Andrea Zuckerman
Gran Maestro dell’Ordine Templare Rinato
Direttore Generale dell’Associazione Internazionale
“New Atlantis for a World Empire”
Direttore Generale del Partito Mondialista
SCRITTI MONDIALISTI
aggiornato al 27/11/2015
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INDICE
ORIGINE DEL MONDIALISMO
Chi siamo, da dove veniamo, cosa vogliamo
IL PARTITO MONDIALISTA: FUNZIONE E STRUTTURA
Il Manifesto del Partito Mondialista
Come diventare mondialisti
MONDIALISMO E ISLAM
Israele combatte per noi
Per una vera pace
La posta in gioco
Stupri islamici, le femministe tacciono
Il Dio di Gesù Cristo non è il dio di Maometto
Il Mondialismo non è un imperialismo
Israele in pericolo, Europa indifferente
Iran, l'attacco preventivo è il male minore
Israele risponde all'attacco terrorista di Hamas,
nonostante la pusillanimità del mondo
Adesso Ahmadinejad è davvero un tiranno. Abbattiamolo!
Sul mare di Gaza Israele combatte per difendere la civiltà
Chi brucia il Corano è "pazzo". E chi uccide in nome del Corano?
L'islam è nemico del genere umano. Fermiamolo!
Fermare l'Islam per salvare anche gli islamici
Dal Marocco allo Yemen i popoli lottano per libertà e democrazia
Dichiarazione di sostegno al popolo libico in lotta
per libertà e democrazia
Tripoli liberata dal tiranno. Prossima tappa: Damasco!
No alla menzogna dello Stato palestinese!
Gheddafi ucciso, sic semper tyrannis!
Dichiarazione di sostegno al popolo siriano in lotta per libertà e democrazia
"Pillar of Defense", Israele difende libertà e democrazia
Lost in action
L'Islam deve scegliere: integrarsi o scomparire
Messaggio del Partito Mondialista al popolo di Egitto
in lotta per libertà e democrazia
La "Shale Revolution" e l'Impero mondiale
A Gaza Israele combatte per difendere la civiltà
L'Islam, il Cristianesimo e l'invidia del kalashnikov
Alla guerra dichiarata dall'Islam si deve rispondere con la guerra
Contro l'Islam assassino ci vogliono rimedi estremi
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MONDIALISMO E RUSSIA
Petrolio e libertà
Bisogna fermare Putin. Subito
Putin e Ahmadinejad padroni d'Eurasia
Satellite abbattuto, lo scudo USA funziona.
E Putin mastica amaro...
Tra kossovo e Ossezia la democrazia fa la differenza
Un anello per domare Putin
Chi conquista l'Heartland libera l'Eurasia (da Putin)
Ucraina libera, prossima tappa: Mosca !
Invasione dell'Ucraina, per Putin è l'inizio della fine
I fatti d'Ucraina nel progetto mondialista e la risposta personale ad esso
MONDIALISMO E CINA
Tibet in croce, boicottare la Cina è un dovere
Libertà per gli Uiguri, o andranno con al Qaeda
I giovani musulmani non gridano più «morte a Israele».
e adesso tocca alla Cina
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MONDIALISMO E AMERICA
America, “Report” scopre l’acqua calda
I leaders cambiano, noi restiamo. E resistiamo
L'America di Obama lega le mani a Israele
Obama è un incapace, la salvezza verrà da Israele
1919-1991, le occasioni perdute dell'America
Scoop di Wikileaks: l'America non vuole vincere in Afghanistan
Con Obama l'America tradisce la sua missione
Messaggio dal futuro
Il tiranno Obama va eliminato. Ora!
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MONDIALISMO E ANTIMONDIALISMO
Antonioni, il comunista che sognava l'Apocalisse
Contro la fame, cambia i regimi
Harry Potter è dei nostri. E anche le Winx
Contro il fondamentalismo induista ci vuole più mondialismo
Buttafuoco si rassegni, l'Occidente non è al tramonto
Nazione, il regalo avvelenato della Francia al mondo
Il generale svela le menzogne degli eurasisti
Per i mille Kossovo del pianeta l'unica soluzione è l'Impero mondiale
Solo l'impero mondiale può risolvere il problema dei rom
La lotta tra Oriente e Occidente in un fumetto "per ragazze"
Contro il Wwf delle culture
Datagate, l'unico rimedio è l'Impero mondiale
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L'impero "antimperialista" del Male
Heidegger, antisemita perché antimondialista
Solo l'Impero mondiale può fermare le stragi del Mediterraneo
L'Italia mafioleghista in un racconto di pistolere
MONDIALISMO E CRISTIANESIMO
La Chiesa ha tradito Gesù Cristo? No, ma alcuni cattolici...
La Chiesa non si schiera, i cristiani si’: contro Israele e USA
Senza Impero non c'è Chiesa
Senza chiesa niente impero
Lefebvriani, antimondialismo e latinorum
A Gerusalemme cambiano i patriarchi ma le menzogne restano
La meta finale della Storia: l'Impero mondiale dei figli dell'uomo
Il "dialogo Chiesa-Islam" come l'asse Roma-Berlino?
Karol Wojtyla, un beato mondialista
Da un piccolo seme nascerà l'Impero mondiale
La Chiesa è diventata islamica
Il Papa Francesco e il Nordamerica "morto" per la Chiesa
Messaggio del Partito Mondialista a Sua Santità Papa Francesco I
in occasione della veglia di preghiera e digiuno per la pace in Siria
La Chiesa diventa razzista contro Israele
Da Betlemme le solite menzogne di Natale
L'ingenuità del Papa sulla guerra e i mal di pancia dei cattolici
La lezione della Scozia al mondo: unità !
Incarnazione e Stato mondiale: riflessioni
su una recente affermazione di un teologo cristiano
La Chiesa "mondana" e antimoderna si allea
con il tiranno Putin e con l'Islam assassino
La Chiesa diventa politeista per odio verso l'Impero mondiale
Obama e Bergoglio, i traditori del Mondialismo
Bergoglio vuole il suicidio dell'umanità. Noi no
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ORIGINE DEL MONDIALISMO
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CHI SIAMO, DA DOVE VENIAMO, COSA VOGLIAMO
È nella natura di questo mondo destinato a perire che il giorno si alterni alla
notte, che il buon grano sia mescolato alla paglia, l'oro al piombo e la verità più
eccelsa alla più sordida menzogna. Nulla di sorprendente, dunque, se intorno al
mondialismo - inteso quale visione comprensiva della società e dello Stato - e a
quanti se ne fanno portatori nelle diverse epoche storiche, i mondialisti, esiste una
gran varietà di opinioni contrastanti: alcuni (pochi in verità) ci considerano poco
meno che santi ed eroi, menti illuminate che cercano di gettare ponti tra i popoli per
costruire un'umanità nuova; altri (la gran maggioranza) ci accusano di essere una
congrega di avidi profittatori, sempre intenti a ordire complotti per sovvertire
governi, per abbattere le Tradizioni (dove mai vanno a ficcarsi, le Tradizioni!) e la
Religione (quale, di grazia?), per cancellare le diversità nazionali e creare un'umanità
"omologata" che adori soltanto il dio Dollaro. Una confusione ancor più grande, se
possibile, sussiste riguardo alle nostre origini, alla nostra identità collettiva: c'è chi ci
bolla sic et simpliciter come massoni, anticlericali, addirittura satanisti... Nulla di
sorprendente, lo ripetiamo, poiché, come dice il Filosofo, la verità è una, l'errore
molteplice. Ma poiché la molteplicità delle opinioni errate su di noi rischia di
confondere le menti di chi non possiede sufficienti conoscenze e spirito critico, il
comitato direttivo dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World
Empire", in unione con tutti gli aderenti, ha deciso di pubblicare questa succinta
esposizione storica, per spiegare in modo chiaro ed esauriente, chi siamo, da dove
veniamo e cosa vogliamo.
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La nostra storia inizia il mattino del giorno di Pasqua dell'anno del Signore
1118, quando un gruppo di cavalieri crociati, sotto la guida del nobile Hugues de
Payns e del suo fraterno amico Gaudefroy de Saint-Homer, giurarono nelle mani del
patriarca di Gerusalemme Gormond de Picquigny di voler osservare in perpetuo i voti
di castità, obbedienza e povertà e di combattere fino alla morte contro gli infedeli per
difendere i pellegrini di Terrasanta; una decisione provvidenziale, poiché subito dopo
il re Baldovino II di Gerusalemme, entusiasta dell'iniziativa, assegnava loro come
sede alcuni locali del palazzo reale in prossimità della Cupola della Roccia, costruita
dai musulmani sulle rovine dell'antico Tempio di Salomone. Così nacque l'Ordine dei
Poveri compagni d'armi di Cristo e del Tempio di Salomone (Pauperes commilitones
Christi templique Salomonis), presto divenuti più noti come milites templi e, nelle
varie lingue europee, templiers, templars, Tempelritter, templarios, Templari.
Dieci anni dopo, il concilio di Troyes approvò la nostra regola, redatta da
Bernardo di Chiaravalle, e da allora l'Ordine crebbe in potenza e prestigio, sino a
ottenere dai Papi l'esenzione da ogni tassa imposta dai sovrani temporali e
l'assoggettamento alla giurisdizione esclusiva della Sede Apostolica. Combattemmo
con onore in Terrasanta, anche se non riuscimmo a impedire che i regni cristiani
d'Oltremare fossero progressivamente erosi e alfine sconfitti dai musulmani; in
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compenso ci espandemmo in Europa, ove i nostri adepti si contavano a decine di
migliaia e le nostre "case" e castelli crebbero a centinaia, dalla Spagna che
riconquistammo pezzo per pezzo fino alla Foresta Nera, e dalla Scandinavia fino alla
Puglia.
Contrariamente a ciò che molti credono, durante la nostra permanenza in
Terrasanta non entrammo in possesso né del Santo Graal, né dell'Arca dell'Alleanza,
né tantomeno di conoscenze esoteriche in materia di architettura o in altri campi. Le
nostre chiese, cappelle e residenze furono costruite con il contributo di maestri
tagliapietre e architetti di tutto il mondo allora conosciuto (anche ebrei e musulmani),
ma il loro sapere non proveniva da Salomone, bensì dai matematici greci
dell'antichità. Nella Cupola della Roccia, che avevamo trasformato in chiesa,
scavammo alla ricerca del tesoro di re Salomone ma trovammo solo poche monete
d'oro e d'argento con l'iscrizione "NERO CAESAR AUGUSTUS", oltre a vari bacili
in bronzo usati dai Leviti per raccogliere il sangue degli animali immolati. A
Costantinopoli, invece, conquistammo un tesoro spirituale: nel 1204 Ottone de la
Roche, capo della Crociata che aveva conquistato la città, approfittando della
confusione del saccheggio si impadronì della Santa Sindone, sottraendola dalla chiesa
di Santa Maria delle Blachernae ove era custodita, e un anno dopo, per timore di
incorrere nella scomunica lanciata da Papa Innocenzo III contro i trafugatori di
reliquie, la affidò ai nostri emissari ad Atene; da lì fu trasportata prima a San
Giovanni d'Acri, poi, via Cipro, a Marsiglia e infine a Parigi. Ivi la custodimmo e
venerammo per cento anni, conservandola ripiegata, all'uso orientale, in modo che
fossero visibili solo la testa e il volto di Colui che chiamavamo "l'Homme bafoué"
(l'Uomo oltraggiato).
La vera fonte della nostra ricchezza fu altrove, al di là dell'oceano: alleatici con i
Vichinghi che già da un secolo avevano raggiunto le coste oggi chiamate Terranova e
Labrador, e approfittando del clima più caldo dell'attuale, creammo una serie di basi
d'approvvigionamento lungo tutta la costa orientale del Nordamerica, e ci spingemmo
a sud fino alla Florida e oltre, fino al Messico. Lì stringemmo buoni rapporti con gli
indigeni, che ci credettero déi (Quetzalcoatl, il dio barbuto dagli occhi azzurri di cui
gli Aztechi incontrati da Cortés attendevano il ritorno dal mare, altro non era che la
raffigurazione mitologica dei templari di stirpe normanna incontrati tre secoli prima);
edificammo una fiorente colonia, e con il lavoro dei nativi sfruttammo con efficienza
le numerose miniere d'argento dello Yucatan. Accumulammo così una ricchezza tale,
da divenire i banchieri dei re della terra, e questo fu la causa della nostra rovina.
Il re di Francia Filippo IV detto il Bello (bello forse nel corpo, ma immondo e
disgustoso nell'anima), per rimpinguare le casse dello Stato da lui dissanguate nella
scellerata guerra con gli Inglesi, dopo aver espropriato i beni dei cambiavalute ebrei e
dei mercanti lombardi e tassato fino all'osso il clero di Francia, mise infatti gli occhi
sui nostri tesori. Dopo aver tentato invano di farsi ammettere nell'Ordine al fine di
assumerne la guida, infiltrò nelle nostre file spie con l'incarico di carpire informazioni
utili a coglierci in fallo, e nel funesto venerdì 13 ottobre dell'anno 1307, con la
complicità degli inquisitori, fece arrestare i nostri capi in tutto il regno e con la tortura
li costrinse a confessare falsamente di aver commesso atti di sodomia sui novizi - per
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tali vennero fatte passare le umiliazioni cui di buon grado essi si sottoponevano, a
imitazione dell'Uomo dei dolori - e soprattutto di aver adorato l'idolo chiamato
Baphomet o Bafometto - che in realtà, come sopra abbiamo detto, era il Volto della
Sindone -. Il nostro Gran Maestro Jacques de Molay confidava nell'aiuto del Papa; e
in verità Clemente V, pur già prigioniero ad Avignone, riuscì a farsi consegnare i
prigionieri, che subito ritrattarono le confessioni loro estorte, e ad avocare a sé il
processo che si protrasse fino al 1312, allorché al concilio di Vienne i cardinali non
riuscirono a trovare un accordo sulla richiesta di condanna. Il Papa stesso era
intenzionato ad assolverci formalmente dall'accusa di eresia (la più grave e
pericolosa); ma le pressioni di Filippo, deciso addirittura a provocare uno scisma
della Chiesa di Francia, e il ricordo terribile dell'attentato di Anagni al suo
predecessore Bonifacio VIII prevalsero sulla voce della coscienza. Con la bolla Vox
in excelso il Papa, pur riconoscendo l'assenza di colpa, sciolse l'Ordine per legitima
suspicio, proibendone la ricostituzione sotto pena della scomunica, e il 18 marzo
1314 Jacques de Molay e il precettore di Normandia Geoffrey de Charny furono arsi
vivi a Parigi, sull'isoletta della Senna detta "dei giudei".
Quel giorno i nostri occhi si aprirono, e comprendemmo che la soggezione del
Papato ai sovrani temporali metteva nelle mani di questi un formidabile potere: il
potere della fede. L'accusa di eresia, brandita contro di noi come una spada, ci aveva
d'un colpo alienato le simpatie del popolo; allo stesso modo qualunque oppositore di
questo o quell'altro re o feudatario avrebbe potuto esser messo a morte col favore di
una folla plaudente, purché si trovassero falsi testimoni disposti ad accusarlo.
Comprendemmo che non ci sarebbe mai stata pace per la Cristianità fin quando
Chiesa e Stato non fossero stati profondamente riformati dall'interno come avevano
auspicato san Francesco d'Assisi e san Domenico di Guzmán, sottraendo le questioni
religiose alla giurisdizione secolare e garantendo a ogni essere umano il diritto di
rivolgersi a Dio secondo il dettame di una libera coscienza, senz'altro limite che
quello della difesa delle altrui persone e beni. Da allora questa divenne la nostra
missione.
***
La scomunica del 1312 segnò la nostra messa al bando "ufficiale", ma non la
nostra fine. Lo stesso giorno dell'arresto di de Molay e degli altri capi templari la
Sindone di Cristo, per ordine del nostro Gran Maestro, fu presa in consegna dai
membri della famiglia de la Roche (la pronipote di Ottone, Jeanne de Vergy, nel 1340
sposò Geoffrey de Charny, nipote e omonimo di quello arso sul rogo, portandogli in
dote la santa reliquia), mentre la nostra flotta ancorata a La Rochelle, carica dei nostri
tesori, prendeva il largo alla volta della Scozia, il cui re Roberto I aveva deciso, al
pari dei sovrani di Spagna e Portogallo, di non dare esecuzione alla bolla papale. La
maggior parte dei cavalieri trovò dunque rifugio in quei paesi; i templari spagnoli
costituirono l'Ordine di Montesa che conservò i beni loro già appartenuti, mentre
quelli portoghesi costituirono l'Ordine di Cristo che fu guidato per vent'anni dal re
Enrico il Navigatore.
