Una produzione del Teatrofficina Refugio in collaborazione con Federazione Anarchica Livornese 1 idea d'amor Libere visioni dell'anarchico Pietro Gori una produzione del Teatrofficina Refugio in collaborazione con Federazione Anarchica Livornese testi: Pietro Gori studi e ricerche a cura di T.O.R e F.A.L. adattamento di Emiliano Dominici e Patrizia Nesti musiche originali di Alessandra Falca con Paolo Spartaco Palazzi Alessandra Falca Emilia Trevisani Assad Zaman Giacomo La Rosa Chiara Lazzerini Riccardo Prianti Romeo Domilici aiuto regia: Elisabetta Cipolli capo tecnico: Selvaggio Casella luci: Martina Di Domenico regia: Emiliano Dominici Indice Introduzione Perché uno spettacolo su Pietro Gori Libere visioni Note di regia Pietro Gori – note biografiche 7 8 9 10 Copione IDEA D’AMOR Libere visioni dell’anarchico Pietro Gori 13 Fonti Testi originali - fonti per l’adattamento teatrale Appendice - altre fonti 35 59 Introduzione Perché uno spettacolo su Pietro Gori Nel gennaio 2015 il Teatrofficina Refugio e la Federazione Anarchica Livornese avviano una collaborazione finalizzata a realizzare uno spettacolo teatrale sull’anarchico Pietro Gori. Questa collaborazione nasce dall’esigenza, nel centocinquantesimo anniversario della nascita, di dare vita ad un’iniziativa culturale che uscisse dagli schemi delle commemorazioni ufficiali in cui viene presentata un’immagine di Pietro Gori compatibile con l’ordine sociale, e che invece rappresentasse la forza dirompente del suo pensiero e della sua azione. I testi originali di Gori sono stati il punto di partenza per la nostra rielaborazione e per le libere visioni d’anarchia che ne abbiamo tratto. Questo libretto vuole sostenere la fruizione dello spettacolo segnalando i riferimenti documentali e testuali a cui si ispira il testo teatrale che abbiamo prodotto. Lo scopo, ovviamente, non è quello di limitare il piacere dello spettacolo con un’operazione pedante, ma di restituire, a chi è interessato, il percorso che noi stessi abbiamo compiuto. Per qualcuno sarà come avere a disposizione una piccola antologia goriana, per qualcun altro sarà un semplice back stage di scrittura teatrale. Federazione Anarchica Livornese Teatrofficina Refugio 7 Libere visioni Lo spettacolo cerca di cogliere l’essenza della figura dell’anarchico Pietro Gori e soprattutto la sua tensione nel voler conciliare l’intensissima attività politica con l’altrettanto forte slancio espressivo ed artistico. Ecco dunque una serie di “visioni d’anarchia” che muovono da precisi riferimenti a testi di Gori relativi a conferenze, comizi, scritti teorici, ma anche a poesie, canzoni, memorie, cercando di mantenere quel linguaggio ardente e ricco di suggestioni che riesce a comunicare potentemente l’idea d’amor, la sintesi di pensiero e sentimento che da oltre un secolo costituisce la forza dell’ideale anarchico. La scena iniziale, animata da un circo ingovernabile in cui gli artisti rifiutano lo stereotipo del ruolo per comunicare idee, sogni e desideri, si dissolve rapidamente per lasciare spazio alla figura di Gori chiuso nel carcere dei Domenicani di Livorno, dove appena venticinquenne subisce la prima detenzione in occasione del Primo Maggio. Ma il pensiero va via, annulla le mura del carcere e ci porta in assoluto disordine verso vari momenti della vita e del pensiero di Gori, dai ricordi emozionati del 1° maggio, al forte e doloroso legame con Sante Caserio, alla denuncia della repressione, caratterizzata non solo dalla brutalità dei governi, ma anche da quella di una cultura che tenta di criminalizzare gli anarchici tramite la pseudoscienza. E poi, sempre seguendo un flusso di coscienza che è coscienza collettiva, l’internazionalismo, la solidarietà tra i lavoratori, la rivolta contro la guerra l’orgoglio degli esuli che imparano a vivere senza patria, la sperimentazione, tra Europa e Americhe, di rotte che possano condurre verso una società nuova, libera dal bisogno e illuminata dall’arte. 8 Note di regia Mettere in scena un pensiero non è cosa semplice. Né è semplice lavorare su un personaggio forte e connotato come Pietro Gori, spesso cristallizzato nella dimensione romantica di poeta dell’ideale, autore delle note canzoni che tutti conosciamo. Ancor meno semplice è allestire uno spettacolo volendo ignorare il Gori autore teatrale, che ci avrebbe lasciato testi bell’e pronti, ma troppo ancorati al gusto del tempo. Voler stare fuori da tutto questo significa rimboccarsi le maniche e cercare un incontro diretto con Pietro Gori. Ed è quello che abbiamo cercato di fare. Ciò che ne è scaturito è frutto di una ricerca collettiva, di un lungo periodo di letture, anche caotiche, di studio, di scoperte, di confronti, un lavoro che ha portato a individuare l’idea d’amor non attraverso una messa a fuoco precisa, ma attraverso la discontinuità della percezione che la crescita di ciascuno di noi produceva. Ne è scaturito un lavoro d’impronta fortemente filologica – testi e monologhi sono ripresi quasi puntualmente da scritti goriani, perché da quelli siamo stati folgorati – capace però di snodarsi attraverso le libere visioni che quei testi ci hanno trasmesso. Il ruolo della musica nello spettacolo è fondamentale; né poteva essere altrimenti, considerando il grande rilievo dell’elemento musicale nell’opera di Gori, ma anche nei lavori finora prodotti dal Teatrofficina Refugio. Anche in questo caso attenzione filologica e volontà creativa hanno consentito, oltre alla rielaborazione di pezzi tradizionali, di musicare per la prima volta e in modo originale alcune poesie di Pietro Gori, estendendo di fatto il repertorio musicale goriano, operazione delicatissima e di grande responsabilità, resa possibile solo dalla nostra incoscienza e dall’irresistibile richiamo dell’idea d’amor. 9 Pietro Gori – note biografiche Pietro Gori è un anarchico che riesce a conciliare la militanza politica con la forte carica comunicativa, invariabilmente presente nelle conferenze e negli scritti teorici così come nelle tante canzoni e poesie che ci ha lasciato. Gori riesce a sfuggire agli stereotipi: è profondamente colto ma lontano da qualsiasi intellettualismo, vuole conciliare politica e arte, introduce le sue conferenze accompagnandosi con la chitarra, coltiva la propria individualità senza cadere nell’individualismo. Gori nasce a Messina il 14 agosto del 1865, da genitori di origine toscana che si trasferiscono prestissimo a Rosignano Marittimo, in provincia di Livorno. Si laurea in giurisprudenza all’Università di Pisa ed esercita per tutta la vita la professione di avvocato mettendosi a disposizione dei compagni colpiti dalla repressione. Appena venticinquenne subisce la prima carcerazione per aver organizzato a Livorno lo sciopero generale del Primo Maggio 1890. La repressione contro di lui sarà sempre ferocissima, costringendolo spesso alla detenzione e all’esilio. Perseguitato per aver assunto la difesa di Sante Caserio, responsabile dell’uccisione del presidente francese Carnot, Pietro Gori si rifugia a Lugano, da cui sarà estradato e costretto nel 1895 a riparare a Londra, luogo che in questo periodo accoglie molti esuli e fuoriusciti. È qui che Gori rafforza il suo collegamento con la classe operaia consolidando quella convinzione organizzatrice che già lo aveva distinto nei primi anni della militanza, quando con Malatesta fonda l’organizzazione PSAR , e che lo accompagnerà per tutta la vita, vedendolo promotore sindacale nel suo soggiorno argentino e organizzatore, negli ultimi anni di vita, della Camera del lavoro di Piombino e dell’Elba. Da Londra si sposta negli Stati Uniti, svolgendo un’attività di propaganda internazionalista intensissima. Nel 1898 è nuovamente in Italia e partecipa a Milano alle rivolte contro il caro pane che saranno duramente represse da Bava Beccaris. Per sfuggire alla condanna a 12 anni di carcere fugge di 10 nuovo oltre Oceano stabilendosi per alcuni anni in Argentina, paese che sta vivendo in questo momento una stagione di straordinaria apertura anche grazie ad una politica favorevole all’immigrazione che consente la convivenza di persone provenienti da paesi diversi. In Argentina Pietro Gori dà vita ad esperienze interessanti, fondando una rivista di criminologia di impostazione estremamente innovativa e costituendo l’esperienza sindacale della FORA. Gori rientra in Italia nel 1902, avviando una collaborazione politica ed editoriale con Luigi Fabbri sempre rivolta al rafforzamento dell’organizzazione della classe operaia. Dal 1906 le condizioni di salute sempre più precarie gli impongono di soggiornare all’isola d’Elba, dove comunque proseguirà la sua attività politica fino alla morte, che lo coglie nel 1911, a soli quarantasei anni. 11 Copione IDEA D’AMOR Libere visioni dell’anarchico Pietro Gori (IL COPIONE) L’ORCHESTRINA sghemba, in semibuio, in piedi, suona un pezzo solo strumentale (Il Tango del Cirque du Monde). L’atmosfera è lynchiana. Entra il pubblico nella prima sala. 1… DIRETTORE ARTISTICO [irrompendo nella sala e interrompendo la musica]: (Al pubblico) Scusate… chi vi ha fatto entrare? (All’Orchestrina) Voi… Seduti! (Alla biglietteria) Chi è che li ha fatti entrare, questi qui? (Al pubblico) Sentite, c’è stato un errore! Se siete qui per il Circo del Mondo, avete sbagliato di grosso, avete sbagliato ingresso. Questo non è il Circo del Mondo, qui non ci sono le vere attrazioni, questo è il circo... Questo è il Circo dell’Immondo, sono i resti, gli avanzi, la feccia, tutto quello che ho scartato perché da NON VEDERE ASSOLUTAMENTE. Sapete, non è mica facile fare il direttore artistico di questi tempi, non ci sono più i bei numeri di una volta! E poi questi artisti moderni si sentono tutti filosofi. Tutti a parlare, tutti a dire la loro… Ma chi se ne frega! Tu credi di aver trovato un “numero”, non dico perfetto, ma almeno passabile, e invece no, quando meno te lo aspetti loro si mettono a blaterare. A farfugliare. A straparlare! E di cosa, poi! Roba vecchia, roba stantìa. Ma non va mica bene! Il pubblico non apprezza. 