Rocco Liberti
Il caso
Rocco De Zerbi
Quaderni Mamertini
60
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agosto 2005
in copertina: ritratto di Rocco De‟ Zerbi
2.
Attualità di Rocco De Zerbi *
Nei tempi in cui viviamo, pieni di episodi di corruttela e d'intrallazzi
d'ogni genere, il nome di Rocco De Zerbi, l'uomo politico, scrittore e giornalista scomparso nel 1893 nel frangente dello scandalo della Banca Romana, è
tornato prepotentemente e insistentemente alla ribalta ed è stato preso da
più di un giornale quale modello su cui far riflettere la vita d'oggigiorno,
mettendo a parallelo due mondi e due mentalità, l'Italietta di ieri, quando
un deputato accusato di aver favorito qualcuno dietro versamento di un
congruo malloppo poteva morire di crepacuore o col sospetto di essersi suicidato e l'Italia degli anni '70, quando gli scandali scoppiano a ripetizione e
nessuno sente il bisogno, non dico di mettersi a disposizione della magistratura, ché sarebbe suo preciso dovere, ma nemmeno di cercare di scolparsi.
Ha scritto molto appropriatamente il Tempo di Roma nell'editoriale del 4 novembre 1971, nella rubrìca Il pro e il contro a firma di Enrico Mattei:
Il caso di un Rocco de' Zerbi, che morì, probabilmente suicida, dopo che l'autorizzazione
a procedere nei suoi confronti era stata concessa, risalgono allo scandalo della Banca Romana.
Anticaglie di tempi assai più feroci e men leggiadri di questi, almeno per i politici.
Questa attualità del De' Zerbi non è però solo una questione di oggi perché l'identica cosa era avvenuta, pur con altra intonazione, durante il ventennio fascista. Infatti, esauritosi per proprio demerito il liberalismo, il partito che aveva fatto l'Italia e di cui il De Zerbi fu parte attiva, ma che il De
Zerbi stesso bruciò quale capro espiatorio del malcostume politico di fine
secolo, il nuovo regime ne rivalutò appieno la figura, riportando in auge il
nome di un uomo innocente, travolto solo dalle macchinazioni politiche, di
un sostenitore dello stato forte e addirittura di un antesignano dello stesso
fascismo. È con tono prettamente littorio che il podestà di Oppido Mamertina, Riccardo Gerardis, il 22 aprile 1934, poco prima del discorso inaugurale
di un busto in bronzo collocato nella piazza principale del paese, lo magnificava quale figura completa di cittadino e patriota, dannato finora al silenzio dalle
turpi congiure delle sgominate fazioni demo-liberali 1!
Fascismo e democrazia! Due concezioni politiche diverse! Due tempi e
due mentalità! Due modi di giudicare uomini e cose! Per la dittatura Rocco
De Zerbi fu un martire della partitocrazia. Per la democrazia, invece, rappresenta l'uomo che si servì dei partiti per i suoi poco puliti traffici. Durante
il fascismo, in un periodo nel quale era lecito condannare quanto di marcio
* Volume pubblicato con Pellegrini editore Cosenza nell'anno 1973 (pp. 78).
1
V. SILIPIGNI, Inaugurazione del monumento a Rocco De Zerbi in Oppido Mamertina,
Napoli 1934, p. 5.
3.
aveva prodotto il liberalismo, fu esaltata la sua innocenza e fustigata la perfidia dei suoi presunti persecutori. Oggi, in tutta libertà, invero, in clima di
piena corruzione, viene accettata sì la sua colpevolezza, ma gli si riconosce
almeno il merito di aver sentito in tutto il suo peso la gravità dell'atto commesso e di aver provato tanta vergogna da non poter più riuscire a vivere.
Molto si è scritto finora su De Zerbi, ma pure molte sono state le inesattezze collezionate su di lui, a partire dall'indicazione del paese che gli dette i
natali, per finire all'elenco delle sue opere a stampa. Talché, nel tentare di
delineare un nuovo profilo sul poliedrico personaggio, che tanto onore fece
in vita alla Calabria, mi corre l'obbligo di cercare, per quanto è possibile, di
mettere una buona volta le cose in chiaro e nel giusto verso.
Nascita ed ambiente familiare
Rocco De Zerbi, discendente da una delle famiglie provenienti dall'antica
Oppido e, secondo parecchi autori, non priva di una qual certa nobiltà 2,
nacque da Domenico e Rosa Cotronei l'11 giugno 1843 a Reggio Calabria 3 e
non ad Oppido Mamertina 4 od addirittura a Campo di Calabria 5. Il padre,
2
Per le notizie storiche sulla famiglia rimando al volume originale ed alle altre pubblicazioni, nelle quali mi occupo della storia di Oppido, in particolare Momenti e figure nella storia della vecchia e nuova Oppido, Oppido Mamertina 1981.
3 ARCHIVIO DEL COMUNE DI REGGIO CALABRIA, Atti di nascita, nr. d'ordine
465, parte prima: L'anno mille ottocento quarantatre il di tredici del mese di Giugno alle
ore dodici davanti di noi Felice Musitano Sindaco ed ufiziale dello Stato Civile del Comune
di Reggio Distretto di Reggio Provincia della prima Calabria Ulteriore è comparso il Signor
D. Domenico Zerbi di anni ventinove di professione Legale domiciliato in Reggio. Il quale
ci à presentato un Maschio secondo che abbiamo ocularmente riconosciuto, ed à dichiarato
che il giorno undici del mese, ed anno corrente, alle ore diciannove, nella casa di sua abitazione, è nato da esso dichiarante, e dalla sua legittima moglie Signora Donna Rosa Cotronei, di anni diciotto, domiciliata ivi col medesimo. Lo stesso à inoltre dichiarato di dare al
Maschio sudetto il nome di Rocco, Tomaso, Filippo ... etc. Testimoni: Domenico Zerbi, Gio.
Filippo Romeo, Antonino Pangallo, Felice Musitano. Ho riportato il suddetto atto con
lo scopo unico di fugare ogni dubbio a tutti quegli autori, che sono parecchi, i quali
riportano in modo erroneo luogo e data di nascita del De Zerbi. Sono d'accordo con
quanto sopra: G. PALAJA, Rocco De Zerbi (Letture mensili alla biblioteca comunale
di Reggio Calabria, lett. terza), XXVI marzo 1932, Reggio Cal.; L. ALIQUO' LENZI F. ALIQUO' TAVERRITI, Gli scrittori calabresi, Reggio Cal. 1955, alla voce.
4 Sono per Oppido quale luogo di nascita del De Zerbi: J. LATTARI GIUGNI, I Parlamentari della Calabria, Roma 1967, p. 271; F. RUSSO, Panorama della cultura calabrese, "Calabria Letteraria", a. XI-1963, nn. 11-12, p. 40.
4.
venuto al mondo ad Oppido il 14 ottobre 1814 ed ivi morto il 31 marzo
18776, era figlio a sua volta di altro Rocco e di Clementina Scaglione ed è ricordato dal De Cesare per avere scritto alcune strofe per la strenna napoletana La Farfalla di Vincenzo Corsi nel 1860 7 e da altri 8 quale Chiaro Giureconsulto, ed esimio letterato. Di Domenico Zerbi si conoscono, ancora, una traduzione della poesia in lingua latina Poeta del canonico Giosafatte Matalone9, un Inno ed una Barcarola, quest'ultima musicata da Giuseppe Nunziato
Muratore l'8 luglio 1840 e molto in voga a quel tempo tra gli oppidesi ed una
valente difesa a pro del vescovo di Oppido mons. Teta contro l'ex-presule
mons. Caputo, del 1861 10. Sue opere inedite sono delle Quartine dedicate alla Madonna delle Grazie, già scolpite sulla facciata dell'antico comune di
Tresilico ed un'Ottava, dedicata pur essa alla Madonna e scritta sulla base di
un trono, eretto sulla piazza del medesimo paese durante i festeggiamenti
per l'arrivo di una nuova statua nel 1837. Entrambe le composizioni si trovano inserite in un volume manoscritto di Gaetano Morizzi, che si conservava fino a qualche tempo addietro dal parroco di Tresilico 11. Il padre del
futuro giornalista si occupò anche lui di giornalismo e, dopo aver collaborato in un primo tempo alla Fata Morgana di Reggio, fondò a Napoli nel 1861
un suo giornale, L'Osservatore, ch‟ebbe però breve durata, appena 22 numeri. Fu altresì in polemica con Carmelo Faccioli e nel 1847 venne coinvolto nei
moti risorgimentali reggini. Rifugiatosi a Napoli, passò poi gli ultimi anni di
sua vita a Palmi, dove continuò la professione di avvocato e ad Oppido, dove morì nel 1877 e non nel 1876, come Frascà 12. Il Falcone, che enumera va5
È per questa ipotesi il solo Frascà (V. FRASCA', Oppido Mamertina - riassunto cronistorico, Cittanova 1930, p. 296).
6 ARCHIVIO COMUNALE OPPIDO (=ACO), Registri dello Stato Civile.
7 R. DE CESARE, La fine di un regno, Milano 1969, p. 658.
8 G. FALCONE, Poeti e rimatori calabri, Napoli 1902, I, p. 304.
9 F. S. GRILLO, Brevi notizie sul culto di N. S. delle Grazie e della sua prodigiosa immagine che si venera in Tresilico, Siena 1892, pp. 55-59.
10 F. S. GRILLO, Ricordi cronistorici della Città e della Chiesa di Oppido Mamertina, Episcopato di Mons. Teta (An. 1852-1875), Reggio Cal. 1895, p. 57.
11 R. LIBERTI, Scrittori e Poeti a Tresilico poco o affatto conosciuti, "Brutium", a. LI-1972,
pp. 12-15; ID., Un paese un culto - Tresilico e la Madonna delle Grazie, Villa San Giovanni 1979, passim.
12 FRASCA', Oppido Mamertina ..., ivi. A Napoli Domenico Zerbi, che viveva separato
dalla moglie di corpo e di beni con sentenza del Tribunale Civile di Napoli del dì diciannove luglio milleottocentosessantasette (atto nr. Adriano Cacace di Napoli, in Atti di
successione presso Ufficio del Registro di Oppido Mamertina, da qualche tempo
trasferito a Palmi), nel 1877 risultava dimorare al Vico Lungo Avvocata n. 23.
5.
rie altre composizioni di Domenico Zerbi 13, così lo presenta: Domenico Zerbi
aveva mente d'artista e cuore di poeta; se si fosse dedicato solo a questi studi, la Calabria avrebbe avuto in lui un'altra celebrità poetica di primo ordine. Ed ecco, ancora, come lo stesso giudica una sua fatica poetica dal titolo “I monti”: poesia
splendida per energìa di pensieri, vivacità d'immagini, eleganza di stile, venustà di
forma e soprattutto per il pensiero patriottico che vi spira dentro. Il nonno di Rocco, dall'omonimo nome (Oppido 1792 - 9 giugno 1863), figlio di Domenico
Antonio 14 e di Giovanna Messina 15, fu anche lui avvocato e, dopo essere stato sottointendente di Palmi e Gerace, nel frangente dei moti del 1847 si trovava a Reggio quale segretario generale facente funzioni da intendente. Due
anni dopo aveva carico di intendente a Bari e, alla fine, mal sopportando le
angherìe degli uomini politici importanti, rassegnava le sue dimissioni prorompendo davanti ai ministri Picchineda e Murena con queste franche parole: Prendetevi la vostra carica ed il vostro impiego, io mi prendo la mia integerrima
coscienza ed il mio leale carattere 16. Fu sindaco di Oppido dal 1827 al 183017 e
nel 1846 diede alle stampe un'opera abbastanza impegnativa, che incontrò
allora parecchi consensi: La polizia amministrativa municipale del regno delle
Due Sicilie (Napoli, dalla Tipografia dell'Urania) 18. E' pure opera sua un profilo riguardante l'oppidese Domenico Antonio Malarbì (1732-1784), noto
prefetto degli studi nell'università di Malta, che si trova inserito in Biografia
degli Uomini illustri del Regno di Napoli (Napoli, presso Nicola Gervasi, 1828),
ma lo sono anche tantissimi articoli in rivista, soprattutto La Zagara. Secondo
13
In ordine cronologico: Ode in morte di G. Battista Grillo, "Poliorama Pittoresco, Napoli 1841; Due sonetti in morte di Girolama Filocamo, La morte e lo sposo, ivi, 1843; I
Monti (24 quartine), Strenna "Il sollievo del povero", per cura di Nicolò Jeno de' Coronei, Cosenza 1844; La Madonna della Montagna (inno di 13 strofe), Strenna "La Farfalla", Napoli 1853; Povero core (ode saffica), ivi, 1854; Ottave in morte di Adelaide Maio Durazzo, Napoli 1854; Zulima, poesia in terza rima, Strenna La Ghirlanda" per Gaetano Nobile, Napoli 1855; Ottava in morte di Anna Marzano Capialbi, ivi; Ode in morte di
Raffaele Pilogallo, Napoli 1855; La Violetta (11 sestine), Strenna "La Farfalla", 1855;
Polimetro, ivi, 1856. FALCONE, Poeti e rimatori …
14 Non si conoscono ulteriori notizie di costui, solo che nel 1794 risultava già defunto.
Era probabilmente la stessa persona ch'era stata incaricata in distretto di Oppido
durante l'amministrazione di cassa sacra.
15 Giovanna Messina Spina, vedova di Domenico Antonio, il 27 marzo del 1794 convolava a nozze con d. Rocco Malarbì.
16 L. ACCATTATIS, Le biografie degli Uomini illustri delle Calabrie, Cosenza 1877, IV,
pp. 471-472.
17 ACO, Registri dello Stato Civile.
18 Questo il titolo esatto dell'opera, che parecchi autori indicano, invece, come Il diritto amministrativo del regno delle Due Sicilie.
6.
l'Accattatis 19, Rocco Zerbi avrebbe pubblicato ancora parecchi discorsi inaugurali di consigli provinciali, memorie legali ed amministrative ed avrebbe atteso ad un lavoro di somma importanza, che rimase inedito, uno
studio sui vari principii del diritto amministrativo. Dalla moglie, d. Clementina
Scaglione, appartenente a nobile famiglia di Gerace, lo Zerbi ebbe, oltre a
Domenico, altri sei figli 20. Uno zio paterno del futuro deputato, anche lui
parecchio addentro nel campo dell'arte in qualità di musicista fu il canonico
d. Pasquale (Oppido 6 genn. 1820 - 14 apr. 1866), valente organista allievo
del Muratore, di cui si ricordano un Inno alla Vergine su parole di Gregorio
Gerardis, stampato nel 1856 ed una Messa per orchestra dedicata alla Madonna
Annunziata 21. Il Frascà scrive di un fratello di d. Pasquale a nome Francesco,
che sarebbe stato archeologo e storico 22, ma more solito, è in grave errore, sia
perché Rocco Zerbi non ebbe un figlio di tal nome e sia perché dei due Francesco Zerbi rinvenibili nei vari atti del comune l'uno risulta figlio di d. Girolamo e deceduto nel 1870 a 35 anni d'età e l'altro figlio a Giuseppe e morto
nel 1884 a 32 anni. Fu, invece, fratello a Rocco quel Gaetano, nato il 10 aprile
1848 a Campo di Calabria e non ad Oppido, per come sostiene il Frascà 23 e
19 ACCATTATIS,
Le biografie ...
Maria Giovanna (n. 7 apr. 1816), Maria Rosa (n. 2 apr. 1818), Pasquale (1820-1866),
Nicola (n. 13 ott. 1821), Caterina (n. 4 apr. 1823) e Giuseppe (n. 3 mag. 1825).
21 FRASCA', Oppido Mamertina ...; GRILLO, Ricordi cronistorici ...; R. LIBERTI, Artisti
di Oppido Mamertina nel secolo XIX poco o affatto conosciuti, "Brutium", a. LI-1972, n.1,
pp. 13-16.
22 Questo Zerbi, dice il Lenzi-Taverriti (Gli Scrittori calabresi ..., alla voce) è ricordato
per una monografia dal titolo La Cattedrale di Oppido, la qual notizia si ricaverebbe
dal periodico La Fata Morgana di Reggio (a. III-1843, n. 13). In effetti, è quanto abbiamo potuto riscontrare in detto.
23 FRASCA', Oppido Mamertina ...; Ufficio di Stato Civile del Comune di Campo Calabro, anno 1848, numero d'ordine 14: ...Don Domenico Zerbi di anni 36 di professione
possidente domiciliato in Oppido il quale ci ha presentato un mascolino e ha dichiarato che
lo stesso è nato da sua legittima moglie Donna Rosina Cotroneo di anni 24 domiciliata con
esso dichiarante, nel giorno 10 del mese corrente. Lo stesso inoltre ha dichiarato di dare al
predetto mascolino il nome di Gaetano ... La nascita di Gaetano a Campo Calabro è certamente occasionale e fu dovuta ai moti rivoluzionari di Reggio di quegli anni, che
spinsero parecchie famiglie a rifugiarsi nei paesi vicini in attesa che la bufera passasse. D. Domenico fu allora sospettato di aver fatto parte dei congiurati. Da un atto notarile (nr. Raffaele Cananzi di Tresilico, in denunzia di successione presso
l'Ufficio del Registro di Oppido) del 17 gennaio 1872 risulta che Gaetano prese in
moglie Maria Antonia Bonarrigo da Zurgonadio, che gli recava una grossa dote di
circa 20.000 ducati, pari a 85.000 lire, parte in contanti e parte in proprietà fondiarie. Invero, le enormi spese affrontate dai due fratelli nelle lotte politiche fecero sì
20
7.
morto ad Oppido il 30 settembre 1914, che fu sindaco della cittadina aspromontana dal 1887 al 1897 e deputato provinciale 24. Costui, d'idee liberali,
come il padre ed il fratello, studiò matematica e scienze a Napoli. Espulso
da Roma prima del 1870 a motivo del suo atteggiamento politico, frequentò
successivamente l'accademia militare di Modena, donde uscì col grado di
sottotenente. Ma, dimessosi di lì a poco perché insofferente della disciplina
militare, rientrò in Oppido. Amante del giornalismo, al pari del fratello, nel
1879 fondò a Reggio un settimanale dal titolo La provincia di Reggio Calabria,
ch'ebbe però vita breve 25. Zerbi Evelina, forse sorella di Gaetano e Rocco, fu
poetessa. Si ricorda soprattutto per dei sonetti, qualche ode ed un inno26.
Fanciullezza ed adolescenza
Ho riportato tutte queste notizie sulla famiglia Zerbi, poi De Zerbi (a
premettere il De al cognome originario sono stati i fratelli Rocco e Gaetano)
per un motivo semplicissimo e, cioè, per far conoscere appieno l'ambiente
nel quale il futuro giornalista, scrittore ed uomo politico si venne a trovare
nei primi anni della fanciullezza, tratteggiando la personalità di coloro che
potevano maggiormente influire sulla sua formazione. Rocco, infatti, che,
benché nato a Reggio, era oppidese purosangue ed in Oppido trascorse la
fanciullezza e parte dell'adolescenza, dovette infiammarsi per le idee liberali
in famiglia, d'altronde per le stesse idee professate dal padre e dovette, in
seno alla stessa, sentir parlare spesso di arte, letteratura e giornalismo, arche il grande asse patrimoniale lasciato dal vecchio intendente Rocco (tolta naturalmente la dote assegnata ad ogni figlia femmina) se ne andasse presto in fumo.
Oltre al palazzo urbano, Rocco Zerbi possedeva un mulino a Tresilico e vari fondi
di natura oliveto, vigneto ed agrumeto nelle contrade Pretileo, Farone, Sportà, Pofagna, Bosco, Maida, Molino Vecchio, Varchiera, Folari, Stigliosa, Birbo, Quarantano, S. Caterina ed altri ancora verso Cittanova e Rizziconi). Lo stesso Domenico
Zerbi fu costretto a far donazione anzitempo ai due figli di usufrutto e proprietà di
vari territori adducendo a pretesto di voler provvedere al lustro della sua famiglia,
premiando nello stesso tempo l'ottima riuscita letteraria e morale dei suoi figli Rocco e
Gaetano ... (Atti di successione, Ufficio del Registro di Oppido Mamertina …).
24 ACO, Registri dello Stato Civile.
25 FRASCA', Oppido Mamertina ...
26 Ivi, p. 293; LENZI - TAVERRITI, Gli Scrittori ..., IV, alla voce. Furono fratelli a Rocco e Gaetano anche Giovanna (sposata al dr. Rainone di Napoli), Clementina (moglie del cav. Vincenzo Salvatore, ispettore del Banco di Napoli a Firenze), Erminia,
Virginia, Evelina, Giuseppe (tenente di artiglieria ad Alessandria) e Giacomo (direttore de Il mondo dell'arte a Buenos Aires) (Il Messaggero; Atto nr. Vincenzo De
Martinis 4 ott. 1868, Napoli, in denuncia successione etc.).
8.
gomenti tutti che potevano rappresentare a quei tempi per dei ragazzi vivaci
uno stimolo all'imitazione ed una spinta sul sentiero dell'avventura. Scrive il
De Cesare che il professore Lamanna, un mammolese operante a Napoli, definiva nel 1859 il suo allievo Rocco De Zerbi, per la vivacità che lo pervadeva, Spiritello di fiamma vivida e pura 27.