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Il nostro primo obiettivo fu di consolidare ed estendere le colonie al di là
dell'Atlantico: perciò nel 1398 Lord Henry Sinclair, Gran Maestro dell'Ordine
scozzese, partì con 12 navi e un equipaggio multietnico verso la terra allora chiamata
Nuova Scozia ed oggi Rhode Island ove passò l'inverno, per poi esplorare il New
England e il Massachusetts; prove del suo viaggio sono la torre ottagonale costruita a
Newport (Rhode Island), la grande stele di Westford (nel Massachusetts) che
raffigura un cavaliere in armatura con le insegne di Sir James Gunn, luogotenente di
Sinclair, e lo scheletro in armatura ritrovato nel 1832 a Fall River (sempre in
Massachusetts). I nostri fratelli di Lisbona, invece, favorirono l'esplorazione
dell'America centrale da parte dei Portoghesi.
Fra i nostri progetti c'era la fondazione di un regno in Messico da chiamare
Arcadia, che avrebbe dovuto esser popolato da membri delle tre religioni ed esser
ispirato ai princìpi della separazione fra Stato e Chiesa e della tolleranza religiosa; in
questo piano coinvolgemmo non solo l'ordine francescano, ma anche il cardinale
genovese Giovanni Battista Cybo - che col nostro aiuto divenne Papa col nome di
Innocenzo VIII - e uno dei suoi figli naturali, un valente marinaio che aveva sposato
la figlia di un nostro gran Maestro e che proteggeva i suoi natali sotto il falso nome
di... Cristoforo Colombo. Davvero credevate che la scoperta dell'America sia
avvenuta per caso? Chi di voi sa che sulla tomba di Innocenzo, in san Pietro, sta
scritto: "Durante il suo regno la scoperta di un Nuovo Mondo"? E come sarebbe stato
possibile scrivere una tale assurdità, dal momento che quel Papa è morto il 25 luglio
1492 e Colombo è partito da Palos il 3 agosto, se quel viaggio fosse stato il primo? E
perché mai le bianche vele delle tre caravelle recavano impressa la croce rossa del
nostro Ordine? Per un caso? Davvero credete che Colombo abbia avuto solo molta
fortuna nell'approfittare delle correnti favorevoli, o che fosse ridotto alla disperazione
quando il suo equipaggio si ribellò ed egli offrì la sua testa se entro tre giorni non
avessero avvistato terra, e la sera del terzo giorno così avvenne? E perché decise di
attendere l'alba del 12 ottobre per sbarcare, ancora per un caso? Nessun caso, nessuna
fortuna, niente disperazione. Semplicemente, Colombo aveva già percorso quella
rotta nel 1485, istruito da marinai portoghesi che a loro volta avevano appreso da noi;
semplicemente, la sua spedizione "ufficiale" fu finanziata dai nostri fratelli spagnoli,
che fornirono anche marinai esperti nel seguire la rotta; e la data del 12 ottobre,
semplicemente, era il giorno in cui Filippo l'Infame aveva inviato i suoi sgherri a
portare in tutto il regno di Francia l'ordine di arresto dei nostri predecessori, la vigilia
dell'anniversario di quel giorno tremendo e provvidenziale in cui noi Templari
scomparimmo visibilmente dal mondo per rinnovarlo nel segreto.
Per nostra iattura Ferdinando V d'Aragona, nuovo re della Spagna riunificata,
aveva stretto intesa alle nostre spalle con Rodrigo Borgia, che proprio quell'anno
sarebbe divenuto Papa col nome di Alessandro VI, e fece in modo che
nell'equipaggio fossero inclusi alcuni "gentiluomini", spie che prima sobillarono i
marinai, poi obbligarono il genovese ad attraccare su un'isola anziché raggiungere il
continente; non perché il re volesse frenare l'ambizione dell'ammiraglio - al quale era
stato promesso il titolo di governatore delle terre da scoprire - come credono gli
storici, ma perché il re e il Papa, insieme, volevano metterci fuori gioco e
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impadronirsi delle nostre colonie e delle nostre miniere.
Alla perdita del Messico rimediammo con la guerra da corsa, e il Nuovo Mondo
restò per secoli un rifugio sicuro per quanti fuggivano dalle persecuzioni e una fonte
copiosa di ricchezze che, fatte rifluire nella vecchia Europa e oculatamente investite
con l'aiuto di mercanti e banchieri (ebrei, ma non solo), ci permisero di alimentare
l'ascesa della potenza navale degli Olandesi, in un primo tempo, e poi degli Inglesi.
Questi si rivelarono discepoli più fedeli dei primi: mentre l'Olanda, impegnata a
difendersi dalle pretese annessionistiche di Luigi XIV, perdeva di vista le colonie
d'oltremare, l'Inghilterra consolidò ed estese i nostri insediamenti in Nordamerica;
prese stabile possesso del Canada strappandolo ai Francesi, e noi con essa.
Le nostre ricchezze ci permisero addirittura di finanziare la pubblicazione di
opuscoli e romanzi utopistici come "La Nuova Atlantide" di Francis Bacon - un
ottimo scrittore e filosofo che perdette la carica di Lord cancelliere e finì in rovina in
seguito a un'accusa di corruzione giudiziaria (chiedeva troppo per i servigi che ci
prestò) -; con quei libelli, mescolando realtà e fantasia, comunicammo all'opinione
pubblica allora nascente la novità della vita negli insediamenti d'Oltreoceano, ove nel
frattempo era stata proclamata la libertà di religione (e proprio nel Rhode Island;
indovinate perché?). Una pratica che abbiamo mantenuto fino ad oggi, anche se
adesso utilizziamo films e fictions come Il mistero dei templari della Disney.
Nel frattempo alcuni adepti di tendenza riformata avevano fondato la
Massoneria, con la quale estendemmo la nostra influenza sulla società civile inglese e
da lì, in pochi anni, sull'intera Europa; ma le sommosse scatenate a Firenze nel 1737
da circoli massonici locali favorevoli alla nuova dinastia inglese degli Hannover,
protestanti, attirarono contro la nuova associazione gli strali della Santa Sede,
nonostante che i massoni avessero ammesso nei loro ranghi e protetto i cattolici sia in
Inghilterra che in Irlanda (dove non a caso la scomunica pontificia fu pubblicata solo
nel 1798). La motivazione ufficiale fu il carattere "eretico" delle dottrine massoniche
e la segretezza dell'appartenenza, ma si trattò solo di un pretesto: le costituzioni
redatte dal pastore presbiteriano James Anderson affermavano recisamente che "un
libero muratore non può essere un ateo stupido né un libertino senza religione", e
come detto le logge accoglievano (e accolgono tuttora) fedeli di tutte le religioni e
confessioni cristiane. Il vero motivo della scomunica, ancora una volta, fu di natura
politica. Comunque, essa determinò una involuzione ateistica e anticristiana delle
logge continentali, in particolare francesi, che l'Ordine non poteva tollerare.
Abbandonammo perciò i massoni europei a loro stessi e fondammo il "Rito scozzese
antico e accettato": scozzese in quanto ne furono artefici i nostri maestri di Scozia,
discendenti della famiglia Sinclair; antico perché conservava la professione di fede
nell'Essere Supremo, Grande Architetto dell'universo, e nell'immortalità dell'anima;
accettato perché venne adottato ai primi del XIX secolo dalle logge degli Stati Uniti
d'America, le quali provvidero anche a rafforzare il carattere biblico e teista
dell'appartenenza. Per questo motivo da allora non abbiamo avuto più alcun rapporto
con la massoneria anticlericale franco-spagnolo-italiana, mentre abbiamo continuato
a collaborare con il ramo anglosassone in molti campi, soprattutto durante la
resistenza al nazifascismo e poi nel corso della Guerra Fredda. Il frutto migliore del
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nostro lavoro di squadra e compasso fu il superamento dell'ormai antistorica
diffidenza di Washington nei confronti della Chiesa cattolica, che portò il Presidente
degli Stati Uniti Ronald Reagan il Precursore e il Pontefice Giovanni Paolo II il
Grande ad allearsi per combattere e alfine sconfiggere il comunismo.
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Questa è la nostra storia. Oggi una buona parte dei nostri obiettivi iniziali si è
realizzata. La Chiesa cattolica ha riconosciuto nella dichiarazione conciliare
Dignitatis humanae che il dovere, fondamentale per ogni essere umano, di ricercare
la Verità e di aderire ad essa, per essere conforme alla dignità dell'uomo creato
intelligente a immagine di Dio deve esercitarsi senza costrizioni esterne, nella libertà
da persecuzioni motivate dall'appartenenza o meno a una determinata religione. Gli
Stati democratici e liberali, dal canto loro, hanno accettato i princìpi di libertà e
uguaglianza per tutti i loro cittadini, combattendo le discriminazioni fondate sul
sesso, sulla razza e sulla religione.
Ora resta da compiere l'ultimo sforzo: stabilire l'uguaglianza di tutti gli esseri
umani al di là delle barriere costituite dalle diverse appartenenze nazionali. Ciò potrà
avvenire solo con la creazione di una Lega delle Democrazie la cui guida dovrà
essere assunta dal popolo e dal governo degli Stati Uniti d'America, il primo paese in
cui sono stati proclamati gli immortali diritti di ogni uomo alla vita, alla libertà e alla
ricerca della felicità. Questa Lega delle Democrazie dovrà utilizzare tutti i mezzi dalle sanzioni diplomatiche ed economiche fino alla guerra - per abbattere le dittature
nazionalcomuniste e le tirannie nazislamiche in Russia, in Cina, in Iran, in Venezuela
e in tutti i paesi del Terzo Mondo oppressi dalla fame e dalla miseria materiale e
spirituale, per stabilire in quei paesi governi liberaldemocratici rispettosi dei diritti
dell'uomo, per costruire apparati burocratici efficienti e rispettosi della legge e una
magistratura indipendente da pressioni di gruppi politici, economici e religiosi. Il
punto omega di questo processo sarà inevitabilmente la creazione di un Impero
mondiale a struttura federale, nel quale la più ampia autonomia finanziaria e
gestionale dei singoli territori si accompagni a un massiccio investimento di capitali e
di conoscenze per sollevare la condizione della Russia, della Cina e del Sud del
pianeta al livello dell'Occidente, e per garantire a tutto il genere umano l'uguaglianza
nella libertà e nella prosperità. A questo altissimo impegno si dedica, oggi come ieri,
l'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il suo ramo
esecutivo, il Partito Mondialista.
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IL PARTITO MONDIALISTA:
FUNZIONE E STRUTTURA
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IL MANIFESTO DEL PARTITO MONDIALISTA
A Giovanni Paolo II,
capo della Chiesa universale,
pace e vita eterna
A George Walker Bush,
capo dell’Impero universale,
vita e vittoria
INTRODUZIONE
Uno spettro si aggira per la Terra di Mezzo: lo spettro del mondialismo. Tutte le
potenze dell’Eurabia si sono coalizzate in una sacra caccia alle streghe contro questo
spettro: il vecchio califfo e il nuovo zar, il re di Francia e il cancelliere di Prussia,
contadini, intellettuali e ambientalisti.
Dov'è il partito di opposizione che non sia stato bollato di mondialismo dai suoi
avversari al governo, dove il partito di opposizione che non abbia ritorto l'infamante
accusa di mondialismo sia contro gli esponenti più progressisti dell'opposizione che
contro i suoi avversari reazionari? In Italia si può persino assistere allo spettacolo di
un partito di maggioranza che accusa, volta a volta, questo o quell’altro alleato di
essere – horribile dictu! – massone, tecnocratico e cosmopolitico, in una parola:
mondialista.
Di qui due conseguenze.
Il mondialismo viene ormai riconosciuto da tutte le potenze della Terra come
una potenza.
È gran tempo che i mondialisti espongano apertamente a tutta l’umanità la loro
prospettiva, i loro scopi, le loro tendenze, e oppongano alla favola dello spettro del
mondialismo un manifesto del partito.
A questo scopo il Consiglio Direttivo dell’associazione internazionale “New
Atlantis for a World Empire”, composto da uomini e donne di ogni razza, lingua,
popolo e nazione, si è dato convegno nella culla dell’Occidente e, in unione con gli
associati, ha redatto il seguente manifesto, che viene pubblicato in lingua italiana.
Roma, 3 aprile 2005
In albis
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SOLDATI E BORGHESI
La storia di ogni società è stata finora la storia di una lotta all’ultimo sangue fra
soldati e borghesi.
Greci contro Persiani, Sparta contro Atene, Chiesa e Impero, feudatari e
cittadini, ariani ed Ebrei, in breve chiusura e apertura si sono sempre reciprocamente
contrapposte, hanno combattuto una battaglia ininterrotta, aperta o nascosta, una
battaglia che si è conclusa di volta in volta con un allargamento degli spazi di libertà
per gli individui e un aumento di benessere dell'intera società.
Nelle precedenti epoche storiche noi troviamo dovunque una suddivisione
completa dell’umanità fra popoli “chiusi” e “aperti” e un conseguente diverso
atteggiarsi dei loro cittadini nei confronti delle res novae e delle questioni
fondamentali che agitavano ciascuna società. Nel sesto secolo avanti Cristo, in
Oriente, le SS assire furono debellate dai Persiani e Ciro – detto poi non a torto il
Grande – creò il primo impero multietnico della storia, giungendo a finanziare
personalmente il ritorno degli esuli in Israele e la ricostruzione del Tempio. Cento
anni dopo, in Grecia, Sparta – metà comune sessantottina, metà caserma – tentò
invano di distruggere la florida democrazia ateniese, rea di permettere ai propri
cittadini di vivere ciascuno come voleva. Roma unì genti di ogni lingua, razza e
religione in un solo popolo, fece del mondo intero una sola città, e col suo fascino
riuscì, morente, a instillare nei barbari assassini il desiderio di farla rinascere.
Dopo i secoli bui del Medioevo, il Duecento vide la nascita della borghesia: i
servi della gleba, in fuga dalle corvées feudali, si affrancarono trasferendosi nei
Comuni italiani e nelle ricche città commerciali dell’Hansa, e fecero la fortuna loro e
quella dei propri discendenti; da qui si affermò il luogo comune “l’aria della città
rende liberi”.
La scoperta dell'America, il periplo dell'Africa crearono un nuovo terreno per la
borghesia rampante. Il mercato delle Indie orientali e quello cinese, la colonizzazione
dell'America, il commercio con le colonie, la moltiplicazione dei mezzi di scambio e
delle stesse merci diedero un impulso fino ad allora sconosciuto al commercio, alla
navigazione, all'industria, e quindi favorirono un rapido sviluppo dell'elemento
innovatore nella decadente società feudale.
L'innovazione non riguardò solo la sfera economica della vita: pittura, scultura e
architettura abbandonarono gli stilemi romanico-gotici e si aprirono alla prospettiva;
la cosmologia tolemaica, con le sue sfere cristalline e la Terra al centro dell’universo,
lasciò il posto ad uno spazio infinito, nel quale potevano trovar posto persino nuovi
mondi, nuove Terre da esplorare. Anche in letteratura soffiò un vento nuovo: ai
romanzi cavallereschi, all’armi e agli amori dei nobili si sostituirono i viaggi in paesi
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lontani di mercanti e naturalisti; i nuovi eroi non si chiamarono più Orlando e
Lancillotto, ma Ferdinando Magellano e Robinson Crusoe.
Ma i mercati continuavano a crescere e con essi le aspettative. Anche la
manifattura non bastava più. Il vapore e le macchine rivoluzionavano la produzione
industriale. La grande industria ha creato il mercato mondiale, il cui avvento era stato
preparato dalla scoperta dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno smisurato
impulso allo sviluppo del commercio, della navigazione, delle comunicazioni
terrestri. Tale sviluppo ha a sua volta retroagìto sulla crescita dell'industria. E nella
stessa misura in cui crescevano industria, commercio, navigazione, ferrovie si
sviluppava anche la borghesia. Ed essa accresceva i suoi capitali e metteva in ombra
tutte le classi di origine medievale.
