INDICE PREFAZIONE ..............................................................................................pag. 3 L’AGROBIODIVERSITÀ E LA SUA EROSIONE GENETICA .................... ,, 4 LA SOPRAVVIVENZA ON-FARM DELLE CULTIVAR LOCALI ED I MARCHI DI TUTELA ................................................................................. ,, 5 ORIGINE, DOMESTICAZIONE E DIFFUSIONE DELLA LENTICCHIA ..... ,, 7 AGROTECNICA ADATTA ALLA COLTIVAZIONE DELLA LENTICCHIA IN SICILIA .................................................................................................... ,, 10 GLI AGROECOTIPI SICILIANI DI LENTICCHIA ........................................ ,, 14 LA LENTICCHIA A VILLALBA NOTE STORICHE SULLA COLTIVAZIONE .......................................................................................... ,, 15 ASPETTI MORFOLOGICI E NUTRIZIONALI .............................................. ,, 16 ANALISI DELLA DIVERSITA' GENETICA ................................................. ,, 19 PROBLEMI NEMATOLOGICI DELLA COLTURA DELLA LENTICCHIA ... ,, 23 CONCLUSIONI ............................................................................................ ,, 28 BIBLIOGRAFIA ............................................................................................ ,, 29 2 PREFAZIONE L'agricoltura della regione Sicilia annovera tra i suoi prodotti tipici di più antica tradizione la 'lenticchia di Villalba', considerata come una delle più importanti lenticchie Italiane a seme grande. Va ai nostri agricoltori il merito di aver continuato a coltivare questo importante prodotto della nostra tradizione agricola ed alimentare salvandolo dall'estinzione come avvenuto per altre lenticchie Italiane. In questi ultimi anni l'amministrazione comunale si è fatta promotrice di diverse iniziative tese al rilancio di questa coltura nel nostro territorio. L'aver risvegliato nella comunità locale un vivo interesse per il recupero e la trasmissione delle proprie tradizioni alle giovani generazioni e la presa di coscienza dell'importante occasione di lavoro offerta al mondo agricolo rurale sono i risultati tangibili di questi sforzi. In questo contesto, la costituzione nel 2003 del Comitato scientifico per la valorizzazione della 'lenticchia di Villalba', fortemente voluto dall'Amministrazione comunale, ha rappresentato un importante tassello. Infatti, l'aggregazione di esperti con competenze in campi diversi è funzionale alla tutela, promozione e valorizzazione della nostra lenticchia. La pubblicazione di questo opuscolo vuole essere un ulteriore contributo a questa politica avendo come scopo principale la presentazione alla comunità locale dei risultati degli studi condotti sulla 'lenticchia di Villaba' in questi ultimi due anni. Il Sindaco Dott. Eugenio Zoda 3 L’AGROBIODIVERSITÀ E LA SUA EROSIONE GENETICA La variabilità genetica è il frutto del lavoro della natura che, nel corso di milioni di anni, attraverso selezione naturale, mutazioni, ibridazioni ed adattamenti, ha creato una enorme ricchezza di combinazioni di geni, che è fondamentale per la sopravvivenza delle specie. Questo processo naturale è stato, in parte, influenzato dall'azione antropica che spesso ha influito sul successo di una specie a scapito di altre. Il termine ‘agrobiodiversità’ indica la variabilità genetica e fenotipica delle colture e degli animali autoctoni, tipici di un’area geografica, in relazione al loro habitat. Il problema dell'erosione genetica in agricoltura è diventato tale solo recentemente ed a sollevarlo ha contribuito la Rivoluzione Verde che, agli inizi del '900, ha radicalmente trasformato l'agricoltura. Le vecchie varietà o landraces furono sostituite con nuove varietà caratterizzate da rese più elevate ma con una ristretta base genetica. Queste moderne varietà si sono diffuse rapidamente, facendo diminuire di conseguenza la variabilità entro le specie coltivate. Questo processo è diventato sempre più marcato, tanto da portare alla scomparsa di molte varietà locali. La riduzione della base genetica, dovuta sia all'erosione genetica che al ricorso a modesti segmenti di variabilità nella costituzione di nuove cultivar, rende molto difficile la prevenzione e la lotta alle epidemie parassitarie (Scarascia Mugnozza, 1974). Infatti, alla elevata capacità dei microrganismi di selezionare nuove razze, si contrappone una alta uniformità delle piante coltivate, spesso richiesta dalla moderna agricoltura industriale, che le rende però più vulnerabili agli agenti patogeni. In molte aree del bacino mediterraneo, fino a qualche lustro fa, un campo di frumento era costituito da decine di varietà se non addirittura da specie diverse (Kuckuck, 1970). Oggi invece, in Turchia, che è il centro dove si ritiene ebbe luogo la domesticazione del frumento e quindi in teoria particolarmente ricco di variabilità, oltre l'80% della superficie coltivata a frumento tenero è coltivata solo con pochissime varietà di origine messicana. Ulteriori esempi circa l'utilizzo e diffusione di pochissimi genotipi su vasti comprensori agricoli sono il Canada dove il 75% della produzione nazionale di frumento è attribuibile a 4 cultivar, mentre negli USA oltre il 70% della produzione di patata è assicurato da appena 4 cultivar. Oltre alle specie di interesse agrario, molta attenzione andrebbe dedicata alle specie selvatiche ad esse affini, che spesso possiedono geni utili facilmente trasferibili nelle piante coltivate. Infatti, la colonizzazione antropica di terre vergini o ad agricoltura marginale contribuisce a distruggere ecosistemi in cui sono presenti i progenitori selvatici delle specie coltivate e altre specie selvatiche ad esse affini accentuando gli effetti negativi dell'erosione genetica. 