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Nessuno, però, a quanto mi sappia, ha volto il pensiero a Q'tuseppe Battista, al solo poeta salentino, che ebbe la forzi di affermare la propriadignità e di artista, e di obbedire alle vergini Ispirazione del cuore. Educato al dolore, sin dalla più tenera fanciullezza, e ribelle per istinto ad ogni forma di tirannide, andò esule volontario a Napoli, ove si dette con intenso amore agli studi delle lettere e della filosofia. Animo e carattere austero, in quel secolo, in cúi il servilismo dominava sovrano ; ingegno aper to alle vergini impressioni della natura, in quegli anni, in cui l'artifizio aveva cacciato di seggio la grand'arte del cinquecento ; cultore passionato delle più severe discipline storiche e letterarie, in quella stagione, in eui la conoscenza più superficiale e più disparata prendeva il nome di dottrina e inondava di fastidiose pubblicazioni l'Italia, Giuseppe Battista rappresentava • una delle poche nobili eccezioni. Non ebbe certo il genio gagliardo dei rinnovatori ; ma l'opera sua, spogliata dai vizi di forma, comuni alla gran parte dei suoi contemporanei, rivela sempre un pensiero elevato ed un sentimento profondo. Sprezzatore del volgo senza nome, che allora si accalcava alla soglia o nelle anticamere dei potenti e ne solleticava tutte le libidini, per ritrarne sicurezza di vita, si compiacque della solitudine, e ad un amico, che s'iniziava lodevolmente alle lettere, volgeva questo monito : Fatto il sacro Elicona è già profano, Impudiche le vergini Camene, E il rive r ito e pallido Ippocrene Di lascivie amorose è fonte insano. •Ode le reti sue cantar Vulcano, I suoi trastulli Adone e le sue pene, Sonano i sistri e.stridono le avene Per celebrare un Tirso al Dio Tebano. Tu, lo cui stile al tuo desìr pareggia, Non imitar la melodia lasciva, Di chi tra noi nelle follie vaneggia. Qualor dai fiato alla sonora piva, Fulmina suono tal da cui si veggia Il vizio ucciso, e la virtù sia viva. Libero, fra un popolo di servi, il nostro Battista visse poveramente, ma non piegò mai il carattere innanzi alle lusinghe del potere. A prova, bastino alcune strofe, entro cui palpita e fremo l'anima di un poeta, che annunzia da lunge l'arte civile e rigeneratrice del secolo XVIII: Idolatrar non voglio, Anima ossequiosa, un Dio terreno, A cui tempio è la reggia ed ara il soglio ; Dal suo volto sereno, Fatto del d'influenza, io non aspetto Lampo di godimento o di diletto, Nè, se poscia è turbato, Temo di morte ria fulmine armato. L'amata libertade Non venderò, ch'ebbi dal Cielo in dono. Pensiero in me di servitù non cade, Eppure un Codro io sono. Nulla stim'io se libertà deploro, Che nel mio sen Giove si stilli in oro, Forsennato chi chiede, Per impetrar diadema, il laccio al piede. Le promesse d'un mondo, S'a me non vivo, alteramente io sprezzo : A tollerar dell'altrui voglie il pondo Non ho l'animo avvezzo. E, qualor della corte il nome ascolto, Ho strazi al petto e pallidezza al volto. Mi sembra nei comandi Una lerna di mali aula di grandi. e eleVaiiqIn queste poche stanze, tolte da ur ' ,.a di forma, ma dentro situa, vi sarà qualiceltrza t i d Ila dignità umana e il dii spirane!,l' ogni tirannide. È l'anima civile della na sPrezz2he comincia a levarsi di fronte alla corruttela zi °Tila servitù ed a sfidarle a viso aperto, non curante di qualsiasi 'castigo. Si annunzia l'alba di quel l'arte, che vanta fra i pochi precursori il Bruno e Campanella e che deve più tardi educare successi- qi`r: