Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini, Lettere da: id., Dall’esilio alla repubblica. Lettere 1944- 1957, a cura di Mimmo Franzinelli, Bollati Boringhieri, Torino 2004 Ernesto Rossi a Gaetano Salvemini pp. 3-25 Ginevra, 24 marzo 1944 Carissimo Gaetano, Arriverà questa mia lettera? Potrai veramente leggere fra pochi giorni queste mie righe, come mi ha assicurato l’amico che mi ha promesso di fartela recapitare senza passare per la censura? È con un senso di inesprimibile commozione che ho incominciato a scriverti. Quante volte in tutti questi anni ho pensato a te, ho parlato di te con i miei compagni di galera! [….] A te devo più riconoscenza che ad ogni altro uomo. Col tuo esempio mi hai impedito di cadere in uno sterile scetticismo; hai dato un significato alla mia vita: mi hai insegnato a porre problemi, a vedere in modo concreto le cose di questo mondo; mi hai fatto conoscere le persone che più ho stimato e che più stimo; sei stato la mia guida, non solo per la politica , ma per la vita in generale. [….] Dopo il processo [nel 1930 ….. a] Pallanza ho passato alcuni mesi abbastanza buoni: la disciplina non era rigorosa; le finestre avevano la sola inferriata; il passeggio era in un grande cortile, e al compagnia rumorosa. […] Con i comunisti i miei rapporti, allora e poi, sono sempre stati buoni. Ogni volta che ne conoscevo dei nuovi, sinceramente li avvertivo che – mentre apprezzavo moltissimo il loro lavoro, perché riconoscevo che valeva a dare una spina dorsale a molti che altrimenti si sarebbero comportati come dei molluschi – non avevo alcuna simpatia per i loro obiettivi ultimi politici. Ero ben disposto a collaborare con loro nella lotta antifascista, ma nell’opera di costruzione mi avrebbero trovato avversario. [….] Avevo incominciato a preparare la fuga quando venni trasferito a Piacenza. […] Corrompendo una guardia ero riuscito a preparare tutto per la fuga, con l’aiuto degli amici di fuori, quando sono stato tradito da un detenuto comune, di cui mi ero servito come tramite. Venni allora trasferito a Roma.[…] In conseguenza del mio tentativo di fuga, portarono contemporaneamente a Roma anche [Nello] Traquandi, [Riccardo] Bauer, [Vincenzo] Calace, [Bernardino] Roberto, [Francesco] Fancello [tutti esponenti di GL]. [...] Grande sorveglianza, disciplina rigidissima, “passeggio” nel tamburo. […] Potevamo avere libri di studio comprandoli, attraverso la direzione. È stata questa la nostra salvezza. Abbiamo studiato tutti moltissimo. Io specialmente matematica, economia, storia, filosofia, diritto, inglese. […] Dopo tre anni, quando per intervenute amnistie, Traquandi, Roberto, Calace e Fancello furono liberati e mandati al confino, rimasi solo per pochi mesi con Bauer. Poi ci unirono con altri Giellisti che erano stati da poco condannati: l’avv. [Vittorio] Foa di Torino, un ebreo intelligente e molto bravo, [Massimo] Mila insegnante di lettere e critico musicale, [Vindice] Cavallera laureato in legge e uno dei giovani più simpatici e moralmente più sani che abbia conosciuto […] Quando fu assassinato Rosselli lo sapemmo subito. Ci fece enorme impressione. In Carlo avevamo perso, oltre l’amico carissimo, il nostro capo, l’unico che veramente avesse dimostrato delle qualità di dirigente politico. […] Anche nelle due celle dove andavamo in compagnia durante il giorno, avevano messo un microfono, nascosto nello sfiatatoio. L’incidente più grave che mi capitò in questi anni a Regina Coeli, fu una punizione di tre mesi di isolamento completo, a pane e acqua, per una frase offensiva al duce scritta in una lettera ad Ada. […] Il libro che ha avuto maggiore influenza nell’evoluzione del mio pensiero durante gli anni del carcere, è stato il Common sense of political economy del Wicksteed, che ho letto, riletto, spiegato, tradotto. Questa evoluzione mi ha portato ad aver meno fiducia nel libero gioco delle forze economiche sul mercato di concorrenza, a riconoscere la convenienza di maggiori interventi statali per raggiungere obiettivi di giustizia sociale, ed a considerare inadeguato il metodo democratico durante i periodi di crisi rivoluzionaria. In poche parole, pur conservando le mie opinioni liberali, sono diventato molto più socialista, ed anche molto più giacobino. Dopo nove anni di carcere, Bauer ed io fummo mandati al confino nell’isola di Ventotene, dove ritrovammo Traquandi, Fancello, Calace. Quando sono arrivato ho trovato che Fancello e Roberto neppure più si salutavano per una serie di contrasti di carattere personale.