NOTIZIARIO DELLA DIOCESI DI S. MINIATO 3 novembre 2013 Piazza del Seminario,13 56028 San Miniato (Pisa) tel. e fax 0571/400434 [email protected] Notiziario locale Direttore responsabile: Andrea Fagioli Coordinatore diocesano: Francesco Ricciarelli Reg. Tribunale Firenze n. 3184 del 21/12/1983 Chi ha paura di Halloween? DI l’agenda del VESCOVO omenica 3 novembre - ore 11,15: Cresime a Palaia. D Ore 13: a San romano, conviviale col generale dei Frati Minori. Ore 16:Cresime a Lavaiano. Martedì 5 - ore 9,30: udienze. Ore 17: a Ponsacco, concerto dei Blu Confine. Mercoledì 6 - ore 9,30: udienze. Giovedì 7 - ore 9,30: in seminario, ritiro mensile del clero. Venerdì 8 - ore 21,15: a San romano, incontro con i membri dei consigli d’unità pastorale. Sabato 9 - ore 8: Pellegrinaggio a Capannoli. Ore 11: inaugurazione della festa del tartufo a San Miniato Il premio Giani va alla Caritas Un impegno costante a servizio di chi è in difficoltà DON FRANCESCO RICCIARELLI gli inizi degli anni ’60 Umberto Eco scrisse una lettera al figlio neonato promettendogli di regalargli in futuro, per Natale, tante armi giocattolo, in barba alle riserve dei pedagoghi. Ricordando i giochi bellici della propria infanzia, l’Autore ravvisava in essi quasi una funzione catartica. "Mi immagino invece l’infanzia di Eichmann. Prono, lo sguardo da ragioniere della morte, sul rompicapo del meccano, seguendo le istruzioni del manualetto", proseguiva caustico Eco e metteva in guardia: "Temete i giovani che costruiscono piccole gru! Nelle loro fredde e distorte menti di piccoli matematici si stanno comprimendo i complessi atroci che agiteranno la loro età matura". Pericolosa sarebbe quindi, secondo Eco, non la fantasia, anche se popolata di battaglie e di mostri, ma l’aridità emotiva. Ripensavo a queste intuizioni, considerando l’ormai consueta fallimentare crociata contro Halloween. Dovremmo preoccuparci per i bambini travestiti da streghe e vampiri che cantano canzoncine in inglese o che vanno in giro la sera questuando dolcetti e minacciando scherzetti? I bambini, salvo casi patologici, sanno ben distinguere la differenza tra convenzione ludica e realtà. E neanche le feste mascherate per i più grandicelli hanno un potenziale diseducativo e trasgressivo superiore alla norma. Se c’è equilibrio mentale, nessuna suggestione horror né musica martellante produrrà mai dei killer satanisti. Il diavolo semmai è nascosto tra le pieghe del quotidiano, nella banalità del male. Si annida dove i figli vengono lasciati soli davanti allo schermo della tv, del computer o del telefono cellulare; dove le famiglie si sfasciano, dove l’educazione è improntata all’ipocrisia del politicamente corretto e i valori diventano parole vuote; dove i ragazzi subiscono l’influsso di cattivi maestri nichilisti e disillusi. Halloween è una festa stupida, priva di significato. Certo, sarebbe bello se i giovani festeggiassero i Santi. Ma qui il problema sta a monte. Le zucche vuote, purtroppo, ci sono tutto l’anno. A DI RICCARDO CARDELLICCHIO abato 26 ottobre, nella sala consiliare del comune di Montopoli in val D’Arno, si è svolta la cerimonia di premiazione (all’insegna della semplicità) del 3° premio «Alla vita» in memoria di Alberto Giani. Premio promosso dall’Associazione Culturale Capannese con il patrocinio dei Comuni di Montopoli in val D’Arno e di Fucecchio. Come recita la motivazione, per l’anno 2013 il premio è stato assegnato alla Caritas diocesana di San Miniato: «Per l’opera da tanti anni svolta, con impegno costante e nascosto, a favore delle fasce più deboli della società. Senza mai chiedere ’chi sei?’ a chiunque vada a bussare alla sua porta. Sempre e soltanto ponendosi con umiltà al servizio dell’uomo. Qualunque sia il colore della sua pelle e il suo credo religioso». Dopo una memorabile lettura del discorso «I have a dream» di Martin Luther King, fatta da Daniele Venturelli, introdotti da Riccardo Cardellicchio, presidente del comitato promotore del premio, hanno parlato il sindaco di Montopoli Alessandra Vivaldi, il vicesindaco di Fucecchio Sara Matteoli e il vescovo di San Miniato monsignor Tardelli. Il vescovo ha ringraziato il comitato per l’assegnazione del premio alla Caritas, sottolineando come essa sia strumento pastorale indispensabile di ogni diocesi, di ogni parrocchia. Il premio, ha detto, sarà motivo di ulteriore impegno vista la gravità della crisi economica che attanaglia l’intera società. Monsignor Tardelli ha invitato anche a considerare Alberto come ancora «vivente» e presente nella luce della fede in mezzo a noi. Il sindaco di Montopoli, tra l’altro, ha voluto mettere in evidenza la S buona collaborazione con la Caritas. Sara Matteoli si è soffermata sulla