WHIUWIIIIM -111111117111111MITIMIWIlflilIPIril:zumwh i mml, INTHIHWInlh1117111111171 82 PEDE vamente al culto di ogni libertà gl'ingegni di Alfieri, di Parini, di Foscolo, di Leopardi e di Giusti. Nell'animo del Battista due sentimenti dominarono sovrani : l'amore di libertà e la coscienza dell'io, che gli veniva in parte dalla natura, in parte dallo studio profondo dei Greci. Ecco un sonetto, dal quale 'scaturisce la piena di quei sentimenti, e che fa pensare ad alcuni versi, indirizzati più tardi all'Italia da Giacomo Leopardi. Vi si riscontra certamente dell'artifizio nella fattura; ma lo spirito, che lo anima, è vergine e spontaneo: Patria, presso al morir già ti vegg'io Di ferite letali il sen piagato, E fu dei figli tuoi braccio spietato Che ai fatali martiri il varco aprio. Dalle meste pupille umido rio Verso di pianto sol, chè m'ha negato, Per sottrarti all'affano, invido fato, Valor, che corrisponda al voler mio. Ma se Roma ritrova ardor non finto Ne' suoi per sollevarsi allor che langue, E vede un Curzio ai .precipizi accinto ; Tu, se alle piaghe tue giova il mio sangue, Deh'! spargi il sangue mio, rendimi estinto, Volontaria cadrò vittima esangue. 'Il modo poi di sentire la vita," nel nostro poeta, è maschio, vigoroso, nobile ; in tutto dissimile da quello dell'ambiente, in cui visse. Per lui, l'esistenza è lotta, è lavoro, è missione per un fine elevato ; e la gloria non è facile compiacenza del pubblico verso chi ha saputo solleticarne gl'istinti; è, innanzi tutto, conquista del pensiero, trionfo della virtù sul vizio. Nel Battista sembrava impersonata la massima immortale di Diogene : Il lavoro c'insegna a disprezzare la volattà; e l'abitudine finisce col render gradito il disprezzo. Valgano di esempio alcune strofe di un'Ode, che indirizzò al suo amico Lorenzo Crasso, e nella quale è compendiato ciò, che aveva scritto altra volta in prosa ; Nell'angustie d'un tetto Chiusi me stesso, e fra solinghi orrori. Dalle mie cure accompagnato lo vissi. Mi velaro l'aspetto D'ostinate vigilie egri pallori, Che tentai del saper gl'immensi abbissi E, sudando in trattar l'ebano arguto, Spuntommi il crine in gioventù canuto. Nella reggia fatale, Sopra trono di lucido Giacinto, Siede gran donna, ed è la Gloria detta : Sotto il piede immortale Tien l'Oblio soggiogato, il Tempo avvinto, _,----t->Thvidia miserabile ristretta; Dona diadémi, e poi, là tromba presa, I fatti memorablii -palesa. Ella qui non permette -Ch'ascenda mai chi fu nell'ozio immerso E di pigri desir l'animo ha molle; Ritrosa non ammette Chi cozzar non osò col fato avverso, E non calcò della fatica il colle. Abbraccia sol chi seppe aprir la strada 'Col valor della penna o della spada. Quanta differenza fra queste strofe agili e sincere, e quelle accademiche e artifiziose del Guidi ! !• Nonostante, però, tanta fierezza di carattere e tanto disdegno per le tendenze del secolo, il Battista si ebbe le lodi dei maggiori letterati del tempo e le premure di molte Accademie, che furono liete di accoglierlo nel loro seno. Giambattista Manzo, fondatore e principe degli Oziosi in Napoli, lo ebbe in tanta stima che, morendo, ordinò agli eredi che i suoi manoscritti fossero da lui riveduti e corretti ; e Lorenzo ,,Crasso, che poi ne scrisse l'Elogio, fece murare nella chiesa di S. Lorenzo Maggiore in Napoli la seguente epigrafe; IOSEPHO BAPTISTAE PHILOSOPHO THEOLOGO ORATORI ET POETAR NOSTRAE AETATIS CLARISSIMO VIRO MAXIMO ET INCOMPARABILI MAXIMUM INCONPARABILIS AMICITIAE TESTIMONIUM