Varianti nelle stampe dell' ode carducciana
«Presso l' urna di Percy Bysshe Shelley»
Manara Valgimigli, in uno dei suoi elzeviri — L'isola dei poeti, ripubblicato ne Il fratello Valfredo (Bologna, Cappelli, 1962) — ha richiamato l'attenzione sopra un errore in cui sono incorsi i compilatori della
edizione nazionale delle opere di Giosue Carducci, errore denunziato successivamente — anche se in forma necessariamente più sintetica — nel
commento alle Odi barbare (Giosue Carducci, Odi barbare. Testimonianze, interpretazione, commento di Manara Valgimigli; Bologna, Zanichelli,
s. d. [1959], pag. 275, nota).
I versi 43-44 dell'ode Presso l'urna di Percy Bysshe Shelley nella edizione originale suonano: [
] dal divo complesso di Teti / Sofocle a volo
tolse te fra gli eroici cori.
Scrive il Valgimigli:
« La Edizione Nazionale delle Opere del Carducci, al torno IV, pag.131
non legge divo ma diro. Non è un errore di stampa; fu un errore, e chi lo
propose non so, di metodologica filologica. Il Carducci scriveva la erre
press'a poco come la vu; con la sola differenza, non sempre percettibile,
di un maggiore arrotondamento all'angolo delle base della vu, di maggiore acutezza nella erre. Ora delle poesie del Carducci, le buone copie in
genere non le abbiamo, o passarono in mano di amici o direttamente in
tipografia e non tornarono più. Di questa abbiamo, in molti foglietti, due
brutte copie, e con molte correzioni, aggiunte, cancellature; e in ogni
foglietto, come usava per certa sua mania il Carducci, la data del giorno
ed anche l'ora.
« Qui, per esempio, nel foglietto terzo di una delle due stesure, si legge '15 decembre 1884 ore 11 3/4'; nel foglietto quarto '15 decembre ore
11,50'; nell'ultimo foglietto della seconda stesura si legge, per traverso,
'corretta in viaggio, da Bologna a Firenze e da Firenze a Roma, 17-18 decembre 1884'. Bene: così nella prima che nella seconda stesura [rispettivamente ai fogli 5 e7] pare anche a me che si possa leggere diro e non
divo. Ma nell'ode pubblicata pochi giorni dopo nel numero 28 dicembre
della 'Domenica del Fracassa' e stampata di sulla bella copia autografa
portata a Roma al Chiarini (vedi Epist., XV, 72, da Bologna, del 16 dicembre, a Giuseppe Chiarini), si legge divo. Anche: nel fascicoletto dell'ode ci sono due bozze di stampa per la edizione delle Terze odi barbare
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del 1889; le due bozze furono qui racolte dal Carducci, di mano del Carducci in lapis blu numerate, di mano del Carducci corrette in penna: in
tutte e due si legge divo; come si legge divo in tutte le successive edizioni compresa quella di tutte le poesie in volume unico del 1900 [rette:
1901], anche questa riveduta dal Carducci. Dunque; se anche il Carducci
in un primo tempo scrivesse diro, certamente corresse subito dopo, e già
nella buona copia autografa portata al Chiarini, divo: che poi vuol dire
semplicemente 'della dea' e tutta la frase «dall'abbraccio della dea Teti'».
***
Le notizie suddette possono essere completate — per quanto riguarda l'autografo delle bella copia — da quelle che lo stesso Valgimigli fornisce nel richiamato commento alle Odi barbare: « In genere delle poesie
del Carducci noi abbiamo pur troppo le prime stesure soltanto; le stesure in bella copia e più o meno definitive, una volta passate in tipografia
o in mano di amici, non ritornarono più. Questa, per esempio, poiché il
Carducci in quei giorni era ospite di casa Gorgioli (vedi la lettera al Chiarini sopra citata [Epist. XV, 72]) dove' rimanere presso la signora Dafne,
e carte e documenti che furono in possesso di quella signora sono chiusi
alla cultura italiana e all'amore degli Italiani da sette sigilli ».
Il Catalogo dei manoscritti di Giosue Carducci a cura di Albano Sorbelli (Bologna, a spese del Comune, 1921) precisa poi che « i molti foglietti [deile]due brutte copie » indicati dal Valgimigli sono, invero,
«quindici fogli vol., con prove, riprove, rifacimenti»(vol. 1, pag. 58, n. 24).
