Una produzione del
Teatrofficina Refugio
in collaborazione con
Federazione
Anarchica
Livornese
1
idea d'amor
Libere visioni dell'anarchico Pietro Gori
una produzione del
Teatrofficina Refugio
in collaborazione con
Federazione Anarchica Livornese
testi: Pietro Gori
studi e ricerche a cura di T.O.R e F.A.L.
adattamento di Emiliano Dominici e Patrizia Nesti
musiche originali di Alessandra Falca
con
Paolo Spartaco Palazzi
Alessandra Falca
Emilia Trevisani
Assad Zaman
Giacomo La Rosa
Chiara Lazzerini
Riccardo Prianti
Romeo Domilici
aiuto regia: Elisabetta Cipolli
capo tecnico: Selvaggio Casella
luci: Martina Di Domenico
regia: Emiliano Dominici
Indice
Introduzione
Perché uno spettacolo su Pietro Gori
Libere visioni
Note di regia
Pietro Gori – note biografiche
7
8
9
10
Copione
IDEA D’AMOR
Libere visioni dell’anarchico Pietro Gori
13
Fonti
Testi originali - fonti per l’adattamento teatrale
Appendice - altre fonti
35
59
Introduzione
Perché uno spettacolo su Pietro Gori
Nel gennaio 2015 il Teatrofficina Refugio e la Federazione
Anarchica Livornese avviano una collaborazione finalizzata a
realizzare uno spettacolo teatrale sull’anarchico Pietro Gori.
Questa collaborazione nasce dall’esigenza, nel centocinquantesimo
anniversario della nascita, di dare vita ad un’iniziativa culturale
che uscisse dagli schemi delle commemorazioni ufficiali in cui
viene presentata un’immagine di Pietro Gori compatibile con
l’ordine sociale, e che invece rappresentasse la forza dirompente
del suo pensiero e della sua azione.
I testi originali di Gori sono stati il punto di partenza per la nostra
rielaborazione e per le libere visioni d’anarchia che ne abbiamo
tratto.
Questo libretto vuole sostenere la fruizione dello spettacolo
segnalando i riferimenti documentali e testuali a cui si ispira il
testo teatrale che abbiamo prodotto. Lo scopo, ovviamente, non
è quello di limitare il piacere dello spettacolo con un’operazione
pedante, ma di restituire, a chi è interessato, il percorso che
noi stessi abbiamo compiuto. Per qualcuno sarà come avere a
disposizione una piccola antologia goriana, per qualcun altro
sarà un semplice back stage di scrittura teatrale.
Federazione Anarchica Livornese
Teatrofficina Refugio
7
Libere visioni
Lo spettacolo cerca di cogliere l’essenza della figura dell’anarchico
Pietro Gori e soprattutto la sua tensione nel voler conciliare
l’intensissima attività politica con l’altrettanto forte slancio
espressivo ed artistico.
Ecco dunque una serie di “visioni d’anarchia” che muovono da
precisi riferimenti a testi di Gori relativi a conferenze, comizi,
scritti teorici, ma anche a poesie, canzoni, memorie, cercando
di mantenere quel linguaggio ardente e ricco di suggestioni che
riesce a comunicare potentemente l’idea d’amor, la sintesi di
pensiero e sentimento che da oltre un secolo costituisce la forza
dell’ideale anarchico.
La scena iniziale, animata da un circo ingovernabile in cui gli artisti
rifiutano lo stereotipo del ruolo per comunicare idee, sogni e
desideri, si dissolve rapidamente per lasciare spazio alla figura
di Gori chiuso nel carcere dei Domenicani di Livorno, dove
appena venticinquenne subisce la prima detenzione in occasione
del Primo Maggio. Ma il pensiero va via, annulla le mura del
carcere e ci porta in assoluto disordine verso vari momenti della
vita e del pensiero di Gori, dai ricordi emozionati del 1° maggio,
al forte e doloroso legame con Sante Caserio, alla denuncia della
repressione, caratterizzata non solo dalla brutalità dei governi,
ma anche da quella di una cultura che tenta di criminalizzare
gli anarchici tramite la pseudoscienza.
E poi, sempre seguendo un flusso di coscienza che è coscienza
collettiva, l’internazionalismo, la solidarietà tra i lavoratori, la
rivolta contro la guerra l’orgoglio degli esuli che imparano a
vivere senza patria, la sperimentazione, tra Europa e Americhe,
di rotte che possano condurre verso una società nuova, libera
dal bisogno e illuminata dall’arte.
8
Note di regia
Mettere in scena un pensiero non è cosa semplice. Né è semplice
lavorare su un personaggio forte e connotato come Pietro
Gori, spesso cristallizzato nella dimensione romantica di poeta
dell’ideale, autore delle note canzoni che tutti conosciamo.
Ancor meno semplice è allestire uno spettacolo volendo ignorare
il Gori autore teatrale, che ci avrebbe lasciato testi bell’e pronti,
ma troppo ancorati al gusto del tempo.
Voler stare fuori da tutto questo significa rimboccarsi le maniche
e cercare un incontro diretto con Pietro Gori. Ed è quello che
abbiamo cercato di fare. Ciò che ne è scaturito è frutto di una
ricerca collettiva, di un lungo periodo di letture, anche caotiche,
di studio, di scoperte, di confronti, un lavoro che ha portato a
individuare l’idea d’amor non attraverso una messa a fuoco
precisa, ma attraverso la discontinuità della percezione che la
crescita di ciascuno di noi produceva.
Ne è scaturito un lavoro d’impronta fortemente filologica – testi e
monologhi sono ripresi quasi puntualmente da scritti goriani,
perché da quelli siamo stati folgorati – capace però di snodarsi
attraverso le libere visioni che quei testi ci hanno trasmesso.
Il ruolo della musica nello spettacolo è fondamentale; né
poteva essere altrimenti, considerando il grande rilievo
dell’elemento musicale nell’opera di Gori, ma anche nei lavori
finora prodotti dal Teatrofficina Refugio. Anche in questo caso
attenzione filologica e volontà creativa hanno consentito, oltre
alla rielaborazione di pezzi tradizionali, di musicare per la
prima volta e in modo originale alcune poesie di Pietro Gori,
estendendo di fatto il repertorio musicale goriano, operazione
delicatissima e di grande responsabilità, resa possibile solo dalla
nostra incoscienza e dall’irresistibile richiamo dell’idea d’amor.
9
Pietro Gori – note biografiche
Pietro Gori è un anarchico che riesce a conciliare la militanza
politica con la forte carica comunicativa, invariabilmente
presente nelle conferenze e negli scritti teorici così come nelle
tante canzoni e poesie che ci ha lasciato. Gori riesce a sfuggire
agli stereotipi: è profondamente colto ma lontano da qualsiasi
intellettualismo, vuole conciliare politica e arte, introduce le sue
conferenze accompagnandosi con la chitarra, coltiva la propria
individualità senza cadere nell’individualismo.
Gori nasce a Messina il 14 agosto del 1865, da genitori di
origine toscana che si trasferiscono prestissimo a Rosignano
Marittimo, in provincia di Livorno. Si laurea in giurisprudenza
all’Università di Pisa ed esercita per tutta la vita la professione
di avvocato mettendosi a disposizione dei compagni colpiti dalla
repressione.
Appena venticinquenne subisce la prima carcerazione per aver
organizzato a Livorno lo sciopero generale del Primo Maggio
1890. La repressione contro di lui sarà sempre ferocissima,
costringendolo spesso alla detenzione e all’esilio. Perseguitato
per aver assunto la difesa di Sante Caserio, responsabile
dell’uccisione del presidente francese Carnot, Pietro Gori si
rifugia a Lugano, da cui sarà estradato e costretto nel 1895 a
riparare a Londra, luogo che in questo periodo accoglie molti
esuli e fuoriusciti. È qui che Gori rafforza il suo collegamento con
la classe operaia consolidando quella convinzione organizzatrice
che già lo aveva distinto nei primi anni della militanza,
quando con Malatesta fonda l’organizzazione PSAR , e che lo
accompagnerà per tutta la vita, vedendolo promotore sindacale
nel suo soggiorno argentino e organizzatore, negli ultimi anni
di vita, della Camera del lavoro di Piombino e dell’Elba.
Da Londra si sposta negli Stati Uniti, svolgendo un’attività
di propaganda internazionalista intensissima. Nel 1898 è
nuovamente in Italia e partecipa a Milano alle rivolte contro il
caro pane che saranno duramente represse da Bava Beccaris.
Per sfuggire alla condanna a 12 anni di carcere fugge di
10
nuovo oltre Oceano stabilendosi per alcuni anni in Argentina,
paese che sta vivendo in questo momento una stagione di
straordinaria apertura anche grazie ad una politica favorevole
all’immigrazione che consente la convivenza di persone
provenienti da paesi diversi. In Argentina Pietro Gori dà vita
ad esperienze interessanti, fondando una rivista di criminologia
di impostazione estremamente innovativa e costituendo
l’esperienza sindacale della FORA.
Gori rientra in Italia nel 1902, avviando una collaborazione politica
ed editoriale con Luigi Fabbri sempre rivolta al rafforzamento
dell’organizzazione della classe operaia. Dal 1906 le condizioni
di salute sempre più precarie gli impongono di soggiornare
all’isola d’Elba, dove comunque proseguirà la sua attività
politica fino alla morte, che lo coglie nel 1911, a soli quarantasei
anni.
11
Copione
IDEA D’AMOR
Libere visioni dell’anarchico Pietro Gori
(IL COPIONE)
L’ORCHESTRINA sghemba, in semibuio, in piedi, suona un
pezzo solo strumentale (Il Tango del Cirque du Monde).
L’atmosfera è lynchiana.
Entra il pubblico nella prima sala.
1… DIRETTORE ARTISTICO [irrompendo nella sala e
interrompendo la musica]:
(Al pubblico) Scusate… chi vi ha fatto entrare?
(All’Orchestrina) Voi… Seduti!
(Alla biglietteria) Chi è che li ha fatti entrare, questi qui?
(Al pubblico) Sentite, c’è stato un errore! Se siete qui per il Circo
del Mondo, avete sbagliato di grosso, avete sbagliato ingresso.
Questo non è il Circo del Mondo, qui non ci sono le vere
attrazioni, questo è il circo... Questo è il Circo dell’Immondo,
sono i resti, gli avanzi, la feccia, tutto quello che ho scartato
perché da NON VEDERE ASSOLUTAMENTE.
Sapete, non è mica facile fare il direttore artistico di questi
tempi, non ci sono più i bei numeri di una volta! E poi questi
artisti moderni si sentono tutti filosofi. Tutti a parlare, tutti a
dire la loro… Ma chi se ne frega! Tu credi di aver trovato un
“numero”, non dico perfetto, ma almeno passabile, e invece
no, quando meno te lo aspetti loro si mettono a blaterare. A
farfugliare. A straparlare! E di cosa, poi! Roba vecchia, roba
stantìa. Ma non va mica bene! Il pubblico non apprezza.
13
Non è quello che vuole il pubblico del “Circo del mondo”. Un
pubblico scelto, intelligente, sofisticato, un pubblico pagante!
Un pubblico che non ha idea di cosa siano la povertà, lo
sfascio, il declino. Ecco, a proposito di declino, lo vedete lui?
(Luce sull’uomo in catene, lei lo indica) Dovrebbe liberarsi
dalle catene. Alla grazia di Houdini! Credete che ce la faccia?
HA! Poveri illusi, voi e lui! Ormai, questo qui, è buono solo a
parlare a vanvera... Il Vanverone, lo chiamo io! (All’UOMO IN
CATENE che ha cominciato a sussurrare la parola Libertà)
Come? Cos’è che dici?
2... L’UOMO IN CATENE (LA LIBERTA’):
Soprattutto la libertà.
Non il potere, no.
Io voglio la libertà.
La rivoluzione non è sostituire un potere vecchio con uno nuovo,
nemmeno se quello nuovo è il mio, il nostro.
Io non voglio il potere, voglio la libertà.
Non libertà mutilata e irriconoscibile, ma libertà esercitata
integralmente da ogni individuo.
Sarò veramente libero solo quando tutti gli esseri viventi che mi
circondano saranno ugualmente liberi.
La mia libertà ha un senso solo attraverso la libertà di tutti.
Non “la mia libertà finisce dove inizia la tua”, ma: “la mia libertà
si estende all’infinito”.
Ma come costruire questa società libera?
Dobbiamo cambiare completamente tutti i rapporti sociali e
costruire la spontanea e naturale armonia del benessere e
della libertà.
Dobbiamo ribellarci a tutte le catene, spezzare la schiavitù della
religione, dello stato, dei padroni, dell’ordine giudiziario, delle
usanze, delle abitudini, dei pregiudizi.
Mai più schiavi di noi stessi, non nelle nostre case, non nei nostri
letti. Perché la voglia di distruggere qualsiasi costrizione,
qualsiasi confine, qualsiasi limite non è impulso irrazionale,
ma nasce rimbalzando nelle nostre anime e diventa naturale
14
passione per la libertà.