Precoce in tutto, il calabrese dava, infatti, un saggio delle sue grandi possibilità e maturità, pubblicando a soli quattordici anni, nel 1857 (non 1858,
come altri riferisce) a Napoli, un Nuovo florilegio letterario (per cura e con note
di Rocco Zerbi (il giovine) preceduto da alcuni discorsi dello stesso) (Casa ed. Gabriele Rondinella, S. Anna de‟ Lombardi 8, pp. 157), un'antologìa che raccoglieva brani di autori celebri di ogni nazione e di ogni tempo, che volle dedicare al nonno omonimo (Al dotto pio, virtuoso, ed amabile mio paterno avo
questo primo lavoro consacro). Così si affidava nella prefazione datata 30 settembre 1857: E’ stato dunque mio proponimento di giovare non ai fanciulli, che di
tali opere ne abbiamo pur troppo, ma ai giovani (intendo da tredici anni in su) dando loro un colpo d’occhio dello stile, e del sapere dei principali scrittori delle nazioni
più colte./ Molti mi hanno scoraggiato, ma io fermo nel mio proposito ho cercato di
far bene. Il volumetto, che ottenne l‟imprimatur del consiglio generale della
p.i. e della commissione arcivescovile per la revisione dei libri da stamparsi,
comprende tre parti. Nella prima si alternano passi dei più famosi oratori
come Demostene e Cicerone nelle versioni di Bossuet, Segneri, Bartoli ecc. e
si ravvisa anche una traduzione dell‟esordio della prima catilinaria dello
stesso De Zerbi. La seconda è consacrata alla storia ed a succedersi sono
brani di Tucidide, Sallustio, Villani, Guicciardini, Botta (ne riferisce a proposito del sisma che distrusse Oppido, ch‟erroneamente segnala al 1785) ecc.
Per la terza si propongono brani di letteratura tratti da Ossian, Omero, Virgilio, Dante, Leopardi ecc. Tra essi spicca uno di Geremia dal titolo Sopra Gerusalemme, che risulta versione libera del padre, Domenico 28.
Due anni dopo, incoraggiato da questo primo tentativo, partecipava ad
un concorso bandito dall'accademia pontaniana sul tema Pier delle Vigne e il
suo secolo ed anche se nessun concorrente risultava vincitore, uno dei due
lavori che riusciva ad attrarre l'interesse della commissione esaminatrice era
il suo. Non contento dell'esito del concorso, il De Zerbi decideva allora di far
stampare per proprio conto il saggio, quando la censura, che subodorava
27
28
DE CESARE, La fine di un regno .., p. 556.
Il De Zerbi scriverà sulla sua prima esperienza di pubblicista, assieme a scrittori
del calibro di Bartoli, Bersezio, Carducci e Mantegazza, nel volume “Il primo passo“ edito dalla “Domenica Letteraria” (Casa Editrice A. Sommaruga; Roma 1883).
L. ALIQUO‟ LENZI, Garibaldi e De Zerbi, "Bibliografìa Calabra", I-1932, p. 237.
9.
puzza di liberalismo anche nelle cose più innocenti, interveniva a vietargli
di stamparlo 29. Il Frascà afferma ch'egli corse anche il rischio di venire arrestato perché coinvolto nella ribellione dei reggimenti svizzeri, che sfuggì
all'arresto grazie all'alta protezione del cugino ministro Aiossa e fu costretto
a ritirarsi nel paese della sua famiglia, dove potè continuare gli studi sotto la
guida del nonno, il vecchio ex-intendente. In effetti, lo scrittore Francesco
Saverio Grillo, a quel tempo giovane ventitreenne, lo poteva notare il 29 settembre 1859 accanto a sé in Oppido mentre assisteva al solenne ingresso del
nuovo vescovo mons. Giuseppe Teta 30.
Si era ormai giunti al 1860. Tempi nuovi erano maturati e per il popolo
italiano era suonata da un pezzo la diana della libertà. Garibaldi era già in
Sicilia ed i paesi cadevano nelle sue mani uno dietro l'altro. Rocco De Zerbi,
giovane di appena 17 anni, come tanti suoi coetanei fremeva nell'udire le notizie che sull'avventura dei Mille correvano di bocca in bocca e non vedeva il
momento di poter andare anche lui nell‟isola per aggregarsi alle truppe vittoriose. E un bel giorno, senza salutare nessuno, fuggì di casa previo salto da
un balcone di ben sei metri di altezza e, facendo una prima tappa a Palmi,
raggiunse a Milazzo i garibaldini, fra le cui file potè però accedere solo per
intercessione di Nino Bixio ché Garibaldi, come gli ebbe a dire senza peli
sulla lingua, non sapeva che farsene di un così imberbe adolescente. Punto
sul vivo ed esaudito ormai il suo grande desiderio, il De Zerbi si comportò
da valoroso e seguì il condottiero fino al Volturno, bruciando tutte le tappe
della carriera militare irregolare 31. Sergente furiere il 20 settembre, divenne
sottotenente di fanteria il 6 novembre successivo. Scioltosi dipoi quel corpo
di spedizione, l'ufficiale garibaldino passò alla scuola d'Ivrea e, indi, con lo
stesso grado, nell'esercito regolare e nel 1864 ebbe l'occasione di combattere
contro il brigante Crocco e la sua banda, riuscendo a rimediarvi perfino una
medaglia al valore. Altra onorificenza gliela conferirà più tardi, nel 1870, il
primo ministro spagnolo Prim Y Prats 32. Nel '66 Rocco De Zerbi ebbe ancora
l'opportunità di mostrare il suo coraggio nella guerra italo-austriaca, distinguendosi a Custoza ed ottenendo la promozione a luogotenente. Successivamente, però, abbandonò l'esercito e si consacrò al giornalismo ed alla politica, discipline nelle quali eccelse in sommo grado, ma che dovevano portarlo poi, in ultimo, alla rovina 33.
29
LENZI-TAVERRITI, Gli Scrittori ...; PALAJA, Rocco De Zerbi ...
GRILLO, Ricordi cronistorici ..., p. 36.
31 PALAJA, Rocco De Zerbi ...; LENZI-TAVERRITI, Gli Scrittori ...
32 FRASCA', Oppido Mamertina ...
33 PALAJA, Rocco De Zerbi ...; LENZI-TAVERRITI, Gli Scrittori ...
30
10.
De Zerbi dimostrò il suo vivido amore per Garibaldi in più occasioni.
Quando il generale ebbe problemi per il suo matrimonio con la Armosino, lo
appoggiò in tutti i modi sul suo giornale, tanto che quegli venne a ringraziarlo da Capua in data 6 febbraio 1880 con un amichevole bigliettino:
Mio caro De Zerbi/ Propugnando così generosamente la causa mia e della mia famiglia
voi avete acquistato diritto all’eterna gratitudine nostra/ Per la vita v.ro/ G. Garibaldi
Il 21 gennaio 1882, Garibaldi sofferente lasciò Caprera per Napoli e richiese che a riceverlo sulla nave, che l‟avrebbe trasportato nell‟antica capitale borbonica, fossero Achille Fazzari e Rocco De Zerbi. Fu proprio
quest‟ultimo che recò alla folla il saluto del generale. Il 3 giugno dello stesso
anno poi, in occasione della morte, listò a nero il giornale e gli dedicò un sofferto articolo, dove tra l‟altro diceva: Morto l’uomo, la figura dell’Eroe apparisce
mille e mille grandi cubiti più alta. Il successivo 8 giugno pronunziava un appassionato discorso commemorativo, apparso in Ia edizione per la Zanichelli 34 .
Il giornalista
Rocco De Zerbi aveva avuto già il battesimo come giornalista il 13 ottobre 1860, quando su L'Iride volle descrivere l'episodio di quei 14 volontari
calabresi che a Caserta erano riusciti a fare prigionieri ben 800 soldati asserragliatisi in un convento 35. Dopo questa sua prima esperienza giovanile, nel
1866 entrò come correttore di bozze a La Patria di Napoli e fu nella redazione di questo giornale che avvenne la sua scoperta quale giornalista di razza.
Narra Giovanni Bellezza su L'Occhialetto di Napoli del 30 settembre 1882,
come riportato dal Palaia, che un giorno in cui La Patria ricevette un attacco
da altro giornale e non c'era alcuno in redazione per poter rispondere subito
a tono, vi provvide il De Zerbi e che agli ammirati redattori, tra cui spiccavano il De Cesare ed il Turiello, non rimase il giorno dopo che annoverare
tra di loro un giornalista di più ed un correttore di bozze in meno. Nella famiglia de La Patria il De Zerbi rimase per circa tre anni, ma nel '68, cogliendo
l'occasione offertagli dal Chiaradia, direttore del Corriere di Napoli, fondò il
Piccolo Giornale di Napoli, fratello minore del più grande Corriere e, finalmente, il giornale che doveva lanciarlo definitivamente nell'olimpo dei grandi
giornalisti. Il Piccolo dapprima fu tutto De Zerbi 36, era cioè ideato e scritto interamente dal suo direttore, ma in seguito, man mano che gli articoli fecero
34
ALIQUO‟ LENZI, Garibaldi e De Zerbi…, pp. 238-241.
Rocco De Zerbi ...
36 Ivi, p. 17.
35 PALAJA,
11.
conoscere quel giornalista di vaglia, vi collaborarono egregi e conclamati
maghi della penna, da Achille Torelli a Matilde Serao, da Edoardo Scarfoglio a Roberto Bracco ed a Rastignac. Scrivono i biografi di De Zerbi che il
Piccolo, giornale nel quale si riconosceva la Napoli fine secolo, ebbe ben presto larga risonanza tra il pubblico e che quando l'articolo di fondo portava in
calce la caratteristica e minutissima z, con cui il direttore siglava i propri lavori, esso andava letteralmente a ruba, qualunque fosse l'argomento offerto37.
Contrasta enormemente con tutto ciò l'affermazione di Alberto Consiglio38, che dice come il Piccolo non ebbe mai diffusione, né vitalità propria e come
riuscisse soltanto il solitario sfogo di uno scrittore, ma si tratta dell'unica voce
discordante e, per giunta, per nulla documentata. Conosciamo, difatti, da
uno studio abbastanza serio ed impegnativo 39 che il Piccolo, secondo rapporti prefettizi, nel 1872 tirava ben 5.000 copie ed aveva molta influenza, riuscendo, addirittura, il terzo giornale di Napoli per importanza. Veniva dopo il
Pungolo (8.000 copie) ed il Roma (6.000), mentre degli altri periodici, la Patria
aveva una tiratura di appena 1.700 copie e l'Unione Nazionale di 75. Lo stesso
Messaggero scriveva nel 1893 che il Piccolo fu uno dei più letti giornali del Mezzogiorno, specialmente per i suoi articoli pieni di fosforo, mentre l'Illustrazione Italiana del 26 marzo 1893 (n. 9) lo presentava quale il più vivace e il più letterario
dei giornali politici a un soldo. E il Croce, che per il De Zerbi scrittore non fu
tenero, giudicando il calabrese quale giornalista, così si esprimeva:
era artista del giornalismo; e il suo Piccolo entrò subito nelle grazie delle classi colte e
moderate di Napoli, pel tono spassionato ed elevato, per l'agile eloquenza, per la polemica signorile, arguta e stringente... Al De Zerbi, forse più che ad altri, si deve se il giornalismo napoletano si andò spogliando di un certo che tra l'ingenuo ed il provinciale che prima serbava,
e si fece più svelto ed elegante, e più ammaliziato 40.
Nel Piccolo, vera palestra del giornalismo napoletano e meridionale, il De
Zerbi, primo giornalista di vocazione e di professione in Napoli assieme al Cafiero, secondo il predetto Croce 41, scriveva di tutto ed il Palaia indica alcuni
tra i suoi articoli che fecero epoca, da quello per la morte di Vittorio Emanuele II a quello su Garibaldi e dall'altro per la grazia a Passanante a quello
su Wagner ed il suo Lohengrin, per passare poi agli altri per l'inaugurazione
in Germania di un monumento all'eroe nazionale Arminio, sull'esposizione
nazionale di belle arti e sul pittore Francesco Paolo Michetti, consacrandosi
37 Ibidem.
38 A.
CONSIGLIO, Rocco De Zerbi, "Almanacco Calabrese", Roma, 1970-71, p. 100.
PROCACCI, Le elezioni del 1874 e l'opposizione meridionale, Milano 1956, p. 83.
40 B. CROCE, La letteratura della nuova Italia, Bari 1947, IV, pp. 327-328.
41 Ivi, p. 326.
39 G.
12.
in quest'ultimo perfino quale critico d'arte 42. Alberto Consiglio, scrittore,
giornalista ed ex-deputato, così descrive il De Zerbi giornalista: Rocco De
Zerbi era un "giornalista" più romantico che moderno, più nel senso della polemica,
che in quello della notizia e dell'informazione 43.
In realtà, da questa affermazione, fatta da un uomo dello stesso mestiere,
si ricava benissimo come il De Zerbi non fosse un "cronista" od un semplice
"corrispondente", che dovesse limitarsi a riferire dei fatti senza interpretarli,
ma un giornalista che dalla notizia prendeva l'abbrivo per i suoi articoli di
costume, i quali, data la sua natura irruente, dovevano portarlo spesso alla
polemica. Non dobbiamo assolutamente, poi, pretendere, come fa il medesimo autore, che il De Zerbi dovesse essere simile ad un giornalista della nostra epoca - è illogico soltanto pensarlo - ma ai suoi tempi, certamente, egli
deve aver saputo riuscire "moderno". Che fosse esclusivamente il direttore a
dar vivacità e valore al Piccolo lo si vide non appena il giornale, nel 1888,
passò in altre mani perché allora, secondo quanto riferisce il Croce 44, esso andò sempre più decadendo.
A volte Rocco De Zerbi imprecava alla sua professione, che chiamava
l'ergastolo della mia intelligenza 45, ma come giornalista non si limitò a lavorare
per il "suo" giornale perché collaborò spesso anche ad altri periodici e, tra i
tanti, al Fanfulla della Domenica, a Il giornale napoletano di filosofia e lettere
scienze morali e politiche ed alla Nuova Antologìa 46. Risulta pure aver fondato
un giornale per sole novelle, Il Novelliere 47 ed aver aderito a giornali che si
pubblicavano in Argentina. Per quest'ultima collaborazione avrà certamente
influito il fatto che il fratello Giacomo dirigeva in loco una propria rivista.
42
Altri articoli interessanti scritti dal De Zerbi per il Piccolo recavano i seguenti titoli:
I candidati incerti (9 ott. 1874), I partiti finanziarii (15 ott. 1874). Cfr. PROCACCI, Le
elezioni del 1874 ..., p. 88.
43 CONSIGLIO, Rocco De Zerbi ..., p. 107.
44 CROCE, La letteratura ..., pp. 327-328.
45 R. DE ZERBI, Vistilia, Napoli 1900, dedica ad Achille Fazzari.
46 In questa rivista pubblicò studi storici, politici e di arte. Tra i tanti, si segnalano: Il
Conte di Cavour (sett. 1873), La marina militare italiana (nov. 1886), Se fossimo alla vigilia della guerra (marzo 1888), La possibile dittatura (maggio 1888), I partiti politici (dic.
1888), Il partito della pace (febbr. 1889), Il problema militare italiano (apr. 1892), La morte dell'Ammiraglio Saint Bon (dic. 1892). LENZI-TAVERRITI, Gli Scrittori ...
47 PALAJA, Rocco De Zerbi ..., p. 31.
13.
Il polemista
Polemista nel senso pieno della parola, per cui gli aggettivi si sprecarono,
fu Rocco De Zerbi, che non temette mai di scendere in lotta con le più forti
personalità del suo tempo e discettare su qualsivoglia tema, dalla politica
alla musica e dalla letteratura all'arte militare, argomenti tutti nei quali, anche se i suoi studi risultavano irregolari, dimostrava di essere sempre ferrato. Scrive a tal proposito il Palaia:
Rocco De Zerbi polemizzava di letteratura col letterato, di arte con l'artista, di esercito e
marina con i più alti ufficiali e con i più competenti uomini di governo. E vinceva sempre
{…}Rocco De Zerbi, polemista, avea una tattica tutta sua. Se v'era bisogno di erudizione diventava erudito, in tutti i campi - se c'era bisogno dell'ironia, del sarcasmo, della caricatura,
la sua penna fischiava e levava il pelo - se bisognava dimostrarsi artista e toccare il patetico la
sua prosa diveniva suadente come una canzone.
A tutto ciò fa eco quanto riferito dal Verdinois 48, che con il Briareo dalle
cento braccia, come fu definito il De Zerbi polemista, non fu quasi mai tenero:
Non c'è polemista che possa reggere ai suoi colpi, che possa seguir con l'occhio quei
movimenti svelti, rapidissimi, impreveduti, temerari. Indiscutibilmente, Rocco
De Zerbi dovette raggiungere nel campo tale consumata abilità da far scoraggiare più d'uno dal tentare approcci provocatorii con lui. Lo scontro più
noto è, senza alcun dubbio, quello che lo vide affrontare il poeta Giosuè
Carducci, allora all'apice della popolarità.
Motivo dello scatenarsi della polemica che, dopo vari eruditi interventi
d'ambo le parti, finì, secondo qualche articolista 49, con piena soddisfazione
dei contendenti, sarebbe stato un articolo di De Zerbi, in cui questi citava
Tibullo, dal titolo Ad un poeta della nuova scuola (7 sett. 1879), ma le cose, in
verità, stanno in tutt'altro modo ed il Carducci fu trascinato alla polemica,
come si dice, proprio per i capelli. Scrisse in proposito Eugenio Zaniboni nel
1879 stesso, sul periodico Il Mezzogiorno 50, che Rocco De Zerbi era già da
lungo tempo che sul Piccolo (6 genn. 1879) andava punzecchiando il poeta e che
in un primo articolo (Sommario della poesia italiana nel 1878) colse il destro per
affermare che il Carducci era ormai un Marte invecchiato, che, per far colpo ricorre alla cantaride e all'elixir Coca, che In lui, non più idee, ma "concettuzzi" ecc.
che in sostanza zero e zero fa zero; ecco il 1878 poetico in Italia.
Come ben si può vedere, ce n'era abbastanza di che reagire, ma il poeta
delle Odi Barbare per quella volta preferì, molto saggiamente, ignorare ogni
48 DE
ZERBI, Vistilia ..., p. XI;
"Vita giudiziaria", 15 luglio 1928 n. 501, in FRASCA', Oppido Mamertina ..., p. 300.
50 E. ZANIBONI, Carducci, Bovio, de Zerbi e il Congresso storico di Napoli (1879), "Fata
Morgana", a. I-1920, n. 18.
49
14.
cosa. Il De Zerbi, vistosi allora non creduto degno di una risposta, lui che
andava cercando la disputa per proprio intimo gusto, si rifece vivo il 2 settembre e con altro articolo (La nuova metrica), accostando i suoi strali a quelli
precedenti del Cavallotti, altro stinco di santo, proruppe in espressioni che
davvero non gli hanno fatto onore e disse che i versi del poeta maremmano
erano mori vestiti da inglesi, che si annunziano come parigini e si travestivano in
tal guisa soltanto perché riuscivano brutti brutti. Nemmeno questa seconda
volta il Carducci credette dignitoso levare un suo pur legittimo grido di protesta e la discussione si alimentò ancora da una sola parte, quando il giorno
cinque venne ospitato sul giornale dezerbiano altro articolo del prof. Giuseppe Olivieri, direttore del Nuovo Istitutore di Salerno, che, scagliandosi anche lui contro il più grande poeta italiano del momento, giudicava l‟ode
“Davanti a una Cattedrale” ... un'infilzata di pensieri tristi e futili, esposti in
una lingua da trivio. Il giorno dopo ad Olivieri seguì ancora De Zerbi, che
nell'articolo intitolato I versi moretti vestiti alla parigina dichiarò la nuova
scuola poetica un aborto di natura e una profanazione della poesia. Dopo tanti e
così feroci scritti il Carducci sembrava ancora restìo ad ogni reazione ed il
De Zerbi, che voleva costringere l'avversario ad uscire finalmente allo scoperto per misurarsi con lui, riprese gli attacchi sul Fanfulla della Domenica il
giorno 7, traendo pretesto da Tibullo e fu allora che il poeta di Valdicastello
non ne potè più e reagì come solo lui sapeva reagire. Scrive il Palaia sulla
vicenda:
S'ingaggiò così una di quelle polemiche come, purtroppo, non ci è dato seguirne più. Il
rumore nel mondo letterario fu altissimo. A seguire i due contendenti si tratteneva il fiato ed
intensa era l'ansia di vedere come sarebbe finita. De Zerbi, di fronte al colosso, mostrò tutte le
sue virtuosità. Usò tutte le parate, tutte le finte, tutti i sistemi di difesa ed offesa. Le sue facoltà di polemista si moltiplicarono, la sua erudizione fu tutta in linea. Parlò di storia, di archeologìa, di filologìa, di letteratura latina e moderna, italiana e straniera. Citò il Mommsen,
il Faber, il Dacier, etc. 51.
Con buona pace del Palaia, che nel suo scritto loda fin troppo, quasi a
mo' di panegirico, il De Zerbi, mi pare però più aderente alla realtà quanto
riportato in proposito dall'Illustrazione Italiana 52 all'indomani della dipartita
del pur illustre uomo:
La sua erudizione era tutta erudizione di indici, di enciclopedìe, di letture frettolose, di riviste, di libri divorati a mezzo in ferrovia fumando; ma tutto fondeva, e spesso confondeva, in
una ridda di immagini, di nomi, di ampollosità, di guizzi, di sentimentalismo, balzando di
palo in frasca, divertendo sempre, riuscendo a farsi applaudire con frenesia etc. Tutti gli studi
più disparati, tutte le questioni più ardue erano trattate da lui con tale felicità d'improvvisazione da sbalordire. Oggi sosteneva una lunga polemica contro il Carducci su Tibullo, che
51 PALAIA,
52
Rocco De Zerbi ..., p. 24.
L‟Illustrazione Italiana, 26 marzo 1893, n. 9.
