliti porta i giovani ad
accettare ora i luoghi pubblici di questa terra come spazi teatrali. Avendo questa sensazione,
adottano costumi e ruoli e sono pronti a fare « il loro gioco » ovunque. Il globale cliché
shakespeariano sul mondo come palcoscenico fu ripreso da T.S. Eliot in «O O O O quel ritmo
sincopato shakespeariano / È così elegante / Così intelligente». Il « rag » o jazz sincopato
afferra il tema della nuova unità globale creato negli anni Venti dall’accettazione
internazionale del jazz. Esso « arriccia il naso » nel negozio da rigattiere della globale terra
desolata di Shakespeare & Co. o delle traduzioni internazionali degli archetipi shakespeariani.
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AUTORE COME CLICHÉ (LIBRO COME SONDA)
Tutte le mie poesie sono sulla parola.
Alfeo Marzi
UN CAPPOTTO
Ho trasformato il mio canto in un cappotto
Coperto di ricami
Da vecchie mitologie...
Poiché vi è più ardimento
Nel camminare nudi.
W. B. Yeats
La biografia di Donald M. Frame, Montaigne, raccoglie molte osservazioni derivate da
Montaigne sulle trasformazioni nell’autore e nel pubblico che risultano dall’immagine di un
uomo che viene messa in circolazione per fare un pubblico sondaggio. La mera amplificazione
—
tramite la ripetizione che risulta dalla forma stampata
—
è un tipo di mini-arte che induce l’autore ad assumere una maschera iconica di
dimensioni collettive:
Se La Boetie fosse vissuto, Montaigne avrebbe probabilmente scritto nella forma
epistolare:
«L’epistolografia... è un’attività a cui i miei amici ritengono io sia portato. E avrei
preferito adottare questa forma per pubblicare le mie sortite, se avessi avuto qualcuno
con cui parlare.
Avevo bisogno di quanto avevo una volta, un tipo di rapporto che mi stimolasse e
risollevasse... Con un amico forte a cui rivolgermi sarei stato più attento e fiducioso
di quanto non sia ora, considerando i vari gusti del pubblico. Se non vado errato,
avrei avuto più successo».[1]
Altrove Montaigne sintetizza l’argomento in una frase:
Debbo un ritratto completo di me stesso al pubblico. La saggezza della mia lezione
sta interamente nella verità, libertà, realtà ... di cui il decoro e il rituale sono figli, ma
figli bastardi
Chiunque volesse disab~tuare un uomo, dalla follia di una superstizione verbale così
scrupolosa non arrecherebbe poi gran danno al mondo. [2]
La novità dell’auto-espressione nella stampa sembrava ispirare Montaigne con la sensazione
che era impegnato in una pubblica espulsione o autodegradazione. L’aspetto catartico della
condizione di scrittore viene fortemente sottolineata da Montaigne:
Il senso dei Saggi come un tipo di bottiglia o una moltitudine bottiglie nel mare, è
chiaro
nel seguente richiamo dagli abissi della solitudine:
« Oltre il profitto che mi deriva scrivendo di me stesso, spero in quest’altro
21
vantaggio, che se i miei umori per caso riescono graditi ed accettabili ad un uomo
degno prima che io muoia, questi cercherà di incontrarmi. Gli do un gran vantaggio
per quanto riguarda i progressi raggiunti; poiché quella lunga conoscenza e
familiarità che egli avrebbe potuto guadagnarsi in parecchi anni, la può visualizzare
in tre giorni in questo documento e con più precisione ed accuratezza.
«Idea divertente: molte cose che non vorrei dire a nessuno, le dico al pubblico; e per
scoprire le mie conoscenze e i miei pensieri più segreti mando i miei amici più fedeli
in una libreria...».
L’oscenità di Montaigne continua a crescere nel ricordarci comicamente le nostre
parti meno esposte. [3]
Il rapporto comico fra il libro e le membra del corpo come aspetti esteriori ed espressioni
dell’uomo acquistano pieno rilievo:
«Ciascuna delle mie parti», scrive del suo pene, «mi rende ciò che sono allo stesso
modo degli altri. E nessun altro connotato mi rende più uomo di questo». Ora ci. fa
ricordare nel suo modo più piccante i paraocchi che indossiamo. « Riteniamo più
appropriato immaginare un artigiano sul water e sopra la propria moglie che un
grande presidente, venerabile per comportamento e capacità». I suoi commenti
diventano sempre più mordaci. Per coloro che sposano l’amante cita il detto: «
Defeca nel cesto e poi mettitelo in testa». Dei filosofi da strapazzo che disdegnano
qualsiasi cosa che sia non intellettuale egli dice: «Non vorranno cercare di squadrare
il cerchio mentre sono appollaiati sulle loro mogli?». Le sue pagine conclusive
abbondano di esempi;
il penultimo paragrafo (la sua ultima occasione per esprimere l’ironia prima del
trionfante finasi conclude così: «Anche sul più nobile trono del mondo ci sediamo
ancora e soltanto sul nostro deretano ». [4]
Montaigne considerò la stampa come un innovazione letterale.
La sua oscenità, nell'espandersi, diventa esplicitamente didattica. Agli antichi
filosofi, egli fa notare come sembri sciocca la nostra nozione di decadenza, « di non
osare a fare apertamente ciò che è decente fare in privato» [5]
W. H. Auden in In Memory of W. B. Yeats (In memoria di W. B. Yeats) medita sullo strano
rapporto fra autore e pubblico:
Egli scomparve nel cuore dell’inverno:
I ruscelli erano gelati, gli aeroporti quasi deserti...
Le lingue funeree
Salvaguardano la morte del poeta con le sue poesie.
Ma per lui fu l’ultimo pomeriggio in cui si sentì
se stesso...
Lo scorrere deI suo seritimetito venne meno: egli divenne i suoi ammiratori.,.
Le parole di un morto
Sono modificate nelle viscere dei vivi. [6]
Il verso cli Baudelaire nel comxniato ai lettori di Le Fleur~ du Mal (I fiori del male):
22
«Hypocrite lecteur, mon semblable, mon frère », racchiude tutti i pensieri di Auden. Il lettore
indossa la maschera dell’opera del poeta anche quando l’autore indossa il pubblico come
maschera. L’uno è la sonda dell’altro. Entrambi sono cliché. Joyce lo ha riassunto in una frase:
«I miei consumatori non sono forse anche i miei produttori?».
Prima che venisse stampato, Thomas à Kempis nelle sue Imitazioni di Ct~sto si avventurò ad
offrire al pubblico come modello l’autore dei nostri esseri. Forse tutti gli autori devono in
qualche misura «recitare il ruolo di Dio» per il loro pubblico. Dopo tutto, sono loro a fare il
mondo. In The Apes of God (Le scimmie di Dio) Percy Wyndham Lewis mette in questione
l’essenza vera e propria degli autori come sonde divine. Egli li ritrae essenzialmente come
scimmie o manipolatori di archetipi di altre persone. Zagreus come super-scimmia viene
sfidato a svelare quale immagine egli stia offrendo, e la risposta sembra essere che egli è
un’immagine di se stesso, così com’è creata dal mezzo di comunicazione radiofonico. I nuovi
sistemi che ampliano la dimensione dell’immagine dell’autore nella città magnetica tendono a
proiettano così naturalmente nel ruolo di Dio che la versione naturalistica di questa immagine
sia di attore, politico o artista, è lillipuziana.
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CASISTICA O SOFISMA (ARTE COMO MENZOGNA)
Sofismi e menzogna derivati della tecnologia. Le contingenze dell’accordo scritto che contrasta con la
parola data
Dipingo sempre falsi.
Picasso
Dite alle arti che non hanno basi,
Ma variano a seconda della stima;
Dite alle scuole che mancano di profondità,
E che danno troppa importanza all’apparenza. Se le arti e le
scuole rispondono,
Le arti e le scuole accusate di menzogna.
Sir Walter Raleigh, The Lie (La menzogna)
Un modo di affrontare l’argomento del sofisma è sostenere che mentire diventa facile solo
quando si usa un unico mezzo quale la stampa. Nel dialogo, o interazione, la menzogna riesce
molto più difficile che per iscritto come proclama l’establishment della legalità. La varietà dei
sensi coinvolta nel discorso orale, i gesti e le tonalità, rendono il mentire una specie di attività
drammatica, più simile all’innovazione che al conformismo. Quando la «verità» viene ridotta
meramente a far corrispondere l’interno con l’esterno, qualsiasi affermazione può essere
contestata: « I dizionari dilatano le parole finché perdono senso», come ha notato un uomo di
spirito.
Con l’avvento della stampa, l’idea della verità intesa come una corrispondenza di
affermazioni dirette contro un stato interiore complesso portò allo sviluppo di un nuovo culto
del sofisma e a tutto il gioco delle riserve mentali. Quest’ultimo viene esplorato da Rosalie
Cole in Paradoxica Epidermica. Uno dei problemi della molteplicità delle edizioni bibliche era
che molti lettori potevano essere turbati dalla difficoltà di far corrispon~Iere i testi sacri. E
armonizzare le scritture divenne un’ossessione.
Il saggio di Bacone Sulla verità inizia con un’allusione alle nuove strategie del sofismo, che
erano sorte con il ricupero promosso dalla stampa di interi mondi di opinioni contrastanti:
Che cosa è la verità?, disse Pilato scherzosa-mente senza aspettarsi una risposta.
Certamente vi è diletto nella volubilità poiché è considerato schiavitù professare un
unico credo, colpendo la libera volontà nel pensiero, come pure nell~ azione. E
sebbene le sette di filosofi di quel genere siano sparite, tuttavia restano certe persone
argute ed eloquenti che sono della stessa vena anche se con meno linfa vitale degli
antichi. Ma non sono soltanto la difficoltà e la fatica che l’uomo affronta per trovare
la verità, nè tanto meno quest’ultima, che quando viene trovata si impone al pensiero
dell’uomo che fa prediligere le menzogne; ma è un amore naturale, anche se corrotto,
per la menzogna di per se stessa. U~a delle scuole greche più tarde esamina
l’argomento e si trova in un’empasse quando cerca di capire che cosa spinga l’uomo
a mentire, quando non lo fa per il piacere, come i poeti, né per un vantaggio come i
mercanti, ma per il gusto della menzogna stessa. Tuttavia non posso pronunciarmi:
questa verità è come la luce del giorno, nuda e cruda, che non fa vedere le maschere,
le pantomime e i trionfi del mondo neanche in minima parte con la delicatezza e la
raffinatezza del lume di candela. La verità scenderà forse al prezzo di una perla, che
si vede meglio di giorno, ma non salirà al prezzo di un diamante o di una granata che
risalta meglio con la luce cangiante. Il miscuglio della bugia aggiunge sempre
piacere.
24
Nei drammi storici shakespeariani, di ambiente inglese, la forma del processo segue il vecchio
procedimento medievale di giurare sulla rettitudine dell’accusato. Nei drammi più tardi quali
Otello e Cimbelino, Shakespeare assume un approccio più moderno verso la credibilità di un
testimone. Egli è, in un certo senso, un precursore della teoria della prova, che si sviluppò alla
fine del XVII secolo; sia nell’ Otello che in Cimbeino il recupero della «verità» viene
conseguito con una nuova enfasi sensoriale sulla corrispondenza visiva che era caratteristica
della precisione della stampa stessa:
OTELLO:
... Dammi la prova oculare;
O, per la mia anima eterna
Sarebbe stato meglio tu fossi nato cane
Anziché subire la mia vendetta! lAGO: Siamo a tanto?
OTELLO:
Ch’io veda con i miei occhi; o abbia almeno una prova
Dove non siano ganci nè anelli
Da appendervi il minimo dubbio; o guai a te!
Otello, atto III, scena 3
IACHIMO: se cercate
Altre prove, sotto il suo seno —Che merita bene d’essere stretto — c’è un
neo, giustamente orgoglioso Di un sito così delicato. Per la mia vita, L’ho baciato, e
mi diede immediato appetito Di cibarmi di nuovo, benché fossi sazio. Ricordate
POSTUMO: Sì, e conferma
Un’altra macchia, tale da riempire l’inferno,
Fosse pure essa sola.
Cimbelino, atto Il, scena 4
Il gioco popolare del sofisma è presente anche in Antonio e Cleopatra (atto Il, scena 7):
MENA:... E sebbene tu mi ritenga povero, io sono l’uomo che ti
Darà tutto il mondo.
POMPEO:
Ha bevuto troppo?
MENA:
No, Pompeo, mi sono tenuto lontano dalla coppa.
Tu sarai, se l’osi, il Giove terrestre.
Tutto ciò che l’oceano recinge, o il cielo abbraccia,
Sarà tuo se lo vuoi.
POMPEO:
Mostrami con quale mezzo.
MENA:
Questi tre comproprietari del mondo, questi concorrenti,
Sono sulla tua nave: lascia che io tagli l’ormeggio;
E, quando saremo in alto mare, si salti loro alla gola:
Tutto sarà tuo.
POMPEO:
Ah avresti dovuto farlo
Senza parlarmene! In me sarebbe scelleraggine;
In te sarebbe stato rendermi buon servigio.
Devi sapere
Che non è il mio profitto che guida il mio
onore;
Ma il mio onore che guida quello. Rimpiangi che la
25
tua lingua
Abbia così tradito il tuo atto. Se fosse stato
compiuto a mia insaputa
In seguito l’avrei trovato ben fatto
Ma adesso lo devo condannare. Desisti, e bevi.
La testimonianza oculare si basa sull’isolamento di un senso come base della prova. Ciò è in
accordo con il comportamento di lago, quale specialista machiavellico divide Ct impera. lago
è l’uomo che è bene informato, che ama la frammentazione, e il suo ridurre persone e cose a
piccoli pezzi porta alla semplice formula: «Ciascun uomo ha il suo prezzo».
Ben Franklin nella sua Autobiografia presenta la stessa tecnica di frammentazione come la sua
formula di perfezione morale: « Ero deciso a porre settimanalmente rigorosa attenzione su
ciascuna delle virtù in ordine successivo». Il lavoro disumanizzante basato sulla ripetizione da
catena di montaggio e sulla specializzazione aveva il grande vantaggio della celerità. Per la
stessa caratteristica, esso eliminava il bisogno di perizia o qualità morale nei dipendenti. La
catena di montaggio di Gutenberg applicata all’espressione umana aveva molti vantaggi e
inconvenienti.
Grazie ad un sofisma, Porzia salva Antonio in Il mercante di Venezia. Il dr. Faustus sfugge al
diavolo per un cavillo legale. La precisione della stampa ha sottolineato le « scappatoie legali
» inerenti alla natura di ogni espressione verbale. In altre parole, il nuovo diché della stampa
ha recuperato i vecchi archetipi del linguaggio trasformandoli in nuovi ciché.
Un’ulteriore evoluzione della stampa come madre della menzogna coinvolse i grandi
Wissenschafters del XIX secolo. Richard D. Altick «rende noto il caso di alcuni curiosi
bibliografi ».
L’uomo che Carter e Pollard cercavano era estremamente versato nella bibliografia
del XIX
secolo. La sua genialità si era impegnata tanto nel camuffare la falsità, contro uno
sfondo di dettagli completamente veri, che solo uno studioso ne sarebbe stato a
conoscenza. Egli era altrettanto portato per il mercato dei libri rari; aveva un sesto
senso che pareva gli dicesse quale tipo di « prima edizione» sarebbe stata più
appetibile ai collezionisti del suo tempo. Infine, sembrava aggiornato sui pettegolezzi
letterari correnti. Nel selezionare opere di autori viventi, degni della sua attenzione,
era attento a scegliere le opere di coloro i quali, per una ragione o per un’altra, non si
sarebbero trovati nella situazione di essere interpellati con domande imbarazzanti,
circa queste prime edizioni putative, o sarebbero stati per carattere poco inclini a
rispondere...
Carter e Pollard quindi considerarono chi avrebbe potuto perpetrare questa frode
indiscriminata. Anni prima, uno o due opuscoli simili erano stati messi in
discussione, e il sospetto era caduto su Richard Herne Shepherd e John Camden
Hotten, entrambi librai del tardo periodo vittoriano, di provata integrità. Il sospetto si
fondava, è vero, sulla parola di un uomo solo, ma era quella di un uomo la cui
autorità in tali questioni non poteva certo essere messa in discussione. Si trattava di
Thomas James Wise, già presidente ad un certo punto della Società bibliografica,
insignito di kzurea honoris causa in materie umanistiche a Oxford, membro
dell’esclusivo Roxburghe Club di collezionisti di libri, e uno dei bibliografi più colti
d’Inghilterra... Ad ogni svolta delle loro inchieste, i loro indizi li riportavano al
signore alquanto pomposo, che era il nemico giurato di ogni tipo di imbroglio, in
materia di commercio e collezionismo di libri:
Thomas James Wise in persona.
Oggi la molteplicità dei mezzi di comunicazione ha, come è stato notato, smobiitato
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la coscienza. Si parla della menzogna come di « un vuoto di credibiità». La Verità
diventa ancora una volta fiducia, e non certezza cartesiana. [1]
27
CENTENNALE METAFORA
Ogni sistema simbolico può essere un mezzo potente di
organizzazione delle emozioni. Ciò è provato dal ruolo che i
sistemi simbolici hanno svolto, come immagini, nella storia
della cultura; essi .sono connessi con le emozioni e sono
ampiamente impiegati nell’arte, nel teatro ecc. per
organizzare emozioni.
A. R. Lurila, The Nature of Human Conflicts, or Emouion,
Conflict and Will
È Molte persone scambiano singoli oggetti per simboli.
È utile notare il significato originale e la struttura del termine « simbolo » come
giustapposizione di due cose. In origine le parti di un contratto spezzavano un bastone, di cui
ciascuno prendeva una metà. Concluso il rapporto, le parti contraenti giustapponevano i due
bastoni, creando così il simbolo. Esso deriva da symballein, termine greco che significa «
gettare insieme».
Un bricco non è un simbolo, a meno che non venga correlato e giustapposto ad un stufa, una
pentola o ad una pietanza. Le cose isolate non sono simboli. Il simbolismo come arte o tecnica
significava precisamente la rottura delle connessioni, ovvero la sincopazione.
Lo studente potrebbe trovarsi facilmente in un mondo di suggerimenti caotici e conflittuali, se
dovesse tentare di usare la definizione di Northrop Frye di simbolo come sonda esplorativa:
SIMBOLO: qualsiasi unità di qualunque opera letteraria che possa essere isolata per
attirare l’attenzione critica. Nell’uso generale viene ristretto ad unità limitate come
parole, espressioni, immagini ecc. [1]
La metafora medievale inclusiva del « Libro della Natura» era inseparabile dallo studio della
sacra pagina, la pagina sacra della Scrittura. Il «Libro delle creature» divenne la metafora del
mondo svelatosi ad Adamo nel giardino primigenio, poiché ci viene detto nella Scrittura che
l’opera di Adamo consisteva nel passare in rassegna e dare un nome alle creature.
La Casa di Salomone e l’opera del Collegio dei Sei Giorni di Francesco Bacone reiterano
questa metafora come modello di organizzazione per la scienza moderna, che suggeriva lo
spostamento avvenuto nel XVII secolo dalle controversie sulla lettura della pagina sacra allo
studio del Libro della Natura. L’interazione fra i due libri della Scrittura e della Natura non ha
mai conosciuto un periodo più intenso del XVIII e del XIX secolo. Le nuove tecniche di
antropologia e biologia nel XIX secolo hanno portato il Libro della Natura al Libro della
Scrittura in nome di una critica più elevata.
Nel XVII secolo, con la History of the Royal Society (Storia della Società Reale) del vescovo
Sprat, il Libro della Natura equivale al Libro della Rivelazione. Nel momento in cui uscì la
seconda edizione dell’Essay Concerning Human Unde1~st4nding (Saggio sulla conoscenza
umana), il Libro della Natura venne privilegiato come rivelazione universale, paragonata alla
rivelazione arbitraria e particolare della Scrittura. Alla fine del XVII secolo, con deisti come
Thomas Paine o, d’altro canto, scrittori come William Blake, il Libro della Natura ha
manifestato altrettante difficoltà od ostacoli quanti il Libro della Rivelazione.
Newton si trovava nella persistente tradizione di correlare i due libri della Natura e della
Scrittura quando dedicò gran parte della sua vita al Libro di Daniele. Nella prima metà del
XVII secolo il Libro della Natura era inteso come espressione alternativa del Libro delle
Creature e la «Natura» venne a significare solitamente nature animali e umane, piuttosto che
semplicemente Natura esterna. Thomas Browne riunì i due libri nella sua f amo-sa espressione
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sull’«uomo, il grande anfibio, che vive in mondi divisi e distinti ». Anche prima di Sir Thomas
Browne, Cartesio aveva spiegato che gli animali erano essenzialmente macchine animali. Con
Cartesio, sia la pagina della Natura che la pagina della Scrittura erano state dissacrate.
Nel Saggio sull’uomo di Pope, il Libro della Natura èstato convertito in una « catena
dell’essere», mentre nel XIX secolo al primo uomo viene attribuito il dubbio merito di essere
l'«anello mancante» della catena. La notevole ambiguità del saggio consiste nella lettura
alternativa: «Un possente labirinto e tutto senza un piano», oppure «Un vasto labirinto! ma
non senza un piano».
Sia la pagina della Scrittura che quella della Natura sono state verità confortanti fino al XIX
secolo. Quando il principio giornalistico delle cattive notizie venne di moda, sia la Scrittura
che la Natura divennero fonti prolifiche di penose verità. Il XIX secolo produsse molte
metafore uniformi applicabili all’intera situazione umana, per esempio quelle di Darwin,
Herbert Spencer, Comte, Marx, Jung, Freud e Frazer.
Nel momento in cui le biblioteche circolanti cominciarono a deludere Samucì Taylor
Coleridge con il mondo del romanzo e affliggerlo con lo spettacolo della corruzione del gusto
e della morale attraverso questo tipo d’intrattenimento, il giornale subentrò come nuovo cliché
tecnologico. Lamartine, nel 1830, disse: « Il libro arriva troppo tardi». Egli vedeva il
quotidiano come una nuova tecnologia, che creava una liason fra il pubblico e lo scrittore ogni
ventiquattro ore, laddove il libro impiegava settimane e mesi a stabilire lo stesso rapporto. La
velocità con cui la parola stampata allora metteva in connessione il pubblico e l’autore,
trasformava l’autore in un essere collettivo, e questo angosciava persone come John Stuart
Milì, Carlyle e Matthew Arnold, che consideravano tragica la nuova situazione.
Nel momento in cui la stampa aveva stabilito questa nuova forma di cliché della percezione
collettiva, i ricercatori stavano cercando di ricuperare un passato tribale mitico e collettivo
attraverso l’archeologia e l’antropologia.
Quando il libro stava perdendo il suo potere di creare un’alta cultura nel singolo lettore, già la
stampa sembrava incitare i grandi sforzi per ricuperare il passato tribale della collettività
umana. In tal modo, con la scomparsa del libro come ciché o sondaggio percettivo, e l’avvento
della stampa collettiva, ritorna la possibilità di una nuova conoscenza e padronanza del mito.
Il rituale ritornò come mezzo di organizzazione della poesia e delle arti. Questa nuova risorsa
appare nell’opera di Wagner; Byron e Browning in tealtà tentarono l’epica giornalistica nel
Don luan (Don Giovanni) e in The Ring and the Book (L’anello e il libro). Così pure fece
Mallarmé e l’epica giornalistica si realizzò completamente nell’ Ulisse joyciano.
Lo sviluppo delle tecnologie della stampa fornì la matrice a tutte le tecniche di produzione di
massa dell’era industriale. Nel XVII secolo la gente sperimentava tutti i tipi di tecniche nuove:
la costruzione di ponti, di dighe e nuovi tipi di macchinari agricoli. A questo interesse
generale nell’invenzione meccanica, si accompagna l’uso della metafora della macchina. Il
ciché dell’orologio, aricora più di quello della camera oscura o della prospettiva dello
specchio, è forse la più famosa di queste metafore meccaniche. Naturalmente la metafora
dell’orologio presupponeva l’immagine delle fauci cicloid ali del pendolo sospeso. Pope, nel
suo Saggio sull’uomo, non si riferisce al Libro della Natura come ad una storia di creature.
Egli lo pensa come una catena dell’essere.
Sterne in Tristam Shandy (La vita e le opinioni di Tnstam Shandy) si rivela come artista
comico, che tratta i problemi del meccanicismo e il fascino che l’analogia meccanica ha sui
suoi contemporanei, ed egli si compiace di additare loro i difetti della macchina. La vede in
declino e prossima ad esaurirsi. Quando più tardi gli
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evoluzionisti riprendono la storia delle creature come catena dell’essere, insistono sul punto
debole, che è « l’anello mancante». Esso diventa il nuovo cliché tecnologico per comprendere
la natura.
Il simbolismo è l’arte dell’anello mancante, come implica il termine: sym-ballein, gettare
insieme. È l’arte della sincopazione. È la base dell’elettricità e della meccanica del quantum,
come capi Lewis Carroll tramite Lobachevski, e delle geometrie non cuclidee. Il legame
chimico, come venne inteso da Heisenberg e Linus Pauling, è t~sonanza. Ecolandia. Il mondo
dello spazio acustico il cui centro è ovunque e il cui margine è in nessun luogo, come un gioco
di parole.
L’Arte e la Natura ad un tempo iniziano a coinvolgere l’intero pubblico, con il jazz e il
romanzo giallo. Le immagini accentranti degli Zeitgeisters e dei trascendentalisti vengono
abbandonate come vecchi cliché eucidei. La nuova epoca della discontinuità recupera tutte le
culture ad un tempo. Forse che ciascuno diventa un anello mancante? Una scimmia glabra?
La ftnzione del cliché temporale è di selezionare per l’uso un soggetto o una fattezza
dall’immenso cumulo di rifiuti di materiale mitologico. Potrebbe essere che lo stimolo alla
selezione avvenga quando dalla base logica di un complesso di ciché compiamo un
deprecabile tentativo di adattamento all’inconscio o all’irrazionale, soppresso dall’azione di
quel ciché, cioè Gesundheit! La funzione di un ciché temporale dipende dalla ~soppressione di
enormi quantitativi di materiale archetipale in-conscio. Allo stesso modo una « storia» che fa
notizia esiste consciamente con la soppressione di quasi tutti i materiali disponibili.
Una mente ha molte logiche; un sondaggio cliché ne mette in risalto solo una alla volta. Le
altre vengono respinte nell’inconscio. Le « superstizioni» possono essere considerate come
ricognizioni assurde di ragionamenti alternativi, ovvero l’iter interiore come nuova metafora
centennale.
La « grande catena dell’essere» che era servita come metafora nel XVIII secolo, sia in catene
lockiane di associazione che nel punto catenella delle più recenti nuove macchine da cucire,
trasferì incongruamente nel XIX secolo ipotesi rivoluzionarie dell’« anello mancante ». Come
gli scienziati della NASA sono ancora rinchiusi nel mondo dello spazio visivo newtoniano,
così i fisici sono ancora fedeli alla rispondenza frenante del meccanismo letterario, quando
parlano di «reazioni a catena».
Il nuovo culto delle ESP* è un’aggiunta naturale alle telecomunicazioni. Quando si espande il
proprio sistema nervoso al mondo esterno le ESP sembrerebbero polivalenti come «
Plurabelle»** The Silent Language (Il linguaggio silenzioso) di Edward T. Hall sottolinea la
nuova consapevolezza dei linguaggi come strutture di consapevolezza e moduli gestuali:
La distinzione fra can-may (potere e avere il permesso di) illustra uno dei diversi tipi di
moduli informali che esistono nella lingua inglese. Un altro tipo viene associato all’uso di ciò
che si conosce tecnicamente come « superfisso », identificato per la prima volta da Trager. Il
lettore èfamiliare con prefissi e suffissi che vengono aggiunti all’inizio o alla fine delle radici.
Il superfisso, come implica la parola, va oltre e al di sopra dell’espressione.
Con l’identificazione del superfisso, Trager elevò un’intera categoria di fenomeni
gramxnaticali e d’altro genere dall’informale al tecnico. Quella agglomerazione mal definita,
altamente significativa di vocalizzazioni conosciute come «tono di voce» cominciarono a
svelarsi con l’identificazione del superfisso. La differenza fra l’aggettivale e il nominale è
segnalata dall’uso dei superfissi, in questo caso le variazioni nel tono di voce o nell’accento.
Per esempio, in inglese, la differenza nel linguaggio parlato tra green house (una casa di colore
*Extra-sensorial perc~eptions, percezioni extrasensoriali. [N.d.T.]
**Eroina nel Finnegans Wake di J. Joyce. Il nome è simbolico della psi.
che. Si identifica inoltre con Eva, Isis, il principio dell’amore; nell’essenza è come un fiume sempre diverso e
sempre uguale, flusso eraclideo, esempio perfetto dei corsi e ricorsi di Vico, premessa filosofica dell’allegoria
joyciana. [N.d.T.]
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verde), greenhouse (serra) e la Green house (la casa dei signori Green) èsoltanto in funzione di
una variazione di accento. I francesi, per inciso, non condividono questo modulo con gli
inglesi e non possono percepire la differenza fra queste tre esclamazioni. Le nuove regole di
grammatica inglese, quando infine verranno codificate, potranno descrivere l’aggettivale in
base a un modulo d’accentuazione in rapporto agli altri elementi. [2]
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CLICHÉ / ARCHETIPO COME SISTOLE-DIASTOLE
Laddove Bergson afferma che il comportamento robotizzato è motivo di riso neI mondo
civilizzato, Wyndham Lewis dice che il comportamento non robotizzato èla gioia di un corpo
sfrenato.
...vi sarà tempo
Per preparare il volto ad incontrare altri volti; Vi sarà tempo per uccidere e creare,
E tempo per tutte le opere e i giorni...
T.S. Eliot, The Love Song of J. Alfred Prufrock
Eliot fa riferimento a Le opere e i giorni di Esiodo, l’inno rituale di quanto Eliade chiama «la
rigenerazione del mondo e della vita attraverso la ripetizione della cosmogonia » (TI mito
dell’eterno ritorno). L’opera di Eliot è spesso dedita a mostrare la traduzione di questo ritmo
di creazione e distruzione, nella forma meramente industriale della frammentata produzione di
massa. Quest’ultima forma aliena l’uomo piuttosto che coinvolgerlo. Il momento della verità
creato dall’artista permette il ritorno dei morti:
La creazione del mondo, quindi, viene riprodotta ogni anno. Allah è colui il quale
compie la creazione, e poi la ripete (Corano, X, 4 e seguenti). Questa reiter~zione
perpetua dell’atto cosmogonico permette, con La trasformazione di ogni Cspodanno
nell’inizio di un’epoca, il ritorno dei morti alla vita, e mantiene la speranza di coloro
che hanno fede nella resurrezione del corpo. Torneremo presto sull’argomento dei
rapporti fra le cerimonie di Capodanno e il culto dei morti. A questo punto dobbiamo
notare come la credenza, presente quasi ovunque, secondo cui i morti tornano alle
rispettive famiglie (e spesso tornano come « morti viventi») intorno al Capo-danno
(durante i dodici giorni che intercorrorio fra Natale e I ‘Epifania) testi rnoruiario la
speranza che sia possibile annullare il tempo in questo momento mitico, in cui il
mondo viene distrutto e ricre~ito. I morti possono tornare ora poiché tutte le barriere
fra i vivi e i morti sono spezzate (non è forse una riattuazione del caos primordiale?)
ed essi ritornerarino perché in questo istante paradossale il tempo sarà sospeso e cli
conseguenza potranno essere nuovamente contemporanei dei vivi. Inoltre, poiché si
sta preparando una nuova creazione, possono sperare in un ritorno alla vita che sia
concreto e duraturo.
Mircea Eliade, Cosmo e stona
Hans Selye in From Dream to Discovery (Dal sogno alla scoperta) illustra come l’atto della
scoperta tenda a verificarsi proprio al momento di addormentarsi o di risvegliarsi, ovvero fra i
due stati:
Come ho detto più volte, le idee intuitive di solito si presentano al limite della
coscienza, mentte ci si addormenta o ci si sveglia. Perciò mi piace passare in rassegna
i miei problemi prima di cori-carmi o persino nel cuore della notte se mi capita di
svegliarmi, con carta e matita sempre a portata cli mano, perché le idee notturne
tendono a svani. re, non lasciando alcuna traccia al mattino. [1]
Milton espone lo stesso processo dualistico che Eliot cita in «uccidere e creare», laddove
descrive l’insurrezione di Satana:
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Davanti ai loro occhi in improvvisa vista rivelaronsi
I segreti dell’antico abisso buio Iffimitato Oceano senza fine,
Senza dimensione, dove la lunghezza, la larghezza e l’altezza,
E il tempo e lo Spazio perdonsi; dove la Notte primigenia
E il Caos, di Natura Antenati, tengono Eterna Anarchia, fra rumori
D’interminabili guerre, e sussiston sol per confusione [2]
John Milton, Paradiso Perduto, libro lI
Il colpo di ciché di Satana fallisce, facendolo precipitare nel Caos. Milton non avrebbe potuto
fornire un paradigma migliore della situazione relativa al sondaggio dell’ambizione. Un caso
parallelo avviene nel Macbeth:
Se fosse fatto, quando è fatto, allora sarebbe bene
Che fosse fatto in fretta. Se l’assassinio
Potesse arrestare nella rete le conseguenze, e assicurare
Con la sua esecuzione il successo, sì che questo solo colpo
Potesse essere il principio e la fine — qui
Soltanto qui, su questa riva e [secca] del tempo,
Salteremmo la vita futura. Ma in casi come questi,
Noi abbiamo un giudizio anche qui, impartendo
Istruzioni sanguinose che, una volta impartite, finiscono
Per punire il maestro. Questa giustizia dalla mano imparziale
Porge la miscela del nostro calice avvelenato
Alle nostre stesse labbra. Egli riposa qui sopra
una duplice fiducia:
Anzi tutto, perch’io sono suo congiunto e suo suddito,
Forti ragioni entrambi contro l’atto; poi perché sono suo ospite,
E come tale dovrei sbarrar la porta al suo assassino,
Non brandire io stesso il coltello.
Macbeth, atto I, scena 7
Macbeth ragiona in termini di cliché tecnologico del coltello e del tramaglio come mezzi per
uccidere e creare, per investigare e ricuperare. Il suo coltello distrugge. rà Duncan, ovvero la
monarchia stessa. «Non procede-remo oltre in questa faccenda». Il cliché del coltello come
strumento di ambizione distruggerà la monarchia e l’ordine, e tutti i cliché politici della
società. Con la distruzione di ogni ordine, egli istituirà una scuola in cui ciascuna apprenderà «
istruzioni sanguinose >~. Non resterà altro de ricuperare, salvo i ciché scartati della violenza.
Joyce ha sintetizzato questo momento della visione di Macbeth nell’espressione: «A burning
would is come to dance inane. Glamours hath moidered’s lieb» (Un bosco in fiamme è venuto
a danzare inane. Glamours ha ucciso l'amore)* [3]
Le tecniche stesse con cui si conseguono delle innovazioni desiderabili distruggono la
maggior parte delle realizzazioni pre-esistenti e richiedono una nuova creazione.
L’«imperfezione tragica» non è un dettaglio di caratterizzazione, un semplice «moscerino
*Would, passato di will (volere), si pro»uncia come wood (bosco), mentre Dance i*rnne suggerisce Dunsinane, il
luogo in cui fu sconfitto Macbeth quando U bosco di Birnam (e cioè i solditi di Mulcolm mimetizzati di fronde>
mosse contro di lui, avverando così l’ambigua profezia delle streghe. Gla~,wMrs (cose che affascinano)
suggerisce il titolo cli Macbeth, Thanc of Gli-mis, ed è un rifacimento del celebre verso shakespeariano “Glamis
hath murther’d Sleep” (Glamis ha assassinato il sonno) (Atto Il, scena 2). [N.d.T.]
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nell’occhio, ma un tratto strutturale della coscienza comune.
Un esempio di gran lunga più tragico del dilemma di Macbeth viene descritto da Anatol
Rappoport nella sua introduzione a Clausewitz on War:
L’esperienza della seconda guerra mondiale èstata esilarante per gli americani a
causa della sequenza drammatica degli eventi: sconfitte iniziali, seguite da
un’inversione di corrente e vittorie in numero sempre maggiore. La guerra si fissò
nell’immaginazione americana come sforzo supremo che si affronta soltanto quando
si è provocati e quindi quando si è nel giusto. Un simile sforzo, per il modo di
pensare americano, era destinato ad essere vittorioso. In altre parole, l’identificazione
con i protagonisti del bene (come nelle opere di intrattenimento di massa) e l’attesa
fiduciosa della vittoria costituirono il contesto in cui la maggioranza degli americani
identifica-vano la guerra. [4]
Il motivo fondamentale che caratterizza questo dilemma di innovazioni del ciché, intese come
« pesanti ritorsioni» (che Macbeth aveva sperato di « arrestare»), è«l’appetito comune di
traffici lucrosi e macchine rnilitari. Entrambi prosperano sulla crescita illimitata. I due
establishments si nutrono reciprocamente».
Arthur Koestler in The Act al Creation (L’atto della creazione) osserva lo stesso «dialogo» o
movimento a sistole-diastole in un altro campo:
In tal modo, contrariamente alle apparenze e alle credenze, la scienza come la poesia,
l’archi. tettura o la pittura ha i suoi generi, « movimenti », scuole, teorie che persegue
con crescente perfezione fino a raggiungere il livello di saturazione, laddove tutto è
stato detto e fatto — ed allora intraprende un nuovo approccio, basato su un diverso
tipo di curiosità, una diversa scala di valori... [5]
Lo stesso movimento si trova nell’antico tema dei mezzi e dei fini. Il nuovo diché e la nuova
tecnologia ricuperano archetipi insospettati nel « negozio da rigattiere». Nuovi mezzi creano
nuovi fini, allo stesso modo in cui nuovi servizi creano nuovi disagi. Una nuova accelerazione
e un nuovo moto vorticoso periferico che si vengono a formare intorno ad un’organizzazione
più lenta distruggono quest’ultima.
L’eccessivo potenziale atomico e le tecnologie che portano ad una distruzione totale
dell’umanità e del pianeta creano una « pace» che oltrepassa tutte le tecnologie. Bernard
Mandeville ha costruito la sua Fiaba delle api sulla base della stessa osservazione: «Vizi
privati, pubbliche virtù».
Secondo Machiavelli la nuova moralità privata, prodotto della moderna tecnologia della
stampa, creava nuovi firii politici. 11 tema si ripresenta in tutti gli ambiti culturali: «Quando il
successo corona la fatica dell’amante, pochi si chiedono se la frode o la forza concorrano al
suo fine».
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CLICHÉ COME CROLLO
Avete assaggiato il vostro verme
Avete fischiato le mie conferenze cli tipo poliziesco
Verrete drenati via nello scolo cittadino.
Il docente ai rei universitari
I prati inglesi sono imbattibili. La nostra speranza finale è
pura disperazione.
William Empson, Livellare il prato
Scivolare lungo la lama di rasoio della vita.
Toin Lehzer
Il modo di girare un film è cominciare con una scossa
tellurica e procedere fino al climax.
C. B. De Mille
Una delle osservazioni più acute sullo stato della lingua inglese apparve sull’« Harper’s
Magazine» nel 191~ quando Wihiam Dean Howelis scrisse: « Da noi americani il gusto
popolare è così pessimo, così incolto e così volgare da insinuare il penoso dubbio se
l’alfabetismo sia un vero test dell’intelligenza e una legittima prova di cittadinanza... Il gusto
letterario degli ebrei russi dell’Est Side* è superiore a quello dell’americano medio
anglosassone ». fl prototipo dell’ebreo adulto, fa notare Leo Rosten, è sempre stato abituato ad
esprimersi almeno in tre lingue. Gli intervalli o le spaccature nette fra queste tre o più lingue
hanno costituito una costante interazione e ispirazione per le comunità ebraiche. La loro
mancanza di una patria si è rivelata uno dei maggiori pregi della loro cultura.
Ogni· « crescita» dei meccanismi tecnologici** è distruzione. E puramente additiva come nelle
città o nelle industrie.
UNA GRANDE CITTÀ È SOLTANTO UN PERCORSO VERSO L’EFFICIENZA,
I BUROCRATI AFFERMANO
«Toronto Daily Star>, 26 marzo 1969
Il noto documentario A Piace to Stand (Un luogo in cui si può stare), girato per l’Expo 1967
da Christopher Chapman, celebra la crescita dell’On~ario con una serie terrificante di
immagini distruttive. E un dramma sullo sbancamento delle risorse naturali e la compressione
di vecchie auto in piccole capsule cubiche, il tutto eseguito in colori folli.
Il famoso film L’incrociatore Potemkin di Eisenstein non è una critica involontaria di un
regime, come un film di Chaplin, ma una satira deliberata. Il commento di Elémire Zolla su L
‘incrociatore Poeemkin attira l’attenzione sull’ilare tecnica della giustapposizione di una
carrozzella scassata contro l’ampia scalinata di un palazzo:
Forse che la critica del regime zarista per per-sudare coloro che sono incapaci di
giudicare in qualsiasi altra maniera, dipende dalla carrozzina nel film L’incrociato re
Potemkin che scende a balzi giù dalla scalinata ad Odessa? Per chi sia consapevole
dei simboli offerti dalla storia, e non «dei dettagli significativi e commoventi» (.gli
stereotipi giornalistici che descrivono abilmente la visione cinematografica della
realtà), soffermarsi su quella carrozzina non è altro che ottusa autoindulgenza come il
* Noto quartiere dell'alta finanza NewYorkese
**Marshall McLuhan prende a prestito il termine hardware (come pure software) dalla scienza dei computer.
[N.d. T.]