DIRETTORE: Liiibero, voglio viiivere... (All’UOMO IN CATENE)
Vanverone, sei scar-ta-to! [BUIO sul forzuto, il DIRETTORE
si allontana, l’UOMO IN CATENE] Non c’è forza, non c’è
grazia! E del grande Houdini, neanche l’ombra, neanche il
fantasima! Ma poi, così demodé, così out of fashion… ormai la
parola Libertà la usano anche cani e porci. Poveraccio, mi fa
pena, quasi... certo, ormai c’è, ma come faccio a preparare un
“numero”... (nel frattempo l’IMBONITORE inizia a urlare)
3… L’IMBONITORE offre al pubblico l’elisir di lunga vita (LA
RELIGIONE):
Elisir! Elisir!
Elisir d’acqua fresca e dolce miele.
Elisir di lunga vita!
Vita lunga, sì, ma non eterna!
Quella io non la prometto, certo un po’ son ciarlatano, ma non
come quegli altri che v’incantano col paradiso e minacciano
l’inferno che spaventa e vi ossessiona. Eh no, non vi dico di
star buoni, di subire e sopportare per poi essere premiati
con qualcosa che non c’è. Non v’impongo dio, il padrone dei
padroni, che il pensiero rende schiavo e il ribelle rende prono,
io solo offro Elisir di poca cosa, Elisir testé provato.
Enterite, stitichezza, gotta, eczemi, idropisia
Reumatismi, obesità, ernie, asma ed anemia.
Elisir! Elisir!
Elisir d’acqua fresca e dolce miele.
Niente preti, né padroni, niente dio, né religioni
che imprigionano
il pensiero e di bòtta rendon schiavi.
Elisir. Elisir vi offro io!
Elisir di lunga vita, vita lunga, non eterna,
Perché alla vita c’è rimedio, alla morte no!
DIRETTORE: “ unguento, unguento/ màndame a la noce
15
di Benivento/ supra acqua et supra vento/ et supra omne
maletempo.” SCAR-TA-TO! (BUIO sull’IMBONITORE
che, quando il DIRETTORE si allontana, esce) Questo è
proprio un maletempo per i circhi. E questo qui è l’uccello
del malaugurio. Lo sanno tutti, no?, che al circo si viene per
distrarsi, per ridere, per pensare alle cose belle, e questo qui
mi parla della morte… Tiè!!! Invece di vender gli elisir... Qui
bisogna vendere, vendere e incassare, e non farneticare! C’è
già chi farnetica...la farneticante... anzi, no, la Veggente…
avvicinatevi... ormai... ormai siete dentro cosa mai vi può
succedere... ah...
4… La VEGGENTE - (L’ANARCHIA):
Una boccia di vetro...
Hanno paura quando la vedono nelle nostre mani.
Molta paura.
Hanno paura che esploda.
Pum!
Ma fanno bene ad avere paura...
perché un’esplosione ci sarà.
E cancellerà la miseria del mondo.
E porterà il mondo nuovo.
Io non ho paura.
(la VEGGENTE va in trance)
Vedo una società in cui tutti i cittadini, liberamente federati in
gruppi, associazioni, arti, mestieri, sono comproprietari di
tutto!
Di terre, miniere, opifici, case, macchine, strumenti di lavoro,
mezzi
di scambio e produzione! (Pausa)
Paura eh?
Vedo tutte queste persone associate da un’armonia d’interessi
che amministrano socialmente, senza governanti, la cosa
pubblica, godendo in comune dei vantaggi e lavorando insieme
per aumentare il benessere collettivo... Ecco, immaginate
tutto questo, ecco l’anarchia. E poi, dall’associazione dei beni
16
all’associazione dei cuori è un attimo! Niente più famiglie
chiuse, ma una grande famiglia degli eguali e dei liberi. E
anche l’unione di due persone non sarà più un affare, ma
un’unione libera, basata sull’amore, senza dover mentire
davanti al sindaco o al prete.
Sì, hanno paura quando la vedono nelle nostre mani.
Paura eh?
DIRETTORE: (scoppia un palloncino) Pum! Paura eh? Ma che
brava, ma che brava la farneticante, e che visioni realistiche!
SCAR-TA-TA! [BUIO su VEGGENTE, DIRETTORE si
allontana, VEGGENTE esce]
Ma come si fa, dico io, ma come si fa? Ma chi la vuole questa
qui, la volete voi? Se la volete ve la regalo! Se non vi interessa
il futuro, potete sempre metterla ai fornelli. Come cuoca fa
schifo, ma perlomeno indovina sempre cosa avete voglia di
mangiare.
5… E adesso, signore e signori, giacché avete resistito ai deliri
utopistici di questi tre poveri scarti disumani, a questo
punto, se volete, potete avventurarvi nella sala segreta,
ma il tutto… a vostro rischio e pericolo. Pensate forse che
quello di cui hanno blatterato finora sia farrina del loro saco?
Macché! Tutto quel che dicono, tutto quel che pensano viene
direttamente da quella sala, viene direttamente… da LUI.
Signori, nel corso della mia professione ho dovuto vedere e
ascoltare cose orribili oltre ogni immaginazione. Ma non avevo
mai incontrato una terribile, degradata, versione di essere
umano come quella che andrete a vedere, colui che racchiude
in sé tutto ciò che non si deve essere, in questo mondo
moderno. E dunque, Orchestra, Un deux trois, un deux trois…
se volete entrare… prego, seguitemi.
L’ORCHESTRA precede il pubblico suonando il “Valzer della
prigione”. Il DIRETTORE fa accomodare il pubblico in sala.
DIRETTORE: Stringetevi, stringetevi. Prego, accomodatevi.
17
6… Mentre il pubblico si sistema L’ORCHESTRA si sistema
sul fondo e suona mentre il CORO (3 persone) è in posizione
al centro, muto, in piedi, davanti a una cassapanca.
Quando il pubblico è al suo posto, DIRETTORE ferma
l’orchestra (“Orchestra, Silenzio!”), e conta per ridare il via
all’ORCHESTRA e al CORO che canta
Quando muore triste il giorno,/ e ne l’ombra è la prigione, (Mim Sim Sol Mim)
dè reietti e dè perduti/intoniamo la canzone. (Mim Sim Si Mim)
La canzone maledetta/ che nè fieri petti rugge,/
Affocata da la rabbia/ che c’infiamma e che ci strugge/
La canzon, che di bestemmie/ e di lacrime è contesta;
(Mim Sim Sib Si)
La canzone disperata, de l’uman dolore è questa...
(Mim Sim Sib Si)
7… (I coristi 2 e 3 abbassano la testa, quella al centro legge le
imputazioni. GORI è seduto, di spalle, sulla cassa al centro,
coperto dal CORO):
CORISTA 1: Gori Pietro, nato a Messina il 14 agosto 1865,
arrestato a Livorno il 12 maggio 1890 in virtù dell’articolo
63 e 190 del codice penale italiano. Imputato di ribellione,
eccitamento allo sciopero, odio fra le classi sociali. Capo e
promotore della manifestazione operaia del primo maggio a
Livorno e quindi causa morale della rivolta contro la polizia.
(Coristi 2 e 3 alzano la testa e pronunciano la frase insieme
a CORISTA 1) Condannato e imprigionato nel carcere dei
Domenicani.
(Coristi 2 e 3 escono dietro, dove c’è l’orchestra, ciascuno da un
lato, Corista 1 esce di lato, rimane GORI seduto sulla cassa al
centro)
18
8… GORI: Si chiamano Domenicani perché c’erano i frati di San
Domenico. E non è un bel posto.
Prima, sotto, c’erano le celle dei preti e ora ci sono le segrete.
Ecco, non è un bel posto.
Ma al contrario di tutte le altre carceri italiane, qui, a Livorno, ai
Domenicani, la mattina ci si saluta.
E poi i segnali con le campanelle: sveglia, minestra, aria, medico,
silenzio.
sveglia, minestra, aria, medico, silenzio.
Non è un bel posto (per niente).
Poi, quando e come gli pare a loro, entrano in cella e ti frugano.
Sono in sette/otto guardie e guardano da tutte le parti, e se hai
nascosto l’ultimo pezzetto di matita in una mollica di pane loro
lo trovano e te lo sequestrano. La fruga, la chiamano.
E all’alba, come nell’inferno di Dante, c’è il transito: forzati che
passano dai Domenicani prima di andare nelle altre carceri
toscane. Un flusso di carne triste, lugubre, disperata. [GORI
esce]
9… Entra CANTAUTRICE che canta NOSTALGIA:
Passan le nubi nere, portate via dal vento
su le mura severe de l’antico convento
Passan le nubi nere.
Dietro un vecchio forzato cigola la catena
Triste, come il suo fato stride come una iena
Dietro al vecchio forzato.
Come passero stanco una mesta canzone
su pel cortile bianco vola de la prigione
Come passero stanco.
Ma il pensiero va via, sprezzando la muraglia
L’afflitto corpo espia la perduta battaglia,
Ma il pensiero va via, e fugge, e fugge, e fugge
Via per plaghe lucenti, de la brama che rugge,
Assopisce i tormenti, e fugge...
È la pace del chiostro, solenne e accidiosa,
Sovra l’ibrido mostro; sovra il cor, che non posa,
19
è la pace del chiostro,
Ci son le inferriate, tra i desideri e il mondo
Tra le braccia levate, ed il cielo profondo
Ci son le inferriate.
[CORISTI 2 e 3 aprono la tenda dei musicisti che suonano,
entrano in scena con CORISTA 1 e cantano]
Ma il pensiero va via, sprezzando la muraglia
L’afflitto corpo espia la perduta battaglia,
Ma il pensiero va via, e fugge, e fugge, e fugge
Via per plaghe lucenti, de la brama che rugge,
Assopisce i tormenti, e fugge, e fugge, e fugge.
(CANTAUTRICE esce e rimane CORO. L’ORCHESTRA chiude la
tenda)
10… CORO: “IL VOSTRO ORDINE, IL NOSTRO
DISORDINE”:
Voi, l’ordine. Noi, il di-sor-di-ne.
Voi, l’ordine.
La vostra legge la chiamate: ordine.
Nel vostro ordine, nella vostra giustizia, il privilegio di pochi,
cioè la diseguaglianza, è chiamato: diritto.
Il fratricidio della guerra è chiamato: eroismo.
La repressione dei diritti e degli interessi popolari è chiamata:
ragion di stato.
Noi, il disordine.
Quando il nostro disordine prende forma,
quando si creano agitazioni straordinarie,
quando il popolo comprende ciò che serve,
e preme, e spinge, e reclama, e vuole,
allora i governi si affrettano a concedere qualcosa, a
riconoscere un diritto, a “fare una legge”.
E quella domanda sociale, quella voglia di giustizia, quel
disordinato fiume di libertà, una volta diventato legge o
decreto, una volta imprigionato nelle carte, è mutilato,
20
superato, irriconoscibile, vecchio, sterile. E il disordine
diventa ordine, che serve a voi, magari per soffocare
una nuova domanda, una domanda che si fa strada
tumultuosamente, un nuovo bisogno, un nuovo disordine.
Il nostro di-sor-di-ne.
(Sulla parola “disordine”, il coro si scompiglia ed esce)
11… ESTRATTO AUDIO GORI CHE SI TAGLIA I CAPELLI
(Leda Rafanelli):
[Cantautrice si mette al centro, sulla cassa, e fa scorrere i cartelli
coi sottotitoli]
La sorella di Gori avrebbe voluto che lui si sposasse, ma avrebbe
voluto anche una ricca, e gli fece conoscere una signorina
americana, bella, ricchissima. Lui questa signorina la salutò
e poi...quella s’era già innamorata, perché era bellissimo
Pietro Gori, sai; era siciliano, bruno, alto, con gli occhi neri,
dei capelli nerissimi, era bellissimo Pietro; senza che se ne
accorgesse, eh. Quel giorno, io ero in casa sua, ospite, in una
stanza che dava nel giardino. Sento dire a un tratto, io non ci
guardavo: “Allora Pietro, li facciamo a zero?” M’affaccio alla
finestra, sì, e vedo Pietro a sedere e questo pisano che con la
macchinetta, gli aveva fatto, sai, mezza testa, insomma rapata.
Io dissi: “Figurati la Bice!”, la sorella, pareva glielo facesse
per dispetto. Io scesi giù, eh, ma era già tardi, eh. Lui era lì
calmo calmo, che parlava, io gli dissi: “Pietro, ma mi dici Bice
cosa dirà?”. “Ma” -dice- “è caldo, era caldo”, sarà stato giugno,
luglio. “Ci avevo caldo!” Io stetti zitta; quando venne, uscì, sì,
ti pareva una caricatura. Era bruno, denti bianchi bianchi, baffi neri, le sopracciglia e
questa testa bianca rapata. Pareva un mostro. Gli si prese
una crisi isterica alla sorella. Una crisi...sentii degli urli. E poi
Pietro scrisse quella canzone: all’amor tuo preferisco l’idea.
Amori non n’ha avuti Pietro, almeno a quello che si sapeva
noi. Noi non sappiamo che Pietro abbia avuto un amore, ecco.
