To kalòs n. 2
Bella la sete
quando hai l’acqua,
bella la fame
quando hai il pane,
bello il sudore
quando c’è libertà,
bella l’ombra
quando c’è il sole,
bella l’attesa
quando c’è arrivo…
Bella la vita
quando è vita.
(Gigi Fioravanti)
Centro di Documentazione Rigoberta Menchù
La rassegna non rassegnata maggio 3-2010
In questo numero
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La lettera di Maria Luisa Busi "Non mi riconosco più nelTg1"
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Chi azzoppa i custodi della democrazia, BARBARA SPINELLI, La stampa
23.05.2010
Non avrei mai scritto Gomorra di ROBERTO SAVIANO
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Il nuovo regime per le armi nucleari: un mondo più sicuro... anzi no!
CHIESA, QUANTO CI COSTI: UN DOSSIER DELL'ISOLOTTO SUI "BENI"
ECCLESIASTI CI
SUPERARE "LA COLPA" PER ABBATTERE IL SILENZIO.
Lo scandalo taciuto, Gad Lerner, Nigrizia maggio 2010
Palestina Stéphane Hessel : "Israele beneficia di un'impunità
scandalosa"
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La lettera di Maria Luisa Busi "Non mi riconosco più nelTg1"
Un giornalista puo' togliere la firma, una conduttrice puo' togliere la faccia"
ROMA - "Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni
professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una conduttrice, può
soltanto levare la propria faccia, a questo punto". E' questo uno dei punti centrali della
lettera con cui Maria Luisa Busi ha annunciato l'intenzione di abbandonare la
conduzione del Tg1 1. La missiva, tre cartelle e mezzo affisse nella bacheca della
redazione del telegiornale, è indirizzata al direttore Augusto Minzolini e al Cdr, e per
conoscenza al direttore generale della Rai Mauro Masi, al presidente dell'azienda Paolo
Garimberti e al responsabile delle Risorse umane Luciano Flussi. Ecco il testo
integrale.
"Caro direttore ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice dell'edizione
delle 20 del Tg1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di
svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa
è per me una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto
imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il Tg1 rischia di
schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori".
"Come ha detto il presidente della Commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli: 'La più
grande testata italiana, rinunciando alla sua tradizionale struttura ha visto trasformare
insieme con la sua identità, parte dell'ascolto tradizionale".
"Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni. Perché è un grande giornale. E' stato il
giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella. Il giornale delle culture
diverse, delle idee diverse. Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza. Era il loro
giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di
molti altri qui dentro che sono stati emarginati. Questo è il giornale che ha sempre
parlato a tutto il Paese. Il giornale degli italiani. Il giornale che ha dato voce a tutte le
voci. Non è mai stato il giornale di una voce sola. Oggi l'informazione del Tg1 è
un'informazione parziale e di parte. Dov'è il Paese reale? Dove sono le donne della
vita reale? Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono
pagarla? Quelle coi salari peggiori d'Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad
andare avanti perché negli asili nido non c'è posto per tutti i nostri figli? Devono farsi
levare il sangue e morire per avere l'onore di un nostro titolo. E dove sono le donne e
gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le
loro famiglie. Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri?
E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare
neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio? E dove sono i
cassintegrati dell'Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono
e gli imprenditori del nord est che si tolgono la vita perchè falliti? Dov'è questa Italia
che abbiamo il dovere di raccontare? Quell'Italia esiste. Ma il tg1 l'ha eliminata.
Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in
una scuola pubblica. Ma la sera, nel Tg1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini
e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della
scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale".
"L'Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra
indifferenza. Schiacciata tra un'informazione di parte - un editoriale sulla giustizia, uno
contro i pentiti di mafia, un altro sull'inchiesta di Trani nel quale hai affermato di non
essere indagato, smentito dai fatti il giorno dopo - e l'infotainment quotidiano: da
quante volte occorre lavarsi le mani ogni giorno, alla caccia al coccodrillo nel lago, alle
mutande antiscippo. Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le
sceneggiature dei programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di
primo giornale del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese.
Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con
maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale".
"Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni
professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una conduttrice, può
soltanto levare la propria faccia, a questo punto. Nell'affidamento dei telespettatori è
infatti al conduttore che viene ricollegata la notizia. E' lui che ricopre primariamente il
ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori".
"I fatti dell'Aquila ne sono stata la prova. Quando centinaia di persone hanno inveito
contro la troupe che guidavo al grido di vergogna e scodinzolini, ho capito che quel
rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero
compromesso. E' quello che accade quando si privilegia la comunicazione
all'informazione, la propaganda alla verifica".
Nella lettera a Minzolini Busi tiene a fare un'ultima annotazione "più personale": "Ho
fatto dell'onestà e della lealtà lo stile della mia vita e della mia professione. Dissentire
non è tradire. Non rammento chi lo ha detto recentemente. Pertanto:
1)respingo l'accusa di avere avuto un comportamento scorretto. Le critiche che ho
espresso pubblicamente - ricordo che si tratta di un mio diritto oltre che di un dovere
essendo una consigliera della FNSI - le avevo già mosse anche nelle riunioni di
sommario e a te, personalmente. Con spirito di leale collaborazione, pensando che in
un lavoro come il nostro la circolazione delle idee e la pluralità delle opinioni
costituisca un arricchimento. Per questo ho continuato a condurre in questi mesi. Ma è
palese che non c'è più alcuno spazio per la dialettica democratica al Tg1. Sono
i tempi del pensiero unico. Chi non ci sta è fuori, prima o dopo.
2)Respingo l'accusa che mi è stata mossa di sputare nel piatto in cui mangio. Ricordo
che la pietanza è quella di un semplice inviato, che chiede semplicemente che quel
piatto contenga gli ingredienti giusti. Tutti e onesti. E tengo a precisare di avere
sempre rifiutato compensi fuori dalla Rai, lautamente offerti dalle grandi aziende per i
volti chiamati a presentare le loro conventions, ritenendo che un giornalista del
servizio pubblico non debba trarre profitto dal proprio ruolo.
3) Respingo come offensive le affermazioni contenute nella tua lettera dopo
l'intervista rilasciata a Repubblica 2, lettera nella quale hai sollecitato all'azienda un
provvedimento disciplinare nei miei confronti: mi hai accusato di "danneggiare il
giornale per cui lavoro", con le mie dichiarazioni sui dati d'ascolto. I dati resi pubblici
hanno confermato quelle dichiarazioni. Trovo inoltre paradossale la tua considerazione
seguente: 'il Tg1 darà conto delle posizioni delle minoranze ma non stravolgerà i fatti
in ossequio a campagne ideologiche". Posso dirti che l'unica campagna a cui mi dedico
è quella dove trascorro i week end con la famiglia. Spero tu possa dire altrettanto.