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caso di coloro che amano usare parole svilite, maledizioni dialettali e oscenità da
bordello per dar forza a un giudizio politico.[1]
Zolla prosegue con un esempio di pathetic fallacy* di una concretezza fuori luogo, che va oltre
Joyce stesso:
Naturalmente la carrozzina ad Odessa non èabietta in se stessa. E soltanto qualcosa di
elementare, non troppo rigoroso, carico ad un tempo di lucidità concreta e
sentimentalismo stucchevole: un sentimentalismo ed una oggettività incolori, alieni
l’uno all’altro e tuttavia coesistenti, presenti in una maniera subdola e fraudolenta,
poiché la sequenza cinematografica sembra fonderli e mescolarli insieme. [2]
Le Metamorfosi di Ovidio seguono la complementarietà dell’affermazione di Hertz: « Le
conseguenze delle immagini sono le immagini delle conseguenze» e illustrano come «ogni
crescita sia distruzione » che « uccide e crea » a un tempo. La tecnica della metamorfosi come
mutamento chimico avviene con l’interfaccia di due elementi o due situazioni. E così in tutta
la letteratura della metamorfosi vi sono un intreccio primario e secondario, come ad esempio
nel Venere e Adone di Shakespeare con i suoi due insegnamenti: Venere insegue Adone, e
Adone rincorre il cinghiale. Venere annoia Adone fino a stordirlo e il cinghiale lo trafigge a
morte. Dopo un bel po’ di pantomima «i pensieri di lei si misero ancora una volta in moto ».~
Shakespeare infrange tutti i vecchi ciché dell’amore presenti fino a quell’epoca e conclude
maledicendo l’amore. Questa duplicità persiste in tutti i sonetti e le tragedie shakespeariane.
Può l’arte esistere senza di questa? Il film, come «il mondo in bobina», stabilisce subito
un’interrelazione con la realtà.
La terra desolata inizia con una sviolinata** di cliché, che caratterizza tutta l’opera di Eliot.
Con lo hula hoop, i bambini hanno abbandonato l’idea di far roteare il cerchio in modo
lineare, a favore della danza e del coinvolgimento. Lo scontro fra l’uso vecchio e nuovo del
cerchio ha preannunciato un completo cambiamento nei Costumi culturali, dal meccanico
all’elettrico. Quando una bicicletta cessa di essere un veicolo, diventa un giocattolo; lo
testimonia la nuova bicicletta Mustang come esempio perfetto di « passatempi che
appartengono ai tempi passati».
The Great Transformation (La grande trasformazione) di Karl Polanyi è la storia del
passaggio dalla consapevolezza privata a quella collettiva nella società e nella politica del XIX
secolo. La forma del distico che ha dominato la poesia inglese per secoli inevitabilmente
racchiude in sintesi il duplice intreccio:
I giudici affamati la sentenza presto voglion firmare,
E gli sventurati sono impiccati affinché i giurati possan desinare.
Questo è un tipo di haiku che rivela la mostruosità e le lacune della giustizia. I giudici non
hanno fame di giustizia. Sembrano cannibali, come pure i giurati. Qualsiasi cliché spinto al
massimo limite viene scartato a favore di un nuovo cliché, che può essere la riviviscenza di
uno vecchio ovvero di un vecchio cliché come nuovo. archetipo, vecchio archetipo come
nuovo cliché.
Un conoscitore del duplice intreccio secentesco, William Empson, osserva a proposito della
*Espressione coniata da John Ruskin (Modem Pamters, voi. III, parte IV, cap, XII) che denota l’espediente
poetico di attribuire alla natura emozioni proprie dell’uomo. In senso lato la pathetic fallacy si identifica con un
falso sentimentalismo emotivo, derivante da una descrizione eccessivamente appassionata della natura. [N,d.T.]
**Drum-roll significa letteralmente «rullio di tamburo». Nella traduzione tuttavia si perde il trapaaso logico allo
hula hoop, ovvero al cerchio che viene fatto «roteat-e» (talI) dai bambini in modo più o meno tradizionale.
[Nd.T.]
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sua economia logica: « E quindi un pugno sul naso».
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CLICHÉ COME SONDA
La maldicenza, lasciamola bollire nel suo brodo, non è mai riuscita
a condannare il nostro, grande, straordinario, buon Southron
Earwicker, quell’uomo omogenio, come lo ha definito un riverente
autore. [1]
James Joyce, Finnegans Wake
In tal modo viene riflessa la sua personalità come uomo di massa:
sconfinatamente presuntuoso e modesto ad un tempo fino
all’autodistruzione. Se desidera condannare una determinata opera,
egli dice: « Non la capisco»;, e questa è la sua formula per la più
severa condanna, perché se qualcosa resta al di fuori della sua
comprensione, come possono altri osare di affermare che
quell’opera è comprensibile? E poi aggiunge:
«non la conosco bene [2]
Elémire Zolla, Eclissi dell’inellettuale
L’estrema utilità del ciché per tutti gli studenti è illustrata nel seguente passo:
Che cosa è quindi un cliché? Forse un’opinione intellettuale e intelligente non si è
ancora concretata in modo tale da giustificare una definizione. L’Oxford English
Dictionary afferma si tratti di « un’espressione stereotipata, un luogo comune ».
Vorrei (ex cathedra ignorantiae, come il signor Humbert Wolf disse una volta argutamente di qualcun altro) espandere quella definizione e renderla più pratica, più
comprensiva.
L’origine del termine pub esser d’aiuto, poiché, come indica Littré, il cliché è il
participio sostantivato di clicher, una variante di cliguer, « scattare»; clicher è un
termine da stampista per «battere il piombo fuso finché è caldo per ottenere lo
stampo»; per cui un cliché è un’espressione stereotipata — una «frase fatta» per così
dire — e questo senso derivatorio, che è corrente in Francia fin dall’inizio degli anni
Ottanta, giunse in Inghilterra circa nel 1890. Revenons à nos motitons (ciché). Un
cliché è un logoro luogo comune; un’espressione, o frase breve, che è diventata così
trita da far sì che interlocutori attenti e scrittori scrupolosi rifuggano da essa perché
ritengono che il suo uso sia un insulto all’intelligenza del loro pubblico: «Una
moneta così consumata dall’uso da essere irriconoscibile» (George Baker). I cliché
vanno da espressioni ridondanti («Much al a muchness » = molto di molto; « To all
intents and purposes » per tutti gli intenti e scopi), metafore che sono ora insensate
(«Lock, stock and barrei» vendere baracca e burattini), formule che son diventate
convenzionali (« Far be it Irom me to...» = lungi sia da me...) — attraverso.
soprannomi che hanno perso tutta la loro freschezza e la maggior parte delloro
significato (« The Iron Duke » Il Duca di Ferro) — a citazioni nauseabonde (« Cups
that cheer but not inebriate» coppe che inebriano ma non ubriacano) o espressioni
straniere che sono slogan (« Longo intervallo»; «Béte noire ») .~
Eric Partridge, A Dictionary of Clichés
Un insegnante chiese alla propria classe di usare un termine familiare in modo nuovo. Un
ragazzo lesse: «Il ragazzo ritornò a casa con un diché in faccia». Invitato a spiegare la frase,
egli disse: « Il dizionario definisce il cliché “un’espressione logora” ».
La nozione che le nostre stesse percezioni sono cliché modellati dalle molte recondite strutture
ambientali della cultura è stata esplorata a fondo nel nostro tempo. Gli studi si estendono da
The Silent Language (Il linguaggio silenzioso) di Edward T. Hall a Patterns o/ Culture
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(Modelli di cultura) di Ruth Benedict, The Structure of Scienti/ic Revolutions (La struttura
delle rivoluzioni scientifiche) di Thomas Kuhn, Remembering (La memoria) di F.C. Bartlett,
Emotion (L’emozione) di James Hillman e Propaganda di Jacques Ellui.
Ad esempio, Hillman fa notare che «non soltanto la percezione libera energia latente, ma può
anche determinare la formazione di nuovi, inquietanti sistemi psichici che, come nel caso di
Kafka, costituiscono le basi dell’emozione ». Ciò che è comune a tutti questi approcci è la
consapevolezza che il cliché non è necessariamente verbale, anzi è una caratteristica attiva che
struttura e sonda la nostra consapevolezza. Esso svolge molteplici funzioni, dalla liberazione
dell’emozione al ricupero di altri ciché sia dalla vita conscia che inconscia. Il termine vero e
proprio « cliché » deriva dalla stampa — il grande contributo dello stampista al linguaggio. La
stampa era, prima dell’avvento dell’età elettrica, il principale mezzociché per recuperare il
passato.
Il bando del cliché dall’attenzione seria è stato il gesto naturale dei letterati. Il Teatro
dell’assurdo ci ha mostrato alcuni degli usi creativi contemporanei del ciché. Niente poteva
essere più banale di un vecchio cappotto o di un attaccapa~. Yeats ha creato una delle sue
visioni più memorabili per mezzo di queste proprietà:
Poiché si è protetti nel deridere
Ho parlato di apparizione,
Non ho avuto problemi a convincere,
O sembrare plausibile ad un uomo di senno.
Sospettoso di quell’occhio popolare,
Audace o malizioso.
Quindici apparizioni ho visto;
La peggiore un cappotto su un attaccapanni.
W. B. Yeats, The Apparitions (Le apparizioni)
Gli autori di testi sul comporre hanno utilizzato il cliché per quanto ban potuto. A ragione
dicono che il cliché dovrebbe attirare una grande attenzione critica. Il suo vero significato sta
nel fatto che ogni accesso alla consapevolezza è incerto e provvisorio. La più semplice
definizione di ciché è «sondaggio» (in qualunque delle svariate aree di consapevolezza umana)
che promette in-formazioni, ma molto spesso recupera soltanto vecchi cliché. Il punto di
partenza di questo libro è quindi il cliché del tipo « verde come l’cr a » « furbo come una
volpe», « nero come il carbone», « giusto come l’oro». Le somiglianze fra questo tipo di ciché
e il motore d’automobile quale cliché sono spettacolari.
La lingua è, naturalmente, il più complesso e grande artef atto dell’uomo, ogni sua parola si
estende e coinvolge tutta la sua vita sensoriale. Le sue altre tecnologie sono, a confronto,
molto specializzate e frammentarie. Persino gli animali domestici — « Se ami me, ami il mio
cane» o « Ama la tua etichetta, come te stesso» — indicano estensioni sensoriali di profondo
significato umano, anche quando hanno perso il loro valore funzionale di sopravvivenza.
Logan Pearsall Smith in Words and Idioms (Parole e idiomi) [4] elenca famosi idiomi derivati
dall’uso di cani nella caccia e nella punta. Sostanzialmente illustrano le origini genetiche di
tutti i ciché:
To bristie up (drizzare il pelo).
To set by the ears (?) (prendere per le orecchie).
To fly in the lace [teeth] of (sfidare in modo provocatorio, andare controcorrente).
To turn tail (tagliare la corda, letteralmente girarsi sulla coda).
To go off with one’s tail between one’s legs (andarsene con la coda fra le gambe).
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A dog in the manger* (un cane nella mangiatoia).
A lucky dog (un tipo; lett., cane fortunato).
A sly dog (un furbastro).
A hang-dog look (uno sguardo da cane bastonato).
Top dog (il boss).
Under dog (un poveraccio).
Any stick good enough to beat a dog with (un qualsiasi bastone che vada bene a picchiare un
cane).
Love me, love my dog (se ami me, ama il mio cane). Eveiy dog bas its day (ogni cane ha il suo
giorno). Scornlul dogs witl eat dirty pubbings (i cani schizzinosi finiscono per mangiare la
pappa rancida).
A bone of contention (l’osso o pomo della discordia). His bark is worse than bis bite (cane che
abbaia non morde).
Too old to leam new tricks (troppo vecchio per imparare nuovi trucchi).
Not to have a word to throw to a dog (non avere nemmeno una parola per un cane).
L’espressione « tener lontano (con il bastone)» deriva dal combattimento di cani contro un
orso. Il cane genera questi ciché: e attraverso il cane l’uomo sfugge alla necessità di un fine.
To come to a heel (stare alle ~alcagna del padrone).
To hold in leash (tenere al guinzaglio).
To slip the col/ar (togliersi il collare).
To give the slip to (seminare qualcuno).
To hound on (continuare a inseguire, spronare).
To ‘bit it ofi [the scenti (andare d’amore e d’accordo; lett. piacersi o ritrovarsi col fiuto).
To bunt down (cercare la preda finché si trova). To bave a good, or bad, nose br (avere buon
naso, non aver naso per qualcosa).
To run to eartb (cercare finché si trova, risalire fino alle origini).
To run with the bare and bunt (essere sia dalla parte del cacciatore che della selvaggina,
ovvero stare con un piede su due staffe).
To throw to the pack (dare in pasto a).
To throw ofi the scent (perdere le tracce>.
To make a dead set at (impuntarsi).
To be on the rack oI (essere sulle tracce di).
To keep, or lose track of (rimanere sulle> perdere le tracce).
To cover one’s rracks (nascondere le tracce).
In fulì cry (a squarciagola, di cani all’inseguimento; in senso lato grido o protesta collettiva).
In at the death (essere presenti quando viene catturata ed uccisa la preda; ovvero essere decisi
fino alla morte).
A red herring (falsa pista, falsa traccia e, per estensione, come cavoli a merenda).
Hue and cry (caccia spietata; in senso lato, clamore o responso collettivo).
Questi residui verbali derivati dalle tecnologie primordiali dell’uomo illustrano il modo in cui
si sviluppano i cliché. Qualsiasi estensione della vita sensoriale umana come il cane,
l’automobile, imprime numerosi ciché su qualsiasi linguaggio, estendendone la gamma di
indagine.
Tutti i mezzi di comunicazione sono cliché che servono ad allargare il raggio d’azione
dell’uomo, i suoi moduli di associazione e consapevolezza. Questi media creano ambienti che
inibiscono le nostre capacità di attenzione con una sottile penetrazione. I limiti della nostra
*A dog in the manger, uno stupido egoista, letteralmente «un cane nella mangiatoia * (da una favola di Esopo)
che impediva agli altri animali di mangiare il cibo che comunque non poteva utilizzare. [N.d.T.]
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consapevolezza di queste forme non riduce la loro azione sulla nostra sensibilità. Proprio
come la rotazione periferica del’ pianeta determina le zone di alta e bassa pressione, così gli
ambienti creati da estensioni linguistiche o di altro tipo, delle nostre capacità creano
costantemente nuovi ambiti di pensiero e sentimento. Poiché i sistemi simbolici che ne
risultano sono numerosi, essi sono in costante interazione, creando un tipo di spettacolo di
suono e luce, su scala sempre più ampia.
Questi sistemi simbolici reconditi sono completamente falsi, ovvero sono pseudoeventi
risonanti costruiti da noi stessi, poiché derivano dalla psiche stessa dell’uomo. Questo modo
di vedere è espresso in modo memorabile da George Orwell in 1984. Syme, parlando della
lingua del futuro> ne contrappone le finalità: «Non capite che il fine del Nuovo Linguaggio è
di ridurre la gamma del pensiero? Alla fine renderemo letteralmente impossibile il crimine di
pensare, perché non vi saranno parole con cui esprimerlo. Ogni concetto che sarà necessario>
sarà espresso esattamente con una parola, dal significato rigidamente definito, e tutti i
significati secondari saranno eliminati e dimenticati. Ormai... non siamo lontani da quel
punto... Ogni anno le parole diventano sempre meno e la sfera della coscienza si fa sempre più
ridotta...
Alcuni potrebbero chiedersi quale sia la differenza fra la «purificazione » della lingua
auspicata dal metodo scientifico e la «distruzione delle parole». descritta da Orwell.
Orwell parla per i letterati, per cui tutti i modi non verbali di consapevolezza sono opinabii.
Shakespeare amava i cliché gergali del suo tempo quanto Ionesco:
AMLETO: Andrà dal barbiere, insieme con la sua barba. Di grazia> continua; egli
vuole una farsa> o un racconto spinto, o altrimenti dorme. Continua; vieni ad Ecuba.
PRIMO ATTORE: Ma chi, oh> chi aveva visto la regina [imbacuccata].
AMLETO: « La regina «imbacuccata”»?
POLONIa: Questa è buona: la regina «imbacuccata» è proprio budna.
Amleto, atto 11, scena 2
Polonia ha capito l’epiteto «cruciale » del dramma. Amleto è ossessionato (vecchio gergo del
XX secolo) da Ecuba:
Che cosa è Ecuba per lui, o lui per Ecuba,
Ch’egli debba piangere per lei? Che farebbe
Se avesse il motivo e l’incentivo alla passione
Che ho io? Inonderebbe la scena di lacrime,
E spaccherebbe l’orecchio del pubblico con orrendo discorso,
Farebbe impazzire i colpevoli e sbigottire gli innocenti,
Confonderebbe gli ignoranti e lascerebbe attonite davvero
Le stesse facoltà degli occhi e degli orecchi.
Pur io,
Ottuso briccone limaccioso, mi struggo
Come l’uomo sulla luna, non compreso della mia causa
E non so dir nulla; no> nemmeno per un re.
Amleto, atto Il, scena 2
Paradossalmente Amleto si auto-accusa di essere stordito e stupefatto. È il ciché vero e
proprio, o stereotipo caratterizzante l’esibizione dell’attore, che lo scuote. Tale può essere la
funzione del ciché in qualunque momento per chiunque. Inizialmente qualsiasi cliché èun’
apertura verso una nuova dimensione di esperienza. Alfred North Whitehead menziona in
41
Science and tbe Modem World (Scienza e mondo moderno) che la grande scoperta del XIX
secolo è stata la scoperta della tecnica de a sco era. L’arte della scoperta stessa è ora un cliché,
e la creatività è diventata uno stereotipo del XX secolo. Nel Discorso sul metodo, Cartesio
considera l’arte della scoperta contro uno sfondo di sillogismi scartati. Egli riscontra che il
sistema più veloce di risolvere un problema è di scomporlo nelle sue varie parti e di
continuare ad esaminarle, finché nella sua mente « intuisce »una soluzione, ovvero finché si
apre uno spiraglio.
Un altro approccio al ciché è puntualizzare come quanto più profondamente le persone
vengono coinvolte in una cultura tanto meno hanno motivo di innovarla. (Questo problema
viene esaminato ulteriormente nel capitolo Occhio-Orecchio.) Non potrebbe essere tuttavia
che la capacità di perdurare dei ciché, come pure delle vecchie canzoni e ninne nanne, derivi
dal coinvolgimento che richiedono? La cultura letteraria, per definizione, è altamente visiva e
distaccata e genera un grande desiderio di innovazione come mezzo di vitalità. L’approccio
tecnico di ogni cultura viene rivelato laddove vi è la più vasta molteplicità di termini per le
stesse operazioni; ad esempio, gli eschimesi hanno molte parole per « neve». Gli americani
hanno molti termini per indicare le automobili e le danze. Ora la sovrabbondanza di nuove
forme di danza ha posto fine alla nomenclatura relativa alla danza stessa. In Tbe Book of Tea
(Il libro del tè) ci vien detto che la funzione dell’arte è di adattare l’uomo al presente che
muta. In un mondo di infinite innovazioni, l’arte non è mai stata più attiva che nello scorso
secolo. «Fa’ qualcosa di nuovo» è un motto di pura necessità per l’arte contemporanea. E la
novità che produce ciché o sondaggi. Questi, come per Amleto e il Teatro dell’Assurdo,
forniscono lo stimolo alla percezione e al senso traumatico del riconoscimento.
Le circostanze offrono un eterno presente di ciché, che come gli stereotipi sull’urna greca «ci
esasperano (fino al limite del pensiero) ». Marlowe in Dr. Faustus raggiunge il senso eterno
dell’« ora» e del sondaggio-ciché, continuando a reiterare l’avverbio « ora» in posizione
enfatica.
Nelle culture scritte sorge una contraddizione dalla forma stampata, intesa come una
fotografia dei processi mentali. La rivoluzione contro i limiti di questa stasi divenne
universale nel XIX secolo, con il suo interesse per il processo artistico. Pater immortalò questa
nuova ossessione nella sua ingiunzione a « bruciare sempre con fiamma gemmea ».
Il suo allievo preferito, Gerard Manley Hopkins, rivela l’origine tecnica di questo ciché
estetico nei suoi f amosi versi: « iì sottile piacere a cui avevano pensato i padri; il lorte sprone,
vivo e lanceolato come la fiamma di cannello... ». Hopkins fonde gli aggressivi lanceri del
Bengala con la fiamma ossidrica.
Hopldns, in questa allusione, anticipa la valanga dei cliché tecnologici che si è riversata da
Rudyard Kipling (meglio conosciuti ai decenni del sinistrismo come «inzaccheramenti
verbali»). Lo stesso interesse si estende a tutti i campi della biologia, della psicologia e del
sapere.
Tuttavia, le radici della cultura occidentale iniziata con Platone si ritrovano nella scoperta
delle « forme eterne» intese come norma ideale. Con Platone e gli esordi dell’età euclidea
sorse il desiderio di una fissità assoluta di forme geometriche nell’arte e nell’architettura. Il
celere spostamento dell’attenzione sul procedimento come nel caso di Machiavelli, sembrò
allora un tradimento della nostra cultura. Questo spostamento d’enfasi nelle dissertazioni di
Cartesio, Newton, Blake e Darwin doveva essere chiamato dai romantici «l’immaginazione
creativa». Nel teatro del XVII secolo, lago, un opportunista ed artista che foggiò le vite altrui
con il suo potere, presenta il principio creativo nel suo processo. Shakespeare trova necessario
mascherare lago sotto sembianze diaboliche. Nei sonetti di Shakespeare il tema dell’intimo
rapporto fra creatività e distruttività, uomo-donna, diventa un punto cruciale.
Una delle aree più ricche per l’azione di sonda del cliché è nel mondo della terminologia e
della procedura legale. « Ficcare il naso negli affari altrui» costituisce ancora una trasgressione
perseguibile. The Forms of Action al Common Law (Le forme d’azione nel diritto
42
consuetudinario) di F. W. Maitland esplora un intero mondo di cliché legali intesi come
complesse sonde e forme di controllo sull’azione sociale. Nel diritto consuetudinario, o
tradizione orale, la grande complessità e rigidità delle strutture ha prodotto il luogo comune:
dove non c’è rimedio non c’è torto.
Il fattore determinante del ricorso legale viene prodotto dall’ordinanza scritta con cui
l’azione viene iniziata. Fin dai tempi antichi la regola èstata che nessuno può portare
una causa ai tribunali reali di diritto comune senza un’ordinanza regia; troviamo
questa massima in Bracton: Non potesì quis sine brevi agere. Quella regola, possiamo
indubbiamente affermare, non è stata abolita nemmeno ai nostri giorni. La prima
azione che un querelante deve intraprendere per ricorrere ad una Corte superiore di
giustizia è di ottenere una ordinanza scritta. C’è stato tuttavia un grande
cambiamento. [6]
Nell’XI e XII secolo, con l’aumento delle ordinanze, tutti tendevano verso l’omogeneità e la
centralizzazione. Proprio come il testo classico di Henry Maine From Status to Contracì
(Dallo stato sociale al contratto) segue il processo dei mutamenti sociali originati da forme
scritte, così Mitland illustra come vasti Stati sovrani o nazionali siano sorti tramite la stessa
mediazione dell’ordinanza scritta (e il sistema del corriere veloce che si accompagna ad una
burocrazia basata sull’uso della carta):
Ora, tuttavia, che la molteplicità di forme d’azione legale è scomparsa, ora che non
siamo più a lungo tentati a renderle più razionali di quanto non siano, la verità può
essere scoperta e affermata e certamente una parte della verità è che nel corso della
storia delle prime forme di azione legale vi è un elemento di contesa, di ricerca della
giurisdizione. Per capire tali forme non dobbiamo presupporre un sistema
centralizzato di giustizia, un tribunale nazionale o regio onnicompetente... [7]
I vecchi cliché delle testimonianze orali vennero in netto conflitto con le nuove ordinanze
deIl’XI secolo (sotto Guglielmo il Conquistatore) e del XII secolo. L’anno del grande disastro
per la storia britannica non èil 1066 ma il 1086, l’anno di The Domosday Book (Il libro del
catasto).
Molti proprietari terrieri furono espropriati su improvvisa richiesta di « provare » i propri
diritti. La richiesta esigeva prove documentate relative alla proprietà che risalissero ai giorni di
Edoardo il Confessore. Sarebbe difficile trovare un esempio più vivo di ciché legali che
scardinano cliché e che fanno rivivere antichi cliché o archetipi. Tutto ha agito a favore del
centralizzante potere reale. Gli studiosi fin da Maitland hanno scoperto che laddove i
proprietari terrieri individuali erano incapaci di fornire prove documentate dei propri diritti, i
monasteri, a causa della loro grande stabilità temporale e risorse scribali, furono in grado di
contraffare ampie testimonianze scritte dei loro antichi diritti normativi sulle loro proprietà. E
così si formò una massa di falsari come l’Uomo di Legge di Chaucer che potevano produrre
dei « falsi genuini» altrettanto rapidamente di chiunque in tempi più illuminati.
Maitland fa notare un esempio di come un cliché legale possa ispirare un grande dramma: «
Nel regno di Enrico III, Bracton aveva affermato... «Vi possono essere tante forme di azione
legale quante sono le cause che le determinano” ».8 Ciò suggerisce, abbastanza giustamente
per noi, che in ordine di logica, il diritto viene prima del Rimedio. «Dovrebbe esserci un
rimedio ad ogni torto» èil contrario della ricognizione del codice orale per cui:
« Dove non c’è rimedio, c’è torto». Ovvero, con l’avvento della legge scritta il conformarsi
ebbe’ la meglio sulla prassi innovativa. La punizione deve adeguani al crimine. Vi deve essere
una punizione, anche se non vi è rimedio. Ai giorni nostri i giudici, quando emettono sentenze
provvisorie, si rendono conto che le prigioni sono infallibili ricette per forgiare criminali.
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CORRISPONDENZA DI SENSO
Lo scopo mio altissimo
Conseguirò prestissimo
Che la pena al delitto corrisponda
La pena al delitto corrisponda;
Eche ogni prigioniero segregato
Anche riluttante sia considerato
Fonte di innocente divertimento
Di innocente divertimento.
W. S. Gilbert, The Mikado
Allora vi accomoderò io. Hieronimo è di nuovo pazzo.
T. S. Eliot, The V<’aste Lande (La terra desolata)
Non dobbiamo tuttavia contare sull’analogia con la vista per
sostenere la teoria dell’udito.
Edwin O. Boring, The Physical Dimensions o! Consciousness
Che cosa è accaduto al sogno americano?
Ovvero i sette guanciali del tempo che fu*
The Image, or What Happened to the American Dream di Daniel Boorstin è un’interessante
documentazione della necessità delle corrispondenze come criterio di integrità da parte di
letterati sonnambuli. Il professor Boorstin enumera esempi affascinanti di come i nuovi cliché
tecnologici smantellino i vari aspetti del vecchio sogno americano: «Com’è bello il suo
bambino, signora! ». « Questo è niente, aspetti di vedere la sua fotografia». Lo stesso modulo
di «pseudo.avvenimento » viene individuato dal professor Boorstin in tutti i campi della vita
americana, dai notiziari e dagli spettacoli ai viaggi e alla politica. Con l’avvento del cinema e
della televisione anche la classe governante si è trasformata nel culto dell’immagine, in una
sottocultura delle reazioni pubbliche di Madison Avenue. Il sogno americano che è stato
smantellato è naturalmente quello della e strada aperta »che ora è divenuta tutt’uno con la città
del jet.
E. R. Leach, nel suo studio sui Politicai Systems of Highland Burma (I sistemi politici degli
altipiani birmani) dimostra la futilità della ricerca di coerenza e delle corrispondenze letterarie
tra i miti:
Ebbene, in passato, gli etnografi dei Kachin non hanno mai capito questo punto.
Hanno considerato la tradizione come una specie di storia mal documentata. Dove
hanno trovato incoerenze nella documentazione si sono sentiti giustificati nello
scegliere la versione che sembrava con maggiore pro a iità essere quella « vera» o
perfino nell’inventare parti della storia che sembravano mancanti. Un simile
approccio ai dati permette di rappresentare la struttura fondamentale della società dei
Kachin come una società molto semplice. Qualora si riscontri confusione nella
pratica si ritiene che ciò sia dovuto al fatto che quegli stupidi dei Kachin non
capiscano la propria società o non osservino le proprie regole. Enriquez, per esempio,
ha ridotto l’intero sistema strutturale a un paio di paragrafi. [1]
*Il sottotitolo inglese The 7 PiIlows of Was-dom fa il verso alla famosa opera di Lawrence d’Arabia, The Seven
Pillars of Wisdom (I sette pilastri della saggezza). [N.d.T.]
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Charles Moorman nel suo Arthurian Tripeych adotta un approccio mitico abbastanza simile a
quello di E.R. Leach.
È evidente che tutti i difetti di questi possibili modi di considerare il mito in
letteratura possono essere ricondotti ad un unico errore. Il mito èusato correntemente
come una specie di solvente letterario universale; il presupposto sottinteso
sembrerebbe essere: « Riduciamo questa poesia, questo romanzo, questo lavoro
teatrale ai suoi fondamentali ingredienti mitici, strutturali e rituali e metteremo fine a
ogni problema critico». [2]
Nel 1923 T. S. Eliot pubblicò in «The Dial» il suo saggio su « Ulysses, ordine e mito».
È qui che l’uso parallelo dell’Odissea da parte di Joyce ha una grande importanza. Ha
l’importanza di una scoperta scientifica. Nessun altro precedentemente ha costruitp
un romanzo su tali basi: non è mai stato necessario prima d’ora. Quando definisco
Ulysses un «romanzo» non do la cosa per scontata; se lo si considera un’epica, non fa
nessuna differenza. Se non è un romanzo, ciò è dovuto semplicemente al fatto che il
romanzo è una forma che non serve più; è dovuto al fatto che il romanzo, invece di
essere una forma, era soltanto l’espressione di un’epoca che non aveva perso
sufficientemente ogni forma in modo tale da sentire l’esigenza di qualcosa di più
rigido. Joyce ha scritto un solo romanzo: il Portrait; Wyndham Lewis ha scritto un
solo romanzo: Tarr. Ritengo che nessuno dei due ne scriverà mai un altro. Il romanzo
è finito con Flaubert e con James. Penso che poiché erano « in anticipo» sul loro
tempo, Joyce e Lewis provarono un’insoddisfazione conscia o più probabilmente
inconscia per la forma, e di conseguenza i loro romanzi sono più informali di quelli
di una dozzina di brillanti scrittori che non sono consapevoli dell’obsolescenza del
tale genere.
Nell’usare il mito, nello stabilire un parallelo continuo tra l’epoca contemporanea e
l’antichità, Joyce persegue un metodo che altri dovranno perseguire dopo di lui.
Costoro non saranno imitatori, non lo saranno più di quanto non lo sia lo scienziato
che usa le scoperte di Einstein per svolgere le proprie ulteriori ricerche in modo
autonomo. Si tratta semplicemente di un modo per controllare, ordinare, dar forma e
significato a quell’immenso panorama di futilità ed anarchia che è la storia
contemporanea. È un metodo che già Yeats aveva adombrato e della cui necessità
credo Yeats fosse il primo tra i contemporanei ad essere consapevole. È un metodo
che nasce sotto buoni auspici.
La psicologia (così com’è, sia che la prendiamo sul serio o per scherzo), l’etnologia e
The Go/den Bougb hanno contribuito a rendere possibile quello che era impossibile
soltanto pochi anni fa. Invece del metodo narrativo, ora noi possiamo usare il metodo
mitico. Si tratta, lo credo sinceramente, di un passo avanti per far sì che nel mondo
moderno siano possibili l’arte, oltre che quell’ordine e quella forma che Aldington
auspica con tanta convinzione. E soltanto coloro che avranno conquistato la propria
disciplina in segreto e senza alcun aiuto, in un mondo che offre pochissimi aiuti in tal
senso, potranno essere di qualche utilità nel portare avanti tale conquista. [3]
Eliot è piuttosto esplicito a proposito del mito inteso come struttura di paralleli senza
connessioni. La forma mitica è necessariamente doppia. La sua doppiezza è una questione non
di corrispondenze ma di creazione, non cli « specchio » e di riflesso, ma di, « lampada» e di
illuminazione. Attorno al mito si è creato un gran numero di malintesi nella mente dei
letterati, perché è naturale per il letterato cercare la corrisoondenza come criterio di verità,
perfino in campo scientifico. Nell’introduzione al suo libro Politicai Systems o! Highland
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Bunna, E. R. Leach scrive:
Ammetto che le differenze culturali siano significative da un punto di vista strutturale
ma il semplice fatto che due gruppi di persone siano di cultura diversa non implica
necessariamente —come è stato quasi sempre ritenuto — che esse appartengano a
due sistemi sociali del tutto diversi. In questo libro io do per scontato il contrario. [4]
Leach si diede molto da fare per correggere l’inopportuno e irrilevante atteggiamento «
speculare» che pervade il pensiero non solo antropologico ma anche letterario:
Penso sia onesto dire che la maggior parte degli antropologi sociali britannici
considerano il mito da un punto di vista molto simile a quello adottato da Malinowski
nel suo noto saggio Myth in Primitive Psychology (Il mito nella psicologia primitiva).
Secondo questo punto di vista, il mito e la tradizione devono essere considerati
innanzitutto come una sanzione o uno statuto per l’azione rituale. L’azione rituale
riflette la struttura sociale ma è anche una ricapitolazione drammatica del mito... [5]
James Joyce si spinge molto oltre con considerazioni di questo stesso tipo quando mette in
relazione il mito e il rituale con il processo della percezione sensoriale:
Raccolgo la tua riprovazione, il dono equino di un amico,
Poiché il premio del tuo risparmio è il prezzo
della mia spesa.
Possono le castorputtane strapparunamabilbacio
se senilpolluci le abbandonano
O può Culex sentir prurito se Pulex non lo stuzzica?
Un locus da amar, un termine da sconcertar,
Questi due sono i gemelli che contrassegnano l’Homo Vulgaris. [6]
Joyce analizza con cura la natura del processo conoscitivo man mano che viene esteso alle
nostre tecnologie. Ogni estensione crea un nuovo ambiente che produce mutamenti e nuove
motivazioni in quello precedente. Il vecchio e il nuovo ambiente sono i « gemelli» che ci sospingono continuamente avanti in un ininterrotto processo di trasformazione. Eliot, Joyce e
Pound non hanno mai cessato di sottolineare l’importanza di questo processo complementare
di individuazione di corrispondenze per la comprensione della poesia e dell’esperienza umana.
Il lettore di The Mirror and the Lamp può facilmente adattare ai ruoli complementari del ciché
e dell’archetipo l’eccellente capitolo di M. H. Abrams su Le mutevoli metafore della mente.
Abrams dimostra con quale ricchezza Wordsworth e Coleridge abbiano contribuito
all’interscambio fra la mente e la natura esterna:
A cui entrambi danno vita e vi mantengono Un equilibrio, un nobile interscambio
D’azione dall’esterno e dall’interno;
L’eccellenza, la pura funzione, e la miglior potenza
Sia dell’oggetto visto che dell’occhio che lo vede. [7]
Mentre la società industriale produceva nuovi cichésonda, i poeti e gli artisti furono parimenti
d’accordo nel ricuperare la vecchia società agraria sotto la forma di archetipi. Si trattava
ancora una volta del Petrarca e di Le Rovine di Roma. Il mondo agricolo e artigianale della
tecnologia pre-industriale divenne presto un regno pastorale di integrità primigenia. Allo
stesso modo, il diciassettesimo secolo ha mostrato la sua disapprovazione nei confronti degli
estremi a cui è giunta la cultura della stampa nell’esaltare l’idea della «luce interiore». Il
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professor Abrams attira la nostra attenzione sui « Platonici di Cambridge» a questo proposito,
cercando di far corrispondere la luce esterna che emana dal libro con la luce interiore dello
spirito:
Simili metafore della mente erano prevalenti soprattutto nella filosofia dei « Platonici
di Cambridge», seguaci in realtà più di Plotino che di Platone, che Wordsworth aveva
letto e che Coleridge aveva studiato a fondo. In questi scrittori la figura familiare
dello spirito dell’uomo, visto come candela del Signore, si prestava facilmente a far
sì che l’atto della percezione fosse immaginato come una fiammella di candela che
proiettasse la sua luce sul mondo esterno. Citerò alcuni stralci da un capitolo di An
Elegant and Learned Discourse of the Light of Nature di Nathanael Culverwel,
perché serve come utile compendio delle analogie usate per la mente come ricettore o
come proiettore, come specchio o come lampada. Il Discourse è stato scritto prima
che la generale conoscenza del significato implicito nelle opere principali di Hobbes
avesse acuito i punti di contrasto, e Culverwel si accinge a « descrivervi, con quanta
imparzialità possibile, lo stato di questa gran Controversia». In tale disputa, egli
ritiene che Platone e Aristotele siano stati i principali protagonisti.
«Lo Spirito dell’uomo è dunque il Lume del Signore», egli dice, perché il Creatore,
che è egli stesso « fonte di Luce», ha dotato e adornato questa «parte inieriore del
Mondo, di Lumi dell’Intelletto che risplendessero a lode e onore del suo Nome... [8]
« Il fine della poesia», ha scritto Wordsworth, « è di produrre eccitazione in concomitanza con
l’intensificarsi del piacere. L’effetto della poesia è di rettificare i sentimenti degli uomini». I
poeti sono divenuti ancora più inclini a controbilanciare con la propria arte la bruttezza
specifica sempre più evidente attorno a loro. Il professor Abrams osserva:
Ci stiamo ormai avvicinando allo stereotipo del poète maudit, dotato di un’ambigua
sensibilità che lo rende ad un tempo più benedetto e più maledetto degli altri membri
di una società, dalla quale, per destino innato d’eredità, egli è escluso. [9]
La tendenza dell’artista romantico è quindi di divenire una sonda della società. Per lo meno
altrettanto quanto lo scienziato, l’artista ha iniziato a usare i suoi sensi e la sua arte come
strumento (scientifico) di investigazione. Col passare degli anni Paura antisociale dello
scienziato e dell’artista ha rivelato la tendenza a fondersi con l’immagine del criminologo. Il
Dupin di Poe è un esteta e un investigatore ad un tempo, come Poe e i simbolisti in genere.
Abrams evidenzia il cliché dell’azione di sondaggio del poeta:
Coleridge è stato definito a ragione il maestro del frammento... Eppure nel campo
della critica ha sviluppato quanto ha attinto da altri scrittori in uno strumento
speculativo che per perspicacia, e soprattutto per possibilità di applicazione
all’analisi dettagliata delle opere letterarie, non ha pari tra i teorici organici tedeschi
[10]
Come spiega Dwight Culler in The Imperial Intellect, fu proprio l’abbozzo cli Coleridge per
un’enciclopedia che forui a Newman la sua Idea of a University (L’idea di università).
La storia della scienza fornisce un eccellente materiale per osservare l’esitazione dello
scienziato nella sua ricerca, prima che il nuovo paradigma o la nuova ipotesi possano essere
messi perfettamente a fuoco:
La storia della ricerca nel campo dell’elettricità intorno alla prima metà del
diciottesimo secolo fornisce un esempio più concreto e meglio conosciuto del modo
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in cui si sviluppa una scienza prima di acquistare il suo primo paradigma
universalmente accettato. In quel periodo c’erano quasi altrettante teorie sulla natura
dell’elettricità quanti erano gli sperimentatori importanti in tale campo: uomini come
Hauksbee, Gray, Desaguliers, Du Fay, Nollett, Watson, Franklin e altri. Le loro
numerose concezioni sull’elettricità avevano tutte qualcosa in comune — erano
parzialmente derivate da una o dall’altra versione della filosofia meccanicocorpuscolare che guidava tutta la ricerca scientifica del tempo. Per di più erano tutte
componenti di teorie scientifiche vere e proprie — teorie che erano state in parte
ricavate dalla sperimentazione e dall’osservazione e che determinarono parzialmente
la scelta e l’interpretazione dei problemi ulteriori affrontati nella ricerca. Eppure,
anche se tutti gli strumenti riguardavano l’elettricità e se la maggior parte degli
sperimentatori erano a conoscenza dei lavoro degli altri, le loro teorie non avevano
altra somiglianza che una certa aria di famiglia.”
Thomas S. Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions
La fiaba di Cenerentola che sta alla base dell’intreccio principale di My Fair Lady
(l’adattamento del Pygmalion, Pigmalione, di Shaw, ad opera di Lerner e Lowe) è un
· ricupero del mondo ottocentesco dell’industria meccanica che aveva prodotto in serie una
nuova alta borghesia di notevole entità. La tecnica industriale della ripetizione precisa acquista
nuova forza dai ritmi musicali, che oltre a tutto intensificano l’ironia della disumanizzazione
attraverso cui si conseguono sia il modo di parlare meccanizzato che la produzione
meccanizzata. A questa classe era stata fornita dalle nuove scuole pubbliche una speciale
uniformità nel modo di parlare. Si trattava di un modo di esprimersi che inconsciamente
mimava la macchina stessa (come osservava spiritosamente T. S.. Eliot quando Madame
Sosostris parla al suo cliente:
« Dica alla cara signora Equitone... »). Parlare con la precisione meccanica di una macchina è
stato un aspetto della maschera comica adottata collettivamente per decenni dall’alta
borghesia inglese. Acquisire questo comportamento è non solo facile ma è anche
sconvolgente. Si tratta di assumere vocalmente le tecnologie del secolo, come fece a modo suo
Chaplin, quasi si trattasse di una vendetta e di un rovesciamento.
Prima il jazz americano e ora i Beatles inglesi hanno esteso il comportamento verbale della
bassa borghesia fino a farne accettare l’immagine. Tali ampliamenti mimetici dell’esperienza
ordinaria sono infatti cliché altrettanto allettanti e gratificanti quanto il cinema o l’automobile.
La mimica della meccanizzazione costituisce quindi l’intreccio secondario di My Fair Lady.
Non si tratta tanto di un cliché archetipale quanto di un cliché tecnologico che acquista
intensità proprio per il fatto di non risultare in primo piano. Se riusciamo ora a capire gli strani
processi per cui un archetipo antico può essere trasformato in un cliché ambientale avremo
forse acquistato una delle fondamentali capacità di comprendere molti altri processi.
Il laureato è stato un grande successo perché l’azione drammatica mimava la nuova tecnologia
elettrica e tribalizzante. Ben disprezza «la plastica». Altrettanto avviene nel Teatro
dell’Assurdo, le cui discontinuità mimano la nuova tecnologia nella stessa misura in cui la
forma a mosaico della stampa telegrafica aveva preannunciato i processi del Simbolismo e del
Surrealismo.