13 Non è quello che vuole il pubblico del “Circo del mondo”. Un pubblico scelto, intelligente, sofisticato, un pubblico pagante! Un pubblico che non ha idea di cosa siano la povertà, lo sfascio, il declino. Ecco, a proposito di declino, lo vedete lui? (Luce sull’uomo in catene, lei lo indica) Dovrebbe liberarsi dalle catene. Alla grazia di Houdini! Credete che ce la faccia? HA! Poveri illusi, voi e lui! Ormai, questo qui, è buono solo a parlare a vanvera... Il Vanverone, lo chiamo io! (All’UOMO IN CATENE che ha cominciato a sussurrare la parola Libertà) Come? Cos’è che dici? 2... L’UOMO IN CATENE (LA LIBERTA’): Soprattutto la libertà. Non il potere, no. Io voglio la libertà. La rivoluzione non è sostituire un potere vecchio con uno nuovo, nemmeno se quello nuovo è il mio, il nostro. Io non voglio il potere, voglio la libertà. Non libertà mutilata e irriconoscibile, ma libertà esercitata integralmente da ogni individuo. Sarò veramente libero solo quando tutti gli esseri viventi che mi circondano saranno ugualmente liberi. La mia libertà ha un senso solo attraverso la libertà di tutti. Non “la mia libertà finisce dove inizia la tua”, ma: “la mia libertà si estende all’infinito”. Ma come costruire questa società libera? Dobbiamo cambiare completamente tutti i rapporti sociali e costruire la spontanea e naturale armonia del benessere e della libertà. Dobbiamo ribellarci a tutte le catene, spezzare la schiavitù della religione, dello stato, dei padroni, dell’ordine giudiziario, delle usanze, delle abitudini, dei pregiudizi. Mai più schiavi di noi stessi, non nelle nostre case, non nei nostri letti. Perché la voglia di distruggere qualsiasi costrizione, qualsiasi confine, qualsiasi limite non è impulso irrazionale, ma nasce rimbalzando nelle nostre anime e diventa naturale 14 passione per la libertà. DIRETTORE: Liiibero, voglio viiivere... (All’UOMO IN CATENE) Vanverone, sei scar-ta-to! [BUIO sul forzuto, il DIRETTORE si allontana, l’UOMO IN CATENE] Non c’è forza, non c’è grazia! E del grande Houdini, neanche l’ombra, neanche il fantasima! Ma poi, così demodé, così out of fashion… ormai la parola Libertà la usano anche cani e porci. Poveraccio, mi fa pena, quasi... certo, ormai c’è, ma come faccio a preparare un “numero”... (nel frattempo l’IMBONITORE inizia a urlare) 3… L’IMBONITORE offre al pubblico l’elisir di lunga vita (LA RELIGIONE): Elisir! Elisir! Elisir d’acqua fresca e dolce miele. Elisir di lunga vita! Vita lunga, sì, ma non eterna! Quella io non la prometto, certo un po’ son ciarlatano, ma non come quegli altri che v’incantano col paradiso e minacciano l’inferno che spaventa e vi ossessiona. Eh no, non vi dico di star buoni, di subire e sopportare per poi essere premiati con qualcosa che non c’è. Non v’impongo dio, il padrone dei padroni, che il pensiero rende schiavo e il ribelle rende prono, io solo offro Elisir di poca cosa, Elisir testé provato. Enterite, stitichezza, gotta, eczemi, idropisia Reumatismi, obesità, ernie, asma ed anemia. Elisir! Elisir! Elisir d’acqua fresca e dolce miele. Niente preti, né padroni, niente dio, né religioni che imprigionano il pensiero e di bòtta rendon schiavi. Elisir. Elisir vi offro io! Elisir di lunga vita, vita lunga, non eterna, Perché alla vita c’è rimedio, alla morte no! DIRETTORE: “ unguento, unguento/ màndame a la noce 15 di Benivento/ supra acqua et supra vento/ et supra omne maletempo.” SCAR-TA-TO! (BUIO sull’IMBONITORE che, quando il DIRETTORE si allontana, esce) Questo è proprio un maletempo per i circhi. E questo qui è l’uccello del malaugurio. Lo sanno tutti, no?, che al circo si viene per distrarsi, per ridere, per pensare alle cose belle, e questo qui mi parla della morte… Tiè!!! Invece di vender gli elisir... Qui bisogna vendere, vendere e incassare, e non farneticare! C’è già chi farnetica...la farneticante... anzi, no, la Veggente… avvicinatevi... ormai... ormai siete dentro cosa mai vi può succedere... ah... 4… La VEGGENTE - (L’ANARCHIA): Una boccia di vetro... Hanno paura quando la vedono nelle nostre mani. Molta paura. Hanno paura che esploda. Pum! Ma fanno bene ad avere paura... perché un’esplosione ci sarà. E cancellerà la miseria del mondo. E porterà il mondo nuovo. Io non ho paura. (la VEGGENTE va in trance) Vedo una società in cui tutti i cittadini, liberamente federati in gruppi, associazioni, arti, mestieri, sono comproprietari di tutto! Di terre, miniere, opifici, case, macchine, strumenti di lavoro, mezzi di scambio e produzione! (Pausa) Paura eh? Vedo tutte queste persone associate da un’armonia d’interessi che amministrano socialmente, senza governanti, la cosa pubblica, godendo in comune dei vantaggi e lavorando insieme per aumentare il benessere collettivo... Ecco, immaginate tutto questo, ecco l’anarchia. E poi, dall’associazione dei beni 16 all’associazione dei cuori è un attimo! Niente più famiglie chiuse, ma una grande famiglia degli eguali e dei liberi. E anche l’unione di due persone non sarà più un affare, ma un’unione libera, basata sull’amore, senza dover mentire davanti al sindaco o al prete. Sì, hanno paura quando la vedono nelle nostre mani. Paura eh? DIRETTORE: (scoppia un palloncino) Pum! Paura eh? Ma che brava, ma che brava la farneticante, e che visioni realistiche! SCAR-TA-TA! [BUIO su VEGGENTE, DIRETTORE si allontana, VEGGENTE esce] Ma come si fa, dico io, ma come si fa? Ma chi la vuole questa qui, la volete voi? Se la volete ve la regalo! Se non vi interessa il futuro, potete sempre metterla ai fornelli. Come cuoca fa schifo, ma perlomeno indovina sempre cosa avete voglia di mangiare. 5… E adesso, signore e signori, giacché avete resistito ai deliri utopistici di questi tre poveri scarti disumani, a questo punto, se volete, potete avventurarvi nella sala segreta, ma il tutto… a vostro rischio e pericolo. Pensate forse che quello di cui hanno blatterato finora sia farrina del loro saco? Macché! Tutto quel che dicono, tutto quel che pensano viene direttamente da quella sala, viene direttamente… da LUI. Signori, nel corso della mia professione ho dovuto vedere e ascoltare cose orribili oltre ogni immaginazione. Ma non avevo mai incontrato una terribile, degradata, versione di essere umano come quella che andrete a vedere, colui che racchiude in sé tutto ciò che non si deve essere, in questo mondo moderno. E dunque, Orchestra, Un deux trois, un deux trois… se volete entrare… prego, seguitemi. L’ORCHESTRA precede il pubblico suonando il “Valzer della prigione”. Il DIRETTORE fa accomodare il pubblico in sala. DIRETTORE: Stringetevi, stringetevi. Prego, accomodatevi. 17 6… Mentre il pubblico si sistema L’ORCHESTRA si sistema sul fondo e suona mentre il CORO (3 persone) è in posizione al centro, muto, in piedi, davanti a una cassapanca. Quando il pubblico è al suo posto, DIRETTORE ferma l’orchestra (“Orchestra, Silenzio!”), e conta per ridare il via all’ORCHESTRA e al CORO che canta Quando muore triste il giorno,/ e ne l’ombra è la prigione, (Mim Sim Sol Mim) dè reietti e dè perduti/intoniamo la canzone. (Mim Sim Si Mim) La canzone maledetta/ che nè fieri petti rugge,/ Affocata da la rabbia/ che c’infiamma e che ci strugge/ La canzon, che di bestemmie/ e di lacrime è contesta; (Mim Sim Sib Si) La canzone disperata, de l’uman dolore è questa... (Mim Sim Sib Si) 7… (I coristi 2 e 3 abbassano la testa, quella al centro legge le imputazioni. GORI è seduto, di spalle, sulla cassa al centro, coperto dal CORO): CORISTA 1: Gori Pietro, nato a Messina il 14 agosto 1865, arrestato a Livorno il 12 maggio 1890 in virtù dell’articolo 63 e 190 del codice penale italiano. Imputato di ribellione, eccitamento allo sciopero, odio fra le classi sociali. Capo e promotore della manifestazione operaia del primo maggio a Livorno e quindi causa morale della rivolta contro la polizia. (Coristi 2 e 3 alzano la testa e pronunciano la frase insieme a CORISTA 1) Condannato e imprigionato nel carcere dei Domenicani. (Coristi 2 e 3 escono dietro, dove c’è l’orchestra, ciascuno da un lato, Corista 1 esce di lato, rimane GORI seduto sulla cassa al centro) 18 8… GORI: Si chiamano Domenicani perché c’erano i frati di San Domenico. E non è un bel posto. Prima, sotto, c’erano le celle dei preti e ora ci sono le segrete. Ecco, non è un bel posto. Ma al contrario di tutte le altre carceri italiane, qui, a Livorno, ai Domenicani, la mattina ci si saluta. E poi i segnali con le campanelle: sveglia, minestra, aria, medico, silenzio. sveglia, minestra, aria, medico, silenzio. Non è un bel posto (per niente). Poi, quando e come gli pare a loro, entrano in cella e ti frugano. Sono in sette/otto guardie e guardano da tutte le parti, e se hai nascosto l’ultimo pezzetto di matita in una mollica di pane loro lo trovano e te lo sequestrano. La fruga, la chiamano. E all’alba, come nell’inferno di Dante, c’è il transito: forzati che passano dai Domenicani prima di andare nelle altre carceri toscane. Un flusso di carne triste, lugubre, disperata. [GORI esce] 9… Entra CANTAUTRICE che canta NOSTALGIA: Passan le nubi nere, portate via dal vento su le mura severe de l’antico convento Passan le nubi nere. Dietro un vecchio forzato cigola la catena Triste, come il suo fato stride come una iena Dietro al vecchio forzato. Come passero stanco una mesta canzone su pel cortile bianco vola de la prigione Come passero stanco. Ma il pensiero va via, sprezzando la muraglia L’afflitto corpo espia la perduta battaglia, Ma il pensiero va via, e fugge, e fugge, e fugge Via per plaghe lucenti, de la brama che rugge, Assopisce i tormenti, e fugge... È la pace del chiostro, solenne e accidiosa, Sovra l’ibrido mostro; sovra il cor, che non posa, 19 è la pace del chiostro, Ci son le inferriate, tra i desideri e il mondo Tra le braccia levate, ed il cielo profondo Ci son le inferriate. [CORISTI 2 e 3 aprono la tenda dei musicisti che suonano, entrano in scena con CORISTA 1 e cantano] Ma il pensiero va via, sprezzando la muraglia L’afflitto corpo espia la perduta battaglia, Ma il pensiero va via, e fugge, e fugge, e fugge Via per plaghe lucenti, de la brama che rugge, Assopisce i tormenti, e fugge, e fugge, e fugge. (CANTAUTRICE esce e rimane CORO. L’ORCHESTRA chiude la tenda) 10… CORO: “IL VOSTRO ORDINE, IL NOSTRO DISORDINE”: Voi, l’ordine. Noi, il di-sor-di-ne. Voi, l’ordine. La vostra legge la chiamate: ordine. Nel vostro ordine, nella vostra giustizia, il privilegio di pochi, cioè la diseguaglianza, è chiamato: diritto. Il fratricidio della guerra è chiamato: eroismo. La repressione dei diritti e degli interessi popolari è chiamata: ragion di stato. Noi, il disordine. Quando il nostro disordine prende forma, quando si creano agitazioni straordinarie, quando il popolo comprende ciò che serve, e preme, e spinge, e reclama, e vuole, allora i governi si affrettano a concedere qualcosa, a riconoscere un diritto, a “fare una legge”. E quella domanda sociale, quella voglia di giustizia, quel disordinato fiume di libertà, una volta diventato legge o decreto, una volta imprigionato nelle carte, è mutilato, 20 superato, irriconoscibile, vecchio, sterile. E il disordine diventa ordine, che serve a voi, magari per soffocare una nuova domanda, una domanda che si fa strada tumultuosamente, un nuovo bisogno, un nuovo disordine. Il nostro di-sor-di-ne. (Sulla parola “disordine”, il coro si scompiglia ed esce) 11… ESTRATTO AUDIO GORI CHE SI TAGLIA I CAPELLI (Leda Rafanelli): [Cantautrice si mette al centro, sulla cassa, e fa scorrere i cartelli coi sottotitoli] La sorella di Gori avrebbe voluto che lui si sposasse, ma avrebbe voluto anche una ricca, e gli fece conoscere una signorina americana, bella, ricchissima. Lui questa signorina la salutò e poi...quella s’era già innamorata, perché era bellissimo Pietro Gori, sai; era siciliano, bruno, alto, con gli occhi neri, dei capelli nerissimi, era bellissimo Pietro; senza che se ne accorgesse, eh. Quel giorno, io ero in casa sua, ospite, in una stanza che dava nel giardino. Sento dire a un tratto, io non ci guardavo: “Allora Pietro, li facciamo a zero?” M’affaccio alla finestra, sì, e vedo Pietro a sedere e questo pisano che con la macchinetta, gli aveva fatto, sai, mezza testa, insomma rapata. Io dissi: “Figurati la Bice!”, la sorella, pareva glielo facesse per dispetto. Io scesi giù, eh, ma era già tardi, eh. Lui era lì calmo calmo, che parlava, io gli dissi: “Pietro, ma mi dici Bice cosa dirà?”. “Ma” -dice- “è caldo, era caldo”, sarà stato giugno, luglio. “Ci avevo caldo!” Io stetti zitta; quando venne, uscì, sì, ti pareva una caricatura. Era bruno, denti bianchi bianchi, baffi neri, le sopracciglia e questa testa bianca rapata. Pareva un mostro. Gli si prese una crisi isterica alla sorella. Una crisi...sentii degli urli. E poi Pietro scrisse quella canzone: all’amor tuo preferisco l’idea. Amori non n’ha avuti Pietro, almeno a quello che si sapeva noi. Noi non sappiamo che Pietro abbia avuto un amore, ecco. L’anarchia.” (da “Pietro Gori e l’americana”. Una testimonianza di Leda 21 Rafanelli. Tratta da “Quella sera a Milano era caldo...”