L’anarchia.”
(da “Pietro Gori e l’americana”. Una testimonianza di Leda
21
Rafanelli. Tratta da “Quella sera a Milano era caldo...”.
Antologia della canzone anarchica in italia. Milano, 1978)
12… Monologo “GUERRA ALLA GUERRA”:
GORI, sullo sfondo, camminando, sta provando un discorso da
fare: Ci sono uomini che con le loro mani costruiscono armi
e strumenti di tortura per colpire, ferire, sottomettere altri
uomini; armi e strumenti sempre più perfetti, perché l’uomo
non è un selvaggio, l’uomo è intelligente, ha dalla sua parte
la scienza, e quella che fa è una guerra moderna, una guerra
scientifica.
Ma che scienza è quella che invece di migliorare la vita la
distrugge?
[Gori va sul proscenio]
Il potere utilizza ogni mezzo economico, morale e intellettuale
per annientarci. E i padroni, che fanno la guerra a noi,
pretendono che noi facciamo la guerra per loro, per difendere
la loro proprietà, i loro confini, il loro potere, per difendere la
patria.
Ma quale patria! La nostra patria è il mondo intero. Ci hanno
esiliato, cacciato, bandito, e noi abbiamo imparato a vivere
senza confini, e non vogliamo difenderli per voi, i vostri
confini.
Non vogliamo la vostra guerra.
Se una guerra è da fare, sarà quella di tutti gli sfruttati contro gli
sfruttatori, degli oppressi contro gli oppressori. Niente patria,
niente confini, guerra alla guerra!
[STACCO MUSICALE TROMBA Nostra patria è il mondo intero.
GORI esce]
13… MONOLOGO BRUNO [corista 2]: Primo maggio 1893 Nelle
campagne pisane:
Era la prima vorta che l’andavo a sentì.
La mi’ mamma mi diceva “Bruno, ‘un c’andà’!”
Ir mi’ babbo mi diceva “Bruno, ‘un c’andà’!”
E poi c’era il prete che tutte le domeni’e ci diceva “L’inferno di
22
vì, l’inferno di là, il diavolo di vì, il diavolo di là, guai a voi se
c’andate...” e alla fine ho capito! Non parlava mia der diavolo
vero, parlava di Pietro Gori, l’anarchi’o che doveva venì a
parlà il primo maggio qui in paese. E la mi’ mamma: “Bruno,
‘un c’andà!”
Ir mi’ babbo: “Bruno, ‘un c’andà’!”
E ir prete, dar purpito: “Volete andà tutti all’inferno?”
E io cosa feci? Sai, a me, una ‘osa, più mi dici di non falla, e più
mi vien voglia di falla. Insomma, alla fine ci andai, io e un
mucchio d’artra gente. E più s’ascortava, quest’omo coi baffi
in mezzo alla piazza, più si ‘apiva che non era ir diavolo,
ma ci parlava dell’inferno, quello che si vive tutti i giorni,
noi, i contadini, e ci diceva della fame, della fati’a, dello
sfruttamento. E che non era giusto soffrì così tanto per riempì
la pancia dei padroni. E che ‘un era nemmen giusto andà in
guerra per difendè i loro interessi. E tutto quello che diceva, a
me, mi pareva vero, semplice e vero.
La domeni’a dopo la mi’ mamma mi fa: “Bruno, vieni alla
messa!”
E ir mi’ babbo mi fa: “Bruno, vieni alla messa!”
E io lo sapete cosa n’ho risposto? “No, un ci vengo alla messa.
Mamma, babbo, vi voglio bene, ma vo in culo a voi e a tutti
‘preti!”
[CORISTA 1 e 3 aprono la tenda dell’orchestra e si uniscono a
CORISTA 2 per cantare]
14… CANZONE “ODIO” (Coro):
Maledetta la Patria delle plebi matrigna infame
bollata in fronte dalla tragedia dei morenti di fame.
Maledetto Iddio, (bieco) fantasma di menti paurose
puntello antico (di vecchie) delle tirannidi dalla marea corrose.
Maledetto chi opprime e sulla folla sospinge il piede
Maledetto chi sente e geme, maledetto chi crede.
Maledetti gli oppressi, (trepidi) dalla dimessa voce,
senza bestemmia strisciano vili sotto la croce. [CORO esce]
15… La DOTTORESSA entra in scena al buio e si piazza sul
23
proscenio. Declama le CARATTERISTICHE FISICHE/
MORALI DEL CRIMINALE ANARCHICO (LOMBROSO):
Secondo la scienza moderna e l’emerito professor Cesare
Lombroso, gli anarchici rientrano nella categoria dei
CRIMINALI NATI.
Non ho mai visto un anarchico che non fosse segnato o zoppo,
o gobbo, con faccia asimmetrica e tratti brutali. [DOTT.
batte le mani e entra CORISTA 2 che tiene una lavagnetta
davanti alla faccia e che DOTT. userà per disegnare l’identikit
dell’anarchico]
Spesso la fronte è sfuggente, il cranio mediocremente sviluppato,
le arcate sopracciliari pronunciate, le orecchie ad ansa, talvolta
collocate ad altezza diversa, la mascella inferiore sporgente.
[CORISTA 2 si toglie la lavagnetta dalla faccia]. E a questi
difetti anatomici corrispondono lesioni nei comportamenti.
[CORISTA 2 torna dietro le quinte gridando]
Gli anarchici criminali nati [Entra INFERMIERA/CORISTA
1 – con GORI e CASERIO] si dividono in due categorie: pazzi
[INFERMIERA fa accomodare GORI a sinistra del palco] e
mattoidi [INFERMIERA fa accomodare CASERIO a destra
del palco e rimane in contemplazione]. I mattoidi presentano
tratti fisici e comportamenti meno estremi, ma sono forse
ancora più pericolosi degli altri. Sono caratterizzati da
abnorme e innaturale senso dell’onestà, da un incomprensibile
altruismo, da neofilia, cioè da amore per il nuovo, per il
rinnovamento. In questa categoria di criminali anarchici
mattoidi possiamo collocare anche il giovane Sante Caserio,
che comunque è un caso a parte, un caso atipico di criminale
nato.
[INFERMIERA, invasata di CASERIO, interrompe DOTT.]
Amante del lavoro, socievole, simpatico e gioviale,
[DOTT. riprende la parola e zittisce INFERMIERA] benché
esageratamente altruista, patologicamente onesto e
insofferente delle ingiustizie. Insomma, secondo la scienza
moderna e l’emerito professor Lombroso, dicevamo, Caserio è
24
un caso a parte di anarchico-criminale-nato,
[INFERMIERA la interrompe andando sul proscenio] soprattutto
per la fisionomia inconsueta: occhio dolce, mite, bellissime
forme del cranio e del corpo, salvo un neo al braccio.
[DOTT. la guarda male e la rimanda a posto] Ma nella scienza
l’eccezione è parte integrante del fenomeno osservato. Quindi
possiamo affermare, senza nulla detrarre alla nostra teoria,
che possono esistere, sia pur raramente, [INFERMIERA]
anarchici criminali nati di fattezze regolari, persino belli.
16… DIALOGO GORI – CASERIO (luci alternate):
CASERIO: Pietro Gori l’ho conosciuto a Milano. Faceva
l’avvocato nello studio di Turati. Passavamo le giornate a
parlare, a discutere, io, lui, gli altri compagni, e quando lui
spiegava le cose io capivo tutto.
GORI: Sante Caserio l’ho conosciuto a Milano. A 13 anni aveva
lasciato la campagna e si era trasferito in città. Un bimbo,
era. Suo padre era morto in manicomio e lui, per non pesare
sulle spalle della madre, era andato a fare il garzone a Milano.
Faceva il pane.
CASERIO: Per strada davamo gli opuscoli alla gente, davanti alle
fabbriche spiegavamo l’anarchia agli operai, la società come
doveva essere, e che dovevamo ribellarci tutti insieme.
GORI: Aveva avuto questa idea, Sante. Insieme ai volantini dava
anche una pagnotta di pane, perché per nutrire il cervello,
diceva, bisogna prima nutrire lo stomaco.
CASERIO: Non lo rubavo mica, il pane che davo alla gente, lo
pagavo di tasca mia, me lo facevo togliere dal salario.
GORI: Aveva capito che il cervello, quando non sente la fame,
ragiona e capisce meglio le cose.
CASERIO: Funzionava. Sempre più gente ci ascoltava, sempre
più gente ci veniva dietro, sempre più gente…
GORI: L’hanno capito anche quegli altri, che funzionava. E
hanno cominciato a perseguitarlo, non gli davano tregua,
hanno minacciato lui e sua madre, gli hanno fatto assaggiare il
carcere, lo hanno fatto licenziare.
25
CASERIO: Sono scappato in Svizzera e poi in Francia. Ma
anche lì la repressione era dura, c’erano leggi contro i reati
d’opinione, e se partecipavi a una lettura di scritti anarchici
venivi spedito nei bagni penali.
GORI: E poi il presidente Carnot non ha concesso la grazia a
Vaillant e lo ha fatto ghiogliottinare.
CASERIO: Dovevo vendicare Vaillant e Ravachol e Henri, e tutti
gli anarchici giustiziati dallo stato, e l’ho fatto.
GORI: Non ha mai negato la sua responsabilità, non ha mai
chiesto pietà al giudice o la grazia al presidente. Gli hanno
offerto l’infermità mentale in cambio dei nomi di alcuni
compagni, ma lui ha rifiutato…
CASERIO: “Caserio fa il fornaio, non la spia”, gli ho detto. Pietro
è stato l’unico che mi ha difeso in tribunale. Per questo sarà
costretto a fuggire a Lugano, ma anche qui verrà incarcerato
ed espulso [Accenno di tromba ad Addio Lugano]. E allora
scapperà a Londra, e da Londra a New York. Nuova York, il
mondo nuovo… E io…
GORI: È il 16 agosto 1894. Fa caldo, a Lione, quasi non si respira.
Sante ha vent’anni, gli occhi azzurri, lo sguardo puro. La
ghigliottina cala sulla sua testa, ne interrompe per sempre
i pensieri. Ma sul patibolo, un attimo prima di morire, ha il
tempo di dire…
CASERIO: Forza compagni, viva l’anarchia!
[BUIO. GORI esce, CASERIO rimane, entra in scena
CANTAUTRICE]
17...CANTAUTRICE canta CANTO A CASERIO (luce fioca anche
su Caserio):
ReLa7
Lavoratori a voi diretto è il canto
Redi questa mia canzon che sa di pianto
La7
e che ricorda un baldo giovin forte
26
Reche per amor di voi sfidò la morte.
[si apre la tenda dell’ORCHESTRA solo al centro, con la
trombettista]
SolReA te, Caserio, ardea nella pupilla
La7
Rede le vendette umane la scintilla,
SolReed alla plebe che lavora e geme
La7
Redonasti ogni tuo affetto, ogni tua speme.
…...
Tremarono i potenti all’atto fiero,
e nuove insidie tesero al pensiero;
e il popolo cui l’anima donasti
non ti comprese, e pur tu non piegasti.
E i tuoi vent’anni, una feral mattina
gettasti al mondo dalla ghigliottina,
al mondo vil la tua grand’alma pia,
alto gridando: «Viva l’Anarchia!». […] BUIO
18… (GORI entra in scena al buio e si piazza sulla cassa, di
profilo rispetto al pubblico. In sottofondo rumore del rullante
che imita il rumore del treno. Luce):
Sul treno che dalla California mi porta sulla costa orientale,
attraversando le pianure dell’Arizona e del Nuovo Messico,
penso a tutto quello che ho lasciato in Italia, penso ai
compagni, alle lotte, alla famiglia, mi prende una nostalgia. Ma
arrivato a Kansas City, lungo le rive del fiume, trovo centinaia
di uomini e di donne che festeggiano il primo maggio. E
capisco che non c’è spazio per la nostalgia. Ogni paese ha
i suoi vinti. E qui, nel mondo nuovo, i pellerossa, decimati
dall’uomo europeo, e gli africani portati qui in catene e resi
schiavi, si uniscono ai nuovi sfruttati, agli immigrati di tutto il
mondo in fuga dalla miseria e dagli oppressori. E quando tutti
27
insieme, senza distinzione di razza, lingua o colore, intonano il
ritornello d’un mio vecchio canto d’esilio, la nostalgia lascia il
posto alla commozione e alla rabbia. Perché sempre, nel cuore,
c’è un pensiero ribelle.
19… (CORISTA 1 apre le tende all’orchestrina, poi si unisce
a CORO e a CANTAUTRICE, tutti si siedono sulla cassa
centrale con Gori e cantano con lui):
Our country is the whole world, our law is the Liberty
And just a re-ebel thought and just a rebel…
Our country is the whole world, our law is the Liberty
And just a re-ebel thought, a rebel thought’s in our heart.