49
COSCIENZA
Ciò che io chiamo “immaginazione uditiva” è il senso delle sillabe e del ritmo, che penetra molto al di sotto del
livello cosciente del pensiero e sentimento, dando nerbo ad ogni parola; sprofondando nel più primitivo e
dimenticato, ritornando all’origine e riportandosi indietro qualcosa, alla ricerca dell’inizio e della fine. Essa
funziona attraverso i vari significati, senza dubbio, ma anche non necessariamente nella loro accezione ordinaria,
e fonde il vecchio, l’obliterato e il trito con quanto è quotidiano, nuovo e sorprendente, la mentalità più antica
con quella più civilizzata. [1]
T.S. Eliot
Nelle società arcaiche, «i popoli del sogno», la vita cosciente viene sommersa da immagini cli
quanto l’uomo civiizzato ricaccia nell’inconscio. La coscienza individuale viene raggiunta con
strategica ignoranza e repressione. Il diritto dell’uomo alla propria ignoranza può essere
considerato il st~o principale mezzo per conseguire un’identità privata. E stato fatto notare
che una delle tecniche del poeta e dell’artista è di escogitare delle situazioni che dislocheranno
la mente nella consapevolezza. L’inconscio potrebbe venir chiamato il « lavaggio» del
presente come la stampa e le altre tecnologie sono mezzi di ricupero del passato.
Byzantium (Bisanzio) di Yeats inizia così:
Le immagini impure del giorno recedono;
Gli ebbri soldati dell’imperatore si sono ritirati;
Recede la risonanza della notte, il canto del vagabondo nella notte
Dopo il gong della grande cattedrale... [2]
Yeats ritiene che il sonno sia un processo di purificazione delle immagini del giorno tramite
un ricorso, o prova, ciò che d’altronde costituisce l’intera azione del Finnegans Wake:
...cancellati tutti i suoi sensi-peccato, mortali e veniali... escremenziati liberamente
come qualsiasi bevitore di birra [3]
Leggere ad una velocità media di poche centinaia di parole al minuto spinge la maggior parte
del libro nell’inconscio, mentre leggere velocemente a parecchie migliaia di parole al minuto,
evidenziando la danza dei significati a spese della parola e della sintassi, è il Teatro
dell’Assurdo poiché sfida il lettore con i ciché del pensiero. Joyce è ovunque comicamente
cosciente di ciò:
Tuttavia concentrarsi soltanto sul senso letterale o persino sul contenuto psicologico
di qualsiasi documento a scapito dei fatti che li determinano è, contro il buon senso
(e si aggiunge pure il gusto più sicuro) come lo fu un tizio... subito a correr via e
visualizzarla grassoccia e insignificante al naturale, preferendo chiudere gli occhi
pronti ad ammiccare all’etica dell’etichetta, dopo tutto, lei stava indossando, in quel
preciso momento, capi d’abb~igliamento decisamente all’avanguardia... [4]
La città come mezzo per elevare la coscienza umana incrementando l’intensità delle interrelazioni umane riceve un raccapricciante trattamento da Norman Mailer in Miami and the
Siege 0f Chicago (Miami e l’assedio di Chicago):
...i famosi recinti per il bestiame di Chicago erano vuoti di notte come i binari morti
della luna. In effetti già molto prima che la Convenzione democratica del 1968 si
svolgesse nell’anfiteatro di Chicago; diciotto anni fa, quando il reporter vi fece la sua
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unica visita precedente, la zona era ancora deserta di notte, vuota come le trincee su
un campo di combattimento dopo che la battaglia è passata. Ad ovest dell’anfiteatro, i
binari ferroviari sembrano continuare per miglia, accompagnati da quegli stessi bassi
e massicci capannoni più vasti di armerie, con recinti per decine di migliaia di
animali convulsi, bovini, pecore e maiali, bestie in un’orgia di ingozzamenti, sterco e
attesa nell’acre atmosfera di sangue...
Gli animali si passavano una scossa psichica all’indietro lungo il carrello pensile — e
ciascuna gola sgozzata evocava un urlo di morte nella gola non ancora tagliata, subito
dietro; e proprio quella penultima gola avrebbe aumentato il voltaggio, spingendo la
corrente sempre più indietro nelle urla di ogni animale, penzolante a testa in giù, dal
cingolante carrello pensile, mentre scoperte lampadine elettriche accecavano gli occhi
e i cervelli degli animali, gorgoglii e terrificanti cupi suoni, risonanti dai canali aperti
delle giugolari tranciate, come se la morte fosse una rapida lungo un fiume
sotterraneo, e la paura e l’angoscia totale degli animali morenti più avanti a capo in
giù ritornassero lungo il cavo del carrello, indietro per tutta la lunghezza fino ai
recinti e agli stazzi, all’indietro addirittura fino ai binari morti dove gli animali erano
ancora nei vagoni, indietro, chi poteva sapere — che potesse essere così alto il
voltaggio psichico degli animali — all’indietro fino alta fattoria dove erano
inizialmente spinti dentro il camion che li avrebbe portati al treno. Ebbene, l’odore
delle viscere e di quel sangue agonizzante, elettrificato da tutti i neon esterni
dell’ultima paura penetrava dentro al terriccio fetido del recinto. [5]
Mailer si concentra sullo spazio cosmico del più grande « macellaio di porci del mondo». La
città come vasta terra desolata, raccolta di rifiuti o museo di artefatti è il tema di tutte le epiche
dall’Iliade all’ Ulisse. La città come centro di coscienza è anche un vasto cumulo di ciarpame
di ciché scartati, il cui recupero impone loro un carattere archetipico: «Con questi frammenti
io ho puntellato le mie rovine» (T. S. Eliot, The Waste Land, Terra desolata) JJoseph Frank discute in Memorie di una casa morta di Dostoevskij in termini che danno una
rigorosa forza iconica alla divisione fra classi letterate e illetterate in una società feudale~ Nei
confronti del contadino, l’uomo colto è ben protetto: «Voi della piccola nobiltà, rostri di ferro,
ci avete divorato».
Certi temi ricorrono in Memorie di una casa morta come un ritornello ossessivo, che appare
dapprima nei quattro capitoli iniziali — che servono da overture — e poi riecheggiano
ripetutamente nei capitoli successivi. Il tema più ricorrente e diffuso di questo tipo è senza
dubbio quello dell’odio del contadino russo per la classe colta — l’aristocratico o membro
delta «piccola nobiltà » — che si distingue in Russia principalmente per la sua educazione e le
sue abitudini piuttosto che per qualsiasi sostanziale attributo di status... Poiché soltanto
quando un membro della piccola nobiltà era costretto a vivere fra i contadini come uno di loro
poteva capire veramente i loro sentimenti. « Questi (la piccola nobiltà) sono divisi dai
contadini da una frattura insormontabile», dice ai suoi lettori, che appartengono tutti alla
prima categoria, e « questo diventa evidente so Itanto q uando un gentiluomo viene
completamente privato, per forza delle circostanze esterne, dei suoi privilegi precedenti e
viene trasformato in un contadino ». [6]
Nell’età elettrica i nostri sensi e le nostre energie fuoriescono come un nuovo tipo di ambiente
collettivo e corporativo. Come tale, questo ambiente d’informazioni del « tutto e subito» e del
ricupero istantaneo rende difficile per i giovani accettare le finalità specializzate e la coscienza
frammentaria dell’uomo specializzato del XIX secolo. Libri come The Catcher in the Rye (Il
giovane Holden) di J. D. Salinger, e film come Il laureato suggeriscono nuovi ruoli per le
nuove generazioni. I ruoli sono in qualche modo antitetici alle finalità. Dall’inizio alla fine de
51
Il laureato Ben indossa una maschera tribale impassibile. Messo a confronto con i genitori e il
loro ambiente, gli viene offerta l’unica immagine inclusiva di coinvolgimento nella vita: « In
una parola, Ben, plastica ». Il termine « plastica » è venuto a significare il falso, l’Et~atz. Il
laureato semplicemente presenta Edipo alla rovescia. L’agon dell’eroe consiste nello
scardinare la sua identità privata e ripiombare nel complesso tribale. Egli è sedotto dalla
propria « madre » e fugge con la propria «sorella».
Senza incesto, a detta dei genisti, non potrebbe esserci alcuna specie. L’incesto è senza dubbio
radicalmente conservatore. In un mondo dove tutto è mutamento, la creatività richiede la
conservazione delle mutazioni.
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DUBBIO
Dubito ergo sum sono le parole con cui iniziava originariamente Il discorso cartesiano.
Berkeley rispose: Debeo ei~o possum. ìì « dubbio » deriva da « doppio » o « eco», ovvero da
dubbi ossessionanti. Geoffrey Ashe ci dice in ìtrthur’s Avalon che la Chiesa celtica, a
differenza della Chiesa romana, fu ossessionata da un senso del qualcos’« altro». La cultura
orale porta facilmente alla sensazione che qualcosa è stato tralasciato. Forse questa è l’origine
del nostro sentimento di déjà vu, la sensazione di essere già stati « in un certo posto». Gli
intervalli-lacune creano le condizioni di massima partecipazione.
Le culture letterate tendono a dire: « Non posso credere ai miei occhi». Il detto popolare dice:
«Vedere e credere, ma toccare è la verità stessa di Dio». La fede viene dall’udire udito, e lo
scetticismo è inconcepibile in una società pre-letterata. La tecnica del dubbio come nuovo
mezzo ciché di indagine fu introdotta nel XII secolo con il Sic et Non di Pietro Abelardo. I
suoi doppioni si protrassero fino al XV secolo quando Nicolò Cusano li sviluppò nella
dottrina delta « dotta ignoranza», come tecnica scientifica di sondaggio. Biathanatos di Donne
è un capolavoro di ironia a difesa del suicidio:
Donne, credo, fu un altro Che non trovò sostituito al senso,
Per afferrare, stringere e penetrare;
Esperto oltre i limiti dell’esperienza,
Egli conosceva l'angoscia del midollo
Il brivido dello scheletro;
Nessun contatto possibile alla carne
Placò la febbre delle ossa.
T. S. Eliot, Whispers of Immorality
Shakespeare, all’inizio del Re Lear, nel famoso sfoggio di sofismi con Cordelia, gioca sul
significato del termine «nulla». Esso può voler dire: « Se tu non sapessi nulla», oppure: « Se tu
mi annullassi», se tu distruggessi me, io distruggerei te. Le figlie alla fine della prima scena
capo-. volgono il « nulla » in « qualcosa » conservando un significato distruttivo: « Dobbiamo
fare qualcosa e di getto». Edgar pensa che quel « qualcosa » che lo perseguita sia «il sozzo
demonio», una sorta di nullità. Viene lasciato a Cordelia il compito di «annullare il nulla», di
distruggere la distruzione. Nel pensiero di Hegel, la negazione della negazione è la Fenice, il
mondo quale teatro delle forme.
53
EMOZIONE = SENTIMENTO
La mia vera natura e sentimento.
Otello, atto I, scena 1
È questo un pugnale che vedo davanti a me?
Macbeth, atto Il, scena i
Perché chi sopporterebbe le sferzate e gli insulti del
tempo...
Che il paziente merito riceve dagli indegni,
Quando egli stesso potrebbe fare
La sua quietanza con un semplice pugnale?
Amleto, atto III, scena 1
Il tema deve essere strappalacrime; deve affermare: Ogni casa è ridotta a singhiozzo,
che quindi non dobbiamo prendere seriamente, e soprattutto dobbiamo essere sicuri
che un’improvvisa variazione spontanea non ci renderà consapevoli della nostra
rassegnata e costante sottomissione. L’uomo di massa viene irritato non solo da
residui di composizione impegnata ma anche da indizi di preparazione accurata da
parte dell’esecutore. E qui nuovamente affiora la sua sconfinata presunzione che si
rifiuta di rispettare in un altro essere un tratto di nobiltà conferito dall’educazione, in
questo caso musicale, e allo stesso tempo la sua modestia auto-annichilente, che lo
porta ad adorare con gli occhi fuori delle orbite il suo idolo o stella, o comunque egli
possa chiamare l’esecutore inesperto e puerile di motivi monotoni. Quindi la vera
massima dell’uomo di massa è questa: so di essere un verme, ma così son tutti gli
altri... [1]
Elémire Zolla, Eclissi dell'intellettuale
Nel suo studio, Emotion (Emozione), James Hillman fa notare:
.. l’immagine del coltello provoca paura soltanto quando quell’immagine ha elementi in
comune con l’istinto... L’immagine del coltello fa sorgere l’emozione quando fa parte di un
complesso inconscio (represso), imposto da forze istintive. Mentre per Jung il complesso a cui
l’immagine del coltello viene associata ha una specifica essenza archetipale che è la vigorosa
forza trascinante del complesso e fa sì che l’associazione, da un punto di vista dell’energia sia
possibile... L’immagine 41 coltello è divenuta in tal modo un simbolo. Ha un aspetto in parte
conscio ed esposto come pure un aspetto parzialmente inconscio, nascosto ed indefinito... O,
in altri termini, l’immagine conscia è una causa eflicéens, mentre l’immagine inconscia è una
causa formalis che si congiungono nel simbolo, dando vita all’emozione. [2]
Come conclusione della sua approfondita analisi delle teorie dell’emozione James Hillman
commenta il passo classico dal Fedro di Platone sui cavalli selvaggi della passione:
Usiamo il simbolo del mito di Fedro perché abbiamo esaurito ìe spiegazioni
razionali. Il fenomeno dell’emozione è sempre parzialmente estraneo alta coscienza.
Non possiamo mai sapere fino in fondo che cosa sia l’emozione, a che cosa porti o
che cosa metta in moto. Resta un evento simbolico; l’emozione è un «dono»,
sosteneva William James. Ma non, come pensava, in dono della carne o dello spirito,
bensì un dono sia della carne che dello spirito. Così il pericolo insito nel fatto che è
un dono, può essere una maledizione o una benedizione inaspettata. Non si potrà mai
completamente capire perché la psiche nel suo complesso non possa venire afferrata
54
dalta sola coscienza. L’emozione perciò èsempre un rischio. Per essere compresa,
deve essere vissuta.. [3]
Il termine « simbolo » è in se stesso una situazione di trait d’union che è consona con
l’approccio cli Hillman al complesso emotivo. In breve tutte le varianti dell’emozione
possono essere considerate sonde come le parole poign4nt (pregnante) e thrill (brivido: da
thirl, foro o perforazione), touchy (suscettibile), edgy (tagliente), drained (esausto) ecc.
L’emozione come sonda di cliché recupera molti cliché più vecchi « dal negozio da rigattiere».
L’espressione joyciana « il bosco di Birnam (burning ardente) è giunto a Dunsiname (dante
inane = a danzare inane)» è il tema principale del Finnegans Wake. Questa svela anche il
motivo stimolante del cambiamento e dell’innovazione che si ritrova nel sermone del fuoco,
di Budda:
Ogni cosa, Bhikkhus, è in fiamme. Che cosa, Bhikkhus, è in fiamme? L’occhio è in
fiamme, il visibile è in fiamme, la conoscenza del visibile èin fiamme, il contatto con
il visibile è in fiamme, la sensazione che deriva dal contatto con il visibile è in
fiamme, sia essa di piacete, di dolore o nè di piacere nè di dolore. Da che cosa è
acceso il fuoco? Dalla fiamma della lussuria, dalla fiamma dell’odio, dalla fiamma
della delusione è acceso, dalla nascita, età, morte, dolore, lamento, sofferenza, pena,
disperazione> è acceso, così io dico. L’orecchio... dico. Il naso... dico. La Imgua. dico. Il corpo... dico. La mente... dico.
Conoscendo ciò, Bhikkhus, il saggio, che segue il sentiero ariano, ed è erudito nella
legge, diventa stanco dell’occhio, stanco del visibile> stanco della conoscenza del
visibile, stanco del contatto del visibile, stanco della sensazione che sorge dal
contatto con il visibile, sia essa di piacere, dolore o nè di piacere nè di dolore.
Diventa stanco del dolore.., all’orecchio. Diventa stanco del dolore.., al naso. Diventa
stanco del dolore.. - alla lingua... Diventa stanco del dolore.., al corpo. Diventa stanco
del dolore.., alta mente.
Quando è stanco di queste cose, si svuota di desideri. Quando è privo di desiderio,
diventa libero. Quando è libero, sa che è libero, che la rinascita è prossima, che la
virtù si è realizzata, che il dovere è stato compiuto e che non vi è più ritorno a questo
mondo; questo egli sa.4
Willham Empson, Collected Poems
James Hillman continua così: « La stessa distinzione nei tipi di “moto dell’anima” si può
trovare in un libro cinese della vita. Vi è un movimento che si basa sulla separazione soggettooggetto... Oggetti esterni suscitano risposte istintive. Ma un secondo tipo di moto che parta dal
“cuore” è privo di oggetto».
Per la maggior parte degli uomini vi è solo il tipo di emozione che si riferisce al nostro «
essere animale», che è « appassionato » perché il suo moto è locomozione. L’emozione è il
trait d’union, la connessione funzionale fra soggetto e oggetto. E l’Eros (flusso di relazioni)
attraverso il Caos (breccia).
Ciò che Hillman non sottolinea è che la «rottura» o «breccia», è lo spazio di contatto o di tatto
e coinvolgimento. La parola stessa «emozione» è una rottura rinsaldata, per così dire. Hillman
indica l’altro aspetto di noi stessi, « ciò che è peculiare alla nostra “condizione umana”».
Questa allora è «appassionata non solo perché il suo moto è locomotorio ma anche perché il
suo moto e la sua emozione fanno parte del processo di alterazione, crescita e decadimento...».
In termini di formazione della identità umana possiamo dire che l’emozione è «il movimento
privo di oggetto dell’auto-realizzazione».
Perciò imparare a tollerare l’emozione è un’importante disciplina. Abraham Maslow in
55
Eupsychian Management nota: « La calma del capo (mi rifiuto di chiamarlo addestratore che
mi ricorda l’addestratore di orsi e dei cani), il modo in cui può forse sopportare l’ostilità o
restare calmo quando qualcuno piange, va contro corrente rispetto alla sfiducia degli
Americani nell’emozione, sia negativa che positiva o al loro disagio riguardo ad essa,
soprattutto se è profonda».’
Maslow solleva l’intera questione della violenza nel mondo dello spettacolo e nella società:
L’intera discussione sull’ostilità dovrebbe essere sollevata in modo più fruttuoso
dagli psicologi. Ad esempio si potrebbe certamente dire, anche nei pochi giorni che
sono lì LLake Arrowbeadi che ho visto persone allenarsi ad esprimere apertamente
ostilità. Questo costituisce un enorme problema nella nostra società. Alcuni arrivano
a pensare che questo sia il principale problema che si pone allo psicanalista, piuttosto
che quello che Freud ritenne essere il problema principale nel 1890-1900: la
sessualità repressa... [6]
L’ostilità e la violenza sono direttamente associati al recupero dell’identità soppressa e alle
minacce all’identità, come avviene in periodi di rapida transizione. Ciò che Maslow sta
discutendo qui è affermato da James Hillman:
Un’altra alternativa per curare l’emozione per mezzo dell’emozione è scegliere un
emozione che trasformi e riordini le altre. Per dirla in maniera efficace, liberiamo
tutte le fonti d’emozione, se ne viviamo una pienamente. Questa è la strada della
passione. L’emozione spesso caldeggiata in letteratura è l’amore, ma il patriottismo,
l’odio razziale, l’ambizione, l’indulgenza sessuale possono essere altrettanto utili,
purché l’emozione scelta venga vissuta in pieno e fino in fondo... [7]
56
ENDIADI: CLICHÉ COME DOPPIA SONDA
Fammi strada, benigna gallina! L’hanno fatto sempre: chiedete al passato. Ciò che il volatile ha fatto ieri, l’uomo
può farlo l’anno prossimo, sia che si tratti di volare, cambiare le penne, covare, mantenere l’accordo nel nido. 11
suo senso socioscientifico è sano e vegeto, caro signore, la sua automutarività ornitologica giusto nella norma: lei
sa, lei sente che in un certo senso è nata per deporre e amare le uova... [1]
Jemes Joyce, Finnegans Wake
L. P. Smith in Words and Idioms (Parole e idiomi richiama l’attenzione su una misteriosa
proprietà del linguaggio e cioè sull’inestirpabile potere delle endiadi. La parola greca per
queste strutture hendiadys (« uno mediante due ») attira l’attenzione sul termine greco per «
parola», mythos. Attraverso un’interfaccia, le endiadi creano nuove forme di ciò che James
Hillman chiama «unità isomorfica» nella sua opera Emotion. Espressioni come « canto e
danza», « parole e musica » attirano l’attenzione sui diversi sensi e media che si riscontrano
nelle endiadi. Si tratta di una delle figure retoriche preferite da Shakespeare: « I colpi di fionda
e le frecciate della fortuna oltraggiosa»; « Gemere e sudare»; « Giacere in un freddo
irrigidimento e imputridire»; « Qui su questa riva e secca del tempo». Si nota un uso popolare
di tale forma in Freud e Jung, Gilberte e Sullivan, Wordsworth e Coleridge, Barnum e Bailey,
Platone e Aristotele, arte e vita, dolcezza e luce.
La gente sembra prediligere queste espressioni come se si trattasse di marchi di fabbrica o di
articoli di consumo, anche se non sa niente su questi individui o « articoli »; per esempio
Didone ed Enea, Paride ed Elena, Tristano e Isotta.
Nessuno si è mai chiesto perché « rose e fiori» sia più efficace di «rose o fiori». Perché «birra
e birilli »* dovrebbe continuare ad essere un’espressione efficace quando quasi nessuno sa che
cosa sono questi « birilli»? Il divario o l’interfaccia abrasiva fra tali componenti sembra
risuonare nella mente con grande forza come in «papà e mamma», «l’uno e i molti», «lui ed
io»**, « contro-anarchia», «la carne e il diavolo».
Queste coppie di parole si basano sia sulla ripetizione che sulla variazione delle componenti
del suono. Se non si ripete la consonante, nelle vocali c’è spesso un contrappunto o una
cadenza marcata oppure c’è armonia. Proprio come l’ossimoro è un paradosso breve o
compresso, così l’endiadi può essere formata da una compressione di miti (teniamo presente il
termine mythos che significa parola). Molte percezioni possono concorrere alla formazione di
una singola parola e queste endiadi possono essere un modo utile per osservare il processo di
formazione della « parola»: la parola entro la parola, incapace di pronunciare una parola.
Oppure è come la scultura nascosta nella pietra che aspetta di essere liberata dall’interfaccia,
dall’impatto con qualche altra parola o strumento? Un aspetto molto più ampio di questo
stesso processo di formazione di miti delle unità isomorfiche è studiato da Ernst Kantorowicz
in The King’s Two Bodies.
W. K. Wimsatt tratta la questione della duplice visione e della metamorfosi che l’accompagna
in Hatelul Contraries:
La mia opinione è che gli scrittori inglesi dell’età augustea, nelle loro espressioni più
caratteristiche fossero poeti irridenti un’irrealtà accentuata. Il mondo che l’arguzia
degli Augustei trovava più divertente e che era oggetto delle visioni più profonde era
una realtà invertita e caotica, l’irrealtà della « parola non creativa» — il vero «non*«It Is not all beer and skittles> del testo originale è un’espressione equivalente a «non sono tutte rose e fiori*,
Skittles è un gioco tipico dei pub inglesi e consiste nell’abbattere dei birilli (skìttles> con un disco o una palla di
legno. [N.d.T.]
**«The Egg and I» ovvero “L’uovo ed io”, titolo di un best-seflcr di Betty MacDonald, pubblicato nel 1945.
[N.d.T.]
57
significato» che è «più sconcertante dell’arguzia». Il tratto caratteristico del poeta
augusteo era l’arte di irridere l’irrealtà con la forza redentrice dell’arguzia — di
illuminare con una visione prospettica e ordinata un ammasso caotico di materiali
irreali.
È proprio così, nonostante tutte le dichiarazioni in senso contrario che gli stessi poeti
augustei possono aver pronunciato e nonostante tutte le regole che i critici successivi
possono aver enunciato, tanto è vero che l’età augustea è la diretta incorporazione
della realtà ideale, della ragione e della luce: «una luce chiara, immutata e
universale». [2]
Alcuni esempi dell’uso dell’endiadi in Shakespeare illustrano immediatamente come possa
essere complessa e arguta tale figura retorica. In « To lie in cold obstruction and to rot»
(Misura per misura, III, 1, 119) il termine «obstruction» è di per se stesso uri’endiadi di due
parole latine obstrudo e obstruo (sono elencate una dopo l’altra in Thesaurus Linguae
Romanae et Britannicae, 1584, del Cooper, un’opera che ripaga ampiamente l’attenzione di
qualsiasi studioso di Shakespeare). Cooper dà questa definizione di obst>,ido: «Marcire,
interrare profondamente una cosa e nasconderla sotto terra». Immediatamente sotto riporta
obsrmo: « Chiudere, ostruire, innalzare un edificio, nascondere alla vista altrui». In « To lie in
cold obstruction and to mt» Shakespeare fonde tutti questi significati in un’endiadi.
Lo stesso avviene nel celebre verso del Macbeth di Shakespeare: «Here upon this bank and
school of time» che i curatori hanno spesso emendato in « Here upon this bank and shoal o/
time» (Macbeth, I, 7, 6). Le due aeree semantiche che costituiscono l’endiadi sono suggerite
dalle parole « to trammei up» (intrappolare), e « each us bloody instruction» (ci danno
sanguinosa istruzione). In questo caso l’endiadi intrappola due aeree semantiche. «Bank» era il
termine eisabettiano per «banco di scuola». (Anche il termine « trammei net», tramaglio, è in
se stesso un esempio interessante di doppia area semantica. Il tramaglio è costituito infatti da
due reti, una a maglie sottili e una a maglie larghe. Il pesce sospinge la rete sottile in uno dei
grossi buchi della rete a maglie larghe.)
58
GENERI
Molti dei moderni approcci alla teoria dei generi furono anticipati da Shakespeare. Il prof.
Frye ha posto la questione con sintesi matematica: « La base della distinzione generica in
letteratura sembra essere il radicale della presentazione». [1]
Anche Amleto va al cuore della questione nel suo incontro con gli attori: « Poi giunse ciascun
attore sul suo asino». Polonio è più circostanziato nella classificazione dei modi in cui, come
dice il prai. Frye, «le parole possono essere recitate di fronte ad uno spettatore... ». [2] Polonio
recupera le sue forme archetipali da un patrimonio molto più vasto di retorica tradizionale di
quella da cui attinge il prof. Frye:
POLONIO: I migliori attori del mondo, sia per la tragedia, commedia, istoria,
pastorale, pastorale-comica, storico-pastorale, tragico-istoria, tragico-comicoistorico-pastorale, scena indivisibile o poema illimitato. Seneca non può esser troppo
pesante, né Plauto troppo leggero per il regolamento e la licenza... Questi sono i soli
attori.
Amleto, atto Il, scena 2
Lavorando esclusivamente con la parola stampata, il prof. Frye ha sviluppato una
classificazione di forme letterarie che ignora non soltanto il processo della stampa, in quanto
ha creato uno speciale tipo di scrittore e di pubblico, ma anche tutti gli altri media.
La critica, notiamo rassegnatamente cii passant, non ha parole per il singolo
individuo, che è parte del pubblico di un autore, e il termine stesso’ « pubblico» non
copre certo tutti i generi, poiché è alquanto illogico descrivere i lettori di un libro
come pubblico.[3]
In questo secolo l’effetto dei mezzi di comunicazione non stampati sulla letteratura è stato
altrettanto incisivo quanto sulla psicologia e antropologia, da cui il prof. Frye deriva molte
delle sue categorie di classificazione. La rivista « Time» del 7 marzo 1969 discute il crollo
della psicanalisi nell’età del viaggio interiore. Lo staff editoriale del « Time» non ha idea del
perché « i giovani lunghiani e facilmente freudizzati» siano ora superati come « Getting
Gertie’s Garter». L’avvento della « tribulazione» (uomo retribalizzato) nell’età della
televisione ha posto fine alla condizione dell’isolamento personale che ha suscitato
l’attenzione di Sigmund Freud. E. R. Leach in Runaway world? (Un mondo fuggitivo?) spiega
come la ferrovia abbia contribuito a sparpagliare vasti gruppi affini di estrazione europea nel
tardo XIX secolo. La f a-miglia « nucleare» o iso a a i apà, mamma e bambini imponeva ai
singoli individui tensioni interpersonali insopportabili. Anche il sesso è stato un elemento di
separazione della vita sociale collettiva nell’età meccanica. Oggi, con un sempre più rapido
incremento dell’informazione e dei viaggi, la frammentazione della vita sociale è tornata ad
assumere ancora forme collettive. L’unisesso non è omossessualità ma complementarietà. Le
classificazioni della psico-analisi sono irrilevanti alle generazioni della tv.
L’antropologia ha subito un analogo irrigidimento delle proprie categorie da quando le
telecamere sono state poste nelle mani degli « indigeni» perché registrassero le proprie arti e
cerimonie. George Puttenham, in The Arte of English Poesie (L’arte della poesia inglese),
osservò nel 1589 che l’inglese standard poteva essere considerato «l’idioma ordinario della
Corte e della città di Londra e delle contee attorno ad essa, entro quaranta miglia e non oltre...
ma in questo caso siamo già guidati dai dizionari inglesi e altri libri scritti da uomini di
cultura... » (libro III, capitolo 4).
Il mondo legale è pieno di generi teatrali, come è facile illustrare, citando F.W. Maitland:
59
la legge inglese conosce un certo numero di forme d’azione, ciascuna con il proprio
nome inconsueto, un’ordinanza di diritto, un’assise di nuova espropriazione coatta o
di morte d’ancestor, un’ordinanza d’ingresso sur disseisin nel per e cui, un’ordinanza
di besaiel, di quare impedit, un’ azione di querela per inadempienza contrattuale, un
debito, una detenzione, una rivendicazione, una trasgressione, un contratto non
registrato, un esproprio, una causa. Questa non èuna scelta meramente fra un certo
numero di strani termini tecnici, ma fra i metodi di procedura adattati a casi di
diverso genere. [4]
Tuttavia gli studiosi medievali indicano come sia praticamente impossibile avere un
dizionario medievale, poiché gli autori definivano i loro termini nell’atto dello scrivere.
Guardando a questo aspetto di continuo cambiamento nel linguaggio, Pope osservò: « Come è
Chaucer così sarà Dryden». Era questo flusso nel linguaggio che secondo molti il dizionario
(1755) del dr. Johnson frenava.
Ignorando la tradizione orale delle culture pre-letterate e post-letterate, il prof. Frye elabora un
sistema di classificazioni che si applica ad un recente segmento di tecnologia e cultura umane,
un segmento che si sta rapidamente dissolvendo. Se ci si limita alle categorie della letteratura
stampata elencate dal prof. Frye, l’intera storia dei generi da Omero a oggi — un argomento
arricchito da migliaia di poeti e studiosi in commenti espliciti della propria opera — è
rassegnatamente ignorata. Oggi l’intero mondo della poesia rock e delle forme correlate del
jazz, del canto, del dialogo e della danza ha creato un mondo complesso di generi che nessun
professore di letteratura può ignorare se si preoccupa di mantenere un contatto con i suoi
studenti. Gli interessi della letteratura non vengono serviti in realtà ignorandone i rivali.
L’antropologia, la psicologia, la sociologia hanno tutte fornito all’uomo contemporaneo nuovi
generi di letteratura visiva ed egli è, inoltre, infinitamente affascinato da essi. I viaggi interiori
iniziarono con i simbolisti, molto prima di Jung e Freud, con Coleridge, De Quincey,
Baudelaire, Poe e con Lewis Carroti. Oggi il genere è vasto come l’arte psichedeica e ha
termini specifici per le membra del corpo e per gli atteggiamenti fisici e mentali, come «
abitué de 11 a droga», « degli acidi», « scorta», «tran tran », « in», « uno delta narcotica », «
colto in flagrante », « un brutto trip », « sfasato », « sballato», « su di giri», « scoppiato».
Ancora un altro atteggiamento viene indicato dalla preferenza per gli acronimi,
nell’identificazione delle droge, quali STP, LBJ, THC, LSD.
Il mondo di The Silent Language (Il linguaggio silenzioso) esplorato da Edward T. Hall ha
svelato il mondo dei generi. Il malcontento elisabettiano stile Vindici ha proliferato nel mondo
del’ giallo, forse il maggior genere letterario del nostro secolo. W. H. Auden inizia il suo
saggio sul genere del giallo sotto il titolo « Il vicariato colpevole» e con l’epigrafe: « Non
conobbi peccato che con la legge» (Ai Romani, 7,7).
UNA CONFESSIONE
Per me, come per molti altri, la lettura di racconti polizieschi è una forma di
assuefazione come il fumo o l’alcol. I sintomi di tale assuefazione sono, innanzitutto,
l’intensità del desiderio. Se devo fare un lavoro, devo stare attento a non prendere in
mano un romanzo poliziesco perché, una volta cominciato, non posso lavorare o
dormire finché non l’ho finito. In secondo luogo, la sua specificità, la storia, deve
conformarsi a certe formule (trovo molto difficile, ad esempio, leggerne una che non
sia ambientata nell’Inghilterra rurale). Terzo, la sua immediatezza. Dimentico la
storia non appena l’ho finita, e non ho alcun desiderio di leggerla di nuovo. Se, come
succede talvolta, comincio a leggerne una e dopo .un paio di pagine mi accorgo che
l’ho già letta prima, non riesco ad andare avanti. [5]
60
Auden è un classificatore che non capisce il punto principale del processo di coinvolgimento
dei giallo. Come la poesia simbolista che richiede molto coinvolgimento, esso è scritto
all’indietro. Tuttavia, Auden fa attenzione ai lettori di questo genere come parte della sua
definizione: « Suppongo che il tipico lettore di romanzi gialli sia, come me, una persona che
sof fra di senso di colpa. Egli trova che il genere lo escluda da altre forme di letteratura di
“evasione” ».
Il romanzo di spionaggio è una variante del giallo, che drammatizza il processo decisionale ai
più alti vertici del potere. La tragedia più affascinante di Shakespeare, l’Amleto, è
un’anticipazione di questo thriller di spionaggio e controspionaggio: questa storia di spie per
porre fine a tutte le storie di spie. La ricerca è sia interna che esterna, come viene esemplificata
oggi da Agatha Christie in Murder al ter Hours:
Lei gli sorrise.
«E un affare, M. Poirot?».
È stato certo uno sforzo per Hercule Poirot dire: « No, signora, non è un affare».
Egli voleva, voleva veramente, lasciar perdere la cosa semplicemente perché Lucy
Angkatell gliel’aveva chiesto.6
Il racconto poliziesco in cui i personaggi non hanno contorni da fumetto ma godono del
trattamento realistico da romanzo convenzionale è uno stranissimo ibrido.
Nel racconto poliziesco la linea narrativa è confusa; essa viene interrotta deliberatamente e
manca delle importanti connessioni, di cui il romanzo psicologico si serve per rivelare il
carattere. Quando il personaggio viene spinto all’estremo della convenzionalità e dotato di
contorni inclusivi che racchiudono contemporaneamente tutte le sfaccettature del carattere,
vien meno la funzione narrativa.
Nel suo libro The Old Drama and the New (Il vecchio e nuovo dramma), William Archer
traccia il processo opposto secondo cui, nella storia del dramma, la caratterizzazione si è
spostata dai personaggi convenzionali elisabettiani al realismo pittorico del XIX secolo. Il suo
libro apparve subito dopo I’ Ulysses (Ulisse) e The Waste Land (La terra desolata), in cui vi è
un improvviso ritorno di personaggi iconici fissi. Stephen Dedalus, Leopold Bloom e Gerty
McDowell sono forme piatte ed iconiche, formate e colme di esperienze collettive
antichissime. Un paradosso analizzato in questo libro è che il piatto ciché sia una forma
enormemente più ricca e più profonda di qualsiasi cosa che possa essere conseguita dal
realismo pittorico e dalle sfumature più delicate di chiaroscuro. Lo stesso vale per la pittura.
La piatta icona ha molteplici strati di significato, laddove l’illusione prospettica
tridimensionale necessariamente si specializza in una sfaccettatura alla volta.
La figura del vendicatore nel dramma elisabettiana, la figura del malcontento è una forma di
recupero del signore medievale e feudale. La dissoluzione del sistema sociale medievale
significò la liberazione dell’individuo da un coinvolgimento profondo nei ruoli sociali. Questo
è esattamente il processo con cui il realismo ha soppiantato i ruoli sociali stilizzati ed iconici
come appaiono nel Prologo chauceriano. L’emersione sociale dell’individuo dal ruolo
collettivo è stata parallela all’ascesa del realismo in psicologia e nella narrativa. Il realismo è
specializzazione e frammentazione. Qualunque cosa diminuisca la frammentazione,
diminuisce pure il realismo. Questo è il motivo per cui il circuito elettrico, nel creare nuovi
moduli integrali di organizzazione sociale, ricrea anche moduli iconici nella vita quotidiana,
come pure nelle arti.
Se il malcontento elisabettiano era una figura di disagio e dissoluzione sociale, tale è pure
l’investig~itore moderno o detective. Questa figura guarda in due direzioni. Egli da una parte
è orientato verso il recente passato dell’autoconsiderazione e iniziativa individuali. Dall’altra,
tuttavia, come ricercatore e indagatore, egli guarda al presente. Egli è così alquanto ambiguo.
Amleto pure ha un duplice orientamento, come del resto tutta la visione shakespeariana. Da un
61
lato vi è un profondo impegno verso il passato feudale e le sue gerarchie di valori, dall’altro vi
è anche la consapevolezza di un presente autocosciente e dubbioso. Oggi viene espressa in
forma drammatica la stessa ambiguità fra il conscio e l’inconscio, fra l’individuale e il
collettivo. Nell’Atene del V secolo esisteva un’ambiguità simile fra il mondo orale e mitico di
Omero ed Esiodo e il nuovo individualismo della cultura scritta. Questo stato di irrequietezza
appare ovunque nel dramma greco oltre che nel simbolismo moderno. Zolla commenta:
Ma a differenza di Melville, Poe tentò di adeguarsi a inventare nuovi generi adatti al
nuovo stile d’esistenza. Così egli scrisse in una lettera a Longfellow nel 1841: «Non
ho bisogno di richiamare la vostra attenzione ai segni dei tempi, per ciò che riguarda
la letteratura da rivista. Dovete ammettere che la nostra epoca tende ad andare in
questa direzione, almeno per quanto riguarda la letteratura meno impegnativa. Il
breve, succinto e facilmente divulgabile prenderà il posto del prolisso, tedioso
in~cessibile ». [7]
Forse superiore in portata e popolarità al giallo è il western. The Vitginian (Il virginiano) di
Owen Wister potrebbe esserne stato un prototipo. Il tema verte sulla ricerca dell’identitià nella
zona di frontiera fra due mondi. The Virginian è uno stereotipo dell’uomo occidentale civile,
distaccato, dotato di equilibrio e aristocratico. In frontiera, ciascuno è nessuno e deve
cimentarsi ogni giorno. Non ha un «posto» nel mondo. Quindi il western è un paradigma della
condizione umana in una società in rapido mutamento e in crescita.
Il costume ritualistico e funzionale del cowboy, indossato in un ambiente poco condizionato
dagli artefatti umani, ha reso il westem una forma naturale per i mezzi di comunicazione sia
cinematografici che televisivi.
Uno dei generi di maggior successo in quest’epoca èl’intitolazione stessa del libro come «
giallo». Essa coinvolge il lettore in titoli quali: Time and Western Man (Il tempo e l’uomo
occidentale); The Revolt o/ the Masses (La rivolta delle masse); The Manageriai Revolution
(La rivoluzione manageriale); The Organization Man (L’uomo dell’organizzazione); The
Affluent Society (La società opulenta); Time, Space and Architecture (Tempo, spazio e
architettura); The Impossible Theatre (Il teatro impossibile); Management and Machiavelli
(Management e Machiavelli); Gods, Graves and Scholars (Dei, tombe e studiosi); The Hidden
Persuaders (I persuasori occulti); Doctors and Drugs (I dottori e le droghe); The Death of God
(La morte di dio); The Double Helix (La doppia Elica); The Biological Time Bomb (La
bomba biologica ad orologeria). Rimpiazzando le enciclopedie dei secoli antecedenti, tali libri
sono tutti «guide alla comprensione». Management and Machiavelli di Jay, ad esempio, usa lo
stesso modulo inclusivo dell’ Ulisse joyciano; e sfrutta il recupero della figura di Machiavelli,
come sondaggio delle moderne tecniche manageriali. La sua importanza rispetto alle pratiche
manageriali è tqttavia subordinata al suo attacco all’« Io» del lettore. E una droga che
inorgoglisce l’io e come tale esplora un particolare gruppo di lettori.
In « TV Guide» Mgrya Mannes fa riferimento ad un altro genere e chiede: « Quando mai
matureranno i tele-romanzi a puntate?». Lo sceneggiato a puntate è un genere significativo,
come pendane alla commedia western.
A differenza della rozza commedia western pionieristica, il romanzo a puntate, secondo lei
... riguarda sostanzialmente un tipo di America:
la confortevole vita suburbana dei protestanti, della media borghesia bianca; le case
sempre impeccabilmente linde e ultraconservatrici; gli uomini di professione
avvocato, dottore o piccolo commerciante o appartenente all’ambiente giornalistico;
le donne sempre perfettamente petti-nate e vestite elegantemente; le forze del bene e
del male in netta opposizione; l’amore trionfante infine sugli ostacoli che avrebbero
62
messo in difficoltà Io stesso Eros [8]
Marya Mannes ritiene che dovremmo avere un nuovo genere basato sugli ideali dei letterati
liberali del XIX secolo, che tratterebbe logicamente di donne coi capelli perfettamente in
ordine, sedute al loro posto dirigenziale. In una parola, di studentesse attiviste, di candidate al
sit-in.
Peter Farb, nel suo studio Man’s Rise to Civilization (L’ascesa dell’uomo alla civiltà) discute
la «False Face»* degli irochesi, di cui dice: « La False Face in realtà non dovrebbe essere
considerata una maschera, poiché non intendeva nascondere nulla». Quanto dice è interessante
ma inadeguato, perché egli prosegue a parlare delle maschere come di « ritratti in cui il
soprannaturale si è reso manifesto ».~
L’autore di un breve articolo su «Newsweek» vede tuttavia più in profondità:
I MAESTRI DELLA MIMICA
Un buon mimo può calarsi in una personalità e indossarla come fosse un vestito.