figura di Giani. Sentite parole di ringraziamento da parte di don Romano Maltinti, attuale direttore della Caritas diocesana, che ha ritirato il premio dalle mani della vedova Giani, Rita Mancini. Fuori programma, proprio Rita ha chiesto di dire due parole. Con la voce rotta dal pianto, in un clima d’intensa commozione che ha preso tutti i presenti, ha ricordato chi è stato Alberto per lei, per i figli, per la comunità prima di Fucecchio, poi di Capanne e il suo legame con la Caritas. Ha detto: «La Caritas era un luogo molto caro ad Alberto, il luogo dove ha ulteriormente maturato e concretizzato la sua vocazione. Il suo modo di dedicarsi agli altri si può sintetizzare con una frase di Benedetto XVI: ’Dedicarsi all’altro con le attenzioni suggerite dal cuore in modo che questi sperimenti la loro ricchezza di umanità’. Credo che Alberto abbia portato questo modo d’agire in ogni ambito della sua vita: ecclesiale, familiare, sociale e professionale. Metteva sicuramente un’attenzione particolare nella cura delle relazioni e un impegno costante nella formazione personale, Sopra a tutto questo vi era un attingere alla preghiera in modo fedele e costante. Per Alberto, stare vicino agli emarginati, agli extracomunitari, alle persone sofferenti era davvero concretizzare la sua fede. Una fede che diventava così operante nell’amore. Vorrei ricordare gli inizi del suo cammino nella Caritas, la sua decisione di diventare obiettore di coscienza e di farlo nella Caritas. Con affetto ricordo quando mi parlava delle accese, ma proficue, discussioni che faceva in macchina con il vescovo Ricci e don Nencioni mentre andavano a vari incontri. La Caritas è stata un po’ la sua seconda famiglia, una famiglia che vorrei ringraziare in modo particolare per quanto è stata vicina a me e ai miei figli. Una presenza costante, non invadente, ma decisamente presente in tutti questi anni». Eugenio Cino, anche lui facente parte del comitato promotore del premio, ha offerto due intermezzi musicali cantando e suonando canzoni adatte alla circostanza. Gli altri componenti del comitato sono Sara Matteoli, vice sindaco del Comune di Fucecchio; Riccardo Marconi;; Rosita Pallesi, medico, in rappresentanza del Comune di Montopoli; Raffaele Di Lorenzo e Giampiero Vincenti, rispettivamente presidente e vice presidente dell’Associazione culturale capannese. II TOSCANA OGGI LA DOMENICA 3 novembre 2013 Il contributo di DON MATTEO UN ESEMPIO CHE NON SI PUÒ DIMENTICARE DI DON MATTEO PHUTENPURAKAL* iamo qui questa sera perché abbiamo riconosciuto che la luce Sdella figura Sacerdotale presente in Mons. Danilo Maltini, ha acceso in noi il desiderio di ricordalo e onorarlo insieme. Il suo essere prete, e prima ancora il suo essere cristiano, è stato un invito ad una santità concreta. È andato incontro agli altri per portare la presenza di Gesù. La sua voce era affabile, mai vuota ma piena di umanità. Ci ha lasciato l’invito ad amare la vita, ad essere sani e santi. Personalmente io non l’ho conosciuto Mons. Danilo Maltinti. La sua figura di essere prete e pievano di Montopoli l’ho conosciuta attraverso i montopolesi e attraverso il Diario della pieve che lui curava dal 1963, di cui quest’anno facciamo il 50°. Chi legge attentamente il diario della Pieve può capire che personalità era mons. Danilo Maltinti. Sono molto interessanti e istruttivi i consigli e esortazioni che il Pievano rivolge alla sua gente con l’amore di un buon pastore. La sua attenzione per i malati e poveri è molto premurosa. Curò molto l’Azione Cattolica dei giovani e adulti, Chierichetti della Pieve e Fratelli della Compagnia. È difficile sintetizzare in poche parole le grandi doti di questo sacerdote dall’animo tenace e allo stesso tempo timido per natura, ma superato dalla grazia, la quale spesso ha piegato ai mirabili disegni di Dio impennate clamorose e scelte singolari. Don Elio Veracini, nel 50° dell’Ordinazione di Maltinti scrisse queste parole: Non esiste perfezione, che appaghi i desideri di tutti. È perfezione però che ognuno possa dire con onesta e convinzione: il nostro pievano è un vero prete, monoco con Gesù, pastore col popolo. All’età di 87 anni e con ben 64 anni di sacerdozio, di cui quasi 60 anni passati nella comunità di montopoli, 19 agosto 2003 Don Danilo Maltinti è salito al cielo. Oggi lo ricordiamo con profonda gratitudine e affetto per quanto ha saputo darci in questi 60 anni vissuti in mezzo a tutti noi. Sacerdote di grande fede, dai forti tratti di umanità, esempio di vita, guida e importante punto di riferimento per tutta la comunità. Non potremo mai dimenticare ciò che è stato per Montopoli Mons. Danilo Maltinti. La memoria della sua intera esperienza pastorale, ci rende