Viceversa ho notato come non si sia levata una tua parola contro la violenta
campagna diffamatoria che i quotidiani Il Giornale, Libero e il settimanale
Panorama - anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me diretta
- hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea
editoriale. Un attacco a orologeria: screditare subito chi dissente per indebolire la
valenza delle sue affermazioni. Sono stata definita 'tosa ciacolante - ragazza
chiacchierona - cronista senza cronaca, editorialista senza editoriali' e via di questo
passo. Non è ciò che mi disse il Presidente Ciampi consegnandomi il Premio Saint
Vincent di giornalismo, al Quirinale. A queste vigliaccate risponderà il mio legale. Ma
sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle 20. Thomas Bernhard
in Antichi Maestri scrive decine di volte una parola che amo molto: rispetto. Non di
ammirazione viviamo, dice, ma è di rispetto che abbiamo bisogno".
E conclude: "Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il
pubblico, per la verità.
Quello che nutro per la storia del Tg1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione.
Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre.
Anche tu ne avresti il dovere".
Chi azzoppa i custodi della democrazia, BARBARA SPINELLI, La stampa 23.05.2010
Contrariamente a quello che si tende a credere, non è il suffragio universale a sparire
per primo, quando la democrazia si spezza. Per primi sono azzoppati i suoi guardiani,
che non mutano col cambio delle maggioranze e che sono le leggi, i magistrati, le
forze dell’ordine, la stampa che tiene sveglio il cittadino tra un voto e l’altro. Anche le
costituzioni esistono per creare attorno alla democrazia un muro, che la protegge dalla
degenerazione, dal discredito, soprattutto dal dominio assoluto del popolo elettore.
Quando quest’ultimo regna senza contrappesi, infatti, le virtù della democrazia
diventano vizi mortiferi. Nella sua descrizione degli Stati Uniti, Tocqueville chiama i
guardiani i «particolari potenti»: sono la stampa, le associazioni, i légistes ovvero i
giuristi. In loro assenza «non c'è più nulla tra il sovrano e l’individuo»: sia quando il
sovrano è un re, sia quando è il popolo.
Queste mura sono in via di dissoluzione in Italia, da anni. Ma nelle ultime settimane
l’erosione ha preso la forma di un concitato giro di vite: un grande allarme s’è creato
attorno alla corruzione dilagante, seguito da un grande tentativo di mettere corruzione
e malavita al riparo dai custodi della democrazia. È un dramma in tre atti, che
vorremmo sottoporre all'attenzione del lettore.
Il primo atto risale al 17 febbraio, quando la Corte dei Conti constata, in apertura
dell’anno giudiziario 2010, l’enorme aumento del malaffare. La denuncia del
presidente della Corte e del procuratore generale, Tullio Lazzaro e Mario Ristuccia, è
grave: «Una sorta di ombra e nebbia sovrasta e avvolge il tessuto più vitale e operoso
del Paese», opponendo una «pervicace resistenza a qualsiasi intervento volto ad
assicurare la trasparenza e l’integrità» nelle amministrazioni pubbliche. I «necessari
anticorpi interni non vengono attivati», ed è la ragione per cui la cura della patologia è
«lasciata al solo contrasto giudiziale, per sua natura susseguente e repressivo». Le
conseguenze, nefaste, indicate da Lazzaro: «Il Codice Penale non basta più, la
denuncia non basta più. Ci vuole un ritorno all'etica da parte di tutti. Che io,
purtroppo, non vedo».
Qui cominciano gli atti decisivi del dramma. Quel che va in scena è la controffensiva
d’un governo che si sente asserragliato più che responsabilizzato: che a parole
annuncia misure anti-corruzione, e nei fatti predispone un’autentica tenda protettiva,
tale da coprire il crimine, sottraendolo agli occhi dei cittadini e della legge con tecniche
di occultamento sempre più perverse, garantendo a chi lo commette impunità sempre
più vaste. Nel secondo e terzo atto del dramma il crimine viene avvolto, ancora una
volta, «nella nebbia e nell’ombra».
Il secondo atto fa seguito alla condanna in appello dei capi-poliziotti che la notte del
21 luglio 2001 assalirono la scuola Diaz a Genova, durante un vertice G8,
massacrando 60 ragazzi inermi. «Nessuno sa che siamo qua, vi ammazziamo tutti»,
gridavano i picchiatori, quando invece i superiori sapevano. I fatti erano raccontati
nella sentenza di primo grado, ma le condanne non coinvolsero gli alti gradi della
polizia. In appello sono condannati anch’essi. Ebbene, cosa fa la politica? Assolve i
condannati, li trafuga in una nuvola come gli dei omerici facevano con i propri eroi, e li
lascia indisturbati al loro posto. Francesco Gratteri, capo della Direzione generale
dell’anticrimine ed ex direttore del Servizio Centrale Operativo, è condannato a 4 anni
e resta dov’è in attesa della Cassazione. Lo stesso succede a Giovanni Luperi, oggi
capo del Dipartimento analisi dell’Aisi (ex Sisde), condannato a quattro anni. Vincenzo
Canterini fu promosso questore nel 2005: aveva guidato la Celere contro la Diaz.
Il terzo e cruciale atto dell’operazione trafugamento del crimine è la legge sulle
intercettazioni. Ancor oggi si spera che essa non passi, grazie alla resistenza
congiunta di editori, stampa, magistrati, deputati finiani, Quirinale. Grazie anche
all’intervento del sottosegretario americano alla Giustizia Breuer, che evocando la
lotta antimafia di Falcone ha indirettamente smascherato la natura di una legge che
sembra patteggiata con la malavita. Fino all’ultimo tuttavia, e per l’ennesima volta
nell’ultimo quindicennio, Berlusconi tenterà di imbavagliare magistrati, mezzi
d’informazione. Se la legge sarà approvata, i magistrati faticheranno sempre più a
snidare reati, a istruire processi.
Potranno usare le intercettazioni solo in condizioni proibitive, e per una durata non
superiore a 75 giorni (se stanno per accertare un reato al settantaquattresimo giorno,
peggio per loro). Sarà proibito intercettare politici e preti senza avvisare le loro
istituzioni: un privilegio incostituzionale, davanti alla legge. Non meno gravemente è
colpita la stampa (quando riferisce su inchieste giudiziarie prima dei processi) per la
sanzione che può colpire giornalisti e editori. Questi ultimi, intimiditi da alte multe,
diverranno i veri direttori d’ogni cronista. Il direttore responsabile perderà prestigio,
peso. Bersaglio dell’operazione è non solo la stampa ma il cittadino. Si dice che il
suffragio universale è sacro e al tempo stesso si toglie, a chi vota, l’arma essenziale:
la conoscenza, i Lumi indispensabili per capire la politica e dunque esercitare la
propria vigile sovranità.