. Antologia della canzone anarchica in italia. Milano, 1978) 12… Monologo “GUERRA ALLA GUERRA”: GORI, sullo sfondo, camminando, sta provando un discorso da fare: Ci sono uomini che con le loro mani costruiscono armi e strumenti di tortura per colpire, ferire, sottomettere altri uomini; armi e strumenti sempre più perfetti, perché l’uomo non è un selvaggio, l’uomo è intelligente, ha dalla sua parte la scienza, e quella che fa è una guerra moderna, una guerra scientifica. Ma che scienza è quella che invece di migliorare la vita la distrugge? [Gori va sul proscenio] Il potere utilizza ogni mezzo economico, morale e intellettuale per annientarci. E i padroni, che fanno la guerra a noi, pretendono che noi facciamo la guerra per loro, per difendere la loro proprietà, i loro confini, il loro potere, per difendere la patria. Ma quale patria! La nostra patria è il mondo intero. Ci hanno esiliato, cacciato, bandito, e noi abbiamo imparato a vivere senza confini, e non vogliamo difenderli per voi, i vostri confini. Non vogliamo la vostra guerra. Se una guerra è da fare, sarà quella di tutti gli sfruttati contro gli sfruttatori, degli oppressi contro gli oppressori. Niente patria, niente confini, guerra alla guerra! [STACCO MUSICALE TROMBA Nostra patria è il mondo intero. GORI esce] 13… MONOLOGO BRUNO [corista 2]: Primo maggio 1893 Nelle campagne pisane: Era la prima vorta che l’andavo a sentì. La mi’ mamma mi diceva “Bruno, ‘un c’andà’!” Ir mi’ babbo mi diceva “Bruno, ‘un c’andà’!” E poi c’era il prete che tutte le domeni’e ci diceva “L’inferno di 22 vì, l’inferno di là, il diavolo di vì, il diavolo di là, guai a voi se c’andate...” e alla fine ho capito! Non parlava mia der diavolo vero, parlava di Pietro Gori, l’anarchi’o che doveva venì a parlà il primo maggio qui in paese. E la mi’ mamma: “Bruno, ‘un c’andà!” Ir mi’ babbo: “Bruno, ‘un c’andà’!” E ir prete, dar purpito: “Volete andà tutti all’inferno?” E io cosa feci? Sai, a me, una ‘osa, più mi dici di non falla, e più mi vien voglia di falla. Insomma, alla fine ci andai, io e un mucchio d’artra gente. E più s’ascortava, quest’omo coi baffi in mezzo alla piazza, più si ‘apiva che non era ir diavolo, ma ci parlava dell’inferno, quello che si vive tutti i giorni, noi, i contadini, e ci diceva della fame, della fati’a, dello sfruttamento. E che non era giusto soffrì così tanto per riempì la pancia dei padroni. E che ‘un era nemmen giusto andà in guerra per difendè i loro interessi. E tutto quello che diceva, a me, mi pareva vero, semplice e vero. La domeni’a dopo la mi’ mamma mi fa: “Bruno, vieni alla messa!” E ir mi’ babbo mi fa: “Bruno, vieni alla messa!” E io lo sapete cosa n’ho risposto? “No, un ci vengo alla messa. Mamma, babbo, vi voglio bene, ma vo in culo a voi e a tutti ‘preti!” [CORISTA 1 e 3 aprono la tenda dell’orchestra e si uniscono a CORISTA 2 per cantare] 14… CANZONE “ODIO” (Coro): Maledetta la Patria delle plebi matrigna infame bollata in fronte dalla tragedia dei morenti di fame. Maledetto Iddio, (bieco) fantasma di menti paurose puntello antico (di vecchie) delle tirannidi dalla marea corrose. Maledetto chi opprime e sulla folla sospinge il piede Maledetto chi sente e geme, maledetto chi crede. Maledetti gli oppressi, (trepidi) dalla dimessa voce, senza bestemmia strisciano vili sotto la croce. [CORO esce] 15… La DOTTORESSA entra in scena al buio e si piazza sul 23 proscenio. Declama le CARATTERISTICHE FISICHE/ MORALI DEL CRIMINALE ANARCHICO (LOMBROSO): Secondo la scienza moderna e l’emerito professor Cesare Lombroso, gli anarchici rientrano nella categoria dei CRIMINALI NATI. Non ho mai visto un anarchico che non fosse segnato o zoppo, o gobbo, con faccia asimmetrica e tratti brutali. [DOTT. batte le mani e entra CORISTA 2 che tiene una lavagnetta davanti alla faccia e che DOTT. userà per disegnare l’identikit dell’anarchico] Spesso la fronte è sfuggente, il cranio mediocremente sviluppato, le arcate sopracciliari pronunciate, le orecchie ad ansa, talvolta collocate ad altezza diversa, la mascella inferiore sporgente. [CORISTA 2 si toglie la lavagnetta dalla faccia]. E a questi difetti anatomici corrispondono lesioni nei comportamenti. [CORISTA 2 torna dietro le quinte gridando] Gli anarchici criminali nati [Entra INFERMIERA/CORISTA 1 – con GORI e CASERIO] si dividono in due categorie: pazzi [INFERMIERA fa accomodare GORI a sinistra del palco] e mattoidi [INFERMIERA fa accomodare CASERIO a destra del palco e rimane in contemplazione]. I mattoidi presentano tratti fisici e comportamenti meno estremi, ma sono forse ancora più pericolosi degli altri. Sono caratterizzati da abnorme e innaturale senso dell’onestà, da un incomprensibile altruismo, da neofilia, cioè da amore per il nuovo, per il rinnovamento. In questa categoria di criminali anarchici mattoidi possiamo collocare anche il giovane Sante Caserio, che comunque è un caso a parte, un caso atipico di criminale nato. [INFERMIERA, invasata di CASERIO, interrompe DOTT.] Amante del lavoro, socievole, simpatico e gioviale, [DOTT. riprende la parola e zittisce INFERMIERA] benché esageratamente altruista, patologicamente onesto e insofferente delle ingiustizie. Insomma, secondo la scienza moderna e l’emerito professor Lombroso, dicevamo, Caserio è 24 un caso a parte di anarchico-criminale-nato, [INFERMIERA la interrompe andando sul proscenio] soprattutto per la fisionomia inconsueta: occhio dolce, mite, bellissime forme del cranio e del corpo, salvo un neo al braccio. [DOTT. la guarda male e la rimanda a posto] Ma nella scienza l’eccezione è parte integrante del fenomeno osservato. Quindi possiamo affermare, senza nulla detrarre alla nostra teoria, che possono esistere, sia pur raramente, [INFERMIERA] anarchici criminali nati di fattezze regolari, persino belli. 16… DIALOGO GORI – CASERIO (luci alternate): CASERIO: Pietro Gori l’ho conosciuto a Milano. Faceva l’avvocato nello studio di Turati. Passavamo le giornate a parlare, a discutere, io, lui, gli altri compagni, e quando lui spiegava le cose io capivo tutto. GORI: Sante Caserio l’ho conosciuto a Milano. A 13 anni aveva lasciato la campagna e si era trasferito in città. Un bimbo, era. Suo padre era morto in manicomio e lui, per non pesare sulle spalle della madre, era andato a fare il garzone a Milano. Faceva il pane. CASERIO: Per strada davamo gli opuscoli alla gente, davanti alle fabbriche spiegavamo l’anarchia agli operai, la società come doveva essere, e che dovevamo ribellarci tutti insieme. GORI: Aveva avuto questa idea, Sante. Insieme ai volantini dava anche una pagnotta di pane, perché per nutrire il cervello, diceva, bisogna prima nutrire lo stomaco. CASERIO: Non lo rubavo mica, il pane che davo alla gente, lo pagavo di tasca mia, me lo facevo togliere dal salario. GORI: Aveva capito che il cervello, quando non sente la fame, ragiona e capisce meglio le cose. CASERIO: Funzionava. Sempre più gente ci ascoltava, sempre più gente ci veniva dietro, sempre più gente… GORI: L’hanno capito anche quegli altri, che funzionava. E hanno cominciato a perseguitarlo, non gli davano tregua, hanno minacciato lui e sua madre, gli hanno fatto assaggiare il carcere, lo hanno fatto licenziare. 25 CASERIO: Sono scappato in Svizzera e poi in Francia. Ma anche lì la repressione era dura, c’erano leggi contro i reati d’opinione, e se partecipavi a una lettura di scritti anarchici venivi spedito nei bagni penali. GORI: E poi il presidente Carnot non ha concesso la grazia a Vaillant e lo ha fatto ghiogliottinare. CASERIO: Dovevo vendicare Vaillant e Ravachol e Henri, e tutti gli anarchici giustiziati dallo stato, e l’ho fatto. GORI: Non ha mai negato la sua responsabilità, non ha mai chiesto pietà al giudice o la grazia al presidente. Gli hanno offerto l’infermità mentale in cambio dei nomi di alcuni compagni, ma lui ha rifiutato… CASERIO: “Caserio fa il fornaio, non la spia”, gli ho detto. Pietro è stato l’unico che mi ha difeso in tribunale. Per questo sarà costretto a fuggire a Lugano, ma anche qui verrà incarcerato ed espulso [Accenno di tromba ad Addio Lugano]. E allora scapperà a Londra, e da Londra a New York. Nuova York, il mondo nuovo… E io… GORI: È il 16 agosto 1894. Fa caldo, a Lione, quasi non si respira. Sante ha vent’anni, gli occhi azzurri, lo sguardo puro. La ghigliottina cala sulla sua testa, ne interrompe per sempre i pensieri. Ma sul patibolo, un attimo prima di morire, ha il tempo di dire… CASERIO: Forza compagni, viva l’anarchia! [BUIO. GORI esce, CASERIO rimane, entra in scena CANTAUTRICE] 17...CANTAUTRICE canta CANTO A CASERIO (luce fioca anche su Caserio): ReLa7 Lavoratori a voi diretto è il canto Redi questa mia canzon che sa di pianto La7 e che ricorda un baldo giovin forte 26 Reche per amor di voi sfidò la morte. [si apre la tenda dell’ORCHESTRA solo al centro, con la trombettista] SolReA te, Caserio, ardea nella pupilla La7 Rede le vendette umane la scintilla, SolReed alla plebe che lavora e geme La7 Redonasti ogni tuo affetto, ogni tua speme. …... Tremarono i potenti all’atto fiero, e nuove insidie tesero al pensiero; e il popolo cui l’anima donasti non ti comprese, e pur tu non piegasti. E i tuoi vent’anni, una feral mattina gettasti al mondo dalla ghigliottina, al mondo vil la tua grand’alma pia, alto gridando: «Viva l’Anarchia!». […] BUIO 18… (GORI entra in scena al buio e si piazza sulla cassa, di profilo rispetto al pubblico. In sottofondo rumore del rullante che imita il rumore del treno. Luce): Sul treno che dalla California mi porta sulla costa orientale, attraversando le pianure dell’Arizona e del Nuovo Messico, penso a tutto quello che ho lasciato in Italia, penso ai compagni, alle lotte, alla famiglia, mi prende una nostalgia. Ma arrivato a Kansas City, lungo le rive del fiume, trovo centinaia di uomini e di donne che festeggiano il primo maggio. E capisco che non c’è spazio per la nostalgia. Ogni paese ha i suoi vinti. E qui, nel mondo nuovo, i pellerossa, decimati dall’uomo europeo, e gli africani portati qui in catene e resi schiavi, si uniscono ai nuovi sfruttati, agli immigrati di tutto il mondo in fuga dalla miseria e dagli oppressori. E quando tutti 27 insieme, senza distinzione di razza, lingua o colore, intonano il ritornello d’un mio vecchio canto d’esilio, la nostalgia lascia il posto alla commozione e alla rabbia. Perché sempre, nel cuore, c’è un pensiero ribelle. 19… (CORISTA 1 apre le tende all’orchestrina, poi si unisce a CORO e a CANTAUTRICE, tutti si siedono sulla cassa centrale con Gori e cantano con lui): Our country is the whole world, our law is the Liberty And just a re-ebel thought and just a rebel… Our country is the whole world, our law is the Liberty And just a re-ebel thought, a rebel thought’s in our heart. [Escono tutti tranne CORISTA 1] 20… CORISTA 1: [Sulla cassa, in stile contorsionista, segue con gli occhi un’immaginaria mappa] Milano, Lugano, Londra, New York, Kansas City. Dagli Stati Uniti Gori viene inviato, come delegato delle Trade Unions americane, a Londra, al congresso operaio socialista internazionale. Ma per problemi di salute è costretto a tornare in Italia. Non abbandona la lotta, e il primo maggio 1898 è a Milano. [BUIO. CORISTA 1 esce] 21… DOTTORESSA entra al buio sul proscenio portando una bicicletta e la mette sul cavalletto. Luce: La bicicletta è uno strumento pericoloso, che incrementa la criminalità. Con la bicicletta il ladro o l’assassino può compiere agevolmente il crimine e fuggire velocemente, sottraendosi alla giustizia, evitando la cattura e la punizione. La fuga, l’ebbrezza della velocità, l’iperventilazione, danno al criminale un senso di potenza e invincibilità che favorisce la trasgressione, il disprezzo dell’autorità e incoraggia il crimine. 