Per quanto riguarda invece la scrittura del Carducci l'affermazione
del Valgimigli non credo possa accogliersi con valore assoluto. Per il Valgimigli il Carducci scriveva la « erre press'a poco come la vu, con la sola
differenza, non sempre percettibile, di un maggiore arrotondamento all'angolo della vu, di maggiore acutezza nella erre, », ma già S. Geiger, dopo aver studiata la scrittura del Carducci, in una notarella — (Giosue
Carducci sotto la lente, in Natura ed Arte, fasc. del 17 marzo 1907, pp.
66-67, riportata, per la parte essenziale, nell'Albo carducciano a cura di
Giuseppe Fumagalli e Filippo Salveraglio. Bologna, Zanichelli, 1909,
pag. 126) — aveva affermato che « nelle minuscole l'erre è marcante, come in tutti gli scritti di uomini di intelletto ed è quasi sempre ad uso
stampatello », col che viene a generarsi quella confusione tra erre e vu
denunziata dal Valgimigli.
Ma in verità, nella grafia carducciana, la erre scritta nella suddetta
forma si alterna alla stessa erre scritta nel rispetto delle più rigide norme calligrafiche: si veda, ad esempio nell'Albo carducciano il fac- simile
riprodotto a pag. 126, dove « dormir » presenta la erre nelle due forme
ricorrenti nella grafia del poeta. Altri esempi potranno facilmente trovarsi nei facsimili delle poesie in unico volume, o sfogliando l'albo degli
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autografi delle poesie raccolto a cura di Albano Sorbelli (Bologna, Zanichelli, 1935).
D'altra parte per una retta lettura dell'autografo in questione non si
può neppure far ricorso, per aiuto, al confronto con gli autografi delle
altre poesie dove compare « diro » il che avviene — (mi avvolgo del Di-
zionario delle voci delle forme e dei versi notevoli contenuti nelle Odi
Barbare ed in Rime e Ritmi di Alberto Allan) — quattro volte: Juvenilia,
id., XLIX, v. 7: « dira oblivion »; id., LXV, v. 126: « diro affetto »;
LXVI, v. 54: « solitudin dira »; Alle fonti del Clitummo, v. 68: « Annibal
diro ». Infatti delle suddette poesie è a noi pervenuta la sola brutta copia
dell'ultima — diciotto foglietti con prove, riprove, rifacimenti — dove, al
foglietto 18, « diro » si intuisce più che leggersi.
***
Riprendendo il filo del discorso non si può non rimanere perplessi
ove si rifletta che senza il richiamato commento del Valgimigli — («Non è
un errore di stampa, ma voluto; ed è lezione metodicamente errata ») —
e specie senza il trascritto elzeviro, di più ampia divulgazione, ogni studioso avrebbe, a tutta ragione, ritenuto trattarsi di refuso tipografico.
Confortato invero lo studioso in questo suo convincimento da una
parte dalla lezione della prima edizione— e delle successive d'autore — e dall'altra da quanto dichiarato dai compilatori della edizione nazionale nella
Avvertenza (vol. I , pag. IX): « Quanto al testo, ci siamo attenuti diligentemente agli autografi, se inediti, ed alle stampe curate dal Carducci ».
Nel rispetto di questa norma gli stessi compilatori avrebbero pur
dovuto annotare che, per il verso 43 dell'ode in esame, si respingeva la
lezione delle stampe d'autore e si accoglieva invece la redazione dell'autografo ( ammesso e non concesso che con certezza possa leggersi « diro ) indicando, sia pur brevemente, i motivi che li inducevano ad allontanarsi dalla suddetta impostasi norma.
Inoltre l'esplicito richiamo agli autografi ed alle stampe curate dall'autore poneva il problema delle varianti.
Nel vol. XXX, a pag. 384, sempre s'intende della edizione nazionale,
i compilatori dichiararono di « non aver potuto tener conto (e non era
questo il luogo) delle varianti delle poesie » così come risultano dagli autografi, mentre nessun cenno fanno — nè nella Avvertenza nè, se non
son in errore, nelle note, — delle varianti risultanti dalle stampe fino a
quella da considerarsi definitiva e, d'altra parte, l'edizione nazionale non
indica neppure quella che riproduce, perché ritenuta dai compilatori
definitiva. Eppure questo apparato bibliografico non poteva essere ritenuto superfluo ove si fosse posto mente che molti studiosi hanno le stesse esigenze sentite altamente dal Carducci che « non si contentava di una
buona edizione qualsiasi dell'opera di un grande scrittore, ma voleva ve218
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dere il trapasso dalla prima formazione fino all'ultima la più perfetta »
(A. Sorbelli, Prefazione al Catalogo dei manoscritti di Giosue Carducci,
cit. vol. I, pag. LXII).