Ci sono eventi storici che solo la letteratura spiega fino in fondo e anche in Italia è
così. Proviamo a leggere Il Rinoceronte di Eugène Ionesco e vedremo descritto,
limpido, lo strano mondo in cui dai primi Anni 90 anni viviamo: un mondo che tutela il
crimine, allontanandolo dalla scena e rendendolo sia invisibile, sia impunibile. Un
mondo dove i custodi della democrazia sono neutralizzati e il popolo, bendato perché
disinformato, vive e vota dopo esser mutato interiormente. Un regime simile ci
trasforma ineluttabilmente nelle bestie a quattro zampe descritte dal drammaturgo. In
principio passa un rinoceronte: è bizzarro, ma passa. Poi piano piano tutti si
trasformano. Perfino il filosofo diventa prima un po’ verde, poi le mani raggrinziscono,
poi sulla fronte gli cresce il corno.
La mutazione genetica di cui ha parlato Sergio Rizzo sul Corriere del 6 maggio avviene
quando cadono le categorie umane classiche: il confine fra lecito e illecito, bene e
male («il Male! Parola vuota!», dice Dudard a Berenger, nel Rinoceronte). In
questione non resta che lo «stato d’animo». Come per Denis Verdini: indagato per
concorso in corruzione, il coordinatore del Pdl non si dimette come Scajola perché,
assicura, «non ho questa mentalità».
Chi ha desiderio di cedere, nel dramma di Ionesco, lo fa perché il rinoceronte gli
appare più naturale dell’uomo, perché «possiede una specie di candore», perché
emette un barrito incomprensibile ma sonoro, trascinante. Cedere è attraente, come
spiega Dudard a Berenger. È questione di mentalità, appunto: «Io mi limito a
constatare i fatti e a prenderne atto. E poi, dal momento che la cosa esiste, ci sarà
bene una spiegazione (...) Se ce la prendessimo con tutto quello che succede, non
vivremmo più. Dal momento che è così, non può essere altrimenti». E conclude,
cercando di convincere l’amico ribelle: «Lei vede tutto nero... Dobbiamo imporci a
priori un atteggiamento favorevole o, per lo meno, l’obiettività, l’ampiezza di vedute
proprie di una mente scientifica. Tutto ha una logica: comprendere vuol dire
giustificare». Chi guarda il notiziario del Tg1 in questi giorni avrà conferma della
mutazione genetica. Niente sui capi-poliziotti della Diaz che mantengono la carica
disonorando uno dei più importanti corpi dello Stato. Quasi niente sulle intercettazioni
controverse. Fortuna che la ribellione non manca. Fortuna che al Tg1 c’è Maria Luisa
Busi, che toglie la firma e non vuol essere rinoceronte.
Berenger è l’unico a resistere, a non avere la tollerante «ampiezza di vedute»
consigliata dai falsi amici. Alla fine è solo, in una città di rinoceronti. Non ha ceduto
alla forza che ti trasforma: la stanchezza infinita che ti può assalire, il «bisogno di
lasciarsi andare», il fatale conformismo. Il pragmatismo di chi dice: meglio, se si vuol
sopravviver quieti, tenere i due piedi ben piantati in terra. Anzi, i quattro piedi.
Non avrei mai scritto Gomorra di ROBERTO SAVIANO
(…)
L'esigenza legittima di dare una misura, di porre un argine alla pubblicazione delle
intercettazioni ossia di difendere la regolarità dello svolgimento delle indagini non
deve in alcun modo, però, impedire la libertà di raccontare, di informare la gente su
quel che sta accadendo. Perché se da un lato è necessario tutelare chi è oggetto di
indagini da atteggiamenti giustizialisti o da garantismi pretestuosi, quello che non
deve in alcun modo essere limitato è la possibilità di utilizzare tutte le risorse a
disposizione degli inquirenti per fare chiarezza.
Ma in realtà questa legge è figlia diretta della logica mediatica. È una verità evidente
sino a ora trascurata. Questa legge risponde al meccanismo mediatico che sa bene
come funziona l'informazione e ancor più l'informazione in Italia. Pubblicare le
intercettazioni soltanto quando c'è il rinvio a giudizio, se da un lato è garanzia per gli
indagati, dall'altro genera un enorme vuoto che riguarda proprio quel segmento di
informazioni che non possono essere rese di dominio pubblico. Questo sembra essere
il vero obiettivo della legge: impedire alla stampa, nell'immediato, di usare quei dati
che poi, a distanza di tempo, non avrebbe più senso pubblicare. In questo modo le
informazioni veicolate rimarranno sempre monche, smozzicate, incomprensibili.
Quello che mi sento di dire è che governo, magistratura e stampa, in questa vicenda,
dovrebbero trovare un terreno comune di discussione, perché di questo si tratta, di
riappropriarsi di un codice deontologico che renda inutile il varo di leggi che limitino la
libertà di stampa, di espressione e di ricerca delle informazioni. Non è limitando la
libertà di stampa e minacciando l'arresto dei giornalisti che si arriva a creare una
regola condivisa. E in questa discussione mi sento profondamente coinvolto perché
sotto la legge che si vorrebbe far passare, il mio lavoro e quello di molti miei colleghi
sarebbe stato notevolmente più arduo se non, in certe sue fasi, impossibile. Se ci
fosse stata questa legge non avrei potuto scrivere intere parti di Gomorra, il
cui dialogato talvolta è formato da intercettazioni che ho utilizzato molto prima del
rinvio a giudizio e che avevano un valore di inchiesta ancor prima che un valore
giudiziario.
(…)
Nel Ddl intercettazioni è anche inserito un emendamento, la "norma D'Addario" che
regolamenta l'uso delle registrazioni. Seguendo quanto prescritto non avrei potuto
registrare molte delle testimonianze che ho raccolto senza l'esplicito consenso del mio
interlocutore e che ho riportato in Gomorra; testimonianze che di certo non sarebbero
rientrate in quelle eccezionalmente fatte per la sicurezza dello Stato.
Molte vicende non sarebbero mai venute alla luce e benché spesso io abbia omesso i
nomi reali e mi sia limitato a raccontare i meccanismi, credo che neppure quello sarei
stato in grado di fare, rischiando pene severissime. Quando, non molto tempo fa, ho
incontrato un pentito e ho registrato quello che mi ha raccontato, l'ho fatto senza sua
autorizzazione e senza sapere quale sarebbe stato l'esito di quell'incontro. Di fatto, se
non c'è reato in quello che viene registrato, si rischia molto e questo può pregiudicare
anche la lotta alle estorsioni poiché chi ne è vittima e decide di presentarsi
microfonato a un colloquio, se l'estorsione non avviene ed è scoperto a registrare,
rischia fino a quattro anni di carcere. Tutto questo per dire che togliere la libertà a chi
racconta, togliere gli strumenti per capire cosa sta accadendo non è un modo per
difendere il diritto delle persone, non è un modo per salvaguardare la privacy.
L'uso delle intercettazioni deve essere regolamentato. Le regole devono essere
condivise e affrontate insieme, non imposte. Questa legge rischia di essere, se non
verrà profondamente modificata, solo l'affermazione che il potere non può essere
raccontato, descritto, ascoltato. In una parola che tutto gli è concesso.