[Escono tutti tranne CORISTA 1]
20… CORISTA 1: [Sulla cassa, in stile contorsionista, segue con
gli occhi un’immaginaria mappa] Milano, Lugano, Londra,
New York, Kansas City. Dagli Stati Uniti Gori viene inviato,
come delegato delle Trade Unions americane, a Londra, al
congresso operaio socialista internazionale. Ma per problemi di
salute è costretto a tornare in Italia. Non abbandona la lotta, e
il primo maggio 1898 è a Milano. [BUIO. CORISTA 1 esce]
21… DOTTORESSA entra al buio sul proscenio portando una
bicicletta e la mette sul cavalletto. Luce:
La bicicletta è uno strumento pericoloso, che incrementa la
criminalità.
Con la bicicletta il ladro o l’assassino può compiere agevolmente
il crimine e fuggire velocemente, sottraendosi alla giustizia,
evitando la cattura e la punizione.
La fuga, l’ebbrezza della velocità, l’iperventilazione, danno al
criminale un senso di potenza e invincibilità che favorisce la
trasgressione, il disprezzo dell’autorità e incoraggia il crimine.
28
Pertanto, secondo la scienza moderna, il biciclo è strumento
proprio [GORI, da dietro, lancia uno sgabello sul palco,
facendo molto rumore] …del criminale. [DOTT. ESCE]
22… [GORI entra, riprende lo sgabello e si mette dietro alla
bicicletta, la rigira a ruote all’aria e comincia il monologo]:
GORI: Io alla bicicletta ci tengo. [Si siede] Due ruote, la forza
delle gambe che tiene in equilibrio uomo e macchina. E vai.
E corri. E pedala. È un’idea semplice. È perfetta. E allora la
tengo bene, la bicicletta, soprattutto se è vecchia, se ha fatto
tante corse, se - come questa qui - perde sempre la catena. Ma
io l’aggiusto. L’aggiusto e pedalo.
La mia bicicletta. La mia compagna.
[GORI si alza] Aprile 1898. Tira una brutta aria. La gente non
ne può più, non si può nemmeno comprare il pane, da quanto
costa, e allora scende in piazza, ma invece del pane, piombo.
LA TROMBA FA LA MELODIA DI “Alle grida strazianti e
dolenti di una folla che pan domandava, il feroce monarchico
Bava gli affamati col piombo sfamò”.
Milano. Vigilia del 1° maggio. Mi convoca in questura il capo
della polizia politica [Luce improvvisamente più intensa] e mi
avverte: sono in libertà condizionale, rischio l’arresto, guai
a me se parlo o scrivo di politica, in pubblico e in privato,
soprattutto domani.
1° maggio, mattina. C’è un’aria cupa. All’alba, alla porta di casa,
ci sono gli sbirri. Mi seguono, mi stanno alle costole tutto
il giorno, come cani, mentre attraverso Milano, mentre mi
avvicino alla piazza del 1° maggio, mentre i compagni mi
salutano, muti.
1° maggio, sera. È buio: a un luogo stabilito un compagno passa di
volata in bicicletta, con una mano tira un’altra bicicletta, per
me. Salto in sella e pedalo a tutta velocità, urlo a squarciagola
-Buonanotteee!!! - non è mica una frase politica....
29
Se ne restano lì, rabbiosi, e io pedalo verso la periferia e una casa
piena di compagni che mi aspettano, che aspettano me e la mia
bici. E si beve e si fa festa.
Ben venga maggio, dolce Pasqua dei lavoratori, il nostro 1°
maggio.
[GORI esce, posa la bici e rientra a prendere lo sgabello]
Dopo, per me, ricomincerà l’esilio.
[da fuori, il CORO grida: Buenos Aires!!!]
23… [CANTO La Verbena Anarquista:
Entra l’ORCHESTRA e si piazza al centro del palco. Entra il
CORO con la CANTAUTRICE diviso in due coppie, uomini e
donne, e si mettono sul proscenio]
DONNE: ¿Dónde vas con paquetes y listas?
Que de prisa te veo correr
UOMINI: Al Congreso de los anarquistas
por hablar y hacerme entender.
D: Explicadme un momento siquiera
anarquista, ¿qué quiere decir?
U: La inmensa falange obrera
que reclama el derecho a vivir.
D: El obrero que suda y trabaja,
¿Dime cómo es que puede estar mal?
U: Pues el burro que come la paja
lleva el grano para otro animal.
D: Es extraño, pero no lo entiendo
que pretende tu nueva alusión
30
U: Que lo mismo le va sucediendo
al obrero con su producción.
[BUIO. Tutti rimangono in scena. In piedi, sopra la cassa, sul
fondale, entra GORI]
24… [Luce su GORI]:
GORI: Li vedo, sulle strade di Buenos Aires, i lavoratori e
le lavoratrici che camminano in fretta per andare alla
manifestazione. Li guardo passare. Sorridono, sono pieni di
speranza. E mi vengono in mente i minatori dell’isola d’Elba,
i contadini delle campagne toscane, gli operai delle fabbriche
lombarde, i lavoratori di Londra, i braccianti di Kansas City. È
da tutti loro che nascerà la società nuova. È un lavoro lungo,
ma l’idea è tanto semplice che è impossibile perderla di vista.
[Tromba: melodia di “Eppur la nostra idea è solo idea d’amor”].
[Buio su GORI, LUCE al centro, dove la CANTAUTRICE
declama brani di una poesia di Gori]
25… Eccolo, il futuro.
C’è per tutti il sole,
per tutti il pane.
Sono miti i lacci del cuore,
fertili i campi, gli uomini fratelli,
la legge: l’amore.
Non servi o parassiti, non sicarî del pensiero
– la luce nelle menti,
nei muscoli la forza – in fondo al cuore
la pöesia.
Sui campi nasce – presso a’ fiori – il pane
– l’arte risplende.
[LUCE media su TUTTI]
L’ORCHESTRA comincia a suonare Ribelle Pensiero
31
26… CANZONE FINALE:
RIBELLE PENSIERO
Rem LA LA# / SOL LA
Va ribelle pensiero, in mezzo agli uomini e sciogli il triste canto
Va e portali liberi, senza catene e senza alcun rimpianto
Va schiva gli ostacoli, le costrizioni, che io ti senta a fianco
E niente più vincoli o strade chiuse ma amore amor soltanto.
L’arte risplende
La lotta è passione
Pensieri chiari
Nel cuor l’emozione
Di essere libero all’infinito, spezzare i pregiudizi
E niente più poveri, niente oppressioni e niente più giudizi
L’arte risplende
La lotta è passione
Pensieri chiari
Nel cuor l’emozione
L’arte risplende!
La lotta è passione!
L’arte risplende!
La lotta è passione!
L’arte risplende!
L’arte risplende!
L’arte risplende!
L’arte risplende!
L’arte risplende!
L’arte risplende!
L’arte risplende!
L’arte risplende!
32
BUIO
FINE
33
Fonti
Testi originali - fonti per l’adattamento teatrale
2 | L’UOMO IN CATENE (LA LIBERTA’)
a) “...la dinamica rivoluzionaria non può avere un obiettivo, che si
restringa nella orbita angusta delle antiche frontiere politiche;
non può limitarsi alla demolizione pura e semplice dei vecchi
ceppi economici e politici, onde la borghesia avvince, da oltre
un secolo, il proletariato. Non può, in una parola, significare,
avvento al potere del quarto stato. Questa rivoluzione dovrà
essere trasfigurazione immensa e profonda di tutti i rapporti
sociali, o non sarà. Se non vorrà arrestarsi ad un’altra forma
di tirannide, forse peggior dell’antica, alla signorìa demagogica,
dovrà – nel rimescolìo infinito dei vecchi atomi sociali in
movimento per la costruzione nuova – trovare la resultante di
conciliazione fra gli interessi dell’individuo e quelli, supremi,
della specie; dovrà cementare la spontanea e naturale armonia
del benessere e della libertà.”
(dalla prefazione di Gori alla traduzione del “Manifesto del partito
comunista”)
b) Ma sopra tutto, innanzi tutto, libertà Non libertà mutilata, resa
irriconoscibile da quella carta stampata, che porta il nome di
legge; non libertà amministrata dagli scherani di qualunque
codice più o meno plebiscitario, sieno essi democratici,
repubblicani o socialisti, ma libertà esercitata integralmente da
ogni individuo, fusione di tutte le attività e di tutte le iniziative
liberamente e per tendenze naturali associate, per il benessere
di tutti. (...)L’un governo equivale l’altro; tutti i governi sono
35
contro di noi - e noi contro tutti i governi, contro tutte le
oppressioni, contro tutte le tirannidi.
Noi soli siamo votati a tutti i sacrifici per rivendicare agli uomini
la uguaglianza vera nel comunismo, con la soppressione
d’ogni sfruttamento dell’uomo sull’omo, con l’abolizione
della proprietà individuale; noi soli vogliamo l’emancipazione
completa della personalità umana, dal giogo opprimente d’ogni
autorità politica, civile, militare e religiosa; noi soli vagheggiamo
per il genere umano la libertà integrale, la libertà delle libertà
l’Anarchia.
(da: Socialismo legalitario e socialismo anarchico, conferenza
tenuta in Milano al Consolato operaio il 4 aprile 1892, 2. ed.,
Roma, Casa editrice libraria Il Pensiero, 1906)
c) “Io non sono veramente libero che quando tutti gli esseri umani
che mi circondano, uomini e donne, non sono ugualmente liberi:
posso dirmi libero solo in presenza di altri uomini e in rapporto
con loro. [...] Io stesso sono umano e libero solo nella misura in
cui riconosco la libertà e l’umanità di tutti gli uomini che mi
circondano. La libertà degli altri, lungi dall’essere un limite o
una negazione della mia libertà ne è al contrario la condizione
necessaria e la conferma. Non divengo veramente libero se non
attraverso la libertà degli altri, così che più numerosi sono gli
uomini liberi che mi circondano, più profonda e più ampia è la
loro libertà, più estesa e più profonda e più ampia diviene la
mia libertà. Io intendo quella libertà per cui ciascuno, anziché
sentirsi limitato dalla libertà degli altri vi trova al contrario la
sua conferma e la sua estensione all’infinito”.
(M. Bakunin, Dio e lo Stato, 1870)
Per conquistare la libertà dobbiamo ribellarci contro un potere che
domina con gli uomini, con i costumi e le usanze, con la massiccia
pressione dei sentimenti, dei pregiudizi e delle abitudini; la sua
azione è molto più potente di quella dell’autorità dello Stato.
( M. Bakunin, Dio e lo Stato)
36
d) “La voglia di distruggere qualsiasi autorità non è il risultato di
un impulso irrazionale, ma è la manifestazione di una naturale
passione per la libertà che rimbalza dalla profondità delle nostre
anime”.
(M. Bakunin, Stato e anarchia)
3 | L’IMBONITORE (LA RELIGIONE)
“Innanzi tutto sarà bene chiedere di quale religione si parli.
Forse di quella che promette il paradiso cristiano e minaccia,
bambinescamente, le fiamme dell’inferno, (come ai bimbi buoni
o cattivi si promette lo zuccherino o lo scapaccione) e che fa
consistere tutto lo stimolo alle opere buone nella speranza
usuraia o nella paura infantile di godere o di soffrire... nell’altra
vita!”
(da: Scienza e religione, Conferenza tenuta il 14 luglio 1896 a
Paterson negli Stati Uniti d’America,)
“le religioni rivelate predicano tutte la rassegnazione e l’ubbidienza
ad un’autorità. Che cosa è dio per la mente che crede, se non il
padrone dei padroni, il re dei re di tutto l’universo? Il vero
anarchico dunque non può non sentire il bisogno di ribellarsi
innanzi tutto, coscientemente, a questa autorità fantastica
che violenta la sua individualità, a questo essere immaginario
che gli imprigiona il pensiero e gli vieta di ribellarsi a tutte le
altre autorità ben altrimenti reali, e direttamente nocive, che
l’opprimono sulla terra dove vuol essere una buona volta libero
e felice.”
(Luigi Fabbri: “l’ideale anarchico”)
37
4 | LA VEGGENTE (L’ANARCHIA)
a) “La soluzione anarchica del problema della libertà presuppone
una soluzione socialista del problema della proprietà. (...)
I due termini, – socialismo e anarchia, – si integrano e si completano
a vicenda.
Il socialismo significa ricchezza socializzata (non divisa e spartita);
e l’Anarchia significa libera associazione delle sovranità
individuali, senza potere centrale e senza coercizione.
Immaginate una società in cui tutti i cittadini, liberamente federati
in gruppi, associazioni, corporazioni di professione, arte o
mestiere, sieno comproprietari di tutto: terre, miniere, opifici,
case, macchine, strumenti di lavoro, mezzi di scambio e di
produzione; – immaginate che tutti codesti uomini, associati da
una evidente armonia di interessi, amministrino socialmente,
senza governanti, la cosa pubblica, godendo in comune dei
vantaggi, ed in comune lavorando ad aumentare il benessere
collettivo, – ed avrete l’anarchia. Ideale.”
