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ANNO. III - N. 6
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LECCE 15 APRILE 1925
Abb. annuo L. 25
"FEDE
RIVISTA QUINDICINALE D'ARTE E DI CULTURA
filbovimento Intetiettuate nel talento
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Nel secolo XVII
Cap. IL
In questi ultimi anni, alcuni giovani letterati —
muovendosi oltre il cammino percorso dal De Giorgi,
dal Pignatelli, dal Gigli, dal Terribile, dal Barba,
dal Pedio ed anche dall'umile sottoscritto — hanno
tentato e conseguito la rivendicazione di molti poeti
salentini del secolo XVII. Ricordo, fra le tanti, le
monografie della Professoressa Rosaria Filieri su Antonio Bruni, del Prof. Enrico Masciullo su Ascanio
Grandi e del Prof. Federico Persone su Antonio Caraccio. Nessuno, però, a quanto mi sappia, ha volto
il pensiero a Q'tuseppe Battista, al solo poeta salentino, che ebbe la forzi di affermare la propriadignità e di artista, e di obbedire alle vergini
Ispirazione del cuore.
Educato al dolore, sin dalla più tenera fanciullezza, e ribelle per istinto ad ogni forma di tirannide,
andò esule volontario a Napoli, ove si dette con intenso amore agli studi delle lettere e della filosofia.
Animo e carattere austero, in quel secolo, in cúi il
servilismo dominava sovrano ; ingegno aper to alle
vergini impressioni della natura, in quegli anni, in
cui l'artifizio aveva cacciato di seggio la grand'arte
del cinquecento ; cultore passionato delle più severe
discipline storiche e letterarie, in quella stagione, in
eui la conoscenza più superficiale e più disparata
prendeva il nome di dottrina e inondava di fastidiose
pubblicazioni l'Italia, Giuseppe Battista rappresentava • una delle poche nobili eccezioni. Non ebbe certo
il genio gagliardo dei rinnovatori ; ma l'opera sua,
spogliata dai vizi di forma, comuni alla gran parte
dei suoi contemporanei, rivela sempre un pensiero
elevato ed un sentimento profondo. Sprezzatore del
volgo senza nome, che allora si accalcava alla soglia
o nelle anticamere dei potenti e ne solleticava tutte
le libidini, per ritrarne sicurezza di vita, si compiacque della solitudine, e ad un amico, che s'iniziava
lodevolmente alle lettere, volgeva questo monito :
Fatto il sacro Elicona è già profano,
Impudiche le vergini Camene,
E il rive r ito e pallido Ippocrene
Di lascivie amorose è fonte insano.
•Ode le reti sue cantar Vulcano,
I suoi trastulli Adone e le sue pene,
Sonano i sistri e.stridono le avene
Per celebrare un Tirso al Dio Tebano.
Tu, lo cui stile al tuo desìr pareggia,
Non imitar la melodia lasciva,
Di chi tra noi nelle follie vaneggia.
Qualor dai fiato alla sonora piva,
Fulmina suono tal da cui si veggia
Il vizio ucciso, e la virtù sia viva.
Libero, fra un popolo di servi, il nostro Battista
visse poveramente, ma non piegò mai il carattere
innanzi alle lusinghe del potere. A prova, bastino
alcune strofe, entro cui palpita e fremo l'anima di
un poeta, che annunzia da lunge l'arte civile e rigeneratrice del secolo XVIII:
Idolatrar non voglio,
Anima ossequiosa, un Dio terreno,
A cui tempio è la reggia ed ara il soglio ;
Dal suo volto sereno,
Fatto del d'influenza, io non aspetto
Lampo di godimento o di diletto,
Nè, se poscia è turbato,
Temo di morte ria fulmine armato.
L'amata libertade
Non venderò, ch'ebbi dal Cielo in dono.
Pensiero in me di servitù non cade,
Eppure un Codro io sono.
Nulla stim'io se libertà deploro,
Che nel mio sen Giove si stilli in oro,
Forsennato chi chiede,
Per impetrar diadema, il laccio al piede.