4 Attività di salvaguardia delle risorse genetiche vegetali L’Istituto di Genetica Vegetale (IGV) del C.N.R. di Bari, ha come obiettivo principale la salvaguardia delle ‘Risorse Genetiche Agrarie’ (RGA) di interesse per l’agricoltura italiana e mediterranea. Gli studi condotti dall’IGV, riguardanti il territorio italiano, hanno portato a concludere che in Italia, negli ultimi decenni, si è registrata una rilevante erosione genetica che ha colpito un po’ tutte le colture autoctone (Hammer et al., 1992; 1999). Tuttavia, come le ultime missioni di raccolta in Sardegna e Basilicata hanno dimostrato, è ancora possibile reperire, salvare dall’estinzione e valorizzare numerose antiche varietà tipiche italiane (Laghetti et al., 1995; 1999a; 2000; 2005a). Le aree italiane ove sono state scoperte e raccolte le landraces più preziose corrispondono, quasi sempre, a località difficilmente raggiungibili, prive di comode vie di comunicazione e poco abitate (Hammer e Laghetti, 2006). In questi habitat è ancora possibile imbattersi in antichi orticelli privati o in modeste aziende agricole a conduzione familiare o, addirittura, in alcune piante inselvatichite appartenenti a varietà primitive non più coltivate e probabilmente estinte (Laghetti et al., 1999b). Per rintracciare questi rari campioni di semi i ricercatori dell’IGV, hanno messo a punto tutta una serie di strategie tra cui: studio di elementi indicatori di agricoltura tradizionale (es. sistemi arcaici di coltivazione, presenza di particolari infestanti, toponomastica, dati etnobotanici, ecc.), costituzione di una rete informativa capillare costantemente aggiornata, attenta esplorazione diretta di zone potenzialmente ‘interessanti’ ed utilizzo di tecnologie moderne (es. sistemi GIS, strumentazione GPS, software ad hoc) per la gestione del territorio (Hammer et al., 1991). LA SOPRAVVIVENZA ON-FARM DELLE CULTIVAR LOCALI ED I MARCHI DI TUTELA E’ ormai ampiamente documentato che la sopravvivenza on-farm di una cultivar tradizionale, ossia la prosecuzione della sua coltivazione da parte delle comunità locali che l'hanno selezionata, è in gran parte dipendente da fattori economici. E' l'economia di mercato a guidare gli agricoltori nella scelta tra passare alle moderne cultivar o proseguire la coltivazione delle cultivar tradizionali. Ne consegue che la semplice presa di coscienza da parte delle comunità locali del valore storico-culturale dei propri ecotipi non può da sola garantirne la sopravvivenza nel tempo. Peraltro, senza il supporto di approfondite indagini scientifiche su un 5 agroecotipo è impossibile percepirne il valore genetico e quindi la necessità della sua salvaguardia. La promozione di una cultivar locale al fine di mantenerne la coltivazione nell'areale tradizionale dipende in maniera complessa da vari fattori: • alte rese, stabilità produttiva, resistenza ai patogeni ed alle infestanti sono parametri di grande importanza per gli agricoltori; • una eccellente qualità della granella è essenziale per ottenere l'apprezzamento dei consumatori; • la commercializzazione in forme che garantiscano qualità e tipicità del prodotto è necessaria per giustificare prezzi di mercato in genere superiori rispetto a quelli delle cultivar o di prodotti importati da altri paesi; • l'identificazione di una serie di caratteri diagnostici da utilizzare per distinguere con certezza un ecotipo sia da altri similari che dalle cultivar commerciali, è fondamentale per prevenire possibili frodi a danno delle comunità locali e dei consumatori; • la presa di coscienza da parte delle comunità ed istituzioni locali del valore non solo economico ma anche ‘culturale’ delle proprie tradizioni agricole è essenziale per catalizzare in sede locale adeguate iniziative di tutela e rilancio. In Italia sono ormai numerosi gli esempi in cui una stretta collaborazione tra istituzioni locali, associazioni di agricoltori ed istituti di ricerca ha permesso la pianificazione di fruttuose iniziative per la salvaguardia degli agroecotipi di un certo areale. Basti ricordare i fagioli di Sarconi (Basilicata), alcuni fagioli della Valle Aniene (Lazio), la fagiolina del lago Trasimeno (Umbria). In tutti questi casi il sinergismo tra istituti di ricerca, enti ed associazioni locali ha portato all'attribuzione di marchi di tutela sia comunitari che nazionali. Scopo ultimo di queste iniziative è la commercializzazione non più di prodotto anonimo nei mercati locali, ma di un prodotto identificabile coltivato seguendo un ben preciso disciplinare di produzione e garantito da un marchio di qualità ufficialmente riconosciuto meritevole di raggiungere, anche attraverso la grande distribuzione, consumatori al di fuori della regione di produzione. Nel 1992 l'Unione Europea (UE) ha regolamentato l'attribuzione dei marchi di tutela di ‘Denominazione di Origine Protetta’ (DOP) ed ‘Indicazione Geografica Protetta’ (IGP), proprio allo scopo di garantire la sopravvivenza di una ampia gamma di prodotti tipici dei paesi aderenti all'Unione (reg. n. 2092/91, 2078/92 e 2082/92). Essendo i marchi comunitari conferiti seguendo procedure molto rigide, per numerosi agroecotipi risulta meno problematico ottenere il riconoscimento di marchi di tutela conferiti da istituzioni nazionali quali regioni, enti locali, parchi, ecc. 6 ORIGINE, DOMESTICAZIONE E DIFFUSIONE DELLA LENTICCHIA La Lens culinaris ssp. orientalis (Boiss.) Ponert è originaria del Medio Oriente ed Asia Centrale (Figura 1). Da questa sottospecie selvatica è derivata la specie coltivata che oggi coltiviamo il cui nome scientifico è Lens culinaris Medik. Tra le specie vegetali utilizzate dall'uomo per la propria alimentazione, la lenticchia è stata una delle prime leguminose da granella ad essere domesticata ed assieme all'orzo ed al frumento, ha costituito le basi della nascente agricoltura. Per millenni la lenticchia ha rappresentato un'importante fonte di proteine vegetali per le civiltà succedutesi nel bacino del Mediterraneo e Figura 1. Immagine della Medio Oriente. L'inizio del consumo di lenticchia da pianta di Lens culinaris parte dell'uomo è datato tra il 9000 ed il 7000 a.C. ssp. orientalis. Risalgono infatti, a questa epoca dei semi ritrovati in Siria ma molti studiosi sono concordi nel ritenere che si tratti di semi raccolti da una specie non ancora domesticata. I più antichi ritrovamenti di lenticchia sicuramente coltivata sono databili intorno al 6000 a.C. e sono localizzati in quel comprensorio denominato Mezzaluna Fertile (Figura 2). Nelle regioni mediterranee la coltivazione della lenticchia era ampiamente diffusa nel Neolitico (6000-4000 a.C.). Furono gli antichi Egizi i primi grandi coltivatori e consumatori di lenticchie. Nella tomba dell'architetto Kha (1400 a.C.) fu trovata una ciotola con lenticchie ancora ben conservate che dovevano servire come alimento per i defunti. Il processo di domesticazione della lenticchia ha Figura 2. Localizzazione geografica della portato come conseguenza della Mezzaluna Fertile. pressione selettiva operata non scientificamente dall'uomo alla selezione di due morfotipi: uno a seme grande o 7 macrosperma, ed uno a seme piccolo o microsperma. La diffusione della coltivazione in regioni con condizioni pedo-climatiche altamente differenziate ha