(Estratto da: La questione sociale e gli anarchici, in P. Gori, Scritti
scelti, vol. 1, Cesena, L’Antistato, 1968, pp. 74-76.
b) La uguaglianza sociale dunque non sarà possibile se non
allorquando tutti gli uomini saranno in possesso delle terre,
delle macchine e di tutte le altre fonti della ricchezza, e fino a
che codesta ricchezza, che è il prodotto del lavoro di tutti non
sarà posta in comune a tutti.
Questo è il comunismo. Dalla comunanza dei beni materiali
cioè degli strumenti di produzione e della produzione stessa
si svilupperà l’Armonia degli interessi dell’Individuo con
quelli della collettività secondo il principio tutti per ciascuno
e ciascuno per tutti, in contrapposto alla egoistica morale
borghese del ciascuno per sé. Dalla associazione dei beni e delle
forze di tutti deriverà l’associazione dei cuori e si svilupperà
spontaneamente un alto e diffuso senso di solidarietà e di
fratellanza sconosciuto affatto alla società borghese dilaniata
38
dalla più feroce antropofagia legale e da un’implacabile guerra
civile, che avvelena e strazia questa sedicente e moribonda
civiltà fin de siècle.
In questa pura atmosfera, in luogo della famiglia chiusa, egoistica
dell’Oggi, crescerà serena e felice, la grande famiglia eguali e
dei liberi, la famiglia di cui sarà membro ugualmente amato
ogni uomo, ogni cittadino del mondo; e le nuove generazioni
cresceranno rigogliose ed affratellate, non come oggi frutto
tisicuccio e malsano di freddi amplessi, di calcolati ed interessati
contratti matrimoniali; non più come oggi prodotto anemico ed
epilettico di tristi amori e di prostituzioni più o meno legali.
Scomparso con la proprietà individuale ogni istinto di basso
interesse personale l’accoppiamento di un uomo e di una donna
non sarà più un affare nel senso moderno e mercantile della
parola. L’unione libera sulle solide basi dell’amore e della
simpatia: ecco l’unico logico vincolo sessuale, ecco la famiglia
dell’avvenire, senza la menzogna convenzionale del giuramento
civile in faccia al sindaco, o di quello religioso in faccia al prete.
(Estratto da: Pietro Gori, Socialismo legalitario e socialismo
anarchico, conferenza tenuta in Milano al Consolato operaio il
4 aprile 1892, 2. ed., Roma, Casa editrice libraria Il Pensiero,
1906)
6 | IL CANTO DELLA PRIGIONE
Quando muore triste il giorno,
e ne l’ombra è la prigione,
dè reietti e dè perduti
intoniamo la canzone.
La canzone maledetta
che nè fieri petti rugge,
affocata da la rabbia,
che c’infiamma, e che ci strugge.
La canzon, che di bestemmie
39
e di lacrime è contesta;
la canzone disperata
de l’uman dolore è questa.
Noi nascemmo, e – fanciullini,
per il pane abbiam lottato,
senza gioia di sorrisi,
sotto un tetto sconsolato.
Noi soffrimmo, e niun ci volse
un conforto, o porse aìta,
niuno il cor ci ritemprava
a le pugne de la vita.
Noi cademmo – e, giù sospinti,
rotolammo per la china–
supplicammo, e de li sdegni
ci travolse la ruina.
Or, crucciosi e senza speme,
qui da tutti abbandonati,
maledetto abbiamo l’ora
ed il giorno, in che siam nati,
Ma su voi, che luce e pane
a noi miseri negaste,
e – caduti sotto il peso
de la croce – c’insultaste;
sopra voi di questo canto,
che ne l’aura morta trema,
come strale di vendetta,
si rovescia l’anatèma.
Penitenziario di S Giorgio, 20 Settembre 1890
(da Pietro Gori, “Prigioni e battaglie”, 1891)
7 | IMPUTAZIONI DI GORI
“Sentite. Il mandato di cattura fu spiccato (oh infame gergo curiale)!
dall’ecc.mo signor giudice istruttore presso il Tribunale di
Livorno il 12 Maggio 1890, in virtù dell’art. 190 e 63 del Codice
40
Penale Italiano e relative disposizioni di coordinamento, e col
pretesto di un’altra mezza dozzina di reati, più o meno politici,
che mi si attribuivano. L’arresto avvenne nella notte stessa.
Il processo circa tre mesi dopo. Eravamo quindici imputati di
ribellione, eccitamento allo sciopero, al solito odio fra le classi
sociali ed altre simili diavolerie, rappresentate da una filza di
articoli di quell’aureo trattato di moralità ch’è il codice delle
pene. Io poi, col vantaggino di rincalzo che mi innalzava all’onore
di capo e promotore della grande manifestazione operaia del 1°
Maggio in Livorno; ciò nella pia intenzione dell’accusa di farmi
regalare qualcosellina di carcere, più degli altri, come supposto
istigatore – causa morale dicono loro – della rivolta contro la
polizia”.
(dalla prefazione a: Pietro Gori, “Prigioni e battaglie”, 1891)
8 | DESCRIZIONE DEL CARCERE DEI DOMENICANI
DI LIVORNO
1) “I Domenicani. - È un vasto, non bello, edifizio che apparteneva
un tempo ad una frateria dell’ordine di S. Domenico. Ora le celle
degli anacoreti sono diventate le segrete del carcere giudiziario
livornese - e del vecchio monastero non avanzano che il
gigantesco crocifisso di legno che troneggia, funebre, di faccia al
gran cortile, la chiesa, alta e vasta, dai cui finestroni salgono ai
reclusi gli odori dell’ incenso e l’uggia stranamente poetica delle
salmodìe, di qualche tardo fraticello, che biascica, nei dì festivi,
la messa nella cappella del carcere. In compenso vengono su
dalle inferriate, tra il rumore di una catena ed il cigolìo di una
manetta, e ascendono, a volute larghe nell’aria, i ritornelli delle
nuove canzoni della piazza, con qualche intermezzo di moccoli
toscani.
La Sveglia. - In tutte le carceri di Italia l’ufficio di dare i segnali
-sveglia, minestra, aria, medico, silenzio -è assegnato alle
campanelle. La sveglia nel carcere, manco a dirlo, obbliga
41
il detenuto a saltare dal pagliericcio e a dar sesto alla cella-a
fare la pulizia, per dirla con gergo carcerario. L’ultima terzina
del sonetto allude alla consuetudine del saluto mattutino tra
i carcerati, tollerato solo nel carcere giudiziario di Livorno, a
causa del carattere ribelle del buon popolo livornese, a dirittura
refrattario a tutto quanto sa di disciplina e di regolamento.
La Fruga. - Sentii dare questo nome caratteristico alle perquisizioni
che settimanalmente ed all’improvviso, in un giorno qualsiasi,
vengono praticate nella cella e sulla persona del detenuto. È
una vera e propria fruga. Nel carcere dei Domenicani son sette
od otto le guardie guidate dall’ormai classico Bondi - un vecchio
secondino che conosce non so quante mai generazioni di grandi
e piccoli criminali suoi concittadini - che vengono incaricate
di tale spinosa incombenza. Nulla sfugge all’occhio scrutatore
del vecchio guardiano, nè il più piccolo frammento di matita
nascosto in una midolla di pane, nè il più breve stornello o il più
microscopico viva od abbasso, tracciato in un angolo di muro.
Il Transito. - Le celle terrene del Carcere Giudiziario di Livorno
sono riserbate alle ciurme dei forzati, che a ondate lugubri e
periodiche riempiono di passaggio i Domenicani, avanti di
riversarsi nelle varie colonie penitenziarie dell’arcipelago
Toscano e nei diversi bagni penali della costa. Questo passaggio,
questo flusso e riflusso sinistro di carne bollata dalla legge,
nel linguaggio ufficiale del carcere prende un nome unico e
comprensivo -transito. Il quale nome per traslato si adopera
anche per indicare gli androni oscuri, in cui quella misera carne,
che passa, viene gettata a rifascio nei giorni di sosta. Questo
triste flusso e riflusso avviene, per lo più, sull’alba o sul far della
notte.“
(da: Pietro Gori, “Prigioni e battaglie”- note di Pietro Gori ai
propri testi poetici)
2) LA FRUGA
Di tratto in tratto, quando in ciel l’aurora
le plaghe benedette d’orïente
di luminosa porpora incolora,
42
ne la cella romita, ecco, repente,
di guardiani uno stuol, che lungamente
per ogni verso la stanzetta esplora....
Poi sul recluso, minuziosamente
rifruga, trattol de la cella fuora.
Un giorno un bocconcino di matita
n’hanno trovato in dosso – era la mia
buona compagna, a cui l’inaridita
vena fidavo de la pöesia....
fin quella gioia m’è stata rapita,
fin quel conforto mi han portato via!
Carcere dei Domenicani, 24 Maggio 1890
(da: Pietro Gori: “Prigioni e battaglie” 1891)
9 | NOSTALGIA
Passan le nubi nere,
portate via dal vento,
su le mura severe
de l’antico convento
passan le nubi nere.
Dietro un vecchio forzato
cigola la catena
triste, come il suo fato;
stride come una iena
dietro al vecchio forzato.
Come passero stanco
una mesta canzone
su pel cortile bianco
vola de la prigione,
come passero stanco.
È la pace del chiostro,
solenne accidïosa,
sovra l’ibrido mostro;
43
sovra il cor, che non posa,
è la pace del chiostro.
Ci son le inferrïate
tra i desideri e il mondo;
tra le braccia levate
ed il cielo profondo
ci son le inferriate.
Ma il pensiero va via,
sprezzando la muraglia;
l’afflitto corpo espìa
la perduta battaglia,
ma il pensiero va via.
E fugge, e fugge, e fugge
via per plaghe lucenti.
De la brama, che rugge,
assopisce i tormenti,
e fugge, e fugge, e fugge.
Livorno- Carcere dei Domenicani, 3 Giugno 1890
(da “Prigioni e battaglie”, 1891)
10 | “IL VOSTRO ORDINE, IL NOSTRO DISORDINE”
“Quando il potere legislativo ed il governo accettano e soddisfano
sotto forma di legge o di decreto qualche nuova domanda sorta
dalla coscienza pubblica, – ciò è sempre in seguito a reclami
innumerevoli, ad agitazioni straordinarie, a sacrifici non
indifferenti del popolo. E quando i governanti si sono decisi a
dire di sì, a riconoscere un diritto nei loro sudditi, e, mutilato
ed irriconoscibile, lo promulgano nelle carte, nei codici, quasi
sempre quel diritto è già sorpassato, l’idea è già vecchia, il
bisogno pubblico di quella tal cosa non è più sentito; e la
nuova legge serve allora a reprimere altri bisogni più urgenti
che si affacciano, che devono attendere di essere sterilizzati,
ipertrofici, prima di essere riconosciuti da una legge successiva.
44
Chi ha studiato e osservato con passione i parti curiosi e bizzarri
del genio legislativo, le leggi passate e le presenti, resta sorpreso
dalla frode sottile che riesce a gabellare per diritto il privilegio,
per ordine il brigantaggio collettivo, per eroismo il fratricidio
della guerra, per ragione di stato la conculcazione dei diritti e
degli interessi popolari, per protezione degli onesti la vendetta
giudiziaria contro i delinquenti, che, come dice Quételet, non
sono che gli strumenti e le vittime nel tempo stesso delle
mostruosità sociali.
Ora, noi, che tutti questi mali, causa ed effetto insieme di tanta
infamia e di tanti dolori, vogliamo combattere per abbattere
tutto ciò che ostacola il trionfo della giustizia, noi siamo chiamati
fautori del disordine.”
(Estratto da: Pietro Gori, Il vostro ordine e il nostro disordine,
conferenza tenuta il 15 marzo 1896 alla Bersaglieri Hall di S.
Francisco California, USA, 2. ed., Roma-Firenze, F. Serantoni,
1905)
12 | GUERRA ALLA GUERRA!
“...Ci sono anche guerre giuste, e sono quelle che esercitano
una legittima difesa delle vittime contro lo sfruttamento e la
violenza, quelle, in una parola, combattute contro la guerra. […]
una guerra utile, che serva a sgretolare, rovesciare, sovvertire
quanto v’è di triste fra noi, per ricostruire domani la società
fraterna dei liberi ed uguali. […] Sia essa insomma la grande
forza rivoluzionaria che farà leva al mondo, quella che Victor
Hugo chiamò guerra giusta per l’uguaglianza e per la libertà –
la guerra al regno della guerra.”
“Quando ci si chiama senza patria sol perché vogliamo amarle
tutte le patrie e in nessuna terra vogliamo che il nostro fratello
di fatica e di dolore, la nostra sorella d’amore e di lotta, e
nessuno insomma possa chiamarci stranieri; quando si crede
45
vilipenderci con questo nomignolo dispregiativo.... ci si rende il
maggior onore a cui possiamo ardire”.
“Dicevamo dunque: Guerra alla guerra, sotto qualunque forma si
manifesti! Guerra alla guerra economica, alla guerra morale,
alla intellettuale! Guerra ad ogni forma di sopraffazione, e
facciamo largo alla civiltà nuova, basata sul gran principio
della solidarietà, solidarietà delle patrie, delle classi, delle caste,
concorrenti in un movimento uguagliatore al libero sviluppo
delle energie di ciascuno per il benessere di tutti.”