LAGRENTIUS CRASSUS B. P. ANNO CIOIDCLXXV DIR X MARTII I critici posteriori, che hanno parlato più diffusamente del nostro poeta, si sono limitati a riconoscergli qualche merito di spontaneità ; ma nessuno ha saputo o voluto scorgere quanto tesoro di sentimento e di pensiero si racchiudeva in lui. Il Tiraboschi, anzi, si è studiato di presentare l'opera del Battista come la sintesi di tutti i vizi del secolo, quando in Provincia avevano scritto o scrivevano versi lodatissimi il Grandi, il Coppola e il d'Alessandro, e fuori avevano ricevuto il battesimo della immortalità poeti, che oggi non saprebbero conciliarsi neppure l'attenzione dei bibliofili. E' vero che il Cantù è stato. più giusto verso il nostro Battista ; ma, se • la sua parola ha rilevato .i pregi dell'arte, non ha gittato un solo sprazzo di luce sulla figura nobilissima dell'uomo. Eppure, se pochi scrittori del seicento hanno diritto di rivivere nella memoria dei maderni, perchè seppero resistere alla corrente del tempo, fra essi bisogna certamente annoverare il Battista, che non smentì una sola volta, nella vita e negli scritti, il generoso disdegno per tutte le brutture che lo circondavano. II. — Giuseppe Batti-sta nacque li II febbraio del 161o, in una città e da una famiglia, dove l'ingegno e la coltura avevano una lunga e non interrotta tradizione. Il padre Cesare e la madre Macedonia Fasano ebbero per lui e per il fratello Demenico le cure più affettuore, sì che la fanciullezza del poeta passò fra gli agi. e le carezze. Ben presto, però, il lutto e la desolazione piombarono su quella casa, perchè i genitori morirono a breve distanza l'un dall'altro. Rimasto solo, e derubato dai parenti di quel che formava la sua fortuua, il nostro Giuseppe attinse dalla sventura e dalla miseria ardimento e vigore, e si dette con entusiasmo agli studi. Apprese i rudimenti delle più varie discipline e si cimentò, con facile successo, tanto nella volgare che nella latina poesia. Ma, verso il 1626, intollerante del giogo che i piccoli feudatari imponevano su quanti nutrivano sensi di umana dignità,' e planiendogli termine , troppo angusto il patrio villaggio, passò a Napoli, allora centro RIVISTA L'ARTE E DI CULTURA attivissimo di coltura. Qui, come dice Lorenzo Crasso, nel colleggio dei padri gesuiti, volle con ostinata vigilia compier gli studi della filosofia, sotto gl'insegnamenti del padre Aniello Frattari, e poi della teologia sotto i dettali del padre Bernardino Mazziotta, nella quale è persuasione d'amici si dottorò, non lasciando di fare per lo spazio di sette anni tutte le funzioni che di farsi è costumanza in quella palestra peripatetica. Ben presto, quindi, le doti del suo ingegno poetico e del suo spirito indagatore cominciarono ad affermarsi, tanto che Giovan Battista Manzo, principe dell'Accademia degli Oziosi, reputò a propria fortuna ascriverlo in quella illustre adunanza, e conferirgli, •in mezzo all'unanime plauso degli accademici, il grado di Censore dell'una e dell'altra lingua. Uomo libeto, -in mezzo ad un ambiente servile e corrotto dalla •violenza del Governo vicereale, sprezzatore di ogni cortigianeria e non curante di onori, in quel secolo in cui gli onori erano spesso frutto di viltà, il Battista si tenne sempre lontano dai potenti e trovò conforto nel culto sereno e solitario dell'arte e delle lettere, e nella pratica della più severa virtù. A questo proposito, anzi, mi piace riportare un altro brano del Crasso. Quando il conte Oltonelli di fiorito ingegno