portato nel tempo alla selezione ad opera degli agricoltori di una miriade di agroecotipi ciascuno ben adattato ad un ben preciso areale di coltivazione. In Italia la coltivazione della lenticchia è praticata ininterrottamente da millenni. Alcuni storici ritengono che la gens romana dei Lentuli derivò il suo nome proprio da questo legume. Nella prima metà del ’900 il nostro paese era tra i più importanti produttori di lenticchie del Mediterraneo. A partire dagli anni '50 i cambiamenti dell'agricoltura e della nostra società hanno causato un rapido declino di questa leguminosa (Figura 3) trasformando il nostro paese da esportatore in importatore di lenticchie. Produzione Anno Figura 3. Andamento della produzione annuale di lenticchia in Italia (dati FAO). Questo rapido declino ha portato alla scomparsa di un numero imprecisato di popolazioni locali selezionate nel tempo dagli agricoltori italiani ciascuna ben adattata ad un ristretto areale di coltivazione. D'altra parte le popolazioni locali ancora presenti sul territorio rischiano di scomparire nei prossimi decenni per una complessa serie di fattori quali lo scarso valore economico di questa leguminosa, l'innalzamento dell'età degli agricoltori, la forte competizione delle varietà commerciali prodotte in altri paesi (Piergiovanni, 2000). Attualmente solo la ‘lenticchia di Castelluccio’ di Norcia (PG) ha una consolidata posizione di prodotto di nicchia anche grazie all'attribuzione del marchio comunitario di Indicazione Geografica Protetta (IGP) nel 1996. Altri agroecotipi o varietà locali di lenticchia non siciliane, sia del tipo macrosperma che microsperma, particolarmente 8 apprezzate sono quelle di S. Stefano in Sessanio, Onano, Colfiorito, Ventotene e Capracotta. Da oltre trent’anni l’IGV di Bari si dedica alla salvaguardia degli agroecotipi autoctoni italiani di lenticchia in collaborazione con altre istituzioni nazionali e straniere. Durante varie missioni di esplorazione nelle regioni del centro e sud Italia, isole comprese, i ricercatori dell’IGV hanno raccolto una sessantina di campioni appartenenti sia al morfotipo a seme grande che a quello a seme piccolo. Questa attività ha permesso la costituzione di una collezione di germoplasma di lenticchia di origine italiana di cui fanno parte sia ecotipi che sono stati o sono ancora oggi particolarmente apprezzati che ecotipi che non hanno mai avuto un particolare rilievo. Questa collezione è stata oggetto di vari studi per valutare i caratteri morfo-fisiologici della pianta (Di Prima et al., 1997; Piergiovanni et al., 1998; Monti et al., 1999) e la variabilità genetica tramite marcatori biochimici (Piergiovanni e Taranto, 2005) e molecolari (Sonnante e Pignone, 2001). Da qualche anno, anche grazie alla accresciuta sensibilità di alcune comunità ed istituzioni locali, sono stati avviati studi più approfonditi su alcuni agroecotipi di particolare pregio e/o ad alto rischio di erosione genetica o di estinzione, allo scopo di promuoverne il rilancio (Piergiovanni et al., 2001; 2003; Sonnante et al., 2004; Laghetti et al., 2005b). 9 AGROTECNICA ADATTA ALLA COLTIVAZIONE DELLA LENTICCHIA IN SICILIA Esigenze pedoclimatiche Clima - La lenticchia può tollerare condizioni ambientali difficili, come quelle che si riscontrano nelle zone ai margini dei deserti, caratterizzate da piovosità appena sopra i 300 mm annui e temperature che raggiungono valori molto alti: ciò è possibile grazie alla brevità del ciclo che consente alla pianta di raggiungere la maturazione prima che le riserve idriche del terreno si esauriscano del tutto. Alla lenticchia viene riconosciuta anche una certa tolleranza al freddo (fino a – 6°C), ma teme molto le gelate lunghe e intense. Alle nostre latitudini la lenticchia è diffusa nelle aree svantaggiate a clima temperato, semiarido ed in quelle fredde di montagna, riuscendo a dare produzioni soddisfacenti, anche se modeste. Questo è possibile grazie al periodo di coltivazione autunno-primaverile, nel caso di clima temperato o semiarido, e alla brevità del ciclo biologico, nel caso di clima freddo, che consente di svolgere il ciclo in primavera-estate. In Italia la coltivazione della lenticchia è diffusa soprattutto in località ristrette di altopiano dove le condizioni di clima e di terreno conferiscono altissimo pregio qualitativo al prodotto, per sapore e facilità di cottura (come gli altipiani di Castelluccio di Norcia e Colfiorito, in Umbria; di Leonessa nel Lazio). Terreno - La lenticchia è molto adattabile ai diversi tipi di suolo, tanto che riesce a dare produzioni accettabili anche in quelli di bassa fertilità. La tessitura può variare da argillosa a limo-sabbiosa, mentre la reazione può essere compresa tra sub-acida e subalcalina. Si rivelano poco adatti i terreni troppo fertili e/o troppo umidi, perché favoriscono un eccessivo rigoglio vegetativo che va a scapito della produzione di seme, e quelli salini in quanto la pianta è molto sensibile alla salinità del terreno e/o dell’acqua di irrigazione. Su terreni calcarei la lenticchia dà un prodotto poco pregiato che cuoce con difficoltà. Tecniche colturali Avvicendamento - Nelle aree a clima semi-arido, dove trova la massima diffusione, la lenticchia entra nell’avvicendamento come coltura miglioratrice, solitamente preceduta e seguita da un cereale a paglia e, alle alte quote, segale; costituisce, quindi, una valida alternativa al ristoppio. Per 10 evitare l’acuirsi di alcune avversità parassitarie è bene che la lenticchia non torni sullo stesso terreno prima di 3-4 anni. Preparazione del terreno - Dovendo ospitare una coltura sensibile ai ristagni idrici è importante curare il risanamento idraulico dei terreni, soprattutto nel caso di colture a ciclo autunno-primaverile. La parte assorbente dell’apparato radicale della lenticchia si espande prevalentemente fra 20 e 40 cm; pertanto, non sussistono motivi che impongono lavorazioni profonde: 30-35 cm di profondità sono più che sufficienti. L’epoca di intervento dipenderà dal tipo di terreno e di coltura che si intende realizzare (coltura a semina autunnale o a semina primaverile). In terreni argillosi la lavorazione principale dovrà essere effettuata in estate, in modo che per la riduzione delle zolle si possa sfruttare l’alternarsi dell’inumidimento e del disseccamento. Per i terreni sabbiosi o limosi, soggetti a ricompattarsi rapidamente, conviene invece aspettare il momento della semina, sia che essa avvenga in autunno che in primavera. La preparazione del