“Questa città, in cui ferve il lavorio della organizzazione economica,
in cui gli scioperi si sono succeduti agli scioperi, nei giorni di
battaglia anche la più pacifica, la meno irruenta, la più legale,
deve aver visto passare da un capo all’altro, le compagnie di
soldati mandati dal governo ad assicurare la… libertà del
lavoro. Era quello il militarismo in azione, nell’esercizio delle
sue mansioni: la difesa del privilegio politico ed economico.”
“Però, abbiamo di che consolarci! La guerra oggi ha perduto
parecchio del suo carattere primitivo; ora la guerra, secondo i
suoi apologisti, non è più selvaggia come una volta, perché è
diventata… scientifica. Quale cinismo! quale profanazione d’una
parola sacra! La guerra scientifica, e cioè, le doti dell’ingegno,
le notti insonni dello studioso dedicate al problema della
distruzione. Scienza in questo caso è sinonimo di maledizione.
Ma servitene, o uomini, della scienza, di questa benefica Dea, per
strappare i suoi segreti alla natura, per dar vita alle macchine,
la forza al carbone, per rendere l’elettricità produttrice di
ricchezza, – ristorare i tendini rilassati delle pecchie umane
nella fatica del lavoro quotidiano; servitene per tagliare le
montagne, per irrigare le valli, per rendere l’aria salubre, per
allacciare fra di loro i popoli stringerli in un patto fraterno di
solidarietà e di collaborazione, affinché procedano insieme alla
conquista del progresso e della felicità.
Fate della scienza uno strumento di civiltà, – non di distruzione e
morte!”.
46
“Attaccandosi all’ultimo rasoio, bruciando l’ultima cartuccia, col
recitare il classico licet vim repellere vi, i guerrafondai parlano
gesuiticamente di difesa del territorio nazionale, del suolo natio,
della patria. Ma qual patria, di grazia?”
“Così, ripetendo quanto abbiamo detto finora, noi non possiamo
che riassumere le nostre parole in un grido, che sia a un tempo
maledizione, promessa ed auspicio d’una era nuova, in cui non sia
bandita la lotta feconda, la benefica contesa nel campo dell’arte,
della scienza e dello esplicarsi multiforme della vita quotidiana,
– ma sia bandita per sempre la lotta sanguinosa e fratricida
perpetua dai potenti per bramosia di dominio, per monopolio di
potere sul gregge umano, che altre vie non conosce all’infuori di
quelle dell’ovile e del macello: «Guerra alla guerra!».
(Estratto da: Pietro Gori, Guerra alla guerra!, Conferenza tenuta il
18 ottobre 1903 nel Politeama Alfieri in Genova, 2. ed., Firenze,
Roma, F. Serantoni, 1904)
13 | PRIMO MAGGIO 1893 NELLE CAMPAGNE PISANE.
Primo Maggio del ‘93, fiero numero dall’aspetto giacobino, come
ti ricordo soavemente, sul gran quadro verde della campagna di
Pisa, col saluto lontano delle Alpi Apuane!...
Rivedo i contadini, venuti dai paeselli d’intorno a sentir la predica
del diavolo, come aveva detto il parroco la domenica innanzi
dall’altare, minacciando le pene dell’inferno a chi fosse andato
a sentirlo.
Ma appunto perché la gente ha ragione di voler vedere com’è
fatto il diavolo, di gente non ne mancava, e neppure carabinieri
accorsi a rendere gli onoro militari al popolo sovrano, con tanto
di pennacchio e squadrone.
Il giovine pallido che io conosco fin dalla nascita, era lì tra quei
contadini, come in famiglia. C’erano dei vecchi lavoratori dei
campi, sul cui viso erano tutte le traccie della ruina delle bufere
47
passatevi sopra, le piogge, i venti durante le sementa, i calori di
fuoco durante la raccolta consolatrice; tutto un poema d’amore e
di dolore per darci il pane. C’eran dei giovani, sul cui viso i primi
vent’anni di fatiche e di sacrificio non avevano che accentuato
i lineamenti della fiera e mite bellezza toscana, aggiungendovi
una espressione di baldanza secolare, perchè dentro quei petti
ampi e forti già serpeggiava la febbre del meglio, nella coscienza
nascente del furto colossale che dall’ozio impinguantesi si stava
commettendo sul lavoro affamato.
E tutti, giovani e vecchi, ascoltavano la predica del pallido demonio,
come il parroco lo aveva chiamato. E ad essi ormai non pareva
più così mostruoso, come lo avevano dipinto. E trovavano giuste
le sue ragioni: giacché era vero, come egli diceva, che per loro
l’inferno ci era già sulla terra, dove pure essi, i lavoratori,
avevano fabbricato per altri il paradiso: ed era giusto, per dio,
esigere un po’ di paradiso al di qua,- giacché dall’al di là della
vita nessuno era tornato a dire che cosa ci fosse di positivo.
E il pallido diavolo parlava con una fede che essi, i poveri contadini,
non avevano mai incontrata nel prete.
E quando il discorso fu terminato, tutta quella gente volle stringere
la mano, e qualche vecchio perfino abbracciare, e piangendo,
quello sconosciuto, il quale non aveva detto dopo tutto che
verit buone e sante. Ancora una volta il diavolo ha vinto..disse
melanconicamente il parroco dall’altare, alla messa solenne
della domenica dopo.
(P. Gori, Pagine di vagabondaggio)
14 | ODIO
Va, ribelle pensiero, in mezzo agli uomini
e sciogli il triste canto,
il singhiozzo feral, che non ha lacrime,
e che non vuol rimpianto.
48
Tu nel cospetto del morente secolo
canta la benedetta
strofa de l’odio; sarai tu l’assiduo
tarlo di mia vendetta.
Maledetta la patria! De le misere
plebi madrigna infame,
bollata in fronte da lo stigma tragico
dei morenti di fame.
E maledetto iddio! Bieca fantasima
di menti päurose,
puntello antico di vecchie tirannidi
da la marèa corrose.
E maledetta la virtù! L’ipocrita
iridiscente vesta,
onde si cela la viltà magnanima
de la canaglia onesta.
Maledetto l’amore, che nei fulgidi
voli del mio pensiero
vindice vidi, e dei redenti popoli,
immortal cavaliero!
Sia maledetta la mia fè! L’indomita
speme ne l’avvenire;
maledette del cerebro, che palpita,
l’entusiastiche ire!
Maledetto chi opprime, e su l’anonima
folla sospinge il piede!
maledetto chi sente, e geme, e lacrima!
maledetto chi crede!
Maledetti gli oppressi! I turpi, i trepidi
da la dimessa voce,
che senza una bestemmia e un urlo strisciano,
vili, sotto la croce!
Sotto la croce eterna del martirio,
proni a un idol già morto,
sbattuti dal furor de la miseria
senza speme o conforto!
49
O mondo! da l’erèmo solitario,
in cui giaccio obliato,
ed ove mi hanno i tuoi marosi torbidi,
incolpevol, gittato,
su te mi levo, e strappo la tua maschera,
o lenòne impudico,
e mentre l’odio tuo final te lacera,
io, vil! ti maledico.
19 Giugno 1890
(da: Pietro Gori, “Prigioni e battaglie”, 1891)
16 | DIALOGO GORI - CASERIO
“Nacque a Motta Visconti, gaio villaggio della Lombardia, da una
buona famiglia di lavoratori. Prestissimo dovette affrontare la
lotta per il lavoro e per il pane quotidiano. Per ciò si risolse
ad abbandonare la mamma che adorava e da cui era adorato,
e spingersi nel mare burrascoso della vita, in cui si trova a
dover navigare perpetuamente ogni lavoratore. Lasciò allora
Motta Visconti, ed abbandonò altresì le illusioni mistiche di
fanciullo, distrutte presto dalle dure realtà della vita. In Milano
si occupò come panettiere nel forno Tre Marie e vi lavorò
con zelo e infaticabilmente; e quivi si trovò più direttamente
innanzi lo spaventoso sfruttamento legale del lavoro da parte
dei parassiti del capitalismo; e constatò le ingiustizie sociali e
la violenza d’una classe che non produce nulla, contro l’altra
che col suo sangue e sudore crea la ricchezza dè suoi padroni
e solo, come unica ricompensa delle sue fatiche, raccoglie
miseria e disprezzo. Fu per questo che Sante Caserio divenne
anarchico. Quando fui la prima volta a Milano, Sante Caserio
era già un anarchico entusiasta, e ricordo ancora la profonda
impressione che mi fece quando fummo presentati. Si era ad
un comizio di lavoratori, ed egli andava intorno distribuendo
opuscoli e giornali rivoluzionari. La vita brevissima di questo,
giovane, – aveva appena 21 anni quando fu ghigliottinato – è
50
stata ripetutamente esaminata a traverso le lenti del dispetto e
dell’odio, prima dalle polizie italiane e francese unite insieme,
poi da una caterva di impostori bugiardi, i giornalisti borghesi,
pagati dai conservatori del cosiddetto «ordine» pubblico. Ciò
nonostante, questi disgraziati non potettero non giungere a
una conclusione, all’assicurazione cioè che Sante Caserio era un
lavoratore di carattere buonissimo. E perfino la Scuola Criminale
tanto avversa agli anarchici si vide obbligata a riconoscere ed
affermare che il giovane panettiere era un onesto nato. Caserio
andava, nè pochi momenti di ozio, a distribuire fra gli operai
vicino alla Camera del Lavoro opuscoli e fogli di letteratura
anarchica, insieme a pagnottine di pane, che comperava coi
suoi risparmi nella panetteria dove lavorava, «perché – diceva
– sarebbe stato un insulto dare a persone dimagrate dalla fame
carta stampata, senz’altro con cui saziare lo stomaco prima di
leggere; e perché in tal modo eran capaci di capire un po’ meglio ciò
che leggevano» po’ meglio ciò che leggevano». Quando la polizia
si accorse che Sante era un entusiasta propagandista, benché
fosse timido e modesto all’estremo nel suo modo di propaganda,
cominciò a perseguitarlo. Caserio cominciò col dedicarsi alla
propaganda teorica, credendo fermamente che l’anarchismo
fosse considerato come un partito qualsiasi, forte e rispettato.
Invece si vide perseguitato per le sue idee, condannato e
imprigionato. Lavorava infaticabilmente, per riserbarsi il diritto
di rimproverare ai borghesi il loro ozio, per chiamarli parassiti,
quali veramente sono. La vigliacca petulanza poliziesca lo cacciò
di dove lavorava; ed egli si convinse ancor più che i potenti ed
i ricchi sperano tutto dalla sommissione e dalla pazienza del
popolo, cui premiano impudentemente raddoppiando contro di
lui l’opera di spogliazione e di violenza. ...Mentre tanta sete di
vendetta e di sangue ispirava l’opera della borghesia, riuscendo
così alla più pericolosa delle provocazioni, un giovanetto, espulso
dal suo paese da una stupida e iniqua condanna, incalzato
d’ogni parte delle persecuzioni della polizia, andava a piedi
per la strada che va da Cette a Lione, meditabondo, pensando
alle ingiustizie di cui era stato vittima e sopratutto alle altrui
51
sofferenze. .. Egli non aveva alcun risentimento personale
contro Sadi Carnot; ma Carnot era il rappresentante politico
della borghesia francese, per conto della quale aveva firmato il
decreto di morte dei ghigliottinati di Parigi.
(Pietro Gori “In difesa di Sante Caserio”)
17 | CANTO A CASERIO
Lavoratori a voi diretto è il canto
di questa mia canzon che sa di pianto
e che ricorda un baldo giovin forte
che per amor di voi sfidò la morte.
A te Caserio ardea nella pupilla
delle vendette umane la scintilla
ed alla plebe che lavora e geme
donasti ogni tuo affetto ogni tua speme.
Eri nello splendore della vita
e non vedesti che lotta infinita
la notte dei dolori e della fame
che incombe sull’immenso uman carname.
E ti levasti in atto di dolore
d’ignoti strazi altier vendicatore
e ti avventasti tu sì buono e mite
a scuoter l’alme schiave ed avvilite.
Tremarono i potenti all’atto fiero
e nuove insidie tesero al pensiero
ma il popolo a cui l’anima donasti
non ti comprese, eppur tu non piegasti.
E i tuoi vent’anni una feral mattina
gettasti al vento dalla ghigliottina
e al mondo vil la tua grand’alma pia
alto gridando: Viva l’anarchia!
52
Ma il dì s’appressa o bel ghigliottinato
che il tuo nome verrà purificato
quando sacre saran le vite umane
e diritto d’ognun la scienza e il pane.
Dormi, Caserio, entro la fredda terra
donde ruggire udrai la final guerra
la gran battaglia contro gli oppressori
la pugna tra sfruttati e sfruttatori.