Comunque è auspicabile che al più presto anche per l'opera poetica
del Carducci si compia il lavoro fatto — per citare un solo esempio —
per i Canti del Leopardi dal Moroncini e per le stesse ragioni da quest'ultimo esposte nel suo Discorso proemiale (pag. LVII e segg.). Il che fu
adombrato dagli stessi compilatori della edizione nazionale allorchè nella
Avvertenza (pag. VIII) si proponevano (anche se non attuarono):
«[
] ci siamo convinti che si dovessero accogliere in questa edizione
tutto ciò che possa servire a studiare l'arte di lui anche nei tentativi primi, e nei pentimenti e miglioramenti successivi. Fummo confortati in codesto proposito dalla cura posta da lui, a più riprese, per conservare abbozzi, ricopiare componimenti, datarli, spesso mutarli e rimutarli, segno
manifesto che egli attribuiva a quel suo archivio letterario un valore di
cui oggi la critica non può non darsi pensiero ».
Ora se per l'ode Presso l'urna di Percy Bysshe Shelley ricorriamo al
già richiamato commento del Valgimigli, apprendiamo — dall'appendice
Le edizioni principi dell'Odi barbare a cura di Torquato Barbieri — che
detta ode vide la luce su La Domenica del Fracassa del 1884 e in volume
nelle Terze Odi barbare del 1889. Null'altro; e del resto il Barbieri onestamente precisa: « Nell'elenco [
oltre le edizioni prime che possono ritrovarsi in giornali, in riviste, o in opuscoli di varia occasione, sono anche
indicati necessariamente le edizioni e l'anno in cui per la prima volta [e
non quindi per le successive anche se con varianti] ogni singola poesia
fu raccolta in volume dal poeta ».
Ma l'edizione nazionale — che il Valgimigli segue fedelmente nel suo
commento — non riproduce nè il testo dell'ode così come pubblicato per
la prima volta su La Domenica del Fracassa né quello — riveduto e corretto — delle successive edizioni.
Quale dunque?
***
Dalle note all'edizione nazionale (IV, pag. 170), si apprende che l'ode
« non aveva da prima titolo alcuno, e non se ne legge infatti in testa alle
molte [sic] redazioni autografe. Sulla coperta ci si limita a ripetere il
principio del primo verso Lalage, io so qual sogno. La prima data di composizione che leggesi, anche sulla camicia, è quella del 13 dicembre 1884,
ma l'ode fu ripresa e qua e là mutata e correta. Ai piedi di qualcuna delle
stesure [sic] si nota: '15 decembre '84, ore 11 1/2'; '15 decembre '84 ore
11 3/4 a. m. '; '15 decembre ore 11 e 50'; '16 decembre, 1 3/4'; e finalmente
in una delle ultime I sicl:' Corretta in viaggio da Bologna a Firenze e da
Firenze a Roma, 17-18: decembre' ».
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Si comprendono i sic che sono stato costretto ad inserire tenendo
presente che — come già detto — le redazioni autografe non sono « molte » ma « due », di complessivi fogli volanti quindici (prima stesura
fol. 1-8, seconda stesura fol. 9-15).
Ed inoltre « qualcuna delle stesure » va corretto in « qualche foglietto », mentre in una delle «ultime » va corretto in « nell'ultimo foglietto
della seconda stesura ».
Dette notizie trovano corrispondenza con quanto lo stesso Carducci,
il 16 dicembre da Bologna, scriveva al Chiarini allora a Roma: « Porterò
meco per te una elegia di 30 distici che può essere intitolata Antiverismo
o Su l'urna di Shelley. Sarai contento »? (Epist., XV, pag. 72)
Gli annunziati trenta distici divennero poi ventiquattro, ma « la soppressione dei quattro distici meglio che in treno » — osserva il Valgimigli nel citato commento dove, dall'autografo, riproduce i versi sacrificati
— « dove' avvenire nella sosta a Roma quando il Carducci ricopiò nella
sua bella scrittura l'ode per darla al Charini e alla stampa ». Certamente
all'ultimo momento, all'atto del ricopiatura in bella — e questo giustificherebbe la mancanza nella brutta copia — il Carducci diede all'ode il
titolo definivo ripudiando quelli preannunziati al Chiarini.
L'ode fu pubblicata — si è più volte detto — su « La Domenica del
Fracassa, Anno I — [Roma] Domenica 28 dicembre 1884 — Num. I. ».
Nell'Epistolario, XV, p. 72, nota 1, per evidente disguido materiale, si dà
come data il 28 febbraio 1884.