28 Pertanto, secondo la scienza moderna, il biciclo è strumento proprio [GORI, da dietro, lancia uno sgabello sul palco, facendo molto rumore] …del criminale. [DOTT. ESCE] 22… [GORI entra, riprende lo sgabello e si mette dietro alla bicicletta, la rigira a ruote all’aria e comincia il monologo]: GORI: Io alla bicicletta ci tengo. [Si siede] Due ruote, la forza delle gambe che tiene in equilibrio uomo e macchina. E vai. E corri. E pedala. È un’idea semplice. È perfetta. E allora la tengo bene, la bicicletta, soprattutto se è vecchia, se ha fatto tante corse, se - come questa qui - perde sempre la catena. Ma io l’aggiusto. L’aggiusto e pedalo. La mia bicicletta. La mia compagna. [GORI si alza] Aprile 1898. Tira una brutta aria. La gente non ne può più, non si può nemmeno comprare il pane, da quanto costa, e allora scende in piazza, ma invece del pane, piombo. LA TROMBA FA LA MELODIA DI “Alle grida strazianti e dolenti di una folla che pan domandava, il feroce monarchico Bava gli affamati col piombo sfamò”. Milano. Vigilia del 1° maggio. Mi convoca in questura il capo della polizia politica [Luce improvvisamente più intensa] e mi avverte: sono in libertà condizionale, rischio l’arresto, guai a me se parlo o scrivo di politica, in pubblico e in privato, soprattutto domani. 1° maggio, mattina. C’è un’aria cupa. All’alba, alla porta di casa, ci sono gli sbirri. Mi seguono, mi stanno alle costole tutto il giorno, come cani, mentre attraverso Milano, mentre mi avvicino alla piazza del 1° maggio, mentre i compagni mi salutano, muti. 1° maggio, sera. È buio: a un luogo stabilito un compagno passa di volata in bicicletta, con una mano tira un’altra bicicletta, per me. Salto in sella e pedalo a tutta velocità, urlo a squarciagola -Buonanotteee!!! - non è mica una frase politica.... 29 Se ne restano lì, rabbiosi, e io pedalo verso la periferia e una casa piena di compagni che mi aspettano, che aspettano me e la mia bici. E si beve e si fa festa. Ben venga maggio, dolce Pasqua dei lavoratori, il nostro 1° maggio. [GORI esce, posa la bici e rientra a prendere lo sgabello] Dopo, per me, ricomincerà l’esilio. [da fuori, il CORO grida: Buenos Aires!!!] 23… [CANTO La Verbena Anarquista: Entra l’ORCHESTRA e si piazza al centro del palco. Entra il CORO con la CANTAUTRICE diviso in due coppie, uomini e donne, e si mettono sul proscenio] DONNE: ¿Dónde vas con paquetes y listas? Que de prisa te veo correr UOMINI: Al Congreso de los anarquistas por hablar y hacerme entender. D: Explicadme un momento siquiera anarquista, ¿qué quiere decir? U: La inmensa falange obrera que reclama el derecho a vivir. D: El obrero que suda y trabaja, ¿Dime cómo es que puede estar mal? U: Pues el burro que come la paja lleva el grano para otro animal. D: Es extraño, pero no lo entiendo que pretende tu nueva alusión 30 U: Que lo mismo le va sucediendo al obrero con su producción. [BUIO. Tutti rimangono in scena. In piedi, sopra la cassa, sul fondale, entra GORI] 24… [Luce su GORI]: GORI: Li vedo, sulle strade di Buenos Aires, i lavoratori e le lavoratrici che camminano in fretta per andare alla manifestazione. Li guardo passare. Sorridono, sono pieni di speranza. E mi vengono in mente i minatori dell’isola d’Elba, i contadini delle campagne toscane, gli operai delle fabbriche lombarde, i lavoratori di Londra, i braccianti di Kansas City. È da tutti loro che nascerà la società nuova. È un lavoro lungo, ma l’idea è tanto semplice che è impossibile perderla di vista. [Tromba: melodia di “Eppur la nostra idea è solo idea d’amor”]. [Buio su GORI, LUCE al centro, dove la CANTAUTRICE declama brani di una poesia di Gori] 25… Eccolo, il futuro. C’è per tutti il sole, per tutti il pane. Sono miti i lacci del cuore, fertili i campi, gli uomini fratelli, la legge: l’amore. Non servi o parassiti, non sicarî del pensiero – la luce nelle menti, nei muscoli la forza – in fondo al cuore la pöesia. Sui campi nasce – presso a’ fiori – il pane – l’arte risplende. [LUCE media su TUTTI] L’ORCHESTRA comincia a suonare Ribelle Pensiero 31 26… CANZONE FINALE: RIBELLE PENSIERO Rem LA LA# / SOL LA Va ribelle pensiero, in mezzo agli uomini e sciogli il triste canto Va e portali liberi, senza catene e senza alcun rimpianto Va schiva gli ostacoli, le costrizioni, che io ti senta a fianco E niente più vincoli o strade chiuse ma amore amor soltanto. L’arte risplende La lotta è passione Pensieri chiari Nel cuor l’emozione Di essere libero all’infinito, spezzare i pregiudizi E niente più poveri, niente oppressioni e niente più giudizi L’arte risplende La lotta è passione Pensieri chiari Nel cuor l’emozione L’arte risplende! La lotta è passione! L’arte risplende! La lotta è passione! L’arte risplende! L’arte risplende! L’arte risplende! L’arte risplende! L’arte risplende! L’arte risplende! L’arte risplende! L’arte risplende! 32 BUIO FINE 33 Fonti Testi originali - fonti per l’adattamento teatrale 2 | L’UOMO IN CATENE (LA LIBERTA’) a) “...la dinamica rivoluzionaria non può avere un obiettivo, che si restringa nella orbita angusta delle antiche frontiere politiche; non può limitarsi alla demolizione pura e semplice dei vecchi ceppi economici e politici, onde la borghesia avvince, da oltre un secolo, il proletariato. Non può, in una parola, significare, avvento al potere del quarto stato. Questa rivoluzione dovrà essere trasfigurazione immensa e profonda di tutti i rapporti sociali, o non sarà. Se non vorrà arrestarsi ad un’altra forma di tirannide, forse peggior dell’antica, alla signorìa demagogica, dovrà – nel rimescolìo infinito dei vecchi atomi sociali in movimento per la costruzione nuova – trovare la resultante di conciliazione fra gli interessi dell’individuo e quelli, supremi, della specie; dovrà cementare la spontanea e naturale armonia del benessere e della libertà.” (dalla prefazione di Gori alla traduzione del “Manifesto del partito comunista”) b) Ma sopra tutto, innanzi tutto, libertà Non libertà mutilata, resa irriconoscibile da quella carta stampata, che porta il nome di legge; non libertà amministrata dagli scherani di qualunque codice più o meno plebiscitario, sieno essi democratici, repubblicani o socialisti, ma libertà esercitata integralmente da ogni individuo, fusione di tutte le attività e di tutte le iniziative liberamente e per tendenze naturali associate, per il benessere di tutti. (...)L’un governo equivale l’altro; tutti i governi sono 35 contro di noi - e noi contro tutti i governi, contro tutte le oppressioni, contro tutte le tirannidi. Noi soli siamo votati a tutti i sacrifici per rivendicare agli uomini la uguaglianza vera nel comunismo, con la soppressione d’ogni sfruttamento dell’uomo sull’omo, con l’abolizione della proprietà individuale; noi soli vogliamo l’emancipazione completa della personalità umana, dal giogo opprimente d’ogni autorità politica, civile, militare e religiosa; noi soli vagheggiamo per il genere umano la libertà integrale, la libertà delle libertà l’Anarchia. (da: Socialismo legalitario e socialismo anarchico, conferenza tenuta in Milano al Consolato operaio il 4 aprile 1892, 2. ed., Roma, Casa editrice libraria Il Pensiero, 1906) c) “Io non sono veramente libero che quando tutti gli esseri umani che mi circondano, uomini e donne, non sono ugualmente liberi: posso dirmi libero solo in presenza di altri uomini e in rapporto con loro. [...] Io stesso sono umano e libero solo nella misura in cui riconosco la libertà e l’umanità di tutti gli uomini che mi circondano. La libertà degli altri, lungi dall’essere un limite o una negazione della mia libertà ne è al contrario la condizione necessaria e la conferma. Non divengo veramente libero se non attraverso la libertà degli altri, così che più numerosi sono gli uomini liberi che mi circondano, più profonda e più ampia è la loro libertà, più estesa e più profonda e più ampia diviene la mia libertà. Io intendo quella libertà per cui ciascuno, anziché sentirsi limitato dalla libertà degli altri vi trova al contrario la sua conferma e la sua estensione all’infinito”. (M. Bakunin, Dio e lo Stato, 1870) Per conquistare la libertà dobbiamo ribellarci contro un potere che domina con gli uomini, con i costumi e le usanze, con la massiccia pressione dei sentimenti, dei pregiudizi e delle abitudini; la sua azione è molto più potente di quella dell’autorità dello Stato. ( M. Bakunin, Dio e lo Stato) 36 d) “La voglia di distruggere qualsiasi autorità non è il risultato di un impulso irrazionale, ma è la manifestazione di una naturale passione per la libertà che rimbalza dalla profondità delle nostre anime”. (M. Bakunin, Stato e anarchia) 3 | L’IMBONITORE (LA RELIGIONE) “Innanzi tutto sarà bene chiedere di quale religione si parli. Forse di quella che promette il paradiso cristiano e minaccia, bambinescamente, le fiamme dell’inferno, (come ai bimbi buoni o cattivi si promette lo zuccherino o lo scapaccione) e che fa consistere tutto lo stimolo alle opere buone nella speranza usuraia o nella paura infantile di godere o di soffrire... nell’altra vita!” (da: Scienza e religione, Conferenza tenuta il 14 luglio 1896 a Paterson negli Stati Uniti d’America,) “le religioni rivelate predicano tutte la rassegnazione e l’ubbidienza ad un’autorità. Che cosa è dio per la mente che crede, se non il padrone dei padroni, il re dei re di tutto l’universo? Il vero anarchico dunque non può non sentire il bisogno di ribellarsi innanzi tutto, coscientemente, a questa autorità fantastica che violenta la sua individualità, a questo essere immaginario che gli imprigiona il pensiero e gli vieta di ribellarsi a tutte le altre autorità ben altrimenti reali, e direttamente nocive, che l’opprimono sulla terra dove vuol essere una buona volta libero e felice.” (Luigi Fabbri: “l’ideale anarchico”) 37 4 | LA VEGGENTE (L’ANARCHIA) a) “La soluzione anarchica del problema della libertà presuppone una soluzione socialista del problema della proprietà. (...) I due termini, – socialismo e anarchia, – si integrano e si completano a vicenda. Il socialismo significa ricchezza socializzata (non divisa e spartita); e l’Anarchia significa libera associazione delle sovranità individuali, senza potere centrale e senza coercizione. Immaginate una società in cui tutti i cittadini, liberamente federati in gruppi, associazioni, corporazioni di professione, arte o mestiere, sieno comproprietari di tutto: terre, miniere, opifici, case, macchine, strumenti di lavoro, mezzi di scambio e di produzione; – immaginate che tutti codesti uomini, associati da una evidente armonia di interessi, amministrino socialmente, senza governanti, la cosa pubblica, godendo in comune dei vantaggi, ed in comune lavorando ad aumentare il benessere collettivo, – ed avrete l’anarchia. Ideale.” (Estratto da: La questione sociale e gli anarchici, in P. Gori, Scritti scelti, vol. 1, Cesena, L’Antistato, 1968, pp. 74-76. b) La uguaglianza sociale dunque non sarà possibile se non allorquando tutti gli uomini saranno in possesso delle terre, delle macchine e di tutte le altre fonti della ricchezza, e fino a che codesta ricchezza, che è il prodotto del lavoro di tutti non sarà posta in comune a tutti. Questo è il comunismo. Dalla comunanza dei beni materiali cioè degli strumenti di produzione e della produzione stessa si svilupperà l’Armonia degli interessi dell’Individuo con quelli della collettività secondo il principio tutti per ciascuno e ciascuno per tutti, in contrapposto alla egoistica morale borghese del ciascuno per sé. Dalla associazione dei beni e delle forze di tutti deriverà l’associazione dei cuori e si svilupperà spontaneamente un alto e diffuso senso di solidarietà e di fratellanza sconosciuto affatto alla società borghese dilaniata 38 dalla più feroce antropofagia legale e da un’implacabile guerra