La borghesia ha rivelato come la brutale esibizione di forza, quella caratteristica
del Medioevo che tanto piace agli antimoderni, abbia trovato il suo congruo
complemento nella più inerte pigrizia. Solo la borghesia ha dimostrato che cosa
l'attività umana può produrre. Essa ha realizzato meraviglie ben diverse dalle
piramidi egizie, dagli acquedotti romani e dalle cattedrali gotiche, si è lanciata in ben
altre avventure che non le migrazioni dei popoli e le crociate.
La necessità di uno sbocco sempre più vasto per i suoi prodotti lanciò la
borghesia alla conquista dell'intera sfera terrestre. Bisognava annidarsi dappertutto,
dovunque occorreva consolidarsi e stabilire collegamenti.
Esportata dagli Europei, compagna di viaggio dei missionari e dei commercianti,
la borghesia ha messo radici in tutto il mondo, e ovunque ha sovvertito il “chiuso”
mondo tradizionale. La borghesia ha distrutto i rapporti feudali e patriarcali dovunque
abbia preso il potere. Essa ha sostituito al potere, diretto e brutale, dell’uomo
sull’uomo un potere impersonale, mediato dal denaro; un potere che non dipendeva
più dal sangue o dalla religione, ma solo dal talento e dall’abilità personale. Un
potere aperto a tutti, che aboliva le vecchie distinzioni in ceti e caste e proclamava
l’uguaglianza di tutti gli uomini.
La borghesia ha strutturato in modo cosmopolitico la produzione e il consumo di
tutti i paesi grazie allo sfruttamento del mercato mondiale. Con grande dispiacere dei
reazionari essa ha sottratto all'industria il suo fondamento nazionale. Antichissime
industrie nazionali sono state distrutte e continuano a esserlo ogni giorno. Nuove
industrie le soppiantano, industrie la cui nascita diventa una questione vitale per tutte
le nazioni civili, industrie che non lavorano più le materie prime di casa ma quelle
provenienti dalle regioni più lontane, e i cui prodotti non vengono utilizzati solo nel
paese stesso ma, insieme, in tutte le parti del mondo. Al posto dei vecchi bisogni,
soddisfatti dai prodotti nazionali, se ne affermano di nuovi, che per essere soddisfatti
esigono i prodotti delle terre e dei climi più lontani. Al posto dell'antica
autosufficienza e delimitazione locale e nazionale si sviluppano traffici in tutte le
direzioni, si stringe una reciproca interdipendenza universale fra le nazioni. E ciò sia
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nella produzione materiale che in quella spirituale. Le conquiste spirituali delle
singole nazioni divengono bene comune. L'unilateralità e la delimitazione nazionale
diventano sempre meno possibili e dalle varie letterature nazionali e locali si
costruisce una letteratura mondiale.
La borghesia ha trascinato verso la civiltà persino le nazioni più barbariche,
grazie al rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, grazie al continuo
progresso delle comunicazioni. I prezzi ben calibrati delle sue merci sono l'artiglieria
pesante con cui essa atterra qualsiasi muraglia cinese, con cui essa costringe alla
capitolazione financo la più ostinata xenofobia dei barbari. La borghesia costringe
tutte le nazioni a far proprio il modo di produzione borghese, se non vogliono
affondare; la borghesia le costringe a introdurre esse stesse la cosiddetta civiltà, cioè
a diventare borghesi. In una parola, la borghesia si costruisce un mondo a sua
immagine e somiglianza.
La borghesia ha sottomesso la campagna al dominio della città. Essa ha creato
enormi città, ha notevolmente aumentato la popolazione urbana rispetto a quella delle
campagne, strappando così all'idiotismo della vita di campagna una parte importante
della popolazione. Come ha reso dipendente la campagna dalla città, così ha reso
dipendenti i paesi barbarici o semibarbarici da quelli civilizzati, i popoli contadini da
quelli borghesi, l'Oriente dall'Occidente.
La borghesia tende sempre più a superare la frammentazione dei mezzi di
produzione, della proprietà e della popolazione. La conseguenza necessaria era la
centralizzazione politica. Province indipendenti, quasi solo alleate, con interessi,
leggi, governi e dogane differenti, sono state riunite in un'unica nazione, un unico
governo, un'unica legge, un unico interesse di classe nazionale, un'unica barriera
doganale.
La borghesia ha prodotto, nel corso del suo tricentenario dominio di classe, forze
produttive più massicce e colossali di tutte le altre generazioni messe insieme.
Controllo delle forze della natura, macchine, impiego della chimica nell'industria e
nell'agricoltura, navigazione a vapore, ferrovie, telegrafi elettrici, dissodamento di
interi continenti, navigabilità dei fiumi, popolazioni intere fatte nascere dal nulla:
quale secolo passato sospettava che tali forze produttive giacessero nel grembo del
lavoro sociale?
La borghesia ha distrutto, in Europa e in tutti i territori popolati dagli Europei,
ogni parvenza del vecchio modo di vita “chiuso” e comunitario che era tipico delle
popolazioni patriarcali, dagli Incas alle comunità di villaggio indiane. Anche quando
gli squilibri di una crescita economica improvvisa e disomogenea hanno spinto interi
popoli ad abbracciare ideologie reazionarie, che pretendevano di sostituire il “freddo”
rapporto economico, mediato dal denaro, con i più caldi rapporti del sangue e del
suolo, della classe e dell’antagonismo fra le classi, la borghesia ha trovato il modo di
annientare i suoi nemici; prima con i superiori mezzi bellici approntati dall’economia
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di mercato, e senza che ne risentisse il benessere dei civili – mentre la Germania
nazista e l’Italietta fascista si trasformavano in caserme, povere di armi e di pane –,
poi vincendo la gara con l’Unione Sovietica per assicurare alle grandi masse un
tenore di vita crescente, la libertà dalle malattie e dalla povertà. Dopo settant’anni la
bandiera rossa è stata ammainata dal Cremlino, e la borghesia ha trionfato.
Per dieci anni è parso a tutti gli osservatori che la borghesia, il mercato che ne
alimenta la ricchezza e il potere, e la democrazia liberale che ne costituisce
l’espressione politica, avessero preso il sopravvento su tutto il pianeta. La sconfitta di
Saddam Hussein nella grande guerra del Golfo, con la liberazione del piccolo Stato
del Kuwait, e la disfatta del tiranno Milosevic sembrarono sancire la nascita di un
Nuovo Ordine Mondiale, regno di pace e di benessere, regno di libertà e giustizia per
tutti. A infrangere questo idillico quadretto provvide fin da subito il genocidio nel
Ruanda: la colpevole inerzia delle Nazioni Unite, la loro incapacità d’impedire la
colossale mattanza furono la spia evidente della loro inadeguatezza a farsi garanti
della pace da tutti agognata. Nello stesso tempo, approfittando dell’ambiguo
programma “Oil for Food”, il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan e suo figlio si
arricchivano scandalosamente intascando le regalie del tiranno baathista. Infine, il
sorgere di un movimento integralista islamico, pronto a usare i mezzi più vili e abietti
per esorcizzare il secolare complesso d’inferiorità dell’Islam nei confronti
dell’Occidente, e attuare il folle progetto di un califfato mondiale sotto le insegne del
falso profeta e vero assassino bin Laden, ha prodotto un crescendo di attentati
terroristici che ha avuto il suo tragico Golgota nell’infame distruzione delle Torri
Gemelle di New York e del Pentagono di Washington.
Contro questo nuovo pericolo l’Onu si è rivelato tragicamente impotente;
peggio, si è comicamente spaccato tra filoamericani e antiamericani, si è coperto di
ridicolo dando la medesima attenzione a rappresentanti di governi liberali e
democratici, rispettosi dei diritti umani, e a messi di regimi corrotti e sanguinari, che
hanno fatto della menzogna la loro diplomazia e del terrore la loro politica.
Di fronte a questo immane pericolo, a questa alleanza di nazionalisti, orfani del
comunismo e seguaci della mezzaluna contro l’Occidente e i suoi difensori
(l’America e Israele), diviene urgente chiarire la natura del movimento storico di cui
la borghesia europea si è fatta storicamente portatrice e ostetrica; un movimento
d’uomini e d’idee che supera i confini ristretti dell’Europa e della modernità, che
affonda le sue radici nel passato e si proietta con decisione verso il futuro: il
mondialismo.
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II
I MONDIALISTI
Chi sono i mondialisti?
Qual è il rapporto tra mondialisti e borghesi?
I mondialisti non sono un partito a sé fra gli altri partiti liberaldemocratici.
Essi non hanno interessi separati da quelli dell'intera umanità.
Essi non propongono particolari princìpi su come modellare l’umana società.
I mondialisti si distinguono dai restanti partiti solo perché, d'un lato, nelle
diverse lotte nazionali dei borghesi, dei liberali e dei democratici essi pongono in
evidenza e affermano gli interessi comuni di tutta l’umanità, indipendentemente dalla
nazionalità; dall'altro, perché essi esprimono sempre l'interesse complessivo del
movimento ideale nelle diverse fasi in cui si sviluppa la lotta fra apertura e chiusura,
fra società e comunità, fra libertà e tirannide.
I mondialisti sono pertanto nella pratica la parte più decisa e più avanzata dei
partiti liberaldemocratici di ogni paese, e dal punto di vista teorico essi sono
anticipatamente consapevoli delle condizioni, del corso e dei risultati complessivi del
movimento per l’unificazione dell’intera specie umana in un solo Impero mondiale.
Avanguardie di questo possente movimento d’uomini e d’idee furono i membri
del popolo d’Israele dispersi fra le genti, e le sette cristiane protestanti anglosassoni.
Gli Ebrei, costretti, a causa del divieto di esercitare qualsiasi mestiere “puro”, a
svolgere le attività di cambiavalute e banchieri per vivere, furono per primi indotti a
non radicarsi in una classe o corporazione, in una città o nazione particolare, ma ad
essere pienamente individui cosmopolitici, e quindi anche cosmostorici (cioè autori e
determinatori della storia del mondo).
Puritani e calvinisti, dal canto loro, perseguitati dai loro sovrani, costretti ad
emigrare in nuove terre, scoprirono di non poter riporre la propria sicurezza in uno
Stato-madre onnipotente e totalitario; compresero il valore immenso della libertà e
l’infinita dignità dell’individuo solo in mezzo a una natura selvaggia da domare, ritto
con la propria coscienza davanti a Dio; e diedero forma logica e giuridica a tali
immortali princìpi, edificando una società nella quale la difesa delle istituzioni era
affidata alla probità e al senso dell’onore di tutti i suoi cittadini, e dove chiunque,
purché avesse talenti e forza di volontà per svilupparli, poteva ascendere ai massimi
gradini della scala sociale, indipendentemente dal colore della pelle e dalla nazione di
provenienza.
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Per tal motivo comunisti e nazifascisti hanno perseguitato i figli d’Israele, e
tentato – senza successo, Deo gratias – di cancellare il loro seme dalla faccia della
terra: perché in essi, giustamente, vedevano gli esponenti della classe universale,
banchieri, giornalisti, scrittori, filosofi, scienziati; uomini e donne non radicati in un
luogo, in uno spazio determinato, non legati ai falsi miti del sangue e del suolo, ma
pienamente, autenticamente cittadini del mondo. E per lo stesso motivo le armate
nere, rosse e adesso verdi hanno tentato e tentano di distruggere gli Stati Uniti
d’America, dolce terra di libertà, e lo Stato d’Israele, unico avamposto di democrazia
in un Oriente oppresso da regimi tirannici, assassini e totalitari. Contro questi assalti
brutali e sanguinari deve innalzarsi possente la barriera, lo scudo del movimento
mondialista.
Il primo compito dei mondialisti è identico a quello di tutti gli altri partiti
liberaldemocratici: costituzione della borghesia in classe, annientamento del dominio
della tirannide, conquista del potere politico da parte della borghesia.
Le formulazioni teoriche dei mondialisti non riposano affatto su idee, su princìpi
scoperti da questo o quel riformatore del mondo. Essi sono solo l'espressione
generale di rapporti effettivi di una lotta fra princìpi contrapposti – fra chiusura e
apertura – che esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi.
Mondialismo e Tradizione
I tradizionalisti inorridiscono perché noi vogliamo eliminare il Sacro dal mondo.
Ma nelle società occidentali la sacralità della natura è stata già abolita duemila anni fa
dal Cristianesimo; anzi, esso può parlare, e parla, di sacralità della vita umana proprio
in quanto tale sacralità non esiste per i leoni, le farfalle, gli tsunami e il vibrione del
colera. Essi ci accusano dunque di voler abolire la sacralità del mondo non umano, in
nome della quale si commettono aborti e sterilizzazioni forzate, per salvaguardare la
sacralità dei singoli, concreti individui umani.
In una parola, essi ci accusano di voler abolire la base del loro dominio. È
proprio quello che vogliamo.
Dal momento in cui il mondo non-umano non può più essere trasformato in
feticcio, tabù, Korbàn – in breve, in un potere sociale monopolizzabile –, cioè dal
momento in cui la sacralità dell’uomo non può tramutarsi in sacralità della natura, da
quel momento essi dichiarano che ad essere abolito è il Sacro.
Essi ammettono così di considerare come sacro nient'altro che il non-umano, il
mondo non-umano. E pertanto questa sacralità deve essere abolita.
Tutte le obiezioni rivolte contro il modo mondialista di appropriazione e di
produzione dei prodotti materiali sono state sviluppate allo stesso titolo nei confronti
dell'appropriazione e della produzione dei prodotti spirituali. Come per il
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tradizionalista la fine della sacralità della natura significa la fine del Sacro stesso, così
per lui la fine della cultura nazionale è identica alla fine della cultura in quanto tale.
La cultura di cui egli lamenta la perdita è per l'enorme maggioranza dei popoli del
pianeta la preparazione a diventare un soldato, un assassino; uno sterminatore di
inglesi in nome della Francia, uno sterminatore di francesi in nome della Heimat, uno
sterminatore di austriaci in nome dell’Italietta, uno sterminatore di ebrei in nome
della razza ariana o della Umma islamica. Di questa cultura un mondo unito farà
volentieri a meno.
I nemici del mondialismo ci accusano anche di volere la distruzione delle culture
indigene o in genere minoritarie, come quella dei nomadi o zingari. Essi accusano noi
mondialisti di essere degli sradicati, ed elogiano il radicamento di quelli in un
sistema ben compatto di tradizioni e modi di comportamento. In verità, criticandoci,
essi ci elogiano. Le culture ancestrali che essi venerano sono come mummie rinchiuse
in teche di vetro, che a contatto con l’aria si dissolvono; così si sono disfatte le
società Inca e Maya. L’Occidente è libero e vivo come il vento che soffia dove vuole,
poiché esso circonda e abbraccia il mondo intero con tutte le sue epoche.
Mondialismo e nazionalismo
Si è inoltre rimproverato ai mondialisti di voler liquidare la patria, la nazionalità.
I poveri, i reietti, gli apolidi, i perseguitati di tutti i luoghi e di tutte le epoche
non hanno patria. Non si può togliere loro ciò che non hanno. Il tempo del genocidio
armeno, dei gulag, di Auschwitz, delle fosse comuni e delle pulizie etniche è finito. È
ora di cambiare! Il sangue versato dagli innocenti, le grida di sofferenza che nessuno
ha mai udito, non dovranno più essere inghiottite impunemente nel passato. I
mondialisti hanno intenzione di sfondare i vecchi muri dell’indifferenza nazionale e
aprire una nuova strada per questa gente.
Le divisioni e gli antagonismi nazionali fra i popoli tendono sempre più a
scomparire già con lo sviluppo della borghesia, con la libertà del commercio, con il
mercato mondiale, con l'uniformità della produzione industriale e delle condizioni di
vita che ne derivano.
L’instaurazione di un Impero mondiale li farà scomparire ancora di più. L'azione
comune almeno dei paesi più civilizzati è una delle prime condizioni per la
liberazione dei popoli sottosviluppati dalla maledizione degli odi tribali e delle
pulizie etniche.
In tanto in quanto viene eliminato lo sfruttamento del singolo individuo da parte
di un altro, e sostituito da un sistema di dipendenza onnilaterale e impersonale
mediato dal denaro, svanisce anche lo sfruttamento di una nazione da parte di
un'altra.