Le promesse d'un mondo,
S'a me non vivo, alteramente io sprezzo :
A tollerar dell'altrui voglie il pondo
Non ho l'animo avvezzo.
E, qualor della corte il nome ascolto,
Ho strazi al petto e pallidezza al volto.
Mi sembra nei comandi
Una lerna di mali aula di grandi.
e eleVaiiqIn queste poche stanze, tolte
da ur
'
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di
forma,
ma dentro
situa, vi sarà qualiceltrza t i
d Ila dignità umana e il dii spirane!,l'
ogni tirannide. È l'anima civile della na
sPrezz2he comincia a levarsi di fronte alla corruttela
zi °Tila servitù ed a sfidarle a viso aperto, non curante di qualsiasi 'castigo. Si annunzia l'alba di quel
l'arte, che vanta fra i pochi precursori il Bruno e
Campanella e che deve più tardi educare successi-
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82
PEDE
vamente al culto di ogni libertà gl'ingegni di Alfieri,
di Parini, di Foscolo, di Leopardi e di Giusti.
Nell'animo del Battista due sentimenti dominarono
sovrani : l'amore di libertà e la coscienza dell'io, che
gli veniva in parte dalla natura, in parte dallo studio profondo dei Greci.
Ecco un sonetto, dal quale 'scaturisce la piena di
quei sentimenti, e che fa pensare ad alcuni versi,
indirizzati più tardi all'Italia da Giacomo Leopardi.
Vi si riscontra certamente dell'artifizio nella fattura;
ma lo spirito, che lo anima, è vergine e spontaneo:
Patria, presso al morir già ti vegg'io
Di ferite letali il sen piagato,
E fu dei figli tuoi braccio spietato
Che ai fatali martiri il varco aprio.
Dalle meste pupille umido rio
Verso di pianto sol, chè m'ha negato,
Per sottrarti all'affano, invido fato,
Valor, che corrisponda al voler mio.
Ma se Roma ritrova ardor non finto
Ne' suoi per sollevarsi allor che langue,
E vede un Curzio ai .precipizi accinto ;
Tu, se alle piaghe tue giova il mio sangue,
Deh'! spargi il sangue mio, rendimi estinto,
Volontaria cadrò vittima esangue.
'Il modo poi di sentire la vita," nel nostro poeta, è
maschio, vigoroso, nobile ; in tutto dissimile da quello
dell'ambiente, in cui visse. Per lui, l'esistenza è
lotta, è lavoro, è missione per un fine elevato ; e la
gloria non è facile compiacenza del pubblico verso
chi ha saputo solleticarne gl'istinti; è, innanzi tutto,
conquista del pensiero, trionfo della virtù sul vizio.
Nel Battista sembrava impersonata la massima immortale di Diogene : Il lavoro c'insegna a disprezzare
la volattà; e l'abitudine finisce col render gradito il
disprezzo.
Valgano di esempio alcune strofe di un'Ode, che
indirizzò al suo amico Lorenzo Crasso, e nella quale è
compendiato ciò, che aveva scritto altra volta in prosa ;
Nell'angustie d'un tetto
Chiusi me stesso, e fra solinghi orrori.
Dalle mie cure accompagnato lo vissi.
Mi velaro l'aspetto
D'ostinate vigilie egri pallori,
Che tentai del saper gl'immensi abbissi
E, sudando in trattar l'ebano arguto,
Spuntommi il crine in gioventù canuto.
Nella reggia fatale,
Sopra trono di lucido Giacinto,
Siede gran donna, ed è la Gloria detta :
Sotto il piede immortale
Tien l'Oblio soggiogato, il Tempo avvinto,
_,----t->Thvidia miserabile ristretta;
Dona diadémi, e poi, là tromba presa,
I fatti memorablii -palesa.
Ella qui non permette
-Ch'ascenda mai chi fu nell'ozio immerso
E di pigri desir l'animo ha molle;
Ritrosa non ammette
Chi cozzar non osò col fato avverso,
E non calcò della fatica il colle.
Abbraccia sol chi seppe aprir la strada
'Col valor della penna o della spada.