CHIESA, QUANTO CI COSTI: UN DOSSIER DELL'ISOLOTTO SUI "BENI" ECCLESIASTI CI
35598. FIRENZE-ADISTA. "Il potere economico del Vaticano, ovvero i novelli
mercanti del tempio": di questo si è parlato domenica 9 maggio alla Comunità
dell'lsolotto sulla base di informazioni e riflessioni raccolte (e citate nella relazione
della giornata) dai membri della stessa cdb fiorentina. Sono emerse "le enormi
contraddizioni tra il richiamo evangelico e la situazione reale: una notevole quantità di
beni finanziari; un grandissimo patrimonio immobiliare dislocato al di fuori della Città
del Vaticano; una grande libertà di gestire questi beni senza dover essere soggetti alle
leggi italiane (il Vaticano in questo senso si configura come un paradiso fiscale); la
concessione di una serie di privilegi di stampo 'feudale' da parte dello Stato Italiano e
la gestione spregiudicata, talvolta anche malaccorta, spesso penalmente rilevante
quando non di tipo mafioso, di grandi quantità di denaro; infine, l'essere strumento
illegale di operazioni di 'lavaggio' e 'riciclaggio' di titoli e denaro sporchi".
Il testo, di dieci pagine, presenta conti e considerazioni su quanto lo Stato italiano
versa alla Chiesa - fra 1'8%0 destinato alla Chiesa cattolica dai cittadini italiani, le
convenzioni con le scuole private e la sanità, gli stipendi agli insegnanti di religione e
le esenzioni/ sconti su Irap e lres - e su comequesti soldi vengono spesi (stipendi ai
preti, "esigenze di culto", nuova "edilizia di culto", catechesi, tribunali ecclesiastici,
interventi caritativi, ecc.); racconta "la storia dell'lci", delle "proprietà immobiliari
vaticane" e della loro gestione; e si sofferma sul grande business del turismo religioso,
che si avvantaggia anche di interventi pubblici e accordi con istituzioni civili. Quasi tre
pagine, infine, sono dedicate alla storia dello lor, la banca vaticana, "da Sindona a
Dardozzi". Il testo integrale è consultabile all'indirizzo internet WWW.baraccheverdi.splinder.com/
•
Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica 9 maggio 2010
Il potere economico del Vaticano
ovvero : I novelli mercanti del tempio
riflessioni di Carlo, Chiara, Claudia, Gisella, Luisella, Maurizio
Dal vangelo secondo Marco(Mc 10,17-30).
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e,
gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa
devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi
chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti:
"Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso,
non frodare, onora tuo padre e tua madre"».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia
giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa
sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in
cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne
andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile,
per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano
sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è
difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un Kamelos [da tradurre come
grossa fune e non come cammello] passi per la cruna di un ago, che un ricco
entri nel regno di Dio».
Dal Vangelo di Marco (Mc 11, 15-19)
Andarono intanto a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli
che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e
le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si portassero cose
attraverso il tempio. E diceva: "Non sta forse scritto: La mia casa sarà
chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi invece ne avete fatto
una spelonca di ladri!".
Lo udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire.
Avevano infatti paura di lui, perché tutto il popolo ammirava le sue parole.
Quando venne la sera lasciarono la città.
Premessa: questa domenica vogliamo raccontare e discutere del potere
economico del Vaticano mettendo in risalto le enormi contraddizioni tra il
richiamo evangelico e la situazione reale: una notevole quantità di beni
finanziari; un grandissimo patrimonio immobiliare dislocato al di fuori della Città
del Vaticano; una grande libertà di gestire questi beni senza dover essere
soggetti alle leggi italiane (il Vaticano in questo senso si configura come un
paradiso fiscale); la concessione di una serie di privilegi di stampo “feudale” da
parte dello Stato Italiano e la gestione spregiudicata, talvolta anche malaccorta,
spesso penalmente rilevante quando non di tipo mafioso di grandi quantità di
denaro; infine essere strumento illegale di operazioni di “lavaggio” e
“riciclaggio” di titoli e denaro sporchi.
Tutte le nostre informazioni sono tratte dalla seguente bibliografia:
“La Questua”, Curzio Maltese, Ed. Feltrinelli, 2008
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Il dossier de “L’Europeo” - “Il premier Ratzinger. La più antica monarchia
assoluta d’Occidente. Finanze disinvolte (Ior e Banca Rasini) e vantaggi fiscali
dal 1929 ad oggi”, ottobre 2009
“Vaticano S.p.a.”, Giunluigi Nuzzi, Ed. Chiare Lettere, 2009
www.chiarelettere.it vedere lavoce : Vaticano SpA
1. I FINANZIAMENTI “LEGITTIMI” ANCHE SE DISCUTIBILI 1.1 Quanto lo Stato
Italiano versa al Vaticano
Quanto costa la Chiesa[1] agli italiani? Curzio Maltese ne “La questua” scrive: ”...
si può stabilire che la Chiesa cattolica costa ogni anno ai contribuenti italiani una cifra
vicina ai quattro miliardi e mezzo di euro, tra finanziamenti diretti dello Stato e
degli enti locali e mancato gettito fiscale.
La prima voce[quella dei finanziamenti diretti] comprende il miliardo di euro
dell'otto per mille, i 950 milioni per gli stipendi dei 22mila insegnanti dell'ora di
religione, altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e
sanità[2].
Poi c'è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi dal Giubileo (3500
miliardi di lire) al raduno di Loreto (2,5 milioni di euro), per una media annua nell'ultimo decennio - di 250 milioni.
A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla Chiesa occorre aggiungere il
cumulo di vantaggi fiscali. … si può valutare in una forbice fra 400 ai 700 milioni il
mancato gettito per l'Ici (stime "non di mercato" dell'Associazione dei Comuni), in
500 milioni lo sconto del 50% su Ires, Irap e altre imposte, in altri 600 milioni
l'elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni
anno da e per l'Italia un flusso di 40milioni di turisti e pellegrini.
SUPERARE "LA COLPA" PER ABBATTERE IL SILENZIO.
A VERONA, INCONTRO DI VITTIME DEI PRETI PEDOFILI
35594. VERONA-ADISTA. Nonostante i tentativi di insabbiamento da parte delle
gerarchie cattoliche e, malgrado gli ancor più goffi sforzi per arginare il
"chiacchiericcio" mediatico, ormai il vaso è stato scoperchiato. E ora le vittime dei
preti pedofili escono allo scoperto, rialzano la testa e iniziano ad organizzarsi. Il primo
appuntamento in calendario è a Verona, il 25 settembre prossimo, per il primo
incontro nazionale tra le vittime della pedofilia ecclesiastica. L'idea di organizzare il
meeting è nata dall'iniziativa spontanea di alcune famiglie coinvolte, che hanno
rivendicato l'urgenza di coordinarsi tra loro con "lo scopo di creare uno spazio di
fiducia e confidenza per chi non è mai riuscito a parlare degli abusi subiti".