civile, che avvelena e strazia questa sedicente e moribonda civiltà fin de siècle. In questa pura atmosfera, in luogo della famiglia chiusa, egoistica dell’Oggi, crescerà serena e felice, la grande famiglia eguali e dei liberi, la famiglia di cui sarà membro ugualmente amato ogni uomo, ogni cittadino del mondo; e le nuove generazioni cresceranno rigogliose ed affratellate, non come oggi frutto tisicuccio e malsano di freddi amplessi, di calcolati ed interessati contratti matrimoniali; non più come oggi prodotto anemico ed epilettico di tristi amori e di prostituzioni più o meno legali. Scomparso con la proprietà individuale ogni istinto di basso interesse personale l’accoppiamento di un uomo e di una donna non sarà più un affare nel senso moderno e mercantile della parola. L’unione libera sulle solide basi dell’amore e della simpatia: ecco l’unico logico vincolo sessuale, ecco la famiglia dell’avvenire, senza la menzogna convenzionale del giuramento civile in faccia al sindaco, o di quello religioso in faccia al prete. (Estratto da: Pietro Gori, Socialismo legalitario e socialismo anarchico, conferenza tenuta in Milano al Consolato operaio il 4 aprile 1892, 2. ed., Roma, Casa editrice libraria Il Pensiero, 1906) 6 | IL CANTO DELLA PRIGIONE Quando muore triste il giorno, e ne l’ombra è la prigione, dè reietti e dè perduti intoniamo la canzone. La canzone maledetta che nè fieri petti rugge, affocata da la rabbia, che c’infiamma, e che ci strugge. La canzon, che di bestemmie 39 e di lacrime è contesta; la canzone disperata de l’uman dolore è questa. Noi nascemmo, e – fanciullini, per il pane abbiam lottato, senza gioia di sorrisi, sotto un tetto sconsolato. Noi soffrimmo, e niun ci volse un conforto, o porse aìta, niuno il cor ci ritemprava a le pugne de la vita. Noi cademmo – e, giù sospinti, rotolammo per la china– supplicammo, e de li sdegni ci travolse la ruina. Or, crucciosi e senza speme, qui da tutti abbandonati, maledetto abbiamo l’ora ed il giorno, in che siam nati, Ma su voi, che luce e pane a noi miseri negaste, e – caduti sotto il peso de la croce – c’insultaste; sopra voi di questo canto, che ne l’aura morta trema, come strale di vendetta, si rovescia l’anatèma. Penitenziario di S Giorgio, 20 Settembre 1890 (da Pietro Gori, “Prigioni e battaglie”, 1891) 7 | IMPUTAZIONI DI GORI “Sentite. Il mandato di cattura fu spiccato (oh infame gergo curiale)! dall’ecc.mo signor giudice istruttore presso il Tribunale di Livorno il 12 Maggio 1890, in virtù dell’art. 190 e 63 del Codice 40 Penale Italiano e relative disposizioni di coordinamento, e col pretesto di un’altra mezza dozzina di reati, più o meno politici, che mi si attribuivano. L’arresto avvenne nella notte stessa. Il processo circa tre mesi dopo. Eravamo quindici imputati di ribellione, eccitamento allo sciopero, al solito odio fra le classi sociali ed altre simili diavolerie, rappresentate da una filza di articoli di quell’aureo trattato di moralità ch’è il codice delle pene. Io poi, col vantaggino di rincalzo che mi innalzava all’onore di capo e promotore della grande manifestazione operaia del 1° Maggio in Livorno; ciò nella pia intenzione dell’accusa di farmi regalare qualcosellina di carcere, più degli altri, come supposto istigatore – causa morale dicono loro – della rivolta contro la polizia”. (dalla prefazione a: Pietro Gori, “Prigioni e battaglie”, 1891) 8 | DESCRIZIONE DEL CARCERE DEI DOMENICANI DI LIVORNO 1) “I Domenicani. - È un vasto, non bello, edifizio che apparteneva un tempo ad una frateria dell’ordine di S. Domenico. Ora le celle degli anacoreti sono diventate le segrete del carcere giudiziario livornese - e del vecchio monastero non avanzano che il gigantesco crocifisso di legno che troneggia, funebre, di faccia al gran cortile, la chiesa, alta e vasta, dai cui finestroni salgono ai reclusi gli odori dell’ incenso e l’uggia stranamente poetica delle salmodìe, di qualche tardo fraticello, che biascica, nei dì festivi, la messa nella cappella del carcere. In compenso vengono su dalle inferriate, tra il rumore di una catena ed il cigolìo di una manetta, e ascendono, a volute larghe nell’aria, i ritornelli delle nuove canzoni della piazza, con qualche intermezzo di moccoli toscani. La Sveglia. - In tutte le carceri di Italia l’ufficio di dare i segnali -sveglia, minestra, aria, medico, silenzio -è assegnato alle campanelle. La sveglia nel carcere, manco a dirlo, obbliga 41 il detenuto a saltare dal pagliericcio e a dar sesto alla cella-a fare la pulizia, per dirla con gergo carcerario. L’ultima terzina del sonetto allude alla consuetudine del saluto mattutino tra i carcerati, tollerato solo nel carcere giudiziario di Livorno, a causa del carattere ribelle del buon popolo livornese, a dirittura refrattario a tutto quanto sa di disciplina e di regolamento. La Fruga. - Sentii dare questo nome caratteristico alle perquisizioni che settimanalmente ed all’improvviso, in un giorno qualsiasi, vengono praticate nella cella e sulla persona del detenuto. È una vera e propria fruga. Nel carcere dei Domenicani son sette od otto le guardie guidate dall’ormai classico Bondi - un vecchio secondino che conosce non so quante mai generazioni di grandi e piccoli criminali suoi concittadini - che vengono incaricate di tale spinosa incombenza. Nulla sfugge all’occhio scrutatore del vecchio guardiano, nè il più piccolo frammento di matita nascosto in una midolla di pane, nè il più breve stornello o il più microscopico viva od abbasso, tracciato in un angolo di muro. Il Transito. - Le celle terrene del Carcere Giudiziario di Livorno sono riserbate alle ciurme dei forzati, che a ondate lugubri e periodiche riempiono di passaggio i Domenicani, avanti di riversarsi nelle varie colonie penitenziarie dell’arcipelago Toscano e nei diversi bagni penali della costa. Questo passaggio, questo flusso e riflusso sinistro di carne bollata dalla legge, nel linguaggio ufficiale del carcere prende un nome unico e comprensivo -transito. Il quale nome per traslato si adopera anche per indicare gli androni oscuri, in cui quella misera carne, che passa, viene gettata a rifascio nei giorni di sosta. Questo triste flusso e riflusso avviene, per lo più, sull’alba o sul far della notte.“ (da: Pietro Gori, “Prigioni e battaglie”- note di Pietro Gori ai propri testi poetici) 2) LA FRUGA Di tratto in tratto, quando in ciel l’aurora le plaghe benedette d’orïente di luminosa porpora incolora, 42 ne la cella romita, ecco, repente, di guardiani uno stuol, che lungamente per ogni verso la stanzetta esplora.... Poi sul recluso, minuziosamente rifruga, trattol de la cella fuora. Un giorno un bocconcino di matita n’hanno trovato in dosso – era la mia buona compagna, a cui l’inaridita vena fidavo de la pöesia.... fin quella gioia m’è stata rapita, fin quel conforto mi han portato via! Carcere dei Domenicani, 24 Maggio 1890 (da: Pietro Gori: “Prigioni e battaglie” 1891) 9 | NOSTALGIA Passan le nubi nere, portate via dal vento, su le mura severe de l’antico convento passan le nubi nere. Dietro un vecchio forzato cigola la catena triste, come il suo fato; stride come una iena dietro al vecchio forzato. Come passero stanco una mesta canzone su pel cortile bianco vola de la prigione, come passero stanco. È la pace del chiostro, solenne accidïosa, sovra l’ibrido mostro; 43 sovra il cor, che non posa, è la pace del chiostro. Ci son le inferrïate tra i desideri e il mondo; tra le braccia levate ed il cielo profondo ci son le inferriate. Ma il pensiero va via, sprezzando la muraglia; l’afflitto corpo espìa la perduta battaglia, ma il pensiero va via. E fugge, e fugge, e fugge via per plaghe lucenti. De la brama, che rugge, assopisce i tormenti, e fugge, e fugge, e fugge. Livorno- Carcere dei Domenicani, 3 Giugno 1890 (da “Prigioni e battaglie”, 1891) 10 | “IL VOSTRO ORDINE, IL NOSTRO DISORDINE” “Quando il potere legislativo ed il governo accettano e soddisfano sotto forma di legge o di decreto qualche nuova domanda sorta dalla coscienza pubblica, – ciò è sempre in seguito a reclami innumerevoli, ad agitazioni straordinarie, a sacrifici non indifferenti del popolo. E quando i governanti si sono decisi a dire di sì, a riconoscere un diritto nei loro sudditi, e, mutilato ed irriconoscibile, lo promulgano nelle carte, nei codici, quasi sempre quel diritto è già sorpassato, l’idea è già vecchia, il bisogno pubblico di quella tal cosa non è più sentito; e la nuova legge serve allora a reprimere altri bisogni più urgenti che si affacciano, che devono attendere di essere sterilizzati, ipertrofici, prima di essere riconosciuti da una legge successiva. 44 Chi ha studiato e osservato con passione i parti curiosi e bizzarri del genio legislativo, le leggi passate e le presenti, resta sorpreso dalla frode sottile che riesce a gabellare per diritto il privilegio, per ordine il brigantaggio collettivo, per eroismo il fratricidio della guerra, per ragione di stato la conculcazione dei diritti e degli interessi popolari, per protezione degli onesti la vendetta giudiziaria contro i delinquenti, che, come dice Quételet, non sono che gli strumenti e le vittime nel tempo stesso delle mostruosità sociali. Ora, noi, che tutti questi mali, causa ed effetto insieme di tanta infamia e di tanti dolori, vogliamo combattere per abbattere tutto ciò che ostacola il trionfo della giustizia, noi siamo chiamati fautori del disordine.” (Estratto da: Pietro Gori, Il vostro ordine e il nostro disordine, conferenza tenuta il 15 marzo 1896 alla Bersaglieri Hall di S. Francisco California, USA, 2. ed., Roma-Firenze, F. Serantoni, 1905) 12 | GUERRA ALLA GUERRA! “...Ci sono anche guerre giuste, e sono quelle che esercitano una legittima difesa delle vittime contro lo sfruttamento e la violenza, quelle, in una parola, combattute contro la guerra. […] una guerra utile, che serva a sgretolare, rovesciare, sovvertire quanto v’è di triste fra noi, per ricostruire domani la società fraterna dei liberi ed uguali. […] Sia essa insomma la grande forza rivoluzionaria che farà leva al mondo, quella che Victor Hugo chiamò guerra giusta per l’uguaglianza e per la libertà – la guerra al regno della guerra.” “Quando ci si chiama senza patria sol perché vogliamo amarle tutte le patrie e in nessuna terra vogliamo che il nostro fratello di fatica e di dolore, la nostra sorella d’amore e di lotta, e nessuno insomma possa chiamarci stranieri; quando si crede 45 vilipenderci con questo nomignolo dispregiativo.... ci si rende il maggior onore a cui possiamo ardire”. “Dicevamo dunque: Guerra alla guerra, sotto qualunque forma si manifesti! Guerra alla guerra economica, alla guerra morale, alla intellettuale! Guerra ad ogni forma di sopraffazione, e facciamo largo alla civiltà nuova, basata sul gran principio della solidarietà, solidarietà delle patrie, delle classi, delle caste, concorrenti in un movimento uguagliatore al libero sviluppo delle energie di ciascuno per il benessere di tutti.” “Questa città, in cui ferve il lavorio della organizzazione economica, in cui gli scioperi si sono succeduti agli scioperi, nei giorni di battaglia anche la più pacifica, la meno irruenta, la più legale, deve aver visto passare da un capo all’altro, le compagnie di soldati mandati dal governo ad assicurare la… libertà del lavoro. Era quello il militarismo in azione, nell’esercizio delle sue mansioni: la difesa del privilegio politico ed economico.” “Però, abbiamo di che consolarci! La guerra oggi ha perduto parecchio del suo carattere primitivo; ora la guerra, secondo i suoi apologisti, non è più selvaggia come una volta, perché è diventata… scientifica. Quale cinismo! quale profanazione d’una parola sacra! La guerra scientifica, e cioè, le doti dell’ingegno, le notti insonni dello studioso dedicate al problema della distruzione. Scienza in questo caso è sinonimo di maledizione. Ma servitene, o uomini, della scienza, di questa benefica Dea, per strappare i suoi segreti alla natura, per dar vita alle macchine, la forza al carbone, per rendere l’elettricità produttrice di ricchezza, – ristorare i tendini rilassati delle pecchie umane nella fatica del lavoro quotidiano; servitene per tagliare le montagne, per irrigare le valli, per rendere l’aria salubre, per allacciare fra di loro i popoli stringerli in un patto fraterno di solidarietà e di collaborazione, affinché procedano insieme alla conquista del progresso e della felicità. Fate della scienza uno strumento di civiltà, – non di distruzione e morte!”