Voi che la vita e l’avvenir fatale
offriste su l’altar dell’ideale
o falangi di morti sul lavoro
vittime de l’altrui ozio e dell’oro,
Martiri ignoti o schiera benedetta
già spunta il giorno della gran vendetta
della giustizia già si leva il sole
il popolo tiranni più non vuole.
(testo di: P. Gori, sull’aria della canzone popolare toscana “Suona
la mezzanotte”)
18 | PRIMO MAGGIO 1886 A KANSAS CITY
“Oh, Primo Maggio del ‘96 irradiante dall’alto del treno che mi
riconduceva alla California, di nuovo verso i paesi dell’Est,
attraverso le pianure verdi dell’Arizona e del New Mexico,
dopo tanti mesi di fatica e di entusiasmo nella sementa buona
della verità; o popolosa e lavoratrice Kansas City, metropoli
delle solitudini centrali nord-americane, ove alla sera risentii il
fremito cosmopolita dei lavoratori, convenuti senza distinzione
di razza, di lingua o di colore, a udir la parola che tutti intendono
- in quale idioma sia detta - gli aspettanti, gli oppressi della terra.
Il pellegrino, più pallido ancora portava l’augurio dei fratelli
disseminati dall’Atlantico al Pacifico, il saluto degli sconosciuti
eroi intenti a costruire con brandelli della vita loro, il più grande
53
edifizio di tutte le civiltà umane; quello della scienza e del lavoro
associati, nella fatica, non ancora però nel godimento comune
del frutto loro.
Rivedo la grande notte stellata sul fiume serpeggiante per le
buie distese del Kansas; riascolto, ripetuto con l’accento dei
più svariati idiomi, il ritornello d’un ormai vecchio canto
d’esilio, ch’io non ho amato se non da quando sentii per esso
ripercuotermi dentro gli echi di tante cose vissute e di tanti
ricordi risollevati a tumulto; riafferro nella reminiscenza del
coro con unanime slancio cantato da quegli uomini, sì diversi
e pur sì affini nei propositi - la bizzarra cadenza e la singolare
espressione di pianto che vi dava un gruppo di lavoratori dal
colore di bronzo antico, ultimo rudero umano della bella e libera
schiatta di cavalieri delle praterie settentrionali, dispersi dalla
rapace conquista degli uomini pallidi, venuti d’oltre mare. Ed
anche quelle voci lamentose della razza vinta si mescolavano a
quelle dei vincitori venuti d’oltre Oceano, vinti essi pure nella
mischia sociale da negrieri meno forti,ma più astuti. E tutte
quelle voci unite lanciavano nei silenzi della notte stellata il
ritornello del lavoro, sfruttato ingordamente da un capo all’altro
del mondo, il ritornello di un’allegra vendetta di esilio: Nostra
patria è il mondo intero.
Il cinematografo delle ricordanze, quanto più queste si fanno
prossime, più rapidamente mi passa innanzi agli occhi, assorti
nel passato.”
(P. Gori, Pagine di vagabondaggio)
22 | PRIMO MAGGIO 1898 A MILANO
“Il Maggio del ‘98 nasceva, come un’altra alba sanguigna di
minaccie e di sdegni, perché l’obliquo governo d’Italia aveva
escogitato un nuovo balzello affamatore, di cui già sentivansi
le conseguenze nel repentino rincaro del pane. Un soffio di
54
rivolta già veniva dal mezzogiorno della penisola, dove petti
e bocche plebee urlanti, se non in nome d’ideali, in nome
però delle sacrosante ragioni del ventre, erano stati sfamati
con abbondanti razioni di piombo soldatesco – ed una febbre
d’irritazione, sordamente serpeggiava per tutti gli strati sociali,
contro questi metodi scellerati di dominazione.
In questa angoscia cupa che precede le catastrofi, simile alla
plumbea tristezza che preannunzia i cicloni sul mar delle Indie,
spuntò il Primo Maggio – ma anche il bel cielo, dal celebre
sorriso di azzurro e di sole, era livido quella mattina, e sudicio
di nuvolaglie.
Milano, la grassa e pur nervosa ed insofferente lavoratrice, si era
destata con un tedio indefinibile ed inconsueto alla sua gaiezza
– ed i fatidici alleluia operai alla pasqua del lavoro avevano
quell’anno, come un’intonazione fioca di presaga malinconia.
La reazione adergeva la occhiuta cervice, codarda e feroce: sopra
la moltitudine operaia inneggiante al sacro, al più alto simbolo
umano che da menti umane abbia spiccato il volo lungo il ciclo
della storia.
Il giorno innanzi un omuncolo, basso di corpo e di anima, che
rivestiva in Milano l’ufficio di capo della polizia politica (come
chi dicesse il commissario della sezione III nel poliziottismo
russo) mi aveva fatto chiamare in questura – per ricordarmi con
un fare tra il paterno e il gentilomesco, che il ministero tollerava
la mia presenza in Italia a condizione di non parlare e di non
scrivere affatto di cose politiche né in pubblico né in privato
giacché la mia era semplicemente una libertà condizionale, che
il vegliante governo poteva ricommutare in domicilio coatto,
alla minima imprudenza della mia lingua o della mia penna e
che all’indomani si sarebbe raddoppiata la vigilanza alla mia
persona – questo, s’intende, senza per nulla diminuire la stima
e la considerazione che quell’arnese assicurava sentire per me.
Infatti all’alba, come potei constatare dalla finestra, i miei non
alati custodi eransi duplicati innanzi all’uscio di casa; ed al mio
55
uscire, salutandoli con un’occhiata ineffabile, significai a quel
semiplotone di poliziotti, in abito da galantuomini, tutto il mio
alto gradimento per quella solenne e fedele scorta d’onore, o più
propriamente guardia del corpo.
Ah, quell’appendice quadrupla di esseri umani, chi me la toglie
dagli occhi della memoria; chi mi persuade non essere ancora
qui, fedelmente alle mie calcagna?...
La trascinai a rimorchio, come codazzo di gloria, attraverso la
città, tra i capannelli di operai, che io salutava in silenzio: non
c’era bisogno che mi voltassi per vedere se essa eseguiva la
consegna: quegli orecchi eretti e spalancati alle onde sonore in
busca di qualche complotto li sentivo alle mie spalle – quegli
occhi sbarrati sulla rivoluzione, che avrebbe dovuto sbocciare
dal mio io, li vedevo distintamente, anche senza guardare, nel
rumore dei loro passi cadenzati, eloquenti, indubitabili, che
costituiscono tutta l’antropometria di codesta gente. E si parla
della fedeltà dei cani!... Chi non ha provato l’attaccamento dei
segugi della polizia politica italiana, ignora che cosa voglia dire
codesta parola.
Ma, sulla notte, i poverini erano stanchi – ed io non potevo più
abusare della loro cortese compagnia.
Ad un luogo stabilito un compagno passò di volata su di una
bicicletta, traendone un’altra a mano per me. Vi salii – dando
buona notte alla scorta: fu quella la mia prima e ultima parola,
a cui i disgraziati non ebbero fiato di rispondere, mentre il loro
naso sta allungandosi tuttavia.
Ci trovammo, a notte inoltrata, dopo una corsa pazza a traverso i
suburbi popolosi, in una casetta solitaria, ove con altri compagni
condannati come me al silenzio, trascorsi in famigliarità
intima le ore notturne dell’ultimo primo Maggio passato su
terra italiana, - prima che la bufera delle tragiche giornate di
quel Maggio luttuoso gettasse Milano in braccio alla reazione
militaresca e me cacciasse di nuovo per le vie dell’esilio.”
(P. Gori, Pagine di vagabondaggio)
56
23 | LA VERBENA ANARQUISTA
testo originale di canzone anarcosindacalista argentina del 1905.
24 | “RIBELLE PENSIERO” CANZONE FINALE
libero adattamento della poesia “Odio” - vedi testi di P. Gori
precedentemente riportati n. 14.
25 | SOGNO
Correa la nave sotto il plumbeo cielo
con le ampie vele squarciate dal vento,
e l’urlo immenso d’un oceano ignoto
salìa ne l’aria.
Su l’albero maestro una bandiera
- rossa tra lembi neri – sventolava
sanguigna sotto i lampi, e glorïosa
sfidante il nembo.
La prora, flagellata dai marosi,
si profondava ne la spuma bianca,
e tendea – come l’ala de l’alcione –
a la riviera.
Ed io figgea gli sguardi ne la bruma
del mar, solenne sotto la tempesta,
e intravedevo i lidi desïati
su l’orizzonte.
Giungemmo. Su le rive era un tripudio
di fanciulle, di bimbi, e di vegliardi –
fioritura gentile in una mite
gloria di sole.
Tutto un popolo libero e fecondo
brulica innanzi al mare, e l’uragano
fugge al conspetto de le liete spiaggie –
remotamente. –
57
Di opifici, di scuole, d’Atenei
per le ampie vie si leva la superba
mole, quasi a tutela de le quete
casette bianche.
Ne la gran pace l’inno del lavoro
stringe in sue spire gli operosi, e ascende,
e ascende, e ascende. C’è per tutti il sole,
per tutti il pane.
Son felici le spose e miti i lacci
del core, e salde di virtù le tempre,
fertili i campi, li uomini fratelli,
legge: l’amore.
Non servi o parassiti, non sicarî
del pensiero – la luce ne le menti,
nei muscoli la forza – in fondo al core
la pöesia.
Sui campi nasce – presso a’ fiori – il pane
e sale il fumo de la vaporiera;
nei tempi antichi – sopra i vecchi eêi –
l’arte risplende
.......................
Ahi, la dolce visione è dileguata
nel pio raggio di sole, che m’investe;
mentre echeggia la diana del mattino
per la prigione.
Carcere dei Domenicani, 15 Luglio 1890
(da “Prigioni e battaglie”, 1891)
58
Appendice - altre fonti
15 | CESARE LOMBROSO SUGLI ANARCHICI E SU
SANTE CASERIO
“Un giudice, l’egregio avvocato Spingardi, che mi ha fornito molti
materiali per questo studio, mi diceva: « Per me non ho mai
visto un anarchico che non fosse segnato o zoppo, o gobbo, con
faccia asimmetrica ».”
“Descrizione di Monges. Ha statura media (1,67), costituzione
vigorosa, temperamento neuropatico, pelle bruna, pelo
abbondante, nero, leggermente increspato; barba lunga, nera,
iride nera più chiara; fronte alta, sfuggente, asimmetrica;
cranio mediocremente sviluppato, brachicefalico, leggermente
obliquo con plagiocefalia sinistra anteriore, faccia larga, bassa
(cameprosopia); zigomi prominenti, bocca grande, labbra grosse
e rovesciate in fuori ; varie cicatrici d’antica data sulla faccia,
due delle quali dovute a cadute negli accessi epilettici. 11 sonno
è breve e alterato da sogni tristi e spaventosi.”
“Gergo. — E che siano spesso criminali, lo dimostra l’uso del gergo,
e del gergo speciale ai criminali. Basta leggere la collezione dei
loro canti e il giornale loro
Tatuaggio. — Nè vi manca quel segno così frequente del reo nato,
che è il tatuaggio. Nei moti anarchici di Londra nel 1888 un
testimonio oculare notava fra i dimostranti il gran numero di
tatuati, il che vuol dire di criminali.
Senso etico. — La loro criminalità ben risulta, poi, dalla mancanza
generale di senso morale, per cui loro pare semplicissimo il
furto, l’assassinio, quegli atti che a tutti paiono orribili.
Liriche. — Un’altra prova ne è l’abuso di quelle liriche ciniche in
gergo, che son comuni ai veri criminali-nati. (seguono esempi di
canzoni francesi).”
“Ciò che ci colpisce a prima vista nella fisionomia di Ravachol è la
59
brutalità. La faccia, che presenta un’asimmetria spiccatissima,
si distingue per un’enorme stenocrotafia e per la esagerazione
degli archi sopraciliari, pel naso deviato molto verso destra, le
orecchie ad ansa e collocate ad altezze differenti, ed infine per la
mascella inferiore enorme, quadrata e sporgente, che completa
in questa testa i caratteri tipici del mio delinquente-nato.
Bisogna aggiungervi un difetto di pronunzia che molti alienisti
considerano come un frequente segno di degenerazione Quanto
alla sua psicologia essa risponde in tutti i punti alle lesioni
anatomiche.”
“La connessione costante della criminalità congenita coll’epilessia
(1) ci spiega la frequenza nei rei politici di quei casi che chiamerei
di epilessia e di isteria politica.”
“Pazzi. Nè mancano quelli á cui la pazzia geniale funge da fermento
e da genio...”
“Mattoidi. Né mancano fra gli anarchici i mattoidi, che già nel
“Delítto politico” ho mostrato così frequenti nelle rivoluzioni
e nelle ribellioni; e che sono così difficili a diagnosticarsi
perché i loro caratteri sono negativi, senza anomalie notevoli
fisionomiche o craniane, senza delirii spiccati, circoscritti
sempre nelle città, anzi nelle grandi città, fra maschi, con senso
morale spesso ben conservato, con esagerato perfino il senso
dell’ordine, con amore per la società che va fino all’altruismo.