Il desiderio di lanciare un'iniziativa di coordinamento, hanno detto alla nostra
agenzia i promotori dell'evento, è nata già nel 2006: "Abbiamo provato a metterci in
contatto, inseguendo le notizie dei giornali, con qualche vittima fuori dalla città per
proporre un collegamento. I diversi tentativi sono sempre falliti: nessuno aveva la
volontà di esporsi, già troppa la fatica di aver denunciato o di aver cercato
comprensione nelle gerarchie. Poi, lo scorso anno, gli amici dell'Associazione sordi
Provolo di Verona ci hanno dato la loro disponibilità e così abbiamo promosso
l'incontro". L'Associazione Provolo è nata dall'iniziativa di un gruppo di ex allievi,
abusati tra gli anni '50 e '80, da 25 religiosi della Congregazione della Compagnia di
Maria, nell'Istituto Antonio Provo lo di Verona per l'educazione dei sordomuti (v.
Adista n. 13/09).
'
Il programma dell'incontro di settembre prevede due fasi: durante la mattinata, i
partecipanti potranno raccontare pubblicamente la loro drammatica esperienza; la
seconda parte della giornata, invece, porrà al centro della riflessione le idee e le
proposte concrete su "come costruire un collegamento fra le vittime degli abusi dei
preti, al di là del convegno di Verona".
Perché dopo decenni di violenze si è dovuto attendere fino ad oggi per un atto di
verità? A contribuire a tanto silenzio, hanno affermato i promotori del convegno, la
delicata condizione psicologica delle vittime, umiliate ed isolate: "Il senso di colpa ti fa
vergognare, chi confessa di essere cattivo? Quando sei bambino o adolescente sei
confuso. Il prete è un amico di famiglia, ti ha detto che è Gesù che lo vuole, che i tuoi
genitori sono d'accordo. Oppure ti minaccia dicendo che il diavolo farà morire i tuoi
cari. E poi con chi parlare? Il papà e la mamma non ci possono credere, gli altri
pensano che ti sei inventato tutto o che non è una cosa grave". Ma poi questo silenzio
si protrae anche in età avanzata: "Da adulto la vergogna prende il sopravvento; non
ne parli neanche con la moglie. E lui, il prete pedomo, è ancora lì, magari ha fatto
carriera ed è stimato. La situazione della Chiesa in Italia nelle parrocchie e nelle
diocesi è chiara: non c'è ancora stato il 'risveglio"'.
Parallelamente ai lavori del convegno, gli organizzatori del meeting hanno anche
avviato la costruzione del sito internetwww.lacolpa.it, per la diffusione e il
coordinamento dell'iniziativa. Adista 22 maggio 2010
Lo scandalo taciuto, Gad Lerner, Nigrizia maggio 2010
La vicenda delle coperture offerte sistematicamente, in . numerose diocesi, a
sacerdoti che approfittavano del ruolo per molestare o addirittura violentare dei minori
loro affidati, sta giustamente scuotendo la chiesa. Il Papa stesso, chiamato in causa
per le distrazioni o gli eccessi di cautela riguardanti il tempo in cui era vescovo, e poi
per più di 23 anni Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, appare
sofferente. A differenza di molti esponenti della curia vaticana, che hanno esibito
un'impreparazione culturale sulle questioni sessuali e una modestia argomentativa
nella difesa d'ufficio della chiesa, a dir poco sconcertanti, Benedetto XVI non ha
esitato a parlare di vergogna e colpevolezza. Temo, però, che il suo comportamento,
dalla lettera ai cattolici irlandesi in poi, non sia bastato a evitare una caduta di
autorità morale della chiesa. Meno avvertibile in Italia, dove la televisione ha trattato
con reticenza imbarazzata l'argomento. Ma devastante negli Stati Uniti, in Irlanda, in
Germania, in Austria e in molti altri paesi.
Il Vaticano ha reso note delle linee di comportamento severe in vigore dal 2003, che
prevedono l'immediata denuncia alle autorità civili dei sacerdoti di cui si è appresa la
pratica di questi reati così odiosi. Eppure, non risultano, se non di recente, dopo
l'esplosione dello scandalo, casi di denuncia delle malefatte alla magistratura da parte
dei superiori ecclesiastici. Più facile è riscontrare trasferimenti operati con l'intento di
mettere a tacere lo scandalo. Con il risultato, talvolta, di consentire ai medesimi
soggetti di procurarsi altre vittime innocenti.
Il silenzio come opportunità raccomandabile è stato così a lungo perseguito da
venire, in tal uni casi, richiesto alle stesse vittime come vincolo di fede e
sottomissione. Quasi che esse dovessero sentirsi in colpa per il fatto di avere
denunciato le violenze subite. E quasi che toccasse loro in sovrappiù la minaccia di
venire additate come nemiche della chiesa.
È stato istruttivo sentire, come argomento a discolpa della chiesa, l'idea che
qualsiasi famiglia, o scuola, o società sportiva avrebbe agito nello stesso modo per
imbarazzo e per limitare i danni. Davvero la chiesa si mette sullo stesso piano di una
qualsiasi famiglia, scuola, società sportiva? Poi si è vociferato di percentuali elevate di
violenze sessuali tra gli esponenti di altre religioni. Ma, ammesso che tale argomento
sia degno, c'è forse un'altra religione che abbia previsto nei suoi vertici di proteggere i
colpevoli dall'azione giudiziaria statale?
Infine, ho sentito dire che i sacerdoti colpevoli sarebbero stati indotti in tentazione
dalla corruzione dell'ambiente esterno, in tempi di "liberazione sessuale". Ciò che è
contraddetto dal fatto che la maggioranza degli episodi denunciati riguarda periodi
precedenti la cosiddetta "liberazione sessuale". La quale avrà peraltro molti torti, ma,
pur nella sua vaghezza ideologica, ha sempre contemplato il piacere di una relazione
erotica paritaria e consenziente. L’esatto contrario di atti inconsapevoli, segretamente
imposti a minori con cui si è instaurato un gioco di sottomissione.
Campagna “porta a porta” per illustrare ai palestinesi quali sono i prodotti
delle colonie
Migliaia di volontari in Cisgiordania distribuiranno nei prossimi giorni opuscoli sui
prodotti delle colonie, per creare consapevolezza in merito al boicottaggio.
L’organizzazione Al Karameh Found, che promuove la costruzione di uno stato
palestinese ed il suo sviluppo economico, sta lanciando in questi giorni una campagna
di base “porta a porta” allo scopo di creare consapevolezza tra la popolazione
palestinese in merito ai prodotti delle colonie.
La campagna sarà lanciata il 18 maggio 2010 alle 10 del mattino in tutti i
governatorati palestinesi nella West Bank. L’inizio della campagna sarà festeggiata con
cerimonie, alla presenza di tutti i governatori. La cerimonia principale si svolgerà a
Ramallah presso la sede del municipio e nel governatorato di Al Bireh, ad Al Masyoon.