era in Napoli Residente del Duca di Modena, più volte con esibizioni di riconoscimenti onorevoli, gli manifestò il desiderio che egli aveva di menarlo seco in Modena nella corte di quel signore. Ma il Battista, lontanissimo sempre da pensieri d'ambizione, contento di sè stesso in . tradur una vita quieta, lo ringraziò della •stima, che dimostrava di farne, e con modestia grande, che è propria sua, scansò più volte l'invito; così anche ha fatto con molti cardinali e co' filo/ali del regno. Fu sorte del principe d'Avellino d'averlo seco in Na' poli. Il medesimo principe, volendo partir per Ispagna, gli fece mille istanze di menarlo in quella corte, •antiponendogli speranze d'esaltazione ; ma egli rispose con quel vecchio veronese di Claudiano che egli amava di far lunga vita e non lunga via; che assai si stimava esaltato da Dio nei talenti datigli, e che dalla morte di Girolamo Preti ben aveva imparalo a non lasciare il cielo italiano. Anche agli amici, che gli ad- ditavano Roma, come teatro di meritata gloria, egli soleva rispondere che considera folli tutti coloro, i quali, per pochi giorni di felicità, menano tutta quasi la vita in umiliante e vergognosa servitù. Nel 1647, accasciato per la morte del suo grande amico Giam Battista Manzo e dolorosamente sor• preso dai tetri bagliori della rivoluzione civile, volle ritornare in patria e cercare nella serena pace dei campi ispirazione e conforto. Lungo il cammino, e proprio in un vallo selvaggio della Capitanata, i masnadieri, che tutte infestavano le campagne, lo so)resero, lo derubarono del poco che possedeva e gli invòlarono anche molti manoscritti, che attendevano ancora il paziente lavoro della lima e che più tardi comparvero poi sotto il nome di altri e ben chiari lel•krati. In patria, pose dimora in una casetta arrisa dal sole, che egli stesso ci descrive in una delle sue lettere; ma il suo spirito malinconico non gli permise lunga tregua, e andò vagando per diverse città, più per destino e gli scrisse cher elezione. 'Sempre dietro la scorta del suo epistolario, lo tro- • 83 viamo successivemente in Salerno, in Pesto, in Taranto, sulle sponde di Mergellina, in Sorrento ed in Bari. Fu forse allora che egli visitò per l'ultima volta il fratello Domenico, il quale dimorava, circondato di stima e d'affetto, presso la corte del Conte di Conversano. Ridottosi nuovamente in Napoli, attese aìla pubblicazione di molte delle sue opere e sostenne dispute letterarie, che lo fecero noto anche nel campo della critica. Notevolissime, fra tutte, quella con Federico Meninni da Gravina, al quale rimproverò aspramente alcuni plagi delle proprie opere, e dal quale si ebbe una replica vigorosa, per quanto ingiusta, perchè fatta di preconcetti su di un libro non ancora pubblicato; e l'altra con Giovanni Cicinelli Duca di Grottaglie, il quale — in un opuscolo dal titolo Censura al Poetare Moderno — gli mosse rimprovero degl'innovamenti, che cercava di apportare nella stilistica e nella metrica, desumendo dai classici latini gran corredo di lingua. Morì il io marzo del 1675 e al suo funerale convenne la parte più eletta della cittadinanza, la quale volle rendere meritato tributo di ammirazione al grande, che non aveva mai aperto traffico di coscienza o d'ingegno ed aveva sempre prediletto le serene gioie di una incontaminata povertà. dno scrit'tore del tempo, Domenico Antonio Parrino, dolorando, nel suo Teatro Eroico e Politico dei Vicerè, la perdita del conte Francesco Caraccialo, famoso generale e