Talvolta basta azzeccare una voce, come i toni striduli di John Wayne, che cigola
come una sella western nuova di zecca... [10]
Lo stesso approccio serve per una scena più remota:
Gli antenati mitici degli aborigeni australiani sono l’uomo e l’animale
simultaneamente, e talvolta l’uomo e la pianta. Queste figure, come sappiamo già,
sono chiamate totem: vi è il canguro, l’opossum e l’emù. Ciascuno di questi èuomo
ed animale ad un tempo; agisce sia come uomo che come animale particolare, ed è
consi. derato l’antenato di entrambi.
Che cosa dobbiamo pensare di queste figure arcaiche? Che cosa rappresentano in
effetti? Se dobbiamo capirle, dobbiamo ricordare che esse sono viste come esseri
appartenenti all’età del mito, un periodo in cui la metamorfosi era il dono comune di
tutte le crèature e costantemente praticata. E stato spesso indicato come il mondo
fosse fluido a quel tempo. Non solo un uomo poteva trasformarsi in qualsiasi cosa,
ma egli aveva anche il potere di trasformare gli altri. Nel flusso ~versale risaltano
certe figure che non sono altro che particolari metamorfosi fissate e rese permanenti.
La figura a cui gli uomini si aggrappano, che diventa la tradizionale dispensatrice di
vita e di cui si è parlato ripetutamente, non è l’astrazione di una specie animale, non è
il canguro o l’emù, ma un canguro che è anche uomo, o un uomo che volendo potrà
diventare un emu...
La maschera si distingue da tutti gli altri stati terminali di trasformazione per la sua
rigidità. In luogo del movimento continuo e vario del volto essa presenta l’esatto
opposto: una perfetta fissità e uguaglianza. La disponibilità perpetua dell’uomo alla
trasformazione è chiaramente espressa nella mobilità del suo volto. Il gioco dei suoi
lineamenti è molto più ricco e più vario di quello di qualsiasi animale ed egli ha
anche la più ricca esperienza di trasformazione. È incredibile quanti cambiamenti
possa subire un volto nel corso di una sola ora. Se si avesse il tempo di studiare tutti i
movimenti e ie espressioni che vi si avvicendano si sarebbe stupiti del numero di
trasformazioni feconde che esso rivela.[11]
Una delle aree più vaste dello studio del genere e della pratica riguardava il decorum o
*False Face (Faccia falsa), tipo di maschera usata dagli indiani irochesi dell’America nord-orientale per
esorcizzare i demoni che li fanno ammalare. Si tratta di una maschera di legno di tiglio intagliata dall’albero
stesso in quanto essi ritengono che in tal modo la maschera risulta «viva» perché possiede la vita della pianta.
[N.d.T]
63
proprietà delle diverse forme d’abito e d’espressione nelle diverse circostanze. Ciò viene
trattato succintamente ed in maniera definitiva da Quintiiano (35-100 d.C.). I suoi principi di
oratoria hanno posto la questione in questi termini:
Vi è un’altra triplice divisione secondo cui, si dice, possiamo differenziare tre stili di
linguaggio, tutti corretti. Il primo è descrittivo, il secondo aulico ed autorevole, il
terzo intermedio. La natura di questi tre stili è, in senso lato, come segue. Il primo
sembrerebbe il più adatto ad istruire, il secondo a commuovere e il terzo ad
affascinare o, come altri ~suggeriscono, ad accattivarsi il pubblico; per l’istruzione la
qualità più richiesta è l’acume, per l’accattivamento la gentilezza, e per suscitare le
emozioni la forza. Di conseguenza è soprattutto con lo stile descrittivo che
affermeremo i nostri dati e avanzeremo le nostre prove, sebbene bisogni tenere a
‘mente che questo stile è spesso sufficientemente ricco di per sé, senza nessun
intervento da parte degli altri due. Lo stile intermedio ricorrerà più frequentemente
alla metafora e farà un uso più allettante di simboli, mentre introdurrà affascinanti
digressioni, sarà netto nel ritmo e gradevole nelle sue riflessioni: scorrerà tuttavia con
grazia come un fiume le cui acque son limpide, ma ombreggiate da verdi sponde su
entrambi i lati. Ma colui la cui eloquenza è simile ad un impetuoso torrente che
trascina con sé delle rocce e «disdegna un ponte » e si scava le proprie sponde, si
toglierà il giudice di torno combattendo come può e lo costringerà ad andare dove lo
porta... Così è lui che ispirerà rabbia o pietà, e mentre parla il giudice si appellerà agli
dei e piangerà seguendolo dovunque lo trascini, da un’emozione all’altra, senza più
chiedere nemmeno istruzioni. Perciò se uno di questi tre stili deve essere prescelto a
scapito degli altri, chi esiterà a preferire questo stile agli altri, visto che è di gran
lunga il più forte e il meglio adatto ai casi più importanti? Poiché Omero stesso
attribuisce a Menelao un’eloquenza tersa e gradevole, esatta (in questo senso si
intende «il non far errori con le parole») e priva di ogni ridondanza, qualità queste del
primo tipo: ed egli sostiene che dalle labbra di Nestore fluivano parole più dolci del
miele, più suasive di quanto si possa immaginare sia un grande piacere; ma quando
‘egli cerca di esprimere il dono supremo dell’eloquenza posseduto da Ulisse, gli dà
una voce poderosa e una veemenza oratoria pari alle nevi invernali nell’abbondanza e
nel vigore delle sue parole. «Con lui, allora», egli dice, «non può contendere nessun
mortale, e gli uomini lo guarderanno come un Dio ».. Sono questa forza ed impeto
che Eupolis ammira in Pericle, e che Aristofane paragona ad un tuono, a costituire il
potere della vera eloquenza. [12]
Laddove l’epica classica — l’« enciclopedia tribale », come Eric Havelock la chiama nella sua
Introduzione a Platone — riguardava il gruppo, la « città», l’epillio era eziologico, ovvero
riguardava le cause naturali e la scienza naturale. Era perciò per i pagani il mondo degli dei e
delle forze naturali dell’universo. Le metamorfosi di Ovidio corrispondono all’I Ching.
Nel Medioevo e nel Rinascimento la forma pastorale dell’epillio era precipuamente teologica.
come in Dante, Spencer e Milton. Nella poesia moderna la preoccupazione per la causa e
l’effetto in una società di rapidi cambiamenti riportò in risalto la forma del breve
componimento epico con Pound, Eliot e Joyce, per menzionare soltanto alcuni nomi.
L’unico studio approfondito di questa forma è The Epyllion from Theocritus to Ovid (L’epillio
da Teocrito a Ovidio), che è discusso nell’Introduzione a Tennyson di Marshall McLuhan:
... La cosiddetta arte del breve componimento epico (idillio ed epillio) era una forma
tardo-greca, connessa a rituali magici. Fu soprattutto coltivata da Teocrito, che era il
poeta preferito di Tennyson. Teocrito e la scuola alessandrina erano direttamente
responsabili della « nuova poesia» di Catullo, Ovidio e Virgilio. L’opera di Teocrito,
64
Catullo, Ovidio e Virgilio, maestri dell’epillio, necessita d’essere conosciuta per
qualsiasi approfondita comprensione della tecnica di Tennyson nella poesia narrativa.
Ma la tecnica discontinua dell’epillio è in pari tempo la chiave alla forma d’arte di
Dubline>~, The Waste Land e The Cantos.
Il
prof. Crump descrive l’epillio in questi termini:
«... un breve poema narrativo. La lunghezza può variare e in effetti varia
considerevolmente, ma pare che l’epillio non abbia mai superato la lunghezza di un
singolo libro, e probabilmente la lunghezza media consisteva di 400 o 500 versi.
L’argomento era talvolta semplicemente un episodio nella vita dell’eroe o
dell’~roina, epica, talvolta una storia completa, la tendenza dell’autore era quella ad
usare racconti poco conosciuti e possibiJxnente ad inventarne di nuovi. Più tardi gli
alessandrini e i romani preferirono le storie d’amore e di solito concentrarono
l’interesse sull’eroina... Viene usata frequentemente la forma drammatica, e di solito
vi si trova almeno un lungo discorso».
... Laddove l’epica ciclica, come in Omero, opera soltanto sul piano narrativo della
ricerca spirituale dell’individuo, il breve componimento epico, quale fu scritto da
Ovidio, Joyce e Pound è la «storia della tribù ». In altre parole, non è tanto la storia
della ricerca individuale della perfezione, ma piuttosto una storia di colpa e punizione
collettiva, un tentativo di giustificare all’uomo le vie del Signore. Da questo punto di
vista In Memoriam, come i Sonetti di Petrarca, è un ciclo stagionale di brevi
componimenti epici o idilli nella forma della ricerca individuale. E gli Idylls o/the
King (Gli idilli del re) costituiscono la ricerca collettiva, il racconto della tribù. I
dodici idilli seguono il ciclo zodiacale, ogni libro corrisponde fedelmente al carattere
tradizionale delle dodici « case» dello zodiaco. Seguendo il percorso tradizionale
dello zodiaco, Tennyson fu in grado di comporre nell’arco di un lungo periodo i suoi
dodici idilli nell’ordine che gli sembrò più conveniente.
Il modulo della ricerca collettiva conferisce la prominente nota della salVezza a Gli
idilli del t~’ e spiega la sua filosofia della storia. « L’ avvento di Arturo » è in tal
modo l’avvento dell’eroe della cultura, e le lotte di Arturo con le forze demoniache
della terra sono il tema del ciclo. La dualità maschile-femminile della maggior parte
di Gli idilli del re di Tennyson può essergli stata suggerita da un aspetto simile di
ciascuna casa dello zodiaco. Ogni casa diurna di ciascun pianeta viene localizzata in
un segno maschile positivo, e la sua casa notturna in un segno negativo o femminile.
[13]
L’epillio è in origine un cerimoniale ritualistico liturgico pastorale, stagionale e collettivo
come indicano le parole d’apertura di The Waste Land (La terra desolata):
« Aprile è il mese più crudele >*. L’incontro con Stetson che segue attira l’attenzione all’uso
tipico della doppia maschera dell’interazione fra intreccio principale e secondario, e del
coinvolgimento di due pubblici diversi. Eliot aveva evidenziato l’importanza di questa forma
nel suo saggio Ulysses, Order and Myth (Ulisse, ordine e mito) in cui attira l’attenzione
sull’uso di questa duplice forma sia da parte di Yeats che di Joyce. Egli insiste inoltre che
questo è l’unico mezzo per dar ordine all’anarchia del nostro tempo. Il breve componimento
epico, come l’epica ciclica che lo precede, incorporava una solida erudizione. Questo avviene
oggi per mezzo di allusioni esoteriche, per compressione e con il recupero celato ed ironico di
cliché popolari.
Il teatro plurimediale, che si esprime con musica, danza, canto, recitazione, mimo ecc. è
ovviamente un sondaggio ed un’esperienza multipla. Questo significa che una varietà di
pubblici ne sono attratti, sondati o trasformati allo stesso tempo. L’allegoria potrebbe anche
essere affrontata come un’esperienza multigenere. Every-man (Ognuno), ad esempio,
investiga sia l’individuo comune come membro della società commerciale del tardo Medioevo
65
che il suo consigliere clericale. La Divina Commedia dantesca investiga tre o quattro livelli
diversi di pubblico o lettori. In primo luogo Dante si rivolge al clero, poi ai suoi connazionali
o concittadini, ed infine allo studioso dei classici. L’allegoria moderna, come Il processo olI
castello di Kafka, sonda ancora una volta sia il lettore totalitario che antitotalitario. Gran parte
delle opere d’arte hanno un aspetto quasi allegorico.
Sarebbe facile enumerare molti generi contemporanei come quelli esemplificati da Henry
James e il suo « spettatore intrappolato» o Kafka e i suoi «prigionieri». Le utopie e antiutopie
abbondano come genere. Il mondo del cinema ha prodotto molti generi legati all’eroe, al
malvagio e allo sciocco. Harold Rosenberg in The Tradition oI the New sottolinea come Marx
caratterizzi «il dramma storico» che il suo proletariato dovrebbe recitare senza costumi, senza
scambi di identità o ruolo, senza assoluti categorici. In effetti Marx come creatore di generi
riepiloga le caratteristiche dell’immagine di gruppo che egli è intento ad esplorare, ovvero il
proletariato.
Uno dei generi più prolifici del nostro tempo proviene dal ritorno alla maschera o immagine,
così necessaria alla vita collettiva del commercio e della politica. Il termine pei~ona era il
nome della maschera dell’attore romano, da cui deriviamo l’idea della persona umana.
Puttenham fa un’osservazione interessante sulla maschera in The Art of the English Poesie
(L’arte della poesia inglese), libro 1, capitolo 14:
La vecchia commedia aveva usato le maschere, ma la nuova commedia era recitata a
viso scoperto fino ad un certo Roscius Gallus, l’eccelso attore romano che introdusse
queste visiere che vediamo tutt’oggi usate in parte per supplire alla mancanza di
attori quando c’erano più parti che persone, oppure quando non si riteneva cortese
importunare il principe invadendo le sue stanze con troppa gente. Ora con un cambio
di maschera un attore può essere agevolmente il re e il carrettiere, la vecchia nutrice e
la giovane damigella, il mercante e il soldato o qualsiasi altro personaggio.
Il mondo di Ezra Pound si basa sul ripristino dell’idea della maschera come modello
d’energia. In tal modo ogni poesia, dipinto o romanzo è una maschera dello scrittore,
indossata dal pubblico.
Wyndham Lewis invocò lo stesso principio nel suo concetto di Vortice, dove l’artista si
confonde con l’homo ludens, una sorta di playboy del mondo da West End:
Le belle arti oggi sopravvivono sulla stessa base (o avverrà ben presto) dell’arte del
cacciatore o dello sportivo. La caccia, suprema arte e commercio della vita primitiva,
è sopravvissuta nella nostra civiltà come un gradevole passatempo e un ambito
privilegio. Così, le belle arti, a cui oggi non corrisponde alcun bisogno che una
varietà di industrie non possa soddisfare, le ultime superstiti della mano contrapposta
alla macchina, ma sempre sconfitta dalla macchina in ogni contesto d’ordine pratico,
devono, se mai sopravvivono, sopravvivere come sport e come privilegio dei ricchi
nel quale indulgere con nonchalance, non più come oggetto di seria devozione.
Lo sport della caccia sia dei grossi che dei piccoli animali simbolo di una vita oziosa
e futile; e oggi il cacciatore di volpi e il pittore o il poeta appartengono alla stessa
categoria. Basta che il cacciatore di volpi si dia alla pittura e alla poesia, e
nell’opinione della gente queste due occupazioni vengono collegate strettamente.
Se al cacciatore primitivo fosse stato dato ad un tratto un mitra, con cui avesse potuto
falciare la sua selvaggina a branchi, non si sarebbe più preso la briga di praticare la
sua arte difficile e solitaria. Similmente, se ai vasai peruviani fossero state date le
risorse di una fabbrica dello Staffordshire per la produzione del vasellame, avrebbero
senz’altro abbandonato subito la loro ruota arcaica. Poiché gli individui nel loro
complesso vengono formati comunque dalle loro occupazioni, sia il vasaio che il
66
cacciatore si deteriorerebbero, diventando parassiti delle proprie macchine come pure
dell’ingegnere e dell’inventore. Ma in ogni caso questa non sembrerebbe loro una
considerazione tale da poter interessare un uomo o una donna di mondo.
Un’attività commerciale sopravvive come sport solo quando ha un valore di piacere e
di vanità. Sparare o intrappolare altri animali ha questo valore. Anche la
rappresentazione pittorica degli oggetti, il comporre e l’eseguire musica, il canto, la
composizione letteraria, l’abilità verbale e così via, hanno un grande valore di piacere
e vanità.
In futuro probabilmente quanti sono ancora «artisti » di professione (poiché esistono
ancora persone che si definiscono in tal modo sulla carta d’identità) formeranno una
classe simile a quella dei guardiacaccia, dei cacciatori, degli addestratori equestri,
degli scalpellini e degli aiuto tipografi. Questi saranno coloro i quali guarderanno la
preda senza sparare — addestreranno il cavallo senza cavalcarlo. L’atto creativo vero
e proprio (con cui un quadro viene eseguito con piacere, o una canzone viene cantata
con passione) assumerà lo stesso carattere della posa di una pietra di fondamenta o,
diciamo, della posa rituale dell’ultima tegola, o dell’inserimento dell’ultimo chiodo
nel fianco della nave bardata di bandiere. [14]
L’interazione fra maschere d’energia risveglia la nostra consapevolezza rispetto ai più lontani
antecedenti. Questo è il tema di « tradizione e talento individuale » di T. 5. Eìiot, ovvero che
l’avvento di forme nuove condiziona tutte le forme precedenti. Joyce usa la « parete del
magazzino »* per metterci in guardia da questo processo:
«Dal terrapieno della parete del magazzino dove i nostri coetanei hanno visto tutto». Questa
parete è un tumulo o cumulo di grande utilità e varietà. Il magazzino è anche un deposito di
munizioni. Quando l’inclinazione di questo muro raggiunge un certo grado, Humpty-Dumpty
ruzzola giù dal muro. Humpty-Dumpty è la maschera dell’unità di tradizione, integra e
ordinata (è il sensorio strutturato), che ripetutamente s’infrange con l’avvento delle maggiori
innovazioni tecnologiche. I frammenti vengono ricomposti con l’energia fluente dell’« eroina
»Anna Livia Plurabelle.”
Un altro tema del Finnegans Wake che aiuta a far comprendere il passaggio paradossale dal
ciché all’ archetipo è:
«I passatempi sono dei tempi passati». Le tecnologie dominanti di un’era diventano i giochi e i
passatempi di un’epoca successiva. Nei XX secolo il numero di passatempi simultaneamente
disponibili è così vasto da creare un’anarchia culturale. Quando tutte le culture del mondo
sono simultaneamente presenti, il lavoro dell’artista nelle elucidazioni della forma assume
nuova portata e nuova urgenza. Gran parte degli uomini viene spinta ad assumere il ruolo
dell’artista. L’artista non può fare a meno del principio’ di doppiezza e interazione dato che
questo tipo di dialogo-endiade è essenziale alla stessa struttura della coscienza,
consapevolezza e autonomia.
George Puttenham (in The Arte of English Poesie, Libro III) cita diversi moduli di
trav~stimento, partendo con l'« ipotiposi » o « rappresentazione contraffatta » e « prosopograf
ia ». Egli fa notare: «... linguaggio del volto o comportamento di qualsiasi persona assente o
morta; questo tipo di rappresentazione è chiamato contegno contraffatto: ... come il nostro
poeta “Chaucer” nei Racconti di Canterbuiy ci presenta il messo di tribunale ecclesiastico e il
mercante di indulgenze...». Poi menziona la «Prosopopea... se si .attribuisce qualsiasi qualità
umana, come la ragione o la parola, a creature mute o altri oggetti sensibili... ». Dopo aver
menzionato la «cronografia» e la « tipografia » cita la «pragmatografia » o l’azione
«contraffatta»: « La conduzione di un’attività commerciale nelle giuste circostanze ha
l’andamento di una battaglia, una festa, un matrimonio, un funerale o qualsiasi altra cosa che
*La parete del magazzino o deposito di munizioni è oggetto di satira di parte diJonathan Swift e ad essa fa
riferimento Joyce nel Ftnnegans W/ake. [N.d. T.]
67
si realizzi nel coraggio e nell’attività..
L’espressione comune «mascherate e pantominle » includeva una vasta gamma di generi
verbali e non verbali. Oggi il manifesto-giornale cinese o la rappresentazione non verbale di
eventi quotidiani per le strade tende a fondersi con sit-in e teach-in e molti altri usi di luoghi
pubblici per l’azione drammatica.
Lo scrittore e l’attore devono entrambi «immedesimarsi » nel loro pubblico. L’episodio
notturno (« Circe ») nell’ Ulisse come esibizione virtuosa del travestimento contemporaneo
esige dai suoi lettori una rispondenza a molteplici livelli.
Persino i nuovi strumenti di misurazione sensoria attirano l’attenzione agli aspetti iconici della
percezione visiva. Un radiologo guarda le sue immagini come se le maneggiasse. Il dr.
Llewellyn Thomas, con l’uso della telecamera, rivela come l’occhio tenda a mimare i moduli
dell’arte astratta nel suo impatto con il mondo. La maggior parte delle, nostre idee del visibile
non sono in rapporto con l’azione visiva quanto i residui concettuali e culturali della cultura
tradizionale. Il dr. Llewellyn Thomas fa notare:
Harley Parker ed io abbiamo registrato e confrontato il comportamento visivo di un
artista e di un non-artista mentre esaminavano una serie di dipinti. Le insidie nel
riportare tali studi soggettivi sono ovvie, ma pare non vi sia dubbio che molti pittori
hanno notevole successo nell’indirizzare i movimenti dei nostri occhi. L’osservatoreartista sembrava più sensibile a ciò, particolarmente rispetto ai quadri più astratti. Gli
occhi di entrambi gli uomini erano attirati tuttavia verso le discontinuità, compresi i
bordi del quadro stesso.
Ciò è in accordo con le recenti scoperte neurofisiologiche che i contorni e i confini,
come quelli della scacchiera, costituiscono forti stimoli per i voltaggi suscitati nel
cervello, che si possono misurare quando tali oggetti vengono presentati all’occhio.
Ci si può aspettare questo anche per il fatto che il contorno definisce la forma ed è un
elemento chiave d’informazione di un’immagine. La forza d’attrazione visiva di tali
contorni può costituire un impedimento se l’osservatore cerca un tratto di scarso
contrasto, come un’ anormalità in una radiografia del torace. Edward L. Lansdown ed
io abbiamo registrato i movimenti degli occhi di un gruppo di studenti di radiologia
mentre analizzavano una serie di radiografie. Le nostre registrazioni hanno rivelato
che gli studenti avevano accuratamente esaminato i contorni del cuore e i margini
delle pareti polmonari, ed infatti queste sono zone importanti di indice di malattia.
Vaste aree di pareti poìmonari tuttavia non vennero mai ispezionate dalla maggior
parte degli studenti nel gruppo, anche se questi pensavano di aver analizzato le
radiografie adeguatamente. [16]
D’altro canto anche Shakespeare aveva notato ai suoi tempi gli effetti dell’accentuazione
visiva. Egli riconobbe la nuova grammatica dell’astrazione e della verosimiglianza pittorica
come creazione dell’occhio del pittore:
Il mio occhio s’è fatto pittore ed ha fissato
La forma della tua bellezza sui quadro del mio cuore;
Il mio corpo è cornice in cui è racchiusa,
Prospettica, eccellente arte pittorica.
Ché attraverso il pittore devi vederne l’arte,
Però agli occhi questa abilità manca per conferir grazia all a loro arte
Ritraggono ciò che vedono, ma non conoscono il cuore.
Shakespeare, Sonetto XXIV
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Accelerando il ritmo della nostra tecnologia occidentale siamo diventati orientali su tutti i
fronti. Ovvero la nostra elevata rapidità di movimento sia dell’hardware che del software ci
consentono di scoprire, anche nello spazio visivo stesso, gli intervalli e le risonanze che
sottendono gran parte dei modi dell’essere e dell’arte orientali:
L’idea racchiusa nel simbolo cinese di spazio ècosì del tutto diversa dall’idea
racchiusa nella parola occidentale « spazio». Per dare un contrasto immediato ed
eccessivamente semplice diciamo:
l’Occidente parla di « spazio»; l’Oriente parla di « spaziatura». Avendo detto ciò
faremmo bene a guardare alla natura dei linguaggi coinvolti.
I simboli cinesi sono ideogrammi, ovvero grafici di un’idea, e perciò non sono
immagini di cose astratte o nomi come ci sono noti nella linguistica occidentale, ma
azioni, immagini stenografate di processi e operazioni naturali...
L’idea di natura non è una cosa astratta isolata, che può essere chiamata un nome. Nel
senso occidentale, i sostantivi non sono punti finali od obiettivi,, che sono una
condizione della nostra cultura letterale; sono gli aspetti interessanti di eventi, i passi
impliciti in un processo che è parte della prospettiva della vita. Allo stesso modo un
movimento astratto, che corrisponde ad un verbo in grammatica è impossibile in
natura. L’ideogramma cinese non causa separazione. Le cose esistono, in quanto sono
in movimento, sono vive e flessibili.
L’argomentazione occidentale della forma che segue la funzione, o della funzione che
segue la forma, è impossibile. In Oriente la forma e la funzione sono un tutt’uno; la
forma è la combinazione dello spazio e della funzione, e come cambiano la funzione
o lo spazio così cambia la forma e quindi la forma non è mai fissa ma ètemporale...
Il « Ma» negativo è rapportato all’imbarazzo di vedere o essere visto. Ciò è
rapportato all’etica giapponese con cui il sistema di doveri, « giri» e « on », implica
che l’individuo non esiste in sé ma è piuttosto parte di un tutto più vasto di cui il
«Ma» è una rete di obblighi... [17]
Il senso giapponese del « Ma » è perciò in rapporto all’esperienza della persona che percepisce
la disposizione di vari elementi piuttosto che la disposizione degli elementi stessi. « Ma » è un
atteggiamento creato dalla distribuzione esterna dei simboli.
È interessante notare che prima della seconda parte del XIX secolo, non esisteva il
termine “logica”. Tuttavia con l’introduzione del pensiero occidentale venne adottata
la parola «rogikku » (pronuncia giapponese per logica). Fino a quel momento, il
modulo del pensiero non logico chiamato « Haragei» era il rifiuto del razionalismo e
la negazione del pensiero logico. I giapponesi preferivano risolvere i problemi da un
punto di vista emotivo piuttosto che applicare la razionalità.
Il « Ma» dell’architettura è definito nel dizionario come lo spazio fra i pilastri, «
Hashira To Hashira No Aida ». Lo vorrei dimostrare graficamente dicendo che se
dovessimo prendere due fogli di carta e ne coprissimo uno di nero, per poi ricavare,
cancellando, degli spazi bianchi dal nero, vedremmo in quello che potrebbe definirsi
l’approccio della cavità, l’idea occidentale di spazio in architettura, un’idea statica e
sicura. [18]
Fred e Barbro Thompson, The japanese Concept of Ma (Il concetto giapponese di Ma)
Il noto passo di Eliot sul vaso cinese («Burnt Norton »V) attira l’attenzione allo stesso aspetto
dello spazio come intervallo. Il lettore può trovare una completa discussione della risonanza
69
del vincolo chimico in The Nature oI the Chemicai Bond di Linus Pauling.
Uno dei numerosi generi omessi da questa discussione è menzionato nell’Introduzione a
Candide di Lester G. Crocker, il quale disse: «Voltaire era il maestro del “racconto filosofico”,
un genere concepito per la divulgazione delle idee». (È un genere ameno!) « Il suo genio lo
elevò dal livello di propaganda a quello di letteratura».
L’epoca abbondava di questi racconti, dai Viaggi di Gulliver a Frankestein di Mary Shelley.
Tendono a sciogliersi al sole, come le storie di C. P. Snow.* W. S. Gilbert indica che il
perfetto combaciarsi del delitto e del castigo trasformano la pena in gioia. Questo mistero
aveva eluso le speculazioni di Voltaire e i teorici dell’ottimismo e del pessimismo nel XVIII
secolo.
Adam Smith in The Wealth of Nations (La ricchezza delle nazioni) stabilisce un principio
simile di contrappeso o equilibrio come regola della felicità e del soddisfacimento universali
nella sua teoria del libero scambio. « Se solo gli intriganti evitassero di maneggiare le armonie
cosmiche, tutto andrebbe per il meglio nel migliore dei modi possibili». Questa teoria
dell’equilibrio, che risulta da un conflitto totale, viene preannunciata nella monadologia
leibnitziana e divenne il principio dell’urna elettorale democratica; e cioè se ciascuno
permetterà che la propria opinione entri in conflitto con quella degli altri, ne risulterà una
perfetta corrispondenza ai desideri dell’elettorato e quindi armonia politica. La difficoltà sorge
dalla tentazione umana di migliorare queste disposizioni cosmiche del conflitto che assicura il
massimo della felicità umana. Gilbert tratta l’intera questione meglio di Sartre o di questi tetri
moralisti. Sbagliano quando ignorano il meccanismo dell’universo a favore del suo contenuto.
Nella sua definizione di « dialetto», l’edizione integrale di The Random House Dictionary of
the English Language indica la tendenza dei dialetti a raggrupparsi.
1. Linguaggio una varietà di lingua, che si distingue dalle altre varietà dello stesso
linguaggio con elementi di fonologia, grammatica, vocabolario e uso di un gruppo di
speakers che vengono distinti da altri, geograficamente e socialmente.
2. Una varietà provinciale, rurale o sociale distinta di un linguaggio, che si
differenzia dal linguaggio standard, soprattutto quando è considerato sotto il livello
standard. John Locke pensava indubbiamente al linguaggio standard come ad un’area
di servizio, poiché egli osservava che il conforto e il vantaggio della società non si
possono ottenere senza comunicazione di pensiero, e perciò si rendeva necessario che
l’uomo trovasse dei segni esterni sensibili, con cui queste idee invisibili, di cui sono
fatti i pensieri, potessero essere resi noti agli altri.. [19]
Sebbene sia di aiuto pensare ad un dialetto come a un genere che analizza o ricupera un
gruppo, per capire la distinzione fra una lingua e un dialetto è ancora più utile pensare al
genere che opera come i dialetti nella formazione dei gruppi. Una maschera intesa come
genere è il volto del gruppo, un dialetto come genere è la parlata del gruppo. Di contro, un
genere è dialetto, maschera, abito o qualsiasi altra suppellettile del gruppo. In un mondo in cui
le comunicazioni via satellite sono la più recente e onnicomprensiva area di servizio, e dove
un ambiente di servizio sovrapposto ad un altro opera per produrre un ambiente di totale
irresponsabilità, l’importanza delle caratteristiche di gruppo del genere può essere raramente
sopravvalutata. Se è così, e se il genere èun dialetto, allora l’etimologia di Eric Partidge di
questa parola è significativa:
dialegesthai, conversare, ha come participio passato diakktos, che usato come
sostantivo diventa dialectus ... e poi dialect
*L’autore fa una battuta riferendosi al significato del nome proprio 'snow' che significa neve. [N.d.T.]
70
Questa etimologia è derivata da Origins (Origini) di Partidge, sotto la voce « legend », che
riunisce assieme parole derivate dal latino legere, « raccogliere (soprattutto frutta) quindi
riunire, radunare».
The Joys of Yiddish (Le gioie dello yiddish) di Leo Rosten mostra come l’interazione o
dialogo fra due culture può produrre un nuovo ricco « yinglese ». Lo yinglese ha fornito una
maschera comica di sottili sfumature psicologiche di disprezzo e umorismo a innumerevoli
attori sia sui palcoscenico che fuori. Che Mr. Rosten parli per se stesso:
Ogni tanto mi imbatto nell’affermazione che il Dizionario completo Webster
contiene cinquecento parole yiddish. Non so se questo sia vero, e certamente dubito
che in realtà qualcuno le abbia contate. Da parte mia sono sorpreso dal numero di
parole yiddish che abbondano sfarzosa-mente nella lingua inglese di ogni giorno e
che non si trovano nello Webster o in qualsiasi altro dizionario inglese, incluso
l’imparagonabile dizionario Oxford in 13 volumi.
Si prenda l’uso popolare dei suffisso -nik per trasformare una parola in un’etichetta
per un ardente praticante o un devoto di qualcosa: come potremmo destreggiarci
senza quegli inestimabili conii come beatnik o peacenik? Il «New York Times » ha
recentemente battezzato gli accoliti di Johann Sebastian « Bachniks »; alcuni
omosessuali disdegnano i non omosessuali (straighe, i normali) come Straightniks;...
USI COLLOQUIALI IN INGLESE DI ESPEDIENTI LINGUISTICI YIDDISH
Le parole e le espressioni tuttavia non sono le principali forze « di invasione » che lo
yiddish ha mandato nella venerata terra dell’inglese. Molto più significativa è, a mio
parere, l’adozione da parte della lingua inglese di espedienti linguistici, yiddish
d’origine, per convogliare sfumature d’affetto, compassione, sgradevolezza, enfasi,
incredulità, scetticismo, ridicolo, sarcasmo e sdegno. Gli esempi abbondano:
1. Disdegno noncurante tramite la ripetizione con un gioco di sh dopo la prima
sillaba: « Fatshmat, as long as she is happy» (grassoccia fin-tanto ch’è felice).
2.
Sintassi mordace: « Intelligente, non, è»
3.
Sarcasmo con dizione innocua: «Ha solo cercato di spararsi ». [20]
Forse il gesto base di dolore e disprezzo nello yiddish viene spiegato quando « Isaac Bashevis
Singer ci ricorda che lo yiddish può essere il solo linguaggio su questa terra che non è mai
stato parlato da chi è al potere».
La conoscenza, fra gli ebrei, venne a compensare i riconoscimenti mondani. La
capacità di introspezione, credo, divenne un sostituto delle armi: un modo per
bloccare l’ira dell’arrogante èdi conoscerlo meglio di quanto egli non conosca se
stesso.
Gli ebrei dovettero diventare psicologi e la loro preoccupazione per il
comportamento umano, non meno che divino, rese lo yiddish molto ricco in
nomenclatura per la delineazione dei caratteri. Piccoli miracoli di precisione
discriminatoria sono contenuti nelle distinzioni fra sempliciotti come un nebech, uno
shlemiel, uno shmendrick, uno snook; oppure fra zucconi come un klutz, uno yold,
un Kuni Lemmei, uno Shleo, un Chim Yankel. Tutti questi appartengono al regno
degli inetti, ma a ciascuno viene dato un posto separato nell’appello. Il senso di
differenziazione è così acuto nello yiddish che una parola come, diciamo,
paskudnyak non ha pari in qualsiasi lingua che io conosca per la delineazione vocale
cli una caratteristica malvagia. E lo yiddish conia nuovi nomi con naturalezza per i
nuovi tipi di personalità: un nudnik è una peste; un pbudnik è un nudnik con un Ph.
71
D. (dottorato di ricerca). Se mi venisse chiesto di caratterizzare lo yiddish —il suo
stile, la sua vita, il suo ambiente — in una parola, non esiterei: irreprimibile...
Pochi strumenti del linguaggio umano hanno avuto una vita così intensa, fra vicini
così inospitali, contro un’opposizione così violenta. E non conosco lingua così
tormentata da scismi, febbri e ambivalenze dall’interno della comunità che le aveva
dato vita: gli ebrei stessi. [2]
72
IDENTITÀ - L’EROE DELLA CULTURA
Vado ad incontrare per la milionesima volta la realtà dell’e’
sperienza e a forgiare nella fucina della mia anima la
coscienza non creata della mia razza. [1]
James Joyce, A Portrait of the Artist as a Young Man
(Ritratto dell’artista da giovane)
Ama la mia etichetta, come me stesso. [2]
James Joyce, Finnegans Wake
(L’ombra allungata di un uomo
E la storia, disse Emerson
Che non aveva visto la silhouette
Di Sweeney a cavalcioni del sole.) [3]
T.S. Eliot, Sweeney Erect
Da Aristotele in poi la filosofia ha riconosciuto l’elemento divino all’interno dell’anima
umana, la cui natura è stata definita più precisamente dagli stoici: «Un mortale che aiuti un
altro mortale, questo è Dio, e questa èla via che conduce alla gloria eterna». Una nobile
formulazione, così sviluppata da Cicerone: « Coloro che si considerano venuti al mondo per
aiutare, proteggere e preservare il proprio prossimo hanno in sé un elemento soprannaturale e
sono destinati alla vita eterna. Ercole ètrapassato per unirsi agli dèi: non sarebbe mai
trapassato in tal modo se nel corso della sua vita mortale non si fosse costruito da sé la strada
che percorse».
L’antitesi di quest’immagine è quella raffigurata da Wyndham Lewis in The Apes al God (Le
scimmie di Dio): un gruppo di parassiti che sono le scimmie delle scimmie di Dio. Lewis è
pronto ad ammettere che l’uoma integrale è in un certo senso una « scimmia di Dio». “Apes” è
un termine latino che significa «api» e il lavoro delle api è tutto « zucchero e miele». In tal
modo Lewis condensa molti livelli di significato nel titolo della sua opera.
Il dottor Johnson era pronto a considerare i poeti e gli artisti come esseri superiori, ma al
contempo li vedeva come membri della società. Nel Rasselas quando Ixnlac si accinge a fare il
panegirico del poeta, Johnson lo definisce cosi:
«Deve scrivere come l’interprete della natura e il legislatore dell’umanità, e
considerare se stesso come colui che presiede ai pensieri e al comportamento delle
future generazioni; come un essere superiore al tempo e allo spazio...
Imlac a questo punto fu preso da un impeto di entusiasmo e stava per esaltare la
propria professione quando il principe esclamò: «Basta così! Mi hai convinto che
nessun essere umano potrà mai essere un poeta».
Ciò che Imlac non riesce a dire viene proclamato senza esitazione da Shelley nella sua
Delence of Poetry (In difesa della poesia) quando, facendo eco all’espressione di Johnson,
asserisce che i poeti sono i « misconosciuti legislatori del mondo». Nel contesto shelleyano il
poeta è 1’« anello mancante » tra il cielo e la terra; ma nel nostro tempo è proprio questo
anello mancante a costituire il legame dell’essere come nella meccanica quantistica con la sua
concezione della risonanza-come-legame.
Oggi, nel momento in cui tutti siamo coinvolti nella sensazione di vivere su un pianeta «
smantellato», ciascuno ~ incoraggiato a pensare a se stesso come a un artista creativo con la
missione divina di “svolgere il proprio compito”. L’eroe della cultura si accinge a porre il
proprio mondo in relazione con la realtà; con fatiche erculee di indagine, ricupero e
purificazione.
73
Edgar Friedenberg descrive così la ricerca adolesceriziale di identità nel nostro tempo:
Il processo di diventare americano, secondo quanto avviene nella scuola superiore,
tende ad essere un processo di rinuncia alla differenziazione. Ciò viene naturalmente
a trovarsi in conflitto diretto con la necessità di auto-definizione propria
dell’adolescente; ma il conflitto è così ben mascherato nell’allegria istituzionalizzata
che l’adolescente stesso non se ne rende conto. Deve tuttavia fare ancora i conti con
l’alienazione che ne deriva. [4]
In War and Peace in the Global Village (Guerra e pace nel villaggio globale) il tema
principale è la ricerca dell’identità attraverso la violenza in un mondo cli tecnologie in rapida
evoluzione. Un cambiamento improvviso dell’ambiente attraverso importanti innovazioni
tecniche offusca l’immagine di identità delle vecchie e delle nuove generazioni. Costoro
iniziano quindi un tragico « agone» di ridefinizione della propria immagine di identità.
I-Iarold Rosenberg constata come in un periodo di innovazioni sempre più rapide ci sia un
nuovo tipo di probiema riguardante la dispersione degli ordinamenti eststenti in modo
abbastanza rapido per far posto a quelli nuovi.
Tuttavia la sola tradizione vitale dell’arte del ventesimo secolo a cui può appellarsi la
critica èquella del rovesciamento della tradizione. Ciò rende intrinsecamente comico
qualsiasi tentativo di critica dell’arte contemporanea. Ci sono dei conservatori che
vogliono rovesciare la tradizione radicale; qualora ci liberassimo anche di questa
tradizione, il risultato non sarebbe quello che costoro immaginano, e cioè il ricupero
di qualche tradizione più austera, ma l’assenza di qualsiasi tradizione, niente altro
che confusione e anarchia, come abbiamo visto ndll’ex radicalismo americano e nei
movimenti populisti. In contrasto con questi conservatori anarchici, ci sono i
rivoluzionari tradizionalisti, che facendo leva sull’arte radicale dei decenni passati,
attaccano tutto ciò che è nuovo con il pretesto che non èall’altezza dei criteri
rivoluzionari. Eppure, come è possibile che l’artista radicale si accontenti della
terminologia delle rivoluzioni di ieri?
«Il mio scopo», annuncia Sir Herbert, «è stato di rappresentare un atteggiamento
coerentemente rivoluzionario». Questa affermazione rende esplicito il lato comico
della situazione. Basta un atteggiamento rivoluzionario per essere rivoluzionari? [5]
Il compito di purificare la tradizione è svolto nella quinta fatica di Ercole, che consisteva nella
rimozione del letame dagli ovili, dalle stalle e dai cortili del re Augia, figlio di Bios, il Diosole. Il letame non veniva rimosso da tempo e di conseguenza le condizioni ambientali per gli
abitanti del Peloponneso erano divenute insopportabili. Ercole fece un patto con Augia per cui
avrebbe provveduto alla rimozione del letame nell’arco di una giornata in cambio di numerose
greggi e mandrie del re. Quest’ultimo si immaginava già con compiacimento Ercole immerso
in un mare di letame mentre dava inutilmente di mano a secchio e sessola e si caricava poi
tutto in spalla. Ercole non fece altro che praticare delle aperture nei muri del cortile e deviare i
fiumi adiacenti entro questi spazi vuoti. Questi corsi d’acqua ripulirono non solo il cortile e le
stalle ma anche i pascoli e le vallate circostanti.
Quando Mallarmé, Eliot, Pound e Joyce definiscono il compito del poeta come una ripulitura
e un rinnovamento della parola e del linguaggio, essi indicano un’impresa di portata ancor
maggiore di quella intrapresa da Ercole. La lingua è insozzata e bistrattata da milioni di
persone ogni giorno. Solo di tanto in tanto è ripristinata dai poeti che creano nuovi spazi o
intervalli nei ritmi fondamentali della lingua. Le aperture create in tal modo permettono alle
nuove correnti del discorso di entrarvi e formare nuovi e freschi moduli che liberano la vita
percettiva dal pestilenziale inquinamento linguistico.
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75
INTRODUZIONE
Tra il mondo antico e quello moderno c’è stato in un certo senso un rovesciamento di ruoli per
quanto riguarda il cliché e l’archetipo. L’inventore e Io scopritore di nuove forme e nuove
tecnologie era per l’uomo arcaico qualcuno che era più di un uomo. «Certamente qualche
potere più che umano ha dato alle cose il loro primo nome», dice Socrate nel Pedro. Un
esquimese moderno ha detto un giorno al professor E. S. Carpenter: «Come potrei conoscere
la pietra se non ci fosse la parola “pietra”?». Per l’uomo arcaico il linguaggio è una fòrmtila
magica capace di evocare immediatamente la realtà. Allo stesso modo egli pensa che sia la
«pupilla dei suoi occhi ~> a costituire il suo mondo visivo invece che a riceverlo.