orgogliosi, ci aiuta e da fiducia per il futuro. Mons. Danilo Maltinti ha saputo far crescere la comunità aiutandola a mantenere i valori importanti di fede e di vita cui oggi godiamo i frutti di quello che ha seminato. A Montopoli Mons. Danilo Maltinti non verrà e non potrà essere dimenticato e il suo esempio aiuterà tutti noi a guardare con serenità al domani. Vogliamo dire dunque grazie al Signore perché possiamo ancora godere dei frutti del ministero sacerdotale profuso da don Danilo con grande zelo. La raccolta fotografica che abbiamo oggi, della vita del Pievano Danilo è frutto di tanti sacrifici di alcune persone della Parrocchia. Vorrei riportare i nomi e lodare queste persone per il meritato lavoro che hanno svolto. Sono Maria Carla Petralli, Sauro fogli, Valeria Freschi e Lucia Atzori. Dietro di loro hanno contribuito due ingeneri professionisti che sono Andrea Benvenuti e Alvio Sartucci e figlia Mariaceleste. Un grazie anche a coloro che hanno portato le fotografie dalle loro case. Uno speciale ringraziamento va anche ai nipoti di Mons. Danilo per aver contribuito con le fotografie dell’infanzia dello Zio. *Parroco di Montopoli SPECIALE Montopoli val’d’Arno Il ricordo di don Danilo Maltinti: un sacerdote d’altri temp DI MICHAEL CANTARELLA uando un sacerdote resta per oltre mezzo secolo in una parrocchia, il segno che lascia in quella comunità è profondo, indelebile, incancellabile. È un imprinting forte, che marchia a fuoco i cuori delle persone, e che spesso ne segna la vita, ne costituisce i ricordi, rappresenta un esempio che, anche per i più scettici, ritorna utile nei vari momenti della vita. Un esempio di questi sacerdoti di «razza» è stato don Danilo Maltinti, pievano di Montopoli dal 1944 al 2003, di cui quest’anno si celebra il decennale della morte. Don Matteo Putenpurakal assieme ai parrocchiani ha voluto ricordare questo anniversario allestendo una bella mostra fotografica che raccoglie gli scatti più significativi della vita del «Signor Pievano» e della comunità parrocchiale di Montopoli. Molti Montopolesi illustri hanno preso parte alla tavola rotonda che ha ricordato don Danilo. Mons. Tardelli, aprendo il dibattito, ha ricordato che nella nostra diocesi esistono delle figure eccezionali di sacerdoti e vescovi, che hanno lasciato il segno in diocesi. E che don Danilo fa parte di questa categoria, assieme ad altra figure come don Divo Barsotti o il vescovo Giubbi. Andrea Pieroni, in veste di «chierichetto invecchiato» ha ricordato Maltinti definendolo «un grande sacerdote che per noi giovani dell’epoca ha rappresentato un Q importante punto di riferimento». «Una figura autorevole, tanto che – confessa l’attuale presidente della provincia – quando passava per strada era consuetudine fermare il gioco e il chiacchiericcio per salutare il pievano: quasi ci mettevamo sull’attenti!». «Un uomo – ha concluso Pieroni – che ha profondamente segnato la nostra crescita umana e spirituale». Anche l’attuale sindaco di Montopoli, Alessandra Vivaldi, ha testimoniato l’esperienza vissuta con il professor Maltinti, insegnante di religione alle scuole medie di Montopoli: «ha saputo darci degli insegnamenti che si sono rivelati molto utili nella vita, anche se da piccola non capivo, e spesso contestavo alcune delle rigide TOSCANA OGGI LA DOMENICA 3 novembre 2013 III pi lezioni di don Danilo». Commosso il ricordo di don Piero Malvaldi, figlio spirituale di don Maltinti, parroco di Forte dei Marmi ed attento custode dei diari spirituali del sacerdote montopolese: «Quando ci intrattenevamo in conversazione, ed io gli parlavo dei problemi e delle difficoltà che avevo con la cura dei ragazzi che al tempo mi erano stati affidati all’oratorio di Pontedera, don Danilo mi ammoniva sempre ricordandomi “salus animarum, suprema lex”, la salvezza delle anime è la legge fondamentale». Un uomo – ha affermato ancora Malvaldi – che ha fatto della verità e della povertà uno stile di vita. Una sincerità autentica nei confronti degli altri ma anche nei confronti di se stesso, e uno stile di vita monastico che non può che destare ammirazione. Un sacerdote – ha concluso don Piero – che ha amato profondamente il suo paese ed i suoi parrocchiani». Al dibattito hanno partecipato anche due sacerdoti Montopolesi, don Marco Pupeschi e don Luciano Niccolai, che hanno sperimentato fin da piccoli i modi del giovane pievano Maltinti. Don Niccolai ha ricordato l’attenzione che fin da subito, addirittura dal giorno dell’ingresso in parrocchia nel 1944, don Danilo ha dato ad ogni singolo chierichetto: «faceva sentire importante ognuno di noi». Don Pupeschi invece ha voluto anche ricordare i momenti difficili di Maltinti: «don Danilo ha avuto un amore