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Mondialismo e Religione
Si è ancora rimproverato a noi mondialisti di voler abolire la religione
organizzata in generale, di voler distruggere la Chiesa e le altre comunità religiose; la
religione che costituirebbe la base di ogni libertà e dignità personale.
Religione organizzata! Ma di quale religione parlate? Del Cristianesimo, diviso
tra cattolici, ortodossi, anglicani, protestanti di mille sette? Non abbiamo intenzione
di abolirlo, anzi lo consideriamo padre e mallevadore del mondialismo per aver
combattuto il panteismo pagano, introdotto la distinzione fra il Creatore e le creature,
e per conseguenza iniziato quel processo di desacralizzazione della natura e, nel
contempo, di assoggettamento di essa alle leggi eterne di un Dio fedele che ha
prodotto lo sviluppo della scienza e dell'industria, della libertà dalle malattie e dalla
povertà cui assistiamo da cinquecento anni. L’ultimo Pontefice, poi, ha tessuto il più
bell’elogio dell’economia di mercato che è la base materiale delle moderne società
d’Occidente, mostrando che la storia del capitalismo è ben lungi dal rassomigliare ad
una squallida e ridicola shark tale.
Siamo ben consapevoli del fatto che nessuna società aperta, complessa e
differenziata al suo interno può sopravvivere senza un consenso di fondo su principi e
valori strutturanti la convivenza; principi e valori che sono propri di tutti gli uomini
come individui, ma che solo il Cristianesimo come religione organizzata ha fatto
emergere alla luce della consapevolezza e innalzato a pilastri angolari di una civiltà
universale. Il mondialista non sarà mai un ateo ignorante, un libertino senza cervello,
un maiale sazio e annoiato.
Oppure parlate della religione come custode dei valori tradizionali, delle culture
terzomondiste?
Ma dove c’è corruzione diffusa, persecuzione delle minoranze religiose, uso
sistematico del terrore sui propri cittadini e del terrorismo verso gli stranieri, la
religione, il culto a Dio, assicura il rispetto di qualche valore? Niente affatto. Essa
crea solo il vestito nuovo del re, il manto invisibile che dovrebbe coprire le vergogne
di quei regimi e che invece, dalla bocca dei bambini e dei lattanti, degli uomini
semplici e onesti (alieni dalle fumisterie degli intellettuali veteroeuropei), ne svela
ineluttabilmente la nudità e la miseria spirituale.
Ciò che vogliono i mondialisti non è l’abolizione della religione in generale, e
neppure di una particolare fede religiosa; essi mirano all’abolizione di quella
specifica patologia della religione che è il fondamentalismo, vale a dire l’indebita
commistione tra religione e scienza, religione e filosofia, religione e diritto, religione
e politica. Questo ci porta al primo punto della nostra strategia: la soluzione della
questione islamica.
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1. Mondialismo e Islam
L'eliminazione del potere delle gerarchie religiose nei paesi islamici non è
qualcosa di specificamente mondialista.
Tutta la storia dell’umanità è storia di una progressiva emancipazione della sfera
politico-giuridica da quella dei rapporti fra l’uomo e la Divinità, e per conseguenza di
un allargamento degli spazi di libertà per quanti non professavano la religione della
maggioranza, in un luogo e un’epoca determinati.
Ad esempio, in Atene e a Roma i re-sacerdoti furono ridotti a funzioni rituali e
simboliche, a vantaggio delle assemblee elettive e dei rappresentanti del popolo. Così
pure, per contrasto, nel Medioevo il tracollo dell’Impero sacro e romano fu
determinato dalla sorda opposizione dei vertici della Chiesa latina ad un pieno
dispiegarsi della potestà imperiale sull’Italia, che i Papi consideravano loro possesso
inalienabile; da qui lo smembramento dell’Europa nei vari Stati nazionali, e lo sforzo
dei sovrani assoluti di emanciparsi dalla potestas indirecta della Santa Sede.
Ciò che distingue il mondialismo non è l'eliminazione del potere dei clerici in
quanto tale, bensì l'abolizione del potere dei clerici islamici, mullah e ayatollah.
Ma l’attuale potere dei religiosi islamici è l'ultima e più compiuta espressione
della chiusura comunitaristica di quelle società, fondata su contrapposizioni di
religione che diventano anche contrapposizioni di classe, sullo sfruttamento
dell’uomo sull’uomo, della maggioranza da parte della minoranza.
In tal senso i mondialisti possono riassumere la loro teoria in questa singola
espressione: abolizione della sharia, separazione tra sfera religiosa e sfera laica,
esautoramento della casta militare e dei mullah dalle leve del potere, a favore di un
potere civile colto e illuminato.
Abolizione della famiglia! I musulmani si indignano per questo scandaloso
intento dei mondialisti.
Su che cosa poggia la famiglia islamica attuale? Sulla disuguaglianza, sulla
superiorità dei mariti e sulla sottomissione delle mogli. In senso pieno essa esiste solo
per gli uomini; ma essa trova il suo completamento nell'imposizione alle donne di
non avere una dignità e nella schiavitù delle mogli.
La famiglia islamica, gerarchica decade naturalmente con l'eliminazione di
questo suo proprio completamento ed entrambi scompaiono con la scomparsa della
disuguaglianza fra uomini e donne.
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I muslims ci rimproverano di voler abolire lo sfruttamento delle mogli da parte
dei loro mariti, lo sfruttamento delle figlie da parte dei loro padri? Confessiamo
questo crimine.
Ma essi dicono che noi aboliamo i rapporti più cari sostituendo con l'educazione
laica quella impartita dai dottori del Corano.
E forse che la loro stessa educazione non è determinata dalla società? Dai
rapporti sociali nel cui ambito essi educano, dall'interferenza più o meno diretta o
indiretta della società per mezzo delle scuole coraniche e così via? Non sono i
mondialisti a inventare l'intervento della società nell'educazione; ne cambiano solo il
carattere, sottraggono l'educazione all'influsso di una religione dominante.
"Ma voi mondialisti volete introdurre la scostumatezza delle donne!", strepita in
coro contro di noi l'intelligentsija islamica.
Il buon musulmano vede in sua moglie un puro strumento di soddisfazione del
suo piacere. Egli sente dire che le donne devono essere parificate agli uomini e non
può naturalmente fare a meno di pensare che esse acquisiranno i suoi stessi vizi. Non
gli viene in mente che si tratta proprio di abolire la posizione delle donne come puri
strumenti di soddisfazione del piacere.
Nella sua forma attuale, la religione islamica deriva dalla contrapposizione di
“fedeli” e “infedeli”. Osserviamo i due lati di questa opposizione.
Essere un “fedele” per l’Islam (un muslim, un sottomesso) significa assumere
sulla scena politica una posizione non solo puramente personale, ma sociale. Il potere
politico è un prodotto collettivo e può essere messo in moto solo grazie a una comune
attività di molti, anzi in ultima istanza di tutti i membri della società.
Il potere politico non è quindi un potere solo personale, è un potere sociale.
Nell’Islam potere politico e appartenenza alla “vera” religione sono
inestricabilmente legati. Gli islamici non hanno ancora assorbito l’aurea massima di
Gesù Cristo: date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio. In
Occidente questa massima significa che Cesare, cioè il sovrano terreno, ha dei diritti
inalienabili, che gli spettano in virtù della sua intrinseca natura e funzione: assicurare
la tranquillità della vita terrena contro i pericoli interni ed esterni. Questi diritti, e i
corrispondenti poteri, riguardano le tasse e il loro uso per l’utilità pubblica, la
protezione delle vite e dei beni dei cittadini contro i violenti e i briganti, la pace e la
guerra. Nel mondo musulmano, viceversa, tutto viene considerato proprietà di Dio; il
che vuol dire, in pratica, che tutto appartiene a colui il quale, in un certo luogo e
momento storico, riesce ad imporsi, con la forza o con la truffa, come “bocca”
dell’Altissimo. Tutto: diritti, libertà, denaro sonante e corpi di donne e bambini.
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(Le principali organizzazioni di tutela dei diritti umani hanno informato per
tempo la sonnacchiosa opinione pubblica dell’Occidente che gli ayatollah iraniani
son soliti approfittare delle loro posizioni di potere non soltanto per stuprare giovani
vergini – coloro che si ribellano vengono accusate di adulterio e lapidate –, ma anche
per compiere atti di pederastia nei confronti di bambini di pochi anni e di bambine
non ancora mestruate. Così pure è nota l’accusa rivolta da un ministro pachistano alle
madrasse del suo paese, di ospitare e coprire molestie sessuali da parte degli
insegnanti del Corano nei confronti dei giovani allievi.)
Se allora la religione viene separata dalla politica, e trasformata in un fatto che
riguarda i singoli e gli associati come uomini, e non più come cittadini, in tal modo
non si abbatte la religione (nemmeno la religione islamica). Cambia solo il carattere
sociale della religione. Essa perde il suo carattere di passe-partout per l’esercizio del
potere politico.
Veniamo ai cosiddetti “infedeli”.
Con "libertà" si intende nell'ambito degli attuali rapporti islamici con il resto del
mondo il libero proselitismo, la libertà di convertire gli “infedeli” all’Islam. Una
simile libertà di evangelizzare e convertire non è riconosciuta, nei paesi islamici, ai
fedeli di altre religioni come invece lo è in Occidente ai muslims, anzi l’abbandono
della fede in Allah è punita con la morte.
Nei paesi islamici, inoltre, gli “infedeli” sono relegati al gradino più basso della
scala sociale: ad essi sono riservate le professioni che il buon muslim, il sottomesso
ad Allah e al califfo del momento, considera impure (sono, non casualmente, quei
mestieri e quelle professioni che hanno fatto la fortuna della borghesia occidentale, e
che oggi determinano la relativa prosperità delle minoranze religiose nei paesi arabi).
I loro diritti civili, in società dominate da monarchie assolute o da dittature militari,
sono praticamente inesistenti; ad essi non è riconosciuto neppure quel minimo di
solidarietà che si riserva a chi patisce la medesima dura sorte, perché sono appunto
fuori dalla cerchia dei “fedeli” e pertanto rubare i loro beni non è ritenuto un furto,
ma una restituzione, la loro uccisione non è considerata omicidio, ma eroismo.
Il medesimo complesso di superiorità che il muslim ostenta nei confronti dei
nasrani – espressione invero di profonda insicurezza e di scarsa autostima – è
all’origine di una corsa, da parte di musulmani benestanti ed acculturati, ad arruolarsi
come uomini-bomba, ad uccidersi al solo scopo di massacrare il maggior numero di
cristiani, di ebrei o di indù, o anche di sciiti e di musulmani “moderati” che ai loro
occhi sono peggio che infedeli, sono apostati indegni perfino di esser convertiti. È
una palese ovvietà il fatto che non tutti i seguaci di Maometto siano dei terroristi
assassini; ma è ben più di un’ovvietà il fatto che tutti gli attentati più sanguinari degli
ultimi trent’anni (dai dirottamenti aerei all’abbattimento delle Due Torri, da Bali a
Casablanca, fino agli sgozzamenti in Iraq) sono stati compiuti da seguaci di
Maometto. Anche il talebano bianco John Walker, prima di andare a combattere
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contro i suoi fratelli americani tra le montagne dell’Afghanistan, si era convertito al
Corano.
Nella società islamica è dunque il passato che domina sul presente, in quelle
occidentali è il presente che domina sul passato. Nella società islamica il potere
politico è indipendente e personale, mentre l'individuo attivo è dipendente e
impersonale.
E l'abolizione di questo rapporto la intellighentsija islamica la chiama abolizione
della religione e della fede in Dio! E a ragione. Si tratta però dell'abolizione della
religione e fede integraliste, che negano la legittima autonomia delle realtà temporali.
Ma se scompare l’integralismo, allora si apre per tutte le religioni la libera
concorrenza nel procacciarsi nuovi adepti; e come in ogni sfera in cui si affermi il
principio di una concorrenza libera da ceppi monopolistici od oligopolistici, chi ha
più filo da tessere più tesserà; chi propone valori più saldi, più forti, più conformi alla
natura razionale e spirituale dell’uomo conquisterà anche più fedeli. Le religioni
meno competitive sotto questo profilo scompariranno, come i telai a mano nel 1700
hanno lasciato il posto ai telai meccanici.
Coloro che nel Settecento distruggevano i telai a vapore in nome dell’antico uso
erano dei criminali – e dai loro zoccoli, i sabots, è derivato il termine “sabotatore” –;
allo stesso modo lo sono oggi i gruppi fondamentaslisti islamici che invocano
l’intervento dello Stato contro i convertiti al Cristianesimo o ad altre religioni, e la
repressione di questi gruppi deve essere l’obiettivo prioritario che uno Stato
occidentale ispirato ai princìpi mondialisti deve perseguire nei suoi rapporti con
l’Arabia Saudita e con gli altri paesi di questa risma.
Ciò non avverrà sicuramente senza spargimento di sangue; ma sarà un eccidio
infinitamente minore di quello che si compie attualmente con gli attentati terroristici,
le torture, i rapimenti e gli sgozzamenti ripresi in videocamera. Chi oggi ritiene che
non valesse la pena di morire per Bagdad appartiene alla stessa genìa di coloro che
ieri non ritenevano necessario morire per Praga o per Danzica, e poi morirono a
milioni per Parigi, Londra e Roma. Chi viene a patti con gli assassini sperando di
esserne risparmiato, chi collabora per viltà al massacro dei propri fratelli, dei propri
connazionali, sta solo posticipando la sua fine. Noi mondialisti sappiamo che la
guerra sarà lunga e dura, che essa conoscerà avanzate e ritirate, che costerà a molti di
noi il sacrificio della vita; ma siamo certi che alla fine la bandiera verde sarà
ammainata, come lo furono la bruna e la rossa.
2. Mondialismo e Cina
La separazione della sfera religiosa da quella temporale, l’instaurazione di
regimi sanamente laici nelle società islamiche è solo il primo passo che i mondialisti
dovranno compiere al fine di dare soluzione ai problemi di miseria spirituale e
26
materiale che affliggono i quattro quinti degli abitanti del pianeta, oppressi da regimi
tirannici e corrotti, e per evitare che dittatori e demagoghi sfruttino la facile retorica
del contrasto tra ricchi e poveri per sottrarsi al castigo dei loro crimini, indirizzando
la rabbia dei loro popoli contro un Occidente presentato come sazio ed egoista.
Perché tutto cambi, è necessario che nulla rimanga com’è ora.
I mondialisti non possono accontentarsi di qualcosa di meno o di diverso da una
rivoluzione planetaria, che allinei tutti i paesi della terra al modello di democrazia
liberale, fondata sullo Stato di diritto e sul rispetto degli immortali diritti dell’uomo,
che costituisce la creazione e il vanto della borghesia angloamericana, e che assicuri
libertà e prosperità a quanti ora ne sono privi. La seconda tappa dell’agenda
mondialista è dunque costituita dalla soluzione del problema Cina.
Nei quattromila anni della sua storia il popolo cinese è sempre stato
caratterizzato da un rigido collettivismo che aveva la sua fonte nella concezione
patriarcale del potere politico, impersonato da un imperatore investito dal Cielo e
padrone assoluto della vita e dei beni dei suoi sudditi. Il carattere collettivista della
società cinese era particolarmente evidente nelle campagne, dove si esprimeva
apertamente nella proprietà comune dei campi; ma anche nelle città, dove più
fervevano i commerci ed esisteva una borghesia colta e raffinata, il controllo della
società sull’individuo portava ad una chiusura del paese nei confronti degli stranieri
e, per logica connessione, ad una compressione delle spinte innovatrici pur presenti
nelle arti e nelle scienze. Basti ricordare che i cinesi, pur avendo sviluppato notevoli
conoscenze astronomiche secoli prima degli europei, le utilizzarono esclusivamente
per la formulazione di oroscopi, al fine di sanzionare davanti al popolo superstizioso
la legittimità delle dinastie di volta in volta regnanti.