Quanta differenza fra queste strofe agili e sincere,
e quelle accademiche e artifiziose del Guidi ! !•
Nonostante, però, tanta fierezza di carattere e tanto
disdegno per le tendenze del secolo, il Battista si
ebbe le lodi dei maggiori letterati del tempo e le premure di molte Accademie, che furono liete di accoglierlo nel loro seno. Giambattista Manzo, fondatore
e principe degli Oziosi in Napoli, lo ebbe in tanta
stima che, morendo, ordinò agli eredi che i suoi manoscritti fossero da lui riveduti e corretti ; e Lorenzo
,,Crasso, che poi ne scrisse l'Elogio, fece murare nella
chiesa di S. Lorenzo Maggiore in Napoli la seguente
epigrafe;
IOSEPHO BAPTISTAE
PHILOSOPHO THEOLOGO ORATORI ET POETAR
NOSTRAE AETATIS CLARISSIMO
VIRO MAXIMO ET INCOMPARABILI
MAXIMUM INCONPARABILIS AMICITIAE TESTIMONIUM
LAGRENTIUS CRASSUS B. P.
ANNO CIOIDCLXXV
DIR X MARTII
I critici posteriori, che hanno parlato più diffusamente del nostro poeta, si sono limitati a riconoscergli qualche merito di spontaneità ; ma nessuno
ha saputo o voluto scorgere quanto tesoro di sentimento e di pensiero si racchiudeva in lui. Il Tiraboschi, anzi, si è studiato di presentare l'opera del
Battista come la sintesi di tutti i vizi del secolo,
quando in Provincia avevano scritto o scrivevano
versi lodatissimi il Grandi, il Coppola e il d'Alessandro, e fuori avevano ricevuto il battesimo della
immortalità poeti, che oggi non saprebbero conciliarsi
neppure l'attenzione dei bibliofili.
E' vero che il Cantù è stato. più giusto verso il
nostro Battista ; ma, se • la sua parola ha rilevato .i
pregi dell'arte, non ha gittato un solo sprazzo di luce
sulla figura nobilissima dell'uomo. Eppure, se pochi
scrittori del seicento hanno diritto di rivivere nella
memoria dei maderni, perchè seppero resistere alla
corrente del tempo, fra essi bisogna certamente annoverare il Battista, che non smentì una sola volta,
nella vita e negli scritti, il generoso disdegno per
tutte le brutture che lo circondavano.
II. — Giuseppe Batti-sta nacque li II febbraio del
161o, in una città e da una famiglia, dove l'ingegno e la coltura avevano una lunga e non interrotta
tradizione. Il padre Cesare e la madre Macedonia
Fasano ebbero per lui e per il fratello Demenico le
cure più affettuore, sì che la fanciullezza del poeta
passò fra gli agi. e le carezze. Ben presto, però, il
lutto e la desolazione piombarono su quella casa,
perchè i genitori morirono a breve distanza l'un dall'altro. Rimasto solo, e derubato dai parenti di quel
che formava la sua fortuua, il nostro Giuseppe attinse dalla sventura e dalla miseria ardimento e vigore, e si dette con entusiasmo agli studi. Apprese i
rudimenti delle più varie discipline e si cimentò, con
facile successo, tanto nella volgare che nella latina
poesia.
Ma, verso il 1626, intollerante del giogo che i piccoli feudatari imponevano su quanti nutrivano sensi
di umana dignità,' e planiendogli termine , troppo angusto il patrio villaggio, passò a Napoli, allora centro
RIVISTA L'ARTE E DI CULTURA attivissimo di coltura. Qui, come dice Lorenzo Crasso,
nel colleggio dei padri gesuiti, volle con ostinata vigilia compier gli studi della filosofia, sotto gl'insegnamenti del padre Aniello Frattari, e poi della teologia
sotto i dettali del padre Bernardino Mazziotta, nella
quale è persuasione d'amici si dottorò, non lasciando
di fare per lo spazio di sette anni tutte le funzioni
che di farsi è costumanza in quella palestra peripatetica.