letto di semina per la lenticchia è un aspetto molto delicato: per germinare questo seme, come tutti quelli ricchi in sostanze proteiche, deve assorbire molta acqua e la plantula che ne deriva ha uno scarso “potere perforante” durante l’emergenza, tanto che le nascite potrebbero essere seriamente compromesse dalla presenza della crosta superficiale. Epoca di semina - L’epoca di semina dipende dal clima della zona di coltivazione. Nelle zone a clima mediterraneo, poste a quote basse (< 800 m), la semina avviene in autunno, tra la fine di ottobre ed i primi di novembre; comunque, in tempo per consentire alle piantine di raggiungere uno stadio che conferisca loro un’adeguata resistenza al freddo. Seminando in questa epoca si ottengono produzioni più elevate e più stabili di quelle conseguibili con la semina primaverile. A quote superiori agli 800 m, o nelle zone interne a clima più continentale, si impone la semina primaverile (marzo-aprile), passato il pericolo delle forti gelate. Quantità di semente - Le fittezze di semina consigliate oscillano fra 300 e 400 semi puri e germinabili per m2, a seconda della grandezza del seme, corrispondenti a 70-80 kg/ha per i tipi a seme piccolo e 130-150 kg per quelli a seme grande. Distanza tra le file - Entro certi limiti la distanza tra le file non ha molta influenza sulla produzione della lenticchia, essendo questa pianta dotata di “plasticità”. Per i tipi microsperma coltivati in Centro Italia, distanze 11 tra le file di 20-25 cm sono le più consigliate. E’ ovvio che file così ravvicinate presuppongono il controllo chimico della flora infestante; quando tale tipo di controllo non fosse possibile (colture “biologiche”) si può adottare la disposizione a file binate (15 cm tra le file della bina e 30-35 cm tra le bine), così da poter eseguire la sarchiatura. Esecuzione della semina - Di norma la semina è effettuata con la seminatrice a righe. Le ridotte dimensioni del seme impongono un interramento limitato a 2 cm in terreni freschi e 3-4 cm in quelli secchi. In alcune zone, dove è diffusa la coltura “biologica”, è praticata la semina a spaglio. E’ consigliabile un’appropriata concia della semente per ridurre gli attacchi parassitari ai semi e alle plantule. Rullatura - Dopo la semina è consigliabile rullare il terreno per accostarlo al seme perché questo possa assorbire meglio l’acqua. Rottura della crosta - La lenticchia ha una germinazione di tipo epigeo (i cotiledoni emergono dal suolo), pertanto trova difficoltà a fuoriuscire dal terreno in presenza di crosta superficiale: la resistenza opposta dallo strato indurito può causare la rottura dell’ipocotile, con conseguente perdita della piantina. In presenza di crosta superficiale si deve intervenire appena emergono le prime piantine. Concimazione Fosforo - La dose di fosforo da somministrare deve essere determinata in funzione della dotazione del terreno in fosforo assimilabile. Considerando la scarsa mobilità di questo elemento è bene che esso sia interrato con la lavorazione principale per portarlo nello strato di terreno interessato dalla massa delle radici. Per i terreni alcalini è consigliabile il perfosfato minerale, per il suo contenuto in gesso, mentre in terreni neutri, o leggermente alcalini, è preferibile il perfosfato triplo; in presenza di terreni acidi il concime fosfatico di elezione sono le scorie Thomas, per il loro elevato contenuto in ossido di calcio. Per esempio, prevedendo una produzione di 1,5 t ha-1 in un terreno con ‘bassa’ dotazione in fosforo la dose di P2O5 sarà di circa 35 kg ha-1. Potassio - Come per il fosforo, le dosi da apportare sono calcolate tenendo conto della dotazione del terreno in potassio scambiabile e della valutazione agronomica che l’analisi chimica dà di tale dotazione, in rapporto 12 alle esigenze delle singole colture in rotazione. Per esempio in un terreno con dotazione ‘molto bassa’ in potassio è consigliata una ‘concimazione di arricchimento’ pari a circa 1,5 volte gli asporti della coltura. Nella maggior parte dei casi comunque, i terreni sono già alquanto ricchi in potassio per cui gli agricoltori meridionali, in genere, non lo somministrano. Azoto - I fabbisogni di azoto della lenticchia sono elevati, rispetto alla biomassa prodotta, per il notevole contenuto di sostanze proteiche presente nei semi; quindi particolarmente elevati risultano anche gli asporti. Tuttavia, non sono necessari apporti di azoto esterni al sistema terreno-pianta, in quanto la coltura può soddisfare autonomamente le proprie esigenze: nei primi stadi dell’accrescimento prelevando l’azoto proveniente dalla mineralizzazione della sostanza organica del terreno; successivamente, quando il batterio simbionte si è attivato, attraverso l’azotofissazione e, in minor misura, ancora assorbendo azoto minerale dal terreno. Da quanto detto risulta evidente che la lenticchia non deve essere concimata con l’azoto, anzi è stato accertato che la presenza di cospicue quantità di nitrati rende ‘pigri’ i batteri simbionti che riducono la loro attività. Raccolta La raccolta dei tipi di lenticchia oggi coltivati avviene, di norma, in due tempi. Quando la metà, circa, delle piante presentano le foglie ingiallite e i semi hanno raggiunto la maturazione cerosa, la coltura è falciata e lasciata in campo, disposta in andane a completare l’essiccazione. Dopo 36-48 ore, a seconda delle condizioni ambientali, le andane sono rivoltate per avere un essiccamento uniforme. Completato l’essiccamento il materiale è prelevato per essere riunito in ‘biche’, in caso di trebbiatura stanziale, oppure le andane sono riunite per facilitare la raccolta con una mietitrebbiatrice. 