Sotto questo profilo, la presa del potere da parte dei comunisti non ha modificato
la struttura della società cinese: la proprietà collettiva delle terre è rimasta,
all’imperatore si è sostituito il partito-Stato ugualmente onnipotente, ugualmente
paternalista e tirannico. Lo spazio recentemente lasciato alla libera imprenditoria
capitalistica nelle ricche e popolate città della costa non è diversa da quella dei
mercanti nel Celeste Impero, per non parlare del fatto che, nella maggioranza dei
casi, i nuovi ricchi sono funzionari di partito o loro accoliti. Allora come oggi, ciò
che si concede con riluttanza nel campo economico viene negato con i mezzi più
abietti in ogni altro settore della vita personale e sociale: dalla libertà di decidere il
numero dei propri figli, conculcata col carcere e con aborti coatti, alla libertà di
nominare i propri governanti e di sottoporli al giudizio dell’urna, repressa nel sangue
in piazza Tienanmen. Anche la possibilità di stabilire un rapporto con il
Trascendente, di adorare la Divinità nel modo dettato a ciascuno dalla propria retta
coscienza, è lì punita con torture e omicidi sommari, poiché la religione è
considerata, oggi come mille anni fa, un instrumentum regni privo di valore
autonomo.
27
A quanto detto si deve aggiungere l’atteggiamento fortemente aggressivo,
imperialistico ed espansionista del regime comunista cinese, tanto verso lo sfortunato
popolo del Tibet quanto verso la piccola isola di Taiwan, ancora considerata una
“provincia ribelle” da riconquistare con la forza o con l’inganno, come si è fatto con
Hong Kong e Macao, approfittando della ipocrita acquiescenza della vecchia Europa
desiderosa di fare affari, non importa che si tratti di vendere automobili o missili. Le
campagne, intanto, restano abbandonate a se stesse, in preda alla miseria e all’Aids
rapidamente diffusosi, con i contadini che continuano ad annegare le figlie appena
nate per non dover sfamare bocche improduttive e risparmiare il costo della dote.
Tutti questi orrori dimostrano a sufficienza che la società cinese è ancora
dominata dal primato del gruppo sull’individuo, che essa non ha ancora assorbito i
princìpi dell’infinito valore e dell’inviolabile dignità di ogni singolo essere umano,
dell’uguaglianza davanti alla legge e della sottomissione della politica al diritto che
costituiscono la forza della liberaldemocrazia occidentale. È pertanto necessario che i
mondialisti esercitino ogni pressione – diplomatica, propagandistica, economica – per
sostenere e irrobustire un’opposizione politica e culturale al regime, per indurlo a
liberare i dissidenti prigionieri e a concedere una sempre maggiore libertà religiosa e
di coscienza, e al contempo per rendere la società cinese sempre più dipendente per il
proprio benessere dal legame con l’Occidente. Più i cinesi assaggeranno la libertà in
vari campi, più ne gradiranno il sapore e desidereranno gustarne in ogni ambito della
vita; e quando il desiderio di libertà sempre maggiori entrerà fatalmente in conflitto
con l’ortodossia ideologica, spingendo i vecchi burocrati e le gerarchie militari a
tentare di risollevare il loro prestigio con un’avventura militare, la forza congiunta
della sollevazione popolare e della sconfitta in campo aperto darà il colpo finale al
regime, e la Cina si aprirà definitivamente alla democrazia.
3. Mondialismo e Russia
La medesima peste collettivistica che infetta la Cina rappresenta la causa della
miseria spirituale e materiale del popolo russo. Fin dai tempi di Ivan il Terribile
questo grande paese è stato dominato dalla paura nei confronti dell’individualità, che
si trattasse dei contadini proprietari della loro terra (come i kulaki sacrificati ai
kolchoz), di una religione non ridotta a strumento del potere politico (come i cattolici
di fronte ai cesaropapisti ortodossi), degli intellettuali o della borghesia mercantile e
industriale. L’unica eccezione a questo primato del collettivo sul singolo è stata
rappresentata dal regno di Pietro il Grande e dal suo sguardo rivolto alla
civilizzazione, per apprendere e progredire; non a caso i bolscevichi si fecero un
vanto di aver spostato la capitale da San Pietroburgo a Mosca e, insieme, di avere
sterminato l’élite colta ed occidentalizzata delle città.
Con l’ammainarsi della bandiera rossa e la sostituzione dell’ultimo comunista
Gorbaciov con il liberale Eltsin, sembrò per un decennio che la Russia avesse iniziato
il lungo, faticoso ma produttivo processo di occidentalizzazione: riconoscimento –
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seppur parziale – della proprietà privata, collocamento sul mercato dei colossi
industriali di Stato, sviluppo della libera iniziativa e di una borghesia dinamica e
innovatrice. Tutto questo rischia ora di essere soffocato sotto il pugno di ferro del
nuovo zar Putin, l’agente del Kgb che fa politica come le vecchie, decrepite, mortali
spie russe di ieri e di oggi, dai Romanov a Gorbaciov: con gli ombrelli dalla punta
avvelenata, con le stufe a gas che uccidono nel sonno i ministri georgiani, con i
banchetti alla diossina per eliminare gli Yushchenko di turno; o, se preferite, con le
false accuse, i processi-farsa, le condanne giudiziarie dei capitani d’industria al solo
scopo di confiscare i loro patrimoni. Una politica a colpi di proscrizioni, degna di
Silla e dei giacobini!
Il processo di occidentalizzazione della Russia non può riprendere se non
accompagnato da un parallelo cammino di affrancamento dall’Orso di tutti i paesi
“satelliti”, siano essi l’Ucraina, la Georgia e l’Armenia, siano essi le repubbliche exsovietiche dell’Asia centrale. In questo senso il pacifico cambiamento di regime
recentemente avvenuto in Kirghizistan rappresenta un altro passo decisivo. Solo in
quanto verrà spogliata di tutte le sue protezioni, di tutti i suoi Stati-cuscinetto, e i suoi
confini verranno a coincidere con i confini del mondo occidentale, la Russia sarà ad
un tempo invogliata e costretta a farsi anch’essa Occidente.
4. Mondialismo ed Europa
In questa lunga serie di rivolgimenti politici e sociali, di cambiamenti di regime
e di faticoso cammino di gran parte dell’umanità verso il progresso e l’integrazione
delle etnie e delle religioni, che ruolo sta giocando, che ruolo potrà giocare l’Europa,
la culla della borghesia dinamica e innovatrice? Purtroppo da gran tempo
quell’Europa non esiste più; anzi, forse non è mai esistita.
Da quando il glorioso impero, sacro e romano, di Carlo Magno fu smembrato tra
i suoi discendenti, da quando Francia e Germania si separarono e si formarono le
prime monarchie “nazionali”, la vecchia Europa è stata dilaniata da mille
differenziazioni: etniche, religiose, politiche. Anche la Chiesa di Roma, per
mantenere un dominio morale se non giuridico sull’Italia, ha contribuito a questa
lacerazione appoggiandosi alla monarchia francese per contrastare il primato
universale dell’Impero, e così facendo ha contribuito ad attirarsi quelle accuse di
simonia e commistione fra sacro e profano che hanno prodotto l’ulteriore frattura tra
protestanti, cattolici e anglicani.
La borghesia, nell’Europa continentale, ha attecchito solo nelle libere città
anseatiche, nei comuni dell’Italia settentrionale; ma è stato uno splendore di breve
durata, soffocato dal crescente potere della burocrazia assolutistica. L’unico paese
europeo nel quale la borghesia ha prosperato e plasmato la società e le istituzioni a
sua immagine è stata l’Inghilterra; ma l’Inghilterra è, non a caso, un’isola. Il mare che
la circonda rende inutile un esercito permanente, e senza esercito non si danno
neppure burocrazia e assolutismo. Per questo è più corretto affermare che, se
29
l’Europa è il continente, l’Inghilterra non è mai stata un paese europeo, bensì
oceanico.
Oggi gli europei si gloriano delle loro differenze, le considerano una ricchezza;
dimenticano, o fingono di aver dimenticato, che esse hanno prodotto per mille anni
lutti infiniti, guerre di religione, massacri per stabilire se il re d’Inghilterra potesse o
meno governare i suoi possedimenti francesi, se il Reno dovesse essere un fiume
tedesco oppure un confine tra Francia e Germania. Anche la storia insanguinata del
Novecento è stata determinata dalle rivalità nazionalistiche tra potenze europee.
Data questa situazione storica inconfutabile, l’unico ruolo che la vecchia Europa
può svolgere nella lotta tra mondialisti e antimondialisti è quella del ritardatore, del
freno, del bastone gettato fra le ruote del mondialismo per impedire la sua avanzata.
Lo si è visto perfettamente a partire dagli anni ’90, quando gli europei si sono
dimostrati ridicolmente incapaci di fermare il genocidio in Bosnia-Erzegovina e
hanno dovuto chiedere aiuto agli Stati Uniti d’America, salvo accusarli
d’imperialismo a cose fatte. Lo si è visto nuovamente quando gli Stati Uniti hanno
deciso di farla finita con il tiranno Saddam: il re di Francia Chirac, degno erede della
tronfia grandeur di De Gaulle, e il cancelliere prussiano Schroeder si sono alleati con
lo zar Putin e con i mandarini cinesi per mantenere in sella un torturatore, un
assassino dei suoi stessi parenti, uno sterminatore di donne e bambini con bombe e
gas. Lo si è visto, infine, quando il califfo sanguinario ha colpito la città di Madrid:
invece di stringersi come un sol uomo intorno al proprio governo per combattere il
terrorismo assassino, gli spagnoli hanno cambiato il loro primo ministro e hanno
patteggiato un’ignominiosa ritirata, una tregua che li ha coperti di vergogna e che li
preserverà da altri attentati solo a condizione di privarli della loro dignità e libertà.
Già ora, divisa com’è in venticinque Stati che perseguono ciascuno il proprio
“sacro”, nefando egoismo nazionale, l’Europa costituisce un formidabile ostacolo alle
misure che il mondialismo ritiene necessarie per l’unificazione e pacificazione
dell’umanità. Ma ancor più grande sarebbe il pericolo, se questi frammenti sparsi
riuscissero a delegare una parte cospicua della loro sovranità in politica estera ad una
entità sopranazionale; poiché una tale unità – lo dimostra la Storia, che è maestra di
vita – potrebbe formarsi solo contro qualcuno: contro gli Stati Uniti d’America, il
solo paese che per cento anni ha difeso, praticamente da solo, libertà e democrazia
nel Vecchio Continente, il solo popolo ad essersi assunto l’onore e l’onere di lottare
contro il terrorismo assassino anche per coloro che li dileggiano e li accusano di
essere, contemporaneamente, idealisti e cinici, ingenui e arroganti, isolazionisti e
imperialisti, tutto e il contrario di tutto.
Nella misura in cui il movimento mondialista necessita di una base statuale, di
uno Stato virtuoso che combatta e sconfigga gli Stati canaglia, amici del terrore e
della dittatura, esso non potrà trovare tale base né in uno specifico paese europeo, né
tantomeno in un superstato Europa la cui unica preoccupazione sarebbe di ostacolare,
30
per quanto possibile, l’azione degli Stati Uniti d’America contro il terrorismo e per
l’esportazione di libertà e democrazia. Pertanto è a questi ultimi che i mondialisti di
tutti i paesi devono ora rivolgersi con rinnovata fiducia.
5. Mondialismo e America
Gli Stati Uniti d’America sono stati per i primi centocinquant’anni della loro
storia un paese ferreamente isolazionista. Protesi com’erano nella grandiosa opera di
espansione verso l’Ovest, di assoggettamento di una natura selvaggia e di costruzione
del primo Stato democratico e liberale di grandi dimensioni, gli americani hanno
sdegnato con tutte le proprie forze d’ingerirsi nei conflitti che dilaniavano la vecchia
Europa. Questo non impedì loro di liberare il popolo messicano dalla schiavitù degli
Asburgo e d’inviare navi e uomini nel Mediterraneo per sgominare le orde di pirati
barbareschi, che dalle coste africane esercitavano la tratta degli schiavi; fin dall’inizio
i marines hanno rappresentato una speranza di libertà per il resto del mondo, «dai
palazzi di Montezuma alle spiagge di Libia». È tuttavia vero che, fino ai primi anni
del Novecento, alla diplomazia delle cannoniere essi preferirono quella del dollaro,
alla conquista di territori la penetrazione in sempre nuovi mercati.
Sono state le due guerre mondiali, e la necessità di contenere l’avanzata del
comunismo – un’avanzata condotta nel modo più sporco e abietto, con oppositori fatti
volar giù dalle finestre, elezioni truccate e finanziamento di organizzazioni
terroristiche nel mondo libero – a far loro comprendere pienamente che la loro libertà
e la loro sicurezza sarebbero state sempre in pericolo finché tutto il mondo non fosse
stato liberato dai tiranni e dai dittatori, finché non fosse stata assicurata libertà e
giustizia per tutti. Da questo punto di vista, la distruzione delle Due Torri non ha fatto
altro che ricordare al popolo americano quell’antica lezione, e il programma
dell’attuale presidente George Walker Bush non è che l’attualizzazione di una
strategia inaugurata da Wilson e Truman.
Gli Stati Uniti d’America hanno tutti i requisiti per aspirare al dominio del
mondo. La loro democrazia costituzionale e repubblicana ha superato indenne le
prove dell’espansione continentale, della guerra civile, dell’allargamento del
suffragio, dell’industrializzazione di massa. La loro economia è la più prospera e
libera del pianeta, la più dinamica e aperta all’innovazione, al rimescolamento delle
élites e all’ingresso di nuovi ricchi. Solo in America un ragazzo che giocava con i
transistors nell’autorimessa di famiglia poteva diventare il re dei personal computers
e uno degli uomini più facoltosi della storia; solo in America una fanciulla colored
poteva diventare Segretario di Stato. La loro società, pluralista senza lotte di classe e
laica senza laicismi, riesce egregiamente a bilanciare il massimo grado di libertà
individuale con la necessità di rispettare leggi e istituzioni comuni, a far coesistere
una giusta separazione tra sfera sacra e sfera secolare con una religiosità diffusa e
profondamente radicata nelle menti e nei cuori dei cittadini.
31
La loro politica estera è stata sempre orientata dall’imperativo supremo di
accrescere nel mondo libertà e democrazia, di allargare lo spazio del libero
commercio e di preservare la libertà di coscienza, come è dimostrato a sufficienza dal
loro sacrificio d’uomini e di mezzi nella lotta contro gli Imperi Centrali, contro i
totalitarismi nazifascista e comunista, per l’indipendenza delle repubbliche baltiche e
l’affrancamento dell’Europa orientale dall’egemonia sovietica. L’appoggio degli Stati
Uniti è stato determinante per la riuscita della “rivoluzione delle rose” in Georgia; il
monito di Washington ha indotto lo zar Putin a rinunciare ai suoi sporchi trucchi per
far vincere il suo uomo di paglia a Kiev, e ad accettare il verdetto del popolo ucraino;
la semplice presenza di basi militari americane in Kirghizistan è stata sufficiente per
dare alla popolazione il coraggio di ribellarsi all’ennesimo broglio elettorale, e di
rovesciare un regime corrotto e autoritario.
Solo gli Stati Uniti d’America possiedono la forza economica e militare
necessaria per sconfiggere gli Stati canaglia che foraggiano il terrorismo islamico; per
liberare i paesi come Cuba e il Vietnam ancora schiavi del comunismo; per difendere
la libertà di Taiwan dalle grinfie del drago cinese, e costringerlo a togliere le sue
zanne dal Tibet; per distruggere l’autocrazia in Russia e le dittature in tutti i paesi del
Terzo Mondo; per impedire che l’Europa sviluppi la propria unità politica in funzione
antiamericana, trasformandosi nel banchiere di tutti i tiranni e nel complice di tutte le
pulizie etniche. Solo gli Stati Uniti d’America hanno la forza e la volontà per attuare
quella che l’ultimo Pontefice ha chiamato «ingerenza umanitaria» a favore dei poveri,
degli oppressi, dei perseguitati da regimi tirannici e sanguinari. Lo hanno fatto in
Bosnia e in Kossovo, in Afghanistan e in Iraq; lo faranno ancora e sempre, ovunque
siano conculcati i diritti imprescrittibili di ogni uomo alla vita, alla libertà e alla
ricerca della felicità.
Per tutti questi motivi essi devono ricevere dai mondialisti il più sincero
appoggio, la più sicura fedeltà e la massima collaborazione nella loro azione politica
su scala planetaria. Per gli stessi motivi essi devono diventare la base avanzata, la
portaerei e la punta di lancia per la costruzione di un Impero mondiale che li veda
assumere la guida dell’umanità.