assoluto per il paese di Montopoli. Con il suo stile severo e intransigente ha saputo dialogare con le persone e anche con la politica, nonostante quelli fossero anni difficili e particolari. Ha dimostrato il suo amore fino all’ultimo respiro nei confronti dei montopolesi, anche se a volte viveva con amarezza le vicende parrocchiali». «Non potrò mai dimenticare – ha concluso il parroco di Santa Maria a Monte – che anche durante l’ultima celebrazione, quando ormai la fine era vicina e le forze l’abbandonavano – il pievano continuava ancora a muovere la mano in segno di benedizione». Il segno e il saluto di un sacerdote d’altri tempi. TRA MONTOPOLI E CENAIA,LE «GRANDI OPERE» DI MALTINTI on Maltinti domenica 12 novembre D 1944 faceva il suo ingresso a Montopoli, dove il vescovo Giubbi l’aveva chiamato a succedere al pievano canonico Omero Guidotti, morto per una cannonata durante il passaggio del fronte. Nel periodo di sacerdozio (cessato il 19 agosto 2003 per la sua morte) don Danilo Maltinti ha ricoperto l’incarico di insegnante di religione nell’istituto magistrale e nella scuola media di Montopoli. Nel 1950 sono state realizzati, grazie al suo interessamento, affreschi sul soffitto della pieve dei santi Stefano e Giovanni a cura del pittore Gaioni. A Montopoli don Maltinti ha potuto vedere ordinati sacerdoti, proprio nella sua pieve, due suoi chierichetti, don Luciano Niccolai e don Marco Pupeschi, tutt’ora sacerdote di Santa Maria a Monte. 60 anni di sacerdozio inserendo la sua azione pastorale nel contesto culturale di quegli anni, partendo soprattutto dalla gioventù. Il catechismo e le opere di carità furono i punti di forza del dinamico pievano. Ancor’oggi nelle abitazioni di Montopoli viene consegnato dai volontari a tutte le famiglie il “Diario della pieve”, bollettino dove vengono riportate notizie del luogo, ideato da don Maltinti nel 1963. Molte le doti del sacerdote montopolese, tra cui il coraggio: nel 1944 don Danilo scongiurò una rappresaglia nazista in quel di Cenaia, facendo pressione su un ufficiale tedesco che aveva in precedenza soccorso e curato in canonica. TOSCANA OGGI LA DOMENICA 3 novembre 2013 Divo Barsotti collaboratore de L'Osservatore Romano Pubblichiamo la prima parte dello speciale su don Divo Barsotti. Scopriremo un Barsotti inedito, che vantava una collaborazione con il quotidiano della Santa Sede DI FEDERICO MAZZEI alla fine del 1941 all’ottobre 1945, il giovane sacerdote diocesano Divo Barsotti (del quale il prossimo anno ricorrerà il centenario della nascita, avvenuta il 25 aprile 1914) trascorse un periodo di ininterrotta permanenza nella casa familiare di Palaia. Il suo rifugio in famiglia non fu determinato dagli avvenimenti bellici, ma dalla privazione di incarichi diocesani a cui era stato condotto dalla tormentata ricerca di una vocazione singolarmente contemplativa e missionaria. Dall’Ordinazione del 18 luglio 1937 in cattedrale a San Miniato, Barsotti aveva trascorso solo tre brevissimi periodi di servizio pastorale «in cura di anime» nelle parrocchie di Castel del Bosco, La Rotta e Capannoli, che ne rivelarono precocemente l’inattitudine alla vita sacerdotale ordinaria. Già il 6 agosto 1937 aveva scritto al Vescovo Giubbi di sentirsi «perfettamente felice soltanto se potessi seguire Dio solo, povero di tutto, in paesi di missione, contento di Dio», ma destinati al fallimento si rivelarono anche i suoi primi tentativi di inserimento nelle Opere missionarie. L’attività diocesana di Barsotti si ridusse sostanzialmente a quella di insegnamento in Seminario come professore di Lettere al Ginnasio e di Patrologia nel Corso Teologico. Inoltre don Divo affiancò il fratello Giovanni (docente anche lui di materie filosofiche in Seminario) nella collaborazione a «La Domenica», per la quale redasse occasionalmente editoriali (si ricordi soltanto quello del 5 marzo 1939 dedicato all’elezione pontificale di Pio XII, Principe della pace) e la rubrica di commento al Vangelo domenicale dal luglio 1939 al Natale dello stesso anno.Rientrato in Diocesi dopo un periodo di soggiorno a Roma in cui aveva infruttuosamente cercato di intraprendere gli studi universitari, Barsotti dovette adeguarsi alla temporanea condizione di «prete in casa» nella sua Palaia con una cappellania di sette ettari di terreno, di cui il Vescovo Giubbi aveva voluto renderlo beneficiario. Nei successivi quattro anni che lo resero «pressoché inutile alla diocesi» (come egli steso scrisse in una lettera personalmente indirizzata al Pontefice Pio XII), Barsotti attraversò un sofferto itinerario di mortificazione, ma anche di «tragico combattimento» alla ricerca della vocazione più congeniale al carisma mistico di cui veniva