. 46 “Attaccandosi all’ultimo rasoio, bruciando l’ultima cartuccia, col recitare il classico licet vim repellere vi, i guerrafondai parlano gesuiticamente di difesa del territorio nazionale, del suolo natio, della patria. Ma qual patria, di grazia?” “Così, ripetendo quanto abbiamo detto finora, noi non possiamo che riassumere le nostre parole in un grido, che sia a un tempo maledizione, promessa ed auspicio d’una era nuova, in cui non sia bandita la lotta feconda, la benefica contesa nel campo dell’arte, della scienza e dello esplicarsi multiforme della vita quotidiana, – ma sia bandita per sempre la lotta sanguinosa e fratricida perpetua dai potenti per bramosia di dominio, per monopolio di potere sul gregge umano, che altre vie non conosce all’infuori di quelle dell’ovile e del macello: «Guerra alla guerra!». (Estratto da: Pietro Gori, Guerra alla guerra!, Conferenza tenuta il 18 ottobre 1903 nel Politeama Alfieri in Genova, 2. ed., Firenze, Roma, F. Serantoni, 1904) 13 | PRIMO MAGGIO 1893 NELLE CAMPAGNE PISANE. Primo Maggio del ‘93, fiero numero dall’aspetto giacobino, come ti ricordo soavemente, sul gran quadro verde della campagna di Pisa, col saluto lontano delle Alpi Apuane!... Rivedo i contadini, venuti dai paeselli d’intorno a sentir la predica del diavolo, come aveva detto il parroco la domenica innanzi dall’altare, minacciando le pene dell’inferno a chi fosse andato a sentirlo. Ma appunto perché la gente ha ragione di voler vedere com’è fatto il diavolo, di gente non ne mancava, e neppure carabinieri accorsi a rendere gli onoro militari al popolo sovrano, con tanto di pennacchio e squadrone. Il giovine pallido che io conosco fin dalla nascita, era lì tra quei contadini, come in famiglia. C’erano dei vecchi lavoratori dei campi, sul cui viso erano tutte le traccie della ruina delle bufere 47 passatevi sopra, le piogge, i venti durante le sementa, i calori di fuoco durante la raccolta consolatrice; tutto un poema d’amore e di dolore per darci il pane. C’eran dei giovani, sul cui viso i primi vent’anni di fatiche e di sacrificio non avevano che accentuato i lineamenti della fiera e mite bellezza toscana, aggiungendovi una espressione di baldanza secolare, perchè dentro quei petti ampi e forti già serpeggiava la febbre del meglio, nella coscienza nascente del furto colossale che dall’ozio impinguantesi si stava commettendo sul lavoro affamato. E tutti, giovani e vecchi, ascoltavano la predica del pallido demonio, come il parroco lo aveva chiamato. E ad essi ormai non pareva più così mostruoso, come lo avevano dipinto. E trovavano giuste le sue ragioni: giacché era vero, come egli diceva, che per loro l’inferno ci era già sulla terra, dove pure essi, i lavoratori, avevano fabbricato per altri il paradiso: ed era giusto, per dio, esigere un po’ di paradiso al di qua,- giacché dall’al di là della vita nessuno era tornato a dire che cosa ci fosse di positivo. E il pallido diavolo parlava con una fede che essi, i poveri contadini, non avevano mai incontrata nel prete. E quando il discorso fu terminato, tutta quella gente volle stringere la mano, e qualche vecchio perfino abbracciare, e piangendo, quello sconosciuto, il quale non aveva detto dopo tutto che verit buone e sante. Ancora una volta il diavolo ha vinto..disse melanconicamente il parroco dall’altare, alla messa solenne della domenica dopo. (P. Gori, Pagine di vagabondaggio) 14 | ODIO Va, ribelle pensiero, in mezzo agli uomini e sciogli il triste canto, il singhiozzo feral, che non ha lacrime, e che non vuol rimpianto. 48 Tu nel cospetto del morente secolo canta la benedetta strofa de l’odio; sarai tu l’assiduo tarlo di mia vendetta. Maledetta la patria! De le misere plebi madrigna infame, bollata in fronte da lo stigma tragico dei morenti di fame. E maledetto iddio! Bieca fantasima di menti päurose, puntello antico di vecchie tirannidi da la marèa corrose. E maledetta la virtù! L’ipocrita iridiscente vesta, onde si cela la viltà magnanima de la canaglia onesta. Maledetto l’amore, che nei fulgidi voli del mio pensiero vindice vidi, e dei redenti popoli, immortal cavaliero! Sia maledetta la mia fè! L’indomita speme ne l’avvenire; maledette del cerebro, che palpita, l’entusiastiche ire! Maledetto chi opprime, e su l’anonima folla sospinge il piede! maledetto chi sente, e geme, e lacrima! maledetto chi crede! Maledetti gli oppressi! I turpi, i trepidi da la dimessa voce, che senza una bestemmia e un urlo strisciano, vili, sotto la croce! Sotto la croce eterna del martirio, proni a un idol già morto, sbattuti dal furor de la miseria senza speme o conforto! 49 O mondo! da l’erèmo solitario, in cui giaccio obliato, ed ove mi hanno i tuoi marosi torbidi, incolpevol, gittato, su te mi levo, e strappo la tua maschera, o lenòne impudico, e mentre l’odio tuo final te lacera, io, vil! ti maledico. 19 Giugno 1890 (da: Pietro Gori, “Prigioni e battaglie”, 1891) 16 | DIALOGO GORI - CASERIO “Nacque a Motta Visconti, gaio villaggio della Lombardia, da una buona famiglia di lavoratori. Prestissimo dovette affrontare la lotta per il lavoro e per il pane quotidiano. Per ciò si risolse ad abbandonare la mamma che adorava e da cui era adorato, e spingersi nel mare burrascoso della vita, in cui si trova a dover navigare perpetuamente ogni lavoratore. Lasciò allora Motta Visconti, ed abbandonò altresì le illusioni mistiche di fanciullo, distrutte presto dalle dure realtà della vita. In Milano si occupò come panettiere nel forno Tre Marie e vi lavorò con zelo e infaticabilmente; e quivi si trovò più direttamente innanzi lo spaventoso sfruttamento legale del lavoro da parte dei parassiti del capitalismo; e constatò le ingiustizie sociali e la violenza d’una classe che non produce nulla, contro l’altra che col suo sangue e sudore crea la ricchezza dè suoi padroni e solo, come unica ricompensa delle sue fatiche, raccoglie miseria e disprezzo. Fu per questo che Sante Caserio divenne anarchico. Quando fui la prima volta a Milano, Sante Caserio era già un anarchico entusiasta, e ricordo ancora la profonda impressione che mi fece quando fummo presentati. Si era ad un comizio di lavoratori, ed egli andava intorno distribuendo opuscoli e giornali rivoluzionari. La vita brevissima di questo, giovane, – aveva appena 21 anni quando fu ghigliottinato – è 50 stata ripetutamente esaminata a traverso le lenti del dispetto e dell’odio, prima dalle polizie italiane e francese unite insieme, poi da una caterva di impostori bugiardi, i giornalisti borghesi, pagati dai conservatori del cosiddetto «ordine» pubblico. Ciò nonostante, questi disgraziati non potettero non giungere a una conclusione, all’assicurazione cioè che Sante Caserio era un lavoratore di carattere buonissimo. E perfino la Scuola Criminale tanto avversa agli anarchici si vide obbligata a riconoscere ed affermare che il giovane panettiere era un onesto nato. Caserio andava, nè pochi momenti di ozio, a distribuire fra gli operai vicino alla Camera del Lavoro opuscoli e fogli di letteratura anarchica, insieme a pagnottine di pane, che comperava coi suoi risparmi nella panetteria dove lavorava, «perché – diceva – sarebbe stato un insulto dare a persone dimagrate dalla fame carta stampata, senz’altro con cui saziare lo stomaco prima di leggere; e perché in tal modo eran capaci di capire un po’ meglio ciò che leggevano» po’ meglio ciò che leggevano». Quando la polizia si accorse che Sante era un entusiasta propagandista, benché fosse timido e modesto all’estremo nel suo modo di propaganda, cominciò a perseguitarlo. Caserio cominciò col dedicarsi alla propaganda teorica, credendo fermamente che l’anarchismo fosse considerato come un partito qualsiasi, forte e rispettato. Invece si vide perseguitato per le sue idee, condannato e imprigionato. Lavorava infaticabilmente, per riserbarsi il diritto di rimproverare ai borghesi il loro ozio, per chiamarli parassiti, quali veramente sono. La vigliacca petulanza poliziesca lo cacciò di dove lavorava; ed egli si convinse ancor più che i potenti ed i ricchi sperano tutto dalla sommissione e dalla pazienza del popolo, cui premiano impudentemente raddoppiando contro di lui l’opera di spogliazione e di violenza. ...Mentre tanta sete di vendetta e di sangue ispirava l’opera della borghesia, riuscendo così alla più pericolosa delle provocazioni, un giovanetto, espulso dal suo paese da una stupida e iniqua condanna, incalzato d’ogni parte delle persecuzioni della polizia, andava a piedi per la strada che va da Cette a Lione, meditabondo, pensando alle ingiustizie di cui era stato vittima e sopratutto alle altrui 51 sofferenze. .. Egli non aveva alcun risentimento personale contro Sadi Carnot; ma Carnot era il rappresentante politico della borghesia francese, per conto della quale aveva firmato il decreto di morte dei ghigliottinati di Parigi. (Pietro Gori “In difesa di Sante Caserio”) 17 | CANTO A CASERIO Lavoratori a voi diretto è il canto di questa mia canzon che sa di pianto e che ricorda un baldo giovin forte che per amor di voi sfidò la morte. A te Caserio ardea nella pupilla delle vendette umane la scintilla ed alla plebe che lavora e geme donasti ogni tuo affetto ogni tua speme. Eri nello splendore della vita e non vedesti che lotta infinita la notte dei dolori e della fame che incombe sull’immenso uman carname. E ti levasti in atto di dolore d’ignoti strazi altier vendicatore e ti avventasti tu sì buono e mite a scuoter l’alme schiave ed avvilite. Tremarono i potenti all’atto fiero e nuove insidie tesero al pensiero ma il popolo a cui l’anima donasti non ti comprese, eppur tu non piegasti. E i tuoi vent’anni una feral mattina gettasti al vento dalla ghigliottina e al mondo vil la tua grand’alma pia alto gridando: Viva l’anarchia! 