13 GLI AGROECOTIPI SICILIANI DI LENTICCHIA Tra gli agroecotipi siciliani, oltre naturalmente alla ‘lenticchia di Villalba’, meritano una menzione le lenticchie di Pantelleria, Linosa (Laghetti et al., 1996) ed Ustica (Laghetti et al., 1998). Agroecotipi siciliani meno conosciuti sono la lenticchia di 'Aragona’, ‘Bronte’, ‘delle Eolie’ (Laghetti et al., 2001) e la 'lenticchia nera di Leonforte'. Quasi tutte sono lenticchie particolarmente adattate alle condizioni agro-climatiche tipiche delle isole d’alto mare siciliane ossia caratterizzate da forte vento, salsedine, siccità, terreno vulcanico, ecc. Si tratta di lenticchie a seme piccolo o molto piccolo (es. quelle di Linosa) appartenente alla sottospecie microsperma. La loro importanza economica è molto diminuita negli ultimi anni e, di conseguenza, si è ridotta anche la superficie agraria destinata alla coltivazione di questa leguminosa. La produzione di queste lenticchie ‘isolane’ è molto legata alla cultura contadina dei primi nuclei abitativi e, tradizionalmente, l’agrotecnica più seguita è sempre stata di tipo biologico ed a bassissimo impatto ambientale; molte operazioni colturali sono infatti ancora manuali e seguono metodi arcaici come le fasi di trebbiatura e di separazione della paglia che si svolgono, rispettivamente, con l’aiuto degli animali e del vento. Ovviamente, oggigiorno, questo processo molto tradizionale viene eseguito solo da un ristretto gruppo di anziani, forse gli ultimi custodi dei semi autoctoni e dell’informazione etnobotanica da sempre legata a questo legume. Tutto ciò è ancora possibile anche perché le superfici di coltivazione sono molto limitate ed il mercato di destinazione è, quasi sempre, quello locale o, addirittura, si produce solo per l’autoconsumo della famiglia. Le lenticchie delle piccole isole siciliane sono particolarmente apprezzate per le qualità gastronomiche in quanto molto tenere e particolarmente saporite. Recentemente Slow Food ha istituito per la ‘lenticchia di Ustica’ un Presidio tendente a preservarla, valorizzarla ed a crearle nuovi sbocchi commerciali. Non è infatti da trascurare la crescente richiesta di questo prodotto tipico da parte dei numerosi turisti; al riguardo è da sottolineare che spesso la domanda è di gran lunga superiore all’offerta. 14 LA LENTICCHIA A VILLALBA Note storiche sulla coltivazione Villalba è un paese dell'entroterra siciliano, in provincia di Caltanisetta, situato a circa 600 m sul livello del mare in un territorio costituito da colline d'argilla ed aspri rilievi calcarei. La città fu fondata nella seconda metà del XVII secolo dal marchese Niccolò Palmieri abile imprenditore agricolo e commerciante di cereali. L'inizio della coltivazione della lenticchia nel comprensorio di Villalba risale ai primi anni dell'800 quando il marchese Palmieri impose nelle sue terre un ciclo colturale che prevedeva la coltivazione a rotazione di sulla, lenticchia e grano duro. Le tecniche adoperate per la coltivazione della lenticchia erano quelle tradizionali dei primi dell'800. La coltivazione della lenticchia in questa zona è stata particolarmente fiorente nel periodo compreso tra il 1930 ed il 1960. Infatti, in questo trentennio la lenticchia di Villalba (Figura 4) divideva con la lenticchia di Altamura, anch'essa a seme grande, una ampia fetta del mercato italiano e non solo. Basti pensare che nel 1956 il 30% della produzione nazionale (circa 132000 t) proveniva proprio da Villalba. Questa grande richiesta era legata alle caratteristiche organolettiche di questo ecotipo ed alla predilezione Figura 4. Pianta dell'ecotipo di lenticchia di dei consumatori di quegli anni per i Villalba. tipi a seme grande. La tecnica di coltivazione tradizionale prevede la preparazione del terreno, che è di medio impasto, nella seconda metà di ottobre. La semina, che avviene tra la fine di novembre e gli inizi di dicembre, è fatta in filari distanziati tra gli 80 ed i 100 cm. La raccolta realizzata con l'estirpazione manuale delle piante, avviene a giugno. 15 Le piante sono lasciate ad essiccare al sole per circa una settimana quindi si procede alla separazione del seme dalla pianta. In tempi recenti i contadini hanno preso la consuetudine di conservare la granella secca in bottiglie di plastica chiuse ermeticamente. Il declino della coltivazione della lenticchia insieme con le mutate preferenze dei consumatori che attualmente prediligono i tipi a seme Figura 5. Coltivazione in campo di piccolo ha disincentivato la coltivazione di ‘lenticchia di Villalba’ questo ecotipo. Nel quadro delle iniziative per la tutela dei prodotti tradizionali del nostro paese promosse dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, va segnalato l'inserimento della 'lenticchia di Villalba' insieme con quella di Ustica nell'elenco dei prodotti tradizionali della regione Sicilia. Inoltre, in questi ultimi anni l'amministrazione comunale di Villalba sta promuovendo in collaborazione con varie istituzioni scientifiche una serie di iniziative per rilanciare la coltivazione della lenticchia. Queste iniziative sono sfociate nella costituzione nel 2003 di un Comitato Scientifico per la valorizzazione della ‘lenticchia di Villalba’ di cui fanno parte esperti con diverse competenze scientifiche appartenenti a varie istituzioni. ASPETTI MORFOLOGICI E NUTRIZIONALI Una recente valutazione della ‘lenticchia di Villalba’ ha evidenziato un’elevata omogeneità morfologica sia della pianta che del seme tra diverse popolazioni campionate in loco (Piergiovanni et al., 2003). La pianta ha portamento prostrato con un’altezza compresa tra 37 e 45 cm. Stelo e baccello sono privi di pigmentazione, le foglie sono piccole e non pubescenti, il fiore è bianco ed i cirri sono poco sviluppati (Figure 4 e 5). Generalmente i baccelli contengono un solo seme e solo il 15% di essi ne contiene due. La ‘lenticchia di Villalba’ appartiene al morfotipo macrosperma. I semi, 16 Figura 6. Semi dell'ecotipo ‘lenticchia di Villalba’ marcatamente piatti, hanno un tegumento verde privo di screziature mentre il cotiledone è di colore giallo (Figura 5). Il peso di 1000 semi, registrato su 18 popolazioni allevate nell'annata agraria 1999-2000 a Villalba secondo l'agrotecnica tradizionale va da 61,3 a 72,6 g con un valore medio di 67,2 g (Piergiovanni et al., 2003). L'analisi della composizione della granella di questi campioni ha f ornito interessant i informazioni sulle caratteristiche nutrizionali di questo ecotipo. Tabella 1. Composizione media della granella della ‘lenticchia di Villalba’. Caratteristica della granella Valore medio ed errore standard Contenuto proteico (%) 28,2 ± 0,538 Ceneri (%) 2,86 ± 0,158 Grassi (%) 0,65 ± 0,086 Fosforo (mg/100g) 440,5 ± 42,45 Potassio (mg/100g) 956,2 ± 63,12 Calcio (mg/100g) 49,6 ± 4,697 Sodio (mg/100g) 12,9 ± 2,666 Ferro (mg/100g) 9,7 ± 0,642 Rame (mg/100g) 1,3 ± 0,107 Tempo di cottura (min) 54 ± 1,84 Come mostrato in Tabella 1, La lenticchia di Villalba si caratterizza per un alto contenuto proteico ed un basso tenore di ceneri. In accordo con la letteratura, la granella è ricca di potassio e povera in sodio. Da sottolineare il contenuto in ferro, che se confrontato con quello di altri apprezzati ecotipi 17 italiani di lenticchia (Piergiovanni et al., 2001), risulta più elevato. Punto debole dell'ecotipo di Villalba è il tempo di cottura decisamente elevato non solo, come è ovvio, rispetto ai tipi microsperma ma anche rispetto alle varietà commerciali macrosperma più diffuse. Una significativa riduzione del tempo di cottura, intorno al 40%, può essere ottenuta tenendo in ammollo in acqua i semi per un periodo di tempo non superiore alle 2 ore. D'altra parte la commercializzazione di questo ecotipo sotto forma di prodotto precotto potrebbe essere una via per migliorarne il valore commerciale in quanto questo eliminerebbe l'inconveniente di un elevato tempo di cottura sicuramente poco gradito dai consumatori. 