Su La Domenica del Fracassa — (la testata si può vedere riprodotta
nel citato Albo carducciano, pag. 158) — l'ode, incorniciata da fregio tipografico, fu stampata al centro della prima pagina; pagina, per il resto,
interamente dedicata al programma del nuovo settimanale a firma del
Chiarini. Programma battagliero anzi che nò — « [
] il nostro giornale
farà la guerra più spietata ai suoi confratelli maggiori [
] se ci capiterà
l'occasione di cogliere in fallo i nostri avversari non ce la lasceremo sfuggire [
]»
ma programma che il Chiarini fu costretto a ritrattare nel
modo più assoluto col numero successivo del 4 gennaio 1885 — [Questo
foglio ] « fondiamo trepidanti, invocando la benevola indulgenza dei nostri confratelli [
] » — il che diede origine anche ad un intervento dello
stesso Carducci (cfr. Epist., XV, lettere 3368 e 3381 al Chiarini e nelle
Ed. Naz. lo scritto Soliloquio, vol. XXV, pag. 216, già comparso sul detto
foglio domenicale).
Il Carducci, con assoluta sicurezza, non corresse le bozze di stampa:
il 20 dicembre (Epist., XV, p.73) prometteva alla moglie di essere a Bologna « il giorno di Natale a mezzodì » e mantenne la promessa se è del
giorno successivo una lettera al Sommaruga datata da Bologna (Epist.,
XV, p. 76). Del resto, correggendosi da lui le bozze, non si sarebbe stampato Giosuè.
Dopo questa prima edizione l'ode, vivente il Carducci, fu stampata
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più volte in volume e precisamente (premetto la siglia con la quale, in seguito, indicherò la edizione):
TOB = TERZE / ODI BARBARE / DI GIOSUE CARDUCCI / [Marca]
/ BOLOGNA / DITTA NICOLA ZANICHELLI / (CESARE E GIACOMO
ZANICHELLI) / — / MDCCCLXXXIX.
Un vol. di pp.4 n.n. +104+4 n.n.; sesto mm.158 x 102 (es. rif.); colophon: 31 ottobre 1889.
OB' = DELLE / ODI BARBARE / DI / GIOSUE CARDUCCI / LIBRI II / ORDINATI E CORRETTI / [Marca] / BOLOGNA / DITTA NICOLA ZANICHELLI / (CESARE E GIACOMO ZANICHELLI) / — /
MDCCCXCIII.
Un vol. di pp. 4 n.n.+IV+230+2 n.n.; sesto mm. 161 x 100 (es. rif.);
colophon: 31 luglio 1893.
OB2 = DELLE / ODI BARBARE / DI / GIOSUE CARDUCCI / LIBRI II / ORDINATI E CORRETTI / SECONDA EDIZIONE / [Marca] /
BOLOGNA / DITTA NICOLA ZANICHELLI / (CESARE E GIACOMO
ZANICHELLI / — / MCM.
Un vol. di pp. 4 n.n.+IV+230+2 n.n. sesto mm. 163 x 10 (es. rif.);
colophon: 1° agosto 1900.
P' = POESIE / DI / GIOSUE CARDUCCI / MDCCCL-MCM / —/
[Marca] / BOLOGNA / DITTA NICOLA ZANICHELLI / 1901.
Un vol. di pp. 4 n.n.+XVI+1060+2 n.n.; sesto 190X115 (ril. edit.);
colophon: 15 dicembre 1901.
P' = POESIE / DI / GIOSUE CARDUCCI / MDCCCL-MCM / —
SECONDA EDIZIONE / CON DUE RITRATTI E QUATTRO FACSIMILI /
[Marca] / BOLOGNA / DITTA NICOLA ZANICHELLI / 1902.
Un vol. di pp. 4 n.n.+XVI+1075+5 n.n.; sesto 109X115 (ril. edit.);
colophon: 1° maggio 1902.
Di questa fortunatissima raccolta di tutte le poesie — restano fuori solo le giovanili — si sono susseguite fino al 1963 ben venticinque edizioni (ma la ventesima e la venticinquesima sono state ristampate più
volte con date diverse).
P3 = Poesie. MDCCCL-MCM. Terza edizione. Bologna, Zanichelli, 1904.
Colophon: 30 novembre 1903.
Riscontrando il Catalogo ragionato delle Edizioni Zanichelli 1859-1959
ho constatato che questa terza edizione è registrata sotto il n.6 dell'anno
1904 e viene annotato: « Finito di stampare il 30 nov. 1904 ». Segue una lettera di Guido Mazzoni a Cesare Zanichelli datata Firenze 15 dicembre 1904
che, se non sono in errore, non ha alcuna attinenza con l'edizione in questione in quanto il Mazzoni testualmente scrivendo « La ringrazio delProvincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)
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l'invio: ogni volume delle Opere del Carducci è per noi, amici devoti,
anche più che non sia per il pubblico! », faceva esatto riferimento alla
raccolta di tutte le Opere iniziata nel 1899 (Cfr. Catalogo predetto). Per
quanto riguarda la data di stampa, credendo di aver preso abbaglio nell'esaminare l'esemplare della Universitaria di Bologna, ho pregato il direttore — il Prof. Guglielmo Manfrè che ringrazio — di un riscontro ed ho
avuto la conferma che avevo letto bene: 30 novembre 1903. Non è escluso che il compilatore del Catalogo abbia avuto sott'occhio qualche ristampa, con la data 30 novembre 1904, della stessa terza edizione.