Questo compito non è superiore alle forze del popolo americano; esso richiede
tuttavia scelte coraggiose e ineludibili.
Richiede che si denunci con franchezza e senza falsi rispetti lo stato di miseria
morale e spirituale in cui versa l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che essi hanno
pur creato, ma che da decenni è ostaggio dei peggiori tiranni e dittatori, oltre che del
potere di veto di francesi, russi e cinesi; compari che si coprono le spalle l’un l’altro,
complici nella spoliazione dei popoli del Terzo e Quarto Mondo, alleati nella guerra
contro la società libera e aperta rappresentata dalla bandiera a stelle e strisce che i
loro servi senza cervello, i loro utili idioti bruciano invano nelle piazze.
Richiede che si lavori per la creazione di una Lega delle democrazie a guida
americana, che abbia il coraggio di lottare contro i terroristi fanatici e i loro padrini
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statali anche a costo di esser considerati dei fuorilegge dai sacerdoti del vecchio
diritto internazionale in disfacimento, di essere etichettati come cowboys dal grilletto
facile da chi è pronto ad allearsi con i peggiori assassini pur di aver salva la vita.
Richiede che si abbandoni, nella teoria e nella prassi, il falso mito della
sovranità nazionale e dei mille egoismi localistici, e che si intraprenda
coraggiosamente e con dovizia di mezzi e d’uomini la creazione di basi militari
permanenti in Iraq, in Afghanistan e in tutti i paesi progressivamente liberati dai
tiranni. Solo se i riottosi capitribù e potenti locali constateranno che la presenza
americana sul loro suolo non è una parentesi, essi potranno persuadersi con buona
coscienza a collaborare all’edificazione di società civili aperte e democratiche.
Richiede, soprattutto, che il popolo degli Stati Uniti d’America prenda
finalmente coscienza della missione provvidenziale ad esso affidata: essere la
cittadella sul monte, il faro destinato ad illuminare le genti, l’ostetrico del parto di
un’umanità finalmente riunita e in pace.
III
IL PROGRAMMA MONDIALISTA
Abbiamo già visto sopra che il primo passo nella rivoluzione dei mondialisti è
l'elevazione della borghesia a classe dominante, la conquista della democrazia
liberale e dello Stato di diritto.
Il mondialismo userà il suo potere politico per strappare progressivamente agli
integralisti e ai nazionalisti tutti i loro strumenti di dominio sulle menti e sui cuori
degli uomini e delle donne, per instaurare lo Stato di diritto e il libero mercato, e per
aumentare così la prosperità generale e sollevare le condizioni dei miseri.
Ciò non potrà accadere solo ricorrendo ai tradizionali interventi umanitari e alla
riduzione del debito dei paesi sottosviluppati, ma necessariamente anche mediante
l’uso meditato, flessibile e strategico della diplomazia, dei blocchi economici
(embargos) e della forza militare, insomma attraverso misure che appaiono
insufficienti e inconsistenti se prese isolatamente, ma che interagendo fra loro si
spingono oltre i propri limiti e sono inevitabili strumenti di trasformazione dell'intero
assetto dei rapporti internazionali.
Queste misure saranno naturalmente differenti da paese a paese.
Per i prossimi cento anni potranno comunque essere molto generalmente prese
le misure seguenti:
Acquisizione da parte del popolo degli Stati Uniti d’America della
coscienza di sé e della propria missione emancipatrice a livello mondiale,
33
e della necessità di pagare il costo in vite umane e sicurezza che ciò
comporterà fino alla realizzazione della propria vocazione imperiale.
Denuncia della miseria spirituale e dell’ipocrisia in cui versa
l’Organizzazione delle Nazioni Unite, vetrina e palcoscenico di tiranni e
dittatori, e suo progressivo svuotamento ed esautorazione.
Creazione di una Unione Oceanica delle Democrazie guidata dagli Stati
Uniti d’America, che comprenda il Canada, il Regno Unito e i paesi più
civilizzati e democratici del Commonwealth (Australia e Nuova Zelanda,
Sudafrica, Giamaica).
Allargamento progressivo di questa Unione ai membri della «coalizione
dei volenterosi» che ha sconfitto Saddam Hussein: la Polonia e gli altri
paesi della nuova Europa desiderosi di affrancarsi dalla tutela dell’orso
russo, le Repubbliche baltiche, la Georgia, l’Ucraina, l’Armenia, il
Kirghizistan e le altre repubbliche dell’Asia centrale. Creazione in tutti
questi paesi, come pure in Iraq e Afghanistan, di basi militari permanenti,
che favoriscano la penetrazione americana nel Medio Oriente e nell’Asia
centrale e assicurino, in prospettiva, il controllo strategico dell’Eurasia.
Pressione diplomatica e commerciale sull’Unione Europea per impedire
la sua trasformazione in un “grande spazio” politico anti-americano.
Sostegno economico, diplomatico e militare a tutti gli intellettuali e i
movimenti progressisti dei paesi sottoposti a tirannie e dittature,
concessione della cittadinanza americana agli emigrati e ribelli.
Impegno degli Stati Uniti d’America, alla testa dell’Unione Oceanica,
nella guerra ideologica, mediatica, economica e militare contro gli imperi
della Terra di Mezzo. Obiettivi: secolarizzare l’Islam, democratizzare la
Cina, occidentalizzare la Russia, americanizzare l’Europa.
Espropriazione del potere politico dalle mani dei vertici religiosi
integralisti, dei mullah e degli ayatollah, dei burocrati e dei militari, e suo
conferimento a governi laici, responsabili davanti al popolo.
Educazione gratuita di tutti i bambini secondo le libere scelte dei genitori.
Abolizione del lavoro dei bambini e del loro impiego nelle guerre e
guerriglie.
Uso capillare dei mezzi di comunicazione, in particolare Internet, per
l’insegnamento dei princìpi e valori del mondialismo: uguale dignità di
tutti gli individui umani dal concepimento alla morte naturale; uguale
diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità; separazione fra
34
religione e politica; appartenenza di tutti gli uomini e le donne all’unica
specie umana.
Adozione di misure pedagogico-simboliche e di programmi di
educazione scolastica che favoriscano il progressivo superamento delle
diffidenze fra gli appartenenti a diverse etnie. Particolare enfasi andrà
conferita ai matrimoni misti.
Sostituzione di tutte le valute nazionali con una sola moneta mondiale (la
quasi perfetta parità fra Euro e Dollaro faciliterà tale compito).
Graduale abbattimento delle barriere doganali, tariffarie, al libero
movimento di merci, capitali e uomini, fino alla depoliticizzazione degli
Stati nazionali e alla loro trasformazione in entità puramente
amministrative di un Impero mondiale.
Una volta sparite, nel corso di questa evoluzione, le differenze di origine, e una
volta concentrato tutto il potere nelle mani della classe universale, il luogo di nascita
perderà il suo carattere politico. Il luogo di nascita in senso proprio è lo strumento
organizzato di una etnia per soggiogarne un'altra. Quando gli Stati Uniti d’America
prenderanno coscienza della loro missione nella lotta contro la tirannide, erigendosi a
Stato egemone in seguito a una rivoluzione, e abolendo con la forza, in quanto Stato
egemone, i vecchi rapporti di discriminazione fra “dentro” e “fuori”, insieme a quei
rapporti di discriminazione essi aboliranno anche le condizioni di esistenza della
contrapposizione fra etnie, delle etnie in genere, e così anche il dominio del popolo
statunitense in quanto etnia privilegiata sulle altre.
Al posto della vecchia umanità chiusa con le sue etnie e le sue contrapposizioni
fra etnie, subentrerà una società aperta in cui il libero sviluppo di ciascuno sarà
condizione del libero sviluppo di tutti.
I mondialisti sprezzano l'idea di nascondere le proprie opinioni e intenzioni. Essi
dichiarano apertamente di poter raggiungere i loro obiettivi solo con il rovesciamento
e l’apertura di ogni ordinamento chiuso e settario finora esistente. I mullah e gli
ayatollah, il re di Francia e lo zar di Russia, i mandarini cinesi e gli sceicchi arabi
tremino al pensiero di una rivoluzione mondialista. Gli esiliati, gli apolidi, i reietti, i
poveri non hanno da perdervi altro che le proprie catene. E hanno un mondo da
conquistare.
Mondialisti di tutti i paesi, unitevi!
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COME DIVENTARE MONDIALISTI
Ogni associazione umana si dà una struttura, una organizzazione in vista dello
scopo che intende raggiungere: è chiaro a tutti che la struttura organizzativa di una
associazione di giocatori di scacchi è diversa da quella di una chiesa, e questa
dall'organizzazione di un partito politico. Il fine dell'Associazione Internazionale
"New Atlantis for a World Empire" e del suo ramo esecutivo, il Partito Mondialista, è
radicalmente diverso da quello dei tradizionali partiti che hanno calcato la scena negli
ultimi cento anni. Noi non ambiamo a conquistare il potere in questo o quello Stato,
bensì a DIFFONDERE UN'IDEA, UN PROGETTO, quell'Idea e quel Progetto che
troverete esposti nel nostro Manifesto fondativo:
l'Idea, nascente dal riconoscimento obiettivo della natura umana e
dall'insegnamento della Storia, che ogni individuo umano, in tutti i luoghi e in tutte le
epoche, ha il diritto fondamentale e inalienabile a salvaguardare la propria vita, a
scegliere liberamente il proprio coniuge, a esercitare la propria libertà e creatività per
il sostentamento suo e dei suoi familiari e a godere del frutto del proprio lavoro senza
subire discriminazioni di sesso, razza o religione;
e il grande Progetto, che costituisce la coerente deduzione da quella premessa, di
rimuovere la fonte prima di tali discriminazioni, la divisione dell'umanità in stati e
staterelli a base etno-nazionalistico-religiosa con la conseguente differenziazione
degli uomini fra chi è "dentro" e chi è "fuori", fra chi appartiene al mio gruppo, e
pertanto merita il mio rispetto, e chi appartiene ad un altro gruppo, e perciò
meriterebbe solo diffidenza, disprezzo, ostilità.
Tale rimozione potrà avvenire soltanto quando la più grande democrazia del
pianeta, gli Stati Uniti d'America che hanno liberato il mondo dalla tirannide
nazifascista e dal totalitarismo comunista, e che ora conducono pressoché in
solitudine la guerra contro il terrorismo fondamentalista islamico e gli Stati-canaglia,
prenderanno coscienza della missione storica loro affidata di estendere la loro
leadership su tutti i popoli della Terra e di fondare un Impero mondiale che abbatta
finalmente ogni frontiera; e quando, contemporaneamente, tutti gli uomini e i popoli
della Terra comprenderanno che tale dominio planetario degli Stati Uniti d'America
non significherà per essi una dura schiavitù, ma anzi la condizione per porre termine
ad ogni rapporto di superiorità-sudditanza tra i popoli, per la costituzione di una
Società Aperta Globale nella quale ogni individuo umano potrà sviluppare i propri
talenti per il progresso comune.
Data questa finalità del Partito Mondialista, ne segue che esso non ha alcun
interesse a distribuire tessere di appartenenza, a raccogliere finanziamenti o a
colonizzare le istituzioni. Quel che ci interessa è conquistare le menti e i cuori degli
uomini e delle donne, far loro comprendere che il mondialismo è per essi ciò che per
il borghese gentiluomo di Molière era il parlare in prosa: un elemento strutturale della
loro natura umana, qualcosa che essi, nella loro mente e nel loro cuore, hanno sempre
conosciuto e desiderato, ma senza esserne consapevoli. Chi prende coscienza del
carattere intrinsecamente mondialista della natura umana, e opera di conseguenza per
la creazione di uno Stato universale, il solo degno di individui non rinchiusi nelle loro
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particolarità di sesso, di etnia, di religione, di individui veramente universali, costui è
già mondialista senza alcun bisogno di ricevere da noi una tessera.
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MONDIALISMO E ISLAM
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ISRAELE COMBATTE PER NOI
(20/7/2006) La guerra di Israele contro il fondamentalismo assassino incontra
ostacoli di cui solo un ingenuo potrebbe meravigliarsi: è noto a tutti – anche alle
cancellerie della Vecchia Europa che ancora rifiutano di inserire Hezbollah nella lista
delle organizzazioni terroristiche, e persino a Prodi, l’«amico degli arabi» – che il
regime iraniano degli ayatollah ha dato in subappalto da anni al partito del falso Dio e
al suo compare di Gaza (Hamas) l’esecuzione di attentati contro la popolazione civile
israeliana. Gli attacchi condotti attraverso tunnel sotterranei con il rapimento e
l’uccisione di soldati e coloni, come pure i lanci di missili di fabbricazione cinese
forniti da Teheran, da un lato costituiscono uno sviluppo meramente quantitativo del
progetto criminale, annunciato dal folle Ahmadinejad, di estirpare dal corpo della
Umma il “corpo estraneo piantato dall’Occidente”; dall’altro dimostrano al di là di
ogni ragionevole dubbio l’esistenza di quell’«asse del male» che, da Pyongyang a
Pechino, da Mosca a Teheran, da Damasco a Cuba, desidera con tutte le sue forze
distruggere la società liberale e prospera, fondata sul patrimonio di fede ebraicocristiano, che costituisce il prodotto e il vanto della civiltà occidentale.
Lo scopo perseguito da questo asse di forze maligne – al quale prestano
interessato sostegno sia i pavidi governanti europei, ormai avvezzi al ruolo di
tesorieri dei dittatori, sia (e spiace dirlo) quei settori retrogradi della diplomazia
vaticana che vogliono conservare alla Chiesa il ruolo di unica autorità universale – è
impedire la costituzione di una società civile cosmopolitica, in cui sia bandita ogni
discriminazione fondata sulla razza e sulla religione, in cui non ci sia più differenza
tra chi è al di qua o al di là di un determinato confine, tra chi è “dentro” e chi è
“fuori” di questo o quel gruppo; una società universale, in cui ad ogni individuo sia
garantita la possibilità di sviluppare liberamente i propri talenti per il progresso
materiale e spirituale dell’intera umanità. Le prove che oggi subisce Israele, del resto,
sono identiche a quelle che ha sofferto e soffre il popolo degli Stati Uniti d’America
dall’11 settembre 2001; è il destino della cittadella sul monte, essere assediata da
barbari che vogliono soffocare la sua luce.
Ma la Storia, maestra di vita, insegna che ogni scontro affrontato dai fautori
dell’apertura contro i servi della chiusura etnicistica si è risolto con la sconfitta dei
tiranni e con un’estensione della libertà e del benessere a sempre nuovi ceti, a sempre
nuovi popoli. Così è avvenuto con la disfatta del Terzo Reich e la rovina della casta
militare giapponese, così è avvenuto con l’implosione dell’Urss e il crollo dei regimi
comunisti nell’Europa orientale; così avverrà anche in futuro – un futuro lontano, ma
certo – quando le forze unite dei popoli fratelli, Israele e USA, condurranno a termine
con successo le quattro guerre mondiali contro le potenze della Terra di Mezzo
(Islam, Cina, Russia, Europa) e sanciranno la nascita di un Impero mondiale, l’unica
entità politica capace di assicurare pace, libertà e giustizia per tutti.
L’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire” e il suo ramo
esecutivo, il Partito Mondialista, rinnovano la loro solidarietà alle democrazie di USA
e Israele impegnate nella lotta per la liberazione del mondo e confermano la ferma
volontà di continuare a operare, in applicazione delle determinazioni adottate nel
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Convegno di Roma del 3 aprile 2005 e pubblicate nel nostro Manifesto, con la parola
e con tutti gli altri mezzi LEGALMENTE VALIDI, per il perseguimento di questo
nobile scopo.
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PER UNA VERA PACE
(26/7/2006) Soltanto l'attuale presidente del Consiglio italiano, il sempresorridente Prodi, può ostentare ottimismo nei confronti della conferenza "di pace" che
si è appena aperta a Roma. Non è infatti possibile aspettarsi nulla di buono da una
assise dalla quale sono programmaticamente assenti, da un lato il regime iraniano
degli ayatollah e il suo servo siriano, ispiratori e finanziatori del terrorismo
fondamentalista e assassino di Hamas e Hezbollah, dall'altro quello Stato di Israele
che da settimane è violentemente aggredito e costretto a lottare per la propria
sopravvivenza.