prodigo mecenate dei letterati, ricorda il nostro autore con queste parole : Quella morte la sentì più di tutti il sacerdote D. Ciuseppe Battista dielle Grottaglie, poeta insigne dei nostri tempi, che non volle sopravvivere che quattro mesi al suo grande protettore. Don Giovanni Cicinelli, allora duca delle Grottaglie ed oggi principe di Cursi, eruditissimo cavaliere, sotto nome del quale era uscita alla luce un'apologia contro all'opera del Battista, andollo o visitare prima della sua morte, e si rammaricò grandemente di non averlo trovato in istato di udire la dolcezza dei suoi discorsi. Volle nondimeno mostrar la stima, che faceva della virtù di quest'uomo, col fargli a proprie spese l'esequie e comprare nella chiesa di S. Lorenzo un luogo particolare per la sua sepoltura, la quale si vede a man destra della porta piccola della medesima chiesa, dove il dottor Lorenzo Crasso, amicissimo delle Muse e molto parziale dell'onor del Battista, fece scolpir l'epitaffio, che io riporto in altra parte di questo ar- ticolo. Fu poeta ed oratore, erudito e filosofo pari ai più grandi della sua età, ed a prova basterebbe riscontrare quel che se n'è scritto, nelle opere da me ricordate nell'appendice bibliografico ; però, non seppe sempre vincere le influenze della scuola marinesca, e spesso si abbandonò alla turgida verbosità, che attenua anche i pregi delle solenni opere d'arte e di cririca. Di lui, restano le opere seguenti, che io dispongo con l'ordine cronologico suggeritomi dall'esame delle varie edizioni: Epigrommatum Centuriae Tres — Venezia, per 11 Dava, 1050 10s9, - 2. Delle Poesie Meliche — Venezia, per il Baba,. • B4 FEDE 1664, in 4 parti. - Parma, 1665, in-12. - Venezia, per Abbondio Menafoglio, 1666, in 2 parti. 3. Epicedi Eroici — Venezia, per Cambi e La Noù, 1667, in-12. - Bologna, 166g, in-12. 4. Le Giornate Accademiche — Venezia, per Cambi e La Noù, 1670 e 1673, in-12. 5. Affetti Caritativi — Padova, in-12. 6. Le Vite di S. Giovan Battista e del Beato Felice Vene. Oltre queste opere, che vennero pubblicate sotto la cura paziente ed amorosa dell'autore, sono da tenersi in pregio anche le seguenti, che videro la luce dopo la morte del Battista per volere del nipote suo Simone Antonio : x. La Poetica— Venezia, per Cambi e La Noù, 1676, 2. Assalonne, tragedia — Venezia per Cambi e La Noù, 1677, in-12. 3. Le Lettere — Venezia, per Cambi e La Noù, - Bologna 1678, in-12. 1678, 4. Della patria di Q. Ennio. Lettera discorsiva. La Poetica. già annunziata dal Grasso negli Elogi fin dal 1664 col titolo di Comento alla Poetica di Aristotile, venne dedicato a Girolamo Pignatelli d'Aragona, assunse importanza di opera originale e si riscontra ancora con interesse. Le Lettere, raccolte con cura paziente dagli amici, sono ricche di preziose notizie intorno alla vita dell'autore e alle questioni letterarie, che si discutevano in quel tempo. E qui, forse, non sarebbe stato superfluo riportare, con ordine cronologico, i giudizi che sul Battista furono liberamente dati dal tempo in cui fiorì sino ai nostri giorni ; ma i limiti imposti allo sviluppo della presente pubblicazione non mi hanno consentito un lavoro di analisi e di ricerche. A me premeva rivendicare la memoria di un illustre, che la incuria dei nostri scrittori ha condannato per oltre due secoli al limbo della dimenticanza, e determinare i caratteri salienti della sua opera, che è il primo e vigoroso accenno al risveglio di un'arte altamente civile. Che se poi altri vorrà lumeggiare, con più