18 ANALISI DELLA DIVERSITÀ GENETICA TRAMITE L’USO DI MARCATORI BIOCHIMICI E MOLECOLARI Come è noto, l'assenza di biotipi diversi nella 'lenticchia di Villalba' identificabili sulla base di caratteri morfologici del seme e della pianta, non comporta, come necessaria conseguenza, una completa identità genetica degli individui. La valutazione della variabilità genetica richiede indagini basate sull'utilizzo di marcatori sia biochimici che molecolari, che permettono di valutare il polimorfismo associato a diverse regioni del genoma. Va sottolineato che questi marcatori costituiscono un valido strumento per l’identificazione e differenziazione di ecotipi e cultivar. Tre popolazioni fornite dalle seguenti aziende agricole di Villalba: Az. Michele Bracco (pop. 1), Az. Vincenzo Mendola C.da Calcarelli (pop. 2) e Az. Gandolfo Territo (pop. 3), e due cultivar commerciali, ‘Eston’ e ‘Laird’, sono state utilizzate per lo studio della variabilità genetica della 'lenticchia di Villalba'. Variabilità delle proteine di riserva del seme L'utilità dell'analisi elettroforetica delle proteine di riserva del seme nella valutazione della variabilità all'interno e tra popolazioni è stata ampiamente dimostrata per numerose specie tra cui la lenticchia. Il profilo elettroforetico delle proteine estratte da singoli semi di lenticchia è costituito da 30 a 35 bande il cui peso molecolare è compreso tra 14 e 90 kDa. In questo studio la valutazione della variabilità intra ed inter-popolazione è stata basata su 18 bande scelte tra quelle polimorfiche di media o forte intensità. Sulla base della presenza/assenza di queste bande sono stati identificati 10 diversi profili elettroforetici, 3 dei quali osservati soltanto in un seme. Come mostrato in Tabella 2, la popolazione 2 è risultata la più polimorfica, avendo mostrato 5 diversi tipi su 13 semi analizzati. Come atteso, un solo profilo elettroforetico è associato ai semi appartenenti alle due cultivar commerciali. Tabella 2. Numero di profili elettroforetici osservati per ciascuna popolazione N. di pattern Pop. 1 Pop. 2 Pop. 3 Eston Laird 2 5 3 1 1 19 Sulla base dei risultati elettroforetici dei vari semi analizzati è stato calcolato per ciascuna delle tre popolazioni esaminate un profilo elettroforetico medio. La similarità tra le popolazioni è stata valutata sottoponendo all'analisi cluster i profili medi per esse calcolati. Le tre popolazioni esaminate costituiscono un gruppo abbastanza omogeneo dal momento che pur rimanendo distinguibili tra loro formano un unico gruppo che si posiziona ad una notevole distanza genetica dalle cultivar ‘Eston’ e ‘Laird’. Polimorfismo dei marcatori molecolari di tipo SSR I marcatori molecolari rappresentano un efficace strumento di indagine genetica con molteplici applicazioni nella ricerca in agricoltura. Essi si basano sulla rilevazione di differenze nella sequenza nucleotidica del DNA che costituisce il genoma di ogni individuo. Tra i più efficienti, vi è una classe di marcatori noti come gli SSR (Simple Sequence Repeats) o microsatelliti, che sono costituiti da brevi sequenze da 2 a 4 paia di basi, ripetute numerose volte in tandem. Il loro polimorfismo è dovuto al diverso numero di unità ripetute, che può presentare una ampia variabilità. Tale caratteristica li rende particolarmente adatti alla tipizzazione genotipica e all’identificazione varietale. Cinque individui per ciascuna delle 3 popolazioni e delle due cultivar commerciali 'Eston' e 'Laird', sono stati analizzati mediante 16 marcatori di tipo SSR. Il DNA di ciascun individuo è stato estratto dal tessuto fogliare, e frammenti contenenti sequenze ripetute sono stati amplificati mediate PCR utilizzando primer specifici descritti da Hamwich et al. (2005). I risultati ottenuti hanno permesso una stima del grado di diversità genetica presente all’interno di ciascuna popolazione. Gli indici di diversità genetica riportati in Tabella 3, ossia He (eterozigosità attesa o diversità genetica media), n (numero medio di alleli per locus), e P (percentuale di loci polimorfici) hanno indicato come la popolazione 2 che mostra i valori più alti, sia quella in cui è presente la maggiore variabilità genetica, ma anche le altre due popolazioni 1 e 3 presentano un notevole grado di variabilità genetica. 20 Tabella 3. Valore degli indici di diversità genetica, He (diversità genetica media), n (numero medio di alleli/locus), P (% di loci polimorfici) nelle popolazioni Pop. 1 Pop. 2 Pop. 3 H 0,24 0,33 0,19 n 1,63 2,00 1,5 P 50,0 62,5 43,7 Figura 7. Relazioni tra le tre popolazioni della ‘lenticchia di Villalba’ e le cultivar commerciali ‘Eston’ e ‘Laird’ 21 Il dendrogramma costruito utilizzando la matrice delle distanze genetiche di Nei (Figura 7) mostra che le popolazioni 1 e 2, le prime a raggrupparsi, sono geneticamente più vicine. Entrambe queste popolazioni insieme con la popolazione 3 formano un gruppo che presenta un elevato grado di similarità genetica. Infine, se consideriamo il confronto con le due cultivar commerciali, la ‘lenticchia di Villalba’ risulta molto ben differenziata. I dati raccolti in questo studio hanno evidenziato che nella 'lenticchia di Villalba' alla omogeneità morfologica della granella corrisponde una discreta variabilità genetica. I marcatori sia biochimici che molecolari utilizzati hanno permesso di rilevare una certa variabilità tra gli individui appartenenti a una stessa popolazione e fra le tre popolazioni analizzate. Inoltre, i marcatori biochimici e molecolari considerati in questo studio sono risultati efficaci per la distinzione di questo ecotipo dalle cultivar commerciali ‘Eston’ e 'Laird', usate come confronto. 