Il fatto che nessun rappresentante di un governo islamico, sia esso "moderato" o
radicale, da sessanta anni voglia sedere allo stesso tavolo con un ambasciatore della
«entità sionista», e che il sunnita bin Laden si prepari a diffondere, proprio in queste
ore, un messaggio in cui manifesta l'appoggio di al Qaeda agli Hezbollah sciiti e al
loro padrino, l'Iran del folle Ahmadinejad che vuol dotarsi della bomba atomica per
cancellare Israele dalla carta geografica, dimostra a qualsiasi persona non accecata da
pregiudizi ideologici – il che esclude gli antisemiti e gli antiamericani di destra e di
sinistra, i sostenitori di una Unione Europea “autonoma” dagli Stati Uniti e i fanatici
eurasisti che sognano una santa alleanza tra Berlino, Mosca e Teheran – che la vera
posta in gioco dell’attuale conflitto non è la vita di tre soldati rapiti a tradimento
contro il presunto “diritto” dell’etnia palestinese a farsi Stato o la tutela della
dimezzata sovranità libanese, ma il diritto di Israele a esistere nella sua sede storica
contro la pretesa, comune a ogni sottomesso ad Allah, di riconquistare all’Islam quel
territorio per l’unico motivo che esso è stato invaso, strappato all’Impero Romano e
detenuto da islamici per quasi mille anni. Per la mentalità islamica qualsiasi pezzetto
di terra sia mai stato abitato da un muslim, qualunque luogo nel quale sorga una
moschea diventa automaticamente dar el-Islam, territorio inalienabile del profeta
sanguinario, e i suoi adepti sono obbligati e autorizzati a usare ogni mezzo, dalla
menzogna all’omicidio e alla strage, per mantenerne il possesso fino alla fine dei
secoli. È per questo motivo che ogni governante islamico ottiene la propria
legittimazione, o la perde (come è accaduto a Sadat), sulla base della capacità con cui
persegue l’obiettivo di ributtare gli Ebrei in mare.
Ma quel che i pavidi Europei devono capire sopra ogni altra cosa è che la
distruzione dello Stato ebraico, per gli islamici fondamentalisti, non sarebbe che il
primo passo in vista del loro progetto: ricostituire un Califfato esteso da Casablanca a
Bali, così potente da invadere il continente europeo, giungere a Roma, sottomettere il
Papa e porre i “crociati” del Vecchio Continente di fronte alla stessa alternativa alla
quale furono sottoposti quando l’Islam dilagava per tutto il Mediterraneo, convertirsi
ad Allah e Maometto, accettando la sottomissione delle donne e la perdita della
propria libertà e dignità, o essere sgozzati come pecore da macello. Gli atei e
materialisti della sinistra continentale, i quali sperano di salvare la pelle tendendo la
mano agli invasori, sappiano che il mondo islamico ha la vista più acuta della loro:
esso ha riconosciuto per tempo che la rivoluzione francese e il comunismo, Voltaire e
Marx, non sono altro che variazioni all’interno di quell’Occidente le cui radici
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affondano nel patrimonio di fede ebraico-cristiano, e che è proprio in grazia di quel
patrimonio di fede e dei connessi princìpi della separazione tra Cesare e Dio, del
primato dell’individuo sulla comunità e della libera espressione della propria
personalità, che l’Occidente ha esteso il proprio dominio su tutto il mondo e ha
sottomesso l’Islam, determinando il sorgere di quel patologico sentimento di rivalsa
che fomenta il terrorismo assassino.
Per tutti questi motivi è necessario che gli uomini liberi, da ogni terra e paese, si
uniscano alla lotta del popolo d’Israele e del suo unico alleato, la grande democrazia
statunitense, contro i nemici della libertà e della pace, e collaborino all’edificazione
di un Impero mondiale che abbracci tutta l’umanità, che abbatta i confini tra i popoli,
distrugga gli odi di razza e di religione, e assicuri finalmente la vera pace, nella
libertà e nella giustizia, per tutti. A questo meritorio compito l’Associazione
Internazionale “New Atlantis for a World Empire” e il suo ramo esecutivo, il Partito
Mondialista, continueranno a dare, come sempre, il loro contributo.
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LA POSTA IN GIOCO
(4/8/2006) L’ultima riunione della Conferenza dell’Organizzazione Islamica in
Malaysia ha chiarito una volta per tutte, se ce ne fosse ancora bisogno, i veri termini
della “questione israelo-libanese”.
In primo luogo, il sostegno unanime dato alla “resistenza” Hezbollah contro l’
“aggressione” israeliana, e la contemporanea richiesta alla comunità internazionale di
«non lasciare impuniti tali crimini contro i diritti dell’uomo», dimostra che le classi
dirigenti islamiche hanno un concetto di diritti umani e di aggressione
narcisisticamente autoreferenziale: per essi un musulmano avrebbe il diritto di
imporre la propria fede con la menzogna e la violenza, sottomettendo e uccidendo chi
non si converte al sanguinario idolo Allah e al falso profeta Maometto, mentre gli
“infedeli” non avrebbero alcun diritto, neppure quello elementare di difendersi...
Ma il suggello all’assise islamica è stato dato dal folle Ahmadinejad, il quale è
ormai determinato a stabilire sul Medio Oriente l’egemonia di una (inedita, ma non
sorprendente) alleanza tra l’Islam sciita degli ayatollah e l’Islam sunnita di Al Qaeda.
Il dittatore iraniano ha affermato esplicitamente che la richiesta «doverosa» di un
cessate il fuoco immediato in Libano costituisce una mossa meramente tattica, dal
momento che, a suo dire, «l’unica soluzione del problema mediorientale sarebbe la
distruzione dell’entità sionista». In questo modo Ahmadinejad ha messo davanti agli
occhi dell’Occidente quella che per i fondamentalisti è la vera posta in gioco: non la
restaurazione della sovranità libanese – una maschera di cartapesta da quando Arafat
fece di Beirut la capitale dei dirottamenti – e neppure la creazione di uno Statonazione palestinese, bensì la distruzione dello Stato di Israele, il completamento
dell’opera di sterminio degli Ebrei iniziata da Hitler, il genocidio di un popolo
colpevole di aver insegnato al mondo la fede nella libertà e dignità dell’uomo.
Per questo ogni abitante del mondo libero ha il dovere morale di unirsi con la
mente, con il cuore e con il braccio alla lotta del popolo di Israele per la propria
sopravvivenza. E l’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire”,
insieme al suo ramo esecutivo, il Partito Mondialista, sarà in prima fila in questa
lotta, nella certezza che, come sono stati sconfitti il totalitarismo nazifascista e la
tirannide comunista, così, un giorno, sarà distrutta la feroce teocrazia islamica, e
l’umanità vedrà finalmente la pace.
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STUPRI ISLAMICI, LE FEMMINISTE TACCIONO
(27/8/2006) Può aver stupito molti il modo in cui la sinistra attualmente al
governo in Italia sta facendo passar sotto silenzio l’ondata di violenze sessuali
consumatesi negli ultimi giorni a Milano: il prefetto (la cui permanenza in carica
dipende dalla volontà della maggioranza di volta in volta al potere) afferma che «non
c’è un’emergenza stupri», e le televisioni di Stato, allineate con il Tg3 di Telekabul
(ma quanti, oggi, ricordano l’appoggio vergognosamente sfacciato dato dal 1979, per
dieci anni, all’invasione sovietica in Afghanistan, madre del successivo feroce regime
talebano?), affermano addirittura che il racconto di due giovani turiste francesi,
violentate per ore da quelli che sembravano gentili coetanei, sarebbe
«contraddittorio», presenterebbe «punti oscuri», sarebbe insomma «tutto da
verificare». Può stupire, soprattutto, che a questa operazione di insabbiamento si sia
prestata anche la componente femminista, da sempre inflessibile nel denunciare ogni
dubbio sulla sincerità delle vittime di stupro come espressione di odioso “machismo”,
come una seconda violenza perpetrata contro la dignità delle donne. Può stupire
molti, ma non stupisce chi, come noi dell’Associazione Internazionale “New Atlantis
for a World Empire” siamo allenati a cogliere nell’episodio apparentemente più
isolato le tracce di un disegno generale, di quella guerra perenne tra apertura e
chiusura, tra libertà e illibertà, tra uguaglianza e discriminazione, tra democrazia e
tirannide, tra mondialismo e antimondialismo che si combatte ogni giorno, in ogni
luogo, dall’inizio della storia umana. Il motivo del silenzio delle femministe e di tutta
l’italica sinistra su questi stupri è molto semplice: sono stati tutti commessi da
islamici.
Il femminismo italiano, fin dai tempi delle lotte per la legalizzazione del
divorzio e dell’aborto, non è mai stato semplicemente “dalla parte delle donne”. Esso,
in realtà, mirava a scardinare l’impianto tradizionale, “borghese” della famiglia quale
comunità vitalizia formata da un uomo e una donna per la generazione, l’allevamento
e l’educazione dei figli, contrapponendole idee e prassi (lo scioglimento del
matrimonio ad libitum, la formazione di “famiglie allargate”, l’infanticidio prenatale)
che sono state propagandate come “moderne” e “progressiste”, quando in realtà sono
tipiche di culture arcaiche, decrepite: la poligamia, il ripudio della moglie, il
matrimonio “a tempo”, l’infanticidio sono istituti caratteristici dei popoli dell’Africa
nera, della Cina (nelle cui campagne ancora oggi le bambine vengono affogate nei
fiumi alla nascita per non costringere il capofamiglia a pagare la dote nuziale) e
soprattutto dell’Islam. Il Corano prevede addirittura la facoltà, per un uomo che
voglia avere un rapporto sessuale estemporaneo, di celebrare un matrimonio valido
solo una o due ore, dopodiché costui non ha alcun obbligo nei confronti della sedotta
e abbandonata, neppure quello di contribuire al mantenimento del bambino
eventualmente concepito con la sventurata di turno; la quale nel frattempo rischia
pure di essere lapidata come adultera, con la benedizione di Allah e Maometto.
È per questo che le femministe italiane (e anche europee), dopo aver ottenuto
quanto la Sinistra radical-marxista si era prefissa in termini di distruzione della
famiglia “occidentale”, ora guardano con comprensione agli immigrati musulmani
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che vogliono vivere la loro poligamia alla luce del sole, alle donne musulmane
infibulate da bambine che vogliono infliggere lo stesso supplizio alle loro figlie per
renderle “accettabili” ai futuri mariti della medesima fede, e persino a quei
marocchini, algerini, tunisini che sfogano i loro istinti bestiali su donne italiane allo
stesso modo in cui gli sgherri serbi di Milosevic e Karadzic violentavano le donne
bosniache. Si tratta anche qui di veri e propri stupri etnici, volti a sancire la
superiorità degli immigrati, nuova “razza padrona”, sugli autoctoni, a preparare il
tempo in cui l’intera Europa, prostrata dall’impoverimento demografico e
dall’invasione dei nuovi barbari, si trasformerebbe in Eurabia, realizzando il sogno
dei bin Laden e degli Ahmadinejad di un Califfato mondiale che distrugga il “grande
satana” americano e faccia piazza pulita dell’odiata “entità sionista”; e per questo la
Sinistra, la quale ha sempre disprezzato i valori della libertà individuale e
dell’uguaglianza che fanno veramente moderno l’Occidente, tace imbarazzata sugli
stupri islamici, vergognandosi di ammettere che il suo obiettivo è l’esatto contrario di
quanto propagandato per decenni: è il ritorno al Medioevo, alla donna proprietà del
padre e marito (vedi il silenzio ugualmente imbarazzato sull’assassinio della
pakistana Hina Saleem, sgozzata dai maschi della sua famiglia per aver rifiutato un
matrimonio combinato ed essersi fidanzata con un “infedele”, e su tutte le donne
musulmane sfregiate col vetriolo). A tutto questo noi dell’Associazione “New
Atlantis for a World Empire” e del Partito Mondialista ci opporremo con tutte le
forze, per la vera libertà e la vera emancipazione di tutte le donne e di tutti gli uomini
del mondo.
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IL DIO DI GESÙ CRISTO NON È IL DIO DI MAOMETTO
(16/9/2006) Gli studiosi di ecclesiologia dei secoli futuri, e non solo essi,
studieranno con particolare interesse la relazione su “Fede e Ragione” tenuta da
Benedetto XVI presso l’università di Ratisbona (Regensburg) allorché il romano
Pontefice, non immemore dell’antico spirito del professore di teologia Joseph
Ratzinger che già aveva dialogato in modo fecondo con il teo-con Marcello Pera sulle
radici cristiane dell’Occidente, ha esposto con un argomentare cristallino la
differenza fondamentale tra il Cristianesimo (quello autentico, non le sue deviazioni
fondamentalistico-creazioniste o positiviste di matrice protestante) e l’islamismo: il
primo fondato sulla visione di Dio come Logos, Ragione creatrice e ordinatrice
dell’universo; il secondo su una concezione del tutto arbitraria della volontà divina
che legittima l’uso della violenza per imporre la sharia. Davanti a una esposizione
così pacata imam e ayatollah non hanno perso tempo per imbastire controrelazioni,
per opporre argomenti ad argomenti: hanno immediatamente bollato il capo della
Cristianità come “ignorante”, le sue parole come “deplorevoli”, gli hanno ordinato di
presentare immediatamente le sue scuse, e come ulteriore dimostrazione di tolleranza
lo hanno invitato a “toccarsi il collo, che presto gli verrà tagliato”. Alle parole,
naturalmente, sono subito seguiti i fatti, in questo caso il lancio di bombe contro due
chiese di Nablus e il brutale assassinio di una suora missionaria che aveva dedicato
l’intera vita ai poveri della Somalia. Tanto per dimostrare quanto sono tolleranti,
loro...
Di fronte alla prospettiva di un miliardo e mezzo di musulmani pronti a tagliar la
gola al primo cristiano che incontrano – e non è un’esagerazione, come dimostrano
anche gli omicidi di sacerdoti avvenuti nella “tollerante” Turchia, il cui gran muftì ha
diffidato il Papa dal venire in visita nel prossimo novembre – Benedetto XVI per
bocca del neo-segretario di Stato card. Bertone ha fatto sapere di aver voluto soltanto
svolgere «alcune riflessioni sul tema del rapporto tra religione e violenza in genere»;
ha ricordato che «di fronte alla fervente religiosità dei credenti musulmani, ha
ammonito la cultura occidentale secolarizzata perché eviti “il disprezzo di Dio e il
cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà”»; ha affermato che
«le manifestazioni di violenza non possono attribuirsi alla religione in quanto tale, ma
ai limiti culturali con cui essa viene vissuta e si sviluppa nel tempo» e che
«testimonianze dell’intimo legame esistente tra il rapporto con Dio e l’etica
dell’amore si registrano in tutte le grandi tradizioni religiose»; si è proclamato
«vivamente dispiaciuto che alcuni passi del Suo discorso abbiano potuto suonare
come offensivi della sensibilità dei credenti musulmani»; e, nel ribadire «il Suo
rispetto e la Sua stima» per coloro che professano l’Islam, ha auspicato una
«testimonianza comune» di cristiani e musulmani all’«unico Dio, vivente e
sussistente, creatore del cielo e della terra».
Ora, noi dell’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire”
non intendiamo essere più “papisti” del Papa. Ci preme solo mettere in rilievo come
sussista una palese contraddizione fra questi due atteggiamenti: da un lato
l’evidenziare la differenza, prima che storica, dottrinale che passa fra una religione,
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come il Cristianesimo, che pone la relazione uomo-Dio sotto il segno della
razionalità, affermando che Dio vuole il bene e il vero, è “fedele”, e un’altra, come
l’Islam, la quale si gloria dell’assoluta arbitrarietà e imprevedibilità del suo dio,
affermando che egli non sarebbe neppure tenuto a rivelare la verità agli uomini;
dall’altro il cancellare ogni distinzione sotto la cappa del “timor di Dio” che
contrassegnerebbe tutte le culture – tutte, s’intende, tranne l’Occidente “cinico e
sprezzante del sacro”. La verità è che molti cattolici – e tra loro anche insigni uomini
di Curia – nella loro ansia di mostrarsi attenti alla pluralità delle culture, non lo sono
abbastanza per distinguere tra il concetto di Dio “in sé” e il concetto di Dio “per me”,
e non comprendono che c’è una differenza abissale tra l’idea che dell’«unico» Dio
hanno i cristiani e quella che ne hanno gli islamici: per gli uni Dio è il Dio di Gesù
Cristo, colui che ha detto “Rendete a Cesare quel che è di Cesare” e che ha invitato i
suoi discepoli a comprendere da loro stessi “ciò che è giusto”, un Dio che guarda alla
rettitudine dell’agire più che alla conformità al culto esteriore e che “non fa
preferenza di persone”; per gli altri Allah è un dominatore onnipotente il quale chiede
di essere temuto piuttosto che amato, e che per bocca del suo profeta Maometto invita
i suoi servi a mentire pur di sconfiggere gli “infedeli”.