15.
probabilmente prima di quel momento, egli non aveva letto neppure nelle traduzioni; l'indomani, all'apertura d'una ricca esposizione di quadri e di statue a Napoli, distribuiva colla
penna smagliantissima corone a dritta e a manca, facendo rizzare d'orrore i capelli sul capo di
critici d'arte consumati, ma strappando gridi d'ammirazione a schiere fedeli di lettrici etc . 53.
In effetti, doveva essere proprio questo il vero De Zerbi, una personalità
d'indubbio valore, ma, in verità, un uomo che si lasciava sovente prendere
la mano assumendo atteggiamenti immodesti e ricercando la facile popolarità. Dopo quanto detto sulla nuova polemica, appare abbastanza evidente
come siano totalmente fuori strada coloro, Palaia ed altri, che affermano essere stato il Carducci l'iniziatore dello scontro ed il De Zerbi colui che vi rispose. Altri approcci polemici il Calabrese ebbe a sostenerli con l'ex-guardasigilli Cortese a proposito di una legge sugli ordini monastici, su cui ancora dovremo soffermarci, con l'on. Spirito, per altra legge sul risanamento di
Napoli e con l'on. Boccelli su un disegno di legge riguardante la regia marina. Di pari passo con la polemica giornalistica il De Zerbi seguì anche la
moda imperante al suo tempo, che voleva fossero risolti con un duello alcuni scontri di notevole asprezza. Anche per tale aspetto egli non fu secondo a
nessuno e si misurò con parecchi avversari, rimanendo ferito in modo leggero solo in un'occasione.
L'oratore
A Rocco De Zerbi, giornalista e polemista, non poteva certamente far difetto un'altra grande virtù, l'oratoria. E grande oratore, infatti, egli fu. Scrive
il solito Palaia che Il "parla De Zerbi" affollava le tribune e l'emiciclo e il grande
suo collega in giornalismo, Rastignac: La voce: ecco la sua grande attrattiva. Irruente oratore in parlamento e nei comizi elettorali, De Zerbi si trasformava
sovente anche in forbito conferenziere ed i suoi discorsi venivano seguìti
sempre da un pubblico folto ed attento. I temi, di cui favellava erano molteplici: il Faust, l'Amleto, Bismarck, Marco Minghetti, la morte di Garibaldi 54, Ame53
Il Croce, riferendosi alla contesa col Carducci, giudica il De Zerbi mediocre critico
(sebbene osasse aprire battaglia col Carducci intorno a Tibullo). Come si vede, anche il
celebre filosofo e letterato ignorò i retroscena che portarono il De Zerbi ed il Carducci ad accapigliarsi per Tibullo. Cfr. CROCE, La letteratura ..., pp. 327-328. Sul
medesimo argomento ved. anche L. A. LENZI, Carducci, De Zerbi e Fiorentino , "Il
Messaggero", 27 ottobre 1940.
54 Il discorso fu pronunziato alla Sala Tarsia di Napoli l‟8 giugno 1882. Fu ripubblicato da L. Aliquò Lenzi con titolo Garibaldi e De Zerbi in "Bibliografìa Calabra", I, cit.
Altro articolo dello stesso è nell'anno medesimo Rievocazione di Garibaldi e di Rocco
De Zerbi. Sul De Zerbi l‟Aliquò Lenzi aveva già pubblicato nel 1913 l'opuscolo Roc16.
deo di Savoia (Cesena, marzo 1890), l'ammiraglio Saint Bon (commemorazione
tenuta alla camera dei deputati nel 1892), Rossini ecc. (conferenza stampata
nel 1892 a Firenze presso Galletti e Cocci con titolo Rossini e la musica nuova e
venduta a beneficio del monumento in onore del musicista da erigersi in
Santa Croce). Rocco De Zerbi affascinava talmente l'uditorio con le sue elocuzioni da venir spesso denominato la sirena incantatrice, ma, fosse modestia,
fosse errata sottovalutazione o addirittura un'intelligente mossa per attrarre
maggiormente chi lo stava ad ascoltare, così si autodefiniva parlando il 4
maggio 1890 al teatro Reynack di Parma su Ottone di Bismark:
Ma io non sono oratore: so e sento di non essere oratore, non ne sono che un'ombra. Io
non ho la parola che penetra e squarcia, che accarezza e serena (sic!), che suscita e trascina.
La parola mia che riflette la stanchezza del pensiero, ed il pensiero brancolante, che svela l'affrettata preparazione e l'isterirlirsi del cervello, invocano tutta l'indulgenza vostra ospitale ...
Dotato di eccezionale presenza di spirito, Rocco De Zerbi sapeva trarsi
d'impaccio nelle situazioni più aggrovigliate e su di lui fiorirono a tal proposito innumerevoli curiosi aneddoti, che non è il caso di riportare.
Lo scrittore
Dopo il De Zerbi garibaldino, giornalista, polemista ed oratore, ecco il De
Zerbi scrittore letterario e romanziere, ma Rocco De Zerbi, che, in verità, era
di tali tempra e multiforme ingegno da lanciarsi in qualunque impresa, a riguardo non venne giudicato positivamente dal Croce, che lo disse mediocre
scrittore di novelle e romanzi 55. Nel fare un'analisi dell‟ennesimo aspetto del
deputato calabrese, cercherò di seguire cronologicamente, per quanto mi sarà possibile, il succedersi delle sue opere a stampa, che, suddivise in discorsi, romanzi e disquisizioni varie, raggiungono la cifra di quasi trenta pubblicazioni. Prima fatica, tralasciando la giovanile operetta Florilegio Letterario, di
cui ho già discorso, tre insipidi discorsi sul Buono, sul Bello e sul Vero anch'essi
dell'età giovanile, per come informa il Verdinois 56 e, naturalmente, gli innumerevoli articoli giornalistici, fu nel 1861 un lavoro poetico rievocante
l'avventura garibaldina dell'anno precedente: I Garibaldini dopo la Campagna,
edito a Torino presso la Tipografia Cerutti-Derossi e Dusso, cui vennero ad
aggiungersi nel medesimo anno Canzone in morte del Conte di Cavour (Ivrea,
Tip. Garda) e nel 1864 Aspirazioni (Trapani, Tip. di G. Modica Romano).
co De Zerbi . Cfr. anche Figure calabresi - per Rocco De Zerbi di L. Aliquò Lenzi, "Corriere di Calabria", a. 1916, n. 637.
55 CROCE, La letteratura ..., pp. 327-328.
56 DE ZERBI, Vistilia, pref. del Verdinois, p. VIII.
17.
Nel 1868 fu la volta di Poesia e Prosa: studio d'un annoiato (Napoli, Tip. del
Giornale di Napoli), cui seguì nel 1869 un opuscoletto dal titolo Di chi la colpa? (Napoli, id. pp. 27). Quest'ultimo, che ha come sottotitolo Fantasticherie
d'un annoiato, fu scritto, secondo rivela nella prefazione lo stesso autore, in
un momento di umor nero, quando ho sentito il bisogno di sfogare un po' tutto quel
diavolìo che mi rompeva il seno. In esso il De Zerbi, ripensando alla sua vita, si
domanda se esista la felicità, quanti siano gli uomini felici e perchè egli debba essere responsabile di una colpa non sua, quella di Adamo, di un tizio
che lui non ha mai conosciuto e mette in dubbio quanto ci ammannisce la
religione e cioè che Bisogna seminar qua per raccogliere il frutto in un'altra vita.
Indi, dialoga, a volte controbattendo come suo costume, con vari uomini di
pensiero come Mazzini, Genovesi, Leibniz, Abelardo, S. Tommaso ecc. e deve giocoforza constatare che si vive davvero in un mondaccio brutto, in un
mondo dove l'invidia regna sovrana e l'uomo per istinto è portato al male.
Opponendo, poi, ai sofismi dei filosofi, per i quali Il male e il dolore non sono
un atto; sono un difetto, quindi non esistono, che il male esiste, e anche troppo, afferma che tra la fede e la religione vi è una contraddizione continua.
Concludendo il suo dire, il De Zerbi dichiara ancora che il male è onnipotente, così come Dio, che è vano volerlo combattere; che esso ci attrae, come il ferro la
calamita, che i princìpi del bene e del male sono in noi e tra i due prevale necessariamente il male solo perché l'umanità non ha progredito abbastanza e alla
fine resta sempre sospeso il dubbio sull'esistenza di Dio. Era questo il credo
morale e religioso del De Zerbi? Non lo reputo affatto. Penso, invece, ch'esso
rappresentasse le prime fantasticherie di un giovane di appena 26 anni,
quanti ne contava appunto all'epoca, ancora nella primavera della vita ed
imbevuto d'idee liberal-massoniche.
Nel 1870 lo scrittore calabrese diede alle stampe il primo lavoro d'un certo impegno, un romanzo, L'Ebrea (Napoli, G. B. De Angelis; il volume raggiunse la 4a edizione nel 1881), ch'era stato già pubblicato a puntate sul
giornale con l'appellativo Senza titolo. Com‟egli confessa ne Il mio romanzo,
tale libro, che narra i casi di suor Angiola Vittoria, una domenicana di stanza in un convento modenese, non lo soddisfece appieno. Diceva, infatti, in
esso: a me è ancora caro, benché io non lo abbia letterariamente in alcun pregio.
Forse, la pubblicazione risentiva alquanto del fatto di essere stata la prima di
una lunga serie ed era probabilmente priva di tante suggestioni che possono
essere opera solo di un autore già smaliziato. Nel 1872 avveniva la riesumazione di una serie di tre articoli pubblicati a suo tempo sul Piccolo ed interessanti la proposta abolizione degli ordini monastici (Le Corporazioni religiose,
Napoli, Tip. della Gazzetta di Napoli, pp. 83). Il lavoro contiene pure le lettere dei deputati Ricciardi e Cortese, che avevano imbastito in merito una
18.
violenta polemica e le relative risposte del De Zerbi, il quale non ebbe mai
timori reverenziali nei riguardi di chicchessìa, fosse il conte Ricciardi od un
ex-ministro come Paolo Cortese. Il motivo della riedizione degli articoli e
delle lettere interessanti l'intera vicenda, originatasi dalle affermazioni del
direttore del Piccolo, che predicava sì una libertà di associazione anche per chi ne
vuole usare con fine ascetico, libertà ... con ordine, ce lo rivela l'autore stesso nella prefazione: perché i miei amici dicano: il Zerbi ne ha indovinata una! Il Cortese accusava il giornalista soprattutto di non riuscire a rimanere con i piedi
per terra e di assumere una instabile posizione aerea tra il filosofo e l'apostolo.
Lo stesso lavoro il De Zerbi l'inserirà più tardi nel volume Scritti politici (Editori Cav. Gennaro De Angelis e figlio, Napoli 1876, pp. 411), che sarà dedicato Agli elettori del V Collegio di Napoli pegno di gratitudine e comprenderà,
oltre a ciò, tantissimi altri interessanti argomenti: Discorso tenuto il 22 nov.
1874 nella sala di S. Maria la Nuova in Napoli per gli elettori del V Collegio,
altro discorso fatto ai medesimi nella sala dell'Istituto Tecnico di Napoli il 9
nov. 1875 (il primo è un discorso per caldeggiare la sua elezione ed il secondo un resoconto di quanto ha fatto in un anno come deputato), i partiti politici dal 1870 al 1875, monacazione e matrimonio (tre lettere all'on. R. Bonghi
pubblicate sul Piccolo del 15, 16 e 17 ott. 1875), giudizio in merito del giornale La riforma e tre risposte alle censure di quest'ultimo giornale datate 2, 3 e 4
nov. 1873 (sic!1875), la chiesa inglese (8 giugno 1874); il monachesimo nella
Gran Brettagna (Londra, 14 giugno 1874), giacobini e liberali (3 sett. 1876),
l'emigrazione ovvero una lettera a sè stesso su tale scottante problema (datata Roma 8 febbraio 1874 e iniziata effettivamente con la forma epistolare Caro Zerbi ..., il monumento ad Arminio (Il trionfatore della doppiezza latina, 24
agosto 1876) a proposito della Comune di Parigi.
Nel 1877 il De Zerbi ripropose ancora un nuovo romanzo, Vistilia, che,
già pubblicato in appendice sul giornale intorno al 1873, apparve col sottotitolo Scene Tiberiane 57 per i tipi del Marghieri di Napoli. In successione alla
morte dell'autore, l'opera fu ristampata dall'editore Anacreonte Chiurazzi di
Napoli nel 1900. Quest'ultima edizione, oltre ad una nota dello stesso editore, contiene la dedica del De Zerbi ad Achille Fazzari, una lettera prefazione
di Pietro Mascagni al figlio dell'autore, avvocato Domenico ed un profilo sul
medesimo De Zerbi ad opera di Federico Verdinois, già apparso nel 1881
presso l'editore Morano di Napoli nei Profili Letterari Napoletani di Picche.
L'opera, ridotta per la musica dai librettisti Targioni Tozzetti e Menasci, ebbe il privilegio di venire rivestita di note dal musicista Mascagni, che vi ave57
Erra completamente p. Russo (cit.), che riferisce come sottotitolo quello di Scene
letterarie e quale data di edizione il 1880.
19.
va avvertito una grande musicalità, e nella narrazione e nella sequenza della
vicenda. Scrisse nella prefazione alla seconda edizione quel grande rappresentante della musica verista italiana: alla verità e potenza descrittiva si disposano una indicibile poesia ed una forte drammaticità passionale, rievocante un periodo feroce fin che si vuole, ma artisticamente del maggior interesse. E Pietro Mascagni, in fatto di drammaticità e musicalità, era uno che se ne intendeva.
Lo spunto per Vistilia venne al De Zerbi da un passo di Tacito ed egli,
sulla sua falsariga, è riuscito a penetrare talmente a fondo nell'ambiente lascivo latino da darci un'efficace descrizione del brio e dell'eleganza romani,
quadro esatto della vita ai tempi dell'imperatore Tiberio. Vistilia, che mi
sembra riecheggiare da vicino il Petronio Arbitro del Satyricon, è per me il
lavoro migliore e più riuscito ideato e composto da Rocco De Zerbi e dispiace che il Croce abbia liquidato frettolosamente l'attività letteraria del calabrese senza prendere in considerazione neanche quest'ultima opera. Il Verdinois volle intravedere in essa un'astuta manovra dell‟autore per trovare il
modo di dar sfogo alle sue velleità archeologiche, alla sua matta voglia di parere erudito. Elio, con la moglie Clelia ed alcuni figlioletti, vive in una villa della
provincia romana al tempo della caduta di Seiano, quando l'arrivo improvviso di un vecchio accattone viene a ricordargli delle terribili scene, cui è stato testimone e che da parecchio ha ormai scacciato dalla mente. Molti anni
prima Elio s'innamora pazzamente di Vestilina Vestilia, moglie di Titidio
Labeone e, dopo vari approcci, ne diviene l'amante. Vestilina, ritornata momentaneamente al marito dopo che questi ha compiuto un atto valoroso in
Germania, se ne allontana di nuovo e, per interpretare i segni del destino, si
reca dalla maga Canidia. Al ritorno, purtroppo, il destino le riserva una
sgradita sorpresa, l'incontro con un gruppo di ebbri Baccanti, a capo dei
quali si trova lo stesso Elio. Invischiata controvoglia nel gruppo, Vestilina
viene condotta al tempio ed iniziata ai misteri d'Iside da quei sacerdoti. E'
notte. Tutti dormono. Vestilina abbandona furtivamente il branco degli ubriachi sdraiati per terra nelle pose più sconce e cerca di uscire dal tempio.
Appena fuori, viene però arrestata dai vigili in ottemperanza ad un decreto
del senato. Il prefetto ordina allora l'arresto di tutti i partecipanti al convito
notturno, ma, siccome parecchi di essi risultano nobili o liberti, decide di
salvaguardare almeno la posizione di costoro. Vestilina, che può salvarsi solo rivelando la sua vera identità, sta zitta e viene condannata assieme a tutti
gli altri disgraziati che non hanno alcun privilegio da ostentare. L'edile le
impone un nuovo nome, Galliola e la condanna ad andare in casa infame. Qui
viene riconosciuta da un ospite occasionale, Ateio Capitone, il quale porta in
discussione al senato il grave fatto alla presenza del marito e del padre di
lei. Vestilina viene di nuovo condannata e stavolta all'esilio nell'isola di Seri-
20.
fo. Elio, una sera, si trova ad un convito in casa dell'amico Trione, quando si
presenta in sordida toga Galliola agonizzante, che, narrando all'amante i casi
occorsile, lo supplica, se vuole salvarsi in tempo, di abbandonare per sempre
quella vita di orge e baccanali. Elio implora che Vestilina viva, ma tutto ad
un tratto ella reclina il capo e muore. In quel frangente arriva il padre di lei,
Vistilio, che, vedendo la figlia morta in mezzo a quegli ubriachi avvinti impudicamente, si butta col viso su di una fiamma e rimane cieco. Elio decide
allora di mutar vita e dopo otto anni sposa Clelia e forma una famiglia modello. Vistilio è il vecchio accattone che si presenta a casa di Elio all'inizio
del racconto. Il De Zerbi lo descrive Più infelice di Edipo, povero, cieco, va ramingo per le contrade d'Italia, e la sua Antigone è un cane.
In una prosa viva e attuale, quasi scintillante quale è quella di Vistilia, De
Zerbi fa rivivere, come detto prima, il mondo pagano latino e disserta variamente di storia romana. E' interessante ed attraente tutto il racconto, ma dove l'autore eccelle è soprattutto nelle scene di massa. Ecco com'egli immagina si svolgessero i ludi gladiatorii al tempo di Tiberio:
Si confondono urli, ululati, ringhiare, gridare, sventolare di rosse pezzuole, urti di spade,
digrignar di denti, sangue e fiere uccise ed uomini boccheggianti e il popolo frenetico, in piedi,
convulso, tempestoso, che aizza alla carneficina uomini e bestie, gridando, fischiando, battendo le mani, ululando, il popolo che pare immenso avvoltoio affamato, aleggiante in lento cerchio e aspettante la fine della lotta per pascersi dei cadaveri.
Ed ecco come vede un convito di baccanti:
A canti osceni, danze ubriache e suoni dissonanti e ragli d'asino seguì spaventoso ruggito
di leone ed urli di tigre meravigliosamente e spaventevolmente imitati, e ad un tempo ella
s'udì strappare caninamente fra paurosi latrati il manto, come se un mastino l'avesse afferrata. Quasi molla che scatti, si levò, m'avvinghiò, mi strinse, affannosa, anelante e convulsa.
Alle precedenti pubblicazioni seguirono nel corso degli anni : L'Arte Moderna (raccolta delle lettere scritte in occasione dell'esposizione nazionale di
belle arti a Napoli; Firenze, Le Monnier, 1877), Chiesa e Stato (Napoli, Marghieri, 1878), Linguaggio dell'uomo primitivo (Napoli, Tipografia dei Comuni,
1878), Faust - Gli amori di Faust (Napoli, Marghieri, 1879; conferenza tradotta
nello stesso anno in tedesco)58, Tibullo - Polemica tra G. Carducci e R. De Zerbi
(Milano, Treves, 1880), Amleto (Torino, F. Casanova, 1880, pp. 80; studio psicologico letto in una conferenza tenuta nell'Istituto di Belle Arti a Napoli e
successivamente, con aggiunte e correzioni, alla Società Filotecnica di Torino), Le Banche e l'abolizione del corso forzoso (Napoli, De Angelis, 1881), Per la
morte di Garibaldi (Bologna, Zanichelli, 1882), Difendetevi (Napoli, De Angelis,
58
Una nuova edizione fu stampata nel 1916 a Napoli presso Tommaso VillaniEmporio Americano e al principale titolo (Faust) seguono gli altri di Gli amanti di
Faust e Sogni di Cloralio.
21.
1882), Leone Gambetta (15 gennaio 1883, vol. XXXVII, serie II, pp. 32: queste
sono le uniche indicazioni riscontrate nell'esemplare esaminato) e, finalmente, Il mio romanzo - Confessioni e documenti (Roma, Casa Ed. A. Sommaruga e
C., 1883, e non 1884, come p. Russo) 59. Quest'ultimo libro, di sicuro uno dei
migliori e degno di figurare accanto a Vistilia e dove l'autore, seguendo la
moda imperante, fa finta di non essere stato lui ad idearlo, ma di fare soltanto da prestanome, contiene alcuni racconti ricchi di pathos, che affascinano
subito il lettore. Ai titoli Il mio romanzo, Dolore per dolore, Sogni di Cloralio
fanno seguito le più espressive pagine del volume: Il granato del mago, leggenda calabra rievocante gli ameni Piani della Corona e la suggestiva Bagnara con le caratteristiche "bagnarote", Il ramo d'ulivo, Suor Angiola Vittoria,
la stessa protagonista del romanzo "L'Ebrea" e, infine, Pergolesi. Nell'ultimo
episodio è narrato con vivezza d'immagini e molta soavità l'amore senza
speranza tra il compositore e Maria Spinelli, rampolla di ricchi feudatari.
L'anno successivo fu la volta di un opuscolo stampato a beneficio degli
orfani delle vittime del colera di Napoli del 1884 (Colera del 1884 - Croce Bianca e Croce Rossa - Relazione dell'on. De Zerbi letta all'Associazione Generale
dei Volontari il 5 ottobre 1884, Napoli, Stab. Tip. di Vincenzo Pesole, 1884).