largo corredo di notizie e con più rigore di critica, il medesimo argomento, io ne sarò lietissimo, ben pago di avere rotta la umiliante congiura del silenzio a danno di uno deì pochi scrittori e cittadini, che resero onorando il nostro seicento. BIBLIOGRAFIA Q. Mario Corrado — Epistolario (Lettere 122) Gregorovius — Nelle Puglie. G. Battista — Le Lettere. P. Labbe — Storia dei Concili. Sforza Pallavicini — Concilio di Trenio. Paolo Sarpi — Storia del Concilio di Trento. Abate Bercastel — Biblioteca Sacra. Richard e Giraud — Dizionario Universale. G. Cantù — Storia della Letteratura. On. Fava — Dizionario Storico ecc, Moreri — Dizionario Storico-Biografico. L. Crasso — Elogi. Tiraboschi — Storia della Letteratura Italiana. Crescimbeni — Historia della Vulgar Poesia. Pignatelli — Scrittori Grottagliesi. G. Gigli — Scrittori Manduriani. P. Marti — Origine e fortuna della Colt. Sal. Greco — Scrittori Oritani. G. Arditi — Corografia fisica e Stosica ecc. E. D'afflitto — Scrittori del regno di Napoli. Giustiniani — Ritratti degli Uomini Illustri ecc. B. I sfuri — Scrittori del Regno di Napoli. F. S. Quadrio — Della Storia ecc., d'ogni Poesia. Pacicchelli — Regno di Napoli, parte I. D. De Angelis — Vite dei Letterati Salentini. Gervasi — Biografie degli Uomini Illustri ecc. N. Toppi — Biblioteca Napoletana. Mazzucchelli — Scrittori d'Italia. Parrino D. Ant. — Teatro eroico e Storico ecc., vol. 4. Bellani Ant. — Il Seicento. Sigismondo da S. Silverio — Praelusiones Poeticae. Dom. Martuscelli — Biografie degli Uomini Illustri del Regno di Napoli. G. D'Oria — Rudia — Patria di Q. Ennio. Battista Sim. Ant. ece. ecc. E. Pedio —Prefaziondltc», —GiusepBat.c (Continua) Pietro Marti e • •N • ••■ IL PATRIARCA VETROMLE A QALLIVOLI Gallipoli, come altre città salentine, ricevette la fede cattolica dall'apostolo S. Pietro che fu in queste contrade per tre volte. Molte tradizioni della venuta di S. Pietro esistono fino ad oggi nella provincia di Lecce e i punti sono segnati da parecchie antiche chiese consacrate al Principe degli Apostoli. 11 vescovado di Gallipoli è antichissimo e nessuna memoria esiste che possa indicarci quando e da chi fu istituito. Esisteva molto tempo prima di San Gregorio Magno, come testimoniamo, le lettere del Santo al vescovo di Gallipoli. Si crede con buone ragioni che il primo vescovo di Gallipoli fu S. Pancrazio, compagno di S. Pietro. Gallipoli e l'intera Puglia traggono grande orgoglio, e con buona ragione, dal fatto che, avendo ricevuto la vera fede da S. Pietro, l'hanno serbata fedelmente fino ad oggi. Essendo una città greca, le pratiche religiose furono dapprima conformi al rito greco. A causa del commercio con l'Occidente, i Latini si accrebbero notevolmente nell'età di mezzo. Alcuni sacerdoti del rito latino furono provveduti per costoro ; tuttavia l'Officio quotidiano in Cattedrale era detto in Greco, e così le Messe. Coll'aumentare dei sacerdoti e dei fedeli Latini, fu necessario eleggere il vescovo alternativamente greco e latino. Il titolare della cattedrale fu cambiato da S. Giovanni Crisostomo in S. Agata. Anche l'Officio fu recitato alternativamente greco e latino, fino al sedicesimo secolo, allorchè il rituale greco fu interamente abolito ; tuttavia costumanze e pratiche greche sussistono fino ad oggi. Quasi tutti i cittadini appartengono a confraternite distinte per classi, secondo il loro commercio e la loro occupazione ; per esempio, i nobili, i mercanti, i pescatori, i carpentieri, ecc. Ognuna di queste -;