Durante la cerimonia sarà distribuito un opuscolo, con la lista dei nomi e le foto dei
prodotti delle colonie e dei marchi venduti illegalmente sui mercati palestinesi. Dopo le
cerimonie, 3mila volontari andranno casa per casa per distribuire gli opuscoli in circa
427mila famiglie.
Al Karameh Found è un’organizzazione che ha come scopo quello di raggiungere
l’indipendenza economica in Palestina attraverso il supporto all’economia locale. Lo
spirito è quello di rafforzare, incoraggiare e promuovere il commercio dei prodotti
palestinesi locali, attraverso la loro promozione e la sostituzione di tutti i prodotti
provenienti dalle colonie, e importanti sui mercati palestinesi, illegali per il diritto
internazionale.
Per maggiori informazioni contattare:
Haitham Kayali
Tel. 00972 0597 923260
00972 02 2980319
(Traduzioni in italiano di Cecilia Dalla Negra – Associazione per la Pace)
Stéphane Hessel : "Israele beneficia di un'impunità scandalosa"
Par Propos recueillis par Claire Gallien
Co-autore della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, questo
grande testimone del XX°secolo, ardente militante della pace e della nonviolenza,
ha posto tutto il peso della sua autorità morale al servizio di una
causa: il diritto dei Palestinesi ad uno Stato vivibile.
Ambasciatore di Francia, Stéphane Hessel, 93 anni, ha difeso per tutta la
sua vita l'applicazione del diritto internazionale. Nato a Berlino alla fine
della Prima Guerra mondiale da padre ebreo e madre protestante, lascia la
Germania nel 1924 e risponde all'appello del Generale De Gaulle nel 1941.
Arrestato e in seguito deportato, si salva dai campi di concentramento e
alla fine della guerra entra nell'Onu a capo del gabinetto di Henri Laugier,
segretario aggiunto dell'organizzazione. Partecipa nel 1948 alla redazione
della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo.
Da allora lotta su tutti i fronti per il rispetto del diritto internazionale,
concentrando la sua attività nel conflitto israelo-palestinese.
Jeune Afrique : Quali sono le sue ultime iniziative per risolvere il
conflitto israeliano-palestinese?
Stéphane Hessel: Abbiamo creato un tribunale Russel per la Palestina, in
onore a Bertrand Russel, grande umanista britannico che negli anni '70
aveva dato il suo nome ad un tribunale d'opinione pubblica sul Vietnam.
Trenta anni dopo pensiamo che lo stesso tribunale potrebbe indicare nelle
sessioni di esperti quali sono le violazioni insopportabili commesse non
solo da Israele, ma anche dall'Unione Europea (UE), gli Stati Uniti e le
multinazionali. Questo tribunale ha tenuto la sua prima sessione a
Barcellona nel mese di Marzo. La seconda sessione è prevista a Londra nel
corso del 2010 e avrà per tema le forniture d'armi. Ricordiamo che è
vietata la vendita di armi ad un paese in guerra. Ma nel caso di Israele, la
lista delle violazioni internazionali è impressionante!
Ha visitato la Palestina recentemente?
Nel corso degli ultimi tre anni, in seguito all'invito di miei amici israeliani,
che fanno parte di una minoranza coraggiosa, ci siamo stati, la mia
compagna e io, per tre volte. Abbiamo constatato che la situazione in
Cisgiordania è complicatissima poiché occupata e colonizzata. Le strade
non sono accessibili ai palestinesi. Questi sono trattati con un disprezzo
terribile da Israele. Riguardo la Striscia di Gaza, questa è stata rinchiusa in
ciò che possiamo chiamare “una prigione a cielo aperto”. L'operazione
“Piombo fuso”, da dicembre 2008 a gennaio 2009, è stata una successione
di crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Il modo in cui l'armata
israeliana si è comportata è assolutamente scandaloso. Noi eravamo a
Gaza contemporaneamente al team diretto dal giudice Goldstone, e posso
testimoniare che quello che rileva il rapporto Goldstone è esatto.
Israele ha deciso di superare le raccomandazioni di questo rapporto.
Goldstone ha accusato Israele di crimini di guerra e gli ha domandato di
presentare una sua difesa. Nello stesso tempo, il rapporto è stato inoltrato
al Consiglio dei diritti dell'uomo a Ginevra, che lo aveva inizialmente
ordinato. Questo consiglio, lo ha provato con una maggioranza molto netta
e lo ha inviato per esaminarlo all'Assemblea Generale di New York. Ma in
seno a questo stesso consiglio gli stati Europei si sono astenuti, e gli Stati
Uniti si sono opposti a questo esame. Il rapporto diventerà vincolante solo
se approvato dal Consiglio di Sicurezza. Gli Stati Uniti opporranno con
forza il loro veto ad ogni sanzione contro Israele.
Il rapporto è ugualmente severo con Hamas...
Riconosce di restare aperti allo sguardo di Hamas e di dialogare con questo
partito. Hamas è una forza politica che fa parte integrante dei territori
palestinesi. Non si potrà decidere del futuro della Palestina senza Hamas.
Posso capire le reticenze di Israele a trattare con Hamas dal momento che
ha chiaramente dichiarato di non rispettare la sicurezza di Israele. Ma è più
importante avviare contatti con Hamas quale che siano le riserve riguardo
le sue ultime intenzioni.
Come è possibile che Israele continui ad agire in totale impunità?
Il governo di Israele beneficia in effetti di un'impunità scandalosa, da anni
ridicolizza il diritto internazionale e rigetta le risoluzioni dell'ONU, non
rispetta la Convenzione di Ginevra. In proposito ci sono tre ragioni.
Dapprima Israele ha ottenuto la pace con l'Egitto e la Giordania.
Conseguentemente l'appoggio dei paesi arabi ai Palestinesi è stato meno
efficace. In seguito quest'ultimi si sono gravemente indeboliti a causa delle
loro divisioni interne. Infine l'UE e gli USA considerano Israele come loro
alleato nella regione e lo difendono, anche quando fa delle cose riprovevoli.
Il vostro impegno è ricambiato in Israele?
Conosco degli israeliani, come Michel Warschawski, Gideon Levy,
giornalista di Haaretz e altri ancora come Jeff Halper, direttore di
un'organizzazione per la ricostruzione delle case palestinesi demolite, che
fanno parte di una minoranza coraggiosa che lotta contro l'attuale governo
israeliano. (…)
Quando ha capito quello che è successo?
Per vent'anni, ho continuato a considerare favorevolmente lo sviluppo di
Israele: ero affascinato dai kibbutz e dai moshav. Tutto è cambiato nel 1967
con la guerra di Sei giorni. Questa guerra, vinta da Israele praticamente in
una mattinata, ha dato ai governi dell'epoca quello che io chiamo un
hubris, un sentimento di superiorità straordinaria,che li ha portati a non
tener più conto del diritto internazionale. Dal 1967 mi sono impegnato nel
campo di coloro che volevano un ritiro delle forze israeliane e la creazione
di uno Stato Palestinese.