52 Ma il dì s’appressa o bel ghigliottinato che il tuo nome verrà purificato quando sacre saran le vite umane e diritto d’ognun la scienza e il pane. Dormi, Caserio, entro la fredda terra donde ruggire udrai la final guerra la gran battaglia contro gli oppressori la pugna tra sfruttati e sfruttatori. Voi che la vita e l’avvenir fatale offriste su l’altar dell’ideale o falangi di morti sul lavoro vittime de l’altrui ozio e dell’oro, Martiri ignoti o schiera benedetta già spunta il giorno della gran vendetta della giustizia già si leva il sole il popolo tiranni più non vuole. (testo di: P. Gori, sull’aria della canzone popolare toscana “Suona la mezzanotte”) 18 | PRIMO MAGGIO 1886 A KANSAS CITY “Oh, Primo Maggio del ‘96 irradiante dall’alto del treno che mi riconduceva alla California, di nuovo verso i paesi dell’Est, attraverso le pianure verdi dell’Arizona e del New Mexico, dopo tanti mesi di fatica e di entusiasmo nella sementa buona della verità; o popolosa e lavoratrice Kansas City, metropoli delle solitudini centrali nord-americane, ove alla sera risentii il fremito cosmopolita dei lavoratori, convenuti senza distinzione di razza, di lingua o di colore, a udir la parola che tutti intendono - in quale idioma sia detta - gli aspettanti, gli oppressi della terra. Il pellegrino, più pallido ancora portava l’augurio dei fratelli disseminati dall’Atlantico al Pacifico, il saluto degli sconosciuti eroi intenti a costruire con brandelli della vita loro, il più grande 53 edifizio di tutte le civiltà umane; quello della scienza e del lavoro associati, nella fatica, non ancora però nel godimento comune del frutto loro. Rivedo la grande notte stellata sul fiume serpeggiante per le buie distese del Kansas; riascolto, ripetuto con l’accento dei più svariati idiomi, il ritornello d’un ormai vecchio canto d’esilio, ch’io non ho amato se non da quando sentii per esso ripercuotermi dentro gli echi di tante cose vissute e di tanti ricordi risollevati a tumulto; riafferro nella reminiscenza del coro con unanime slancio cantato da quegli uomini, sì diversi e pur sì affini nei propositi - la bizzarra cadenza e la singolare espressione di pianto che vi dava un gruppo di lavoratori dal colore di bronzo antico, ultimo rudero umano della bella e libera schiatta di cavalieri delle praterie settentrionali, dispersi dalla rapace conquista degli uomini pallidi, venuti d’oltre mare. Ed anche quelle voci lamentose della razza vinta si mescolavano a quelle dei vincitori venuti d’oltre Oceano, vinti essi pure nella mischia sociale da negrieri meno forti,ma più astuti. E tutte quelle voci unite lanciavano nei silenzi della notte stellata il ritornello del lavoro, sfruttato ingordamente da un capo all’altro del mondo, il ritornello di un’allegra vendetta di esilio: Nostra patria è il mondo intero. Il cinematografo delle ricordanze, quanto più queste si fanno prossime, più rapidamente mi passa innanzi agli occhi, assorti nel passato.” (P. Gori, Pagine di vagabondaggio) 22 | PRIMO MAGGIO 1898 A MILANO “Il Maggio del ‘98 nasceva, come un’altra alba sanguigna di minaccie e di sdegni, perché l’obliquo governo d’Italia aveva escogitato un nuovo balzello affamatore, di cui già sentivansi le conseguenze nel repentino rincaro del pane. Un soffio di 54 rivolta già veniva dal mezzogiorno della penisola, dove petti e bocche plebee urlanti, se non in nome d’ideali, in nome però delle sacrosante ragioni del ventre, erano stati sfamati con abbondanti razioni di piombo soldatesco – ed una febbre d’irritazione, sordamente serpeggiava per tutti gli strati sociali, contro questi metodi scellerati di dominazione. In questa angoscia cupa che precede le catastrofi, simile alla plumbea tristezza che preannunzia i cicloni sul mar delle Indie, spuntò il Primo Maggio – ma anche il bel cielo, dal celebre sorriso di azzurro e di sole, era livido quella mattina, e sudicio di nuvolaglie. Milano, la grassa e pur nervosa ed insofferente lavoratrice, si era destata con un tedio indefinibile ed inconsueto alla sua gaiezza – ed i fatidici alleluia operai alla pasqua del lavoro avevano quell’anno, come un’intonazione fioca di presaga malinconia. La reazione adergeva la occhiuta cervice, codarda e feroce: sopra la moltitudine operaia inneggiante al sacro, al più alto simbolo umano che da menti umane abbia spiccato il volo lungo il ciclo della storia. Il giorno innanzi un omuncolo, basso di corpo e di anima, che rivestiva in Milano l’ufficio di capo della polizia politica (come chi dicesse il commissario della sezione III nel poliziottismo russo) mi aveva fatto chiamare in questura – per ricordarmi con un fare tra il paterno e il gentilomesco, che il ministero tollerava la mia presenza in Italia a condizione di non parlare e di non scrivere affatto di cose politiche né in pubblico né in privato giacché la mia era semplicemente una libertà condizionale, che il vegliante governo poteva ricommutare in domicilio coatto, alla minima imprudenza della mia lingua o della mia penna e che all’indomani si sarebbe raddoppiata la vigilanza alla mia persona – questo, s’intende, senza per nulla diminuire la stima e la considerazione che quell’arnese assicurava sentire per me. Infatti all’alba, come potei constatare dalla finestra, i miei non alati custodi eransi duplicati innanzi all’uscio di casa; ed al mio 55 uscire, salutandoli con un’occhiata ineffabile, significai a quel semiplotone di poliziotti, in abito da galantuomini, tutto il mio alto gradimento per quella solenne e fedele scorta d’onore, o più propriamente guardia del corpo. Ah, quell’appendice quadrupla di esseri umani, chi me la toglie dagli occhi della memoria; chi mi persuade non essere ancora qui, fedelmente alle mie calcagna?... La trascinai a rimorchio, come codazzo di gloria, attraverso la città, tra i capannelli di operai, che io salutava in silenzio: non c’era bisogno che mi voltassi per vedere se essa eseguiva la consegna: quegli orecchi eretti e spalancati alle onde sonore in busca di qualche complotto li sentivo alle mie spalle – quegli occhi sbarrati sulla rivoluzione, che avrebbe dovuto sbocciare dal mio io, li vedevo distintamente, anche senza guardare, nel rumore dei loro passi cadenzati, eloquenti, indubitabili, che costituiscono tutta l’antropometria di codesta gente. E si parla della fedeltà dei cani!... Chi non ha provato l’attaccamento dei segugi della polizia politica italiana, ignora che cosa voglia dire codesta parola. Ma, sulla notte, i poverini erano stanchi – ed io non potevo più abusare della loro cortese compagnia. Ad un luogo stabilito un compagno passò di volata su di una bicicletta, traendone un’altra a mano per me. Vi salii – dando buona notte alla scorta: fu quella la mia prima e ultima parola, a cui i disgraziati non ebbero fiato di rispondere, mentre il loro naso sta allungandosi tuttavia. Ci trovammo, a notte inoltrata, dopo una corsa pazza a traverso i suburbi popolosi, in una casetta solitaria, ove con altri compagni condannati come me al silenzio, trascorsi in famigliarità intima le ore notturne dell’ultimo primo Maggio passato su terra italiana, - prima che la bufera delle tragiche giornate di quel Maggio luttuoso gettasse Milano in braccio alla reazione militaresca e me cacciasse di nuovo per le vie dell’esilio.” (P. Gori, Pagine di vagabondaggio) 56 23 | LA VERBENA ANARQUISTA testo originale di canzone anarcosindacalista argentina del 1905. 24 | “RIBELLE PENSIERO” CANZONE FINALE libero adattamento della poesia “Odio” - vedi testi di P. Gori precedentemente riportati n. 14. 25 | SOGNO Correa la nave sotto il plumbeo cielo con le ampie vele squarciate dal vento, e l’urlo immenso d’un oceano ignoto salìa ne l’aria. Su l’albero maestro una bandiera - rossa tra lembi neri – sventolava sanguigna sotto i lampi, e glorïosa sfidante il nembo. La prora, flagellata dai marosi, si profondava ne la spuma bianca, e tendea – come l’ala de l’alcione – a la riviera. Ed io figgea gli sguardi ne la bruma del mar, solenne sotto la tempesta, e intravedevo i lidi desïati su l’orizzonte. Giungemmo. Su le rive era un tripudio di fanciulle, di bimbi, e di vegliardi – fioritura gentile in una mite gloria di sole. Tutto un popolo libero e fecondo brulica innanzi al mare, e l’uragano fugge al conspetto de le liete spiaggie – remotamente. – 57 Di opifici, di scuole, d’Atenei per le ampie vie si leva la superba mole, quasi a tutela de le quete casette bianche. Ne la gran pace l’inno del lavoro stringe in sue spire gli operosi, e ascende, e ascende, e ascende. C’è per tutti il sole, per tutti il pane. Son felici le spose e miti i lacci del core, e salde di virtù le tempre, fertili i campi, li uomini fratelli, legge: l’amore. Non servi o parassiti, non sicarî del pensiero – la luce ne le menti, nei muscoli la forza – in fondo al core la pöesia. Sui campi nasce – presso a’ fiori – il pane e sale il fumo de la vaporiera; nei tempi antichi – sopra i vecchi eêi – l’arte risplende ....................... Ahi, la dolce visione è dileguata nel pio raggio di sole, che m’investe; mentre echeggia la diana del mattino per la prigione. Carcere dei Domenicani, 15 Luglio 1890 (da “Prigioni e battaglie”, 1891) 58 Appendice - altre fonti 15 | CESARE LOMBROSO SUGLI ANARCHICI E SU SANTE CASERIO “Un giudice, l’egregio avvocato Spingardi, che mi ha fornito molti materiali per questo studio, mi diceva: « Per me non ho mai visto un anarchico che non fosse segnato o zoppo, o gobbo, con faccia asimmetrica ».” “Descrizione di Monges. Ha statura media (1,67), costituzione vigorosa, temperamento neuropatico, pelle bruna, pelo abbondante, nero, leggermente increspato; barba lunga, nera, iride nera più chiara; fronte alta, sfuggente, asimmetrica; cranio mediocremente sviluppato, brachicefalico, leggermente obliquo con plagiocefalia sinistra anteriore, faccia larga, bassa (cameprosopia); zigomi prominenti, bocca grande, labbra grosse e rovesciate in fuori ; varie cicatrici d’antica data sulla faccia, due delle quali dovute a cadute negli accessi epilettici. 11 sonno è breve e alterato da sogni tristi e spaventosi.” “Gergo. — E che siano spesso criminali, lo dimostra l’uso del gergo, e del gergo speciale ai criminali. Basta leggere la collezione dei loro canti e il giornale loro Tatuaggio. — Nè vi manca quel segno così frequente del reo nato, che è il tatuaggio. Nei moti anarchici di Londra nel 1888 un testimonio oculare notava fra i dimostranti il gran numero di tatuati, il che vuol dire di criminali. Senso etico. — La loro criminalità ben risulta, poi, dalla mancanza generale di senso morale, per cui loro pare semplicissimo il furto, l’assassinio, quegli atti che a tutti paiono orribili. Liriche. — Un’altra prova ne è l’abuso di quelle liriche ciniche in gergo, che son comuni ai veri criminali-nati. (seguono esempi di canzoni francesi).” “Ciò che ci colpisce a prima vista nella fisionomia di Ravachol è la 59 brutalità. La faccia, che presenta un’asimmetria spiccatissima, si distingue per un’enorme stenocrotafia e per la esagerazione degli archi sopraciliari, pel naso deviato molto verso destra, le orecchie ad ansa e collocate ad altezze differenti, ed infine per la mascella inferiore enorme, quadrata e sporgente, che completa in questa testa i caratteri tipici del mio delinquente-nato. Bisogna aggiungervi un difetto di pronunzia che molti alienisti considerano come un frequente segno di degenerazione Quanto alla sua psicologia essa risponde in tutti i punti alle lesioni anatomiche.” “La connessione costante della criminalità congenita coll’epilessia (1) ci spiega la frequenza nei rei politici di quei casi che chiamerei di epilessia e di isteria politica.” “Pazzi. Nè mancano quelli á cui la pazzia geniale funge da fermento e da genio...” “Mattoidi. Né mancano fra gli anarchici i mattoidi, che già nel “Delítto politico” ho mostrato così frequenti nelle rivoluzioni e nelle ribellioni; e che sono così difficili a diagnosticarsi perché i loro caratteri sono negativi, senza anomalie notevoli fisionomiche o craniane, senza delirii spiccati, circoscritti sempre nelle città, anzi nelle grandi città, fra maschi, con senso morale spesso ben conservato, con esagerato perfino il senso dell’ordine, con amore per la società che va fino all’altruismo. L’ intelligenza non offre notevoli anomalie; possono essere di una notevole furberia e abilità nella vita pratica, per cui alcuni riescono medici, deputati, militari, professori, consiglieri di Stato. E mancano di complici. Non s’aguatano. Non preparano alibi. Non dissimulano, né sconfessano il reato.” “Rei per passione. — Caserio. Ma una parte pur grande in questi delitti l’ha il fanatismo economico, o sociale, la violenta passione che può per eccezione innestarsi e