Ben presto, quindi, le doti del suo ingegno poetico e del suo spirito indagatore cominciarono ad affermarsi, tanto che Giovan Battista Manzo, principe
dell'Accademia degli Oziosi, reputò a propria fortuna
ascriverlo in quella illustre adunanza, e conferirgli,
•in mezzo all'unanime plauso degli accademici, il grado
di Censore dell'una e dell'altra lingua. Uomo libeto,
-in mezzo ad un ambiente servile e corrotto dalla
•violenza del Governo vicereale, sprezzatore di ogni
cortigianeria e non curante di onori, in quel secolo
in cui gli onori erano spesso frutto di viltà, il Battista
si tenne sempre lontano dai potenti e trovò conforto
nel culto sereno e solitario dell'arte e delle lettere,
e nella pratica della più severa virtù. A questo proposito, anzi, mi piace riportare un altro brano del
Crasso. Quando il conte Oltonelli di fiorito ingegno
era in Napoli Residente del Duca di Modena, più volte
con esibizioni di riconoscimenti onorevoli, gli manifestò
il desiderio che egli aveva di menarlo seco in Modena
nella corte di quel signore. Ma il Battista, lontanissimo sempre da pensieri d'ambizione, contento di sè
stesso in . tradur una vita quieta, lo ringraziò della
•stima, che dimostrava di farne, e con modestia grande,
che è propria sua, scansò più volte l'invito; così anche ha fatto con molti cardinali e co' filo/ali del regno.
Fu sorte del principe d'Avellino d'averlo seco in Na' poli. Il medesimo principe, volendo partir per Ispagna, gli fece mille istanze di menarlo in quella corte,
•antiponendogli speranze d'esaltazione ; ma egli rispose
con quel vecchio veronese di Claudiano che egli amava
di far lunga vita e non lunga via; che assai si stimava esaltato da Dio nei talenti datigli, e che dalla
morte di Girolamo Preti ben aveva imparalo a non lasciare il cielo italiano. Anche agli amici, che gli ad-
ditavano Roma, come teatro di meritata gloria, egli
soleva rispondere che considera folli tutti coloro, i
quali, per pochi giorni di felicità, menano tutta quasi
la vita in umiliante e vergognosa servitù.
Nel 1647, accasciato per la morte del suo grande
amico Giam Battista Manzo e dolorosamente sor• preso dai tetri bagliori della rivoluzione civile, volle
ritornare in patria e cercare nella serena pace dei
campi ispirazione e conforto. Lungo il cammino, e
proprio in un vallo selvaggio della Capitanata, i masnadieri, che tutte infestavano le campagne, lo so)resero, lo derubarono del poco che possedeva e gli
invòlarono anche molti manoscritti, che attendevano
ancora il paziente lavoro della lima e che più tardi
comparvero poi sotto il nome di altri e ben chiari lel•krati. In patria, pose dimora in una casetta arrisa
dal sole, che egli stesso ci descrive in una delle sue
lettere; ma il suo spirito malinconico non gli permise
lunga tregua, e andò vagando per diverse città, più
per destino e gli scrisse cher elezione.
'Sempre dietro la scorta del suo epistolario, lo tro-
•
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viamo successivemente in Salerno, in Pesto, in Taranto, sulle sponde di Mergellina, in Sorrento ed in
Bari. Fu forse allora che egli visitò per l'ultima volta
il fratello Domenico, il quale dimorava, circondato
di stima e d'affetto, presso la corte del Conte di
Conversano.
Ridottosi nuovamente in Napoli, attese aìla pubblicazione di molte delle sue opere e sostenne dispute
letterarie, che lo fecero noto anche nel campo della
critica. Notevolissime, fra tutte, quella con Federico
Meninni da Gravina, al quale rimproverò aspramente
alcuni plagi delle proprie opere, e dal quale si ebbe
una replica vigorosa, per quanto ingiusta, perchè
fatta di preconcetti su di un libro non ancora pubblicato; e l'altra con Giovanni Cicinelli Duca di
Grottaglie, il quale — in un opuscolo dal titolo Censura al Poetare Moderno — gli mosse rimprovero degl'innovamenti, che cercava di apportare nella stilistica e nella metrica, desumendo dai classici latini
gran corredo di lingua.