riconoscendo le radici nella meditazione teologica. E proprio in questo periodo di isolamento Barsotti si immerse in una ascesi di studio e di preghiera, che lo avrebbe interiormente consacrato all’esigenza di «cercare Dio solo». Di questa mistagogia restano testimonianza i diari spirituali che Barsotti avrebbe pubblicato nel 1954 (La lotta con l’angelo. Diario di un’anima, 28 settembre 1941-29 gennaio 1942) e nel 1957 (La fuga immobile. Diario spirituale, 25 maggio 1944-8 novembre 1946, ristampato anche in edizione tedesca nel 1960 con la Prefazione di Hans Urs Von Balthasar). «Dimenticato, povero, in mezzo ad una popolazione che non D saprò avvicinare, senza sapere come consumare il mio tempo, vicino ai miei paesani, senza nulla di straordinario, una vita uguale, ordinaria, oscura. L’accetto per te, perché Tu sia sempre il mio Dio, il mio Unico. Mi basta conoscerti e amarti»: così lo stesso Barsotti avrebbe ritratto la propria esperienza sacerdotale in una pagina di quegli anni. Malgrado questa condizione di isolamento, già negli anni di Palaia il nominativo di Barsotti iniziò a circolare oltre i confini diocesani. Il 17 dicembre 1942 la firma del «sac. Divo Barsotti» comparve in prima pagina su «L’Osservatore Romano» con un editoriale dal titolo Esegesi di una preghiera, dedicato alla consacrazione del genere umano al Cuore Immacolato di Maria da parte di Pio XII. Dopo di questo seguirono altri 18 articoli interamente redatti nella casa di Palaia, che trovarono ospitalità fino al 14 settembre 1944 sul quotidiano della Santa Sede diretto dal conte Giuseppe Dalla Torre. Fu la mediazione di Giorgio La Pira, incontrato nel Convento fiorentino di S. Marco intorno alla fine degli anni Trenta, ad accreditare inizialmente il giovane sacerdote presso la redazione de «L’Osservatore Romano», garantendogli una collaborazione che potesse ricompensarlo del disimpegno diocesano e magari aprirgli l’accesso alla professione giornalistica. Per interessi di dottrina sociale cristiana e continuità di pubblicazione (fino a quattro nel solo febbraio 1943), gli articoli di Barsotti possono essere legittimamente accostati ai commenti redazionali di Guido Gonella al magistero di guerra del Pontefice, ristampati in quegli anni dalla Poliglotta Vaticana. Non dissimilmente da quelli di Gonella, gli interventi barsottiani documentano il passaggio della stampa vaticana dalla denuncia dei totalitarismi all’alternativa di ricostruzione cristiana, anche in vista della transizione italiana al postfascismo: la voce di Pio XII nel radiomessaggio di Natale del 1942 sull’ordine interno delle nazioni («non lamento, ma azione è il precetto dell’ora») avrebbe acquisito - per lo stesso Barsotti - «il tono non tanto di maestro autorevole quanto di condottiero animoso, perché i cristiani realizz[assero] il Cristianesimo integrale». Sulla scorta del modello di «cristianità nuova» di Jacques Maritain, Barsotti rivendicava nei suoi articoli l’identificazione fra cristianesimo e società umana, ma interpretava questo principio di ricostruzione come conversione spirituale della persona a Cristo, piuttosto che come perfettistica sostituzione di ideologie e istituzioni storiche: «Tutte le radicali riforme sociali politiche economiche suppongono per essere vere riforme, la riforma morale dell’uomo», scriveva nel suo articolo del 10 giugno 1943. Da qui anche le attenzioni teologiche di Barsotti per una Enciclica come la Mystici Corporis di Pio XII, che poneva a fondamento di una «mistica sociale» l’unità «interiore, invisibile, carismatica» della Chiesa. In questo senso la ricostruzione del «nuovo Ordine» veniva incentrata da Barsotti sulla «azione della carità nella vita sociale», ma anche sulla extra-territorialità del cristiano da ogni forma di messianismo politico-religioso. Appena due mesi dopo la liberazione di Roma nel giugno 1944, Barsotti intraprese un secondo viaggio nella capitale e si presentò personalmente alla sede del giornale vaticano, coltivando l’aspettativa che i suoi articoli potessero valergli una prospettiva di stabilizzazione redazionale. Ma anche questo tentativo si infranse in un insuccesso ed esso pose praticamente fine all’esperienza giornalistica di Barsotti: «A Roma - scriveva il 10 settembre 1944 sul suo diario ho trovato solo silenzio. Dio non parla. Mons. Rampolla è fuori di città. La Pira è tornato con la prima automobile a Firenze. Mons B. mi ha ricevuto come se non mi avesse mai conosciuto. P. Grendel mi ha mandato dal suo segretario Leo Haberstroh. Il Provinciale della Compagnia mi ha ascoltato per aprirmi, sorridente, la porta. Sono solo. Mi sembra come di esser perduto nella luce».Questa collaborazione con la stampa vaticana non riuscì