confondersi alla criminalità — ma che spesso è isolata e pura; anzi io ho dimostrato nel mio Delitto politico, che questi rei per pura passione sono, per la loro 60 onestà, l’opposto, l’antitesi dei criminali-nati. Prima di tutto essi hanno non solo mancanza di tipo criminale, ma una fisionomia bellissima, direi quasi anti-criminale, per la larghezza di fronte, ricchezza di barba, lo sguardo mite e sereno. Atavismo. — Molti hanno ereditario il fanatismo politico o il misticismo; Psiche. — Essi sono il modello, l’esagerazione dell’onestà.” “Caserio. — Caserio è un mirabile esempio di questa forma. Ha 21 anni, è di Motta Visconti. La sua famiglia si compone di padre, madre e di otto fratelli, tutti sani, di cui il Sante è il penultimo nato. Suo padre era contadino e faceva anche il barcaiuolo sul Ticino; era un eccellente uomo, un galantuomo a tutta prova, nato nel 1836 ed è morto nel 1887. Da giovinotto, nel 1848, dagli Austriaci che guardavano il confine del Ticino era stato arrestato e rinchiuso nella chiesa di San Rocco come contrabbandiere. Pare che gli Austriaci lo abbiano minacciato di morte, e il poveraccio ne provò tale uno spavento, che da quel giorno venne spesso preso da insulti epilettici; però all’epilessia sorta in lui a 12 anni doveva aver contribuito una tendenza ereditaria, forse pellagrosa — perché di pellagra maniaca furono affetti due suoi fratelli, zii del Caserio, degenti tuttavia a Mombello — e la pellagra fa strage a Motta Visconti ove io molti n’ebbi in cura quando ero a Pavia. Quanto alla fisionomia, come si vede da questo ritratto, che l’Illustrazione Italiana (giugno 1894), a cui lo debbo, tolse da fonte sicurissima, non ha nulla del tipo criminale, salvo la scarsezza di barba, l’orecchio sessile, e gli archi sopraccigliari molto sviluppati: ha occhio dolce, mite, bellissime forme del cranio e del corpo, salvo un neo al braccio. Dalle poche notizie che si hanno pare che la criminalità sua si sfogò tutta nella politica: non risulta infatti che da giovinetto abbia manifestato tendenze criminose, salvo il vagabondaggio e il bisogno di abbandonare la casa, che è raro in quel paese dove l’uomo è così attaccato alla terra. 61 Nelle sue lettere scrive con caratteri comunissimi quanto concerne lui, la famiglia, ecc. — ma quando parla dell’anarchia, o delle persecuzioni politiche, come della Spagna che fucila i suoi compagni, il carattere diventa enorme, la parola anarchia o Spagna occupa mezza riga : e questo è uno dei caratteri degli isterici e degli epilettici (macrografia).” “Il primo carattere dei delinquenti per passione è l’onestà, un’ onestà portata talvolta fino all’eccesso e 1’ eccessiva iperestesia (sensibilità ai dolori proprii e altrui). Altruismo. Ma qui sorge pel psichiatra e il socialista uno strano problema. Com’è che in costoro, pazzi, criminali pur quasi tutti, e nevrotici ed anche fervidi passionali, spicca così grande l’altruismo che non si trova nel comune degli uomini, e meno ancora nei pazzi e nei criminali, i più tristi egoisti del mondo ?” “Per spiegare questa contraddizione di due sentimenti opposti, l’altruismo e la crudeltà : L’isteria, che è la sorella dell’epilessia e si lega similmente a perdita dell’affettività, ci mostra ancora spesso, accanto all’egoismo esagerato, altre tendenze d’altruismo eccessivo, che ci provano come questo non sia spesso che una variante della follia morale.” “Sono affetti da Neofilia rifiuto dello stato presente e isterico amore per il rinnovamento” “La topografia come lo studio cronologico delle rivolte in quattro secoli in Europa mi mostra in modo sicuro che nella stagione e nei paesi caldi si trova il numero maggiore di rivolte.” “Vi sono, è vero, due notevoli eccezioni: la Svizzera e l’Irlanda, che danno rivoluzioni in rapporto contraddittorio colla posizione geografica; ma per - la Svizzera ciò deve dipendere dalla molteplicità dei Governi cantonali e dalle frequenti mutazioni di Costituzione per l’Irlanda, poi, dalle tristi condizioni politiche e sociali, poiché ad essa, al di fuori della rivoluzione, non restava aperta altra via, come ben disse il Tarde, che l’emigrazione od il suicidio. 62 Anche in Russia i casi del nichilismo ci dimostrano che quando le questioni sociali si fanno sentire potenti.” “in linea generale il montanaro è più ribelle ed evolutivo del pianigiano. Luoghi concentrici. — Nei punti ove convergono le valli, ivi convergono le popolazioni per i loro bisogni morali, politici e industriali, e qui son pur novatrici e ribelli. Il florido sviluppo commerciale e le tendenze più liberali e più larghe in tutti i partiti di Milano è connesso evidentemente col fatto che tutte le grandi valli delle Alpi settentrionali lombarde e piemontesi hanno i loro assi che convergono a Milano più che altrove: “ “Razze. — E vi pure l’influenza etnica. Dallo studio delle votazioni e delle rivoluzioni di Francia io ho potuto dimostrare che i dipartimenti con prevalente razza Ligure o razza Gallica diedero il massimo dei ribelli, mentre quelli con razza Iberica e Cimbrica ne diedero il minimo. E v’hanno paesi, come Arluno, Livorno, con notoria costante tendenza ribelle.” (Stralci da “Gli anarchici” di Cesare Lombroso, 1894) 21 | CESARE LOMBROSO SU LA BICICLETTA COME STRUMENTO DEL CRIMINE “Ogni nuovo meccanismo, che entri nei congegni della vita umana, aumenta le cifre e le cause della delinquenza come della pazzia; così la elettricità e il magnetismo si sostituirono alle azioni diaboliche nei deliri persecutori dei paranoici ed entrarono nei nuovi strumenti e forme del crimine, come per esempio nella grassazione preceduta dal «serrapugno elettrico» che abbatte d’un colpo il passeggero o dal cloroformio per addormentare le vittime di furti, dalla dinamite per aprire le casse forti. Ed erano appena piantate le ferrovie che già si moltiplicavano i furti più speciali ferroviari, preceduti dai deviamenti dei treni.” “Nessuno però dei nuovi congegni moderni ha assunto la straordinaria importanza del biciclo, sia come causa che 63 come stromento del crimine; e a tal punto che se una volta si pretendeva (invero con un po’ di esagerazione) di trovare nella donna il movente di ogni delitto virile nel troppo celebrato: Cherchez la femme, — si potrebbe con minor forse esagerazione sentenziare ora: Cercate il biciclo — in gran parte dei furti e delle grassazioni dei giovani, sopratutto della buona società, almeno in Italia. Ciò può spiegarsi per molti modi: Per la enorme diffusione di questo meccanismo, non solo come mezzo di trasporto e di sollazzo, ma anche come amminicolo di guadagno nei record e nelle rivendite; come occasione di maggiori rapporti ed attriti fra gli uomini, il che ho dimostrato nel mio Uomo delinquente accrescere sempre il delitto, tanto più quando tali rapporti si fanno maggiori proprio precisamente in quella età, dai 15 ai 25 anni, che ha il massimo della tendenza criminosa: e fra gli sfaccendati, e fra gli uomini esageratamente agili che io ho anche da tempo addietro dimostrato essere più propensi ai delitti. L’uso diffusissimo di una macchina di un certo valore così facilmente esportabile, in specie da quelli che sono più agili, è un incentivo ed una causa di appropriazione indebita e di truffa, come la cambiale e il vaglia postale telegrafico accelerando e moltiplicando il movimento del danaro hanno reso più frequente una certa serie di truffe che prima della loro scoperta non potevano eseguirsi e quindi non esistevano.” BICICLETTA CAUSA DI DELITTI Certo è che molti giovani, per lo più della buona società, dotati o fiduciosi di esser dotati di una grande forza muscolare e mossi da una grande vanità di farsi presto una strada nel mondo, di superare senza aver veri meriti gli altri, che è una delle tendenze maggiori dei nostri tempi (e più nei giovani delinquenti); non essendo abbastanza ricchi per avere un biciclo costoso che li conduca ai trionfi ciclistici commettono un furto, e perfino una grassazione con omicidio, per poter raggiungere la desiderata gloria atletica e sportiva. 64 E a spingerveli s’arroge: che il criminale nato il più incline a codesti delitti, all’inversa della comune degli uomini, è un neo-filo, un antimisoneico, e perciò ha una passione più intensa per questo nuovo strumento, e ne sa cavare vantaggi particolari che gli altri né potrebbero né saprebbero, e nuove sorgenti d’orgoglio appagato, tanto più che essendo per natura sua un nemico del lavoro, uno sfaccendato, non ha, come certi professionisti, il prete per esempio il magistrato il medico, dall’uso dello strumento una fonte di possibile diininutio capitis, di danno alla professione, e non ha quella esitazione, quel ribrezzo che hanno gli uomini medi e specialmente le donne per uno strumento nuovo, entrato da poco (almeno in Italia) nelle abitudini sociali. FURTI E GRASSAZIONI PER MEZZO DEL BICICLO “La grande mobilità del biciclo non solo facilita la sua sottrazione, ma serve come strumento ad altri furti e reati, agevolando le fughe e gli alibi, più che noi potessero i cavalli e le carrozze, d’altronde tanto meno facili a procurarsi, e peggio le ferrovie percorse dal telegrafo e vigilate.” PSEUDO-DELITTI E DELITTI MINORI “Accanto a questi grandi e veri delitti che si spingono perfino alla delinquenza associata ed alla grassazione, ve n’hanno dei minori, come quelli dei ragazzi, che spargono di punte il terreno o forano con chiodi o con spilli le gomme, o si cacciano a bella posta al disotto di un biciclo per farsene colpire e per domandar gli indennizzi, o dei carrettieri brutali, specie nei paesi in cui il biciclo appare per la prima volta, che spingono le loro bestie contro il nuovo strumento e feriscono così colui che ne è in sella, o viceversa dei biciclisti imprudenti che schiacciano il passeggero distratto o mal destro. In un paese crivellato da tasse come l’Italia, è naturale che anche 65 questo strumento ne sia colpito coll’accompagnamento delle noie che sono sempre da noi aggiunte quale buona derrata ai pagamenti: e tale è appunto l’applicazione di un bollo speciale che si imprime sulla bicicletta con un anello metallico al momento del versamento della tassa e senza cui non ne è permessa la circolazione. Ma ecco che un forestiero entra da paesi più felici dove non si sogna di tassare, bollare ogni cosa; egli non ha lo sciagurato anello né il bollo; e vien subito multato e ben inteso arrestato se s’impenna a rifiutarvisi. Ma non basta: qualche volta un ciclista, cadendo, schiaccia il bollo, e la guardia municipale, zelante più che intelligente, incaricata di queste tasse, trova che vi ha tentativo di guasto al bollo, di falso, ecc. e non solo vi sequestra il biciclo, ma vi inizia un processo. Vero è, però, che questi bolli, queste tasse danno a lor volta adito a una nuova specie di reato: vi hanno nelle ferrovie, nelle rivendite in grande degli individui che staccano il bollo di una bicicletta per rivenderlo e impiombarlo in una bicicletta non bollata; il che spiega lo strano zelo fiscale. Sono in gran parte codesti, come quelli dei corridori imprudenti che gettano a terra un passeggiero, semplici reati d’occasione, che insomma non sarebbero mai stati commessi se non fossero comparsi, da una parte questo strumento, dall’altra alcune speciali disposizioni di legge; sono individui che non farebbero il male per il male, ma che avendo una facile occasione si lasciano trascinare: sarebbero i criminaloidi, anzi i criminali d’occasione del biciclo, come gli altri più sopra accennati se sono i rei-nati.” (da “Il ciclismo nel delitto”, Cesare Lombroso 1900 - ) 66 info e contatti: http://www.pietrogoriateatro.org/ alessandra 328 1152779 [email protected]