Il lavoro, che contiene una lunga prefazione di Raffaele Parisi e l'elenco dei
volontari, oltre alla cronaca degli avvenimenti, è un vero resoconto fornito
dal de Zerbi, a quel tempo presidente della Croce Bianca, che molto cooperò
ad alleviare le sofferenze dei napoletani, avvalendosi peraltro dell'apporto
di uomini quali Giovanni Bovio, il Verdinois, Bracco, Turiello e tanti altri valorosi componenti del comitato. L'opera del De Zerbi in tali tristi frangenti
fu talmente infaticabile ed efficace da far pronunziare a Giovanni Bellezza
frasi come Egli (il De Zerbi) ha redento Napoli dal flagello 60. L'anno precedente
quegli s'era già ampiamente distinto anche a Casamicciola, in occasione del
funesto terremoto ch'era venuto a colpire quella cittadina. Il 1884 vide anche
l'apparizione dell'ultimo romanzo del geniale calabrese, un'opera però non
all'altezza delle precedenti. L'Avvelenatrice, pubblicata a Roma per i tipi del
Sommaruga, con aggiunto in appendice il breve lavoro Le Sirene - Nota noiosa (il volume sarà ristampato, privo dell'appendice, nel 1893 ed in piccolissimo formato, 8x13, dall'editore Ferdinando Bideri di Napoli). Disegnato a
Venegono (nel 1881), dove fui quindici giorni ospite del mio onorevole amico G. B.
Cagnola, questo volume è stato colorito e menato a termine nell'Albergo Quisisana,
qui in questa Capri fascinatrice ...: così il De Zerbi sui tempi di quando gli ven59
60
P. Russo, cit.
La frase è compresa, probabilmente, nell'articolo dello stesso, dal titolo di De Zerbi
nell'epidemia colerica di Napoli, apparso in G. D. T. del 4 ottobre 1884.
22.
ne l'idea del romanzo, il cui titolo, drammaccio d'arena doveva essere piuttosto convertito in L'Avvelenata, com'egli stesso ebbe a dire e come la fine della
protagonista avrebbe consigliato. Nel nuovo romanzo, che mi pare si accosti
abbastanza a quel genere di romanzi d'appendice tanto in voga al tempo,
l'autore ha dato vita a dei caratteristici personaggi di quel momento romantico ch'egli andava vivendo e che si susseguono uno dietro l'altro: Fuchsia
testa di colomba e corpo di murena, Battista il misantropo, il mago, come veniva
definito dai monelli di Palmi un certo tipo ameno di paese di quella fine secolo e, infine, Isenarda cuore di ferro. Rastignac così giudica quest'ultimo parto letterario del De Zerbi:
E' un romanzo questo che pare un respiro: così rapido e nervoso si svolge; così rapidamente e nervoso è gittato giù. Si sente che tutto quel cumulo di poesia raccolto nella mente
dell'autore, aveva bisogno di sprigionarsi alfine: ond'è che non fa meraviglia se nel calore delle improvvisazioni la materia sia rimasta un po' greggia, qua e là disordinata 61..
E' ben vero quanto ebbe a riscontrare il giornalista di Bagnara e lo stesso
De Zerbi ne doveva essere convinto se così dichiarava nella prefazione:
Brutto o bello che sia, dico addio a questo lavoro con qualche amarezza, perché è stato la
mia vita continua, agitata, nervosa e deliziosa, di un intero mese.
Negli anni seguenti il lavoro di De Zerbi non conobbe soste ed il giornalista, tra un articolo di giornale, un discorso alla camera dei deputati ed una
conferenza, continuò a sfornare le sue pubblicazioni. Nel 1885 usciva a Roma Il mio primo passo letterario e, indi, Commemorazione di Marco Minghetti Legnano 9 giugno 1889 (Legnago, Tip. di V. Bardellini, 1889, pp. 35), Ottone
di Bismark (Stab. Tip. L. Battei, 1890, pp. 40), Discorso agli elettori del 2° Collegio di Reggio Cal. (Palmi, Lopresti 1890), L'inchiesta sulla colonia Eritrea (Roma,
Stabilimento Tip. dell'Opinione, 1891, pp. 76). Nell‟ultima opera, che prese
le mosse dalla creazione di una commissione d'inchiesta originata dalle uccisioni senza precedente giudizio che avvenivano in un campo nei pressi della
villa Andreoli sulla via di Archico, il De Zerbi, che nel 1888 era stato in Egitto e l'anno dopo in Eritrea, colse il destro per discettare un po' di tutti i bisogni di quella colonia africana ed offrì la sua fatica quale deposizione testimoniale al capo del governo. L'autore dichiarò subito che non era suo precipuo intendimento occuparsi della veridicità dei fatti lamentati o della ricerca
dei responsabili, ma, prendendo spunto da essi, affrontò l'argomento ben
più importante dell'amministrazione della giustizia in Eritrea. Nel 1891 erano trascorsi appena nove anni da quando la società Rubattino aveva donato
all'Italia i suoi possedimenti attorno alla baia di Assab e soltanto uno dal
momento in cui quelli, accresciuti da successive cessioni, erano stati eretti in
colonia col nome di Eritrea, ma l'opinione pubblica italiana era stata attratta
61 PALAIA,
Rocco De Zerbi ..., p. 32.
23.
e scossa da quel lembo d'Africa per alcuni tristi fatti ivi verificatisi, quali la
sconfitta di Dogali del 1887 e simili, per cui l'opera del De Zerbi veniva a cadere a proposito e si mostrava, nel frangente, di scottante attualità. L'opuscolo sull'Eritrea, pur pieno di consigli e suggerimenti, fu in sostanza un atto
di accusa contro la classe dirigente ed in esso l'autore, che mise in dubbio
perfino la necessità per l'Italia di possedere tale colonia, si rifece in primo
luogo alle uccisioni di personalità eritree volute dalla polizia italiana anche
in seguito a processi regolari, ma suffragati da false prove e rimproverò aspramente i responsabili. Così egli gridava:
... è scandaloso che, a Massaua, in piena pace, dove esercitano tranquillo ed onesto commercio molti europei, siano di competenza del tribunale militare, frettoloso sempre ne' giudizi
suoi e corrivo a vedere con gli occhi del governatore, i reati imputati ad ogni privato cittadino,
cui non si concede libera difesa, ma s'impone quella di un ufficiale subalterno spesso ignorante del giure, onde ogni guarentigia di giustizia manca.
Conoscitore della geografia del territorio, della suddivisione amministrativa e delle varie tribù indigene, il De Zerbi, pur ammettendo in taluni casi
la necessità della forza, si dichiarò nettamente contrario all'uso indiscriminato di essa e, richiamandosi a precedenti storici, si pronunziò a favore del parere che alla forza si accompagnasse in pari tempo la giustizia. Sinceramente
interessato a che l'Italia uscisse dalla prova coloniale con onore, egli, dopo
aver constatato che in Eritrea non vigeva alcuna legge codificata, ma che
ognuno vi applicava la propria o prendeva a prestito un po' di qua e un po'
di là, a seconda delle necessità contingenti, esortò i governanti a farsi promotori di un codice applicabile alla colonia e, nel caso, si dimostrò assai umano e lungimirante. Se l'Italia vuole conservare il possedimento africano,
diceva, non deve applicare i suoi ordinamenti, buoni per il territorio nazionale e controproducenti altrove, ma pretendere dai suoi sottoposti non più
di quanto sia necessario. Indi, prendendo esempio da olandesi, russi e inglesi, deve lasciare quanto più è possibile di autonomia ai piccoli governi comunali.
Sulla scia di noti africanisti, quali Munzinger e Franchetti e profondo esperto di usi e costumi dei vari gruppi etnici che tuttora compongono il mosaico eritreo, De Zerbi non esitò poi a cimentarsi nella descrizione dello stesso territorio africano, della struttura geologica, delle piante, della geografia
viaria e del commercio e, benché dicesse che in fatto di scienze parlava a orecchio, appariva molto a conoscenza d'interessanti nozioni scientifiche. Poiché Il ministero ignora se e quanto la colonia valga la spesa di conservarla, ignora
quale ne sia stato e quale ne debba essere il governo, quali ne siano i bisogni e quali
le forze produttive - sono parole del De Zerbi - quest'ultimo, tra i tanti consigli
offerti al capo del governo, prospettava la necessità di portare i limiti territoriali della colonia al confine naturale del Mareb, l'imporsi di vari metodi di
24.
governo a seconda delle regioni e dei popoli e come si appalesasse urgente
una disciplina delle acque e dei sistemi d'irrigazione. Fautore della colonizzazione agricola dell'Eritrea, contemporaneamente a quella militare, egli
diede pure interessanti suggerimenti sui vari tipi di piantagioni e sulle piante che vi potevano attecchire e, citando i casi del Canadà, dell'America del
Sud e dell'Australia, affermò come fosse il caso di provvedere alla colonizzazione del territorio con la deportazione di galeotti.
Noi avremmo, dopo pochi anni - egli diceva - lo stesso spettacolo che si è avuto in Australia, una popolazione uscita dalla prigione trasformata in popolazione laboriosa.
Concludendo l‟ennesima fatica, il De Zerbi, mettendo come al solito le
mani avanti, dichiarava:
Questo studio è stato scritto in tre giorni; ed esso rivela forse troppo la fretta. La forma è
negletta, manca il coordinamento, talvolta è poco chiaro: molte questioni che meriterebbero
lungo esame non sono toccate: e in qualche punto la folla d'idee che si premeano per venire
sulla carta, mi ha impedito il lavoro di analisi e di selezione.
Non sappiamo quale effetto abbia prodotto nell'animo dei governanti italiani la pubblicazione di quest‟ultimo lavoro, ma si può essere certi che lo
scrittore calabrese, mise, nell'occasione, il dito sulla piaga e parecchi suoi
suggerimenti, che non facevano una grinza, si attagliavano perfettamente
alle esigenze del momento politico. Posteriore di un anno è la pubblicazione
del Discorso agli elettori di Palmi del 23 ottobre 1892 (Palmi, Tip. Lopresti, 1892,
pp. 37). In essa il De Zerbi si occupò a lungo soprattutto di cifre, della questione economica e militare del momento, del problema dello stato, dell'università e di tanti altri argomenti, che al tempo dovevano scottare particolarmente. Altre opere dell'anno sono: L'equilibrio del Mediterraneo (Casa ed.
Italiana), una dissertazione sulla missione naturale dell'Italia, nazione che
avrebbe dovuto fare da tramite tra Asia ed Africa e Rossini e la musica nuova.
Altre stampe del De Zerbi, di cui non conosciamo precise indicazioni bibliografiche riguardano Simpatie (Napoli, Tip. del Giornale di Napoli) e Virginia.
Quale il valore da dare oggi alla ricca produzione letteraria del De Zerbi, soprattutto ai romanzi, l'unica branca riconducibile in qualche modo alla
letteratura? Pensiamo che colga abbastanza nel segno, anche se è poco tenero nei riguardi del personaggio, proprio l'autore di una recente letteratura
calabrese, Pasquino Crupi. Questi, che lo identifica come un intellettuale a
squarciagola nato nel periodo postunitario, scrive che, intriso di positivismo a
tutto campo, si rivela più giornalista e tribuno che romanziere. Infatti, a
primeggiare è solo la sua vena oratoria. Quando scriveva aveva avanti a sè il
giornale e gli scanni dei parlamentari. Era il suo un romanticismo di fine
„800 superato dagli eventi e l'amore, di cui pervadeva le pagine intossicate
delle opere via via proposte in anteprima sul giornale, si coniugava con l'infelicità. Ma ecco in diretta delle calzanti considerazioni:
25.
Non narra i sentimenti il De Zerbi, ma li analizza come fa lo scienziato in laboratorio.
Non la passione, ma la patologìa e le patologìe della passione assorbono l'attenzione del romanziere, che vede attraverso la lente del suo incontinente positivismo 62.
Già in passato Pasquale Tuscano non era stato tenero nel definire l'attività politico-letteraria del De Zerbi, men che mai oggi a distanza di 27 anni.
Così egli ne racchiude i limiti:
De' Zerbi dev'essere ricordato opportunamente come testimone di eccezionale livello
dell'istrionismo politico e culturale meridionale, sostanzialmente 'solitario', pur essendo un
esponente autorevole di una classe sociale che praticava i suoi stessi atteggiamenti ed esprimeva gli stessi interessi politici e culturali 63..
In verità, negli ultimi tempi il personaggio De Zerbi è stato abbastanza
ricercato come tema per tesi di laurea, segno evidente che qualche orma l'ha
pur dovuto lasciare. Ne ricordo un paio, quelle di Giuseppe Bonaventura
(Rocco De Zerbi narratore e publicista) per la facoltà di lettere dell'università La
Sapienza di Roma nell'anno accademico 1983-1984 con relatore il prof. Nino
Borsellino e di Domenico Licastro (Rocco De Zerbi: l’uomo, il giornalista, il politico) per la facoltà di lettere e filosofia all'università di Messina nell'anno
2001-2002, relatore il prof. Pasquale Fornaro.
Il politico
Avendo esaminato sin qui alquanto sommariamente tutti gli aspetti di
quella multiforme personalità che fu Rocco De Zerbi, non rimane ora che
passare a trattare del lato più appariscente di essa, quello politico, che ho lasciato di proposito per ultimo perché concatenato appieno all'improvvisa
fine ed alle leggende che in merito fiorirono per lungo tempo in Italia. Rocco
De Zerbi ebbe il suo primo incontro con la politica nell'anno 1874, quando
venne presentato quale candidato alla camera dei deputati a Napoli, nel V°
collegio - sezione Avvocata, in quella stessa sezione che aveva visto vincitore prima di lui e che nel frangente gli era avversario, un prestigioso nome,
quello del generale Mariano d'Ayala (1808-1877). Superata brillantemente
l'elezione, contro ogni aspettativa e contro un'agguerrita opposizione e condotta in porto la XII legislatura (1874-1876), si ripresentò, con ottimo esito,
nella successiva competizione, ma l‟elezione fu annullata dalla camera il 3
62
P. CRUPI, Storia della letteratura calabrese Autori e Testi, IV, Cosenza 1997, pp. 11-12.
TUSCANO, Attualità di De’ Zerbi?, “Il Ragguaglio Librario”, a. 1975, n. 6; ID., Per
altezza d’ingegno-Aspetti e figure dell’attività letteraria calabrese tra otto e novecento, Soveria Mannelli 2002, p. 99.
63 P.
26.
febbraio 1877, si disse, per mene governative e per quella volta dovette rassegnarsi a rappresentare Portici da consigliere provinciale 64.
Ritornato ricaricato nell'agone politico, il battagliero giornalista del Piccolo fu rieletto di nuovo a Napoli, una prima volta nel 1880 (1° collegio) ed una
seconda nel 1882 (5° collegio). Nell‟ultima occasione preferì optare per la
nomina nel 2° collegio di Reggio Calabria (non Palmi, come Palaia, Rocco De
Zerbi ...) (1896), dov'era stato pure eletto e, in ultimo, per ben due volte, per
quella nel collegio di Palmi (1890 e 1892). In parlamento non ebbe mai una
precisa collocazione politica, il suo temperamento ne rifuggiva, ma comunque sedette sempre a destra ed osteggiò parecchio i rappresentanti della sinistra 65. In verità, non fu tenero neanche coi rappresentanti della destra e,
solo in un secondo tempo, divenne amico dei vari Crispi, Nicotera, Minghetti, Di Rudinì, Zanardelli. Alla camera non fu mai irretito nei giochi di partito
e si regolò sempre a modo suo e nei modi più inconsueti, assolutamente secondo un suo preciso convincimento.
Il programma politico di De Zerbi era molto semplice e lui stesso l'annunciò una volta solennemente (tutto sta a vedere se fosse sincero) nell'opuscolo sulle Banche del 1881: Il programma al quale ho dedicato e dedicherò la mia
esistenza è quello di una patria grande e potente. Tuttavia, il suo comportamento
in parlamento non fu sempre dei più corretti e qualche volta egli si mise a
difendere la posizione della classe padronale contro il popolo, quando nel
1878 votò contro l'abolizione della tassa sul macinato, la cosiddetta imposta
della fame 66. Scrive il Messaggero:
Anche il De Zerbi fu avvinghiato - forse senza riluttanza - dagli artigli di quel fatale trasformismo che ha rovinato materialmente l'Italia, moralmente tante coscienze.
L'agire di De Zerbi in parlamento non fu visto bene neanche dal Sonnino,
che a proposito della presentazione di una legge, così annotava nei diari:
64
Il Consiglio (Rocco De Zerbi ..., pp. 106-107) riferisce, senza documentarlo, che in
entrambe le elezioni il De Zerbi riuscì eletto esclusivamente per aver commesso, lui
e gli amici, numerosi brogli elettorali.
65 Alla sua prima elezione così il De Zerbi affermava: Mi è stato domandato dove sederò
alla Camera ... io non trovo ancora il mio posto nella Camera. La Sinistra non è abbastanza
liberale e la Destra non è abbastanza conservatrice. Lasciatemi augurare che nella prossima
legislatura i partiti acquistino una fisionomia vera e decisa. Se avverrà, allora avrete il diritto di domandarmi dove sederò. Ora, se volete saperlo, sederò sul banco di Sant'Elena;
starò in un porto aspettando che i venti mi consiglino quale vela debba mettere; starò al
centro; e se volete anche saperlo, vi dirò che io, per natura e per convinzioni moderato, non
potrò sedere che al centro destro. DE ZERBI, Scritti politici ..., pp. 7-8.
66 F. SPEZZANO, La lotta politica in Calabria (1861-1925), Manduria 1968, p. 160.
27.
9 luglio 1889. Si sta cercando al Ministero degli Esteri, ispiratore il De Zerbi, di costituire una società per l'Africa, cui cedere il monopolio del commercio, ecc. lo Stato prestando
la forza. Una vera follìa 67!
Nello stesso tempo che vi guazzava dentro, il De Zerbi odiava la politica
e n'è prova un suo accorato richiamo ai tempi dell'avventura garibaldina al
Fazzari nella prefazione a Vistilia:
E chi avrebbe previsto che la politica avrebbe potuto allontanarci? chi ci avrebbe mai detto
che la tua vita sarebbe stata sì fortunosa, la mia così inutile e greve? L'avessi preveduto, io
avrei, più che sfidato, cercata la morte.
Mandato al parlamento per ben tre volte dalla Calabria, difese a viso aperto la sua regione e cercò sempre di farle ottenere grandi benefìci. I suoi
discorsi alla camera in favore della sua terra trattano soprattutto di bonifiche
e strade, le necessità più impellenti della Calabria di allora e pare ch'egli fosse addirittura l'ideatore ed il promotore di una ferrovia che avrebbe dovuto
collegare i più grossi centri della Piana di Gioia 68. In buona sostanza, egli
venne ad appoggiare in pieno nel 1882 il progetto ideato dal varapodiese
Giuseppe Careri. Al De Zerbi, per il suo attivo impegno a pro delle comunità del territorio, il comune di Gioia nel 1877 aveva già espresso per altri motivi un voto di riconoscenza e di ringraziamento. In apposita delibera, oltre a
far rilevare l’operato dal De Zerbi nel lavoro legislativo della camera, si teneva ad elogiare il deputato per la cura messa nella difesa degli interessi
della Calabria in riguardo alla ferrovia Eboli-Reggio ed a quelli della Piana
per essere riuscito a fare imporre il dazio d’importazione sugli oli d’oliva e
di semi, procurando così un gran servizio ai produttori italiani di olio sincero d’oliva, ed in particolar modo a quelli del Circondario di Palmi, che è uno
dei più importanti centri di tale produzione 69. L'amministrazione comunale di Oppido, certamente, si dovette rivolgere spesso all'on. De Zerbi per le
sue più urgenti pratiche ed il sindaco, a lui fratello, dovette rifare sovente il
percorso Oppido-Roma e viceversa per perorare la causa dei suoi concittadini.
67
S. SONNINO, Diario 1866-1912, I, Bari 1972, p. 138.
Un aborto del piano De Zerbi è l'attuale linea della già Soc. Calabro-Lucana, peraltro in disfacimento, che da Gioia Tauro s'irradia verso Cittanova e Sinopoli.
Sull‟impegno del deputato calabrese a proposito della ferrovia della Piana ved. R.
LIBERTI, Il Risorgimento: dal Decennio Francese alla Grande Guerra, “Gioia Tauro Storia Cultura Economia”, Soveria Mannelli 2004, pp. 109-144.
69 ARCHIVIO COMUNE GIOIA TAURO, Delibere del Consiglio Comunale; R. LIBERTI,
68
28.
Il De Zerbi fu più volte in predicato di essere nominato sottosegretario
alla marina od alla guerra e fu spesso relatore dei bilanci dei relativi ministeri. Fu anche presa in considerazione una sua nomina quale governatore
della colonia africana, ma non se ne fece mai niente. Il perché?
Il perché - secondo l'articolista del Messaggero - consisteva in una certa diffidenza
che circondava il De Zerbi, diffidenza dovuta a parecchie intraprese in cui egli si sapeva intermediario; intraprese su cui nulla si trovava a ridire per sè stesse, ma che sembravano incompatibili coll'ufficio di deputato.