L’idea delle parole come qualcosa che corrisponde semplicemente alla realtà, l’idea della
corrispondenza, ècaratteristica soltanto delle culture altamente letterali, in cui è dominante il·
senso visivo. Oggi, nell’epoca della meccanica quantistica per cui «il legame chimico» è,
secondo Heisenberg, Linus Pauling e altri, una « risonanza», è perfettamente naturale
riacquistare un atteggiamento «magico» nei confronti del linguaggio. La poesia
dell’affermazione è divenuta il punto riodale di una delle più grandi rivoluzioni critiche del
ventesimo secolo. Questo mutamento corrisponde alla scoperta che la coscienza è pure un
evento a molti livelli che affonda le radici « nei terrori e nei desideri più profondi ».
Si potrebbe controbattere che una delle ragioni prhicipali della fusione dell’atteggiamento
arcaico nei riguardi del diché con la nozione moderna dell’archetipo come realtà più intensa
deriva dalla grande varietà delle tecniche di ricupero. E ora possibile accedere con prontezza e
rapidità sia alle culture del passato che alle esperienze individuali primitive. Nel mondo antico
esistevano pochissimi mezzi e motivi per ricuperare il passato, solo nel senso di considerare
presenti gli eventi passati. Il bisogno medievale di ricuperare lingue antiche come il greco, il
latino e l’ebraico per gli studi biblici ha dato inizio al culto dell’erudizione storica nelle
condizioni modeste della cultura del manoscritto. Oggi i sistemi di ricupero delle culture e
degli eventi storici sono così sofisticati che coinvolgono profondamente il nostro tempo nei
culti e nei misteri antichi.
Allorché meditiamo sui cliché antichi o sacro-conquiste, il letterato è incline a considerarli «
archetipi ». Per esempio Northrop Frye in Anatomy of Criticìsm (Anatomia della critica)
definisce l’archetipo come «un simbolo, di solito un’immagine, che ricorre così
frequentemente nella letteratura da essere riconoscibile come elemento della propria
esperienza letteraria nella sua totalità». Questa particolare definizione si discosta di molto da
Jung in quanto suggerisce che gli archetipi sono prodotti umani risultanti dalla ripetizione
frequente, in altre parole sono una forma di cliché. Il critico letterario archetipale si
domanderà sempre se l’Edipo Re o il Tom Jones avrebbero avuto lo stesso effetto sul pubblico
dei mari del Sud e su quello di Toronto. Con i nuovi sistemi di ricupero culturale plenario, i
ciché antichi stanno prendendo il posto delle forme trascendentali o archetipali.
Questo solleva un problema fondamentale che sarà discusso più a fondo. Si tratta del processo
per cui i nuovi cliché o le nuove indagini e aree tecnologiche portano come risultato alla
liquidazione e allo smantellamento dei precedenti ciché culturali e ambientali, creati da
tecnologie precedenti. Oggi il mondo dell’archeologia e della musicologia non si occupa di
null’altro che della classificazione di questi frammenti, scartati da culture obsolete e
disgregate. In « La diserzione degli animali del circo» Yeats riesamina tale processo che era
già implicito nella totalità del suo procedimento creativo come si vede in «Leda e il Cigno».
Se possiamo considerare forma letteraria il rovesciamento dell’archetipo nel cliché come ad
esempio l’uso di un Ulisse archetipale nel romanzo di James Joyce per esplorare la coscienza
contemporanea nella città di Dublino, allora possiamo chiederci quale sarebbe la condizione
di questo modulo nei tempi primordiali, nel Medioevo e oggi. La risposta potrebbe essere che
sia nei tempi primordiali sia oggi questo processo di rovesciamento dell’archetipo nel cliché è
eccezionale e insolito. Gli abitanti dell’isola di Bali dicono: « Non abbiamo arte, facciamo
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tutto nel miglior modo possibile ». L’artista del Medioevo o del Rinascimento o delle varie
epoche fino al diciannovesimo secolo era considerato come una persona unica ed eccezionale
perché usava un processo unico ed eccezionale. Nei tempi primordiali come oggi, l’artista usa
una tecnica familiare od ordinaria e quindi èconsiderato una persona familiare e ordinaria. Al
giorno d’oggi ogni uomo è un artista in questo senso, tanto l’amministratore, lo scienziato, il
dottore, quanto colui che usa il colore per dipingere o colui che scolpisce la pietra. Proprio
come l’uomo arcaico doveva seguire i processi naturali dei ritmi stagionali per influenzarli e
purificarli, per depurarli attraverso il ricorso, allo stesso modo le moderne tecnologie
elettriche richiedono una tale regolazione del tempo e una tale precisione che ci si può
permettere soltanto di seguire i processi naturali. I secoli di meccanizzazione immediatamente
precedenti sono stati in grado di girare intorno a questi processi con procedimenti tipo la
frammentazione e la col tivazione a cielo aperto. La stessa parola « ciché» deriva dai
procedimenti meccanici della stampa, come abbiamo già osservato. La tecnica della stampa di
Gutenberg che si avvaleva di unità frammentate e ripetibii ha offerto lo spunto a ogni
successiva meccanizzazione del sistema sociale, educativo e politico. Man mano che le varie
tecnologie sono succedute alla stampa questa è divenuta sempre di più rifugio dell’archetipo.
Qualunque conquista sia artistica che tecnica come quelle di Omero, di Mercurio o di
Prometeo sembrava echeggiare il tuono divino. L’uso incessante e la ripetizione di questi
scopritori sono stati sacralizzati. Eliade, in Cosmos and History (Cosmo e storia) afferma:
Nei particolari del suo comportamento cosciente il « primitivo», l’uomo arcaico non
riconosce alcun atto che non sia stato postulato e vissuto precedentemente da qualche
altro essere che non sia stato un uomo. Ciò che fa costui èstato fatto prima. La sua
vita è l’incessante ripetizione di gesti a cui altri hanno dato origine. [1]
Per l’uomo arcaico o tribale non c’era passato e non c’era storia. C’era un eterno presente. Noi
sperimentiamo un ritorno a tale modo di vedere, oggi, in un momento in cui le conquiste
tecnologiche sono di portata tale da creare una compenetrazione di ambienti, a te egrafo, alla
radio, alla televisione, al satellite. Queste forme ci fanno accedere istantaneamente a tutti i
passati:
come per l’uomo tribale, ker noi non c’è storia. Tutto èpresente, compreso l’uomo tribale
studiato da Elide.
L’assunzione del cliché come conquista, come metodo di indagine di una nuova dimensione è
messo in discussione da Platone. La sua caverna è il primo «negozio da rigattiere», per usare
un’espressione di Yeats, il primo deposito di archetipi. La sacralizzazione dell’archetipo èstata
opera dell’uomo civiizzato con la sua prospettiva storica e letteraria. Petrarca, « il primo uomo
moderno», stava al confine fra due mondi, come ha asserito uno studente: «Con un piede ben
saldo nel Medioevo, mentre con l’altro salutava la stella nascente del Rinascimento ». Le sue
Rovine di Roma hanno dato inizio al culto umanistico per il negozio da rigattiere. La
piccolissima parte di antichità accessibile allo storico del dodicesimo secolo era limitata al
campo dell’esegesi biblica. La sacralizzazione dell’archeripo, o delle forme antiche, non era
tipica del mondo pagano. Per tale mondo il ruolo dell'archetipo è cosí descritto da Eliade:
Che significa vivere per un uomo che appartiene ad una cultura tradizionale?
Significa soprattutto vivere secondo modelli extraumani in conformità con gli
archetipi. E quindi significa vivere nel cuore della realtà poiché... non vi èniente di
veramente reale ad eccezione degli archetipi. Vivere in conformità con gli archetipi
equivaleva a rispettare la « legge», poiché la legge era solo una ierofania primordiale,
la scoperta ~n iio tempore delle norme dell’esistenza, una rivelazione da parte di una
divinità o di un essere mistico. E se, attraverso la ripetizione di gesti paradigmatici e
per mezzo di cerimonie periodiche, l’uomo arcaico riusciva, come abbiamo visto, ad
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annullare il tempo, non di meno viveva in armonia con i ritmi cosmici, si potrebbe
addirittura dire che entrava in questi ritmi (basti ricordare come erano « reali» per lui
la notte e il giorno, le stagioni, i cicli della luna, i solstizi).[2]
Il Vecchio Testamento ripudiava ovviamente il mondo archetipale come veniva inteso dai
pagani. Ripudiava tutte ìe tecnologie come divinità pagane, dalla Torre di Babele al Vitello
d’Oro. Per la cultura cristiana lo smantella~mento o il superamento delle formule dei rituali e
delle tecnologie sacre ai pagani divenne una forma naturale di comportamento, ma Qrmai era
spalancata la porta alla innovazione tecnologica in un contesto puramente umanistico. Il
disprezzo cristiano per il mondo e le sue opere ha avuto molta parte nel determinare il modo
di considerare il ciché e i modelli consuetudinari di organizzazione dell’esperienza. Allo
stesso modo l’indifferenza cristiana nei riguardi dei diritti « soprannaturali »dell’invenzione
umana e delle arti delle Muse ha incoraggiato la meditazione sul mondo considerato come
un’immensa rovina. Paradossalmente è stata proprio questa indifferenza nei riguardi della
tradizione che ha permesso alle novità e alle innovazioni di svilupparsi senza essere ostacolate
dalle osservazioni religiose. Un solo libro basterà per chiarire tale argomento, e cioè Medievai
Technology and Sociai Change (Tecnica e società nel Medioevo) di Lynn White che enumera
un’ampia gamma di invenzioni tecniche sconosciute all’uomo arcaico. Invenzioni come il
collare del cavallo hanno rapidamente portato allo sviluppo del mondo moderno. L’uomo
arcaico, quale ci viene presentato da Eliade e da una miriade di antropologi contemporanei,
puntava molto sulla stabilità e su un ordine immutabile, un po’ come fa l’Accademia di
Francia quando esamina i neologismi. La stasi è un aspetto strano delle culture orali e tribali,
come è rivelato dall’opera di lona e Peter Opie, The Lore and Language oI School Children.
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When a part so ptee does duty for the holos we soon grow to use of an
allforabit. Here (please to stoop) are selveran cued peteet peas of
quite a pecuniar interest inaslittle as they are the pellets that make
the tomtummy's pay roll. Right rank ragnar rocks and with these
Rox orangotangos rangled rough and rightgorong. Wisha, wisha,
whydidtha? Thik is for thorn that's thuck in its thoil like thumfool's thraitor thrust for vengeance. What a mnice old mness it
all mnakes! A middenhide hoard of objects! Olives, beets, kimmells, dollies, alfrids, beatties, cormacks and daltons. Owlets' eegs
(O stoop to please!) are here, creakish from age and all now
quite epsilene, and oldwolldy wobblewers, haudworth a wipe o
grass. Sss! See the snake wurrums everyside! Our durlbin is
sworming in sneaks. They came to our island from triangular
Toucheaterre beyond the wet prairie rared up in the midst of the
cargon of prohibitive pomefructs but along landed Paddy Wippingham and the his garbagecans cotched the creeps of them
pricker than our whosethere outofman could quick up her whatsthats. Somedivide and sumthelot but the tally turns round the
same balifuson. Racketeers and bottloggers.
Axe on thwacks on thracks, axenwise. One by one place one
be three dittoh and one before. Two nursus one make a plausible free and idim behind. Starting off with a big boaboa and threelegged calvers and ivargraine jadesses with a message in their
mouths. And a hundreadfilled unleavenweight of liberorumqueue
to con an we can till all horrors eve. What a meanderthalltale to
unfurl and with what an end in view of squattor and anntisquattor
and postproneauntisquattor! To say too us to be every tim, nick
and larry of us, sons of the sod, sons, littlesons, yea and lealittlesons, when usses not to be, every sue, siss and sally of us, dugters
of Nan! Accusative ahnsire! Damadam to infinities
True there was in nillohs dieybos as yet no lumpend papeer
in the waste,and mightmountain Penn still groaned for the micies
to let flee. All was of ancientry. You gave me a boot (signs on
it!) and I ate the wind. I quizzed you a quid (with for what?) and
you went to the quod. But the world, mind, is, was and will be
writing its own wrunes for ever, man, on all matters that fall
under the ban of our infrarational sense [3]
79
THIS IS
A PRINTING OFFICE
CROSSROADS OF CIVILIZATION
REFUGE OF ALL THE ARTS
AGAINST THE RAVAGES OF TIME
ARMOURY OF FEARLESS TRUTH
AGAINST WHISPERING RUMOUR
iNCESSANI TRUMPET OF TRADE
FROM THIS PLACE WORDS MAY
FLY ABROAD
NOT TO PERISH ON WAVES OF SOUND
NOT TO VARY WITH THE
WRITER’S HAND
BUT FIXED IN TIME HAVING BEEN
VERIFIED IN PROOF
FRIEND YOU STANO ON
SACRED GROUND
THIS IS A PRINTING OFFICE
80
L’indifferenza cristiana nei riguardi dei rituali pagani di stabilità e rinnovamento, oltre che il
disprezzo cristiano per il mondo visto come un rottame o un immondezzaio, tendeva a
rovesciare il modulo di ciché e archetipo caratteristico dell’uomo preistorico. Tale
rovesciamento si manifesta chiaramente oggi nel momento in cui speri-mentiamo un ritorno
agli atteggiamenti preistorici nei riguardi sia del ciché che dell’archetipo. Le nostre conquiste
tecnologiche sono su una scala umana superiore, dato che ricreano ambienti totalmente nuovi,
aumentano considerevolmente il guardaroba dell’imperatore e rendono possibile
riprogrammare la totalità dell’esistenza sul pianeta. È questo sviluppo tecnologico che ha
riportato in auge la concezione del ciché come metodo di indagine e ha conferito
all’invenzione un ruolo dominante sull’archetipo.
Poiché abbiamo già sollevato la questione della stampa in rapporto con il diché e l’archetipo,
possiamo vedere la complessità di tale scoperta in Finnegans Wake, dove Joyce non solo
discute questo argomento, ma illustra i metodi linguistici per affrontarlo a svariati livelli
contemporaneamente (vedi di seguito).
La prima riga indica che il processo di creazione di un cliché per l’uso o per l’indagine inizia
nell’assumere qualcosa di piccolo o grazioso come mezzo per estendere la sua azione fino ad
includere ì’holos. Questo è il cliché nel suo carattere sacro-arcaico ed è anche il ciché nei
senso di stanca assuefazione. La parte può essere un dente. In un certo senso i denti non sono
soltanto un elemento deI corpo animale caratterizzato sia dalla ripetizione che dalla linearità,
ma, quando sono seguiti da un «alllorabit» (tutto per un bocconcino) (alphabet) come propria
progenie, ricordano la leggenda cli re Cadmo e dei «denti di drago» da cui nacquero degli
uomini armati. Le lettere dell’alfabeto erano originariamente dei pittogrammi che
presentavano molte connessioni con l’ho-los come nell’espressione “l’alfa e l'aratro”* Le
lettere permettevano la specializzazione nell’organizzazione umana, che è inseparabile dalla
vita militare e che allo stesso modo crea un ordine sociale o gerarchia (come nella seconda
riga «Vogliate umiliarvi»). L’uso di un alfabeto è una grande~ perdita di dignità rispetto al
pieno potere magico della parola pronunciata nel rituale arcaico. E un « umiliarsi per vincere»
in molti sensi. «Stoop» (umiliarsi) è «step» (passo), e nella tecnologi~ del cliché un passo può
essere compiuto in su o in giù. E quindi un mezzo di controllo e di potere. Joyce dice che non
si possono accettare nè cliché nè tecnologie senza una grande perdita nei riguardi dell’integrità
dell’holos, e continua evocando argutamente le conseguenze psichiche e sociali
dell’«allforabit», a cominciare dal suo effetto sull’identità umana.
«Selverant> (riga 2)** riecheggia le modalità, dell’io individuale in relazione ai bocconcini
modulari («peteet peas » = pisellini). In tutta l’opera si allude in molti modi al tema dell’uomo
di massa, sia perché postletterato, attraverso il « musch of porter peas » (purea di piselli). La
condizione dell’io inserito nella tribù o nella società ècome quella di un singolo pisello
schiacciato. È questa azione di schiacciare, ovviamente, che crea il libro paga (riga 4). Il
denaro con i suoi moduli ripetitivi è solo uno dei molti effetti collaterali dell’«allforabit». Il
«Tomtummy‘s» della riga 4 suggerisce che un esercito di Tommies (soldati) non solo marcia
sul suo ventre (tummy) ma è incitato dal rullio dei tamburi e dei tam-tam. « Wisha, wisha»
(riga 5) (desidera, desidera) introduce l’emozione che dà impulso a ogni sviluppo di ciché
tecnologico. Vi si allude sotto molte forme nel Finnegans Wake: «A Burning would is come to
dance inane» (un bosco in fiamme è venuto a danzare inane) e, naturalmente, la « wiiingdone
*«Alpha and the plosq/,s. «alfa e l’aratro) è un’espressione di controversa interpretazione. Secondo Northrop
Frye esistono almeno due chiavi di lettura:
a) l’alfa può essere una stella e l’Orsa Maggiore viene chiamata a volte in Inglese «l’Aratroa. Potrebbe essere
implicito un riferimento al lavoro teatrale di Scan O’ Casey, The Plougb arai the St<rn (L’aratro e le srefle);
b) la lettera aleph, da cui è derivata l’alfa greca, era originariamente un pittogramma del “bue”; in tal modo
l’espressione potrebbe essere «The or and the plough* (lì bue e l’aratro). [N.d.T.]
**termine coniato da Joyce può ricordare severa? (parecchi), ed è tradotto con «selverecchi,. da Luigi Schenoni:
James Joyce, Fìnnegans Wake, Mondadori, Milano 1982. [N.d.T.]
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musiroom»* una nutrita collezione di armamenti e di cliché umani per cui un « burning
would» si manifesta in ambienti e con forza sempre nuovi.
« Wisha, wisha» allude anche all’altro tema che accompagna i «peteet peas» (riga 2), e cioè
“mishe, mishe”, il termine celtico per « Io sono» e per il raduno tribale degli irlandesi
selvaggi, ovvero « una poltiglia e un desiderio».
La domanda (riga 6) « whydidtha?» (= perchéfarlo?) segue la serie di conseguenze che
derivano da un singolo bit o bite** (riga 2) «alllorabit».
La lettera a sta per apple (= mela) in un certo senso. L’immagine del « thom that’s thuck in its
thoil» (spina spiantata nel suo spiede, trad. Schenoni)*** si rifà alla punizione per il morso — il
suo lavoro nel giardino è ora diventato un gran pasticcio (mess). La parola « mness» (=
rubordello, trad. Schenoni) imita il suono prodotto dalla bocca piena di mela, in un certo
senso. “A middenhide hoard of objects” (riga 8) (= un cumulo di oggetti da nascondezzaio,
trad. Schenoni) richiama l’impulso dell’uomo caduto di coprirsi con pelli di animali.* Invece
di cogliere il frutto così come cresce, l’uomo si specializza ora nella produzione del cumulo di
oggetti e in un gran numero di diete diverse. Diventa produttore e consurriatore, organizza il
commercio e i mercati, con le guerre che ne risultano (« cormacks and daltons », riga 9
«Racketeers and Bottloyggeir», riga 19) (= cormacchi e daltoni... ricattatori e
contrabbalcooldieri, trad. Schenoni)** Si tratta dell’economia monetaria, e cioè l~« aliforabit»
in cui « the tally turns round the same balifuson »(righe 18, 19) (= il riscontro rigira attorno
alla stessa balifusione, trad. Schenoni).
L’intera pagina serve a tracciare il «meanderthallta le» (riga 25, racconto meanderthaliano,
trad. Schenoni)***, le vie labirintiche della tecnologia dell’alfabeto come una specie di
prototipo di ogni ciché e conquista. Uno degli effetti principali dell’«allforabit» è non solo la
produzione di un « cumulo di oggetti » (riga 8) ma l’incessante buttare gli stessi oggetti nel
cumulo di rifiuti. La nuova tecnologia come mezzo automatico per smantellare o rifiutare la
cultura precedente crea la « libero rumqueue »(coda di libri) (riga 24), l’incessante produzione
« tO con an we can » (conandare come possiamo, trad. Schenonj)**** (riga 25).
La scrittura come mezzo per ricuperare « l’antichità »(riga 33) ha portato a un immenso
cumulo di dati ricuperati ancor prima dell’avvento della “lumpend paper” (= papiera
lumpendcciata, trad. Schenoni)* (riga 31). Il cumulo di rifiuti acquista le dimensioni di una
montagna con gli scarti delle varie culture e tecnologie. Le forme di queste tecnologie sono
impresse non solo sul linguaggio umano, ma anche sul mondo esterno («Ma il mondo, bada,
sta, stava e starà scrivendo le proprie rune per sempre, uomo, su tutte le questioni», righe 3536) che ci ha dato le « rovine »** il recupero e decifrazione delle quali affascinano il letterato
umanista.
Vico, nella sua Scienza Nuova, che Joyce aveva trovato di grande utilità, sottolinea il fatto che
tutte le favole e i racconti antichi sono in realtà la registrazione di momenti di progresso
tecnico a cui gli antichi attribuivano lo status e il nome di un dio, ma Vico insisteva anche sul
fatto che, quando si scriveva nei moduli del discorso e della sensibilità umana, gli effetti di tali
conquiste erano registrati nelle nuove «wrunes» (riga 36). Vico, come Joyce, sottolinea che la
*“Willingdone” (fatto volentieri) “musiroom” è sia la sala per la musica (musw) che una stanza per meditare
(musing). [N.d.T.]
**Bit = pezzettino, bue = morso [N.d.T.J
***Thuck richiama stuck = piaI~tato, mentre thoil deriva da toil = lavoro, [N.d.T.]
*hides — si nasconde, ma anche pelli di animali. [N.d.T.]
**L’ultimo termine richiama sia bootleggers — contrabbandiere di alcolici all’epoca del proibizionismo, sia
loggers = tagba1e~na. [N.d.T.]
***Con questo termine Joyce allude chiaramente ad un racconto (ttzle) labirintico o meandrico che parla delle
origini, ovvero dei feroci giganti di cui parlava Vico e quindi dell’uomo di Neanderthal. [N.d.T.]
****To con significa sia esaminare attentamente e fissare nella memoria che imbrogliare e raggirare. [N.d.T.]
*il termine lampend contiene la radice lump = cumulo [N.d. T.]
**“runes” = rune (che Joyce trasforma in wrunes) ha un suono molto simile a ruins (= rovine). [N.d.T.]
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nuova tecnologia non è aggiunta alla cultura, ma « rovina» intere società gettandole sul
cumulo di rifiuti o sul mucchio da cui sono eternamente ricuperate e rimesse a nuovo dalle
generazioni successive.
Questa pagina del Finnegans Wake, come molte altre, è un approccio al « negozio da rigattiere
del cuore» di Yeats. Ela tradizione da cui il talento individuale deve rubare i frammenti da
trarre a riva per puntellare le proprie rovine. Per Joyce, come per Yeats, il negozio da rigattiere
è una raccolta di ciché abbandonati.
Sono proprio i cliché a costituire il sistema di sonda inventato dagli artisti e dalla società, che
permette loro di salire o scendere la scala delle conquiste umane:
«Please Io sìoop» (= vi prego di chinarvi, trad. Schenoni) (riga 2) e « O stoop to please» (~ O
chinatevi, per piacere!, trad. Schenoni) (riga 10). Il bisogno da parte del poeta di metodi
sempre nuovi per indagare ed esplorare l’esperienza lo riporta sempre al negozio da rigattiere
del cliché abbandonato, Le testimonianze degli artisti a questo riguardo sono impressionanti.
E gli stadi secondo cui l’archetipo letterario è venuto a sostituirsi al cliché tecnico come
metodo di creazione costituiscono uno degli argomenti di questo libro.
Nella fattispecie Yeats inizia The Circus Animals’ Desertion (La diserzione degli animali del
circo) dicendo:
Cercavo un tema e lo cercavo invano,
L’ho cercato ogni giorno per circa sei settimane.
Forse alla fine, essendo solo un uomo finito,
Devo accontentarmi del mio cuore, anche se
Estate e inverno fin dall’inizio della vecchiaia
I miei animali da circo erano tutti in mostra,
Quei giovani sui trampoli, quel cocchio brunito,
Il leone e la donna e Dio sa che.
Questa poesia è un « ricorso» o prova generale, un ricupero dell’intera carriera di Yeats.
Vedendosi come un vecchio, egli si getta sul mucchio di rifiuti. Ha archetipizzato se stesso,
ma prima decide di passare in rassegna tutti i diché della propria arte, tutte le innovazioni che
ha introdotto nel teatro e nella poesia del suo tempo.
Che cosa posso fare se non enumerare i vecchi temi?
Dopo aver passato in rassegna questi stadi della sua arte, le sue innovazioni e i suoi
esperimenti, dice semplicemente:
Quelle immagini magistrali in quanto complete Crebbero nella pura mente, ma da
che trassero origine?
La sua risposta presenta il tema principale di questo libro: la novità delle tecniche poetiche e
delle immagini viene ricuperata da
Un mucchio di rifiuti o dalla spazzatura di una strada,
Vecchi bricchi, vecchie bottiglie, e un bidone rotto,
Vecchi ferri, vecchie ossa, vecchi stracci, la baidracca pazza
Che tiene la cassa...
Yeats introduce qui pe~ intero il tema del commercio come parte del processo poetico. Il suo
esibizionismo poetico, una volta giunto al vertice, è compiuto. Le immagini ricuperate dal «
negozio da rigattiere» con le quali ha costruito la scala per raggiungere la sua corda da
83
funambolo sono ora complete e vengono messe da parte. La sua « scala di Giacobbe» è
scomparsa.
«Devo mettermi giù dove tutte le scale cominciano». TI tema di Dal cliché all’archetipo è
semplicemente lo smantellamento di ogni innovazione poetica e di ogni cliché, quando sono
stati usati in una certa misura. Le forme e le immagini « magistrali », una volta complete, sono
messe da parte per divenire « il negozio da rigattiere del cuore», in altre parole, il mondo
dell’archetipo.
E che dire della scala di Giacobbe? Giacobbe si coricò solo per salire una scala o, almeno, per
sognare una scala d’angeli che salivano e scendevano secondo la gerarchia celeste. Yeats
considera il momento della crisi poetica come una nuova conquista, come un ricominciare a
salire e a scendere la scala di Giacobbe della visione celeste.
Allorché i suoi ciché poetici cadono a pezzi e vengono scartati, egli intraprende il ricupero di
vecchie forme per nuovi cliché.
E il trito ciché a rivelare i processi creativi o archetipali nel campo della lingua come in tutti
gli altri processi artef atti.
J. Seznec in The Survival of the Pagan Gods (La sopravvivenza degli dèi pagani) compie un
esauriente studio del processo di dissacrazione degli dèi da parte dell’umanesimo letterario dal
terzo secolo a.C. fino al Rinascimento. Tale processo è consistito nell’accettare gli dèi come
eroi della tecnologia o geni che dedicarono la propria vita al bene del prossimo. Il
riconoscimento dell’elemento umano negli dèi tendeva inizialmente ad essere usato contro di
loro, ma a partire da un’enciclopedia del settimo secolo, l’Etymologie di Isidoro di Siviglia,
gli scrittori iniziarono ad accettare una visione dissacrata degli dèi. La nuova strategia fu
seguita per tutto il Medioevo fino alla Scienza Nuova di Giambattista Vico. Come Isidoro di
Siviglia, Vico considerava la storia dell’evoluzione culturale nell’etimologia delle parole
come registrazioni corrispondenti alle innovazioni tecuologiche.
La tradizione enciclopedica della retorica classica accettava gli dèi su una base di esegesi a
molti livelli. Questo metodo « grammaticale» di analisi letteraria attraverso l’indagine
figurativa, tropologica (morale) e anagogica (alti misteri) conservava l’antica tradizione tribale
e magica dell’approccio agli dèi per mezzo di tecniche letterarie di ricupero. Di conseguenza il
Puritanesimo del sedicesimo e del diciassettesimo secolo, nel rifiutare l’approccio letterario a
molti livelli, rifiutò anche gli dèi pagani. L’insistenza esclusivamente sul livello
dell’interpretazione letterale fu ciò che portò Milton a relegare nel suo Inferno tutta la tribù
delle divinità pagane proprio come Platone aveva relegato nella sua caverna tutti i fenomeni
del mondo contraddistinti da una pluralità di livelli.
Ci potrebbe essere qualcosa di strano nel fatto che Platone respinse la cultura della caverna
paleolitica in una spenceriana Caverna dell’Errore. Ma proprio come le tecniche di ricupero
totale della stampa di Gutenberg crearono l’ideale puritano di un ritorno ad una cristianità
purificata e primitiva, così l’antropologo moderno, usando metodi totali di ricupero, ha
rifiutato la visione tradizionale, umanistica o letteraria degli dèi a favore di una
risacralizzazione completa dell’arte e del rituale pagani. La risacralizzazione degli antichi
cliché della tecnologia antica da parte degli antropologi pone l’archetipista letterario in una
posizione molto imbarazzante. L’archetipista che è giunto a considerare gli dèi come un
gruppo di entità moralizzate, sterilizzate o «castrate» si pone ora di fronte all’antropologo, che
insiste nell’accettarli come reali forze ambientali selvagge che sono completamente al di là
dell’evento o del controllo letterario. Gli dèi come ciché tecnologici non sono suscettibili di
classificazione letteraria.
W. K. Wimsatt in Horses o! Wrath espone dettagliatamente la procedura convenzionale del
letterato quando analizza l’Anatomy of Criticism (Anatomia della critica) di Northrop Frye:
Vi è stata un’anticipazione, anzi un’appropriazione di alcune delle idee dell’arcimitopoietico del nostro tempo nel paragrafo precedente. Northrop Frye in Fear>ful
84
Symmet,y (1949) ha annunciato nell’ultimo capitolo l’ispirazione blakiana di un
costrutto apocalittico che ha visto la sua realizzazione nei quattro saggi intitolati
Anatomy oI Criticism (1957) e i cui abbozzi precedenti e applicazioni successive
sono raccolte in Fablei o/Identity (1963). ~L’Anatomy o~ Ct~ticism, soprattutto nella
sua « Introduzione polemica», èscritta con una consapevolezza estremamente acuta
della storia della critica e dei problemi critici che abbiamo appena presi in esame.
L’intenzione di Frye è di sfuggire al problema principale della critica — quello della
valutazione letteraria — attraverso l’enunciazione di una separazione molto ardita, e
cioè una pura e semplice separazione dell’atto di « criticare» la letteratura dall’atto di
darne una valutazione.
Si tratta di qualcosa di molto simile a quanto fu accennato sia da Eliot che da
Richards in alcuni momenti del loro pensiero negli anni Venti ma ora acquista un’aria
di eccessiva rigidità ed insistenza. Mi trattengo dal dire «insistenza sistematica»
perché, sebbene l’intera opera sia un ‘invenzione straordinaria, ritenRo che non ci
vengano mai posti di fronte direttamente i concetti di valutazione e di critica, e non
solo che i Quattro Saggi siano in effetti appesantiti da asserzioni e implicazioni cli
valutazioni, ma che l’Introduzione polemica, dove viene sviluppato l’argomento
principale rispetto al valore, evidenzi una serie di contraddizioni abilmente celate a
questo riguardo.[5]
L’Ulisse di Omero è disceso agli Inferi per consultare gli antichi, in qualità di oracoli (cfr.
Eliot in Tradition and the Individuai Taient). Platone, con l’aiuto del nuovo diché tecnologico
della parola scritta, ha gettato l’intero mondo del divenire nel mucchio di immondizie della
sua caverna. Il libro IV dell’Eneide rientra nella tradizione omerica di consultazione dei saggi
della tribù.
L’Inferno di Dante, completo di alcune celebri figure storiche, è una specie di registro sociale
della società del suo tempo. Il suo Inferno è una struttura sottilmente discriminante di stati
psicologici. I critici hanno commentato la grandiosità dell’indeterminatezza dell’Inferno di
Milton a confronto con la concretezza immaginativa dell’Inferno dantesco. Considerato come
un mucchio di rottami di tecnologia e ciché pagani scartati, l’Inferno di Milton è
sorprendentemente specifico in quanto fornisce una catalogazione di moltissime divinità
pagane e. le caratterizza con attributi rivelatori. Non è difficile vedere come Milton abbia
scartato interamente le culture pagane, perfino ciò che per lui dovevano essere le seducenti
tecnologie dell’eloquenza, della poesia e della filo.sofia speculativa. Si sbarazza perfino della
sua arte preferita, la musica, per la sua seduzione tecnologica.
Nel Paradise Lost (Paradiso Perduto) abbiamo una pm matura e più tarda versione del giovane
Milton di On the Morning of Christ’s Nativiy (Nella mattina della natività di Cristo) in cui
Milton vede il Cristo bambino quasi come una nuova tecnologia che rende obsolete quelle
pagane. Mentre gli inferi dei pagani escludevano gli dèi delle tecnologie e delle arti, l’Inferno
di Milton riceve tutta la compagnia e sembra quasi esser designato a tale proposito. L’Inferno
di Dante è un luogo di tormento fisico e psicologico, ma l’Inferno di Milton è un museo
apollineo di antichità pagane, oltre che delle arti e dei sensi.
C’è una sorta di parallelismo tra il mondo della caverna di Platone come contenitore di un
mondo rifiutato in cui Platone è stato sostituito dallo spazio razionale cucideo e dall’indagine
socratica (che deriva dal nuovo cliché della parola scritta) e il mondo del diciassettesimo
secolo, in cui la stampa di Gutenberg svolgeva il ruolo del precedente testo fonetico. Il
meccanicista del diciassettesimo secolo metteva da parte l’intero passato dell’umanità
relegandolo nell’Inferno di Milton:
Per folleggiare con il Sole, suo ardente amante.
Ella incoronata di verde Ulivo, venne lievemente scendendo
85
Per la sfera rotante
Sua sollecita Nunzia,
Con ali di Tortora le amorose nuvole aprendo
E muovendo con ampio gesto la sua verga di mirto,
Diffonde Pace universale per Mare e Terra.
John Milton, On the Morning of Christ’s Nativity (
Nella mattina della natività di Cristo)
86
JOKES COME BARZELLETTE
«Fanfarale alla veglia di Finnegans» *
Che un funerale possa essere occasione di divertimento è ovviamente un’incongruenza. Per
saperne di più, tuttavia, basta rivolgersi agli antropologi e si scoprirà che allontanare da sé
tutte le forze e gli eventi negativi che accompagnano la morte è un’usanza universale. E
quindi tutto il Finnegans Wake è una specie di sarabanda, Il che è altrettanto vero per il
Tristram Shandy di Lawrence Sterne. Di Sterne, Joyce ha detto che avrebbe dovuto chiamarsi
Swift e di Swift che avrebbe dovuto chiamarsi Sterne. «Swift» è il nome di un uccello, un
rondone, e se l’umorismo di Swift era torvo (« La satira èuna specie di specchio in cui gli
osservatori cli solito scoprono il volto di tutti fuorché il proprio *), Sterne aveva un tocco
leggero.
L’eroe di Sterne, Tristram Shandy, era sollecito e rapido nei movimenti. Il gioco erudito a cui
si dedica per tutto il libro è chiaramente l’espiazione del torto subito nell’ignobile circostanza
in cui gli era stato affibbiato il nome di « Tristram *. Sterne inoltre prende in giro ampiamente
la storia della stampa, facendo la parodia sia del processo della stampa che dell’editoria, oltre
che della distruzione dell’eloquenza classica che ne consegue. Tutti gli stadi che intercorrono
fra Isocrate e James Joyce, per cui sia l’eloquenza che la saggezza erano acquisite per mezzo
dell’erudizione, sono il principale soggetto di paradosso in Erasmo, Swift, Sterne e Joyce.
Colui che ha detto che ci sono solo cinque forme principali di umorismo ovviamente non era a
conoscenza del Finnegans Wake. «Il riso», ha detto Wyndham Lewis, « è un’esplosione di
energia nervosa che prende i muscoli del viso».* Si tratta, quindi, in ogni senso, di
un’interfaccia culturale e psicologica. È inevitabile che il comico sia «un uomo che ha subito
un torto >~, come ci ricorda Steve Allen in The Funny Men. Anche soltanto i nomi di Twain,,
Leacock e Chaplin sono sufficienti a ricordarci la loro amarezza. La rabbia e la sensibilità
sociale acuiscono la consapevolezza del comico per cui le sue « barzellette» sono sondaggi o
stilettate nella matrice culturale che lo perseguita.
D’altra parte, chiunque può determinare un’area di irritazione o disturbo sociale
semplicemente controllando le aree da cui emergono di solito le barzellette. I sondaggi (o
barzellette) che hanno origine in un’area sono spesso trasferiti ad un’altra per convenienza. Le
barzellette sugli italiani o i polacchi sono attualmente in voga in Canada come «barzellette
sugli abitanti di Terranova ». La popolazione di Terranova si è spostata molto di recente: chi
abitava sulla costa si è trasferito in città e ne sono risultati nuovi confronti. Quando i torti o le
irritazioni divengono troppo. gravi, tuttavia, la barzelletta cessa di funzionare come catarsi.
Negli ultimi tempi l’Irlanda del Nord non ha fornito molte occasioni per fare dell’umorismo e
il numero delle barzellette riferite ai vietnamiti non è certo cospicuo.
L’esquimese invece porta una copia del «Manhattan», al mercante e dice: «Intaglio ciò che
vedo».**
Il comico come clown di professione indossa la maschera corporativa di un torto collettivo. La
smorfia da avaro di Jack Benny* e il profilo collerico di W. Field** servono a dirottare buona
parte della irritazione collettiva e delle frustrazioni di una società.
Ad un altro livello, ogni imperatore deve avere il clown o il suo «buffone patentato». In
*termine Funferall dell'originale è una combinazione di funeral (funerale), fun (divertimento) e for all (per tutti).
[N.d.T]
*Si tratta di quel genere di barzellette che vengono solitamente riferite ai «carabinieri» in Italia. [N.d.T.]
**“I carve what I see” (intaglio ciò che vedo) è una variazione del cliché “I paint what I see” (dipingo ciò che
vedo). [N.d. T]
*Comico televisivo molto popolare in America con una trasmission titolo Jack Benny Show. Le sue barzellette
avevano generalmente un avaro per protagonista. [N.d.T.]
**W. C. Field, attore cinematografico che girò una serie di film con West. ti suo umorismo era contrassegnato da
un marcato cinismo. [N.d.T.]
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società rigidamente gerarchizzate solo questo personaggio osa esercitare l’azione di sondaggio
della libertà di parola. Il clown è indispensabile per eseguire i sondaggi di opinione e per
controllare gli stati d’animo di coloro che governano. Per di più, senza il suo clown,
l’imperatore ha nessun mezzo per mantenersi in contatto con il pubblico.
Sigmund Freud usa le barzellette sul sensale di matrimonio ebreo per illustrare l’interazione di
diverse aree di esperienza nella sua opera Il motto di spirito e la relazione con l’inconscio.
The Joys of Yiddish di Leo Roster è un’enciclopledia dell’umorismo come mezzo per
comprendere le minoranze ed i torti da loro subiti: «La conoscenza tra gli ebrei è divenuta
sostitutiva delle ricompense del mondo. La capacità di comprendere è, a quanto credo, un
sostituto delle armi: l’unico mezzo per neutralizzare l’ira dei potenti consiste nel conoscerli
meglio di quanto essi non conoscano se stessi ». [2]
Ma Sterne sapeva che la conoscenza è il “prepotente supremo” e che il solo modo per essere
alla pari di Socrate è di esercitare i muscoli intercostali con il riso. Come nel caso della
preghiera, ridere significa « nascere a ritroso» secondo quanto spiega la santa sorella in una
recente opera teatrale. In altre parole si tratta di Edipo che viene smascherato.
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LOVE COME GIOIA D'AMARE, E LE GHIRLANDE DI MARGHERITE
Quelle non sono collane d’amore, sono collari per pulci!
ARMSTRONG AD ALDRIN: «Che cosa sono quelle
pedine colorate sul finestrino?».
ALDRIN:
« La costellazione Urina».
Notizia di cronaca: Un biologo russo collega le lucciole ai
pidocchi, permettendo ad intere popolazioni di leggere la
Pravda a letto.
Voglio tenerti per mano.
I Beatles
Mitt me Mutt.
La stretta di mano era un gesto di inimicizia duratura nelle società arcaiche (vedi gli studi di
Herbert Spencer).
Semplice e infido come una stretta di mano.
Laforgue
Stringetevi la mano e finite per litigare.
E meglio aver amato e perduto piuttosto che non aver perduto affatto.
Samuel Butler
Senza la grande catena dell’essere non ci sarebbe mai stato nessun «anello mancante». I figli
dei fiori che intrecciano ghirlande di margherite sono gli anelli mancanti o divario a
interfaccia fra la vecchia cultura industriale e la nuova cultura elettrica.
Abbiamo eseguito la quadratura del cerchio ma non si può eseguire la quadratura di
una ghirlanda di margherite con i suoi cromosomi spezzati.
Detto dei figli dei fiori
In ogni lingua c’è un’espressione che indica la sensazione di completa conoscenza o
padronanza di qualche argomento e al contempo indica l’orientamento sensoriale di un’intera
cultura. In inglese possiamo dire: «Lo conosco come il dorso della mia mano» (visivo?). In
russo si dice: «Lo conosco come il palmo della mia mano» (iconico tattile?). In spagnolo
dicono: «Lo conosco come se l’avessi fatto nascere » (propriocettivo-viscerale?). Gli
americani dicono: « Lo conosco a menadito» (cineticomanipolatorio?). I tailandesi dicono:
«Lo conosco come un serpente che nuoti nell’acqua» (la danza del pensiero tra le parole?). In
tedesco si dice: « Lo conosco come le mie tasche» (interfaccia tattile?). In francese si dice:
«Lo conosco au /ond» (risonante-uditivo?). I giapponesi, maestri del tocco o dell’intervallo,
dicono: «Lo conosco da capo a piedi».
Forse quando diciamo: «Ce l’ho sulla punta della lingua », intendiamo che una certa parola o
espressione oscilla tra il ricordo uditivo e quello visivo. Quando diciamo: « Ce l’ho sulla
punta delle dita», indichiamo immediatezza e profondità di accesso.