neppure a procurargli la reintegrazione nelle nomine diocesane, ma soltanto l’incarico di una serie di conferenze sulla dottrina cristiana della ricostruzione, affidatogli a titolo personale dal Parroco di Partino alla fine del 1944. Gli appunti preparatori di queste lezioni, Temi per una nuova coscienza sociale, furono pubblicati a Pisa dall’Editrice Salesiana di don Telio Taddei, direttore della prestigiosa collana di pensiero sociale cristiano «Il Crivello» che includeva anche titoli di Igino Giordani e di don Primo Mazzolari. Come ricorda padre Serafino Tognetti nella sua informatissima biografia di Barsotti, questo opuscolo «oggi introvabile» avrebbe rappresentato «il primo e ultimo testo riguardante tali problematiche» nella bibliografia mistico-spirituale del sacerdote di Palaia. Una sua copia in bozze con correzioni manoscritte di Barsotti è stata adesso recuperata e ordinata da Alexander Di Bartolo nel «Fondo Divo Barsotti» della nostra Biblioteca diocesana. Vi riaffiorano i motivi «antitotalitari» degli articoli di Barsotti su «L’Osservatore Romano», ossia il «primato dello spirituale» sulle istituzioni politiche e la rifondazione della libertà politica dal cristianesimo: «Il nemico più grande del popolo è il totalitarismo di Stato che si presenta sotto tante forme ed è una sopravvivenza o una rinascita del paganesimo antico. È stato il Cristianesimo che ha portato la libertà nel mondo e gli uomini debbono ancora lottare per conservarla». Anche nelle conferenze di Partino la «mistica sociale» di Barsotti continuava a definirsi, insomma, a partire dall’incompatibilità del cristianesimo con ogni forma di politica sacralizzata. V IL CONSULTORIO GIANI EFFETTUA CONSULENZE ON LINE ell’intervista rilasciata il mese scorso a «La Civiltà Cattolica» che tanta eco ha avuto in tutto il mondo, il Papa parla della Chiesa come «ospedale da campo» esprimendosi, nel suo stile semplice e diretto, in questi termini: «Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso… Le persone vanno accompagnate, le ferite vanno curate». L’ascolto, la prossimità, l’accompagnamento, il consiglio, il fare luce sulle situazioni di buio sono le cose di cui oggi, in un’epoca di crisi e di grandi cambiamenti, si avverte un estremo bisogno. Da poco più di un anno e mezzo dalla sua nascita, il Consultorio Familiare Diocesano «A. Giani» si muove sulla scia di quanto chiede Papa Francesco: ascoltare, consigliare, farsi prossimi, curare le ferite, soprattutto spirituali e psicologiche che le persone si portano dentro. In particolare c’è spesso bisogno di infondere speranza, là dove la vita ha perso ogni senso o non se trova più uno. Nel corso dell’anno il Consultorio ha registrato un aumento di richieste di aiuto, da parte di singole persone, coppie in difficoltà di relazione, giovani e ultimamente anche bambini, feriti da situazioni familiari turbolente. Per rispondere alle nuove richieste, il Consultorio vuole sperimentare anche le possibilità offerte dai moderni strumenti di comunicazione e per questo ha attivato, a partire da ottobre, un nuovo servizio di «consultazione on line». Si tratta di colloqui effettuati non nei locali del Consultorio bensì on line mediante, appunto, l’ausilio dei moderni strumenti offerti da internet. È un servizio pensato per rispondere alle richieste di aiuto di coloro che sono temporaneamente impossibilitati a raggiungere il Consultorio o che per diversi motivi di tipo psicologico, fisico, lavorativo, di isolamento geografico, di tempo, si sentono più a loro agio con una modalità di consultazione on line. La consulenza avviene tramite l’utilizzo di Skype, servizio gratuito che consente la comunicazione audiovideo tramite webcam, dialogando in tempo reale, con tutte le caratteristiche di un dialogo faccia a faccia. Per il momento il servizio può essere richiesto solo da persone maggiorenni e per consultazioni di tipo psicologico. Dopo un sufficiente arco di tempo di sperimentazione, il Consultorio valuterà se mantenere, allargare oppure cessare questa modalità di servizio. Per accedere alle consulenze on line è necessario che il richiedente invii via mail un apposito modulo scaricabile dal sito diocesano, all’indirizzo mail della Segreteria: consultoriofamiliare@diocesisanmini ato.it. Una volta ricevuta la mail, l’utente verrà contattato per concordare l’appuntamento via Skype con l’operatore del Consultorio. Per maggiori informazioni è possibile anche contattare la Segreteria via mail oppure ai seguenti recapiti telefonici : tel. 0571.844511, Cell. 328.1575989 in orario di apertura (martedì 10-13 e 1619, giovedì 10-13). Inoltre è possibile saperne di più consultando il sito diocesano www.sanminiato.chiesacattolica.it