Traduzione di F.P. dal sito della rivista Jeune Afrique
A 17 anni dalla morte “Caro don Tonino, ho nostalgia di te”
NICHI VENDOLA, Adista 15 maggio 2010
Caro don Tonino, faccio sempre il gioco di provare a guardare il mondo mettendomi
dal punto di vista delle tue parole, inseguendo il tuo sguardo, inerpicandomi sulle
vette delle tue domande rivolte al gregge ma anche ai pastori, smarrendomi lungo le
latitudini sconfinate del tuo pensiero di Dio: del Dio che danza sulle gambe dei poveri,
che si fa compagno piuttosto che giudice della storia umana, che carezza i perdenti e
annuncia la novella di una resurrezione dalla morte, che stringe un nodo potente tra il
divino e l'umano, tra il tempo e l'eternità.
Ma penso che i tuoi occhi, a poter vedere in rapida sequenza il film di questi anni
cupi che ci separano dalla -tua scomparsa, sarebbero abbagliati dalla luce sporca dello
scandalo.
Siamo in un punto buio della notte, ci siamo pure persi la sentinella biblica a cui
chiedere notizie sull' arrivo di una agognata alba, forse ci siamo abituati alle luci
artificiali e il tempo dell'attesa (dell'vvento) si è come impigliato in un orologio da
supermarket: una immensa nube tossica di oblio, di indolente distrazione, di colpevoli
amnesie, assedia il nostro presente. Se non conosci il passato, il suo ritmo e la sua
fatica, rischi di non imparare il confine tra il bene e il male, rischi di non imparare
l'arte difficile del discernimento.
La coniugazione di Sant' Agostino dei tre tempi del presente (il passato del presente,
il presente del presente, il futuro del presente) si sfrangia nell'attimo fuggente del
vortice consumista. n futuro è ipotecato dal virus produttivo ed esistenziale della
precarietà. Il mondo è globale nelle truffe finanziarie ma è maledettamente
territorializzato nelle patrie della purezza etnica o della solidarietà mafiosa e
corporativa.
Vedi, don Tonino, io sento nostalgia struggente della tua voce e della tua
cosmogonia, perché ho l'impressione che le cose si siano fatte molto più complicate.
L'eroe del nostro tempo non è certo quel tuo samaritano o zingaro o beduino che
dinanzi a una qualunque vittima ( e dunque dinanzi al calvario di Cristo) «lo vide e ne
ebbe compassione». Il sacerdote e illevita che hanno una certa fretta autostradale,
lungo la Gerusalemme-Gerico della nostra quotidianità, saranno loro i nostri
pedagoghi, la nostra fredda cattedra di realismo benpensante. Oggi vincono e
convincono quelli che non hanno tempo per occuparsi di vittime, di poveri, di esuberi,
di quelle «pietre di scarto»che nel Vangelo saranno le «pietre angolari» dell'edificio
della salvezza: quelli che girano lo sguardo da un'altra parte, quelli che fingono di non
vedere l'orrore, quelli sono gli eroi di cartapesta del nostro immaginario e della nostra
etica pubblica.
Oggi gli afflitti vengono ulteriormente afflitti e i consolati ulteriormente consolati.
Sembra un universo capovolto con un dio seriale e mediatico, talvolta usato come un
sedativo o magari un eccitante spirituale, come un Internet teologico. La crisi del
mondo scopre le proprie carte persino con uno sconosciuto vulcano islandese che,
risvegliandosi ed eruttando, con la sua nube premonitrice avvolge l'intera Europa. Non
c'è varco che indichi l'intangibilità della vita: l'economia appiccica prezzi e toglie valore
alle persone, la mercificazione non ha senso del limite, anche i bambini sono mercelavoro esposti a qualsivoglia violazione, i vecchi sono delocalizzati dalla finanza
domestica e rottamati o esiliati, le donne pagano a prezzo salatissimo la rivendicazione della propria libertà (cioè della propria dignità), torna la stagione degli
acchiappafantasmi. Ognuno ha la propria ossessione, il proprio fantasma da
esorcizzare.
Torna, come se la storia si fosse del tutto ammutolita, la ruvida antropologia
dell'antisemitismo, c'è chi vorrebbe metter su un Ku Klux Klan in versione padana, gli
stranieri sono l'extra della nostra umanità, oltre che della nostra comunità: appunto,
extra-comunitari. E poi clandestini. Figli di un altro dio, di nessun dio.
La pace di Isaia, il disarmo dei pacifisti, il digiuno che purifica, l'astinenza dall'odio:
dov'è tutto questo, carissimo don Tonino? Dov'è la Pasqua della responsabilità sociale
e della convivialità culturale? Anche la Chiesa spesso pare più vocataall'autodifesa che
non all'annuncio. L'Annuncio, sÌ carissimo pastore, quello che tu hai saputo incarnare
nella ferialità di un amore senza misura ( «charitas sine modo»): amore capace di
giudizio storico, capace di passione civile, capace di condivisione radicale.
Tu sapevi essere la sentinella che annuncia l'alba. E i tuoi scritti, le tue preghiere, le
tue sacre sfuriate, la tua dolcezza accogliente, erano fasci di luce che illuminavano i
nostri passi. Ti ho scritto questa lettera in tono apocalittico, perché tu mi hai
insegnato che bisogna denunciare il male non per stimolare cinismo e rassegnazione,
ma per allenare la coscienza alla ricerca del bene, del giusto, del bello. Ora che
comincio a misurare l'agenda dei miei ricordi in decenni, ora che mi capita di avere più
confidenza con la tristezza dei lutti, ora sento più forte la tua voce ( quella tua
salentinità planetaria) che ci dice di rallegrarci, di saper scorgere il profilo dell'aurora
anche quando ci si senta sprofondati nel buio degli abissi. Don Tonino, la tua santità
continua a dare luce e calore. A me, a tanti. Sempre ci accoglie la tua ala di riserva. .
Il nuovo regime per le armi nucleari: un mondo più sicuro... anzi no!
Angelo bracca, Mosaico di Pace maggio 2010
C'è voluto più di un anno dalle roboanti dichiarazioni di Obama sulle drastiche riduzioni delle armi nucleari e la prospettiva della loro eliminazione, ribadite nel summit
di giugno con Medvedev, perché vedessero faticosamente la luce (e non per caso
simultaneamente) il nuovo trattato START (Strategie Arms Reduetion Treaty) e la
nuova strategia nucleare statunitense (NPR, Nuclear PostureReview), dopo estenuanti
negoziati, ed evidenti contrasti all'interno dell' Amministrazione Usa. Ora i
commentatori si dividono tra ottimisti - "un consistente passo avanti, soprattutto
rispetto all'era Bush" - e pessimisti - "accordo deludente, strategia Usa ancora
offensiva". li mio parere è che la valutazione debba andare ardi là del solo aspetto
degli armamenti nucleari, e guardare a quello che è stato con tutta evidenza (e
rimarrà) il punto del contendere tra i due Paesi: il sistema di difese antimissile che gli
Usa (e non solo) stanno sviluppando, e sarà l'ossatura del sistema militare del futuro.