Nel mimare il latrato di un cane i giapponesi dicono:
«Wung, wung»; i polacchi dicono: «Peef, peef»; e gli americani: « Bow, wow». La « trama si
chiarifica» quando passiamo alle estensioni immediate dei nostri sensi.
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Joyce determina la catena della stessa cognizione e ricognizione:
Nell’ignoranza che implica l’impressione che congiunge la conoscenza che trova il
nomeforma che aguzza l’acume che convoglia i contatti che seconda la sensazione
che suscita il desiderio che aderisce all’attaccamento che incalza la morte che
lamenta la nascita che comporta il susseguirsi dell’esistenzialità. [1]
Lily Tomlin* in Rowan and Martin’s Laugh-In segue questa strada. Non si deve cercare di
trovare un senso in quanto dice Goldie Hawn**.(Goldie (a Jack Benny):
« Non leggere il cartellone del suggeritore; continua a parlare».
*Nota attrice comica della televisione americana. [N.d. T.]
**Personaggio di uno spettacolo televisivo della fine degli anni Sessanta, incarnava il tipo della “bionda stupida”,
alla Msrylin Monroe. Le sue battute irriverenti contribuirono a sensibilizzare l’opinione pubblica americana su
questioni come la guerra del Vietnam, il pregiudizio razziale ecc. [N.d.T.]
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MIMESI, O AVERE UN SIGNIFICATO
Il mondo della tecnologia nella sua totalità acquista significato mimando il corpo umano e le
sue facoltà.
La maggior parte degli studi della mimesi da Platone ad Auerbach e Koestler parte dal
presupposto di far combaciare l’interno e l’esterno. Art and Illusion (Arte e illusione) di E. H.
Gombrich e Pre~face to l’lato (Prefazione a Platone) di Eric I-Iavelock costituiscono una
significativa eccezione a tale teoria. La tecnica del parallelismo continuo che Eliot indica
come forma essenziale di mimesi quale creatrice di miti nel suo saggio classico Ulysses, Order
and My:h (Ulysses, ordine e mito) non fa altro che mettere da parte l’idea della
contrapposizione a favore dell’interfaccia e della metamorfosi. Platone si era opposto all’idea
tradizionale e magica della mimesi.
E. H. Gombrich illustra come le sue esigenze euclidee della contrapposizione e dell’illusione
figurativa cominciarono ad essere avvertibili al tempo di Platone. Havelock spiega così la
funzione pre-platonica della mimesi:
Platone descrive una tecnologia totale della conservazione della parola... uno stato di
coinvolgimento personale totale e quindi di identificazione emotiva con la sostanza
dell’espressione poetica... Oggigiorno uno studente pensa di far bene se dedica una
piccolissima parte dei suoi poteri psichici alla memorizzazione di un solo sonetto di
Shakespeare. Non è più pigro di uno studente dell’antica Grecia, in quanto riversa
semplicemente le sue energie nella lettura e nell’apprendimento usando gli occhi
invece che le orecchie. La sua controparte greca doveva mobilitare le risorse
psichiche necessarie per imparare a memoria Omero e i poeti... Ci si metteva nella
situazione di Achille, e ci si identificava con il suo dolore o con la sua ira. Si
diventava Achille stesso come lo diventava l’attore a cui si prestava ascolto.
Trent’anni dopo si poteva citare automaticamente quello che aveva detto Achille o
quello che il poeta aveva detto di lui. Era solo a costo di una totale perdita di
oggettività che si potevano acquistare tali enormi poteri di memorizzazione poetica...
Questo è quindi il principale indizio per comprendere la scelta della parola mimesis
operata da Platone per descrivere l’esperienza poetica. Esso mette a fuoco
inizialmente non tanto l’atto creativo dell’artista quanto la sua capacità di far
identificare il suo uditorio in maniera quasi patologica e certamente partecipe con
quanto sta dicendo... quanto Platone sta dicendo è che ogni espressione poetica deve
essere designata e recitata in modo tale da renderla una specie di dramma all’interno
dell’anima sia di chi la recita sia di conseguenza di chi l’ascolta. Questo tipo di
dramma, questo modo di rivivere l’esperienza nella memoria invece che analizzarla e
capirla, è per lui il “nemico” [1]
Una delle etimologie di « matchingv> (mettere in correlazione) è «makingt (fare): mac-ian.
Questa polarità èinerente alla coscienza come tale. È certo che nel processo dal-cichéall’archetipo, se la cognizione significa mettere in correlazione la nostra esperienza dei sensi
con il mondo esterno, la ri-cognizione è una ripetizione di tale processo. Abbiamo visto come
il sogno implichi un «ricorso» di tale esperienza da svegli durante il giorno: « Le immagini
non purificate del giorno si ritraggono» (Yeats). Tutto Finnegans Wake è un « ricorso»,
un’energica purificazione o meglio un’esperienza privata e pubblica nel « sogno a ritroso»
collettivo. «Acquistare un significato » è un’espressione che indica la ripetizione di
un’esperienza che rivela all’improvviso una verità o un senso. In Le Détnon de l’Angiogie
Mallarmé rivela un processo creativo come riepilogo degli stadi veri e propri
dell’apprendimento. In altre parole la creatività è parallela alla comprensione, è un
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ripercorrere il labirinto della sensazione. La mitologia antica è ricca di esempi di questa
consapevolezza. Dedalo, il più potente costruttore o ingegnere dell’antichità ideò il labirinto
per rinchiudervi il Minotauro. La prima pagina di A Portrait of the Artist as a Young Man
(Ritratto dell’artista da giovane) riguarda un labirinto cognitivo che viene attraversato da
Stephen, l’artista-eroe, nel suo primo incontro con il Minotauro e con gli altri scandali (si
confronti l’etimologia greca).
Il cognome di Stephen non è Daedalus ma « Dedalus», cioè «dead us all» (morti tutti noi).
L’ultimo racconto di Dubliners (Gente di Dublino)~ «The Dead» (I morti), e le ultime righe
del Portrait spiegano il rapporto che intercorre tra il giovane artista e i morti: «Vado ad
incontrare per la milionesima volta la realtà dell’esperienza e a forgiare nella fucina della mia
anima la coscienza non creata della mia razza». Questa implicazione verbale del « ricorso», i
milioni di ripetizioni del labirinto cognitivo, che è percorso nella prima pagina del Portrait,
rappresenta il compito di attribuire un senso, di risvegliare i sonnambuli nel labirinto della
conoscenza.
Nel narrare la genesi di The Lake Isle of Innisiree (Innisfree, l’isola sul lago), Yeats racconta
come stesse osservando la pubblicità per una bibita analcolica in una vetrina di Londra, in cui
una pallina danzava in cima ad uno zampillo d’acqua per rendere l’idea della qualità sportiva
ed emancipata della bibita. Mentre Yeats stava sul marciapiede della metropoli inquinata non
solo nell’atmosfera ma anche da un punto di vista visivo e acustico, egli si mise a creare un
ambiente opposto, e cioè «Innisfree», per dare un senso all’anarchia che lo circondava. Nel
momento in cui creava la sonda artistica di Innisfree, Yeats gettava Londra in un cumulo di
rifiuti. L’arte è una sonda-ciché che scarta condizioni ambientali più vecchie per ricuperare
altri cliché scartati precedentemente.
La mimesi aristotelica conferma l’approccio di James Joyce, poiché è una sorta di riepilogo di
processi naturali, sia che si tratti di attribuire un significato per mezzo della conoscenza sia
che si tratti di costruire una casa seguendo le linee della natura~ Per esempio, nella Fisica,
libro Il, capitolo VIII, Aristotele scrive: « Così, se una casa fosse stata una cosa fatta dalla
natura, sarebbe stata fatta nello stesso modo in cui è fatta ora dall’arte; e se le cose fatte dalla
natura fossero fatte anche dall’arte, risulterebbero essere allo stesso modo come se fossero
state fatte dalla natura». Aristotele conferma così la qualità sacrale del ciché o artefatto,
allineandolo con le forze cosmiche, proprio come i biologi dicono che l’ontogenesi riepioga la
fiogenesi, e cioè che la conoscenza e la crescita sono una cosa sola, il che è naturalmente il
tema del Portrait di Joyce.
Shakespeare ripete Aristotele in The Winter’s Tale (Il racconto d’inverno) quando mette
queste parole in bocca a Perdita:
Poiché ho inteso dire
Che esiste un’arte che nella loro screziatura ha parte
Quanta la grande creatrice Natura.
Al che Polissene commenta:
È possibile;
Pure la Natura è resa migliore da mezzi
Che sono ancora opera della Natura; così, sopra quell’arte,
Che tu dici aggiungersi alla Natura, vi è un’arte Creata dalla Natura.
The Winter’s Tale (Il racconto d’inverno), atto IV, scena 3
La Metafisica di Aristotele si apre con quest’affermazione: « Tutti gli uomini per opera della
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Natura desiderano conoscere». Il piacere che deriviamo dai sensi èun ‘indicazione di ciò; a
prescindere dalla loro utilità, in-fatti, noi li viviamo per se stessi; i biogenetisti oggi dicono
che un organismo in crescita, in qualsiasi momento del suo sviluppo, deve sapere ciò che
compie l’intero organismo per potersi sviluppare. Le conseguenze delle immagini sono le
immagini delle conseguenze. Tale implicazione e tale polarità, la conoscenza e la crescita,
sono sia creative che distruttive. Yeats sviluppò questo rapporto tra arte e Natura nelle sue
opere più mature, come in Verso Bisanzio:
Una volta fuori della natura non assumerò mai più
La mia forma corporea da una qualsiasi cosa naturale,
Ma una forma quale creano gli orefici greci
Di oro battuto e di sfoglia d’oro
Per tener desto un imperatore sonnolento...
Si tratta, ancora una volta, del tema dell’arte come mezzo per giungere alla più piena
consapevolezza, capace di dare coscienza perfino a un burocrate. Aristotele nel De Anima
(libro III, capitolo VII) indica la analogia fra arte e conoscenza: « Non è una pietra che è
presente nell’anima, ma la sua forma. Ne consegue che l’anima èanaloga alla mano; poiché
come l’anima è lo strumento degli strumenti, così la mente è una forma delle forme e del
senso, la forma delle cose sensibili ».
Per mezzo della risonanza e della ripetizione «l’anima è in un certo senso tutte le cose
esistenti». Come la mano; con le sue estensioni, indaga e dà forma all’ambiente fisico, così
l’anima o mente, con le sue estensioni del linguaggio, indaga, dà ordine e ripristina l’ambiente
degli artefatti e degli archetipi creato dall’uomo.
Un ciché è un atto di consapevolezza: la consapevolezza totale è la somma di tutti i ciché di
tutti i media o tecnologia con cui compiamo le nostre Indagini.
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L’UNO E I MINI
A differenza della consapevolezza privata, la coscienza sociale è un processo di scarto,
ricupero e sonda. Nella maggior p arte dei casi si pongono in risalto il ricupero e
1’accum~azione di immensi residui. Con Io sviluppo avuto nel diciannovesimo secolo da
molte nuove tecnologie (ciché), la supremazia della coscienza unificata della stampa ha ceduto
il passo alla multicoscienza. Non ci sono stati cumuli di rifiuti, o di immondizia, né un
inconscio abbastanza grande da contenere tutti i materiali prodotti dal fallimento di tanti
sondaggi e ricerche sull’ambiente. Molte opere letterarie e artistiche testimoniano l’impatto
della nuova multicoscienza. Ubu Roi (lJbu Re) di Jarry, The Waste Land (La terra desolata) di
Eliot, i primi capitoli di The Apes o/ God (Le scimmie di Dio) di Wyncfham Lewis, Finnegans
Wake di Joyce, l’intera letteratura del Teatro dell’Assurdo dimostrano tutti la violenza di tale
impatto.
Douglas M. Davis fa notare la sensibilità da mini-arte che pervade ogni campo a partire dagli
anni Sessanta, nella pittura e nella scultura, nella musica, nell’architettura, nell’urbanistica,
nelle università, negli abiti e nella moda. Sia la filosofia che l’industria devono ancora fare i
conti con il mini-modulo, ovvero con la nuova struttura dell’età elettrica. Ciononostante,
perfino negli argomenti astrusi dci fenomenologi (funamboli), gli esistenzialisti e i positivisti
logici non rivelano alcuna consapevolezza dei problemi posti alla filosofia dalla
multicoscienza. D’altra parte, nei loro tentativi di trattare i problemi contemporanei, giungono
ad una complessità che finisce per essere un fallimento filosofico. Costoro si dimostrano
letteralmente degli « sprovveduti ».
I quotidiani si occupano di questi problemi con ironia e laconicità:
I TRE CERVELLI RESPONSABILI DEI GUAI DELL’UOMO
di Marilyn Dunlop, redattrice dello «Star»
KINGSTON - L’uomo ha tre cervelli — non uno solo — e deve coordinarli se vuole
sopravvivere, ha detto ieri il dott. Paul MacLean dell’Istituto di Igiene mentale di
Bethesda, Maryland.
In una conferenza tenuta qui all’Istituto di Igiene mentale dell’Ontario, MacLean ha
detto che il «nuovo cervello di mammifero» si è sviluppato solo di recente.
Esso parla, scrive, legge, risolve problemi sociali, può imparare da ciò che l’uomo
vede e può perfino sognare, secondo quanto ha detto MacLeari.
Ma l’uomo ha anche altri due cervelli. Uno èil suo « cervello di rettile» che funziona
per mezzo di memorie ancestrali e di istinto. L’altro è il «vecchio cervello di
mammifero» che si occupa del cibo e del sesso come mezzi per conservare la specie
attraverso la moltiplicazione.
Egli ha detto che la lotta per il territorio e l’autoconservazione non è più di attualità
nel mondo moderno, anzi è perfino pericolosa, ma il nuovo cervello di mammifero
ha delle difficoltà a mettersi in comunicazione con i cervelli più vecchi.
<Toronto Daily Star>, 13 febbraio 1969
Nel capitolo · La priorità dei paradigmi » dell’opera The Stnicture o! Scieniific Revolutions,
Thomas Kuhn discute un tentativo di trattare la multicoscienza da parte degli scienziati:
... Gli scienziati operano secondo modelli acquisiti attraverso l’educazione e
attraverso le successive nozioni di letteratura spesso senza conoscere a fondo, o senza
la necessità cli conoscere, quali caratteristiche abbiano dato a questi modefli lo status
cli paradigmi della comunità. Proprio per il fatto che operano in tal modo, essi non
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hanno bisogno di una serie completa di regole. La coerenza dimostrata dalla
tradizione di ricerca di cui sono partecipi potrebbe non iinplicare nemmeno
l’esistenza di un insieme di regole e presupposti che potrebbero essere scoperti da
ulteriori investigazioni storiche e filosofiche. Il fatto che gli scienziati non si
chiedano e non discutano che cosa rende legittimi particolari problemi o soluzioni, ci
induce a supporre che, almeno intuitivamente, essi conoscano la risposta. Ma
potrebbe solo indicare che né la domanda né la risposta sono considerate rilevanti per
la loro ricerca. I paradigmi possono essere precedenti
— oltre che più vincolanti e più completi — a qualunque serie di regole per la ricerca
che si potrebbero inequivocabilmente ricavare da essi.
Fino ad ora la questione è stata interamente teorica: i paradigmi potrebbero
determinare la scienza normale senza l’intervento di regole da scoprire. Mi si
permetta ora di sottolineare la chiarezza e l’urgenza della scienza indicando al-curie
delle ragioni che inducono a credere che i paradigmi operino effettivamente in questo
modo. La prima, che è già stata ampiamente discussa, è la grave difficoltà di scoprire
le regole che hanno guidato tradizioni particolari di ordinaria amministrazione in
campo scientifico. Tale clifficoltà è molto simile a quella che incontra il filosofo
quando cerca di dire che cosa hanno in Comune tutti i giochi. La seconda, cli cui
costituisce in realtà un corollario, è radicata nella natura dell’educazione scientifica.
Dovrebbe essere ormai chiaro che gli scienziati non apprendono mai i concetti, leggi
e teorie in astratto e isolatamente. Al contrario, fin dall’inizio, vengono a contatto di
questi strumenti intellettuali in un’unità storicamente e pedagogicamente precedente
che li fa conoscere insieme con la loro applicazione e attraverso di essa. Una nuova
teoria è sempre annunciata insieme con le sue applicazioni in qualche ambito
concreto di fenomeni naturali, e senza di queste non se ne potrebbe nemmeno
proporre l’accettazione. [1]
Le percezioni degli scienziati sono altrettanto condizionate da un punto di vista culturale
quanto quelle di uno scolaretto e quelle di un saggio. E tipico delle nuove generazioni pensare
allo scienziato come a una persona non condizionata dalla propaganda culturale ed è quindi
una novità esporre i presupposti che sono celati agli scienziati. Per esempio l’illusione dello
spazio come un continuum uniforme, comune alla cultura occidentale, crollò all’improvviso
con l’avvento della geometria non eucidea e della teoria della relatività. L’improvvisa
trasformazione dello spazio visivo della cultura euclidea nello spazio risonante della
meccanica quantistica è completamente frainteso dai fisici che usano il nuovo paradigma della
risonanza. Essi non sono consapevoli che lo spazio acustico ha proprietà fisiche singolari (si
tratta di una sfera perfetta il cui centro è dovunque e i cui margini non sono in alcun luogo). Il
risultato è che i fisici quantistici continuano a sforzarsi di visualizzare l’invisibile, costruendo
piccoli modelli iconici di particelle di DNA e cose del genere. Non è sorprendente che la
scienza non abbia la minima idea circa la natura della gravità e continui a ignorare il semplice
fatto che Newton scoprì la leggerezza e non la gravità, e cioè l’attrazione lunare e non
l’attrazione terrestre.
Con le dinamiche delle nuove tecniche di lettura veloce (con velocità che variano dalle 1000
alle 50.000 parole al minuto) la mini-arte dei tipi mobili di Gutenberg
95
diviene una forma di multicoscienza. Il lettore può programmare per sé un qualsiasi singolo
livello di prosa oppure può orchestrare un gruppo di livelli a seconda di quanto gli suggerisce
la sua sensibilità.
Douglas M. Davis in «Le dimensioni della miniarte »discute gli attuali sviluppi della pittura,
della scultura e della musica come parte di un cambiamento totale della sensibilità. Secondo la
sua descrizione le nuove arti dell’uomo multicosciente abbracciano ogni campo d’azione nella
nostra cultura. Il paradigma giapponese del modulo ebbe inizio molto tempo fa con le stuoie
sul pavimento.
Sembra ci sia una sensibilità riduttiva operante nel nostro tempo, che si manifesta
non solo nella pittura e nella scultura, ma nel cinema d’avanguardia, nella danza, nel
teatro, nella poesia, nella musica, nell’architettura, perfino in certe aree della nostra
vita quotidiana e politica. Al centro di questa sensibilità c’è un’implacabile
determinazione del buon senso di trovare e sfruttare ciò che è irriducibile: di
barattare le consuetudini, lo «stile», la tradizione, perfino l’abilità artigianale con
l’essenziale, quello che i giovani definirebbero «venire al sodo». Per un pittore come
Frank Stella, o uno scultore come Donald Judd, questo significa contrabbandare
l’illusione come presenza fisica, per un regista come Andy Warhol, una coreograf a
come Ann Halpin, un poeta come Emmet Williams, un compositore come La Monte
Young, si tratta di un baratto dello stesso tipo, almeno come idea, sia pure attraverso
media diversi. [2]
La nota forma di inserzioni pubblicitarie consistenti nella moltiplicazione dei profili è un
esempio accessibile del mini-modulo che si trova in ogni struttura elettrica, dalla capsula
spaziale ai moduli della coscienza.
Mallarmé e Joyce sono maestri di questo tipo di modulo verbale che si ottiene spingendosi
oltre le barriere semantiche:
«I ciché cedono il passo a parole che hanno il valore della rarità. Le volute della frase
sono trasformate in espressioni atomizzate cosicché ogni parola, che è resa il più
indipendente possibile da un punto di vista sintattico, risplende di luce propria... Il
numero dei temi diviene sempre più esiguo, il mondo delle cose concrete sempre più
fragile e tenue e, in modo inversamente proporzionale, il contenuto diventa sempre
più abnorme. Laddove originariamente c’erano dei poemi narrativi descrittivi o
appassionati, che attiravano l’attenzione su un contenuto limitato, ora ci sono poesie
che attirano l’attenzione su di sé, sull’esistenza della lingua in sé ».[3]
Elémire Zolla, Eclissi dell’intellettuale
96
OCCHIO-ORECCHIO
Secondo i moduli formali americani, per esprimere gioia si ride
e per esprimere dolore si piange... In Giappone, come hanno
scoperto molti americani, il riso non significa sempre che una
persona sia felice. Anche il pianto non indica necessariamente
che una persona sia triste... Gli americani d’altro cantò sono, in
confronto, subordinati a poche restrizioni tecniche formali, ma
sono oppressi dalle restrizioni informali. Ciò significa che gli
americani sono propensi all’inibizione, perché non possono
affermare esplicitamente quali siano le regole. Possono
piuttosto indicarle quando vengono violate. [1]
Edward T. Hall, The Silent Language (Il linguaggio silenzioso)
I nord-americani tendono ad essere impacciati da estreme complessità in ogni campo che esuli
dalla nostra cultura visiva. Per esempio, nell’ovest, vi sono così tanti sistemi per misurare il
tempo che « una ben nota autorità americana affermò una volta che per un bambino medio ci
volevano circa dodici anni per destreggiarsi nella misura del tempo».
Per Ben Jonson, d’altro canto, l’acme della seduzione era l’odore del corpo, come
testimoniano gli ultimi versi di « Bevi alla mia salute soltanto con i tuoi occhi ». Perché allora
l’improvviso bisogno di una riviviscenza dei valori uditivi della stampa?
Quanto stupisce è che vi dovrebbe essere un improvviso bisogno di una riproposta
dei valori uditivi nella stampa. Durante la maggior parte di questo secolo, per lo più
elementi quali il punto esclamativo, il corsivo (in Europa la spaziatura) si riscontrano
esclusivamente nei diari delle adolescenti. Il nostro ideale è stata la prosa razionale e
misurata, o almeno la prosa vigorosa di Hemingway e Dashiell Hammet. Perché,
dunque, all’improvviso negli anni Sessanta, è necessaria l’inflessione? [2]
“Toronto Daily Star”
LA NUOVA PUNTEGGIATURA
Il colpo interrogativo a doppia lunzione
Fu Heisenberg nel 1927 a introdurre l’idea della risonanza come legame fisico delle «
particelle» materiali dell’universo. Il libro classico sull’argomento è The Naute o! the
Chemicai Bond a cura di Linus Pauling.
Jacques Ellul osserva in Propaganda: «Quando comincia il dialogo, la propaganda finisce ». Il
suo tema, ovvero che la propaganda non è questa o quella ideologia ma piuttosto l’azione e la
coesistenza di tutti i mezzi di comunicazione contemporaneamente, spiega perché la
97
propaganda sia ambientale e invisibile. La vita totale di una qualsiasi cultura tende ad essere
«propaganda» per questa ragione. Esclude la percezione e sopprime la consapevolezza,
rendendo i controambienti creati dall’artista, indispensabili alla sopravvivenza e alla libertà.3
«Lo stile»~ dice Puttenham, contemporaneo di Shakespeare in The Arte o! English Poesie
(L’arte della poesia inglese), è «un’espressione costante e continua o un tenore di linguaggio..,
perciò c’è chi ha definito lo stile l’immagine dell’uomo... ».< Il motto antico diceva: «Parla,
così ti posso vedere». (Il libro di George Stahmer che porta questo titolo tratta di tale
argomento.)
«Tenore» è un termine musicale che Gray usa nella sua E?egy (Elegia):
Lontano dalla ignobile lotta della folla impazzita,
I loro sobri desideri non hanno mai imparato a deviare;
Lungo la fresca seclusa valletta della vita
Tennero il silenzioso tenore dei loro sentieri.
Nella storia documentata dell’avvento del Terzo Reich vengono fatte poche allusioni alla
radio. Senza radio, non ci sarebbe stato nessun Hitler, nessun capo come Churchill o
Roosevelt. Senza radio non ci sarebbe stato il mondo del jazz. La radio ha permesso ai negri
americani, con una cultura tribale e acustica, di estendere a tutti i paesi del mondo questa
forma d’arte, basata sulla sincopazione o sul simbolismo. La battuta è tatto e il tatto come pure
lo spazio del tatto sono intervallo. L’intervallo richiede sospensione, che crea a sua volta il
ritmo. Non solo, perciò, il jazz è stato diffuso con mezzi elettrici, ma la sua forma e struttura
sono un diretto riflesso dell’elettricità stessa; ovvero il mondo dell’intervallo e non della
connessione.
Le persone alfabetizzate hanno una gran difficoltà ad avvicinarsi a spazi non visivi poiché
tendono ad accettare l’attività dell’occhio isolatamente dagli altri spazi. Inoltre, partono dal
presupposto che lo spazio euclideo, creato dal senso della vista, isolato dagli altri sensi,
comcide con lo spazio stesso. In condizioni elettriche, perciò, l’uomo occidentale si trova in
un grande stato di confusione, quando incontra le forme multiple dello spazio, generate dai
nuovi ambienti tecnologici. Scienziati istruiti e orientati visivamente nelle più svariate
discipline, dalla matematica all’antropologia, riescono soltanto a stabilire un contatto più
indiretto con altri materiali per il loro orientamento visivo inconscio.
Il ritorno alla tradizione bardica nell’epoca dei Beatles e di Joan Baez ha creato nuovi
problemi nello studio della letteratura inglese. Molta poesia moderna oggi è scritta per essere
cantata. I confini fra io scritto e l’orale stanno diventando molto elusivi.
La gamma delle situazioni influenzate dallo spostamento dall’occhio all’orecchio è infinita.
Essa comprende, fra l’altro, Seven Types oI Ambiguity (Sette tipi di ambiguità) di William
Empson che inizia così: « L’ambiguità, nel discorso ordinario, significa qualcosa di molto
pronunciato, di regola qualcosa di arguto o ingannevole».5
Il primo esempio di ambiguità lo si riscontra quando «una sola affermazione è
contemporaneamente valida in differenti contesti». Questo è semplicemente un altro modo per
dire che l’eco verbale è divenuta ancora una volta rilevante. Da un punto di vista letterale, il
linguaggio così considerato è un negozio da rigattiere di espressioni incomplete. L’edificio
incompleto, come quello semidemolito, attira l’attenzione più di quello ultimato come in:
Nudi cori in rovina, dove poc’anzi dolci cantarono gli uccelli.
Shakespeare, Sonetto 73
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PARADOSSO
Si, veramente; perché il potere della bellezza trasformerà l’onestà da ciò che è in una
ruffiana prima che la forza dell’onestà possa ridurre la bellezza alla sua somiglianza;
questo era una volta un paradosso, ma ora i tempi ne danno la prova.
Amleto, atto III, scena 1
La battuta di Amleto si adatta oggi, nell’età del computer, all’intero mondo del ciché e
dell’archetipo.
Manderemo presto i nostri figli in oriente per occidentalizzarli.
Il libro di Peter Pan
Un gentiluomo è colui che non è mai scortese involontariamente.
Oscar Wllde
La legge fa dei corti bastoni degli uomini lunghi pali.
fl vostro ben cintato possedimento della mente
Nessun attico del nomade cittadino
Domina né treno oltrepassa. [1]
William Empson, “Finzione legale”
L’intero processo dal ciché all’archetipo potrebbe essere considerato come un paradosso
classico poiché rovescia la nozione popolare del poeta e dell’artista, come fa Yeats in La
diserzione degli animali del circo». Le attuali sonde esaminano il cliché come tecnologia
corrente e il mondo archetipale come « negozio da rigattiere » delle antiche tecniche e
percezioni. Nell’epoca dell’elettricità ci sono troppi cliché da essere ricuperati. Il risultato
paradossale che ne consegue è la fine dei rifiuti e dei «negozi da rigattiere». Mentre tendiamo
ad ampliare la coscienza per mezzo delle nuove tecnologie, in nome della creatività noi
sondiamo tutto e scartiamo tutto in un profluvio di frammenti delle varie culture. Un genere
più familiare di sonda paradossale è «L’asino» cli G. K.
Chesterton:
L’ASINO
Quando i pesci volavano e le foreste camminavano
E i fichi crescevano sui rovi,
In un momento in cui la luna era sangue
Allora di certo io nacqui.
Con testa mostruosa e voce sgradevole
E orecchie come ali vaganti
Ambulante parodia demoniaca
Di ogni quadrupede.
Malconcio proscritto della terra,
Dall’antica distorta volontà
Affamatemi, frustatemi, deridetemi: io sono muto,
Mantengo il mio segreto.
Sciocchi! Anch’io ho avuto la mia ora;
Un’ora violenta e dolce:
Ci fu un grido al mio orecchio
E palme davanti ai miei piedi.[2]
99
L’intera visione di Chesterton era paradossale perché era basata sulla percezione come
processo. Egli sapeva che analogia significava comunità ed è per questo che fu in grado di
scrivere quello che Etienne Gilson considera uno dei migliori libri su Tommaso D’Aquino. A
proposito di Shaw, Chesterton ha osservato che i suoi non erano affatto paradossi e .che le sue
affermazioni più audaci erano perfettamente logiche e coerenti. Lo. stile del paradosso di
Chesterton è familiare in osservazioni come: «Le donne si sono rifiutate di farsi dettare ordini
e così se ne sono andate di casa per diventare stenografe » e come: « Stigmate qualsiasi sono
sufficienti per sconfiggere un dogma». Prescindendo dal fatto che il cristianesimo è stato
paradossale fin dall’inizio, c’è un paradosso esplicito negli Atti degli Apostoli (2 6:24) quando
Paolo parla in propria difesa davanti a Festo e a Agrippa: « E mentre egli così parlava in sua
difesa, Festo disse ad alta voce: “Paolo.., la troppa dottrina ti ha dato al cervello”». Paolo
aveva iniziato la sua orazione all’inizio del capitolo 26: «Agrippa disse a Paolo: “Ti è
permesso parlare in tua difesa”. Allora Paolo stese la mano e pronunciò la sua difesa».
Può esser sfuggito ai commentatori biblici che lo stendere la mano da parte di Paolo era l’atto
formale del doctus orator, l’oratore istruito nella pratica della eloquenza e della sapienza
enciclopedica: per la retorica la mano era aperta, per la dialettica, il pugno era chiuso. Nella
difesa pronunciata da Paolo, Festo aveva riconosciuto il virtuosismo dell’enciclopedista dalla
dotta eloquenza, perfettamente addestrato. La sua osservazione, quindi, « La troppa dottrina ti
ha dato al cervello », è di natura tecnica. Ed è un paradosso in quanto nel mondo classico
l’erudizione era considerata la fonte principale della saggezza e della sanità di mente.
La base di ogni paradosso, cristiano e secolare, si trova nel sesto libro della Fisica di
Aristotele, a cui fa rif eri-mento Tommaso d’Aquino nella Summa Teologica I-Il q. 113, a. 7,
ad quituum. La questione per Tommaso è se la giustificazione per fede avvenga gradualmente
o istantaneamente. Tommaso dice che avviene istantaneamente perché — e qui si appella alla
Fisica di Aristotele —« tutto il tempo precedente durante il quale qualcosa muove verso la sua
forma, ciò avviene sotto la forma opposta». Si tratta di un principio biologico illustrato dal
commento che fa il bruco mentre osserva cinicamente la danza bizzarra della farfalla: «Non
mi coinvolgerai mai in una di quelle cose malederte ». Poiché il paradosso richiedeva il sapere
enciclopedico dell’oratore tradizionale, all’università di Cambridge la tradizione voleva che il
Senior Wrangler, il miglior laureato dell’anno, difendesse un paradosso.
Paradoxia Epidemica di Rosalie L. Colie presenta un approccio enciclopedico al genere del
paradosso. La Colie osserva: « Il paradosso retorico era un’antica forma designata come
epideixis per permettere ad un oratore di fare sfoggio della sua eloquenza e per suscitare
l’ammirazione del pubblico, sia per la stravaganza dell’argomento che per la bravura tecnica
del retore »2
Arthur Koestler, in The Act o/ Creation pone l’accento sul paradosso della scoperta in campo
scientifico e lo collega con la natura dell’arguzia e dell’umorismo del tutto indipendentemente
dal genere del paradosso di tipo classico:
L’atto creativo dell’umorista consisteva nell’effettuare una fusione momentanea fra
due matrici abitualmente incompatibili. La scoperta scientifica, come vedremo fra
breve, può esser descritta in termini molto simili — come la permanente fusione di
matrici di pensiero precedentemente ritenute incompatibili. Fino al diciassettesimo
secolo l’ipotesi copernicana del movimento della terra era considerata chiaramente
incompatibile con l’esperienza del buon senso; ed era di conseguenza trattata come
una burla colossale dalla maggior parte dei contemporanei di Galileo. Uno di loro, un
famoso bello spirito, scrisse: « Le dispute del signor Galileo si sono dissolte in un
fumo alchemico. Eccoci qui, ritornati finalmente al sicuro su una solida terra, non
dobbiamo più accompagnarla nel suo volo, come altrettante formiche brulicanti
attorno ad un pallone». [4]
100
Il paradosso esercitava un fascino particolare nell’epoca gutenberghiana dei sofismi: « Il
paradosso retorico come forma letteraria aveva connaturata in sé la duplicità»)
L’estetica di Wyndham Lewis è totalmente a favore del paradosso, come in « Vortice n. uno
— Vortice dell’arte — Sii te stesso»:
Devi parlare con due lingue, se non vuoi causare confusione.
Devi anche imparare, come un cavaliere circasso, a mutar lingua a metà corsa, se non
vuoi finire a terra.
Devi dare l’impressione di due persuasori che stanno ciascuno su un piede diverso —
piede sinistro, piede destro — con quattro occhi che, da angoli diversi, si spostano
concentricamente sull’oggetto che si è scelto di soggiogare.
Non c’è nulla che colpisca più del numero
DUE.
Devi essere un duetto in ogni cosa.
Poiché l’individuo, l’oggetto singolo e isolato è, lo ammetterai, un’assurdità.
Per qual motivo cercare di dare l’impressione di una personalità coerente e
indivisibile?
Puoi fare di te stesso una macchina costituita da due superfici fraterne che si
sovrappongono.
Oppure, più sentimentalmente, puoi postulare per i tuoi due io la relazione tra
l’oggetto e la sua ombra.
Ecco te stesso ed ecco il mondo esterno, quella pingue massa su cui pascoli.
Lo modelli in un’amorfa imitazione di te stesso all’interno di te.
Talvolta parli attraverso la sua voce più rauca, talvolta attraverso la tua.
Non confonderti con esso e non indebolire i tratti esoterici dello splendido essere
originario.
E non sposarlo, nemmeno, a una vergine.
Qualunque macchina allora ti piace: divieni meccanico attraverso una fondamentale
duplice ripetizione.
Per amore del tuo bell’aspetto devi diventare una macchina.
Affrettati dunque ad assumere questa sana ed armoniosa dualità..
Si tratta di una tattica ancora più complicata di quella di T. S. Eliot quando sta da una parte e
dall’altra dello specchio simultaneamente. La Colie osserva anche: «
il paradosso gioca sull’equivoco. Mente e non mente. Dice la verità e non la dice... Un
significato deve sempre essere considerato in relazione con l’altro — tanto è vero che il
paradosso del bugiardo è, alla lettera, speculativo, e i suoi significati sono rispecchiati
all’infinito, all’infinito riflessi l’uno nell’altro ». [7]
In termini di ciché-archetipo, il paradosso è una forma fondamentale di ciché-sondaggio che
dipende da un ricupero enciclopedico di cliché più antichi per funzionare. Non si potrebbe
immaginare un esempio più efficace di questo processo di quanto non sia la scoperta joyciana
dello specchio come ruota:
Sono lieto che Lei abbia apprezzato la mia puntualità come macchinista. Ho
intrapreso questa attività perché sono veramente uno dei più grandi, se non il più
grande macchinista al mondo oltre ad essere musichiere, fiosofista e un sacco di altre
cose. Tutte le macchine che conosco sono sbagliate. Semplicità. Sto facendo una
macchina con una ruota soltanto. Senza raggi naturalmente. La ruota è un quadrato
perfetto. Lei sa a cosa voglio arrivare, non è vero? Sono terribilmente serio a questo
riguardo, badi bene, e quindi non deve pensare che sia una storia stupida sul topo e
101
l'uva.* Non è una ruota, lo dico al mondo intero. Ed è tutta quadrata. [8]
Per essere il più moderno possibile in ogni momento, Joyce si volse alle forme antiche e
classiche del paradosso per imparare come scoprirle e insegnarle, oltre che per avere la
possibilità di istruire i suoi lettori nelle stesse arti.
Le mie osservazioni sulla macchina non intendevano essere un accenno al titolo.
Volevo dire che intendevo intraprendere parecchie altre arti e mestieri e insegnare a
tutti come eseguire bene ogni cosa in modo da essere alla moda. [9]
Come Alice, Joyce penetrò fino in fondo nello specchio di Narciso. Passò dall’immagine
privata di Stephen Dedalus a quella collettiva di Finnegan. Assumendo e restituendo la stessa
immagine, lo specchio diviene una ruota, un ciclo, capace di ricuperare tutta l’esperienza.
Per difendere un paradosso l’ingegno deve fare affidamento sul ricordo, come ha asserito
Oscar Wilde. Lo stesso avviene nella scienza. Senza un’ampia conoscenza delle ipotesi
scartate dai propri predecessori le scoperte degli scienziati sarebbero difficili. L’idea di
Newton della gravità era quella della leggerezza, cioè non una forza verso il basso, ma una
forza verso l’alto e l’esterno. Per la sua scoperta egli fu soprannominato « scimmia gotica»
poiché sembrava un reazionario che facesse appello alle qualità «invisibili» degli eruditi.
Un altro aspetto chiave del paradosso è citato da Rosalie Colie come «ciò che chiamo
paradosso epistemologico, in cui la mente, attraverso le sue stesse operazioni, cerca di dire
qualcosa sul suo modo di operare » [10]
Il saggio di Bacone 0f Truth (Sulla verità) illustra la sua consapevolezza del paradosso
epistemologico, poiché, nello sviluppare un saggio su questo tema, tratta del paradosso come
segue: «Anche se gli uomini considerano la veritù come il summum bonum, ciononostante
hanno una grande predilezione per la bugia».
Tutto il Finnegans Wake, compreso il titolo, è un paradosso basato su quella che Joyce
considerava la più grande invenzione umana — lo specchio del linguaggio, la « parete del
magazzino», della memoria e di ogni residuo umano.
L’aspetto di cliché-sondaggio del paradosso è sottolineato da Rosalie Colie: «... soprattutto i
paradossi logici e matematici sono spesso “fissati” in una durezza adamantina perché segnano
un margine netto al pensiero progressivo, un punto in cui l”’oggetto” si trasforma in
“soggetto”».[11]
Il « margine» del ciché-sondaggio del «feed-forward» èsempre all’« interfaccia» del discorso,
ma è sempre impegnato nel ricupero di vecchi ciché da ogni sfera dell’attività umana. Come
abbiamo spesso detto, esiste un paradosso nel ciché stesso, poiché nel momento della verità
questo viene gettato nel cumulo di rifiuti dell’ovvio e dell’inutile. Tutte le grandi scoperte
sono ovvie in retrospettiva.
Nel discutere il Parmenide, Rosalie Colie osserva: « i paradossi hanno tutto il diritto di
indagare sul metodo e la tecnica... Ancora una volta, quindi, i paradossi risultano essere
paradossali, poiché fanno due cose ad un tempo, due cose che si contraddicono o si annullano
a vicenda». [12] Così non è solo il cliché ad essere paradossale nella sua doppiezza, ma lo è
anche l’archetipo. Come sottolinea Yeats, è il « negozio da rigattiere » a costituire la fonte
della visione più alta.
Le utopie sono paradossi: «Letteralmente “utopia implica un’affermazione negativa ... è il
luogo che non è... Ciò che “avviene” nelle utopie è costituito da elementi opposti alle società
in cui i loro autori dovettero vivere, riflessioni speculai sul mondo reale imperfetto » [13]
Utopia significa naturalmente che nessun luogo (Eutopia) è un luogo perfetto. Ma oggi sono
*Joyce fa riferimento alla favola The Mookse and the Grupes (Finnegans Wake, pp. 152-59) in cui Mookse è un
misto di Moase (topo), Fox (volpe), Moose (alce) e Mock Turtie (la Finta Tartaruga, personaggio di Alice in
Wonderland). [N.d.T.]
102
state scritte molte anti-Utopie, proprio come i nostri romanzi sono pieni di anti-eroi. Rosalie
Colie sostiene che le Utopie possono essere descritte in maniera molto concisa come in Upon
Appleton House di Marvell, in cui «le inondazioni annuali del fiume Denton nei campi di
Nunappleton creano un mondo sotto-sopra in cui
« Le Barche possono sopra i Ponti navigare; E i Pesci le Stalle scalare».
La Colie osserva: «I prati sono sia un mondo smantellato... sia, nella superficie riflettente
dell’inondazione, un mondo speculare... [14]
Il mondo speculare di Lewis Carroll è molto più sofisticato poiché, nel passare attraverso lo
specchio, si va da un mondo a tre dimensioni ad un mondo a molte dimensioni di spazio noneucideo. Carroll era un matematico che aveva familiarità con la geometria di Lobechevski.
La Colie sostiene che l’Utopia di Tommaso Moro fu «... scritta inirialmente come un’opera
molto breve il cui contenuto era l’attuale seconda parte, la sezione utopistica: più tardi, per dar
più rilievo al suo modello di repubblica, Tommaso Moro aggiunse nel primo libro la
descrizione dell’Inghilterra contemporanea».[15] La Colie non si è probabilmente resa conto
che l’autore impiega la forma del « piccolo componimento epico». L’epillio, creando
un’interfaccia, o parallelo continuo tra due mondi, uno passato e uno presente, è un genere
motivazionale, mitico, della massima importanza nella storia delle letterature europee. Non fu
mai coltivato tanto quanto nel ventesimo secolo. Il primo libro di Tommaso Moro segna il
ricupero del mondo dell’archetipo medievale, e il suo secondo libro è il diché-sondaggio del
suo stesso tempo, attraverso il ricupero del passato.