P4 = Poesie. MDCCCL-MCM. Quarta edizione. Bologna, Zanichelli,
1905. Colophon: 31 gennaio 1905.
135 = Poesie . MDCCCL-MCM. Quinta edizione, Zanichelli, 1906. Colo-
phon: 15 dicembre 1905.
P' = Poesie. MDCCCL-MCM. Sesta edizione. Bologna, Zanichelli, 1907.
Colophon: 8 dicembre 1906.
OP = ODI BARBARE / E / RIME E RITMI DI GIOSUE CARDUCCI / — / CON UN'APPENDICE / [Marca] / BOLOGNA / NICOLA ZANICHELLI / MCMVII.
[Copertina: ] OPERE DI / GIOSUE CARDUCCI / — / ODI BARBARE — RIME E RITMI / APPENDICE / [Marca] / BOLOGNA / NICOLA ZANICHELLI / MCMVII / [VOLUME] XVII.
Un vol. di pp. 4 n.n.; sesto mm. 200 x 125, con riproduzione di autografo f.t.; colophon: « Il XVI febbraio MCMVII morì il poeta e otto giorni dopo fu questo volume finito di stampare nello stabilimento Poligrafico Emiliano in Bologna ».
Nel catalogo delle « Opere di Giosue Carducci » pubblicate dalla Libreria di Nicola Zanichelli in Bologna », allegato al ben noto e citato
Albo Carducciano si legge: « Opere di Giosue Carducci. Edizione di lusso. Cento esemplari di questa collezione, numerati progressivamente, si
stampano su carta a mano, in formato di ottavo massimo. Prezzo di ogni
volume lire venti. Pochi esemplari sono ancora disponibili di questa superba edizione ». Ma l'edizione — presso la Casa del Carducci nella biblioteca del Poeta si conserva l'esemplare n. 3 (e mi è lieta l'occasione
per ringraziare l'amico Torquato Barbieri per le notizie fornitemi e per
le cortesie usatemi durante le mie ricerche nella predetta Casa del Carducci) ma l'edizione, ripeto, può definirsi lussuosa, ma tutt'altro che superba;
anzi bibliograficamente va giudicata negativamente per l'evidente sproporzione dei margini nel rapporto tra composizione tipografica e ampiezza della pagina.
Son ben note le condizioni di salute nelle quali il Carducci trascorse
gli ultimi anni: in merito abbiamo la diretta testimonianza di Giuseppe
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Chiarini (Memorie della vita di Giosue Carducci 1835-1907) ma la sua
mente fu sempre sveglia pur nella difficoltà di parlare ed in quella, trasformatasi poi in impossibilità, dello scrivere.
Di conseguenza, per lo studio delle varianti, si debbono prendere in
esame tutte le edizioni pubblicate o già preparate (come il vol. XVII delle Opere) lui vivente; d'altra parte — come ora vedremo—le ultime correzioni furono in P 5 — (i mutamenti in P 6 sono errori di stampa subito corretti in OP) — e quali fossero nel 1905 le condizioni fisiche, e sopratutto
quelle di spirito, del Poeta è testimoniato nell'Epistolario (vol. XXI).
Tralascio l'esame dell'autografo perchè — mentre scrivo questa nota — è in corso di pubblicazione su Amor di libro (Firenze, Sansoni Antiquariato), lo studio di Gianni A. Papini, Osservazioni sugli autografi delle
« Odi Barbare » carducciane.
Dall'esame della varianti nelle stampe si constata che dei 52 versi
dell'ode Presso l'urna di Percy Bysshe Shelley il Poeta, dopo la edizione
principe, ne corresse diciannove.
Riporto le varianti usando le sigle avanti indicate nonchè le seguenti:
DF = La Domenica del Fracassa.
EN = EDIZIONE NAZIONALE DELLE OPERE / DI GIOSUE CARDUCCI / VOLUME QUARTO / ODI BARBARE E RIME E RITMI /
[Marca] / NICOLA ZANICHELLI EDITORE / [1935].