Lo scandalo della Banca Romana
Veniamo ora a quel noto episodio, ch'è conosciuto sotto il nome di scandalo della Banca Romana e che fece tremare dalle fondamenta, in sul finire
dell'800, l'impalcatura costituzionale dell'Italietta umbertina. Durante gli ultimi anni del potere temporale dei papi a Roma, la Banca Romana, un istituto nato appena nel 1840 come Società Mercantile, versava in condizioni abbastanza difficili e fu per ovviare al grave disavanzo che i responsabili decisero di emettere valuta più di quanto non fosse loro concesso. Passata Roma a
far parte del nuovo stato italiano, le cose, invece di migliorare, peggiorarono
e soprattutto quando governatore dell'ente venne nominato Bernardo Tanlongo, individuo assai spregiudicato, che si dette subito all'incetta di uomini
politici, per corromperli ed ottenere che votassero contro una legge del parlamento, che intendeva togliere alle banche il permesso di emettere valuta o
almeno per farla ritardare, nella speranza che il dissestato istituto riuscisse a
riprendere quota. Ma, così operando, il Tanlongo finì ancora con lo sperperare le già esauste finanze dell‟istituto ed a far precipitare la situazione. Infatti, nel 1889, quando venne promossa, per motivi politici, un'inchiesta per
il Banco di Napoli, la stessa finì per coinvolgere inaspettatamente anche la
Banca Romana. Nel caso, il senatore Alvisi ed il funzionario Biagini, malgrado il ministro Miceli avesse cercato di porvi riparo, trovarono nelle casse
della Banca ben nove milioni in biglietti irregolari, la cui serie era raddoppiata, fatto che rese furioso il ministro, il quale dispose una nuova perlustrazione nelle casse bancarie per il giorno dopo. Inutile dire che nella seconda
visita l'Alvisi ed il Biagini trovarono le cose più che al loro posto. Fu allora
redatta un'ampia relazione, ma, mentre una copia scompariva nei capaci
scaffali del ministero, una seconda veniva gelosamente conservata dall'Alvisi, che però non potè riuscire mai a leggerla in parlamento per il palese ostruzionismo di parecchi suoi colleghi. In punto di morte, allora, quegli consegnò il prezioso documento ad alcuni suoi fidati amici, che promisero di
renderlo noto a tutta Italia a tempo debito.
29.
Si era a questo punto quando Giolitti, disinvolto capo del governo, intese
venire in aiuto del Tanlongo, sia nominandolo senatore che varando un sollecito provvedimento al fine di garantire alle banche la possibilità di emettere valuta per sei anni ancora. Era il momento atteso per intervenire e gli amici del defunto senatore Alvisi non si fecero pregare ed affidarono l'esplosivo materiale documentario ad un uomo autorevole nel parlamento italiano, Napoleone Colajanni, che il 20 dicembre 1892 dava in pasto ai deputati il
ghiotto boccone. Prima che il rappresentante del popolo entrasse nella grande sala, pare sia stato proprio Rocco De Zerbi, suo amico, a farglisi innanzi
con una certa posa e con apparenza di freddo distacco e dirgli: Non lasciatevi
tentare dalla popolarità, Colajanni! Volete disfare l'Italia? 70. Colajanni non si fece
dissuadere dall'amichevole frase e parlò a lungo, rivelando tutte le malefatte
del Tanlongo e la complicità del governo. Ci furono molti interventi da parte
dei deputati, i giornali ne scrissero parecchio, si cercò in ogni modo di sanare la situazione, ma era ormai troppo tardi e Tanlongo, una bella mattina del
gennaio 1893, si vide ammanettare dai carabinieri e sequestrare tutti i documenti conservati nella Banca. Alcuni di questi ultimi, però, forse i più
compromettenti per il buon nome del governo, stando al Venè 71, vennero
distrutti dallo stesso ispettore incaricato di requisirli.
Dopo la piena confessione resa dal Tanlongo e la lettura dei documenti
rimasti, si provvide ad emettere numerosi mandati di comparizione, uno dei
quali andò al deputato Rocco De Zerbi, malgrado questi si fosse protestato
subito innocente. L'accusa per il calabrese, da più tempo "chiacchierato" nei
corridoi dei palazzi parlamentari, era, però assai precisa e circostanziata. Egli risultava aver accettato a titolo di compenso dal Tanlongo ben 425.000
lire per svolgere una campagna giornalistica sull'opportunità che la Banca di emissione fosse una sola, cioè quella Romana, secondo la Lattari Giugni72 e per favori concessi come deputato, al dire del Venè 73. Lo storico inglese Denis Mack
Smith afferma invece che il deputato calabrese erasi indebitato con la Banca
Romana per la somma di mezzo milione 74. In effetti, in alcuni appunti del
Tanlongo rinvenuti durante le perquisizioni effettuate nella sede della Banca
si accennava chiaramente a somme da colui versate al De Zerbi nel periodo
1888-1891, oltrepassanti le 400.000 lire e messe in relazione con la discussione in parlamento della legge sulle banche. Nella richiesta di concessione
70
G. F. VENE', Banconote fatte in casa, "Storia illustrata", a. 1960, n. 10, p. 612.
pp. 608-613.
72 LATTARI GIUGNI, I Parlamentari ...
73 VENE', Banconote ...
74 D. MACK SMITH, Storia d'Italia 1861-1969, I, Bari 1969.
71 Ivi,
30.
dell'autorizzazione a procedere contro il deputato calabrese, il procuratore
del re, infatti, riportò, oltre a ciò, l'ammissione del Tanlongo stesso di aver
consegnato tali somme, sia pure per rimborsi spese di stampa e di viaggi incontrate dall'On. suddetto per preparare favorevolmente l'opinione pubblica e l'altra,
del cassiere Lazzaroni, il quale, facendo presente come il De Zerbi fosse addirittura il segretario della commissione referente sul disegno di legge, dichiarò di essere stato presente agli sborsi di somme, fatti anche col mezzo di persona intermediaria (questa risultò tale Gaetano Bellucci-Sessa, che venne arrestato) e di ritenere che quelle gli siano state versate come compenso per aver
favorito in Parlamento le ragioni e gli interessi della Banca. Tra i documenti sequestrati al Tanlongo figurarono, oltre ad alcuni biglietti da visita dello stesso De Zerbi recanti cifre e scritti di vario genere, anche delle lettere assai
compromettenti, come quella datata 4 luglio 1890. Ecco di essa qualche sintomatico squarcio: E' necessario un ultimo sacrificio, prima che quei signori se ne
vadano. Manda 50.000 al sor Gaetano per l'amico, ecc. 75.
La tragica fine
Il 31 gennaio 1893 il Colajanni, parlando alla camera dei deputati, disse
tra l'altro come fosse il caso, dati i noti scandalistici eventi, di nominare una
commissione d'inchiesta che potesse far piena luce sui gravi fatti. Al che gli
rispose concitatamente e lasciandosi andare a battere un pugno sul banco
Rocco De Zerbi: E' necessaria!, forse nemmeno lontanamente potendo supporre che di lì a poco sarebbero venuti a galla alcuni particolari, d'importanza secondaria per lo scandalo maggiore, ma che avrebbero influito così tragicamente sul suo destino e l'avrebbero condotto così giovane alla tomba.
Richiesta dal procuratore del re, la camera il giorno 3 febbraio concedeva
l'autorizzazione a procedere nei riguardi del deputato calabrese, che, invero,
assai colpito sin dai giorni precedenti per le accuse ancora non chiare di cui
era stato oggetto, cercò di non mostrarsi troppo preoccupato, facendo anzi
finta di gradire la nuova situazione per poter meglio dimostrare la sua innocenza. Scrive il Messaggero che De Zerbi, appena ebbe sentore della concessione dell'autorizzazione a procedere, si sia così espresso davanti a tutti:
Di fronte alle accuse vaghe dei giorni scorsi, di fronte all'incerto, all'inafferrabile, mi sono
irritato, mi sono commosso, ed anche ho pianto. Si, anche ho pianto. Oggi sono addolorato,
ma calmo. Oggi che l'accusa è chiaramente formulata, sono calmo, perché potrò più facilmente far controllare tutto l'edificio eretto dall'ufficio d'istruzioni.
75
"Il Messaggero", cit. Una completa storia dello scandalo della Banca Romana è possibile leggerla in Storia del Parlamento italiano, diretta da Niccolò Rodolico, Palermo
1964, vol. 18°.
31.
Era sincero il De Zerbi nel dire ciò oppure il suo discorso rientrava nella
casistica del suo tanto noto modo di fare ed altro non era che una di quelle
sue solite finzioni che preludevano ad un prossimo attacco? Di certo, nulla si
sa. Morto prematuramente, ha portato il segreto con sé. Rientrato a casa quel
giorno, cominciò subito a sentirsi male ed andò peggiorando via via che
passava il tempo, in maggior grado da quando, in compagnia del figlio,
ch'era il suo avvocato difensore, dovette recarsi ai Filippini dal giudice istruttore Capriolo per essere sottoposto ad un lungo estenuante interrogatorio. Egli, che, stando ai medici curanti, soffriva da tempo di disturbi cardiaci,
fu immantinente circondato dalle cure più affettuose, ma il dottor Fontana,
medico di famiglia ed i professori Baccelli e Sciamanna compresero immediatamente la gravità del caso e giudicarono che tutto poteva volgere al
peggio. Difatti, il malato cominciò a respirare sempre meno, ad avere più di
frequente accessi di delirio e ad aver bisogno finanche dell'ossigeno. In ultimo, fu chiamato al suo capezzale anche il celebre Cardarelli, ma le ore erano ormai contate ed alle 3 e 1/2 circa del 20 febbraio si concludeva una vita
variamente vissuta 76. Il deputato calabrese morì, è indiscutibile, per un at76 Il
De Zerbi morì nel suo villino superbo in quel tratto di via Castelfidardo tra via Montebello e via Gaeta al n. 45, che l'articolista del Messaggero si dilunga a descrivere
stanza dietro stanza e facendone risaltare il lussuoso arredamento. Vivevano con
lui la moglie Virginia Bertoni di Modena, il figlio Domenico (un altro figlio, Adriano, decedette ad appena due mesi di vita), la sorella Virginia e qualche domestico.
Oltre ai familiari, lo assistevano spesso durante la malattia il maestro di scherma
Michelangelo Parise, l'avv. Masciantonio, collega del figlio, col quale divideva pure
lo studio d'avvocato e la signora Lina Crispi con la figlia Giuseppina. Si recarono a
riverire la salma lo stesso Crispi ed il Di Rudinì (Il Messaggero, cit.). Domenico, che
nel 1893 fu nominato socio benemerito dalla Società Operaia di Oppido, ebbe rapporti con la stessa fino al 1901, quando, più volte sollecitato a corrispondere un
contributo già promesso, così scriveva al parente d. Raimondo Zerbi: se sapessi in
quali difficoltà mi trovo io, per chiudere i conti miei, non mi parleresti neanche ... non nego
la promessa fatta ... le truffe a cui si son dati i fittuari e coloni di codeste mie proprietà mi
hanno lasciato senza un centesimo ... Appena lo potrò ... non dimenticherò il mio debito.
Dallo stesso sortì il figlio Renato (era nato prima dello scoppio dello scandalo o il
padre preferì dare all'erede altro nome meno implicante moralmente pur lasciando
la lettera iniziale?) Quegli, che svolse il suo impegno lavorativo alle dipendenze del
ministero dell'interno, fu più volte a Oppido, al fine di curare i suoi interessi legati
ad alcuni fondi agricoli, poi venduti, particolarmente quello noto come Fellusa.
Così ha voluto esprimersi in data 9 ottobre 1974 dopo aver ricevuto e letto il mio
lavoro sul De Zerbi edito due anni prima e richiestomi da un suo parente vivente
in Oppido, peraltro mio collega nell'insegnamento scolastico, Giovan Domenico:
Egregio Professore/ ho ricevuto il saggio su "L'attualità di Rocco De Zerbi", che ha avuto
la cortesia di inviarmi, e la ringrazio moltissimo. Avevo saputo, da comuni amici, che ella
32.
tacco cardiaco, ma il suo vero male deve ricercarsi in quello scandalo bancario che d'un colpo era venuto a rovinare la sua vita passata ed il suo avvenire ed egli stesso pare lo abbia detto in sordina durante il consulto di quei celebri luminari della scienza medica: Né loro né Esculapio varranno a salvarmi;
mi salverà soltanto chi proclamerà la mia innocenza 77.
Morto così repentinamente quel noto e battagliero uomo politico, poco
convinti che fosse morto per cause naturali, parecchi gridarono allora al suicidio e financo all'omicidio e i "soliti benpensanti" giudicarono che si fosse
voluto eliminare un pericoloso testimone delle malefatte governative. Lo
stesso figlio del parlamentare scomparso così gridò durante i funerali 78 rivolgendosi ai membri del governo, di cui, peraltro, nessuno era presente:
Assassini, avete ucciso mio padre. Sono in parecchi autori ad avvalorare la tesi
del suicidio e, tra essi, la Lattari Giugni, ma, come riferisce il Consiglio, bisogna escluderla nel modo più assoluto, soprattutto perché all'atto di concedere il permesso di far partire la salma alla volta della Calabria (sic!) si dovette aprire una seria inchiesta per tacitare le numerose voci ch'erano corse
in proposito, un'inchiesta durante la quale passarono al vaglio della magistratura familiari, parenti ed amici dell'estinto e perfino i medici curanti. Secondo il Consiglio, le voci sul misterioso caso erano nate soprattutto perché
negli ultimi giorni di malattia, al paziente erano state somministrate alcune
dosi di un liquore arsenicale alla Fowler, un medicamento, che, preso in quantità eccessiva, avrebbe potuto portare in breve tempo alla morte.
Deceduto in così misteriose circostanze Rocco De Zerbi, la sua figura aleggiò però ancora sinistra nelle sale del parlamento e fuori e corsero le più
strane leggende. Per qualcuno egli era affatto morto, ma si trovava in stato
di morte apparente in una bara forata ed in attesa di venirne fuori a scandaaveva scritto un breve studio su mio nonno, e pur avendo tanto desiderio di leggerla, non
mi era riuscito di rintracciarlo. Le sono perciò grato di avermene fatto omaggio./ Innanzi
tutto voglio dirle quanta sia la mia gratitudine per avere lei, illustre cultore di storia calabrese, rievocato la figura di Rocco De Zerbi, e per avere illustrato i tratti salienti della sua
personalità. Ella ha fatto ciò con mente di studioso e animo di calabrese./ Mi riprometto in
una mia gita in Calabria di venirla a conoscere personalmente per ringraziarla di nuovo e
per esprimerle a voce i miei sentimenti./ Con vive cordialità/suo/Renato de Zerbi. Purtroppo, poco tempo dopo il de Zerbi perveniva a morte.
77 "Il Messaggero", cit.
78 I funerali si tennero a Napoli il giorno successivo, con partenza dalla stazione ferroviaria. In testa al corteo erano una compagnia di guardie municipali con banda
ed un plotone di pompieri, anch'esso fornito di complesso bandistico. Erano presenti i parenti, il senatore Fusco, i rappresentanti del comune, della provincia, della
stampa e del collegio di Palmi. Le strade percorse dal corteo erano gremite ("Il Messaggero", 23 febbr. 1893).
33.
lo rientrato. Per qualche altro era stato, invece, una vittima dei giolittiani,
che gliela avevano a morte per via della sua reiterata opposizione ad oltranza 79. In effetti - bisogna onestamente riconoscerlo - Rocco De Zerbi, che, come dice il Mack Smith, fu il campione delle banche in parlamento, rappresentò il
solo capro espiatorio di un malcostume politico, che ormai si trascinava da
decenni e, infatti, nonostante il clamore prodotto, tutti gli implicati nello
scandalo, tra i quali risultavano illustri personalità come Bernardino Grimaldi, Bruno Chimirri, Luigi Miceli, Achille Fazzari e Giovanni Nicotera,
furono assolti e nessuno n'ebbe a soffrire, ad eccezione del solo Giolitti, che
dovette giocoforza dimettersi dall'alto incarico entro l'anno 80.
Poco o affatto conosciuta fino a qualche tempo fa era la reazione degli
oppidesi all'annuncio della morte del loro deputato 81. Appresa la triste novella dallo stesso sindaco, che si era immediatamente recato a Roma per vegliare accanto alla salma, il consiglio comunale, la mattina del giorno dopo il
triste evento, alle ore 10 a. m., si riuniva d'urgenza sotto la presidenza
dell'assessore anziano Domenico Grillo per ascoltare le ultime notizie sul
grave caso e deliberare di conseguenza. Ecco quanto il segretario doveva registrare in quell'occasione:
ll sig. Presidente comunica al Consiglio il telegramma fatto ieri da Roma del sindaco titolare Cav. Gaetano De Zerbi, col quale telegramma si annuncia la morte dell'Onorevole nostro
Deputato Rocco De Zerbi, avvenuta ieri stesso in quella città alle ore 3 a. m. e da lettura dei
telegrammi da lui fatti ieri alla famiglie dell'illustre Estinto ed al Sindaco, e quindi invita il
Consigliere comunale sig. Grillo Francesco Saverio a commemorare in quest'aula l'illustre
79
Le varie voci vennero raccolte dall'autorità giudiziaria quasi tutte e si diede corpo
perfino alle ombre. Diede sospetto la boccettina, che si usa mettere accanto al cadavere e dentro la quale s'infila un biglietto con il nome e la data di nascita e di morte
del defunto (in quella del De Zerbi era scritto: Rocco De Zerbi, nato a Reggio di Calabria nel 1843, morto in Roma, ucciso da un'atroce immeritata offesa, il 20 febbraio 1893,
pubblicista e deputato) ed anche il fatto che nelle tre casse, di legno, di zinco e di noce
fossero stati praticati dei fori. Per quest'ultimo caso l'articolista del "Messaggero"
spiega che a pretendere i fori siano stati gli stessi amici del De Zerbi, memori del
fatto che costui quand'era in vita soleva dire sempre di avere in orrore il sotterramento, per via delle morti apparenti e che preferiva essere inumato all'aperto.
80 Il Giolitti, nelle sue memorie, rievoca fedelmente tutte le vicende connesse al grave
scandalo, ma stranamente, nel passare in rassegna i molti personaggi che vi ebbero
un ruolo attivo, dimentica volutamente il De Zerbi ed appare preoccupato unicamente di difendersi dalle accuse che a quel tempo gli vennero mosse da più parti e
per motivi diversi. G. GIOLITTI, Memorie della mia vita (con uno studio di Olindo
Malagodi), Milano 1922, I,pp. 69-129.
81 Abbiamo saputo in pieno quale essa sia stata da una ricerca effettuata successivamente all'uscita del volume e che per altro riportiamo alla fine di questo lavoro.
34.
cittadino, che oggi non è più. Il signor Consigliere Grillo Francesco Saverio fa la commemorazione dell'illustre Rocco De Zerbi, accennando la perdita fatta con la sua morte, dall'Italia,
dal Collegio di Palmi e da Oppido in specie, tanto dal lato letterario e politico, quanto per aver
perduto con lui un campione di rare virtù civili e militari. Dopo ciò il Consiglio, su proposta
del sindaco ff., dell'assessore supplente signor Princi e del Consigliere signor Ioculano Domenico - All'unanimità delibera - 1) Che a spese del Municipio si facessero solenni onoranze
funebri in Oppido, con l'intervento del Municipio medesimo e delle Rappresentanze del
Mandamento. 2) Che a spese dello stesso Municipio sia scolpito un mezzo busto in marmo
dell'illustre Estinto e fosse collocato sulla Piazza maggiore di Oppido e precisamente al posto
ove trovasi l'antica fontana. 3) Che l'attuale via Mamerto prenda il nome di Via Rocco De
Zerbi. 4) Che facciansi pratiche perché la salma dell'Estinto fosse qui trasportata. 5) Che in
segno di lutto sia abbrunato il banco della Presidenza e la bandiera del Municipio resti abbrunata per un mese. 6) Che le scuole comunali restino chiuse per tre giorni. 7) Che la banda
cittadina non suoni al palco per un mese. 8) Che fosse delegato l'Onorevole Francesco Tripepi
a rappresentare il Comune ai funerali che saranno celebrati in Roma o in Napoli ed offrire in
nome del Comune medesimo una distinta corona. 9) Che per telegramma fosse ora stesso comunicato alla vedova ed al figlio dell'illustre De Zerbi la presente deliberazione 82.
Lo stesso giorno che ad Oppido De Zerbi veniva solennemente commemorato alla camera. Primo a parlare fu l'on. Tripepi, che tenne a ricordare
soprattutto le passate benemerenze dello Scomparso. Venne poi la volta
dell'on. Casile, compagno d'infanzia, il quale, dicendo tra l'altro: Voi avete
voluto una vittima ... ed una vittima a cui toccò la sorte di tutti i patrioti, quella di
morir povero ..., suscitò le ire dell'on. Barzilai e di altri, che ben a ragione giudicarono il suo dire un'ostentata esagerazione. Ai primi oratori seguirono
Colarusso, Quintieri, Camagna e Bovio. All'annunzio del decesso di De Zerbi fatto dal presidente della camera, Giolitti, presidente del consiglio, aveva
già pronunziato poche ma acconce parole, le più adatte alla bisogna:
Davanti ad una tomba, il Governo non può ricordare altro che i servizi resi al paese sui
campi di battaglia e nel Parlamento dal compianto nostro collega 83.
Per il grave lutto, che aveva colpito la famiglia De Zerbi, si rese sollecita
ad Oppido anche la locale società operaia di mutuo soccorso, della quale il
defunto aveva ricoperto la carica di presidente, anche se nominale, nel 1888
ed a cui doveva la nomina di socio benemerito formulata nel 1877. Riunitosi
il consesso in data 25 febbraio, si stabilì di celebrare un funerale alla memoria. Dovevano essere così stretti i legami tra il deputato e la società se nella
seduta assembleare tenutasi l'1 giugno 1886 si venne a decidere di comminare una multa ai soci che non avevano inteso partecipare al suo ricevimento 84.
82
ACO.
Atti parlamentari - Camera dei Deputati - Legislatura XVIII, Ia sessione, discussioni,
tornata del 20 febbraio 1893, pp. 1540-1543; "Il Messaggero", cit.
84 Atti custoditi nell'archivio della Società Operaia in Oppido.
83
35.