L’elogio della pazzia di Erasmo è, a quanto osserva la Colie, «... ovviamente l’elogio di
qualcosa che era considerato tradizionalmente come non degno di un orazione vera e ».16 La
Colie sembra essere all’oscuro della tradizione dei Folli di Cristo, gli idiotes, una tradizione
che trovò una delle sue manifestazioni classiche nell’Idiota di Dostoevskil. Ancora una volta
l’elogio delle corruzioni contemporanee è un cliché-sonda che ricupera le antiche follie degli
eruditi e si spinge anche oltre. Come nelle Epistolae Obscurorum Virorum c’è un rapporto da
piccola-epica fra due mondi, con la creazione di un mito comico.
Thomas Browne, nella sua adesione al criterio di Tertulliano per stabilire una verità teologica,
« Certum est, quia impossibile est», tiene in realtà aperta per sé la possibilità di ulteriori
esplorazioni in qualsiasi possibile direzione. Nella sua Religio Medici i paradossi si
moltiplicano. Non è facile scoprire a che tipo di scrittura egli si accingesse in quest’opera. Il
titolo sembrerebbe indicare che si tratta della religione di un medico, ma sebbene Browne
fosse medico, non fu lui a dare questo titolo al-l’opera. Chiunque ne fosse responsabile
quando fu stampata clandestinamente, si rese conto della posizione parado~sale di Browne
come studente di medicina. Browne stesso, all’inizio di Religio Medici, richiama l’attenzione
sullo scandalo della sua professione, poiché chi praticava la medicina era ritenuto un libero
pensatore. Quest’opera, se la si esamina attentamente, risulta essere una serie di variazioni su
un tema: che se una virtù è spinta troppo oltre, diviene un vizio. Egli usa questo ciché per
ricuperare molti archetipi e molta erudizione. l3rowne èdalla parte degli scienziati nelle loro
indagini sul Libro della Natura, ma è contro di loro quando usano la modestia o « un metodo
di inchiesta circospetto » per denudare o dissacrare la natura umana. Come un anfibio che
nuoti in un mondo di religione e di filosofia naturale, Browne è vittima del destino di essere
rifiutato sia dai religiosi che dagli scienziati. Fu messo all’indice come eretico e non riuscì ad
essere ammesso alla Royal Society, cosa a cui teneva moltissimo.
Il vescovo Sprat, nella sua difesa della Royal Society del 1667, è paradossale in modo più
mediocre quando si associa agli artigiani e ai bottegai inglesi, nella sua convinzione che la
nuova scienza collettiva debba attingere a questa classe sociale per i propri membri. Egli
assicura ai suoi lettori che non c’è nulla di irreigioso nell’indagare materialisticamente sulle
verità della natura. « La filosofia naturale», dichiara, « è la più alta priorità, perché
103
èun’indagine sulla volontà di Dio». Questo è quanto rivela nel secondo libro della sua
Revelation, the Book of Nature (Rivelazione, il libro della Natura).
Il paradosso è il mezzo con cui la scienza teologica agli albori fece le sue scoperte. Il
paradosso è la posizione della mente quando, come un pugile che si bilanci sui due piedi, fa
una finta per passare al contrattacco. La scoperta scientifica è sempre accompagnata dal
paradosso. La scienza newtoniana con il suo metodo sperimentale «circospetto » presuppone
che Dio sia razionale ed arbitrario ad un tempo.
La teoria darwiniana suppone che ie specie si possano evolvere ma che continuino a
conservarsi in un mondo in cui tutto è cambiamento: è una teoria radicalmente rivoluzionaria
e radicalmente conservatrice nello stesso tempo. Ugualmente paradossale è Ludwig von
BertaIanffy, il cui contributo alla teoria dei sistemi generali èall’altezza delle scoperte
scientifiche del passato che hanno segnato un’epoca: « Nei sistemi aperti, abbiamo non solo la
produzione di entropia, a causa dei processi irreversibili che avvengono nel sistema; abbiamo
anche il trasporto d’entropia, attraverso l’introduzione di materiale che può trasportare alta
energia libera o «entropia negativa” ».
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PARODIA
L'imitazione è la forma più affidabile di batteria*
Inserzione pubblicitaria
Aristotele sta zitto.
H. H. Watts, The Sense of Regain
Per molte persone travestimento è sinonimo di parodia. Travestimento significa letteralmente
« tra-vestimento» e ha qualche attinenza con la parodia poiché cambiando il ciarpame del
proprio ambiente si costituisce un parallelismo con un altro ambiente. L’interazione di
ambienti circostanti è traduzione: la parola latina ètransiatio e la parola greca metaphorein
(che a Toronto assume la forma met.apheri sui furgoni per traslochi).
I critici cinematografici hanno fatto notare che Mac West (era lei stessa un gioco di parole
visivo!) imperso. nava un imitatore femminile. Può darsi che fosse questo ad ottenerle
l’inaspettato onore di dare il proprio nome a un indumento « circostante», che « stava intorno»
a chi lo indossava**. Il «Mac West» non serviva soltanto a stare semplicemente a galla ma
costituiva una protezione contro le più pericolose bombe di profondità.
Robert Coryat, il viaggiatore elisabettiano, riferiva che « trovava le attrici veneziane quasi
altrettanto brave quanto i ragazzi-attori elisabettiani ».*
Non mi piace quando una donna ha la barba grigia.
Le allegre comari di Windsor
La parodia può essere un approccio a qualsiasi cosa, dai « falsi Vermeer >~ ai « falsi
Rembrandt» o ai «falsi Van Gogh ». Questi falsi non mettono in pericolo il mondo .della
percezione o dell’arte, ma costituiscono un pericolo per il mercato. Supponiamo che si scopra
un falso Shakespeare. Un dramma all’altezza, diciamo, del suo periodo di mezzo ma diverso
da qualsiasi altra sua opera. Sarebbe forse un male?
Una parodia è una visione nuova. Quando Dryden tracciò un parallelo tra la narrazione
dell’Antico Testa. mento relativa al re Davide ed Assalonrie nel suo Absalom and Achito lei
egli stava creando un parallelo tra l’epoca a lui contemporanea e il passato, che desse grande
vigore alla critica politica del presente. « Parodia» significa una strada che corra parallela ad
un’altra (para hodos). Il nuovo ciché di Gutenberg ricuperava i romanzi medievali per queste
opere, creando un solido parallelismo tra il pubblico medievale e quello rinascimentale.
Cervantes si impadronì di questo nuovo ciché per sondare il presente. Tutti i drammi storici di
Shakespeare debbono essere considerati sonde dell’Inghilterra elisabettiana a lui
contemporanea. La regina Elisabetta faceva notare a un ambasciatore: «Io sono Riccardo Il».
L’Edoardo Il di Mariowe attira l’attenzione sull’impossibile posizione cli un governante
femrnineo in un’epoca di autoritarismo maschi
le. Tale dramma era una critica ad Elisabetta Il per mezzo della metafora dell’omosessualità.
La prof. Barbara De Luna ha dedicato un intero studio al Catilina di Ben Jonson come
«parallelografo » o parodia della congiura di Catilina con riferimento alla congiura delle
Polveri. Era tale la forza di questa parodia di Ben Jonson che, secondo quanto dichiara la prof.
I)e Luna, essa divenne l’opera teatrale più discussa all’inizio del diciassettesimo secolo.
*Il termine inglese battery suggerisce flattery = adulazione. [NdT]
**Il « Mac West » era nel gergo aeronautico un giubborto salvagente gonfiabile usato dai piloti. [N.d. T.]
*È risaputo che nel teatro elisabettiano i ruoli femminili erano impersonati da fanciulli di’sesso maschile che non
ivevano ancora cambiato la voce. [N.dT.]
105
Il «modello in scala» caratteristico del nostro senso del design contemporaneo può esser stato
usato da Virgilio nel suo Cu/ex o per lo meno è stato usato nei primi due libri dei Viaggi di
Gulliver.
Max Black in Models and Metaphors (Modelli e metafare) fornisce un utile approccio
all’argomento quando traccia una distinzione fra l’uso che fa Io scienziato del modello in
scala e del modello analogico. Egli osserva che il modello in scala è essenzialmente una
similitudine mentre il modello analogico è una vera e propria metafora.
Alcune parodie hanno la tiepidezza della similitudine; alcune hanno la forza della metafora. I
viaggi di Guiiver sembrano essere un modello in scala ma in effetti sono altamente metaforici.
True Grit è una parodia del western in cui allo scenario è attribuita l’intensa bellezza di un
documentario turistico e lo stesso scenario ha la funzione di intreccio secondario in un mondo
rozzo di individualisti senza meta.
Lewis Carroll presenta il suo mondo contraffatto come un modello realistico in scala. Il «
Realismo » implica il dominio del dettaglio visivo o del dettaglio di qualche altro senso.
Sweeney Agonistes è una parodia di una parodia basata, da un lato, sul modello comico
aristofanesco e, dall’altro, sul melodramma vittoriano. L’intero parallelo classico è a sua volta
reso parallelo alla Frenesia dei Sublime. Michael O’Brien ha notato che Sweeney, l’irlandese
di Boston inteso come uomo delle caverne caricaturale, offre un parallelo tra il mondo
contemporaneo e 1’antichit~ proprio come quello che Eliot aveva riconosciuto con entusiasmo
nell’ Ulisse di Joyce. The Frency of Suibhne era stato pubblicato in una traduzione dal gaelico
nel 1913 a cura della Irish Text Society: « Molti dei temi del poema in cui appare Sweeney
sono inclusi in forma condensata nelle due epigrafi a Sweeney Agonistes ». [1]
I sonetti di Shakespeare sono una parodia del Gioco d’Amore petrarchesco, e in quanto tali
costituiscono un sondaggio per il più importante interesse da parte di Shakespeare riguardo la
dissacrazione machiavellica della vita di Elisabetta. Il Falstaff shakespeariano è il ladro che fa
la parodia al macro-ladro o usurpatore il cui nome era Enrico IV, colui che depose Riccardo Il.
Il detto popolare: « Ci vuole un ladro per catturare un ladro», indica un parallelo che è inerente
a tutte le forme del nostro culto per l’anti-eroe. Questa forma abbreviata di parodia pervade
l’opera di Joyce: «Lei gettava pericoli ai porci », [2] oppure: «Sputare sul. desiderio finché è
caldo» (Spitz on the iern while it’s hot)*.[3]
Il professor E. 5. Carpenter, l’antropologo, ci narra di artigiani del legno indigeni che avevano
elaborato strutture molto complesse. Quando fu loro richiesto di imballarle per la spedizione,
non sapevano da che parte cominciare. L’idea di mettere i complessi spazi d ella loro opera di
intagliatori dentro un semplice contenitore cubico era una vera e propria novità per loro.
Inserire uno spazio entro un altro spazio era per loro come fare la parodia della loro stessa
opera. L’idea dello spazio chiuso èestranea ai complessi spazi sensoriali dell’uomo non
acculturato. Sigfried Giedion in The Beginnings of Architecture (Eterno presente: le origini
dell’architettura) spiega che i romani furono il solo e il primo popolo a racchiudere lo spazio
nel mondo antico, iscrivendo un arco al-l’interno di un rettangolo.
*Gioco di parole ioyciano: spitz significa punta in tedesco e to spit = sputare in inglese; «iern è un neologismo
formato da «iron = ferro, e « to yearn a = desiderare ardentemente. [N.d. T.]
106
PUBBLICO COME CLICHÉ
Mi ha fatto molta impressione scoprire come è realmente formato il pubblico in una
grande città. Vive in un tumulto di attività dispersive con lo scopo di far soldi e ciò
che noi chiamiamo emozione non può essere né comunicata né espressa. Tutti i
piaceri, compreso il teatro, devono solo distrarre... Mi sembra di aver notato un’
avversione alle produzioni poetiche, per lo meno nella misura in cui sono poetiche, il
che mi sembra perfettamente naturale, proprio per queste ragioni. La poesia richiede
meditazione, isola l’uomo contro la sua volontà, salta fuori inaspettatamente più e più
volte, e nel vasto mondo (per non dire l’ampio mondo) è altrettanto scomoda quanto
un’amante fedele. [2]
Goethe a Schiller, 9 agosto 1797
Discutendo la questione di come i lettori di narrativa possano farne uso per accedere ad un
codice superiore al proprio, Q. D. Leavis cita una lettera che pone il ciché e l’archetipo in un
nuovo rapporto di complementarità, spiegando
...quello che le forme di letteratura più dozzinale effettivamente conseguano per
coloro a cui si rivolgono. (Parlando come uno del gregge per cui Priestley e Walpole
hanno significato molto, in questi ultimi cinque anni, mentre Eliot e Lawrence non
hanno significato praticamente nulla, e che può in tutta onestà leggere Woodehouse
con profitto) io non sono sicuro che non sottovalutiate fino a che punto l’esistenza di
107
qualsiasi vero canale di «comunicazione» tra un artista e il suo pubblico dipenda dal
fatto che egli interpreti simbolicamente qualcosa che era già proprietà di quel
pubblico: in tal senso la colpa di «dare al pubblico quello che vuole» ha un altro
significato non necessariamente negativo (anche se ciò non giustifica l’idea comune,
o di Northciff, di comportarsi in tal modo). Io penso che le qualità intrinseche di
un’opera d’arte siano sterili a meno che simboleggino, riflettano o focalizzino in
forma opportuna qualcosa che, in una certa misura, è già presente nella mente di
colui che sente, vede o legge quell’opera. Così qualsiasi arte che io apprezzo mi
attrae perché simboleggia (anche se non ne dà una formulazione esplicita) qualcosa
che esiste già nell’intimo della mia esperienza. Questo è il motivo per cui uno
scrittore come Walpole, che probabilmente non è sensibile a nulla di più che alle
comuni azioni di gente piuttosto comune, è per me un grande uomo, la cui grandezza
non sarà probabilmente raggiunta da quegli artisti la cui opera può soltanto
simboleggiare, o suscitare, la rispondenza di una sensibilità di cui io e la stragrande
maggioranza della gente non abbiamo mai avuto esperienza. Sono stata
immensamente colpita dall’ultimo libro di Priestley perché credo riesca a
simboleggiare, e quindi a conferirvi coerenza e concentrazione, qualche conoscenza
che possedevo in modo indistinto e confuso, e cioè che la maggior parte delle persone
poco istruite come me, siano una curiosa mescolanza di comico, di patetico e di
tragico, siano commosse soprattutto dalle piccole cose a cui non dovrebbero far caso,
siano preoccupate costantemente e frequentemente ispirate o spaventate da ciò che
non è necessario, da ciò che è insignificante e accidentale, e non abbiano coscienza
dei valori di alcunché, soprattutto non amino cercare di pensare a niente che sia
particolarmente intricato [3]
In tutta la trattazione di Fiction and the Reading Public la Leavis presuppone l’esistenza di un
« codice superiore» che la letteratura ha la funzione di rendere accessibile. Una via d’accesso
attraverso questo codice èritenuta sufficiente per permettere al lettore di « collocare» i prodotti
e le attività di qualsiasi cultura. La Leavis fa la solita ipotesi letteraria che la funzione
dell’addestramento letterario consista nel collegare piuttosto che nel fare. In un mondo di
rapide innovazioni e sviluppo dell’ambiente il «codice superiore» permette la classificazione
delle novità e il rigetto della volgarità, ma per la creazione di nuovi codici da nuovi materiali
culturali, tale codice è del tutto inefficace come puro e semplice strumento per operare
collegamenti o per effettuare controlli. In realtà il «codice superiore» che la Leavis ritiene si
manifesti con tanta adeguatezza nelle omogenee tonalità della prosa del diciottesimo secolo
costituisce un esempio interessante di come una forma ambientale sia stata elevata ad un
nostalgico status archetipale da una mente del diciannovesimo secolo. E infatti il
diciannovesimo secolo che scopre ricchi valori culturali nei gesti rituali e nelle convenzioni
sociali della conversazione del diciottesimo secolo. Il ventesimo secolo, d’altra parte, ha
scoperto molti valori nuovi nell’arte e nella letteratura popolare del diciannovesimo secolo.
Hopkins, per esempio, ha abbandonato gli usi collettivi del. linguaggio come maniera o
maschera sociale, adottando parole ed espressioni come sonde euristiche con cui esplorare e
ricuperare il nerbo della lingua inglese che si nascondeva sotto.
Ciò che appare eludere l’approccio della Leavis è il ruolo che svolgono un’arte e una
letteratura sempre nuove nel creare nuove percezioni per nuovi ambienti. Tali ambienti sono
invisibili e invincibii fintanto che non sono portati alla coscienza da nuovi stili e da nuove
sonde artistiche. Con l’avvento di nuovi stili o strumenti di percezione, l’effetto del nuovo
ambiente è di rispecchia-re l’immagine di quello vecchio.
L’Ottocento industriale ha sviluppato una notevole empatia per l’antropologia e Io studio di
società iletterate. La tecnologia dell’industria e della stampa hanno esercitato un effetto di
profonda frammentazione sulle sensibilità umane. Non è stato, quindi, molto realistico usare
108
le socità illetterate come «specchio di Perseo» in cui osservare il volto odiato della Gorgone
industriale. Il grande merito di Fiction and the Reading Public consiste nell’attenzione prestata
al pubblico sempre mutevole dei lettori di. narrativa. Si tratta di una ricerca che ha contribuito
molto nell’attirare l’attenzione sulla letteratura come mutevole maschera sociale. La
letteratura come genere di consumo è uno sviluppo inevitabile di un’epoca di produzione
industriale di massa. Un simile mondo è particolarmente ingegnoso nell’escogitare confezioni
sempre nuove:
In effetti, ogni rivista è confezionata, etichettata e autorevolmente suggellata col
simbolo dell’approvazione del direttore... Il giovane scrittore è spesso confuso da un
rifiuto che dice semplicemente: « Questo non è un racconto da “Harper”». Ciò non
significa che non si tratti di un buon racconto; significa semplicemente che il
racconto, nella mente esercitata del direttore, non è conforme al tipo di narrativa
adottata dalla sua rivista. [4]
Per i letterati che possono capire solo il « contenuto» non è facile esplorare la funzione delle
forme del pubblico dei lettori. 11 poeta o il creatore, più del critico, tendono a sfruttare la
nuova tecnologia per stabilire nuovi parametri per la percezione. Il critico tende piuttosto a
guardare ai valori dell’epoca precedente che sono stati messi a repentaglio dai nuovi sviluppi.
Il critico è come un contabile che sommi i profitti e le perdite. Egli è tentato di esortare i
giovani a tenere il dito ben saldo nella diga settecentesca di una società con criteri critici
imposti rigidamente dal mandarinato. Si trattava di una cultura essenzialmente aristocratica,
tanto è vero che la sola idea di poterla mettere seriamente in discussione era semplicemente
impensabile. Il Settecento, a sua volta, aveva derivato l’abitudine alla serietà dal Seicento:
La coscienza puritana implicava la serietà, e cioè teneva costantemente impegnata la
mente nelle questioni più importanti, e questo è stato un fattore determinante nel
foggiare la vita della borghesia e dei poveri rispettabili dall’età di Bunyan fino a
buona parte del diciannovesimo secolo quando, come abbiamo visto, fu sviato in un
sentiero che si è trovato a divergere sempre di più da quello delle arti... [5]
Dovrebbe essere chiaro, tuttavia, che i criteri imposti dall’alto possono avere poco valore nel
mettere in relazione le persone le une con le altre in ambienti che non sono mai esistiti prima.
Nel ritratto di Gerty MacDowell dell’ Ulisse di Joyce appare chiaramente il valore creativo
degli stereotipi commerciali. Gerty è un mosaico di banalità e rivela così l’effetto di queste
forme nel dare una forma e un’estensione alla nostra vita. Joyce fa sì che il lettore esulti e
trionfi al di sopra di tali banalità facendolo partecipare al processo stesso con cui queste
drammatizzano la nostra vita. Allo stesso modo Joyce, sempre nell’ Ulisse, nell’episodio del
giornale, o « Eolo », svela ai nostri occhi il mondo degli espedienti verbali oltre che le
operazioni meccaniche da cui essi dipendono.
Egli illumina con tale intelligenza tutto il mondo giornalistico da fornire una catarsi per gli
effetti accumulati degli stereotipi nella nostra vita.
In Fiction ami the Reading Publie ci sono svariate prospettive nostalgiche che risultano valide
per una comprensione dei processi del ciché e dell’archetipo:
... non corrisponderebbe a verità suggerire una stratificazione degli autori e dei lettori
di romanzi nel 1760, per esempio, quando chiunque fosse in grado di leggere era
altrettanto probabile che leggesse qualsiasi romanzo pubblicato, o tutti, e la sola
divisione che si può effettuare tra i romanzieri di quell’epoca è tra i buoni scrittori e
quelli mediocri (quelli efficaci e quelli inefficaci); perfino un secolo più tardi si
verificano le stesse condizioni, poiché anche se Dickens, Reade e Wilkie Collins
109
erano allora gli idoli dell’uomo della strada, mentre George Eliot e Trollope lo erano
delle persone colte, tuttavia ciascuna di queste classi leggeva o avrebbe potuto
leggere l’intera produzione di tutti i romanzieri contemporanei, i quali vivevano tutti
nello stesso mondo, e, per così dire, si capivano a vicenda, vivevano secondo le
stesse regole e inipiegavano una tecnica comune che non presentava particolari
difficoltà per il lettore. [6]
Non è forse strano che la Leavis trovi dei valori nella uniformità culturale di una società
meccanica del passato proprio quando per mezzo del telegrafo si era giunti ad una molto
maggiore integrazione del pubblico? La qualità dell’omogeneità industriale del passato ha ora
conseguito uno status archetipale grazie alla potenza dell’ambiente elettrico dell’uomo
retribalizzaro. Questo nuovo ambiente elettrico della cultura orale ci permette di percepire
valori nelle comunità arcaiche dove tutti avevano in comune un cospicuo bagaglio di
tradizioni e di esperienza. E ovvio, tuttavia, che una società integrale, sia tribale che civile, sia
orale che alfabetizzata, è possibile solo quando esistano condizioni di grande continuità di
organizzazione esterna.
La funzione dell’arte in una società tribale non è di orientare la popolazione verso la novità
ma di metterla in sintonia con il cosmo. Il valore non è inerente all’arte come oggetto ma al
suo potere di educare le percezioni. In una società omogenea mec~anizzara quasi non esiste il
ruolo individualistico di un’educazione della percezione. Il ruolo primitivo dell’arte come
qualcosa che serve a consolidare e a stabilire dei legami con i poteri cosmici nascosti viene
nuovamente alla ribalta nell’arte popolare. Paradossalmente è proprio l’arte più volgare che ha
più cose in comune con le società integrali dell’uomo pre-alfabetizzato. È quindi fuori luogo
invocare l’omogeneità come tratto distintivo di una società così civile come quella del
diciottesimo secolo.
A questo punto intendiamo semplicemente attirare l’attenzione sul processo di
frammentazione tipografica grazie a cui il diciottesimo secolo conseguì la sua omogeneità. Si
trattava dello stesso processo che creò prezzi uniformi e mercati estesi. Gli stessi procedimenti
ben delineati furono poi estesi alla letteratura. Questi erano iniziati, in primo luogo, nella
tecnologia della stampa, senza di cui non potrebbero esistere né l’industria nè i mercati. Non è
molto convincente essere d’accordo riguardo a una parte di questo processo e rifiutare il resto.
Se prendiamo in considerazione la tragedia e la commedia, qualsiasi fattore che estranei un
individuo dal suo ambiente lo archetipalizza come ‘tragico. Giobbe perde i suoi averi e la sua
famiglia. Allo stesso modo qualunque individuo venga privato di una persona cara per un
incidente stradale è estraniato dal suo ambiente:
si pensi a L ‘Etranger (Lo straniero) di Camus, a The Osasider (L’outsider) di Colin Wilson,
ad Edipo ecc. La commedia, d’altra parte, sembra implicare un movimento opposto
dell’individuo verso il gruppo. L’individuo viene a far parte dell’ambiente. Come W. B. Yeats
nella poesia di Auden: « Egli è diventato i suoi ammiratori ».
L’accusa mossa a Virginia Woolf — «Ma via, non la si può leggere, se non con la mente
assolutamente fresca! » — attira l’attenzione sul mezzo della stampa in un modo molto
particolare. Il semplice atto della lettura è in sé un esperienza semi-ipnotica che conciia il
sonno. Per di ~più il fatto che la stampa è da tempo un importante fattore ambientale la rende
invisibile salvo che all’artista. Quando i simbolisti cominciarono a trattare le parole come
cose, aggirarono il processo della stampa e accettarono le parole come pigmento, come trama,
come strutture con implicazioni di vario tipo. Tutte queste strategie erano necessarie per avere
la possibilità di incontrare. le parole in un ambiente tipografico.
L’accusa che la Leavis muove al mondo di Ethel M. Dell (o Tarzan) di seguire un programma
per il medium della stampa è fuori luogo poiché contenuti di questo tipo in realtà si adattano
perfettamente alla qualità della stampa stessa, dato che incidono sulla sensibilità del nostro
tempo. Perché non è mai venuto in mente a chi ha interessi letterari che un uso monotono e
110
ipnotico della stampa potrebbe essere la causa principale del fenomeno per cui il contenuto
deve piacere? Per Alexander Pope, all’inizio del diciottesimo secolo, era già chiaro che
allorché la stampa era divenuta ambientale, una nebbia nera come l’inchiostro aveva offuscato
la coscienza umana.
Non è allora naturale che quando una qualsiasi forma diventa ambientale e inconscia, essa
debba scegliere come « contenuto » i materiali più comuni, volgari e a portata di mano?
Quando una forma diventa tutt’uno con l’ambiente tende ad essere soporifica. È per questo
motivo che anche il suo contenuto deve diventare innocuo per corrispondere agli effetti del
medium. Qualunque medium, allorché esercita un influsso dilagante, è comune e volgare in
pari grado e perciò attira e richiede soltanto materiali comuni e volgari. All’artista questa
volgarità fornisce l’occasione, nella misura in cui egli ècompetente, di porla in contrasto con
un’altra forma egualmente significativa. Poiché è tipico che l’artista si interessi a rivelare le
forme, egli non si tira mai indietro quando viene a contatto dei materiali più volgari. Il
dramma entro il dramma nell’Amleto è intessuto di banalità e di ciché del sedicesimo secolo,
come lo era in effetti la maggior parte dell’Amleto per gli eisabettiani. L’incontro d~ un tipo
di diché ambientale con un altro parta alla rivoluzione come forma artistica. È così che
Michael Harrington ne considera le conseguenze:
Questa rivoluzione accidentale è la trasformazione tecnologica travolgente e senza precedenti
dell’ambiente occidentale, ed è stata e viene tuttora compiuta in modo casuale...
I conservatori hanno fatto una rivoluzione, ma non si trattava della rivoluzione che i
rivoluzionari avevano previsto, per cui gli aritagonisti rimasero reciprocamente sconcertati... E
aumentata l’alfabetizzazione ma molti educatori se ‘ne sono spaventati poiché i suoi usi
sembravano anticulturali; il popolo si è affermato, il che ha messo a disagio i democratici
tradizionali. La perplessità regnava ovunque. [7]
111
RICUPERO
La storia è fandonia
Henry Ford
Il giorno che si muta nella notte, le stagioni, i fiori, i frutti e
tutto il resto che viene a noi di tanto in tanto in modo da
renderci possibile e doveroso goderne: questi sono i veri
impulsi verso la vita sulla terra. Più siamo aperti a tali piaceri,
più siamo felici. Se tuttavia questa varietà di spettacoli ci danza
davanti agli occhi senza che noi vi prendiamo parte, se non
siamo ricettivi di fronte a queste sacre offerte, allora il male
smisurato trova modo di insinuarsi in noi come la più grave
delle malattie: consideriamo la vita come un fardello
ripugnante.
Goethe, Poesia e veritá
Nella sua opera The Sacred and the Profane: The Nature of Religion (Il sacro e il profano: la
natura della religione) Mircea Eliade scrive una specie di manifesto contro la « città secolare»
che è significativo per il processo dal-cliché-all’archetipo. Nell’età della tecnologia elettrica e
del gradiente zero, alla città sacra o divina delle culture antiche e indigene viene conferito uno
status archetipale. Nell’ambiente creato dai circuiti elettrici, il mondo intero assume
nuovamente le dimensioni di un «divino animale». Tutte le frammentazioni delle tecnologie
neolitiche cominciano ad apparire come una profanazione di questo divino animale. Tutto
questo sembrerebbe essere un caso ben definito di archetipizzazione nostalgica caratteristica
di tutte le utopie. Perfino 1984 di Orwell glorifica il diciannovesimo secolo, piuttosto che il
presente o il futuro.
The Paper Economy di David Bazelon è un esempio affascinante di libro che archetipizza una.
tecnologia precedente. In un mondo di informazione elettronica, in cui il credito ha già
soppiantato in notevole misura la circolazione della moneta, il vecchio denaro e gli accordi
contrattuali hanno iniziato ad assumere il carattere della Ford Modello T. Sono pronti per il
museo.
I germi di ogni nuova società si devono scorgere, dopo che essa si è costituita,
nell’ordine precedente. C’era già fin dall’inizio un nucleo di managerialismo — iservi-più-importanti-che-i padroni — nella società capitalistica. Dalla parte delle
cose, i primi managerialisti erano gli intellettuali indipendenti, gli inventori e gli altri
creatori di tecnologia moderna; e gli avvocati, dalla parte della gente,
accompagnavano e seguivano i banchieri e coloro che facevano parte del mondo della
finanza. Quando un nuovo ordine si viene a formare all’interno di quello vecchio,
tale processo viene oscurato da un fatto,. tra tanti altri, e cioè che certe persone che
venivano identificate come Cittadini Preminenti del vecchio ordine svolgono ruoli
definiti dal nuovo ordine e ad esso dedicati. (Tutto ciò può esser fatto
inconsciamente, ma non è per questo meno significativo.) Descrivendo una
precedente transizione, Burnham sottolineava il fatto che « in alcuni e non pochi casi
i capitalisti venivano dai ranghi della vecchia dasse dominante, dagli stessi signori
feudali». [2]
PARLANDO TRA VIRGOLETTE
La carità organizzata nel Nord America è come un ragazzo che si è montata la testa.
112
Toronto, Globe and Mail
Quando qualcuno si monta la testa è sottointeso che in precedenza costui non aveva una gran
testa. Queste espressioni popolari indicano una particolare capacità di comprendere a fondo i
processi del ciché e dell’archetipo. La situazione nuova ha un tale effetto sulla situazione
precedente da far s~ che questa persona prenda se stessa molto più sul serio. Susan Sontag,
scrivendo delle note sul « Camp » nel suo libro Against Interpretation (Interpretazioni
tendenziose), osserva:
Il Camp vede tutto tra virgolette. Non si parla di una lampada, ma di una «lampada»,
non di una donna ma di una «donna». Riuscire a scorgere il Camp negli oggetti e
nelle persone significa capire l’Essere-come-la-Recita-di-una-Parte. Non è altro che
l’estrema estensione, nella sensibilità, della metafora della vita come teatro. [3]
fl « Camp»* è una specie di defezione che risulta dal nuovo ambiente elettrico. Tutte le forme
precedenti vanno in certo senso riportate tra virgolette quando vengono incluse in questo
nuovo mondo. Perfino il campeggio è una forma di definizione resa possibile dal gran numero
di nuovi ambienti artificiali creati dai nuovi congegni. Gli esquimesi hanno scoperto che era
possibile vivere in un igloo quando hanno acquistato la stufa a petrolio dagli invasori bianchi
della loro cultura. La stufa a petrolio ha per così dire creato l’igloo come nuova abitazione
decentralizzata e fruibile. Ciò mi è stato fatto notare tempo fa dal professor E. S. Carpenter, il
cui libro Eskimo è uno studio sullo speciale senso del tempo e dello spazio, tipico degli
esquimesi. Non solo la stufa a petrolio rese possibile l’uso dell’igloo come abitazione, ma la
domanda di pellicce da parte dei bianchi fornì agli esquimesi l’incentivo per fabbricare
trappole per gli animali da pelliccia e per vivere in un accampamento. Di solito l’esquimese
vive in una casa di pietra. La caccia con le trappole ha incoraggiato l’uso dell’igloo come
accampamento o come abitazione da tirar su alla svelta.
Il «Camp» non è una forma di ricupero ma piuttosto semplicemente una nostalgia da
specchietto retrovisore. Non si tratta di un nuovo ambiente o cliché che fornisce servizi ma un
mezzo per evadere nel mondo di pan di zucchero della mamma e della stanza dei giochi:
La stampa come mezzo per ricuperare il passato non conosceva rivali come portata e intensità,
e ha reso accessibile l’intero mondo dell’antichità, a cui fino ad allora si poteva accedere solo
in parte attraverso i manoscritti. Ha anche reso accessibile il mondo della scolastica che, per lo
più, era stato una forma di cultura orale basata su aforismi sentenziosi. La nuova velocità e
ripetizione delle stampe hanno anche diffuso il mondo dei manoscritti miniati e dei Libri delle
Ore. La creazione di un nuovo pubblico di lettori da parte della stampa ha anche significato un
mondo interamente nuovo di generi artistici. Cervantes e Rabelais hanno esplorato tali
mutamenti nel pubblico dei lettori come effetti della mescolanza dei generi su vasta scala.
Cervantes ci mostra un Don Chisciotte infatuato degli antichi romanzi cavallereschi, ricuperati
da Gutenberg, e Rabelais ci presenta il mondo come un pantagruelico ammasso di residui
melmosi servito in tavola per soddisfare gli insaziabili appetiti degli uomini.
La Dunciad (La Dunciade) di Pope dimostra gli effetti della tecnologia di Gutenberg prima
*Il termine Camp indica tutto ciò che è artificioso e ostentato, pur essendo mediocre c banale ad un tempo. Il
principale significato di crimp tuttavia, è «accampamento a. Susan Sontag divenne celebre nel 1964 con fa pub.
blicazione del saggio Notes on Camp. Di allora il termine Camp è divenuto di uso corrente e sta ad indicare non
tanto un tipo di arte quanto un tipo di fruizione dell’arte caratterizzato dal fitto clic delle forme a artistiche a più
volgari e popolari (tipo i fumetti di Batman) ai ignorano volutamente le intenzioni e si apprezzano lo stile e i
modi espressivi. Il Camp ha punti di contatto con la pop art, l’happening, i film underground e altre
manifestazioni dell’avanguardia. [N.d. T.]
113
nella sua funzione di ricupero del sapere antico e poi come agente di distrazione di ogni forma
di sapere. La saturazione ad opera dell’inchiostro ha oscurato le menti che in un primo tempo
avevano trovato nella pagina stampata la «luce interiore». L’irresistibile capovolgimento della
cui potenziale era stato esaurito aveva ripori scena i sogni cosmici dello Zeitgdst e i nobili
Invano, invano - l’Ora che tutto compone
Cade senza far resistenza: la Musa cede al suo Potere
Ella giunge! ella giunge! il nero Trono
Della Notte primigenia dell’antico Caos!
Dinanzi a lei, le nubi dorate della Fantasia si dissolvono
E tutti i suoi mutevoli Arcobaleni si scolorano
L’Ingegno accende invano i suoi fuochi momentanei
La meteora cade, e in un lampo si spegne.
Mentre una ad una, sollecitate dalla terribile Medea
Le stelle impallidite si spengono nella volta eterea
Come gli occhi di Argo oppressi dalla verga di Ermete ...
.
114
IL NEGOZIO DA RIGATTIERE
Quelle immagini magistrali in quanto complete
Crebbero nella pura mente, ma da che trassero origine?
Un mucchio di rifiuti o la spazzatura di una strada,
Vecchi bricchi, vecchie bottiglie e un bidone rotto,
Vecchi ferri, vecchie ossa, vecchi stracci, la baidracca pazza
Che tiene la cassa. Ora che la mia scala è scomparsa,
Devo mettermi giù dove tutte le scale hanno inizio,
Nella sudicia bottega da rigattiere del cuore.
W. B. Yeats, The Cfrcus Animals’ Desertion
(La diserzione degli animali del circo)
Contribuisci ad abbellire i depositi di rottami Oggi butta via qualcosa di bello.
Cartello all’esterno di un deposito di rottami a Toronto
La famosa poesia di Emma Lazarus che è scolpita sulla Statua della Libertà si conclude così:
...Datemi le vostre genti stanche, i vostri poveri,
Le masse accalcate che anelano a respirare libere,
I miseri rifiuti delle vostre sponde pullulanti.
Mandate a me questi, i senzatetto, sbattuti dalla tempesta:
Io alzo la mia lampada accanto alla porta d’oro.
Un titolo del « Toronto Telegraph » del 5 marzo 1969 dice:
I RIFIUTI DEL METRÒ POTRANNO
UN GIORNO DIVENIRE
MATERIALE DA COSTRUZIONE.
Lo stesso principio applicato a livello educativo è indicato nel «Toronto Daily Star» del 15
marzo 1969:
UNA SCUOLA DI FILADELFIA UTILIZZA L’INTERA CITTÀ COME CLASSE.
Stratton Holland, descrivendo uno degli esperimenti più significativi del Nordamerica, osserva
sagacemente (e con voce alta e impudica): « Il grande risparmio è nell’edilizia scolastica».
Molto tempo fa gli scandinavi hanno scoperto che il parco giochi ideale per i bambini era
costituito da un grosso mucchio di vecchie macchine e di rottami. La città come ambiente
totale è la scuola senza voti e senza strutture in excelsis. Non c’è da meravigliarsi se i bambini
di Watts dicevano: « Perché dovremmo andare a scuola e interrompere la nostra educazione?»*
Oggi, nell’ammasso di rifiuti molto più vasto costituito dal divertimento e dalla pubblicità
presentati dalla radio e dalla televisione, il bambino può accedere ad ogni recesso delle culture
mondiali, passate e presenti. Nel percorrere questa immensa giungla come «cacciatore», il
bambino si sente come un indigeno primitivo di un tipo totalmente nuovo di ambiente.
Quando si imbatte nel. l’hardwa,e educativo più tradizionale (le scuole e i corsi strutturati)
egli reagisce esattamente come gli indigeni hanno sempre reagito nei confronti degli sfruttatori
colonialisti e imperialisti delle loro « cose » non strutturate. Egli dice, ammiccando all’arco di
*Isaac Watts (1674.1748), teologo e autore di inni sacri che divennero molto popolari nel mondo anglosassone.
Oltre alla composizione di inni come quelli contenuti nella raccolta Divine and Morai Songs br Chi Idren (1720),
egli compilò opere di carattere pedagogico come The Knowledge 01 the Havens and EarthMadeEasy. [N.d. T.]
115
proscenio dei satelliti:
« Il globo è il mio teatro. Non mi mancheranno né le parti né i pascoli ».
Le recenti scoperte archeologiche hanno dimostrato che i troiani che hanno abitato in alcune
delle città di Troia che furono costruite nel luogo della Troia omerica erano abituati a gettare i
loro rifiuti, per lo più ossa, nelle loro case. Quando il mucchio di detriti diventava
intollerabilmente alto, essi si limitavano a pressano e costruirvi sopra il tetto della loro
abitazione. C’è anzi il sospetto che la Troia dell’iliade omerica usasse la propria spazzatura in
questo modo barbarico.
Il Finnegans Wake di Joyce usa il modulo di «un mondo che scava nell’altro» quando dice: «
Toborrow and to-burrow and tobarrow!»* proseguendo poi così: « Ecco la nostra crassa,
pelosa e sempre-sgradevole vita, finché un bel giorno che piacere conoscerLa Sporco Ballista
picchia la campana con un osso e i suoi fetenti puzzano dietro a lui con scettro e clessidra».
[1]
La classificazione di «immondizia»** genera un mucchio di malintesi. Il termine significa
letteralmente « indumenti ». Le culture del mondo sono state rivestite e formate da scarti
ricuperati: « Questi frammenti ha tratto a riva per puntellare le mie rovine». Tutti i poemi epici
del mondo sono frammenti di culture scritte, messi insieme ingegnosamente.
Il Random House Dictionary o/the English Language (1966) attribuisce il quinto significato di
«garbage» al nuovo ambiente globale di ogive, razzi ausiliari e altri rifiuti balistici.
La rivista «New York» del 10 maggio 1969 è dedicata all’Esplosione dei rifiuti. « I rifiuti di
uno sono il tesoro dell’altro», come è indicato da un negozio di Greenwich Village chiamato
«Bridgewater: Rifiuti e Tesori». In un servizio speciale firmato da Paul Wiles, L’apocalisse
della spazzatura, si legge: « Non è lontano il giorno in cui non ci sarà più terra utilizzabile per
i nostri rifiuti... Le voci ufficiali parlano di otto anni.., quelle ufficiose ai quattro».
Paul Wilkes aggiunge: «Le industrie conserviere continueranno a nominare comitati per
affrontare il problema, mentre non smettono di produrre miliardi di contenitori non
riciclabili». E come se l’ambiente fosse diventato il cadavere contenitore dell’America (la
rivoluzione del contenitore, un nuovo mondo di cliché per ricuperare le leccornie da gourmets
di molte culture). Il cliché del contenitore ha scartato il droghiere con i suoi dosatori, le sue
bilance e la sua carta da pacco. Spingendo il ciché della «confezione» fino all’estremo limite,
abbia. mo fatto sì che tutto il mondo sia a nostra disposizione per essere «confezionato». ìì «
cadavere» nel contenitore può essere congelato e passato alle generazioni future.
Nel 1969 la Container Corporarion è stata assorbita dalla industria di imballaggio
Montgomery Ward. Si èquindi scartata e ri-incartata come nuova etichetta.
L’innovazione di Gutenberg ha scartato il mondo medievale e ha scaricato i rifiuti
dell’antichità classica in grembo al Rinascimento. Oggi i sistemi di ricupero elettrici rifiutano
il meccanicismo del diciannovesimo secolo e scartano in blocco le culture arcaiche e
preletterate sulla soglia dell’Occidente. La cultura elettronica ha creato il plurisondaggio e
questo tipo di sondaggio produce come risultato un gran numero di rifiuti. Il nuovo ambiente
dell’informazione scarta l’università e la fa ritornare, in un certo senso, al suo stato
primigenio. Le grandi società commerciali si dissolvono in connubi e consorzi; proprio come i
grandi imperi diventano una congerie di mini-stati. I sistemi ABM sono destinati a scartare i
*Joyce sta in un certo senso facendo la parodia di un celebre monologo pronunciato da Macht.th nel momento in
cui gli viene annunciato il suicidio della moglie, impaszita per il rimorso del regicidio: aTomorrow, and tomorrow, and to-morrow I Creeps in this petty pace from day to day, I To the last syllable of recorded time; / And
all our yesterdays have lighted fools / The way to dusty death» (Macbeth, V, 5, 19-23) (Domani e domani e
domani. I Striscia a piccoli passi di giorno in giorno, / Fino all’ultima sillaba del tempo registrato; / E tutti i nostri
ieri hanno illuminato agli sciocchi / La via verso la morte polverosa). La prima parte del passo joyciano è stata
mantenuta nell’originale per sottolineare i giochi di parole che richiamano il verso shakespeariano: “to borrow”
prendere in prestito, “to burrow”, scavare, e “barrow”, tumulo. [N.d.T.]