22 PROBLEMI NEMATOLOGICI DELLA COLTURA DELLA LENTICCHIA La lenticchia è suscettibile a diversi parassiti tra i quali i nematodi che rivestono un’importanza notevole per l’entità dei danni che provocano e per la loro vasta diffusione negli areali di coltivazione di questa leguminosa (Greco e Di Vito, 1994). I danni causati dai nematodi sono da ascriversi soprattutto alle profonde alterazioni dei tessuti radicali delle piante attaccate, che possono anche favorire l’insediamento di altri patogeni come funghi e batteri, e limitare lo sviluppo dei tubercoli radicali di Rhizobium sp. con conseguente riduzione di apporto al terreno di azoto e di sostanze proteiche nella granella (Greco et al., 1988). Dei nematodi che infestano la coltura della lenticchia i più importanti, sono sicuramente quelli cisticoli (Heterodera spp.) e delle lesioni (Pratylenchus spp.) (Di Vito et al., 1991). Tra i nematodi cisticoli Heterodera ciceri sicuramente riveste un’importanza notevole per i gravi danni sulla coltura della lenticchia specialmente in diversi paesi del Mediterraneo ove spesso si registrano consistenti riduzioni della produzione. Il nematode, come tutti i parassiti presenti nel terreno, può infestare piccole aree più o meno circolari, oppure interi appezzamenti. I sintomi degli attacchi del nematode sono rappresentati da piante che all’inizio dell’attacco mostrano uno sviluppo stentato che diviene più evidente nel periodo della fioritura e della formazione dei baccelli. Inoltre, le piante attaccate producono uno scarso numero di fiori e quindi di baccelli che nei casi di forti infestazioni possono mancare del tutto. Sulle radici attaccate sono evidenti numerose femmine bianche e cisti brunastre del nematode che può causare il marciume delle radici stesse. Da prove di patogenicità abbiamo potuto accertare una soglia di tolleranza della lenticchia agli attacchi di H. ciceri di circa 2.5 uova/g di terreno e che le perdite di produzione possono ammontare al 50% con densità del nematode, alla semina, superiori a 64 uova/g di terreno (Greco et al., 1988). La caratteristica peculiare di questo nematode è la formazione di cisti. Queste derivano dalla trasformazione delle femmine (limoniformi), le quali ispessiscono la loro cuticola e trattengono nel loro interno le uova, preservandole vitali per 3-7 anni. Il nematode generalmente ha una sola generazione all’anno e si riproduce a temperature comprese tra 15 e 25 °C. Il nematode infesta solo alcune leguminose ed in particolare lenticchia, cece, cicerchia e pisello (Greco et al., 1986). La lotta chimica contro questo nematode, anche se costosa e spesso inquinante, risulta essere abbastanza soddisfacente (Di Vito e Greco, 1994). L’uso della rotazione delle colture può risultare abbastanza efficace nella lotta del nematode, dato il numero di piante ospiti piuttosto limitato e circoscritto alle leguminose (Saxena et al., 1992). Comunque in campi infestati da H. 23 ciceri le specie di piante ospiti del nematode, come la lenticchia, non dovranno ritornare prima di 3-5 anni. Purtroppo non si conoscono cultivar di lenticchia resistenti a questo nematode né sono stati individuati genotipi resistenti. I Pratylenchus spp. sono dei nematodi endoparassiti migratori che provocano sulle radici attaccate lesioni e necrosi più o meno ampie che ne riducono sensibilmente l’efficienza. Inoltre favoriscono l’insediamento di funghi (Fusarium) e batteri capaci di accrescere l’entità dei danni alle piante. In campo i sintomi dell’attacco del nematode sono simili a quelli già descritti per l’altra specie di nematodi. Essi sono polifagi e diffusi nelle aree di coltivazione della lenticchia. A conferma di tutto ciò, di recente, in diversi campi coltivati di alcuni areali di Villalba e zone limitrofe sono state notate aree in cui le piante manifestavano crescita stentata e ingiallimenti precoci ed in particolare un apparato radicale con numerose necrosi e lesioni sintomo, questo, tipico di attacchi da nematodi delle lesioni del genere Pratylenchus. La lotta contro questi nematodi è indispensabile per poter garantire una produzione di lenticchia abbastanza buona e di qualità. Con l’uso di nematocidi si può ottenere un buon controllo di questi nematodi, però i costi elevati e i rischi d’inquinamento sicuramente sconsigliano questa pratica. L’uso delle rotazioni come mezzo di lotta è pure difficoltoso data l’elevata polifagia di questi nematodi. Inoltre, da screening preliminari di linee di lenticchia non sono stati individuati genotipi di lenticchia resistenti a questi nematodi. Pertanto per poter adottare mezzi di lotta idonei contro questi nematodi che garantiscono una buona salvaguardia dell’ambiente, poco costosi e di facile adozione da parte degli agricoltori, sono stati avviati degli studi specifici sulla: distribuzione ed entità specifica dei nematodi fitoparassiti negli areali di coltivazione della lenticchia; biologia, dinamica e gamma degli ospiti del nematode; reazione di ecotipi di lenticchia italiani e stranieri per individuare eventuale resistenza genetica ai nematodi. Distribuzione di nematodi in alcuni areali di coltivazione della lenticchia in agro di Villalba Dalla primavera del 2004 a quella del 2005 sono stati raccolti alcuni campioni di terreno e radici di lenticchia, cece e pisello per studiare la distribuzione e le specie di nematodi fitoparassiti della lenticchia. I nematodi presenti nei campioni di terreno sono stati estratti con il metodo della centrifugazione con solfato di magnesio (metodo di Coolen) mentre quelli presenti nelle radici sono stati estratti con il metodo dell’incubazione 24 (incubazione di Young). Dall’analisi nematologica di questi campioni di terreno e radici è risultato che il 77% erano infestati da nematodi delle lesioni (Pratylenchus spp.). Inoltre, in quasi tutti i campioni di terreno, sono stati riscontrati alcune specie di nematodi ectoparassiti come Helicotylenchus spp. Una parte dei Pratylenchus spp. sono stati fissati e montati in formalina per la identificazione specifica mentre un’altra parte sono stati sterilizzati e messi a moltiplicare in ambiente sterile (celle termostatiche a 20 ± 3°C) su dischetti di carota in piastre Petri per futuri studi. Da studi tassonomici su parametri morfologici e biometrici, effettuati al microscopio ottico, e su quelli di biologia molecolare delle popolazioni di Pratylenchus spp. rinvenute nei campioni raccolti è stato possibile accertare, nella maggioranza dei campioni di terreno e di radici, la presenza di Pratylenchus thornei. In alcuni campioni sono stati riscontrati anche alcuni esemplari di P. neglectus. In un campione di terreno abbiamo riscontrato la presenza di qualche esemplare di Pratylenchoides spp. Pratylenchus thornei e P. neglectus