La messa in pratica della deliberazione votata all'unanimità dai consiglieri
comunali di Oppido non fu, però, molto sollecita e dovettero passare molti e
molti anni ancora prima che quanto stava a cuore all'amministrazione trovasse applicazione. Il 25 aprile dell'anno successivo il pittore Giuseppe Plateroti di Radicena, che aveva dipinto un ritratto ad olio raffigurante il defunto onorevole, veniva gratificato dal consiglio comunale con lire 125, ma ancora il 29 maggio dello stesso anno il consigliere Gregorio Gerardis poneva
un'interrogazione al sindaco per conoscere a che punto si trovavano i provvedimenti per le onoranze al De Zerbi, segno indubbio che le cose erano ancora di là da venire. Nella stessa occasione, tuttavia, si dava mandato alla
giunta perchè intavolasse trattative con lo scultore palmese Nicola Gulli per
un busto in marmo da sistemarsi in piazza Umberto I° e per delle tabelle pur
esse in marmo da applicarsi sui muri della via che avrebbe dovuto prendere
il nome del deputato oppidese. La consegna dei lavori sarebbe dovuta avvenire entro il 20 febbraio 1895 ed il prezzo pattuito ammontava in tutto a £.
3.000. In effetti, il Gulli aveva presentato già un bozzetto, che esposto nella
Sala municipale e nella piazza di Oppido ... ha riscosso il pubblico gradimento, ma,
dopo non se ne dovette fare nulla, non ne conosciamo i motivi, se bisognò
attendere fino al 1934 per vedere un busto raffigurante Rocco De Zerbi troneggiare sulla piazza principale di Oppido. Infatti, l‟opera in bronzo dello
scultore Concesso Barca (Oppido 1877 - Bagno a Ripoli 1968), veniva solennemente inaugurata (altra analoga sarebbe stato poi scoperta a Reggio ed è
quella stessa che si trova dentro il recinto della villa comunale) il 22 aprile
1934 alla presenza di numerose autorità, fra le quali il prefetto, il vescovo, il
podestà di Reggio, il console della milizia Spinosa ed il console Moscato, cui
facevano codazzo le immancabili organizzazioni del partito e numerosa folla. Oratore ufficiale della manifestazione fu il podestà di Palmi, avvocato Silipigni. Nel monumento, su cui venne posto il busto, vennero scolpite le seguenti diciture: Rocco De Zerbi 1843-1893, soldato - uomo politico - letterato,
quindi Napoli - Casamicciola, per ricordare le tappe più salienti e luminose.
L‟erma è quella stessa che l'autore del Previtocciolo, con eccessiva acredine
descrive il busto grosso, dalle guance e dal collo che schiattano, del deputato Zerbi,
il quale, arrabbiato nella sua faccia di bronzo, avrebbe voltato le spalle da bove alla
cattedrale 85.
Ancora oggi una delle vie principali di Oppido ricorda Rocco De Zerbi 86,
un uomo che in vita fu osannato per le indubbie qualità, ma che alla fine,
85
L. ASPREA, Il previtocciolo, Milano 1969, p. 73. Da qualche tempo il busto è stato
sistemato entro un'aiuola laterale della stessa piazza.
86 A Palmi è stata intitolata al suo nome la scuola media.
36.
per un solo episodio, precipitò dal piedistallo che si era faticosamente costruito, per un episodio sfortunato, che, però, lasciò indenni tanti politicanti,
che dovevano conoscere assai meglio del calabrese l'arte dell'intrallazzo.
Non fu da meno della consorella oppidese la società artistico-operaia di
Cittanova, che alla vedova del De Zerbi, anche lui suo socio onorario, si rese
presente inviando un telegramma di condoglianze il 21 di febbraio e decidendo di tenere lutto per tre giorni consecutivi sprangando le porte della
sede sociale. Questo il testo del telegramma:
Signora De Zerbi/ Castelfidardo 45/ Roma/ Questa Società Operaia, della quale l'Illustre
Estinto era socio onorario, m'incarica di esprimerle i sensi del suo più profondo cordoglio per
la grande sventura, ch'è sventura Italiana. Ad essi aggiungo l'espressione del mio più sincero dolore/ Presidente Francesco Varcasia 87.
Il comune di Scilla il 28 febbraio, riunito in seduta straordinaria, commemorò degnamente il De Zerbi, che tanto si era cooperato per il porto e per
il mantenimento della pretura, tanto da concedergli nel 1891 la cittadinanza
onoraria. Per il mai abbastanza compianto ed illustre Concittadino si deliberò di
celebrare un servizio funebre nel duomo, l'apposizione di una lapide sulla
facciata del palazzo municipale con indicazione dei benefìci ottenuti dal paese e l'intitolazione al suo nome della salita Barone 88.
Luigi Pirandello, che ambientò parte del suo romanzo I vecchi e i giovani
al tempo dello scandalo della Banca Romana, s'ispirò certamente alla figura
del De Zerbi nel creare il personaggio dell'on. Corrado Selmi, le cui vicende
seguono quasi in tutto la falsariga di quelle vissute dal deputato calabrese.
Come Pirandello, anche un altro scrittore pensò per un suo romanzo a Rocco
De Zerbi. In questo secondo caso si trattò di Carlo Del Balzo, pure deputato,
che ne I soldati della penna (Voghera, Roma 1908) narrò le vicissitudini
dell'on. Santelmo. Ci viene riferito dal Croce (La letteratura ..., VI, 1950, p.
168), che riporta il riassunto completo dell'opera. E, probabilmente, anche
un personaggio di Matilde Serao si rifà al De Zerbi (Vita e avventure di Riccardo Joanna, Napoli 1886) 89. Il più recente romanzo ambientato all'epoca del
grave scandalo è quello di Carlo Alianello, edito intorno al 1972 dall'editore
Rusconi ed intitolato L'inghippo.
87
ARCHIVIO SOCIETÁ ARTISTICO-OPERAIA CITTANOVA, Libro delle deliberazioni.
88 ARCHIVIO COMUNE SCILLA, Delibere consiliari del 5 dic. 1891 e 28 febbr. 1893.
89 N. FESTA, Carlo Del Balzo e la sua Irpinia: luogo morale e scena letteraria, “CorriereQuotidiano dell‟Irpinia”, 9 dicembre 2004.
37.
Rocco De Zerbi in diretta *
Indagando nella biblioteca comunale di Scido, di recente formata con
l'acquisto della collezione del bibliofilo dott. Paolo Greco di Delianuova, mi
sono imbattuto in una discreta corrispondenza che il noto giornalista, scrittore, uomo politico Rocco De Zerbi venne ad intrattenere nell'arco di tempo
tra il 1866 e il 1890. Sono lettere che rivestono sicuramente grandissimo interesse. Difatti, al contrario di quanto espresso nei numerosi articoli di giornale o nelle tantissime pubblicazioni in volume, da esse il personaggio, ancora
per molti versi un vero enigma, non può che venir fuori con sincerità assoluta. Quel che giocoforza si tace nei rapporti ufficiali, quindi alla vista di tutti,
non può celarsi fra le pieghe di una missiva, dove ognuno è costretto a dire
la sua in modo schietto affrancando dai ceppi i sentimenti. L'unico neo che
risalta in modo palese è legato, purtroppo, al fatto che talora, mancando le
buste che le contenevano, si è nell'impossibilità di distinguere con precisione
i destinatari. Confido, perciò, che qualcuno, leggendo questo articolo, possa
completare il quadro da me appena delineato 90.
Un'iniziale lettera del 14 maggio 1866 c'introduce in una prima situazione piuttosto particolare, che evidenzia nettamente come il De Zerbi all'epoca
avesse due grossi problemi: la partenza alla volta del Po, onde partecipare
alla IIIa guerra d'indipendenza e l‟ansia per il padre, che - non se ne conosce
il motivo - si trovava agli arresti. Essa è rivolta ad un Gentilissimo Cavaliere
con dimora a Cava dei Tirreni, di cui non sappiamo altro, ma che, da quanto
traspare, doveva essere un giudice. A posto del paese, dal quale viene spedita, c'è un amaro Da una tomba di processi della R. Procura. Questo al completo
il testo che l'allora sottotenente inoltrava al suo interlocutore:
Non posso attenere la mia promessa di venire a Cava, perché il Sottotenente propone e il
Ministro dispone. Domani parto a caccia di allori sulle rive del Po. Parto scorato, perché resto
una famiglia intera nella desolazione e mio padre in carcere, contro le mie speranze. Io non ve
lo raccomando, perché nel fatto di voi sacerdoti di Temi la clemenza non suol trovare alloggio.
Ma mi permetto ricordarvi un adagio, che ho imparato in illo tempore, quando mi facevano
studiare Dritto Romano, ed è questo: Summum jus, summa injuria. Se è inutile raccomandarvi mio padre, spero, che almeno non sia così inutile raccomandarvi me stesso, del
quale spero vi ricorderete, ritenendomi qual sono/ V/ro dev/mo/ R. de zerbi
Rocco De Zerbi, nato a Reggio Calabria nel 1843 da famiglia di Oppido
Mamertina e qui vissuto per lungo tratto, fu alquanto precoce. Studiò a Na* Già in "Archivio Storico per la Calabria e la Lucania", a. LXIV-1997, pp. 195-202.
90
Ringrazio sentitamente l'amico Fortunato Toscano, che mi ha permesso di visionare lo scarno epistolario del De Zerbi. Per gli opportuni riferimenti alla bibliografia
in questione, ved., tra l'altro, R. LIBERTI, Attualità di Rocco De Zerbi, Cosenza 1973.
38.
poli, ma dalla città del Vesuvio dovette filarsela per non essere messo in
guardina, risultando coinvolto nei moti liberali del tempo. Completò la sua
cultura nella cittadina calabrese col nonno, l'omonimo vecchio intendente.
Nel '60 scappò di casa per raggiungere a Milazzo i garibaldini. Con le truppe irregolari percorse la carriera militare fino a sottotenente. Poi, con lo stesso grado, passò fra quelle regolari. La sua partecipazione alla guerra italoaustriaca del '66 gli valse la promozione a luogotenente per essersi distinto a
Custoza, ma dall'esercito venne due anni dopo a dimettersi.
La seconda missiva è datata Napoli 28 luglio 1869 ed in essa De Zerbi,
che figura già direttore del Piccolo Giornale di Napoli, indirizza delle rituali
frasi di ringraziamento ad un non meglio precisato Onorevole signore:
Io l'avea conosciuto gentile, ma non al segno da volersi ricordare di me e scrivermi e
mandarmi per lettera le più cortesi parole ch'io potessi mai immaginare. A tanta bontà, ch'Ella ha per me, non vo altrimente rispondere che col ringraziarla quanto so e posso, col pregarla
di rammentarmi sempre che abbia bisogno di servigi a Napoli, e col dirmi sinceramente/ di
Lei/ Dev.mo Serv. ed amico/ R. de zerbi
Il De Zerbi si misurò con la politica attiva portandosi alla camera dei deputati per il collegio di Napoli nel 1874, ma già in anni precedenti si dava da
fare per approdare alla candidatura. Lo rivela in tutta chiarezza una lettera
che inviò con data 8 luglio 1872 all'Onorevole Commendatore Marvasi, sicuramente il notissimo Diomede (1827-1875), cittanovese, liberale di grande coraggio, giudice, procuratore generale, che sostenne l'accusa nel processo a
carico dell'ammiraglio Persano e delegato straordinario del comune di Napoli proprio nel 1872. Da essa si evince lo stretto rapporto amicale tra i due e
lo sforzo dell'abile giornalista nello spingere ad un accordo due forze politiche, l'Unione liberale e l'Unitaria, accordo che sarebbe tornato certamente
utile all‟esito, cui ormai tendeva. Ma ecco la missiva in questione:
credo opportuno, dopo la tornata di ieri dell'Unione liberale, scrivere a voi amicissimo
mio e che siete guarentigio al paese di odio alla reazione ed alla licenza, di avversione agli eccessi d'ogni parte.
Credo inutile ripetervi il programma dell'Unione liberale. Esso è oramai troppo noto: parecchi fingono non averlo inteso; certamente lo hanno inteso tutti.
Alcuni articoli dell'Unità nazionale ci fanno credere che i due programmi, quello dell'Unitaria e quello dell'Unione, si accordino in grandissima parte.
Ho fiducia che i programmi si accordino non solamente a parole, ma anco nei fatti. E la
prova, unica prova, s'avrà nella scelta dei nomi.
Ora l'on. d'Aflitto e voi ed altri vostri amici politici più volte m'avean fatto sentire quanto al paese potesse tornare utile che così l'Unione come l'Unitaria portassero un numero comune di candidati; ed io non posso disconvenirne; e credo possibilissimo che in moltissimi
nomi (non in tutti) ci potremo incontrare.
Per dare prova di amore alla concordia ecco che io vi scrivo per dirvi tutto ciò! E credo che
il mezzo più pratico per concretare le nostre idee sia questo: che l'Associazione vostra nomini
39.
tre persone, le quali potranno trattare con una nostra commissione di eguale numero. Credo
che sarebbe bene fare entrare in cotesta commissione persone autorevoli e concilianti, le quali
comprendano la nostra situazione e non richiedano da noi più di quanto possiamo fare.
Attendo una V/ra risposta e credetemi/ /V/ro d'/mo/ Zerbi
P. S. Credo inutile aggiungere che questa lettera è diretta a voi come mio amico, non a voi
come R° Commissario./ Per debito di lealtà vi dico che la n/ra Commissione sarebbe San Donato, Zerbi, Orlandi 91.
Appena tre giorni dopo, l'11, il De Zerbi reiterava una missiva con sopra
prestampato Il Piccolo giornale della Sera Vico Freddo alla Pignasecca 1 e 2. Era
un minimo avviso all'Onorevole commendatore dopo aver ricevuto la terna dei
nomi per quanto riguardava la sua parte politica:
In seguito alla sua gentil comunicazione, ho l'onore di dirle che comunicherò a' miei amici i nomi della Commissione dell'Unitaria delegati a trattare per la possibilità d'un accordo
con l'Unione liberale./ La riverita di Lei comunicazione non esige altre risposte./ Ho l'onore
di ripetermi/ di Lei dev.mo Serv.re/ R. de Zerbi
Detta è seguìta da altra al Caro commendatore del 14 dello stesso mese, nella quale si menziona un prof. Buonomo, forse compreso nella terna, cui si è
accennato e si fa riferimento ad un attacco del Roma, altro giornale napoletano, nei confronti del Marvasi, che, come sappiamo, rivestiva allora la carica di commissario straordinario al comune:
Il prof. Buonomo, se nominato, accetterà. Non ho risposto al Roma che v'attacca oggi a
fondo, perché fa caldo e son seccato. Spero domani esser meno moscio e poter rispondere./ Se
continua questo caldo me ne vado in campagna e chi ha avuto ha avuto/Riamate/ il Vostro/
Zerbi
Ancora una lettera al Caro commendatore datata al 29 luglio . Da quanto si
può intuire, si tratta di bel nuovo di maneggi preelettorali:
Al Vomero è un certo d'Errico che lavora febbrilmente per Fusco. E' appaltatore di dazi
comunali al Vomero. Non gli si potrebbe dire di farsi i fatti suoi?/ Riamate/ il vostro zerbi/
L'affare di Cafaro spero non abbia dispiacevoli conseguenze. Il de Falco non saprà disconvenirne da me che il prefetto non possa ritirare l'approvazione. Bisognerebbe in ogni caso
ottenere ciò che avevate stabilito prima: tramutarlo alla sezione di S. Carlo all'Arena.
L'ultima lettera dell'anno indirizzata all'Onorevole amico è del 23 agosto e,
come si può notare, attiene sempre a questioni di politica. Di particolare, si
rileva che il De Zerbi, nonostante fosse nettamente contrario alla parte clericale, si comportava secondo un codice d'onore ben marcato:
Non possumus. Io ho stampato, e in buona fede, che il Consiglio comunale debba essere la
rappresentanza di tutte le opinioni del paese. Non posso quindi, per essere coerente a me stes91
Del Marvasi, che si batté in favore della lista di concentrazione liberale, è nota una
lettera indirizzata al d'Afflitto con data 10 settembre 1872. Cfr. G. PROCACCI, Le
elezioni del 1874 … , p. 111. San Donato era sicuramente Gennaro Sambiase duca di
San Donato, sindaco di Napoli dal 1876 al 1878. Cfr. S. TRAMONTIN, Società religiosità e movimento cattolico in Italia meridionale, Roma 1977, pp. 19-20.
40.
so, consentire all'ostracismo di quei pochissimi candidati clericali che sono nelle liste del Piccolo. Per conto mio non muterò alcun nome./ Credetemi/ Vostro aff.mo amico/ R. de zerbi
L'ultimissima comunicazione al Marvasi, almeno così credo d'interpretare, è del 16 ottobre 1874 e, con intestazione Il Piccolo. De Zerbi dà notizia al
Caro commendatore di un possibile intervento di Bonghi, di sicuro Ruggero
(1826-1895), in favore di una certa biblioteca. Bonghi, famoso liberale di destra, fu a Napoli professore di filosofia in quell'università e collaboratore del
Mattino 92. Da poco meno di una quindicina di giorni quello che si stimava
essere l'ispiratore dell'Unità nazionale era a capo del ministero della pubblica
istruzione e forse in tal veste gli si era rivolto. Vi sarebbe rimasto fino al
187693. D'altro canto, di lì a poco De Zerbi entrerà a far parte del parlamento
quale deputato eletto nella sezione Avvocata. Questo il testo della lettera:
Il Bonghi m'ha mandato a dire che non farà nulla per la Biblioteca senza aver prima parlato con me. Egli sarà in Napoli il giorno 27./ Laboremus! E riamate/ Il vostro/ zerbi
Nel 1876 Marvasi è già deceduto e dalle file dei conoscenti del De Zerbi
emerge una nuova figura di amico e consigliere. E' il commendatore Carlo
Padiglione, che nel 1883 risulterà abitare in via Salvator Rosa al n° 296. Un
primo approccio con lui è datato al 15 del 1876, certamente gennaio, su carta
intestata del Piccolo, sempre dalla sede della Pignasecca. Si tratta appena di
un paio di righe di ringraziamento, non si sa a qual titolo: benché giunga tardi, accettate un cordiale ringraziamento del vostro sincero amico/ zerbi. Debbono
trascorrere ben cinque anni prima che il De Zerbi si rifaccia vivo col nuovo
interlocutore, almeno dalle carte che abbiamo avuto in visione ed intanto il
Piccolo è nella sede di vico Pellegrini n. 20, 21. In quell'8 novembre 1881 il
giornalista e deputato calabrese veniva a ragguagliare il Caro comm. Padiglione circa un intervento esperito in suo favore presso il segretario generale
della guerra:
innanzi tutto i miei più cordiali augurii pel vostro onomastico, passato prossimo: dura
ancora la settimana./ Torno da Roma. Col vivo della voce ho raccomandato i giusti vostri diritti al Segretario generale della guerra che m'ha promesso di raccomandar la cosa come affare
suo. Ditemi voi se debbo fare altro e presso chi./ Credete intanto e sempre all'affetto sincero
del vostro amico/ R. de zerbi
Il De Zerbi, dopo l'annullamento della nomina a deputato per una seconda legislatura avvenuto nel 1877, si era preso la rivincita nel 1880 andando a vincere nel primo collegio, sempre di Napoli. Passano due anni prima
di un altro contatto epistolare. Il 27 luglio 1883, dal comitato per le elezioni
amministrative della sezione Avvocata, quegli si faceva un dovere d'invitare
92
V. GLEIJESES, Questa è Napoli, Napoli 1967, pp. 544, 545, 548, 549.
BARTOLOTTA, Governi d'Italia 1848-1961, Roma 1962, p. 49 e nota 2.
93 F.
41.
il Padiglione nella sede dell'associazione unione monarchica al fine di metterlo al corrente di alcuni particolari non precisati:
Il sottoscritto prega la SS. VV. Ill. onorarlo domani 28 corrente nella sala dell'Associazione Unione Monarchica dalle 11 alle 12 m/ palazzo Barbaja a Toledo per alcune
comunicazioni. Grazie. Con stima/ Devotissimo/Rocco dezerbi
Una lettera, scritta su carta della camera dei deputati, è datata Roma 26
giugno senza altra indicazione. Probabilmente, è di poco posteriore alla precedente. Comunque, appartiene al periodo in cui il De Zerbi si rivolgeva al
Padiglione chiamandolo ancora Caro commendatore. Affiora in essa la paura
di non riuscire ad ottenere la conferma quale presidente della croce rossa,
per cui il ricorso all'appoggio dell'amico è piuttosto evidente:
Domenica (dalle 10 alle 12 sala Tarsia) si farà guerra contro il mio nome per la rielezione
alla presidenza della Croce Rossa. So per vecchia esperienza che, dove è guerra contro di me,
ivi è fra' miei difensori in prima linea il comm. Padiglione./ Cordialmente vostro/ R. de zerbi
De Zerbi, già presidente della croce bianca, passò alla croce rossa dopo
un impegno soddisfatto con azione veramente indefessa. Durante il colera
di Napoli del 1882 aveva messo alla frusta il comitato di soccorso, eccitando col
suo esempio, una gara di coraggio, di sacrificio e di abnegazione, che raggiunse limiti di eroismo mai toccati. Malgrado ogni pavimentato timore, conserverà la
prestigiosa carica fino al termine di sua vita 94. In una lettera del 15 maggio
1886, rivolgendosi al Caro Padiglione, ormai un vero e proprio amico, veniva
ad esprimergli la più viva cordialità e ad esternargli il bisogno di avere accanto persone di fiducia. Specificando che avrebbe dato indicazioni a votare
per la lista monarchica, evidenziava la sua opposizione di fondo al clericalismo e soprattutto al conte Giusso. Il conte Girolamo Giusso, sindaco di Napoli dal 1878, fu rieletto nel 1882 con l'appoggio dei parroci della città 95.