Un vol. di pp. 4 n.n.+378; sesto mm. 205X135 (ril. edit.), 1 ritr. f.t.
(*) = Variante confermata nelle edizioni successive, salvo contraria
indicazione.
OB = Lezione conforme per le due edizioni d'autore delle Odi Bar-
bare.
P = Lezione conforme per le sei edizioni d'autore delle Poesie.
Avverto che non tengo conto di una variante di carattere essenzialmente tipografico che si riscontra in TOB; dove i versi iniziano con la lettera maiuscola.
Le varianti sono pertanto:
verso 3:
DF: l'ora presente è in vano, non fa che percuotere e fugge:
TOB, OB': fugge OB 2 (*): fugge;
verso 5:
DF: Pone l'ardente Clio sul monte dei secoli il piede
TOB (*) su'l monte de' secoli
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2'23
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verso 6:
DF: robusto, e canta, e apre l'ali superbe al cielo.
OB' (*): agile, e canta,
verso 9:
DF: de l'età nuova. O strofe, pensier dei miei giovini anni,
TOB (*): de' miei // OB' (*): l'età nova.
verso 11:
DF: volate pei cieli, pei cieli, a la bella
TOB (*): pe' cieli, pe' cieli,
verso 18:
DF: sfolgora Durantarte, d'oro e di gemme al sole:
TOB ("): Durendala
verso 19:
DF: mentre al florido petto richiamasi Andromache il figlio,
OB: figlio P, OP: figlio; EN: figlio,
verso 22:
DF: con gli occhi incerti Edippo cerca la Sfinge ancora:
TOB (*): sfinge
verso 23:
DF: la pia Cornelia chiama — Deh, o bianca Antigone, vieni!
P5, P6 , OP: chiama: — EN: chiama — // OB': Deh, candida Antigone,
0B2 : Deh candida Antigone, P' (*): Deh, candida Antigone, // TOB: vieni
OB' (*): vieni!
verso 24:
DF: Vieni, o greca sorella! Cantiam la pace ai padri.
OB' (*): vieni, o greca (eccetto P 6 : vieni o greca) //
TOB (*): a i padri. —
verso 25:
DF: Elena e Isotta vanno pensose per l'ombra dei mirti,
TOB ("): de i mirti,
verso 29:
DF: Con la regina scota sul lido nel lume di luna
TOB (*): su'l lido
verso 33:
DF: O la lontana a le vie dei duri mortali travagli
EN: Oh lontana
verso 39:
DF: o come quando Wagner possente mille anime intuona
OB' ("): intona
24
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verso 40:
DF: ai cantanti metalli: trema agli umani il cuore.
TOB (*): a i cantanti // OB' ("): core
verso 41:
DF: Ah, ma non ivi alcuno dei nuovi poeti mai surse,
TOB: de' nuovi 013 1 (*): de' novi
verso 42:
DF: se non tu forse Shelley, spirito di titano
OB' (*): titano, EN: titano
verso 43:
DF: entro virginee forme: dal divo complesso di Teti
P6 : forme; // Da DF a P 4 : divo P 5 , P6, OP: vivo EN: diro
verso 51:
DF: tu dove sei? m'ascolti? lo sguardo mio umido fugge
TOB (*): Tu dove
verso 52:
DF: oltre l'aureliana cerchia sul mesto piano.
TOB ("): su '1 mesto
Perchè — statisticamente — sia messa in rilievo l'opera di lima si osservi che le correzioni risultano effettuate: 12 in TOB (versi 5, 9, 11, 18, 22,
24, 29, 40, 51, 52); 7 in OB' (versi 6, 9, 23, 39, 40, 41, 42); 2 in P 5 (versi
23; 43).
Si debbono poi aggiungere i versi sui quali il Carducci ritorna a correggersi o a correggere evidenti errori di stampa:
verso 3: DF: fugge: TOB: fugge OB 2 (*): fugge;
verso 19: DF: figlio, OB: figlio P' (*): figlio;
verso 23: OB': Deh, candida OB 2 : Deh candida P' (*): Deh, candida.
verso 24: OB: vieni, o greca P 6 : vieni o greca OP: vieni, o greca.
verso 43: DF a P5 : forme: P6 : forme; OP: forme:
Un particolare discorso ritengo che sia opportuno fare per la correzione Tu dove al verso 51 in TOB, confermata in tutte le successive edizioni.
O cuor de' cuori, sopra quest'urna che freddo ti chiude
Odora e tepe e brilla la primavera in fiore.
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O cuor de' cuori, il sole divino padre ti avvolge
de' suoi raggianti amori, povero muto cuore.