Un sistema estremamente complesso e articolato, a molti strati (multi layered) , che
va ben al di là dei radar per il tracciamento e i missili intercettatori destinati
all'Europa, ma comprende una decina di sistemi diversi, basati a terra, in mare e nello
spazio, per intercettare e distruggere i missili attaccanti in tutte le fasi di volo (di
spinta, inerziale, di rientro).
NUOVI ARSENALI
La mia profonda convinzione è che lo sviluppo, ancora iniziale, di questo sistema
prefigura un enorme salto militare, paragonabile a quello che avvenne con lo sviluppo
dei missili balistici al posto (o in aggiunta) ai bombardieri strategici. Qualora un
sistema integrato e articolato di intercettazione di questo tipo funzioni (e non è ancora
detto, alI 00 %, ma ormai il salto è fatto, e gli sviluppi e gli interessi economici sono
colossali), il Paese che lo detenga acquista una superiorità determinante, divenendo
potenzialmente invulnerabile, e libero di sferrare un primo colpo ovunque. I russi
l'hanno capito benissimo e hanno una paura terribile: per un anno hanno cercato di
ottenere delle garanzie e degli impegni, anche nel testo dello START, inutilmente. Ma
Mosca ha precisato che si riserva di uscire dal trattato qualora veda la propria sicurezza minacciata dai futuri sviluppi di queste difese.
Il punto che sottolineo per valutare il nuovo trattato è che, di conseguenza, un nuovo
sistema militare basato sulle difese antimissili potrebbe essere compatibile con (o
necessitare di) un numero molto minore di testate nucleari. Sarei, quindi, prudente
nel valutare le riduzioni degli arsenali stabilite dal nuovo START a prescindere dal
resto.
Le riduzioni quantitative ci sono, anche se non proprio drastiche, e non senza ambiguità. 1. 5 50 testate per parte (perché non 1.500?!) sono un po' meno delle 1.7002.200 previste per il 2012 dal trattato SORT del 2002; il numero di vettori (missili,
sommergibili e bombardieri) sarà limitato a 700, più 100 consentiti di riserva (!). Ma,
non si ripeterà mai abbastanza, le testate che ancora esistono nei due Paesi sono più
di 20.000, anche se "solo" circa un quarto nell'arsenale operativo: quando queste
5.000 testate strategiche operative si ridurranno a 3.100 (entro il 2017/), ne
rimarranno sempre più di 17 .OOO! Di queste circa 2.500 sono testate tattiche, di cui
questo trattato sulle armi strategiche non si occupa (circa 200 sono testate a gravità
schierate in Europa), e le altre sono testate rimosse, di riserva (che possono
facilmente tornare operative) o in attesa di smantellamento.
Ma c'è di peggio: il trattato limita il limite legale, ma non il numero delle testate! Il
trucco sta nel fatto che il trattato introduce un nuovo metodo di conteggio, contando
un bombardiere come una testata, mentre ne può portare da 6 a 20 (non era così
per il SORT; ma ora Mosca ha rifiutato ispezioni in situ nei bunker delle basi aeree).
Nel 2017, quindi,le testate operative in ciascuno dei due Paesi potranno essere più di
2.000!
IN NOME DELLA SICUREZZA?
L'attesa NPR di Obama segna certo un punto di svolta rispetto alla strategia di Bush,
ma appare molto prudente, ambigua e contraddittoria (forse come risultato degli
scontri interni). La premessa è che i nuovi rischi da affrontare sono i terroristi e i
regimi ostili: ma davvero gli Usa hanno bisogno di migliaia di testate nucleari per proteggersi da questi regimi? E a cosa servono poi contro i terroristi?
La dichiarata diminuzione del ruolo delle armi nucleari (rafforzando però quelle
convenzionali!) è in realtà modesta, se non dubbia. L'assicurazione di non subire un
attacco nucleare vale per i Paesi che aderiscono e rispettano il TNP, citando
esplicitamente come eccezioni Paesi come l'Iran e la Corea del Nord: e Israele allora,
che al TNP nemmeno ha aderito? E Paesi aderenti al TNP che abbiano armi biologiche
o chimiche?
Una delle cose che mi sembrano più gravi è che la NPR dichiaratamente non modifica
lo stato di allerta delle testate nucleari. che perpetua la strategia della Guerra Fredda
e costituisce uno dei pericoli più grandi di guerra per errore!
La NPR dichiara che gli Usa non produrranno armi nucleari nuove, e prevede una serie
di procedure per garantire l'efficienza delle testate esistenti senza riprendere i test
nucleari. Sull'efficacia di queste procedure gli esperti hanno posizioni contrastanti. È
un punto cruciale anche per i politici, poiché la ratifica dello START (insieme al trattato
CTBT che bandisce i test nucleari. bocciato nel 1999) non sarà per Obama una
passeggiata. È dichiarato esplicitamente che solo dopo queste ratifiche si potrà
riparlare di ulteriori riduzioni, di eliminazione delle armi tattiche e delle riserve: un
cammino lunghissimo (sempre che lo sviluppo delle difese antimissili non lo
interrompa). Siamo ancora lontanissimi dalla prospettiva di eliminazione totale degli
armamenti nucleari. e non è detto che i comandi militari ne abbiano l'intenzione.
Con “LA FREEDOM FLOTILLA”, per LIBERARE GAZA!
Una flotta di otto navi, organizzata dalle reti internazionali di
solidarietà, sta navigando nel Mediterraneo con destinazione Gaza.
Porta alla popolazione sotto assedio medicinali, materiali di sopravvivenza,
cemento per ricostruire gli edifici distrutti 16 mesi fa durante l’attacco aereo e
terrestre israeliano. Il governo israeliano proibisce a uomini e donne e a
moltissime merci essenziali, l’ingresso nella Striscia di Gaza.
Porta anche parlamentari europei e attivisti internazionali per testimoniare le
condizioni di vita della popolazione di Gaza, rinchiusa in un territorio di 40 km x 9.
Il governo israeliano ha già annunciato di essere pronto ad
intraprendere una aggressione militare contro civili inermi,
bloccando con ogni mezzo le navi appena si avvicineranno a Gaza, senza
rispettare la libera navigazione né in acque internazionali né in quelle
territoriali di Gaza.
Non accettiamo in silenzio l’ennesima violazione della
legalità internazionale! RESTIAMO UMANI!
Segui la flotta e firma la petizione on line: www.witnessgaza.com/it
www.freegaza.org/it
Info: [email protected]
e
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