Io ho bisogno di avere intorno a me quei pochi o molti che hanno per me una amicizia illimitata. Conto voi fra questi. Stasera, alle nove, a n. 36 San Domenico Suriano. Raccomanderò la lista della Monarchia; ma non la imporrò; non ne avrei il diritto. Sarà mio amico chi
voterà quattro liberali - della vecchia guardia - non sorretti dal clericalismo, - quali che siano i
loro nomi. Non sarà mio amico chi è pel conte Giusso./ Salute!/ vostro zerbi
Al 2 agosto 1886 rimonta appena un semplice biglietto di presentazione a
pro di uno studioso di storia:
Caro Padiglione/ Vi presento l'egregio professore Mezzabotto, chiarissimo pubblicista di
Roma, che desidera fare alcuni studi storici e ch'io non saprei a chi meglio dirigere che a voi./
Una stretta di mano/Vostro amico sincero/ R. de zerbi
94
L. ALIQUO' LENZI, Onoranze ad un nostro concittadino Rocco De Zerbi, "La rinascita
di terra nostra" Organo Ufficiale della Federazione dei Fasci di Combattimento di
Reggio Calabria, 22 aprile 1934.
95 TRAMONTIN, Società religiosità e movimento cattolico ..., pp. 22-24.
42.
Quest'ultima missiva ci mette proprio sulle tracce per poter capire di
quale illustre personaggio si trattava. Doveva essere sicuramente lo stesso
Carlo Padiglione, studioso di araldica e, conseguentemente, intenditore di
storia, di cui si conoscono alcuni lavori pubblicati tra 1893 e 1895 (Le massime
della Commissione Regionale Napoletana per gli elenchi nobiliari, Napoli 1893; A
favore dell'esistenza della nobiltà nelle città infeudate, "Calendario d'oro, Roma
1895) 96. Piuttosto sibillino riesce altro biglietto del 9 marzo 1889, che non so
proprio a chi riferire. Il leone d'argento, di cui si dice, è la medaglia d'argento concessagli in seguito all'opera esperita in occasione del colera quale benemerito della salute pubblica 97? Potrà darsi!
Egregio amico, Sta bene: leone d'argento. Anche a me, rovistati meglio gli scartafacci, risulta lo stesso./ Una stretta di mano/ vostro/ R. de zerbi
Anche la lettera del 9 aprile 1890 si configura altrettanto poco comprensibile. Di certo vi è solo che il De Zerbi avrebbe dovuto raccomandare uno
scritto all'on. Crispi:
Carissimo amico,/ Credo più conveniente a raggiungere lo scopo il presentare, anziché il
mandare, all'on. Crispi il vostro vivace scritto. Presentarlo io potrei nel corso dell'entrante
settimana. Ma, se la cosa è urgente, scrivetemelo e immediatamente scriverò.
Una stretta di mano/ Vostro immutabile amico/ Rocco de zerbi
L'ultima lettera è anche l'ultima espressione in diretta del De Zerbi.
Nemmeno due anni dopo, il 20 febbraio 1893, irretito nel gorgo causato dallo scandalo della Banca Romana, verrà inopinatamente a morte non senza
sospetto di essersi avvelenato. La tragica fine chiuderà un torbido periodo di
vita politica nazionale, come sempre condotta con mezzi poco leciti e senza
esclusione di colpi. Ma, pur nel travaglio delle passioni e delle vicende giudiziarie, Rocco De Zerbi tramanderà l'immagine di giornalista battagliero e
fecondo, forbito oratore, vivace polemista e scrittore, che alla sua terra ha
dato non poco lustro 98.
96
C. ARNONE, I titoli nobiliari calabresi ed i loro trapassi durante i secoli (a cura di A.
Campolongo), "Araldica Calabrese", a. 1995; F. VON LOBSTEIN, Nobiltà e città calabresi infeudate, Chiaravalle C. 1982.
97 ALIQUO' LENZI, Onoranze ..., ivi.
98 Di certo, il De Zerbi di amicizie ne dovette coltivare tantissime. Il Lenzi segnala
addirittura che il poeta napoletano Russo ebbe il battesimo come tale proprio in casa del deputato calabrese. L. A. LENZI, Il battesimo di Ferdinando Russo in casa di
Rocco De Zerbi, "Corriere di Calabria", a. 1919, n. 23, p. 1.
43.
Echi del caso De Zerbi in Calabria sullo sfondo della lotta politica
crispino-giolittiana *
Deceduto avanti l'alba del 20 febbraio 1893 il noto deputato, giornalista e
scrittore Rocco De Zerbi, coinvolto nello scandalo della Banca Romana assieme a Tanlongo e soci e ad altri parlamentari, dopo ch'era riuscito vano il
consulto del celebre Cardarelli 99, il fratello Gaetano, sindaco di Oppido 100, il
quale era corso subito nella capitale probabilmente non appena le cose erano
volte al peggio, si premurò di far conoscere tramite telegramma alla città, di
cui reggeva le sorti, nonché al primo cittadino di Palmi, il luttuoso tragico
evento. Non sono edotto del tenore del dispaccio inviato all'amministrazione oppidese, ma stimo ch'esso sia stato simile, se non a tinte più forti, a quello fatto tenere alla primaria autorità del capoluogo del collegio, che il De
Zerbi rappresentava a Roma. Così aveva voluto che si trasmettesse in
quell'ora di grande ambascia il cav. Gaetano, cui, naturalmente, non poteva
far difetto non mettere in primo piano l'innocenza del congiunto:
Con l'animo angosciato dal più profondo schianto annunziovi morte mio fratello avvenuta stamani ore 3. Egli fu colpito in pieno petto e la sua vita spezzata, voleva però prima di
morire vedere proclamata la sua innocenza per l'onore del suo collegio elettorale.
Appresa la ferale notizia, il sottoprefetto da Palmi stessa si fece un dovere di resocontare al suo superiore diretto già il 21 in merito a come quella era
stata accolta e su quanto si prospettava di allestire, onde onorare nel modo
più degno l'illustre estinto, il quale, anche se era stato inquisito per fatti, di
cui certo non si poteva andare fieri, restava pur sempre il prestigioso rappresentante delle istanze e degli interessi della popolazione di una vasta
plaga. Queste le frasi salienti della comunicazione:
La notizia della morte dell'onorevole De Zerbi, partecipata a questo Sindaco da Roma,
dal fratello del defunto, Cav. Gaetano Sindaco di Oppido, impressionò generalmente questa
cittadinanza. Numerosissimi telegrammi di condoglianza furono mandati al figlio ed alla famiglia del defunto./ Quasi tutti i negozi della città restarono ieri, e continueranno a restare
semichiusi oggi e domani in segno di lutto ed alla porta di essi e per i muri della città furono a
cura del municipio affissi gli avvisi che acchiudo./ Le tre società operaie telegrafarono per
condoglianza ed issarono la bandiera abbrunata.
Il caso De Zerbi scosse sicuramente la cittadinanza palmese tutta ed i legami di questa con la famiglia non potevano che uscirne rinsaldati - non si
* Pubblicato in "Incontri Meridionali", a. 1993, nn. 2-3, pp. 343-357.
99
In LIBERTI, Attualità di Rocco De Zerbi…, Condorelli invece di Cardarelli è un refuso.
Anche se Rocco De Zerbi ebbe i natali a Reggio e Gaetano a Campo Calabro, i due
appartenevano a famiglia di Oppido e qui condussero la maggior parte della loro
esistenza.
100
44.
dimentichi che il nonno di Rocco e suo omonimo era stato più anni a Palmi
quale sottoprefetto ed il padre vi aveva sposato una Cotronei - se il consiglio
comunale, subito convocato in seduta straordinaria, sospese i lavori dopo
aver approvato una deliberazione sui modi da seguire per rendere onore
pubblicamente al giovane deputato scomparso. Secondo le indicazioni date,
il banco della presidenza doveva rimanere abbrunato per la durata di un
mese e così pure le bandiere di tutti gli uffici. Le scuole invece restavano
chiuse solo per tre giorni. Il comune avrebbe provveduto a far svolgere solenni onoranze funebri invitando tutte le rappresentanze del collegio, mentre una delegazione avrebbe raggiunto Roma per partecipare direttamente
ai funerali 101. A perpetua memoria si sarebbe poi posto in villa un busto di
De Zerbi, al cui nome si sarebbe intitolato il regio ginnasio 102.
Se a Palmi si provvide immediatamente ad organizzare quanto era doveroso al fine di solennizzare, anche se da lontano, le esequie del De Zerbi, a
Oppido non si rimase con le mani in mano e, riunito il consiglio nella stessa
data del 21, alle ore 10.00, sotto la presidenza dell'assessore anziano Domenico Grillo, si procedette di conserva. Il sindaco ff., esperita la comunicazione ufficiale della morte del concittadino, fece la lettura dei telegrammi inviati nella capitale, quindi diede la parola al consigliere Francesco Saverio Grillo, scrittore e poeta, il quale commemorò il defunto incentrando il suo dire
soprattutto sulla grave perdita fatta dall'Italia, da Palmi e da Oppido dal lato
letterario e politico e definendo quegli un campione di rare virtù civili e militari. Appresso, i particolari della deliberazione adottata per tributare l'omaggio adeguato al parlamentare così inopinatamente spirato. Il comune
avrebbe dovuto a sue spese sostenere la funzione funebre ed invitare a parteciparvi le rappresentanze del mandamento. Il banco della presidenza e la
bandiera andavano abbrunati per un mese e per la medesima durata di
tempo si faceva divieto alla banda cittadina di suonare al palco in piazza. A
recare a Roma od a Napoli, a seconda di dove si sarebbe celebrato il funerale, la testimonianza dell'ente offrendo una corona di fiori veniva delegato
l'on. Francesco Tripepi e si doveva avviare per tempo la pratica necessaria a
portare nella sua sede naturale la salma. S'imponeva di ricordare il De Zerbi
101 I
funerali si svolsero a Napoli.
Il busto in villa a Palmi non fu mai posto e solo in periodo fascista se ne sistemarono due esemplari a Reggio (Villa comunale) ed a Oppido (Piazza Umberto I°).
Un ritratto, opera del pittore palmese Domenico Augimeri, da questi dipinto proprio nel 1893, fu donato alla biblioteca comunale di Reggio, nella quale al presente
ancora si trova ("Brutium", a. XIII-1934, n. 4, p. 20) ARCHIVIO DI STATO REGGIO
CALABRIA (=ASRC), Inventario 34, busta 24, fascicolo 992.
102
45.
con un mezzo busto da collocare sulla piazza maggiore e con l'intitolazione
di una strada 103.
Non si conosce quanti altri comuni si siano preoccupati nell'occasione di
rendersi interpreti del dispiacere provato per il decesso del deputato calabrese da parte delle varie cittadinanze, ma è logico che ve ne siano stati, se
non altro da quanti erano guidati da esponenti della medesima corrente politica. Tra le tante eventuali ci resta soltanto la testimonianza del sindaco
Minasi di Scilla, che l'11 marzo telegrafava al prefetto per significargli come
la commemorazione del defunto nostro concittadino fissata per il giorno dopo,
fosse stata posticipata al 14 104.
La morte di Rocco De Zerbi, sopravvenuta dopo che il 3 febbraio era stata formalizzata nei suoi confronti una richiesta di autorizzazione a procedere ed imputata a mene ordite dal partito giolittiano, fu gravida di pesanti
conseguenze anche in Calabria, soprattutto ad Oppido, dove si assistette a
risentite dimostrazioni contro l'uomo di Dronero, reo di aver causato la rovina della persona, che in fin dei conti aveva pagato da solo per uno scandalo che aveva visto coinvolto mezzo mondo politico italiano 105. La lotta a
Giolitti fu portata in tutto il collegio e Il piccolo di Palmi, giornale del circondario diretto da Francesco Quaranta, nell'editoriale dell'8 giugno, citando
proprio la morte del deputato calabrese, così aspramente concludeva l'articolo di fondo:
Noi non possiamo che farci l'augurio che esso cessi, e l'augurio non è nostro soltanto, ma
di tanti e tanti milioni d'Italiani, che ancora conservano fede nelle istituzioni liberali, e guardano alla Corona come l'unica possibile garanzia contro un governo che, se non è la negazione di Dio, certamente è la negazione della libertà.
Nel medesimo articolo ci si lamentava che il governo, sin dal novembre
precedente, si era dato a sciogliere quei consigli comunali, leggi Seminara,
Palmi e Cittanova, che nelle recenti elezioni si erano dichiarati apertamente
contrari al candidato governativo ed in proposito se ne stigmatizzava il
comportamento dichiarando che questo meritava di essere qualificato sol103
ACO, Delibere del Consiglio. Un busto del De Zerbi sarà collocato in piazza soltanto nel 1934 e, come detto sopra, sarà la copia di altro sistemato nella villa comunale
di Reggio. Le due statue, opera di Concesso Barca, oppidese, furono offerte ai rispettivi comuni dalla famiglia di quegli. Non si sa a quali risultati pervenne l'incarico affidato nel 1894 al palmese Nicola Gulli, che già aveva approntato un bozzetto per altro busto, ma nello stesso anno si concedeva un premio per un quadro al
pittore Giuseppe Plataroti di Radicena. Ancora oggi una delle principali vie del
centro riporta il nome dell'illustre cittadino.
104 ASRC, Inv. 34, b. 24, f. 992.
105 CONSIGLIO, Rocco De Zerbi …, pp. 102-104.
46.
tanto come dispotismo o tirannide. Era perciò più che plausibile che si dovesse
usare la mano forte con Oppido, dove il sindaco De Zerbi, che ce l'aveva a
morte con i giolittiani per il tremendo colpo subìto dalla famiglia, aveva agito avverso Chindamo, ch'era una loro espressione. Naturalmente, nel frangente le autorità non potevano che stare dalla parte del potere. Queste le informazioni fatte tenere al prefetto dal suo subordinato di Palmi, Cocconato,
il 25 aprile in riguardo all'atteggiamento assunto da Gaetano De Zerbi e dal
suo prossimo entourage:
Passando ora a parlare della posizione politica di quel Sindaco, essa è diventata assai meno ancora sostenibile di quella amministrativa. Nelle recenti elezioni politiche, infatti, quel
Sindaco, cooperato da tutta la parentela ha preso una parte aperta, manifesta, vivissima a pro
del candidato che aveva un programma di decisa opposizione al Governo, ed egli continua
tuttora ad affermare pubblicamente la sua volontà di avere un deputato che significhi rivendicazione della memoria del fratello Rocco, che egli e la parentela predicano assassinato dal Governo. Per cui se eventualmente la elezione del Deputato Chindamo dovesse non venire convalidata, si tornerebbe ad assistere al curioso spettacolo di vedere il Sindaco di Oppido, di
nomina regia, combattere con tutti i mezzi e con tutte le forze il candidato politico favorevole
al Governo e servendosi senza scrupolo anche di quella forza che gli viene dall'autorità di cui
è investito.
E' indiscutibile che tale atteggiamento non dovesse non condurre a conclusioni estreme. Infatti, la relazione al completo del sottoprefetto al suo superiore, che l'aveva espressamente richiesta, altro non è che un campionario
di critiche all'indirizzo dell'operato di De Zerbi, critiche, la cui somma era a
suo parere più che sufficiente a sbarazzarsi di un ostacolo, che si prevedeva
foriero di grossi guai per la formazione politica al Governo.
Il De Zerbi, sindaco dell'importante Comune di Oppido da parecchi anni,
era pochissimo conoscitore di cose amministrative e apostrofava pastoie burocratiche qualunque controllo gli si venisse a fare e qualunque freno gli si ponesse.
La potenza gli derivava dall'essere fratello del deputato Rocco, che gli oppidesi fino a tre mesi prima chiamavano la loro gloria e che in effetti giovò in molte contingenze al comune. La vasta parentela formava una lega offensiva e difensiva, cui non erano capaci di opporsi i buoni elementi, alcuni dei quali si
limitavano a brontolare vedendo che le autorità mostravano nei riguardi del
primo cittadino una certa arrendevolezza. Il cav. Gaetano era un vero e proprio sprecone sia per quanto concerneva il denaro proprio che quello del
comune e vari esercizi pervenivano a chiudersi con bilanci contenenti sensibili disavanzi, con residui attivi, passanti da un bilancio all'altro senza poterne e
saperne effettuare l'esazione. Quindi, l'accensione di piccoli mutui a tasso svantaggioso e lo storno di fondi si qualificavano operazioni di ordinaria amministrazione. In Oppido non si spendeva soltanto per il necessario, ma sovente si pretendeva anche il superfluo e le tasse non venivano regolate secondo
47.
giustizia, tanto che si aveva fondato sospetto dell'esistenza d'illegali particolarismi. Non sempre si procedeva ad asta pubblica, anzi! Per la conduttura
delle acque, l'abbeveratoio e la piazza si era provveduto con azione irregolare e senza che le spese fossero state garantite. Una richiesta di prestito di £.
12.000 non venne approvata dalle autorità preposte a farlo e, ciononostante
e con un prestito di £. 39.000 ancora aperto con la cassa depositi e prestiti, se
ne diede ugualmente esecuzione. I ricorsi da parte dei creditori fioccavano
ed ancora non risultavano soddisfatti rate forestali, monte pensioni degli insegnanti, ufficio telegrafico, regio liceo Campanella e manomorta, tanto per
indicare i debiti più consistenti.
Il sottoprefetto, malgrado l'enunciazione di così forti biasimi, non poteva
però non valutare serenamente altri lati del De Zerbi, ricordato ad Oppido
per le tantissime opere pubbliche progettate e mandate ad effetto e dovette
riconoscere ch'egli aveva compiuto qualche cosa di utile soprattutto a riguardo
della polizia urbana e della conduttura delle acque, pure se si rilevavano alcuni nei. La segnalata condotta si doveva in tutto, secondo quel funzionario,
all'animo esasperatissimo del sindaco, che, naturalmente, non si trovava nello
spirito adatto a pilotare in porto la navicella dell'amministrazione 106. Il prefetto, ch'era il cav. Vincenzo Rambelli, appena ebbe ricevuto il resoconto fattogli dal Cocconato, non frappose tempo in mezzo e, già il 28, ne faceva tenere al ministro dell'interno quasi una fotocopia. Insistendo soprattutto sul
fatto che il De Zerbi amministra come gli talenta senza curarsi delle leggi e che ha
governato il Municipio come casa propria, richiese che si desse il via senza indugio allo scioglimento del consiglio comunale oppidese. Ma il ministro Pietro Rosano il 4 maggio scrisse di rimando che quanto denunciatogli non si
qualificava bastevole ad ordinare il provvedimento. Comunque, se il prefetto avesse ritenuto ch'esso andava preso assolutamente, era bene che pensasse s'era il caso di reperire le pezze in appoggio con una severa inchiesta. A tale prospettiva quegli non si tirò indietro e, richiedendo a stretto giro di posta
quanto suggerito, comunicò che, oltre a ciò ch‟era stato relazionato, suffragavano altri atti illegali, come avevano riferito lo stesso sottoprefetto ed il
comm. Briglia di Gioia Tauro. Pertanto, non poteva che concludere che, ove
la camera non avesse convalidato l'elezione di Chindamo, lo scioglimento
del consiglio sarebbe divenuto operazione improcrastinabile 107.
In seguito a prese di posizione così autorevoli l'inchiesta non era certo
cosa da rimandare ed il 2 giugno un ispettore del ministero dell'interno con
tutta riservatezza, lasciata Palmi, si presentò ad Oppido. Ma qui il fatto non
106
107
ASRC, Inv. 34, b. 22.
Ibidem.
48.
poteva passare inosservato ed alcuni giovanetti, appena ne furono a conoscenza, improvvisarono nella serata una dimostrazione per far capire al funzionario appena pervenuto in città quale stima e fiducia si avesse in Oppido pel
Sig.r De Zerbi. Preceduti dalla banda cittadina, concessa dallo stesso sindaco,
che sotto sotto doveva essere certamente d'accordo, percorsero alcune vie al
grido di Viva Oppido, Viva De Zerbi e si portarono infine sotto il balcone del
primo cittadino, il quale pregò tutti di sciogliersi al grido di Viva il Re - Viva
l'Italia, cosa che avvenne con ordine e senza fornire adito ad alcun incidente.
Così provvide a relazionare al prefetto in data 5 il capitano Glori della divisione dei carabinieri di Reggio 108.
Un'ironica cronaca sulla conduzione dell'inchiesta apparve su Il piccolo di
Palmi al numero citato, con data 3 giugno ed a firma Il Contino, che potrebbe
risultare pseudonimo dello stesso Gaetano De Zerbi. Nelle due colonne di
terza pagina si protesta contro il Ministero del Salvatore dell'Italia e il governo
del sommo Palamidone, cioè Giolitti, che al proposito aveva bellamente violato
la legge, s'irride al funzionario appositamente inviato, grosso per la carica essendo un'Ispettore Centrale, ma non grosso fisicamente essendo abbastanza allampanato, ch'era accompagnato dal ragioniere della prefettura ed al ministro
dell'interno, uso ormai a fare delle magre figure e si dice che l'indagine, limitata ad appena un giorno, era stata praticamente condotta in albergo, luogo
nel quale vennero ascoltate alcune persone, cui erano state rivolte delle risibili domande, tra cui, assai emblematica, la seguente: Sapete se nell'elezione
politica del 12 marzo si mise avanti l'idea della protesta? Alla risposta affermativa da parte dell'interrogato ed alla sua affermazione che con la votazione il
paese aveva inteso vendicare la memoria di Rocco De Zerbi, l'ispettore licenziò quello in tronco. L'articolo, quindi, si conclude con una breve nota
della manifestazione, di cui s'è detto, tutta in favore del sindaco 109. In verità,
nè le note di critica e di scherno rivolte dalle pagine dei giornali né le manifestazioni pilotate o no valsero a fermare la volontà di chi tenacemente si
batteva per lo scioglimento del consesso comunale ed una tale più volte dichiarata indispensabile operazione fu dopo non guari realizzata. Infatti, nello stesso mese, il 27 giugno, il ministro dell'interno poteva comunicare al
prefetto che il consiglio era ormai arrivato al capolinea e sarebbe stato sur108
Ibidem.