« Così esclama il Carducci » - trascrivo dal Commento di Demetrio
Ferrari — « dinanzi alle due urne [una col cuore, inconbusto, l'altra con
le ceneri] del poeta inglese, ch'ei predilesse su tutti e del quale scrisse:
"Come il mistico uccello pellicano, egli sbranasi con la forza del genio il
giovine petto, e versa fiotti di sangue della sua poesia ad abbeverare il
secolo arido. E perciò la sua poesia non è romantica" [Ed. Naz., XXV,
359]. L'apostrofe o cuore de' cuori è l'oraziane cor cordium fpel Valgimigli, commento citato, l'espressione sa invece di 'accento biblico'] che il Carducci usa anche per Mazzini (Opere, I, 24 [ora Ed. Naz. VII, 200] e che
ben si addice allo Shelley, il quale, natura democratica liberalissima, ebbe l'istinto della benevolenza per tutto ciò che esiste, amò tutto: i fiori,
e specialmente gli uomini, cui voleva
gli animali, i più umili insetti
bene; nel mondo ideato da lui col cuore pieno dei sentimenti buoni di
tutti gli altri cuori non potevano esserci odi, guerre, oppressioni e dolo] Ma il Poeta non vede
ri; tutto era luce, armonia, concordia e felicità [
più l'isola beata e allora torna al suo sentimento doloroso »:
Fremono freschi i pini per l'aura grande di Roma:
tu dove sei, poeta del liberato mondo?
tu dove sei? m' ascolti? Lo sguardo mio umido fugge
oltre l'aureliana cerchia sul mesto piano.
« C'è intorno » — osserva il Valgimigli (Commento) — l'aria grande
di Roma, ma dov'è il poeta che sperò e augurò e cantò nel Prometeo il
"liberato mondo"? "Sol nella morte è il vero". Quando nel 1884 il Carducci visitò l'urna di Shelley il cimitero inglese era nel mezzo di una
campagna anche più desolata e deserta che oggi non sia [in verità nel
1959 — anno di pubblicazione del detto Commento — già da lungo tempo il cimitero non era più circondato dalla silente campagna romana
ma quasi oppresso dalla giungla di cemento], con appena qualche pastore qua e là e la sua lenta greggia; e stranieri e ignoti la più parte dei
sepolcri. Forse non mai come in quel giorno e in quel luogo il Carducci
sentì la verità della morte così sconsolata di ogni consolazione e così
disincantata di ogni incanto ». Si può qui utilmente ricordare la premessa — dettata dal principe Barberini — al catalogo della mostra di vedute
dell'agro romano donate dal barone Basile Lemmerman al Museo di Roma, premessa in cui « l'aspetto solenne ma desolato dell'Agro nel secolo
scorso è rievocato in succinta descrizione con richiami agli italiani e agli
stranieri che ne scrissero non dimenticando naturalmente Giuseppe Gioacchino Belli che nel sonetto Er deserto del 26 marzo 1836 [ed. Vigolo, III,
2418 J aveva immortalato la spaventosa visione dell'immenso vuoto che circondava la Dominante » (Ceccarius).
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Ed affranto da queste dolorose constatazioni il Poeta prorompe nelle domande che si susseguono incalzanti con angosciosa ansia:
tu dove sei, poeta del liberato mondo?
tu dove sei? m'ascolti?
Così in DF; in TOB — come già detto — tutti i versi iniziano con la
maiuscola. E la maiuscola fu conservata, nelle edizioni successive, per
il verso 51: Tu dove sei? m'ascolti?
Ora usa sempre il Carducci — in una serie di interrogazioni che si
susseguono concettualmente unite — usa sempre la minuscola dopo il
punto interrogativo. Viene immediatamente alla memoria l'inizio dell'ode
Alla Regina d'Italia:
Onde venisti? quali a noi secoli
si pure e bella ti tramandarono?
fra il canto de' sacri poeti
dove un giorno, o regina, ti vidi?
E nell'altra ode Pe' l Chiarone da Civitavecchia leggendo il Marlowe
(vv. 25-28):
Ah quei pini che il vento che il mare curvarono tanti anni
paiono traer guai contro di me: — Che importa
— dicon — tendere a l'alto? che vale combatter? che giova
amare?
E ne La Madre (vv. 31-38):
Quando il lavoro sarà lieto?
quando securo sarà l'amore?
quando una forte plebe di liberi
dirà guardando ne' 1 sole — Illumina
non ozi e guerre a i tiranni
ma la giustizia pia del lavoro ?