Morì il io marzo del 1675 e al suo funerale convenne la parte più eletta della cittadinanza, la quale
volle rendere meritato tributo di ammirazione al
grande, che non aveva mai aperto traffico di coscienza o d'ingegno ed aveva sempre prediletto le
serene gioie di una incontaminata povertà. dno scrit'tore del tempo, Domenico Antonio Parrino, dolorando,
nel suo Teatro Eroico e Politico dei Vicerè, la perdita del conte Francesco Caraccialo, famoso generale
e prodigo mecenate dei letterati, ricorda il nostro
autore con queste parole : Quella morte la sentì più
di tutti il sacerdote D. Ciuseppe Battista dielle Grottaglie, poeta insigne dei nostri tempi, che non volle sopravvivere che quattro mesi al suo grande protettore.
Don Giovanni Cicinelli, allora duca delle Grottaglie
ed oggi principe di Cursi, eruditissimo cavaliere, sotto
nome del quale era uscita alla luce un'apologia contro
all'opera del Battista, andollo o visitare prima della
sua morte, e si rammaricò grandemente di non averlo
trovato in istato di udire la dolcezza dei suoi discorsi.
Volle nondimeno mostrar la stima, che faceva della
virtù di quest'uomo, col fargli a proprie spese l'esequie e comprare nella chiesa di S. Lorenzo un luogo
particolare per la sua sepoltura, la quale si vede a
man destra della porta piccola della medesima chiesa,
dove il dottor Lorenzo Crasso, amicissimo delle Muse
e molto parziale dell'onor del Battista, fece scolpir
l'epitaffio, che io riporto in altra parte di questo ar-
ticolo. Fu poeta ed oratore, erudito e filosofo pari
ai più grandi della sua età, ed a prova basterebbe
riscontrare quel che se n'è scritto, nelle opere da
me ricordate nell'appendice bibliografico ; però, non
seppe sempre vincere le influenze della scuola marinesca, e spesso si abbandonò alla turgida verbosità,
che attenua anche i pregi delle solenni opere d'arte
e di cririca.
Di lui, restano le opere seguenti, che io dispongo
con l'ordine cronologico suggeritomi dall'esame delle
varie edizioni:
Epigrommatum Centuriae Tres — Venezia, per
11
Dava,
1050
10s9,
-
2. Delle Poesie Meliche — Venezia, per il Baba,.
•
B4
FEDE
1664, in 4 parti. - Parma, 1665, in-12. - Venezia,
per Abbondio Menafoglio, 1666, in 2 parti.
3. Epicedi Eroici — Venezia, per Cambi e La Noù,
1667, in-12. - Bologna, 166g, in-12.
4. Le Giornate Accademiche — Venezia, per Cambi
e La Noù, 1670 e 1673, in-12.
5. Affetti Caritativi — Padova, in-12.
6. Le Vite di S. Giovan Battista e del Beato Felice Vene.
Oltre queste opere, che vennero pubblicate sotto
la cura paziente ed amorosa dell'autore, sono da tenersi in pregio anche le seguenti, che videro la luce
dopo la morte del Battista per volere del nipote suo
Simone Antonio :
x. La Poetica— Venezia, per Cambi e La Noù, 1676,
2. Assalonne, tragedia — Venezia per Cambi e
La Noù, 1677, in-12.
3. Le Lettere — Venezia, per Cambi e La Noù,
- Bologna 1678, in-12.
1678,
4. Della patria di Q. Ennio. Lettera discorsiva.
La Poetica. già annunziata dal Grasso negli Elogi
fin dal 1664 col titolo di Comento alla Poetica di
Aristotile, venne dedicato a Girolamo Pignatelli
d'Aragona, assunse importanza di opera originale e
si riscontra ancora con interesse.
Le Lettere, raccolte con cura paziente dagli amici,
sono ricche di preziose notizie intorno alla vita dell'autore e alle questioni letterarie, che si discutevano in quel tempo.