Ieri sera tutta Oppido, con una splendida fiaccolata e con il Concerto cittadino alla testa, si
recò sotto i balconi acclamando a più non posso. Sarebbe proprio il caso di usare la frase di
quel tale di Laureana, sulle urla feroci che mandava la moltitudine. Il Sindaco ringraziò
commosso e pregò i dimostranti a volersi sciogliere al grido Viva il Re, Viva Oppido. Appuriamo dal Frascà (Oppido Mamertina ..., p. 294) che il cognome di tale ispettore
era Baldovino.
109
49.
rogato da un commissario, il cav. Adolfo Testard. Questo il manifesto che
l'incaricato ministeriale fece affiggere sui muri della città non appena insediatosi, vale a dire in data 8 luglio:
Cittadini,/ Assumendo la direzione temporanea del vostro Municipio faccio appello alla
concordia degli animi onde possa ricostituirsi una rappresentanza che provveda a risolvere le
difficoltà delle condizioni finanziarie del Comune./ Mentre, com'è mio dovere, limiterò la mia
azione ad eseguire le Leggi, non dubito che da parte vostra ne curerete la leale osservanza 110.
La missione di Testard a Oppido, che non doveva durare a lungo certamente anche nelle intenzioni di chi ve lo aveva mandato, ebbe però presto
un epilogo veloce ed imprevisto e, malgrado tutto, affatto ben accetto da
Gaetano De Zerbi e dai suoi accoliti. Quel povero cavaliere, infatti, che sin
dall'1 settembre aveva comunicato al prefetto di aver dovuto rilevare vari
disordini ed irregolarità nell'amministrazione della cosa pubblica ed era o forse era divenuto un amico dell'oppidese, venne sottoposto ad accuse le più
varie e, quindi, malgrado un'inchiesta all'uopo condotta fosse risultata negativa, sostituito. Gli s'imputò in particolare di favorire Taiani contro Chindamo e di aver intrattenuto relazione illecita con una levatrice. Il provvedimento doveva essere già nell'aria sin dai primi giorni del mese di ottobre se
l'11 il commissario venne fatto oggetto di una dimostrazione di stima, per
come rapportato dal medesimo al prefetto e da questi al ministro dell'interno. Scriveva il funzionario reggino che la sera sul tardi, non appena il Testard era pervenuto in Oppido, era stato fatto segno da alcuni gruppi sparsi di
operai ad attestazioni di ossequio con grida evviva il Commissario e che, da lui
invitati a sciogliersi, vi si uniformarono senza creare incidenti, ma che, comunque, si era provveduto per tempo a rinforzare la stazione dei carabinieri. La manifestazione risultava essere stata preannunciata sin dalla mattina
con pubblico manifesto, nel quale era testualmente detto: Cittadini. Questa
sera dimostrazione affetto arrivo Commissario Testard per confortarlo resistere insulti di chi fu vile, protestare contro traditore ed accusatore ed esprimere voto subito
formazione Consiglio. Nella missiva del Testard si colgono in più l'invito rivolto a suo nome agli operai da distinti cittadini, onde non si svolgesse la
preventivata dimostrazione e l'assicurazione che tutto era in perfetto ordine
e nulla sarebbe accaduto fino a quando egli sarebbe rimasto in Oppido 111.
Indubbiamente, in quest'ultima affermazione è dato rilevare l'ostentata sicurezza di chi gode dell'appoggio della più gran parte della popolazione e di
coloro che effettivamente contano.
Gaetano De Zerbi, già parecchio amareggiato per l'operazione di scioglimento del consiglio da lui presieduto sin dal 1887, non poteva ad appena
110 ASRC,
111
Inv. 34, b. 22.
Ibidem.
50.
cinque mesi da quell'evento ingoiare un nuovo rospo ed il 6 novembre si
diede da fare per inviare telegrammi di protesta in varie sedi. Un dispaccio
con 300 firme di elettori lo indirizzò al ministro dell'interno mentre altri a
suo nome li spedì a Crispi, Taiani e Casale con preghiera d'interessarsi al fine di evitare la prevista misura e perché presentassero apposita interpellanza in parlamento. Particolarmente perentorio nell'occasione anche il telegramma spedito direttamente a Giolitti dall'on. Colarusso. Questi, che già
aveva perorato la causa degli oppidesi epistolarmente, tenne ad insistere al
fine di provvedersi con lo stesso mezzo perché intrighi organizzati e favori non
manomettano legge giustizia. Naturalmente, con l'occasione, oltre che a difendere il Testard, il cav. De Zerbi pensava ai casi suoi e venne ad approfittarne
per sollecitare il ripristino nel paese di un'amministrazione ordinaria, ch'era
stata prevaricata ingiustamente. Di seguito quanto prospettato al ministro
dell'interno a nome dei trecento:
Tale provvedimento è dovuto esclusivamente allo intrigo ed alla calunnia, sole armi rimaste a chi vuole ad ogni costo imporsi a dispetto della coscienza e del favore del pubblico
sfumata l'ordita trama dello sperpero e del disordine di cui fu accusata disciolta amministrazione oggi accusasi regio commissario perché non favorì infima minoranza sua condotta
fu imparziale verso tutti egualmente noi tutti protestiamo contro nuove misure che non aumenterà di un voto posizione di chi la provocò 112. Vostra Eccellenza vorrà provvedere secondo giustizia respingendo pretesa ingiustificata ordini Vostra Eccellenza convocazione comizii per ridare ad Oppido sua normale amministrazione; non essendovi più ragioni che possono giustificare gestione di un regio commissario con danno finanze comunali. La domandiamo in nome della legge e delle istituzioni che non permettono che il denaro del Comune serva di sgabello alle volgari ambizioni personali 113.
Le manifestazioni della popolazione oppidese avverso la rimozione del
commissario Testard, orchestrate o meno che fossero, anche se non riuscirono nell'intento, dettero sicuramente non pochi pensieri sia a chi il provvedimento aveva voluto sia a colui che dovette subirne le conseguenze, cioè al
nuovo commissario Nicodemo Del Pozzo, che dovette dimettersi da sindaco
di Mammola accettando a malincuore di sottostare alle pressioni di personaggi altolocati e variamente interessati. Appena il giorno 9 Giolitti si rivolgeva al ministro dell'interno timoroso che, da quanto gli era stato riferito,
insediamento nuovo Commissario Oppido Del Pozzo potrà provocare dimostrazioni
ostili, mentre lo stesso Del Pozzo, che, come scrisse, aveva ceduto agli interventi degli on.li Chindamo, Colarusso e Carnagen, affermando con forza che
non poteva né doveva accettare un incarico osteggiato dalla città con oltre
300 firme, così dichiarava al prefetto:
112
Evidentemente, il solito Chindamo o qualche suo accolito.
Inv. 34, b. 22.
113 ASRC,
51.
Allo stato né l'energìa, né il buon volere, né la fermezza dei propositi potrebbero più giovare allo scopo, per il quale è stato sciolto il Consiglio Comunale di Oppido; e sarà meglio, che
risponda chi deve alle conseguenze del fatto proprio.
In verità, tutto era stato ormai predisposto e il cambio della guardia non
poteva che avvenire a brevissima scadenza. Già in data 15 il reggente della
prefettura poteva comunicare al ministro dell'interno che il Testard erasi
allontanato da Oppido, senza che si fosse originata più alcuna dimostrazione, mentre il Del Pozzo, dal canto suo, sarà in città giorno 17 114.
Oppido e la fazione De Zerbi, non dovevano però tardare a prendersi la
rivincita e l'occasione fu quella da tanto attesa, la caduta del ministero Giolitti e la sua sostituzione col ministero Crispi, evento che riportò in auge ancora il nome dello sfortunato deputato implicato nello scandalo della Banca
Romana. Rileviamo il momento di tripudio vissuto dalla cittadinanza in
quel fatidico 24 novembre dalle relazioni che lo stesso Del Pozzo fece tenere
con data 25 a sottoprefetto e prefetto e da quella inoltrata a quest'ultimo l'1
dicembre dal maggiore comandante della divisione dei carabinieri, Bergamini, che risultano tutte abbastanza esaurienti.
Alle ore 18,00 di detto giorno pervenne in Oppido un telegramma recante la notizia che Giolitti si era dimesso ed aveva assunto il potere il suo antagonista Crispi. Subito appena informata dell'importante evento, la popolazione ruppe gli indugi ed un folto gruppo composto da elementi favorevoli al defunto Rocco De Zerbi diede il via ad una festosa dimostrazione, che
durò fino a notte tarda. La moltitudine, valutata in almeno 1500 unità, si
diede convegno in Piazza Umberto I° ed una commissione scelta tra le persone più influenti e, naturalmente, anche più interessate, si presentò al
commissario in municipio e chiese insistentemente che venisse accordato il
permesso alla banda musicale di unirsi al corteo, che avrebbe di lì a poco dovuto muoversi. Il Del Pozzo non se la sentì di dire di no e, dichiarando che
la banda era cittadina e, quindi, apparteneva a tutti, a coloro che si trovò
davanti alla fine disse che li avrebbe considerati responsabili dell'ordine pubblico e di qualunque atto potesse offendere le persone e le leggi. Ciò posto, i dimostranti, ai quali s'era frattanto aggiunta la società operaia, sciamarono per le
vie del paese recando fiaccole accese, sparando qualche razzo, sventolando la
bandiera nazionale e gridando alternativamente: abbasso Giolitti ed il suo ministero, viva il re, viva il commissario Testard, viva De Zerbi. Verso le 21,00 l'arrivo di un centinaio di messignadesi offrì ancora esca e la manifestazione
proseguì con maggiore fanatismo e fervore.
114
Ibidem.
52.
Alle 22,30 la popolazione giubilante si avviò per il corso Vittorio Emanuele e venne a sostare avanti all'albergo Italia, ov'era la dimora di Del Pozzo, il quale, alle grida di viva il re, viva il regio commissario ed al suono della marcia reale, fu invitato ad apparire sul balcone. Naturalmente, quegli,
dato il frangente, non poteva farselo dire due volte, perciò, affacciatosi, si
sentì in dovere di ringraziare e ne approfittò per rivolgere un invito alla marea di voler sciogliere l'assembramento. Una commissione, cui prese parte il
presidente della società operaia, si recò quindi nella stanza del commissario
e, dopo un deferente saluto di affetto, venne a petire l'inoltro di un telegramma di felicitazioni all'indirizzo dell'on. Crispi, che fu così concepito:
Cittadinanza Oppido con solenni dimostrazioni simpatia acclama V. E. salutandola
Primo Ministro Italia. Gli ultimi colpi di coda della manifestazione, prima che
si concludesse alle ore 23,00, consistettero nel suono della marcia funebre
sotto la casa di Francesco Genovese (sic! Genoese), uno dei principali oppositori del De Zerbi e, quindi, dell'inno di Garibaldi, facendo intendere con
ciò, scrisse il De Pozzo, che il partito di quello era ormai bell'e risorto. Tutto
si svolse nel pieno rispetto dell'ordine.
Il regio commissario, nel relazionare quanto sopra, venne ad assicurare il
prefetto che, in pieno accordo con la stazione dei carabinieri, avrebbe provveduto alla tutela della pubblica tranquillità per quanto gli competeva e che
non avrebbe tollerato dimostrazioni che potessero maggiormente accendere le ire e
gli sdegni dei partiti e sconfinare in atti condannati dalle leggi. Infatti, volendosi
ripetere la manifestazione di giubilo il giorno 26 approfittando del consueto
concerto domenicale della banda in piazza Umberto, appena n'ebbe sentore
proibì lo stesso concerto ed a chi rappresentava l‟istanza fece chiaramente
capire, come scrisse al prefetto il 29, che le vive e continue agitazioni offendevano la dignità e la civiltà del paese e ch'egli sarebbe stato costretto, al fine di far
rispettare la legge, a vietare qualsiasi manifestazione. Al fermo discorso di
Del Pozzo ognuno comprese ch'era bene rinunciare all'idea e non potè che
lodare quel suo intendimento 115.
Naturalmente, una consimile manifestazione non poteva che svolgersi
anche a Palmi. Ne forniscono un ampio dettagliato resoconto, come al solito,
le relazioni che il sottoprefetto spediva ad ogni occasione al suo superiore
diretto in Reggio e quelle che il prefetto a sua volta faceva tenere al ministro
dell'interno. Nella serata del giorno 25 buona parte della cittadinanza palmese, appena conosciuta la notizia delle dimissioni di Giolitti e della nomina di Crispi a nuovo capo del governo, si diede appuntamento in piazza
Cavour, dove la società operaia di mutuo soccorso e la società dei militari in
115 ASRC,
Inv. 34, b. 24, f. 993.
53.
congedo Umberto I avevano dato vita ad una pubblica dimostrazione. Nel
momento di maggiore esultanza in piazza suonò la fanfara della seconda
società, dalle adiacenze dell'abitato si spararono parecchi razzi e bombe carta e
si fece l'illuminazione con candele dall'interno dei locali in cui aveva sede la
redazione de Il piccolo giornale di Palmi e dalla casa del direttore. Quindi, ci si
avviò per le vie cittadine con in testa la banda concessa dal sindaco e la fanfara, di cui sopra e recando lampioncini alla veneziana e un trasparente con su
scritto W S. E. Crispi da una parte e W Taiani dall'altra alternando frequenti
evviva all'indirizzo appunto di Crispi, Taiani e del nuovo ministero. Pervenuto il corteo sotto le finestre dell'appartamento del sottoprefetto, una
commissione formata dal vicepretore avv. Bellantonio, dai presidenti delle
due predette società e da altri, domandò di poter conferire col funzionario.
Accolta subito benevolmente, potè riferire della gioia dei cittadini per aver
appreso la buona novella del cambio di guardia ai vertici dello stato e della
richiesta di spedire un telegramma di omaggio al nuovo presidente del consiglio. Il sottoprefetto non poteva nella circostanza che aderire e la popolazione, dopo aver completato un certo percorso, si sciolse senza che si creassero disturbi di alcun genere. Un solo episodio poco simpatico, ma di breve
durata, come d'altronde avvenuto anche ad Oppido. Alcuni ragazzi tra i 10
ed i 12 anni se ne andarono in giro per il paese con un fanale trasparente di
carta, sul quale era stato scritto Morto Palamidone, ma, non appena ne venne
informato, intervenne subito il sottoprefetto, che fece rientrare il tutto. E' assai interessante il telegramma che volle inviare direttamente a Crispi il comitato degli elettori di Taiani. Lo proponiamo al gran completo:
Imponentissima dimostrazione, senza parte ufficiale paese, percorse plaudendo città inneggiando vostra assunzione governo, recossi sottoprefetto pregarla partecipare V. E. suoi
sentimenti che sono quelli vera cittadinanza, non di coloro che solo da ieri telegrafano E. V.
loro devozione, mentre sino ieri stesso furono servitori umilissimi di chi ridusse Italia nel baratro da cui solo vostro patriottismo potrà sollevarla. Vostro nome acclamatissimo bene augurante fortuna patria nostra, unirono insistenti acclamazioni Taiani, solo nostro vero deputato, onore nostro collegio 116.
Il ritorno di Crispi sulla scena politica rinvigorì certamente il partito De
Zerbi in Oppido e la gestione commissariale ebbe le ore contate, anche se il
Del Pozzo, come relazionava al prefetto nell'ultima occasione, si sentiva circondato di riguardi speciali dalla cittadinanza. Infatti, appena l'11 gennaio del
1894 veniva a dare ufficialmente le consegne ai nuovi amministratori ordinari, capeggiati, manco a dirlo, dal cav. Gaetano De Zerbi, che a furor di popolo era restituito all'incarico. È assai chiara la relazione che il decaduto
commissario espose nella sala del comune, relazione con la quale si cercò di
116
Ivi, f. 986.
54.
contemperare l'impegno del sindaco nella conduzione amministrativa e gli
errori commessi a fin di bene. Enunciò allora, tra l'altro, l'ex-commissario:
Se nonché, precorrendo troppo i tempi, essa (la passata amministrazione) volle quasi
tutte le opere compiere, non gradatamente, ma in una sola volta e presto, affrettando i progetti e gli altri adempimenti di legge, e ricorrendo a risorse straordinarie e ad espedienti, che avrebbero potuti essere attuati e regolati con maggiore ponderazione.
Tutto ciò nell'ordine della pubblica economia è stato un errore; ma incensurabile ed esente di colpa, se si vuol tenere conto che gli atti amministrativi e tecnici sono stati regolarmente
condotti e coverti dalla piena sanzione degli uffici superiori tutori e che il paese non fu sottoposto a gravi sacrifici, e venne riccamente decorato di opere, le quali, sistemate ed ultimate,
risponderanno alla civiltà dei tempi e ai bisogni della popolazione 117.
A dire del Frascà, dalla lotta politica tra taianisti e chindamiani sarebbe
derivata la divisione della cittadinanza oppidese in due partiti, i notissimi
Bianco e Rosso facenti capo, rispettivamente, ad Agostino Grillo e, appunto, a
Gaetano De Zerbi, i quali d'allora si contesero il comune non badando ai
mezzi usati. Secondo tale studioso, il frangente si rivelò esiziale per il paese
e tutto s'immiserì nella caccia al voto, che si giunse a pagare perfino 3.000
lire e nelle meschine vendette regolarmente prese dal vincitore sul vinto 118.
117
R. LIBERTI, Oppido Mamertina ieri e oggi nelle immagini, II, Oppido Mamertina
1985, p. 115.
118 FRASCA', Oppido Mamertina ..., pp. 293-295.
55.
INDICE
Attualità di Rocco De Zerbi …………………………………………… pag. 3
Nascita ed ambiente familiare …………………………………………………4
Fanciullezza ed adolescenza …………………………………………………...8
Il giornalista …………………………………………………………………….11
Il polemista ……………………………………………………………………..14
L'oratore ………………………………………………………………………...16
Lo scrittore ……………………………………………………………………...17
Il politico ………………………………………………………………………..26
Lo scandalo della Banca Romana …………………………………………….29
La tragica fine …………………………………………………………………..31
Rocco De Zerbi in diretta ……………………………………………………...38
Echi del caso De Zerbi in Calabria sullo sfondo della lotta
politica crispino-giolittiana ………………….. .…………………………..44
56.
Collana "Quaderni Mamertini"
7 - Santa Cristina (d'Aspromonte)
8 - Da Roubiklon a Lubrichi
9 - Messignadi
10 - 5 febbraio 1783 Magnum ludum
11 - Tortora
12 - Castellace
13 - Sanfedisti Giacobini Briganti nella Piana di Gioia
14 - Ajeta
15 - Il culto della Madonna della Catena nell'Italia Meridionale
16 - Zurgonàdi
17 - Pirateria e guerra di corsa
18 - Terranova (di San Martino del Monte) - II 19 - Momenti e figure nella storia della vecchia e nuova Oppido - II 20 - Cosoleto
21 - Sitizano
22 - Le confraternite nell'area della diocesi di Oppido Mamertina-Palmi
23 - La cattedrale di Oppido Mamertina
24 - Pedàvoli
25 - I Vescovi di Oppido Mamertina-Palmi - II 26 - Paracorìo
27 - Rizziconi e Drosi
28 - Tresilico
29 - Momenti e figure nella storia della vecchia e nuova Oppido - III 30 - Palizzi e Villa San Giovanni nel primo ventennio del XX secolo
31 - Palmi
32 - Seminara
33 - Polistena
34 - Momenti e figure nella storia della vecchia e nuova Oppido - IV
35 - Geppo Tedeschi l'usignuolo d'Aspromonte ed altri poeti autentici
36 - Percorsi storici delle Comunità della Piana di Terranova – I 37 - Una Comunità tra fede e malafede – Oppido Mamertina
e la “sua” diocesi
38 - Percorsi storici delle Comunità della Piana di Terranova – II 39 - Piminoro IIa edizione
40 - Momenti e figure nella storia della vecchia e nuova Oppido – V41 - Feudi e feudatari nella Piana di Terranova
42 - Percorsi storici delle Comunità della Piana di Terranova – III 43 - Fede e Società nella Diocesi di Oppido-Palmi – II 44 - Percorsi storici delle Comunità della Piana di Terranova – IV45 - Momenti e figure nella storia della vecchia e nuova Oppido – VI 46 - Vita economico-sociale nella Piana di Terranova nei secc. XVII-XX(I)
47 - Oppido secentesca
48 - Vita economico-sociale nellaPiana di Terranova nei secc. XVII-XX (II)
49 - A Oppido nel Settecento
50 - Vita economico-sociale nellaPiana di Terranova nei secc. XVII-XX (III)
51 - Oppido nell‟Ottocento
52 - Vita economico-sociale nellaPiana di Terranova nei secc. XVII-XX (IV)
53 - Momenti e figure nella storia della vecchia e nuova Oppido – VII-
57.
1998
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2000
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2001
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2002
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2004
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2005
54 - Oppido nel Novecento
55 - Arte nelle Comunità della Piana di Terranova
56 - Fede e Società nella Diocesi di Oppido-Palmi – III 57 - Fede e Società nella Diocesi di Oppido-Palmi – IV 58 - Fede e Società nella Diocesi di Oppido-Palmi – V 59 - Cina chiama Calabria – II -
58.
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59.
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