L’ intelligenza non offre notevoli anomalie; possono essere di
una notevole furberia e abilità nella vita pratica, per cui alcuni
riescono medici, deputati, militari, professori, consiglieri di
Stato.
E mancano di complici. Non s’aguatano. Non preparano alibi. Non
dissimulano, né sconfessano il reato.”
“Rei per passione. — Caserio. Ma una parte pur grande in questi
delitti l’ha il fanatismo economico, o sociale, la violenta passione
che può per eccezione innestarsi e confondersi alla criminalità
— ma che spesso è isolata e pura; anzi io ho dimostrato nel mio
Delitto politico, che questi rei per pura passione sono, per la loro
60
onestà, l’opposto, l’antitesi dei criminali-nati. Prima di tutto essi
hanno non solo mancanza di tipo criminale, ma una fisionomia
bellissima, direi quasi anti-criminale, per la larghezza di fronte,
ricchezza di barba, lo sguardo mite e sereno.
Atavismo. — Molti hanno ereditario il fanatismo politico o il
misticismo;
Psiche. — Essi sono il modello, l’esagerazione dell’onestà.”
“Caserio. — Caserio è un mirabile esempio di questa forma.
Ha 21 anni, è di Motta Visconti. La sua famiglia si compone
di padre, madre e di otto fratelli, tutti sani, di cui il Sante è
il penultimo nato. Suo padre era contadino e faceva anche il
barcaiuolo sul Ticino; era un eccellente uomo, un galantuomo a
tutta prova, nato nel 1836 ed è morto nel 1887. Da giovinotto,
nel 1848, dagli Austriaci che guardavano il confine del Ticino
era stato arrestato e rinchiuso nella chiesa di San Rocco come
contrabbandiere. Pare che gli Austriaci lo abbiano minacciato
di morte, e il poveraccio ne provò tale uno spavento, che da quel
giorno venne spesso preso da insulti epilettici; però all’epilessia
sorta in lui a 12 anni doveva aver contribuito una tendenza
ereditaria, forse pellagrosa — perché di pellagra maniaca
furono affetti due suoi fratelli, zii del Caserio, degenti tuttavia
a Mombello — e la pellagra fa strage a Motta Visconti ove io
molti n’ebbi in cura quando ero a Pavia.
Quanto alla fisionomia, come si vede da questo ritratto, che
l’Illustrazione Italiana (giugno 1894), a cui lo debbo, tolse da
fonte sicurissima, non ha nulla del tipo criminale, salvo la
scarsezza di barba, l’orecchio sessile, e gli archi sopraccigliari
molto sviluppati: ha occhio dolce, mite, bellissime forme del
cranio e del corpo, salvo un neo al braccio. Dalle poche notizie
che si hanno pare che la criminalità sua si sfogò tutta nella
politica: non risulta infatti che da giovinetto abbia manifestato
tendenze criminose, salvo il vagabondaggio e il bisogno di
abbandonare la casa, che è raro in quel paese dove l’uomo è così
attaccato alla terra.
61
Nelle sue lettere scrive con caratteri comunissimi quanto concerne
lui, la famiglia, ecc. — ma quando parla dell’anarchia, o delle
persecuzioni politiche, come della Spagna che fucila i suoi
compagni, il carattere diventa enorme, la parola anarchia o
Spagna occupa mezza riga : e questo è uno dei caratteri degli
isterici e degli epilettici (macrografia).”
“Il primo carattere dei delinquenti per passione è l’onestà, un’
onestà portata talvolta fino all’eccesso e 1’ eccessiva iperestesia
(sensibilità ai dolori proprii e altrui).
Altruismo. Ma qui sorge pel psichiatra e il socialista uno strano
problema. Com’è che in costoro, pazzi, criminali pur quasi
tutti, e nevrotici ed anche fervidi passionali, spicca così grande
l’altruismo che non si trova nel comune degli uomini, e meno
ancora nei pazzi e nei criminali, i più tristi egoisti del mondo ?”
“Per spiegare questa contraddizione di due sentimenti opposti,
l’altruismo e la crudeltà :
L’isteria, che è la sorella dell’epilessia e si lega similmente a perdita
dell’affettività, ci mostra ancora spesso, accanto all’egoismo
esagerato, altre tendenze d’altruismo eccessivo, che ci provano
come questo non sia spesso che una variante della follia morale.”
“Sono affetti da Neofilia rifiuto dello stato presente e isterico
amore per il rinnovamento”
“La topografia come lo studio cronologico delle rivolte in quattro
secoli in Europa mi mostra in modo sicuro che nella stagione e
nei paesi caldi si trova il numero maggiore di rivolte.”
“Vi sono, è vero, due notevoli eccezioni: la Svizzera e l’Irlanda, che
danno rivoluzioni in rapporto contraddittorio colla posizione
geografica; ma per - la Svizzera ciò deve dipendere dalla
molteplicità dei Governi cantonali e dalle frequenti mutazioni
di Costituzione
per l’Irlanda, poi, dalle tristi condizioni politiche e sociali, poiché
ad essa, al di fuori della rivoluzione, non restava aperta altra
via, come ben disse il Tarde, che l’emigrazione od il suicidio.
62
Anche in Russia i casi del nichilismo ci dimostrano che quando le
questioni sociali si fanno sentire potenti.”
“in linea generale il montanaro è più ribelle ed evolutivo del
pianigiano.
Luoghi concentrici. — Nei punti ove convergono le valli, ivi
convergono le popolazioni per i loro bisogni morali, politici e
industriali, e qui son pur novatrici e ribelli. Il florido sviluppo
commerciale e le tendenze più liberali e più larghe in tutti i
partiti di Milano è connesso evidentemente col fatto che tutte
le grandi valli delle Alpi settentrionali lombarde e piemontesi
hanno i loro assi che convergono a Milano più che altrove: “
“Razze. — E vi pure l’influenza etnica. Dallo studio delle votazioni
e delle rivoluzioni di Francia io ho potuto dimostrare che
i dipartimenti con prevalente razza Ligure o razza Gallica
diedero il massimo dei ribelli, mentre quelli con razza Iberica e
Cimbrica ne diedero il minimo. E v’hanno paesi, come Arluno,
Livorno, con notoria costante tendenza ribelle.”
(Stralci da “Gli anarchici” di Cesare Lombroso, 1894)
21 | CESARE LOMBROSO SU LA BICICLETTA COME
STRUMENTO DEL CRIMINE
“Ogni nuovo meccanismo, che entri nei congegni della vita umana,
aumenta le cifre e le cause della delinquenza come della pazzia;
così la elettricità e il magnetismo si sostituirono alle azioni
diaboliche nei deliri persecutori dei paranoici ed entrarono nei
nuovi strumenti e forme del crimine, come per esempio nella
grassazione preceduta dal «serrapugno elettrico» che abbatte
d’un colpo il passeggero o dal cloroformio per addormentare le
vittime di furti, dalla dinamite per aprire le casse forti. Ed erano
appena piantate le ferrovie che già si moltiplicavano i furti più
speciali ferroviari, preceduti dai deviamenti dei treni.”
“Nessuno però dei nuovi congegni moderni ha assunto la
straordinaria importanza del biciclo, sia come causa che
63
come stromento del crimine; e a tal punto che se una volta si
pretendeva (invero con un po’ di esagerazione) di trovare nella
donna il movente di ogni delitto virile nel troppo celebrato:
Cherchez la femme, — si potrebbe con minor forse esagerazione
sentenziare ora: Cercate il biciclo — in gran parte dei furti e
delle grassazioni dei giovani, sopratutto della buona società,
almeno in Italia.
Ciò può spiegarsi per molti modi: Per la enorme diffusione di questo
meccanismo, non solo come mezzo di trasporto e di sollazzo, ma
anche come amminicolo di guadagno nei record e nelle rivendite;
come occasione di maggiori rapporti ed attriti fra gli uomini, il
che ho dimostrato nel mio Uomo delinquente accrescere sempre
il delitto, tanto più quando tali rapporti si fanno maggiori
proprio precisamente in quella età, dai 15 ai 25 anni, che ha il
massimo della tendenza criminosa: e fra gli sfaccendati, e fra gli
uomini esageratamente agili che io ho anche da tempo addietro
dimostrato essere più propensi ai delitti. L’uso diffusissimo di
una macchina di un certo valore così facilmente esportabile, in
specie da quelli che sono più agili, è un incentivo ed una causa di
appropriazione indebita e di truffa, come la cambiale e il vaglia
postale telegrafico accelerando e moltiplicando il movimento del
danaro hanno reso più frequente una certa serie di truffe che
prima della loro scoperta non potevano eseguirsi e quindi non
esistevano.”
BICICLETTA CAUSA DI DELITTI
Certo è che molti giovani, per lo più della buona società, dotati o
fiduciosi di esser dotati di una grande forza muscolare e mossi
da una grande vanità di farsi presto una strada nel mondo, di
superare senza aver veri meriti gli altri, che è una delle tendenze
maggiori dei nostri tempi (e più nei giovani delinquenti); non
essendo abbastanza ricchi per avere un biciclo costoso che li
conduca ai trionfi ciclistici commettono un furto, e perfino una
grassazione con omicidio, per poter raggiungere la desiderata
gloria atletica e sportiva.
64
E a spingerveli s’arroge: che il criminale nato il più incline a codesti
delitti, all’inversa della comune degli uomini, è un neo-filo, un
antimisoneico, e perciò ha una passione più intensa per questo
nuovo strumento, e ne sa cavare vantaggi particolari che gli
altri né potrebbero né saprebbero, e nuove sorgenti d’orgoglio
appagato, tanto più che essendo per natura sua un nemico
del lavoro, uno sfaccendato, non ha, come certi professionisti,
il prete per esempio il magistrato il medico, dall’uso dello
strumento una fonte di possibile diininutio capitis, di danno alla
professione, e non ha quella esitazione, quel ribrezzo che hanno
gli uomini medi e specialmente le donne per uno strumento
nuovo, entrato da poco (almeno in Italia) nelle abitudini sociali.
FURTI E GRASSAZIONI PER MEZZO DEL BICICLO
“La grande mobilità del biciclo non solo facilita la sua sottrazione,
ma serve come strumento ad altri furti e reati, agevolando le
fughe e gli alibi, più che noi potessero i cavalli e le carrozze,
d’altronde tanto meno facili a procurarsi, e peggio le ferrovie
percorse dal telegrafo e vigilate.”
PSEUDO-DELITTI E DELITTI MINORI
“Accanto a questi grandi e veri delitti che si spingono perfino
alla delinquenza associata ed alla grassazione, ve n’hanno dei
minori, come quelli dei ragazzi, che spargono di punte il terreno
o forano con chiodi o con spilli le gomme, o si cacciano a bella
posta al disotto di un biciclo per farsene colpire e per domandar
gli indennizzi, o dei carrettieri brutali, specie nei paesi in cui
il biciclo appare per la prima volta, che spingono le loro bestie
contro il nuovo strumento e feriscono così colui che ne è in
sella, o viceversa dei biciclisti imprudenti che schiacciano il
passeggero distratto o mal destro.
In un paese crivellato da tasse come l’Italia, è naturale che anche
65
questo strumento ne sia colpito coll’accompagnamento delle
noie che sono sempre da noi aggiunte quale buona derrata
ai pagamenti: e tale è appunto l’applicazione di un bollo
speciale che si imprime sulla bicicletta con un anello metallico
al momento del versamento della tassa e senza cui non ne è
permessa la circolazione. Ma ecco che un forestiero entra da
paesi più felici dove non si sogna di tassare, bollare ogni cosa;
egli non ha lo sciagurato anello né il bollo; e vien subito multato
e ben inteso arrestato se s’impenna a rifiutarvisi. Ma non basta:
qualche volta un ciclista, cadendo, schiaccia il bollo, e la guardia
municipale, zelante più che intelligente, incaricata di queste
tasse, trova che vi ha tentativo di guasto al bollo, di falso, ecc. e
non solo vi sequestra il biciclo, ma vi inizia un processo.
Vero è, però, che questi bolli, queste tasse danno a lor volta adito a
una nuova specie di reato: vi hanno nelle ferrovie, nelle rivendite
in grande degli individui che staccano il bollo di una bicicletta
per rivenderlo e impiombarlo in una bicicletta non bollata; il
che spiega lo strano zelo fiscale.
Sono in gran parte codesti, come quelli dei corridori imprudenti
che gettano a terra un passeggiero, semplici reati d’occasione,
che insomma non sarebbero mai stati commessi se non fossero
comparsi, da una parte questo strumento, dall’altra alcune
speciali disposizioni di legge; sono individui che non farebbero il
male per il male, ma che avendo una facile occasione si lasciano
trascinare: sarebbero i criminaloidi, anzi i criminali d’occasione
del biciclo, come gli altri più sopra accennati se sono i rei-nati.”
(da “Il ciclismo nel delitto”, Cesare Lombroso 1900 - )
66
info e contatti:
http://www.pietrogoriateatro.org/
alessandra 328 1152779
[email protected]
Scarica

Una produzione del Teatrofficina Refugio in