**Il termine “garbage”, che significa «immondizia», è di origine oscura ma è simile a garb (abbigliamento,
foggia). [N.d.T.]
116
sistemi ICBM di altre potenze. Lo stesso modulo, in cui un sondaggio-cliché scarta gli
ambienti attuali, è riscontrabile in altre aree della cultura moderna. In campo letterario opere
come The Waste Land (La terra desolata) di T. 5. Eliot, Finnegans Wake di Joyce e En
attendand Go. dot (Aspettando Godot) di Beckett si occupano degli aspetti distruttivi
dell’enorme creatività dell’età elettronica. Tutta la Pop Art, la Funk Art e la Op Art e le varie
versioni della mini-arte ripetono il processo per cui la sonda-ciché distrugge e crea. Nella
conclusione di « La diserzione degli animali del Circo » Yeats suggerisce forse il
rinnovamento che in realtà non specifica:
Devo mettermi giù dove tutte le scale hanno inizio
Nella sudicia bottega da rigattiere del cuore.
Come cavar fuori la creatività da questi cumuli di rifiuti è divenuto il problema della cultura
moderna.
Forse una delle strade che portano alla sua soluzione èindicata nel campo dell’abbigliamento. I
« figli dei fiori »hanno dato inizio a una nuova moda che può essere un paradigma per l’intera
cultura globale. Essi hanno sostituito il costume all’abito, la recita di una parte all’impiego
fisso. La minigonna non è una moda e l’«unisex» non è omosessualità. La retribalizzazione è
il modulo universale in ogni tipo di organizzazione, indipendentemente dalla geografia e
dall’ideologia.
La causa è l’accelerazione del movimento dell’informazione fino a livelli di istantaneità. La
risultante « inflazione » della diffusione della cultura crea un corrispondente declino in tutte le
aree residue o nel campo istituzionale. Le scuole estive, ad esempio, o un terzo semestre,
accelerano l’avvicendamento degli studenti e abbassano i livelli di dialogo tra studenti e
docenti ad un tempo. In tali scuole si assiste a un aumento della burocrazia. Allo stesso modo i
« figli dei fiori » assumeranno presto la funzione burocratica dello stato e dell’esercito per
propagare la pace e Peter Pan.
117
TEATRO
I teatro Feenichts.*
Juanes Joyce, Finnegans Wake
Lo stesso di nuovo.
James Joyce, Fiprnega~ss Wake
Una buff a cosa accaduta sulla via del Foro! Hai sentito l’ultima? Non è ancora uscita!
Michael Kirby nel suo studio dal titolo Happeningi fa notare che il termine «happening» è un
termine tecnico che si presta a malintesi. Per Michael Kirby si riferice a un tipo di teatro
sviluppato da artisti visivi, pittori, scultori ecc. e consiste in situazioni ambientali elaborate in
forme più ampie per mezzo di giustapposizioni. La caratteristica principale dell’happening è il
fàtto che, a differenza del teatro scritto, non ha una matrice verbale. Nel teatro ordinario gli
attori sono rigidamente controllati perché si programmano su un dialogo che sarebbe potuto
esistere migliaia di anni fa. In un happening, se ci sono parole, sono estemporanee ed ex
tempore.
Kirby ritiene che l’happening sia assolutamente privo di matrici, anche se forse sarebbe più
corretto dire che esiste una cornice visiva o temporale. Gli avvenimenti contenuti in questa
cornice sono ordinati da quella che Susan Sontag chiama «giustapposizione radicale».
Osserviamo che la recente critica tiene conto del fatto che il linguaggio musicale di Wagner («
The Listener », 28 novembre 1968) è, in larga misura, frammisto a materiali letterari mitici
dell’epoca. Proprio come la tecnologia della stampa, con la sua caratteristica di dare delle
istantanee mentali permette per la prima volta un alto grado di specializzazione analitica nella
casistica, e nell’esame della vita interiore, così in campo scientifico ha portato a un
particolarissimo interesse per la precisione e la misura. La parola « speculazione» deriva da
speculun,, che significa torre di vedetta e non specchio, e si riferiva quindi a cose visie da
lontano. Il paradosso dell’intenso individualismo che risulta dal punto di vista privato o dalla
posizione fissa del, nuovo lettore della stampa porta, in campo scientifico, ai tentativi di
collaborazione e al lavoro di gruppo della fine del diciassettesimo secolo e dell’inizio del
secolo successivo. Un esempio significativo di questo è la Royal Society. Il cliché della
stampa non interessa solo la stampa vera e propria ma anche la carta stampata e altre
tecnologie. L’organizzazione burocratica del cliché della stampa con i suoi prodotti e prezzi
uniformi fa sorgere il capitalismo oltre che le attività collettive degli scienziati. Tale fenomeno
diviene sempre più pronunciato nei secoli diciassettesimo e diciottesimo. Basti citare Adam
Smith e Ben Franidin come esemplari della glorificazione della frammentazione applicata sia
all’industria che alla morale.
L’opera di Paul Goodman Gmwing Up Absurd (La gioventù assurda) è una semplice
esposizione dell’esperienza di vivere simultaneamente in due culture. La macchina ha portato
a una netta separazione dei sensi, i circuiti elettrici fanno il contrario. Il fatto di trovare un
senso ha, in ultima analisi, un rapporto con il culto dell’assurdo e con il Teatro dell’Assurdo
*Letteralmente «niente (nichts) tariffa (fee) ma è evidente l’associazione con Phoenix (Fenice) e quindi non solo
il richiamo dell’idea vichiana della ci.viltá come di una Fenice che risorge continuamente dalle proprie ceneri (si
veda anche la successiva citazione joyciana che riguarda evidentemente i «corsi e i ricorsi») ma anche al Phoenix
Park, il più grande di Dublino, dove nel 1882 due alti funzionari inglesi furono assassinati dagli Invincibles, un
gruppo di terroristi irlandesi, [N.d.T.]
118
dell’inizio del ventesimo secolo. Quando i sensi separati specializzati sono sovraccarichi, si
tende alla perdita di coscienza e alla identificazione con gli altri. In altre parole, prima dello
sviluppo dell’arte psichedelica, i progetti intermedi e il Teatro dell’Assurdo hanno sviluppato
delle strategie per stimolare i sensi saturi o troppo stimolati. Una delle difficoltà di trovare un
senso in un periodo di innovazione estremamente rapida consiste nel fatto che l’introduzione
dei nuovi ciché oltrepassa la capacità di rispondenza o di adattamento da parte dell’uomo.
Quando si vive in un mondo a eui non ci si adatta, o a cui non si è avuto il tempo di adattarsi,
« si diventa assurdi».
Il Teatro dell’Assurdo riconosce il fatto che una transizione molto rapida da una cultura visiva
specialistica ad una società integrale e risonante crea l’alienazione totale dell’uomo. I cinesi
nel loro Libro del 7? dicono che la funzione dell’artista è di permetterci di adattarci al mondo
in cui viviamo e che, quando le arti tecnologiche sommergono la percezione e non ci lasciano
tempo per trovare un senso, noi cessiamo di essere creature umane vitali.
Se la narrativa tende ad occuparsi dell’ambiente totale in modo selettivo allo scopo di creare
un « interesse umano » attraverso la coincidenza dei temi, dei temperamenti e delle situazioni,
la nuova forma artistica dell’happening fa esattamente il contrario. L’happening accetta
l’ambiente, non modificato, come una colossale Gestalt che può essere ripetuta, come un
oggetto che si presta alla ripetizione e alla contemplazione. Forse il giornale èla prima forma
di happening. La giustapposizione di avvenimenti, inserzioni pubblicitarie e figure nella
stampa quotidiana è un mondo di coincidenze. Ma non si fanno molti sforzi per intensificare
tali coincidenze. Non è necessano farli. Simulando gli ambienti, il giornale è a lungo riuscito a
sviare l’attenzione sulla sua qualità di forma artistica. Il fatto di essere il prodotto quotidiano
di un lavoro di gruppo su larga scala serve a nascondere il suo carattere di oggetto artistico. Il
film e la fotografia sono essi pure forme di arte collettiva, e la fotografia èdivenuta una forma
artistica con l’avvento del film, proprio come lo è diventato il cinema con l’avvento della
televisione.
Il giornale si può considerare a buon diritto la prima forma verbale che sia stata sottoposta
all’opera modellatrice dei circuiti elettrici. I servizi delle agenzie giornalistiche hanno avuto
un impatto diretto sulla natura di come venivano riferiti e trasmessi gli avvenimenti, oltre che
di come venivano osservati. La rapidità telegrafica nella trasmissione dei servizi ha avuto un
risultato peculiare sulla pratica redazionale nella disposizione dell’arti~ colo sulla pagina.
Sembra che si sia immediatamente scoperto che non era necessaria alcuna connessione tra gli
avvenimenti riportati. La riga della data era una forza sufficiente a creare un campo unificato
per tutti gli avvenimenti di qualsiasi genere. Che cosa sarebbe successo al racconto e al
romanzo se si fosse trovato il mezzo di pubblicarli con date giornaliere? La serie giornalistica
con il suo inizio: «La storia fino a questo punto...» era una forma più sentita nel cinema che
nella narrativa. I cineasti hanno ritenuto opportuno inserire ogni tanto delle ricapitolazioni
della storia. Secondo loro era a beneficio di quelli che entravano al cinema in orari diversi.
Forse tuttavia il riepilogo era un riconoscimento del fatto che la grande velocità del film, la
narrativa non verbale, possono veramente aver bisogno di mezzi supplementari di
unificazione, nello stesso modo in cui si usa la ricapitolazione, il «da capo » come mezzo
strutturale basilare nelle composizioni musicali. Quale è stato dunque il procedimento di
riepilogo in televisione, a confronto delle forme cinematografiche precedenti? Uno degli
effetti della televisione sul cinema è stato di liberarlo dalla necessità di fare affidamento sulla
trama. Ciò, a sua volta, ha reso il riepilogo uno stratagemma più integralmente strutturale in
film come quelli di Fellini.
Come forma artistica, lo happening non tanto si rivolge al pubblico, quanto lo include. Ci si
aspetta, per così dire, che gli spettatori si immergano nell’« elemento distruttivo». In vari
momenti nella storia del teatro, il pubblico è stato incluso nello spettacolo in misura
considerevole. Nel giornalismo è decisamente il pubblico a costituire lo spettacolo. Tale è in
buona parte la natura del linguaggio. Si tratta di un happening che include tutti i pubblici e
119
tutte le percezioni del passato in un parapiglia inclusivo di coincidenze e di adattamenti.
Quando Joyce scoprì il linguaggio in questo modo, egli seppe di aver trovato il mezzo per
trasformare l’intera comunità umana in una forza operante per l’artista. Gerd Stern e gli altri
poeti dell’happening sono felici di scoprire che tutti gli artefatti umani sono disponibili come
dramatis personae nel loro teatro. E la stessa scoperta del mondo che ha creato il Cai’np.
L’happening dunque è la ripetizione di un ambiente come mezzo per offrire un qualche tipo di
controllo allo spettatore, per il quale ci si aspetta sia un ambiente familiare. Un ambiente è
troppo difficile da controllare perché lo si possa usare come sondaggio. I materiali artistici
forgiati da un singolo artista possono servire come sondaggio’ per dare direzione e ordine alla
percezione. Con I’happening le funzioni di esplorazione e sondaggio devono essere assunte
direttamente dal pubblico. L’ambiente come cliché familiare è archeripizz~to, almeno nel
senso che viene ripetuto. Come nel caso del giornale, al-le questioni più insignificanti viene
conferita molta maggiore intensità solo per il fatto che sono tradotte in prosa. E per questo
motivo che nessun resoconto di qualcosa può essere «veritiero» in un giornale. Anche solo
come esperienza, la menzione di qualsiasi cosa fatta dal giornale altera il carattere
dell’avvenimento. Tutti i media, dal linguaggio alla televisione, alterano i moduli della
percezione al punto che ogni esperienza diviene uno pseudo-avvenimento. È per questo
motivo che -il silenzio, come forma di comunione fatica, è spesso apparso come un tipo di
espressione più nobile della parola: il silenzio è d’oro, la parola è d’argento.
L’intenzione dei surrealisti di manipolare i materiali più triti dell’ambiente è stata in una certa
misura una protesta contro la bruttezza e l’orrore. Non è affatto ovvio che sia tale l’intento
degli artisti dell’happening. Senza ombra di dubbio, tuttavia, l’effetto della loro manovra
consiste nell’attirare intensamente l’attenzione sull’ambiente come fatto degno di nota e in
grado di essere manipolato nelle forme più nobili. È forse possibile che questi artisti non
sentano che l’ambiente invisibile èil più invincibile degli strumenti didattici, oltre che essere il
più negletto?
Il semplice fatto di introdurre una parte dell’ambiente in uno spazio chiuso, o in un nonambiente, significa diventarne consapevoli, e, quindi, significa archetipizzarlo. Per di più un
incontro con l’ambiente è una specie di «Camping >o.. Nel mondo dei circuiti elettrici> interi
ambienti sono mantenuti in uno stato di interfaccia e di dialogo fra di loro tanto che saremmo
tentati di trattare il mondo intero come un campue universitario e di programmare le sue
culture come materie di un piano di studi.
Quando tutto il mondo diventa un «collage animato »e unificato in virtù della rapidità dei
servizi di informazione, è una conseguenza naturale cercare di occuparsi del mondo intero
come se fosse un’opera d’arte. Se l’av-vento della tipografia e dei libri stampati ispirò
Machiavelli a pensare all’immagine del Principe come a un’opera d’arte, i satelliti e le
trasmissioni televisive dalla luna rendono altrettanto naturale pensare all’intero pianeta come a
un’opera d’arte.
La percezione di questa dialettica non deve ispirare né disgusto nè entusiasmo. Tali emozioni
irrilevanti derivano quasi certamente dalla nostalgica scoperta di artefatti e sentimenti
trascurati e banali, di un’epoca al tramonto. La Sontag scrive:
... Se il significato dell’arte moderna è la sua scoperta della mancanza di logica dei
sogni, al di sotto della logica della vita di tutti i giorni, allo ra possiamo aspettarci che
l’arte che ha la libertà di sognare abbia anche tutta la gamma delle emozioni dei
sogni. Ci sono i sogni che fanno ridere, i sogni solenni e ci sono gli incubi. [1]
A questo possiamo aggiungere che lo stato di coscienza, altrettanto quanto i sogni, ha una
struttura di cui si può godere esteticamente. Il vantaggio in più di cui ha goduto il mondo del
sogno nei decenni freudiani era dovuto al fatto che sembrava offrire una spontaneità organica
che dava sollievo a chi si trovava in mezzo ad un ambiente meccanico ed industriale. In altre
120
parole il mondo del sogno era esso stesso un ‘immagine opposta a quel mondo meccanico
proprio come il Camp è un’immagine opposta al mondo elettrico. Nel Camp si possono
godere i piaceri esoterici dell’espressionismo e i piaceri creativi per mezzo della
contemplazione degli oggetti più volgari.
Gli espressionisti avevano scoperto che il processo creativo è una specie di ripetizione degli
stadi dell’apprendimento, più o meno secondo le linee che collegano l’immaginazione
primaria e secondaria di Coleridge. Allo stesso modo ci sembrerebbe essere un’eco del
processo formativo della coscienza nell’intero contenuto dell’inconscio. Questo, a sua volta>
implica uno stretto legame fra consapevolezza collettiva e privata, anche se il maggiore o
minore effetto dell’una sull’altra dipendono esclusivamente dal grado di consapevolezza
raggiunta.
Susan Sontag osserva:
L’happening opera creando una rete asimmetrica di sorprese senza climax o
conclusione; èquesta la mancanza di logica del segno piuttosto che la logica della
maggior parte dell’arte. I sogni non hanno il senso del tempo. E nemmeno gli
happening ce l’hanno. Poiché mancano di intreccio e di un discorso razionale
continuo non hanno passato. Come suggerisce il nome stesso, gli happening sono
sempre al tempo presente. Le stesse parole, se ce ne sono, sono ripetute
continuamente: la parola è ridotta a un balbettio.[2]
Il mondo notturno di Finnegans Wake corrisponde in modo sorprendente a questa descrizione
dell’happening. Per lunghi periodi di tempo culturale l’inconscio è stato l’ambiente della
coscienza. Attualmente i ruoli dell’ospite e dell’anfitrione tendono a rovesciarsi. Un secolo di
scrupolose indagini sull’inconscio ha rivelato molto della sua struttura e del suo contenuto
elevandolo al livello della coscienza. La coscienza è divenuta sempre di più l’ambiente
dell’inconscio finché cominciamo in un certo senso a « sognare ad occhi aperti », perdendo i
confini tra il privato e il collettivo. Si tratta di una rivoluzione che è avvenuta più di una volta
nel nostro secolo. Per esempio, quella che James Burnham chiamava la «rivoluzione
manageriale » era lo spostamento del potere decisionale dal padronato alla gestione. Il
padronato è stato a lungo l’ambiente del manager, ma in condizioni elettriche di informazione
e conoscenza è divenuto assolutamente mi-possibile per i padroni conoscere o decidere a
proposito della grande gamma di questioni che necessitavano di una attenzione continua. Il
rovesciamento di ruoli fra il padrone e il manager è stato il risultato di una pura e semplice
crescita in questa sfera economica, allo stesso modo in cui si sta verificando attualmente un
rovesciamento di ruoli fra conscio e inconscio.
Per di più, mentre l’economia si muove sempre più nell’orbita elettrica dell’informazione
prograrnniata, la produzione è sempre maggiormente orientata verso i servizi. L’hardware
diventa il software. Questo processo èparticolarmente evidente nel mondo della pubblicità.
Man mano che i mezzi pubblicitari aumentano, le immagini della pubblicità divengono una
porzione sempre più grande dei bisogni e delle soddisfazioni del pubblico. Potrebbe andare a
finire che la gente guardi all’immagine pubblicitaria come a un mondo a sé, allo stesso modo
in cui il simbolo, in poesia, qualora sia accentuato, acquista più importanza del contenuto
della poesia stessa.
«La tigre» di Blake, ad esempio, è tutto un mondo evocato per incanto magico. La pubblicità
assume sempre più lo stesso carattere.
Il rovesciamento dei ruoli più importanti nell’azione sociale organizzata può verificarsi quasi
dovunque. Nella sfera dell’educazione, dopo secoli in cui veniva posto l’accento
sull’istruzione come compito dell’insegnante, l’intero processo educativo si sta preparando ad
un brusco trapasso dall’istruzione alla scoperta. Negli anni che precedono l’età scolare il
bambino del nostro tempo si occupa di elaborazione di dati su larga scala. Le nostre scuole
121
sono ancora ordinate in base al presupposto che non si possono avere serie informazioni
finché lo studente non entra in classe. Per il bambino che vive in un ambiente costituito
dall’informazione, tali presupposti educativi non sono realistici. Oggi il bambino, travolto da
un eccesso di informazione, ha un assoluto bisogno che gli vengano insegnati i mezzi per il
riconoscimento dei modelli, se vogliamo che la sua psiche sopravviva. Il ruolo del ricercatore
e dell’esploratore infatti è di riconoscere i modelli. I bambini di oggi potrebbero riacquistare
un alto grado di motivazione nel processo di apprendimento se solo fosse loro permesso di
affrontare il loro ambiente sulla base della scoperta. Ci sono molti modi per farlo ma è
indicato come essenziale l’uso di piccoli gruppi. Le stesse nuove tecnologie che stanno
cancellando i confini fra l’istruzione e la scoperta stanno contemporaneamente cancellando le
differenze fra il bambino e l’adulto, almeno per quanto riguarda l’e~perienza.
Ciò che è primario in un happening sono i materiali — e le loro modulazioni come
duri o morbidi, come sporchi e puliti. Questa preoccupazione per i materiali, che
potrebbe far sembrare l’happening più simile alla pittura che al teatro, è espressa
anche nell’uso o nel trattamento delle persone come oggetti materiali piuttosto che
come « personaggi». L’happening fa sì che le persone abbiano spesso l’aspetto di
oggetti, in quanto sono racchiuse in sacchi di tela, in elaborati involucri di carta, in
lenzuola e in maschere... [3]
La scoperta dei materiali è stata un rovesciamento di ruoli che ha avuto luogo con i simbolisti.
Al pittore De-gas il quale si lamentava con lui che, benché traboccasse di idee per delle
poesie, le poesie non volevano prender forma, Mallarmé rispose: « Mio caro Degas, le poesie
non si fanno con le idee, si fanno con le parole». La stessa scoperta fu fatt~a da tutte le arti alla
fine del dicinnovesimo secolo. E particolarmente familiare la scoperta dei materiali da parte
degli architetti che si resero conto di come la forma di un edificio dovesse derivare dai
materiali che venivano usati. Essi scoprirono i disastri causati dalla tendenza di racchiudere le
forme nei materiali che erano per caso disponibili. Si doveva piuttosto far sì che i materiali
disponibili fossero i mezzi di scoperta di belle forme architettoniche uniche nel loro genere. È
stato nello stesso periodo che è divenuto ovvio per gli artisti il fatto che il medium è. il
messaggio. Proprio come nella politica e in qualsiasi azione sociale, i mezzi impiegati
rivelano i loro stessi fini. Il disarmo è il-logico e futile, a meno che non si sia preparati a
considerare i mezzi disponibili di produzione e di organizzazione sociale come mezzi che
offrono fini sociali unici. Impiegare l’energia e i circuiti elettrici nelle bombe atomiche mostra
la stessa capacità immaginativa di chi inserisce dei fili elettrici nelle sedie della propria sala da
pranzo per aver modo di investire con una scarica mortale chi ci si siede sopra, nel caso che
costui si dimostrasse ostile. Tutto ciò fa parte dell’annosa abitudine di usare nuovi mezzi per
vecchi scopi invece di scoprire quali siano i nuovi scopi nei nuovi mezzi.
Il
fatto che le persone siano trattate come oggetti materiali piuttosto che come personaggi
non è un modo molto accurato di descrivere l’happening. È vero che alìe cose si può
comandare a bacchetta proprio come avviene alla gente che vive nel proprio ambiente
consueto.
Ma le persone racchiuse in sacchi, lenzuola e maschere sono come i fumetti piuttosto che
come illustrazioni. Paradossalmente l’illustrazione è un aspetto molto più frammentario e
specializzato di un essere umano di quanto non lo sia un fumetto. Quanto più l’illustrazione o
l’immagine sono fedeli all’aspetto visivo, tanto più la persona è imprigionata in una categoria
o in una classificazione specializzata. Il fumetto « nudo e crudo », invece, può includere
molteplici sfaccettature e motivazioni. Allo stesso modo il « personaggio » di un romanzo
èun’entità altamente specializzata che deve essere mantenuta in movimento da una trama
egualmente specializzata. Il romanzo moderno è iniziato facendo muovere i personaggi lungo
la strada, in un modulo di spazio e tempo sequenziale. In tal modulo, la coincidenza, nel senso
122
di una serie di incontri diretti e sequenziali, viene elevata a intensità archetipale. La strada
come ambiente intensifica la coincidenza fino al punto di sopprimere la complessità degli
avvenimenti ambientali, insieme con la molteplicità dei loro moduli e delle loro connotazioni.
E infatti la strada, o narrativa, che viene soppressa nel nuovo romanzo o nel film per mettere
l’accento sul procedimento.
Se il narratore evita una descrizione realistica e pittorica a favore di blocchi stilizzati ed
iconici, egli può includere la complessità e la motivazione ambientale in maggior misura di
quanto non sia consentito dal realismo pittorico. Tutto ciò era ben noto a Chaucer, per
esempio. Ai suoi tempi il realismo pittorico era un mezzo per indicare i difetti di carattere che
non permettevano all’individuo il coinvolgimento nel ruolo che era suo proprio. Il
personaggio con una maschera « assume il ruolo del pubblico » piuttosto che esprimere se
stesso. Così Charlie Chaplin non passò la vita ad esprimere i suoi sentimenti personali, ma,
come ogni artista, scelse dall’ambiente del suo pubblico il materiale di cui aveva bisogno.
I poeti scelgono ritmi speciali per la grande gamma linguistica che è a loro diposizione.
Chaplin scelse solo un piccolo gruppo di elementi: il costume dell’uomo qualunque borghese,
i gesti segreti dell’artista da musichall, l’aspetto romantico di Cirano, l’amante che non può
essere riamato, e la posizione dei piedi del balletto classico. Fu quest’ultima ispirazione che
diede alla maschera di Chaplin la sua bizzarra aria da intellettuale. Arthur Koestler ci racconta
come, a un sontuoso ricevimento a Monte Carlo varie persone gareggiavano nell’imitare
l’immagine di Chaplin. Tra queste vi era Charlie Chaplin in persona, che arrivò terzo. Il suo
insuccesso èperfettamente comprensibile quando ci si rende conto che doveva dividere il suo
pubblico con una dozzina di Charlie Chaplin. Poiché l’attore deve «assumere il ruolo» del
pubblico, il fatto di condividerlo significa diluirlo, significa impoverire l’immagine e la
maschera ad un
·tempo. Entrare in un ruolo come qualcosa di opposto all’avere un impiego significa assumere
il potere sociale collettivo della propria cultura. Nella nostra società che è ancora molto
letteraria, molti continuano a cercare il potere collettivo facendo corrispondere le apparenze. E
l’effetto è esattamente opposto a quello che si desidera ottenere. Diluisce piuttosto che
arricchire l’esperienza, proprio come la concorrenza incoraggia la gente ad assomigliarsi gli
uni con gli altri. Colui che svolge un ruolo in modo genuino, d’altra parte, non ha alcun tipo di
concorrenza, poiché i materiali che sceglie dall’ambiente dal quale creare la sua immagine
sono della massima inclusività. T. S. Eliot una volta osservò che ci sarebbero potuti essere una
mezza dozzina di Shakespeare senza alcuna sovrapposizione o confusione dei loro talenti.
Considerata dal punto di vista dell’espressione dei propri sentimenti, una molteplicità di
Shakespeare è impensabile. Tutti questi elementi ricorrono nella strategia di lonesco. La
Sontag osserva al proposito:
La scoperta del ciché da parte di lonesco significa che egli ha smesso di vedere il
linguaggio come uno strumento di comur~icazione o di espressione di sé, per vederlo
piuttosto come una sostanza esotica secreta — in una specie di trance — da persone
intercambiabii. La scoperta che fece subito dopo, e che da tempo era famiiare nella
poesia moderna, era che poteva trattare il linguaggio come una cosa palpabile. (Così,
nella sua opera La Lezione, l’insegnante uccide lo studente con la parola “coltello”)
[4]
Il punto essenziale nella storia di Degas e Mallarmé èproprio la nuova volontà di considerare
il linguaggio come pigmento, come materiale unico da cui creare effetti unici. lonesco ha
scoperto che il cliché come il fumetto e l’icona> si carica delle accumulazioni dell’energia e
della percezione collettiva. Un’espressione puramente privata, come il ritmo, manca
necessariamente della dimensione della forza collettiva. Il banale, come tale, è ricco di energia
per l’artista che abbia la capacità di innescarne i processi. Per liberare energia da un diché è
123
necessario l’incontro con un altro ciché! Joyce non si stancò mai di usare questa scoperta
anche nelle sue forme verbali più limitate:
Altissimo, accumula miserie sopra di noi però Intreccia le nostre arti con basse risate!
[5]
Finnegans Wake
L’happening non sfrutta tanto lo scontro di un cliché con un altro, quanto la molto efficace
interazione di un cliché tratto da un medium con i ciché di altri media.
124
AMBIENTE
1.
2.
J. Joyce, Finnegans Wake, The Vildng Press, New York 1958, p. 561.
J. Joyce, Letters of James Joyce, The Viking Press, New York 1976.
ANESTESIA
1. Elémire Zolla, The Eclipse a/ the Intellectual, Funk and Wagrialls, New York 1968, pp.
215-16; trad. it.: Eclissi dell’intellettna le, Bompiani, Milano 1965.
2. Allen Ginsberg, Hou>l, in Howl and Other Poems, City Lights Books, San Francisco 1956.
3. T. S. Eliot, Collected Poems.
4. John Milton, Paradiso Perduto, libro 1, versi 84-91.
5. Ibidem, versi 122-24.
6. Northrop Frye, Anatomy o! Criticism: Four Essays, Princeton Press, Princeton 1957, p.
365; trad. it.: Anatomia della critica, Einaudi, Torino 1972.
7. Jurgen Thorwald, The Triumph o/ Surge,y, Pantheon Books, New York 1960, p. 285.
8. Ibidem.
ARCHETIPO
1. Eric Partridge, Usage and Abusage, Hamish Haniilton, Londra 1961.
2. Da una lettera di E. S. Carpenter a Marshall McLuhan, 20 gennaio 1961.
3. Lauriat Lane, Jr., The Literary Archetype: Some Reconsiderations, in “Journal of Aesthetics
and Art Criticism”, voi. XIII, n. 2, dicembre 1954, p. 228.
4. W. B. Yeats, The Circus Animals’ Desertion, in Poems, Macmillan, New York 1957.
5. José Arguelias, Cornpute and Evolve, « Main Currents *, gennaio-febbraio 1969, p. 66.
TEATRO DELL’ASSURDO
1. E. Zolla, The Eclipse o/ Intellectual (Eclissi dell’intellettuale), cit., p. 204.
2. James Joyce, Finnegans Wake, cit., p. 273.
3. Wylie Sypher, Loss o! the Sei! in Modem Literature and Art Random 1-lause, New York
1962.
4. Friedrich Diirrenmatt, Four Plays 1957-62, Jonathan Cape, Londra 1964, pp. 33-34.
5. J. Joyce, Pinnegans Wake, cit., p. 263.
AUTORE COME CLICHÉ
1. Donald M. Frame, Montaigne: a Biography, Harcourt, New York 1965, p. 83.
2. Ibidem, p. 291.
3. Ibidem, p. 82.
4. Ihidem, p. 291.
5. Ib:dem.
6. W. H. Auderi, In Memory of W. B. Yeats, in Another Time,faber and Faber, Londra 1940,
p. 93.
CASISTICA O SOFISMA
125
1. Richard P. Altick, The Case o! the Curioi~s B:bliographers, in The Scholar Adventuren,
Macniilan, New York 1950, p. 100.
CENTENNALE METAFORA
1. N. Frye, Anatomy o! Criticism, cit., p. 367.
2. Edward T. Hall, The Silent Language, Doubleday, New York 1959, p. 248; trad. it.: Il
linguaggio silenzioso, Garzanti, Milano 1973.
CLICHÉ/ARCHETIPO
1. Hans Seyle, From Dreams to Discovery, Mc-Graw Hill, New York 1964, pp. 64-65.
2. J. Milton, Paradiso Perduto, libro 11, versi 890-97.
3. J. Joyce, F:nnegans Wake, cir., p. 250.
4. Anatol Rappoport, Clausewitz on War, Pelican Books, Londra 1968, pp. 54-55.
5. Arthur Koestler, The Act o! Creation, Macmiflan, New York 1964, p. 252.
CLICHÉ COME CROLLO
1. E. Zolla, The Eclipse o! the Intellectual, cir., p. 202.
2. Ibidem.
3. Heinrich Hertz, Principles o! Mechanics, Dover Publications, New York 1956.
CLICHÉ COME SONDA
1. J. Joyce, Finnegans Wake, cit., p. 34.
2. E. Zolla, The Eclipse o! the Intellectual, cit., p. 93.
3. Eric Partridge, A Dictiona~y o! CI,chés, Macmillan, New York 1966, pp. 1-2.
4. Logan Pearsalì Smith, Words and Idioms, Constable, Londra 1925, p. 196.
5. George Orwell, Nineteen Eighty-Four, Penguin, Londra 1954, p. 45; trad. it.: 1984,
Mondadori, Milano 1967.
6. Frederic William Maitland, The Fonns of Action at Common Law, Cambridge University
Press, New York 1963, p. 5.
7. Ibidem, p. 5.
8. Ibidem, p. 6.
CORRISPONDENZE DI SENSO
1. E.R. Leach, Political Systems o! Highland Burma; a Study o! Kachin social Strueture, G.
BeH and Sons, Londra 1954, p. 267; trad, it., I sistemi politici degli altipiani birmani, Franco
Angeli, Milano 1979.
2. Charles Moorman, Arthurian Triptych, University of California Press, Berkeley 1960.
3. T. S. Eliot, Ulysses, Order and Myth, in James Joyce: Two Decades o! Criticism, Vanguard
Press, New York 1948, pp. 201-202.
4. E. R. Leach, Politicai Systems o! Highland Burma, cit.
5. Ibidem.
6. J. Joyce, Finnegans Wake, cit., p. 418.
126
7. W. H. Abrams, The Min’or and the Lamp, Oxford University Press, New York 1953, p. 58.
8. Ibìdem.
9. Ibidem, p. 103.
10. Ibidem, p. 170.
11. Thomas S. Kuhn, The Structure o! Scienti!ic Revolutions, University of Chicago Press,
Chicago 1962, p. 13-14.
COSCIENZA
1. T. S. Eliot, Auditory Imagination, in The Use o! Poetry and the Use o! Criticzsm, Barnes .
and Noble, New York 1955.
2. W. B. Yeats, Sailing to Byzantium, in Poems, MacMillan, New York 1957.
3. J. Joyce, Fznnegans Wake, cit., p. 227.
4. Ibidem, p. 109.
5. Norman Mailer, Miami and the Siege o! Chicago, New Amencan Library, New York 1978,
pp. 88-89; trad. it.: Miami e l’assedio di Chicago, Mondadori, Milano 1969.
6. Joseph Frank, Dostoevsk#: the House o! the Dead, in ~ Sewanee Review*, LXXIV, 1966,
p. 133.
EMOZIONE
1. E. Zolla, The Eclipse o! the Intellectual, cit., p. 93,
2. J. Hiilman, Emotion, cit., p. 173.
3. Ibidem, p. 289.
4. William Empson, Collected Poems, Chatto and Windus, Londra 1955.
5. Abraharn Maslow, Eupsychian management, Richard D. Irwin and The Press, Homewood
1965, p. 83.
6. Ibidem.
7. J. Hiilman, Emotion, cit., p. 183.
ENDIADI
1. J. Joyce, Finnegans Wake, cit., p. 112.
2. W. K. Wimsatt, Hate.lul Contraries, University Press of Kentucky, Louisville 1965, p. 158.
GENERI
1. N. Frye, Anathomy of Criticism, pp. 246-247, trad. it. Anatomia della critica, Einaudi,
torino, 1972
2. Ibidem, p. 247.
3. Jbidem.
4. F. W. Maitland, The Form o! Action at Common Law, cit., p.
5. W. H. Auden, The Guilty Vicarage, in The Dyer’s Hand and Other Essays, Random House,
New York 1948, p. 146.
6. Agarha Christie, Murder a!ter hours, Dell, New York 1954, pp.
232-33.
7. E. Zolla, The Eclipse o! the Intelkctual, cit., p. 17.
127
8. Marya Mannes, ‘~<W Guide~, 15-21 marzo 1969.
9. Peter Farb, Men’s Rise to Civilisation, E. P. Dutton, New York
1978, p. 110; trad. it.: L’ascesa dell’uomo all.a civilt4, Mondadori, Milano 1970.
10. «Newsweek*, 13 maggio 1968.
11. Ehns Canetti, Crow& and Power, The Viking Press, New York 1963, pp. 373-74; trad. it.:
Potere e sopravrnvenza, Adelphi, Milano 1974.
12. Quintiliano, Istitutio oratoria, «Antologia*, Nuova Italia, Firenze 1977.
13. H. Marshsil McLuhan, Tennyson, Holt, Rinehart and Winston, New York 1956, pp.
XVIII-XIX.
14. Percy Wyndham Lewis, The Diabolicai Principle and the Dithyrambic Spectator, Chatto
and Windus, Londra 1931, pp. 163-65.
15. J. Joyce, Finnegans Wake, cit., p. 267.
16. E. Llewellyn Thomas, Movements o! The Eye, in Lasers and Light, W. H. Freemon and
Company, San Francisco 1969, pp. 152-53.
17. Fred and Barbro Thompson, The Japanese Concept o! Ma, in The Saint Geo,~e Dragon,
SAC Presa, Toronto 1969, pp. 6-13.
18. Ibidem.
19. John Locke, An Essay Conceming Human Understanding, CIarendon Press, Oxford 1894,
libro III, sezione I, v. 2; trad. it.: Saggio sull’intelletto umano, Utet, Torino 1972.
20. Leo Rosten, The Joys o! Yiddish, MacGraw-Hill, New, York
1968, pp. XIV-XVI.
21. Ibidem, p. XIX.
IDENTITÀ
1. J. Joyce, A Portrait o! the Artist as a Young Man, The Viking Press, New York 1964, pp.
253-54; trad. it.: Ritratto dell’artista da giovane, Newton Compton, Milano.
2. J. Joyce, Finnegans Wake, cit., p. 579.
3. T. S. Eliot, Sweeney Erect, in Collected Poems.
4. Edgar Z. Friedenberg, The Vanishing Adolescent, Beacon Press, Boston 1964, p. 55.
5. Harold Rosenberg, The Tradition o/the New, Rorizon Press, New York 1959, p. 81.
INTRODUZIONE
1. M. Eliade, Cosmos and history, Harper and Row, New York 1959, p. 5.
2. Ibidem, p. 95.
3. J. Joyce, Finnegans Wake, cit., pp. 18-20.
4. Benjamin Franklin, iscrizione sulla porta del suo ufficio.
5. W. K. Wimsatt, Hate!ul contraries, « Horses of Wrath », pp. 5-6.
JOKES COME BARZELLETTE
1. P. W. Lewis, Conversazione con Marshall McLuhan.
2. Rosten, The Joys o! Yiddish, cit., p. XIX.
LOVE COME GIOIA D’AMARE E LE GHIRLANDE DI MARGHERITE
1. J. Joyce, Finnegans Wake, cit. p. 18.
128
MIMESI
1. Henry Havelock, Pre!ace to Piato, Basil Blackwell, Oxford
1963, pp. 44-45; trad. it.: Cultura orale e civilt4 della scrittura. Da Omero a Platone, Laterza,
Bari 1973.
L’UNO E I MINI
1. T. S. Kuhn, The structure of Scienti!ic Revolutions, cit., p. 46.
2. Douglas M. Davis, The Dimenszons o/the Miniarts, in “Art in America”, novembredicembre 1967.
3. E. Zolla, The Eclypse o! the intellectual, cit., p. 38.
OCCHIO-ORECCHIO
1. E. T. Hall, The Silent Language, pp. 150-51; trad. it.: Il linguaggio silenzioso, Garzanti,
Milano 1973.
2. Peter Sipnovich in «Toronto Daily Star».
3. Jacques EIltil, Propaganda, Alfred A. Knopf, New York 1965.
4. George Putrenham, The Arte of English Poesie, Cambridge University Press, Londra 1936.
5. W. Empson, Seven Types o! Amhiguity, Chatto and Windus, Londra 1947; trad. it.: Sette
tipi di ambiguità, Einaudi, Torino 1971.
PARADOSSO
1. W. Empson, Legai Fiction, in Collected Poems, cit., p. 25.
2. G. K. Chesterton, The Donkey, in Mode,,, British Poetry, Harcourt, New York 1950, p. 825.
3. Rosalie L. Colie, Paradoxa Epidemica, Princeton University Press, Princeton 1966, p. 3.
4. A. Koestler, The Aet o! Creation, cit., p. 94.
5. R. L. Colie, Paradoxia Epidemica, cit., p. 6.
6. P. W. Lewis, Vortex No. One-Art Vortex-Be Thysel/, «Blast No. I», The Bodley Head,
Londra 1914.
7. R. L. Colie, Paradoxia Epidemica, cit., p. 6.
8. Da una lettera di Jaines Joyce a Harriet Shaw Weaver, 16 apri. le 1926, in Letters o/ James
Joyce, voI. 1;
9. Da una lettera di Jarnes Joyce a Harriet Shaw Weaver, 12 maggio 1927, ibidem.
10. R. L. Colie, Paradoxia Epidemica, cit.
11. Ibidem, p. 7.
12. Ibidem, p. 8.
13. Ibidem, p. 14.
14. Ibidem, p. 14.
15. Ibidem.
16. Ibidem, p. 15.
PARODIA
129
1. Michael O’Brien, Apeneck Sweeny, in « The Graduate», University of Toronto, marzo
1969, pp. 86-93.
2. J. Joyce, Finnegans Wake, cit., p. 202.
3. Ibidem, p. 207.
PUBBLICO COME CLICHÉ
1. Vignetta di Brian Savage in « The New York Tinies Book Review», 28 giugno 1964.
2. Lettera di Goethe a Schiller, in Zolla, The Eclipse o! the Intel. lectual, cit., p. 32.
3. Q. D. Leavis, Fiction and the Reading Public, Chatto and Windus, Londra 1932, p. 75.
4. Ibidem, p, 29.
5. Ibidem, p. 187.
6. Ihidem, pp. 33-34.
7. Michael Harrington, The Accidentai Century, MacMillan, New York 1965, pp. 16-17.
RICUPERO
1. Vignetta di Douglas Macpherson in «Toronto Daily Star», 1 ottobre 1964.
2. David T. Bazelon, The Paper Economy, Random House, New York 1963, p. 331.
3. Susan Sontag, .4gainst Inteipretation, Farrar, Straus and Giroux, New York 1966, p. 280;
trad. it.: Interpretazioni tendenziose, Einaudi, 1975.
IL NEGOZIO DA RIGA¶ITIERE
1. J. Joyce, Finnegans Wake, cit., p. 455.
TEATRO
1. Sontag, Against Interpretation, cit., p. 271.
2. Ibidem, p. 266.
3. Ibidem, p. 261.
4. Ibidem, p. 119.
5. J. Joyce, Finnegans Wake, cit., p. 259.
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