E qui, forse, non sarebbe stato superfluo riportare,
con ordine cronologico, i giudizi che sul Battista furono liberamente dati dal tempo in cui fiorì sino
ai nostri giorni ; ma i limiti imposti allo sviluppo
della presente pubblicazione non mi hanno consentito un lavoro di analisi e di ricerche. A me premeva rivendicare la memoria di un illustre, che la
incuria dei nostri scrittori ha condannato per oltre
due secoli al limbo della dimenticanza, e determinare i caratteri salienti della sua opera, che è il
primo e vigoroso accenno al risveglio di un'arte altamente civile. Che se poi altri vorrà lumeggiare,
con più largo corredo di notizie e con più rigore di
critica, il medesimo argomento, io ne sarò lietissimo,
ben pago di avere rotta la umiliante congiura del
silenzio a danno di uno deì pochi scrittori e cittadini, che resero onorando il nostro seicento.
BIBLIOGRAFIA
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Richard e Giraud — Dizionario Universale. G.
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della Vulgar Poesia. Pignatelli — Scrittori Grottagliesi. G. Gigli — Scrittori Manduriani. P. Marti —
Origine e fortuna della Colt. Sal. Greco — Scrittori
Oritani. G. Arditi — Corografia fisica e Stosica ecc.
E. D'afflitto — Scrittori del regno di Napoli. Giustiniani — Ritratti degli Uomini Illustri ecc. B. I sfuri — Scrittori del Regno di Napoli. F. S. Quadrio — Della Storia ecc., d'ogni Poesia. Pacicchelli
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dei Letterati Salentini. Gervasi — Biografie degli Uomini Illustri ecc. N. Toppi — Biblioteca Napoletana.
Mazzucchelli — Scrittori d'Italia. Parrino D. Ant.
— Teatro eroico e Storico ecc., vol. 4. Bellani Ant.
— Il Seicento. Sigismondo da S. Silverio — Praelusiones Poeticae. Dom. Martuscelli — Biografie degli
Uomini Illustri del Regno di Napoli. G. D'Oria —
Rudia — Patria di Q. Ennio. Battista Sim. Ant.
ece. ecc. E. Pedio —Prefaziondltc»,
—GiusepBat.c
(Continua)
Pietro Marti
e •
•N •
••■
IL PATRIARCA VETROMLE A QALLIVOLI
Gallipoli, come altre città salentine, ricevette la
fede cattolica dall'apostolo S. Pietro che fu in queste
contrade per tre volte. Molte tradizioni della venuta
di S. Pietro esistono fino ad oggi nella provincia di
Lecce e i punti sono segnati da parecchie antiche
chiese consacrate al Principe degli Apostoli. 11 vescovado di Gallipoli è antichissimo e nessuna memoria esiste che possa indicarci quando e da chi fu
istituito. Esisteva molto tempo prima di San Gregorio Magno, come testimoniamo, le lettere del Santo
al vescovo di Gallipoli. Si crede con buone ragioni
che il primo vescovo di Gallipoli fu S. Pancrazio,
compagno di S. Pietro. Gallipoli e l'intera Puglia
traggono grande orgoglio, e con buona ragione, dal
fatto che, avendo ricevuto la vera fede da S. Pietro,
l'hanno serbata fedelmente fino ad oggi. Essendo
una città greca, le pratiche religiose furono dapprima
conformi al rito greco. A causa del commercio con
l'Occidente, i Latini si accrebbero notevolmente nell'età di mezzo. Alcuni sacerdoti del rito latino furono
provveduti per costoro ; tuttavia l'Officio quotidiano
in Cattedrale era detto in Greco, e così le Messe.
Coll'aumentare dei sacerdoti e dei fedeli Latini, fu
necessario eleggere il vescovo alternativamente greco
e latino. Il titolare della cattedrale fu cambiato da
S. Giovanni Crisostomo in S. Agata. Anche l'Officio fu recitato alternativamente greco e latino, fino
al sedicesimo secolo, allorchè il rituale greco fu interamente abolito ; tuttavia costumanze e pratiche
greche sussistono fino ad oggi.
Quasi tutti i cittadini appartengono a confraternite
distinte per classi, secondo il loro commercio e la
loro occupazione ; per esempio, i nobili, i mercanti,
i pescatori, i carpentieri, ecc. Ognuna di queste
-;
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