Ho già fatto torto al benevolo lettore — e chiedo venia — indicando
degli esempi che chiunque avrebbe ben potuto trarre — insieme a tanti altri — dalle Odi Barbare (non dalle altre poesie dove è di regola — tranne
eccezioni — l'uso della maiuscola all'inizio di ogni verso) esempi che
rendono incomprensibile perché il Carducci mantennesse nel detto verso 51 la maiuscola, rompendo così, con la sosta del punto fermo, l'angosciosa assillante cadenza degli interrogativi.
* -k *
Ritornando, per concludere, al quesito postomi — qual'è la lezione
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di EN — devo rispondere notando come EN si allontana dal testo definitivo, che è rappresentato indubbiamente da P 5 , in quanto le due varianti in P 6 — (verso 24: vieni o greca; verso 43: forme; ) — subito ricorrette in OP, devono considerarsi frutto di errore tipografico.
Si allontana del testo definitivo nei seguenti versi:
Verso 19: Il Carducci corresse figlio, (DF, TOB) prima in figlio
(OB) poi in figlio; (P,OP). EN ritorna con figlio, alla primitiva, ma
poi abbandonata, lezione.
Verso 23: In P 5 , confermato in P 6 e OP, si legge chiama: —. Si rimena anche qui EN al testo delle precedenti edizioni (chiama —) nonostante che la variante sia giustificata dalla norma — in verità non
sempre dal Carducci rispettata — che vuole introdotto dai due punti,
seguiti dalle virgolette o dalla lineetta, il discorso diretto.
Verso 23: EN, non si sa perché, ha Oh lontana mentre tutte le edizioni d'autore hanno concordemente O lontana.
Verso 42: In OB' Carducci corresse titano in titano,. La correzione
fu confermata ma, anche qui, inspiegabilmente EN ritorna alla primitiva lezione.
Verso 43: EN, come ampiamente esposto, ha diro invece di divo che
è la lezione di DF confermata dalle ristampe fino a P 5 dove fu corretto
in vivo, confermato da P 6 ed OP.
E vivo continua a leggersi dal P 6 (1907) fino a P' 9 (1931), mentre
in P 20 , pubblicata la prima volta nel 1935 insieme a EN, e così nelle edizioni successive si ha diro.
r
Vivo troviamo anche nelle Odi barbare con note di Adolfo Albertazzi (Bologna, Zanichelli, 1921), mentre la notissima Antologia carducciana di Mazzoni e Picciola, nelle sue nove edizioni (1907-1963), alcune
stampate più volte con diverse date, si è mantenuta sempre fedele a
divo.
In verità dovendo scegliere tra i tre aggettivi — diro, divo, vivo,
—perqualifcrel«complesodiTet»,ilpùconvei tsembrapoprio il primo.
L'amplesso che la dea del mare riserva al poeta naufrago nelle tempestose onde del Tirreno è infatti crudele perché mortale: e tanto giustifica il deciso intervento di. Sofocle che da quell'amplesso rapì lo Shelley per portarlo « ai silenzi delle isole Elisie » — trascrivo dalla epigrafe di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi in Lerici — « benedette spiagge
ove l'amore, la libertà, i sogni non hanno catene ».
Un rapimento — con quella caratteristica di improvvisa anzi fulminea azione che è insita nella espressione usata dal Carducci (« a volo
tolse ») — non sarebbe concepibile se occorreva togliere lo Shelley semplicemente dal « divino abbracciamento del mare » (Mazzoni e Picciola; per Albertazzi « abbraccio del mare »; mentre per il Valgimigli « dal
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divino complesso di Teti vale — perché « divo » della dea — « dall'abbraccio della dea Tetide »).
Lo stesso Carducci dove' sentire — anche se tardivamente — la necessità di una qualificazione più appropriata se mutò divo in vivo.
Cinque discrepanze, adunque, in nessun modo giustificate, che tolgono ad EN — ammesso che le sia stata mai concessa — la qualifica di
edizione critica e che comunque smentiscono in pieno le affermazione dei curatori della edizione stessa: « quanto al testo ci siamo attenuti
diligentemente ( ?) agli autografi, se inedito, o alle stampe curate dal
Carducci ».
***
Nel febbraio del 1889 Carducci rivolgendosi Ai collaboratori della
Bliblioteca dei Classici Italiani scriveva loro: « Il testo deve naturalmente
essere curato e condotto sulle edizioni originali e più importanti, non
esclusi all'uopo i manoscritti, e dove sia il caso, con il corredo delle varie edizioni. Inutile accennare che la interpunzione dev'essere accuratissima [
] (Epist., XVIII,47).
Poteva mai immaginare il Poeta che dopo mezzo secolo le sue opere
sarebbero state stampate in modo difforme a questo suo insegnamento?
CARLO D'ALESSIO
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Varianti nelle stampe dell` ode carducciana