sono nematodi molto comuni nel bacino del Mediterraneo specialmente su leguminose da granella come lenticchia, cece, fava e pisello e su alcune graminacee come frumento, avena e orzo ove arrecano danni ingenti. Biologia, dinamica e gamma degli ospiti dei nematodi della lenticchia Dalla primavera del 2004 abbiamo analizzato dei campioni di terreno e di radici prelevati periodicamente nelle contrade tipiche di coltivazione della lenticchia (“Pitrusa” e “Bunazzo”, in agro di Villalba) per studiare la biologia e la dinamica di Pratylenchus thornei. Da questi studi abbiamo accertato che il nematode sopravvive come femmina adulta o stadio di sviluppo larvale allo stato quiescente, nel terreno e nei residui vegetali; restando inattivo durante la tarda primavera e l’estate sia a causa del terreno secco sia a causa delle alte temperature. In autunno, invece, con l’avvento delle prime piogge perde lo stadio quiescente, diviene mobile e si dirige verso le piante ospiti nelle quali penetra e si moltiplica. Nelle radici il nematode, essendo un endoparassita migratore, si nutre, si muove e si riproduce. Ogni esemplare adulto può rimanere vitale per circa due mesi e durante il suo ciclo vitale la femmina può deporre sino a 100 uova. Queste dopo lo sviluppo embrionale (della durata di circa una settimana), si schiudono e danno origine ad una nuova generazione. Alla temperatura di 20 °C una generazione può essere completata in circa 20-25 giorni, pertanto durante un ciclo della coltura ospite il nematode può compiere diverse generazioni. Con l’approssimarsi di condizioni sfavorevoli, come secchezza del terreno, temperature elevate e senescenza delle piante, il nematode diviene quiescente. 25 Nell’Italia Meridionale e in Sicilia il nematode è attivo soprattutto da ottobre a giugno. Le densità di popolazione del nematode, quindi, sono molto elevate nei periodi di massimo sviluppo delle piante (aprile-giugno) e molto basse, invece, nei periodi estivi. Pratylenchus thornei è un nematode polifago ed è stato riportato su almeno un centinaio di specie di piante, sia coltivate che spontanee. Da studi effettuati lo scorso anno in una serra dell’Istituto per la Protezione delle Piante del CNR di Bari (IPP) su una popolazione del nematode prelevata a “Bunazzo” sulla riproduzione del nematode su 18 specie di piante (fava, cece, lenticchia, pisello, fagiolo, veccia, medica, grano duro, orzo, avena, mais, pomodoro, peperone, melanzana, melone, bietola e girasole) (Tabella 4), abbiamo accertato che sulle leguminose come fava, cece, lenticchia e pisello il nematode si riproduce abbastanza bene mentre si riproduce poco su veccia e fagiolo. Su tutte le graminacee saggiate ad eccezione del mais, il nematode si riproduce abbondantemente. Medica, pomodoro, peperone, melanzana, melone, bietola e girasole, invece, risultano essere non ospiti del nematode Tabella 4. Numero di individui di Pratylenchus sp. estratti dalle radici di alcune specie di piante annuali. Specie e cultivar Larve ed adulti/apparato radicale Tasso di riproduzione del nematode 3.285 15.804 1.200 8.815 534 521 1.465 800 240 125 129 240 140 3,2 15,8 1,2 8,8 0.5 0,5 1,5 0,8 0,2 0,1 0,1 0,2 0,1 Fava ‘Aguadulce’ Cece ‘Ghab 1’ Lenticchia ‘Villalba’ Pisello ‘Progress 9’ Fagiolo ‘Lingua di fuoco’ Medica ‘Equipe’ Grano duro ‘Simeto’ Orzo ‘Das 10’ Pomodoro ‘Rutgers’ Peperone ‘Yolo Wonder’ Melanzana ‘Violetta di Firenze’ Melone ‘Napoletano giallo’ Girasole ‘Isoleic’ 26 Reazione di linee di lenticchia per individuare eventuale resistenza genetica ai nematodi. Da studi preliminari, effettuati in una serra climatizzata a 20 ±3°C, sulla reazione di due ecotipi di Villalba e di alcune linee di lenticchia di origine straniera (linee della collezione dell’International Center for Agricultural Research in Dry Area, Aleppo-Siria) nei confronti degli attacchi di una popolazione di P. thornei (“Bunazzo”), abbiamo accertato che tutti i genotipi di lenticchia saggiati sono risultati suscettibili al nematode. Quindi, su questo materiale saggiato non è stato trovata nessuna forma di resistenza genetica al nematode. Dall’esperienza acquisita con studi ed indagini effettuate in Italia ed all’estero sui nematodi delle leguminose da granella e specificamente della lenticchia e dai primi risultati conseguiti dalle indagini effettuate su questi fitopatogeni della lenticchia nell’agro di Villalba, possiamo affermare che i nematodi delle lesioni sulla lenticchia sono abbastanza diffusi nelle aree di coltivazione della leguminosa e che arrecano danni ingenti. Questi nematodi sono abbastanza prolifici e polifagi il che rende molto difficile la lotta come la programmazione di successioni colturali (rotazioni agronomiche) tali da minimizzare i danni ed, inoltre, finora non sono stati individuati genotipi di lenticchia resistenti ai nematodi, pertanto è consigliabile, continuare ed approfondire questi tipi di studi per acquisire nuove informazioni sulla distribuzione, biologia, dinamica e gamma degli ospiti dei nematodi e allargare l’indagine sulla reazione di questi nematodi ad altri ecotipi di lenticchia. Questi ulteriori studi ci permetteranno l’elaborazione un protocollo tecnico-pratico e di management per una coltivazione della lenticchia di qualità. 27 CONCLUSIONI Questo studio ha mostrato come la coltivazione di leguminose minori quali la lenticchia rappresenta un’interessante opportunità economica ed una valida strategia di conservazione delle risorse genetiche. La tipicità di una coltura, cioè il legame di un determinato territorio con un ben identificato prodotto e gli usi ad esso legati, permettono di incentivare la coltivazione delle varietà tradizionali. Nel caso della ‘lenticchia di Villalba’ tale produzione potrebbe dare valore a talune aree dove questi materiali genetici si sono adattati nel corso del tempo, fornire un prodotto con un certo grado di valore aggiunto rispetto al prodotto comune consentendo al tempo stesso la conservazione on farm (ossia in azienda) delle risorse genetiche e contribuire a conservare gli usi e le tradizioni locali. 28 BIBLIOGRAFIA Di Prima G., Monti M., Preiti G., Laghetti G., Piergiovanni A.R., 1997. Caratterizzazione agronomica e qualitativa di germoplasma di lenticchia (Lens culinaris Medik.). Risultati preliminari. Atti del 3° Convegno Nazionale Biodiversità, Tecnologie e Qualità. Laruffa (ed.), Gallina, Reggio Calabria, 16-17 giugno 1997, pp. 271-277. Di Vito M., Greco N., 1994. 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