alla pagina del Consultorio Familiare Diocesano. N VI TOSCANA OGGI LA DOMENICA 3 novembre 2013 ECUMENISMO......... A SAN MINIATO CONVEGNO ANNUALE PER L’ECUMENISMO E IL DIALOGO INTERRELIGIOSO DI FRANCESCO BAGATTI nche quest’anno si celebrerà, il 15 Novembre dalle ore 17 alle ore 20 nella A Sala delle Conferenze presso il nostro Seminario, il Convegno annuale Diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso. Nel darne notizia credo sia opportuno aggiungere alcune brevi considerazioni per specificare i contenuti e gli obiettivi che stanno nelle intenzioni dei proponenti e dei relatori. Comincio riportando in evidenza alcune frasi di papa Francesco pronunciate durante il colloquio con Scalfari pubblicato sul giornale "La Repubblica" il 1° ottobre 2013. Sono parole che ci hanno indirizzati e allo stesso tempo commossi per l’esattezza del riferimento e l’inconfutabile obbligatorietà di un impegno che ne consegue e che spinge tutti a seguirne l’esempio. Sta parlando, il papa, del Concilio Vaticano II° e dice: «quell’evento, ispirato da papa Giovanni e da Paolo VI°, decise di guardare al futuro con spirito moderno» (notare questi aggettivi qualificativi) e di aprire alla cultura moderna. I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare». E detto ciò subito aggiunge: «la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione e per testimonianza; ma bisogna conoscersi e ascoltarsi». Il nostro Convegno Diocesano vuol essere un’occasione di attenzione e di approfondimento a queste parole di papa Francesco, pur essendo coscienti che le tre ore che abbiamo a disposizione sono appena sufficienti a un approccio al tema. Vogliamo però sperare che per tutti i convenuti suoni davvero forte un campanello d’allarme che faccia di seguito, con volontà ferma di conversione, meditare sulla contraddizione fra quanto «i padri conciliari sapevano» e quanto noi, in cinquanta lunghi anni, dopo, non abbiamo saputo né affermare con la chiarezza e la forza necessarie né mettere in pratica doverosamente. Mi limito a suggerire due motivi immediati di riflessione che sono poi i contenuti essenziali delle due relazioni al Convegno: in primo luogo occorre ritornare a considerare l’Ecumenismo e il Dialogo come i due principali moventi del Concilio e conseguentemente portare avanti nella Chiesa un’evangelizzazione veramente nuova, cioè missionaria nel mondo, in controcorrente con le principali motivazioni che il mondo propugna nella sua concezione della cultura moderna" (relativismo, consumismo, mercato dominante unico produttore di benessere); In secondo luogo questa è una riflessione che anche la nostra Commissione Regionale delegati CET (Conferenza Episcopale Toscana) intende portare avanti con determinazione: richiamare i Vescovi a prendere in considerazione la necessità di promuovere L’Ecumenismo e il Dialogo come esigenza pastorale nelle parrocchie con le dovute sottolineature utili nella pratica (battesimi, matrimoni misti, accesso ai sacramenti ecc.). Ci auguriamo che il convegno Diocesano abbia successo di presenze e soprattutto desti l’interesse dei parroci, che vengano a dire la loro per aiutarci a procedere sulla buona strada, la più adatta al necessario cambiamento e riforma di cui abbiamo bisogno nella Chiesa. IL PROGRAMMA DEL CONVEGNO Ore 17,00: Accoglienza e saluto di S.E. Mons. Fausto Tardelli Vescovo di San Miniato Ore 17,30- 18,15 Relazione: «Ecumenismo e Nuova Evangelizzazione, La recezione ecumenica del Concilio Vaticano II» Ore 18,30-19,15: Relazione: «Lo Spirito dice alle parrocchie: prima di tutto l’Unità dei Cristiani». Ore 19,15- 19,55: domande e chiarimenti Ore 20,00 chiusura del Convegno Relatori della serata: Prof. Riccardo Burigana, Direttore del Centro Studi per l’Ecumenismo in Italia di Venezia e don Mauro Lucchesi Segretario Commissione Regionale per l’Ecumenismo e il Dialogo della CEI Toscana. NOTIZIE DALLA DIOCESI La diocesi ricorda il maestro che ha donato a San Miniato molte delle sue opere Ricordo di Dilvo Lotti a cento anni dalla nascita DI LUCA MACCHI lcuni maestri vorrebbero dirti come devi fare, sia in quella che è la loro disciplina, come nelle cose della vita. Ci sono poi Maestri che non dicono come devi fare, ma lo rendono evidente con il loro esempio. Dilvo Lotti apparteneva senza dubbio a questi ultimi. Con il fare ha dato l’esempio. Mai l’ho sentito parlare male di qualcuno, mai l’ho sentito trovare difetti nelle opere degli altri. Ed era sempre pronto, lui che aveva al suo attivo Biennali di Venezia, Quadriennali di Roma, premi vinti ovunque, a esporre nei luoghi più semplici e con tutti indistintamente. Nel 2014 saranno, infatti, cento anni dalla nascita di Dilvo Lotti (1914 - 2014) e