[…] Come puoi bene immaginare i contrasti personali si sono poi rivestiti di ideologie politiche (con B. [Bauer] il dissidio ideologico c’era già da tempo, perché B. è un crociano più crociano di Croce , ed io di Croce ne ho pieni i coglioni). […] A Ventotene ho conosciuto X [Enrico Giussani], un cattolico che era stato in Spagna con Carlo, che aveva collaborato al giornale di GL ed aveva fatto parte della direzione di GL. Mi è diventato molto amico. Ha collaborato con me al movimento federalista di cui ti parlavo, ed è venuto in Svizzera con me. A Ventotene è anche cominciata la mia collaborazione con Y [Altiero Spinelli], collaborazione che dura ancora strettissima, giacché anche lui si è rifugiato in Svizzera. [….] Y è un leader. Arrestato a Roma, quando era studente in legge, come organizzatore della gioventù comunista, fu condannato a 15 anni. Ne ha passato 10 in galera, e poi è stato 6 anni al confino. In galera, e al confino, si è formato una vastissima cultura filosofica,storica, economica, scientifica. [….] Ti faccio l’elogio di Y perché, dopo 2 Carlo è l’uomo nuovo che più ha, mi sembra, qualità politiche, come le intendiamo noi, e perché ormai da tre anni ci completiamo a vicenda. Appena arrivato a Ventotene mi sono trovato d’accordo con lui sull’assoluta preminenza del problema dell’assetto internazionale su tutti gli altri problemi, sulla necessità di dedicare tutti i nostri sforzi al raggiungimento di una soluzione federalistica europea, su un piano di riforme in senso socialista liberale, da sostenere con un partito rivoluzionario, non espressione delle esigenze popolari, ma guida delle classi lavoratrici, verso obiettivi meritevoli di essere raggiunti, nell’interesse dell’intera collettività. Da Ventotene, nel giugno del ‘41, mandammo agli amici di Milano e di Roma un manifesto-programma del Movimento Federalista Europeo – redatto da me e da Y a cui aveva subito aderito Roberto ed a cui aderì poi X appena arrivato a Ventotene. Da allora abbiamo continuato un lavoro clandestino intensissimo, mandando fuori lettere, opuscoli, libri e fino traduzioni di opere tedesche e inglesi, che potevano servire per la nostra propaganda. [….] Abbiamo così suscitato polemiche, stabilito collegamenti, creata la base di un lavoro che ancora continua in Italia, e che potrà riuscire fruttuoso. [….] Quando, alla fine di luglio dell’anno scorso uscii da Regina Coeli, gli amici di Milano insistettero molto perché dessi la mia adesione subito al PdA. C’erano diverse cose che non mi piacevano molto, oltre il programma, nel Pda. Il leader [Leo Valiani], che già conoscevo fin dal ‘29, quando, studente, aveva lavorato un poco per GL – era uomo molto intelligente, ma troppo “abile” (noi siamo sempre stati fregati dagli “abili”) troppo desideroso di un immediato successo in termini parlamentari, e intorno a lui, c’erano diversi altri troppo “abili”. Inoltre già si erano intrufolati nella direzione alcuni vecchi pasticcioni della vecchia democrazia di deprecata memoria. [….] D’altra parte, però, non vedevo una migliore alternativa. I socialisti che avevo conosciuto al confino (Pertini, Iacometti) erano dei confusionari che niente avevano imparato dall’esperienza dell’ultimo ventennio. Il partito socialista, risorto con a capo Nenni, ripeteva le formule marxiste e tendeva all’unificazione con i comunisti, cioè si preparava a fare il gioco dei comunisti. Nella direzione del PdA, specialmente a Milano e Torino, ritrovavo quasi tutti gli uomini con cui avevo lavorato per GL, e con i quali ero rimasto sempre in collegamento dal carcere e dal confino. […] Il 4 settembre partecipai anch’io al convegno del PdA a Firenze. Affermai subito, però, che non avevo nessuna fiducia negli uomini che avevano diretto la lotta durante il mese di governo badogliano e che l’unica cosa seria da fare era di dedicare tutte le nostre forze alla resistenza contro i tedeschi che stavano per occupare l’Italia. […] Prima del convegno del PdA, a Firenze, ne avevamo tenuto un altro a Milano fra federalisti (una ventina, tutti reduci dai carceri o dai confini). […] Al convegno federalista partecipò anche molto attivamente Ginzburg [Leone]. (La notizia che ho avuto qualche settimana fa della sua morte, avvenuta a Regina Coeli, mi ha addolorato moltissimo. Era uno dei migliori fra noi, per carattere, per intelligenza, per preparazione. Era stato arrestato, mi pare, in dicembre dai tedeschi, mentre si trovava nella tipografia che pubblicava i giornali clandestini a Roma. Era lui che scriveva completamente “L’Italia 3 libera”. Temo che sia morto per le sevizie, anche perché era ebreo). […] Siamo in rapporti continui, abbastanza regolari, con gli amici rimasti in Italia, che lavorano con grande coraggio per la lotta partigiana, ad organizzare squadre di combattimento nelle città. A diffondere stampati. È ora un pullulare di giornali clandestini in Italia […] La situazione dei nostri amici, col ritardo dell’azione anglo-americana, ed i loro stupidi appelli per l’azione partigiana immediata, è divenuta sempre più tragica. Diversi sono già “bruciati” in prigione e ricercati in modo che non possono muoversi dai nascondigli. E ci sono poi i bombardamenti, la fame, le denunzie, ecc. ecc. I dissidi nei comitati di liberazione sono gravi. Dissidi sulla questione monarchica, dissidi fra PdA e comunisti che tendono a divenire padroni assoluti di tutto. [….] Quel che sarà il PC in Italia dipenderà dalla politica estera russa, giacché – diretto come è da funzionari nominati da Mosca – manca di ogni autonomia. […] Io penso che dobbiamo cercare domani di inserirci nell’inevitabile contrasto che si determinerà fra Russia e Inghilterra, appoggiando le forze progressiste inglesi e prospettando gli Stati Uniti d’Europa come l’unica soluzione che possa dare a molti popoli europei, e specialmente ai tedeschi, una alternativa più favorevole di quella che verrà offerta dai russi, per estendere la loro influenza ed anche il loro dominio sul continente. […] Non ho nessuna fiducia che dalla guerra attuale nasca una Russia più democratica e liberale. Anzi ho la convinzione opposta. 4