San Miniato potrà festeggiare una delle persone che più hanno dato per la propria città. Lotti è nato il 27 giugno del 1914 e ci ha lasciato nell’aprile del 2009. Novantacinque anni d’impegno quotidiano nell’arte, nella pittura ma anche in tante altre tecniche con le quali si è espresso. Grande artista, Dilvo, ha realizzato affreschi nelle chiese e in palazzi pubblici e privati, sue opere figurano in importanti collezioni in Italia e all’estero. Inizia a dipingere nei primi anni Trenta spinto da una particolare visione del mondo, già presente nella sua tesi su Daumier dove scrive: "... conclusi, mentre preparavo l’acqua che mi occorreva per lavarmi la mattina dopo e mi spogliavo: che si può arrivare all’anima dell’uomo anche con delle stecche, anche facendolo ridere, ma quando le cose che si dicono siano pur espresse male hanno nell’anima di chi le guarda o di chi le ascolta delle risonanze intime". Nelle sue opere cercava attraverso i particolari soggetti e i forti contrasti cromatici di toccare corde profonde. Dilvo poi aveva dell’Arte il concetto della grande famiglia. Gli artisti erano per lui uniti da un comune modo di sentire e di vedere, quelli contemporanei come quelli del passato. L’appartenere a una medesima missione nella vita. A Lotti è il principale autore della San Miniato che oggi conosciamo, ha attraversato tutto il Novecento ed ha gettato le basi delle varie iniziative e istituzioni culturali ancora oggi presenti. L’avventura, con altri amici, dell’Istituto del Dramma Popolare, con rappresentazioni che hanno fatto la storia del teatro italiano dal dopoguerra a oggi. Altra grande impresa è stata quella di avviare lo studio monografico di Lodovico Cardi detto il Cigoli con la grande mostra del 1959 a 400 anni dalla nascita del pittore. Nel corso delle ricerche sulla mostra del 1959 per l’esposizione all’Accademia degli Euteleti, della quale è stato presidente per un decennio, sono emerse le lettere e soprattutto i verbali delle riunioni del Comitato organizzatore che testimoniano il ruolo di primo piano svolto da Lotti. E poi ancora la costituzione nel 1966 del Museo Diocesano d’Arte Sacra, quando con la Signora Giuseppina partivano in auto per raggiungere le parrocchie più lontane della Diocesi per prendere visione delle varie opere. Una Diocesi ricca di opere d’arte, quella di San Miniato, che rendevano difficile il dover fare esclusioni. Ecco dunque che da questa ricognizione nelle parrocchie, alla ricerca di opere per la costituzione del Museo Diocesano, nasce la Mostra d’Arte Sacra della Diocesi di San Miniato del 1969 tenutasi nel Seminario Vescovile. Si devono a lui la mostra concorso "Cristo Luce del mondo" e l’operazione di San Rocco in piazza Buonaparte, cioè il recupero di quella ex cappella, ridotta a magazzino, che viene restaurata, affrescata e riconsegnata al culto. Era il 1967, in piena contestazione giovanile. Dilvo Lotti si è cimentato anche nella storia, infiniti i saggi pubblicati nel Bollettino degli Euteleti, e poi ecco le pubblicazioni San Miniato, vita di un’antica città, per i 150 anni della Cassa di Risparmio di San Miniato, Napoleone Buonaparte Toscano Europeo, e le due monografie che dedica al suo Maestro Pietro Parigi: Pietro Parigi, incisore fiorentino e Pietro Parigi, un incisore del XX secolo a Firenze. Negli ultimi anni, forse cedendo a una vena un po’ nostalgica, che non gli apparteneva, pubblica La morte del paese, romanzo autobiografico scritto nel 1947 con il quale era arrivato tra i finalisti di un concorso letterario, e Memoria di Porta Romana, il ricordo degli anni indimenticabili della sua formazione professionale all’Istituto d’Arte di Firenze. Nel libro Dilvo dedica ritratti agli insegnanti come Libero Andreotti, Francesco Chiappelli, Pietro Parigi, Gianni Vagnetti e tanti altri, racconta episodi divertenti che avevano come protagonisti i compagni di studio tra i quali Renato Alessandrini, Virgilio Carmignani, Vera Cipriani, Vitaliano de Angelis, Marcello Fantoni, Sineo Gemignani, Venturino Venturi, e infine Rolando Filidei e Otello Pucci con i quali strinse un sodalizio durato oltre gli anni della scuola. "Non bisogna mai cedere al desiderio di tornare, scrive in chiusura di Memoria di Porta Romana - rivedere i luoghi dove siamo stati felici, quando la vita sembrava portarci in alto, e puntavamo con tutte le nostre forze; credevamo nell’avvenire, avremmo sfondato." Alla sua inventiva si devono anche il Carnevale dei bambini, la Festa degli Aquiloni, i Fuochi di San Giovanni, il Corteo storico. I frati di San Francesco hanno dedicato a Lotti l’Auditorium del loro grande Convento sanminiatese. Per questo centenario nuove iniziative sono in fase di progettazione.