C’è dunque da meravigliarsi che il Cristianesimo abbia saputo accogliere
prontamente la possente eredità della filosofia greca col suo primato del Logos,
mentre l’Islam, dopo aver contribuito alla riscoperta dei classici, si chiudeva al
pensiero raziocinante? Bisogna dunque ricordare che il califfo di Cordova nel 1195
condannava al rogo il filosofo Averroè per aver tentato di conciliare il Corano con la
filosofia aristotelica, ed essendo questi fuggito in esilio dava alle fiamme i suoi libri,
mentre Tommaso d’Aquino costruiva la sua Somma teologica – vera summa di tutto
il sapere dell’epoca – sulla concordanza tra Aristotele e Cristo, e anzi proclamava che
la filosofia era più utile della religione per il dialogo fra culture, dal momento che “la
ragione è comune a tutti gli uomini”? O che la Bibbia è tradotta in più di cento
lingue, mentre i musulmani studiano e pubblicano il Corano solo in arabo antico
perché credono che Allah lo abbia dettato in questa lingua, come se il Dio “clemente
e misericordioso” fosse monoglotta? E c’è ancora da meravigliarsi che l’Occidente
greco-romano-cristiano abbia creato la democrazia e abbia conosciuto quello
sviluppo travolgente delle arti, delle scienze e del diritto che ha portato la sua cultura
a imporsi su tutte le altre, non per la potenza delle armi, ma per l’attrazione esercitata
dalla sua superiore civiltà, mentre l’Islam – che non possiede neppure i termini in
arabo per dire “democrazia” e “televisione” – si è espanso, finché ha potuto, solo con
la violenza, per poi entrare in una crisi plurisecolare da cui pretende ora di uscire con
una nuova guerra santa contro “ebrei e crociati”?
Noi comprendiamo la preoccupazione pastorale del Papa per la sorte dei
cristiani che vivono, tra mille difficoltà, in terre dove l’Islam è religione di Stato o
comunque maggioritaria; ma ogni Papa dovrebbe ricordare sempre che il “gregge”
affidatogli da Cristo non è ristretto all’ovile della Chiesa di Roma o dell’ecumene
cristiano, ma comprende niente di meno che tutti i popoli della Terra, in tutte le
epoche della storia; e che la sua missione consiste nel difendere, proprio in nome di
quel Dio che ha voluto unire la propria natura eterna a ogni carne mortale, i diritti di
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ogni individuo umano, che sia cristiano o musulmano o ebreo o buddista o perfino
ateo. Così come hanno fatto i pontefici che hanno combattuto il nazifascismo e il
comunismo; così come abbiamo sempre fatto e continueremo a fare noi
dell’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire” e del Partito
Mondialista. Consapevoli, come siamo, che la storia del mondo è storia della lotta fra
gli adoratori del settarismo, della chiusura egoistica degli uomini in gruppi-recinto e
della discriminazione fra chi è “dentro” e chi è “fuori”, da una parte, e quanti credono
nell’uguaglianza di tutti gli uomini, nell’apertura reciproca dei gruppi e nel
meticciato biologico e culturale, dall’altra; e che questa lotta avrà il suo termine
inevitabile nella creazione di uno Stato universale per individui universali, di un
Impero mondiale che abolirà ogni distinzione tra Giudei e Greci, tra schiavi e liberi,
tra uomini e donne, e assicurerà finalmente pace, libertà e giustizia per tutti.
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IL MONDIALISMO NON È UN IMPERIALISMO
(4/7/2007) Nei due anni trascorsi da quando abbiamo deciso di aprire il nostro
sito Internet in Italia abbiamo raccolto le opinioni formulate nei nostri confronti da
molte persone, sia per contatto diretto con i nostri agenti, sia attraverso blog e forum
sulla Rete. Abbiamo così constatato che molti considerano il mondialismo una bieca
ideologia al servizio di una presunta ambizione ideologica di non meglio specificati
circoli economico-finanziari, oppure di questa o quella multinazionale, o ancora del
governo o del popolo degli Stati Uniti d’America in quanto «nazione imperialistica
sin dalla sua fondazione», o addirittura dell’intero Occidente «ateo e materialista»
impegnato in una aggressiva ri-colonizzazione del Terzo Mondo. Abbiamo pertanto
deciso di riservare questo editoriale alla confutazione di tutte queste false opinioni su
di noi e sulla nostra causa.
Il mondialismo non si propone affatto di sostenere una colonizzazione del
mondo islamico – perché è questo che temono gli antimondialisti, tutti più o meno
antisemiti e nemici di Israele – né tantomeno di imporre un dominio imperialistico
degli Usa sugli altri Stati del pianeta. In primo luogo, perché la conquista di territori
altrui non rientra nelle ambizioni dell’uomo della strada e delle istituzioni politiche
statunitensi, i quali sono stati caratterizzati entrambi, sin dall’epoca dei Padri
Fondatori, dalla tendenza a presentarsi al mondo come la “città sulla collina”, come
un modello luminoso di governo e di società liberi ed aperti, rispettosi dei diritti di
tutti gli individui umani; tutti gli interventi militari che gli Stati Uniti d’America
hanno effettuato sono sempre stati provocati da una aggressione esterna al loro stile
di vita liberale e democratico, a partire dalla guerra di indipendenza contro
l’assolutismo di Giorgio III, passando per l’affondamento della corazzata Maine che
diede inizio alla vittoriosa guerra contro la Spagna (conclusasi con l’indipendenza di
Cuba e con un brevissimo protettorato sulle Filippine, sfociato poi
nell’indipendenza), fino al vile assalto giapponese di Pearl Harbour del 1941 e
all’infame guerra scatenata non dagli Usa, ma dal fondamentalismo terrorista
islamico sostenuto dagli Stati-canaglia (Russia, Cina, Iran e Siria) con la distruzione
delle Torri Gemelle di New York l’11 settembre 2001.
In secondo luogo, e soprattutto, perché il movimento mondialista muove dal
principio dell’uguaglianza di tutti gli individui umani, a prescindere dal sesso, dalla
fede o dal gruppo di nascita, e dall’altro principio, che dal primo discende,
dell’uguale diritto di tutti gli individui umani alla vita, alla libertà in tutte le sue
espressioni e alla ricerca della felicità; constata che, in realtà, tra gli uomini sono
esistite ed esistono tuttora profondissime, spesso mortali, disuguaglianze; rileva che
tale distanza fra princìpi e realtà deriva dal fatto che gli uomini tendono a valutare e a
trattare i loro simili non come individui appartenenti alla specie umana e dotati della
loro stessa natura umana, bensì a seconda che appartengano o meno al proprio gruppo
di nascita, sia esso basato sul colore della pelle, sulla lingua, sui costumi o sulla
religione, proteggendo i propri “compagni” e perseguitando, spesso fino al genocidio,
gli “estranei”; e di conseguenza opera affinché tutti gli uomini e le donne del mondo
riconoscano la verità di quegli immortali princìpi e conformino ad essi le loro
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condotte individuali e collettive.
Per tali motivi il Partito Mondialista ha esplicitamente affermato nel proprio
Manifesto fondativo che i tre scandali del mondo islamico, la sottomissione della
donna all’uomo, la sottomissione dei sudditi al califfo o dittatore del momento, e la
sottomissione degli “infedeli” ai credenti in Allah, i quali insieme determinano
l’arretratezza e la pericolosità di quella cultura per il mondo intero, sono tre facce
dell’unico problema costituito dalla mancata accettazione da parte dell’Islam
dell’aurea massima pronunciata da Gesù Cristo: «Rendete a Cesare quel che è di
Cesare, e a Dio quel che è di Dio», la quale sola può fondare una società e un
governo rispettosi dei diritti di ogni individuo, come li ha fondati nei paesi
occidentali determinando la loro superiorità morale e materiale.
Ed è per gli stessi motivi che noi mondialisti auspichiamo la creazione di un
Impero mondiale da parte degli Stati Uniti d’America: non per dare ad una etnia
particolare un potere sovrano su tutte le altre etnie, dal momento che gli Usa sono il
popolo più multietnico che esista; ma al contrario perché sappiamo, dalla lezione
della Storia, che solo quando questo popolo multietnico assumerà la guida del
processo di unificazione di tutti gli Stati e i popoli della terra si realizzeranno le
condizioni necessarie per la depoliticizzazione di tutti gli Stati, per l’abbattimento di
tutti i confini, in una parola per la completa eliminazione di tutte le discriminazioni
fondate sul sesso, sulla razza, sulla religione e sull’appartenenza a qualsiasi gruppo
particolare che hanno sempre funestato l’umanità. Questo non vuol dire, come
temono i tradizionalisti e i localisti no-global, eliminare le differenze fra le varie
culture e religioni in nome dell’omologazione ad un fantomatico “pensiero unico”;
vuol dire invece impedire alle legittime differenze culturali di farsi pretesto per
discriminazioni nel godimento degli inalienabili diritti umani. Che poi questa
situazione di uguale godimento dei diritti da parte di ogni individuo umano, in ogni
angolo della terra, venga chiamata Impero mondiale, Repubblica mondiale o in
qualunque altro modo si preferisca, a noi mondialisti importa poco o nulla; se non per
rendere il giusto tributo di riconoscenza a quei luminosi fari di civiltà che sono stati
l'impero persiano, il primo impero multietnico della storia, l'impero di Ciro il Grande
che restituì la libertà al popolo d'Israele, e l'impero di Roma che dai colli fatali irradiò
la civiltà all'intera Europa, insegnando all'Occidente ad «avere pietà di chi si
sottomette» e insieme a «debellare i superbi». Proprio quel che dovrà fare il popolo
degli Stati Uniti d'America, degno erede delle insegne dell'aquila, per instaurare il
proprio impero, l'Impero mondiale che libererà le genti dalle discriminazioni
derivanti dall'etnia, dalla religione e dal luogo di nascita e assicurerà ad ogni
individuo umano i sacri e naturali diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca della
felicità.
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ISRAELE IN PERICOLO, EUROPA INDIFFERENTE
(20/9/2007) Israele è in pericolo di vita. Ormai da un anno, dopo che l’attacco
lanciato contro il movimento fondamentalista islamico Hezbollah e le sue basi in
Libano è fallito a causa dei micidiali bombardamenti compiuti dai terroristi (con
missili a lungo raggio forniti da Russia e Cina, via Iran e Siria) e soprattutto della
sorda ostilità delle cancellerie europee timorose di inimicarsi l’Islam, lo Stato ebraico
è vittima di una manovra a tenaglia che lo sta progressivamente accerchiando: dalla
striscia di Gaza – che ieri il gabinetto di sicurezza di Gerusalemme è stato costretto a
dichiarare “entità nemica” – partono ogni giorno razzi Qassam contro le città
meridionali di Sderot e Asqelon; a nord Damasco non solo dispiega sempre maggiori
truppe e armi presso le alture del Golan, ma sta decimando a colpi di autobombe la
già esigua maggioranza libanese antisiriana (l’ultima vittima è il leader cristiano
Antoine Ghanem, assassinato ieri) allo scopo di riprendere il controllo di quel paese e
utilizzarlo come base avanzata per lanciare attacchi contro Israele. Quanto all’Iran,
non passa giorno senza che il fanatico tiranno Mahmoud Ahmadinejad o qualcuno dei
suoi scagnozzi non annuncino alle masse la prossima cancellazione dalla faccia della
terra della nefanda «entità sionista»; e solo un no-global ingenuo o un comunista
ipocrita può ignorare, o fingere di non sapere, che Teheran è il burattinaio che muove
i fili di Hamas ed Hezbollah e li rifornisce di armi e denaro, e che gli impianti
nucleari già funzionanti e quelli in costruzione (venduti a prezzo di favore dal cekista
Putin come i razzi anticarro e i missili balistici) non serviranno a produrre energia
elettrica, ma bombe atomiche da lanciare su Tel Aviv, Haifa e le altre città israeliane.
Di fronte a questa Apocalisse annunciata, qual’è la reazione dell’Europa? Ad
oggi solo la Francia, beneficata dal nuovo corso della presidenza Sarkozy, ha
mostrato di comprendere il pericolo rappresentato da un Iran potenza nucleare e
dotato di missili intercontinentali di fabbricazione russo-cinese, non solo per la
sopravvivenza del popolo d’Israele, ma anche per la sicurezza del Vecchio
Continente che vedrebbe messa a ferro e fuoco almeno metà del proprio territorio (da
Berlino a oriente, per intendersi) e per bocca del suo nuovo ministro degli Esteri
Bernard Kouchner ha invitato le imprese francesi a interrompere ogni rapporto
commerciale con Teheran e ha affermato senza mezzi termini che «bisogna prepararsi
alla guerra». Le altre cancellerie europee - a partire dall'arrogante D'Alema che va a
braccetto con il capo di Hezbollah e afferma che «non si deve isolare Hamas» ostentano un imbarazzatissimo silenzio, strette fra il consueto timore di provocare
l’ira delle masse islamiche (le quali non hanno alcun bisogno di “provocazioni”,
bastando loro la fatwa di qualche imam per scatenarsi) e la speranza che il regime
degli ayatollah sia solo una cricca di giocatori di poker che bluffano o una congrega
di vecchie volpi della diplomazia che chiedono cento per ottenere cinquanta.
Certo il pericolo che i musulmani residenti in Europa si diano a rivolte di piazza
come nelle banlieues di Francia qualche anno fa esiste, come pure è fondato il timore
che un’ondata di violenza contro gli occidentali si abbatta da Casablanca a Kuala
Lumpur; ma sarebbe ingenuo e folle pensare che l’aggressione del fondamentalismo
islamico possa essere neutralizzata accondiscendendo a ogni sua richiesta, costruendo
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sempre più moschee a spese dei contribuenti non-islamici e rifiutando codardamente
di difendere Israele dagli attacchi che quotidianamente riceve. E se tra uno o dieci
anni l’Iran lanciasse una bomba atomica su Tel Aviv, cosa farebbe l’Europa?
Invierebbe al presidente e al primo ministro israeliani un telegramma di
condoglianze, “partecipiamo vostro dolore-STOP. Firmato: Javier Solana”? Un po’
poco, ci sembra! L’Europa, che già porta il peso di non aver impedito lo sterminio di
sei milioni di ebrei, vuole assumersi la responsabilità storica e morale di permettere
che si perpetri un nuovo Olocausto?
Se la Germania nazista fosse stata attaccata e sconfitta non appena iniziò a
riarmarsi, se Hitler fosse stato tolto di mezzo prima di dar fuoco all’Europa, sei
milioni di uomini, donne e bambini non sarebbero stati gasati come bestie e inceneriti
nei forni, e altri cinquanta milioni sarebbero stati risparmiati da bombardamenti e
fucilazioni. A Teheran sta crescendo un mostro che potrebbe distruggere l’umanità;
meglio, molto meglio strozzarlo nella culla.
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IRAN, L'ATTACCO PREVENTIVO È IL MALE MINORE
(8/6/2008) La verità è ormai talmente evidente che le cancellerie della vecchia
Europa non hanno neppure tentato di censurarla o di attenuarne la gravità: entro sei
mesi l'Iran avrà costruito la sua prima bomba atomica. A dimostrarlo basterebbero,
sia pur indirettamente, sia la decisione dell'Aiea (Agenzia Internazionale per l'Energia
Atomica, organo dell'Onu) di proporre nuove e più dure sanzioni contro il regime
degli ayatollah reo di aver coperto agli ispettori il vero scopo del suo programma
nucleare - del resto solo un ingenuo poteva sinora credere che un paese così ricco di
petrolio avesse bisogno del "nucleare civile" per soddisfare il proprio fabbisogno
energetico - sia l'annuncio rilanciato dal fanatico Ahmadinejad al recente vertice Fao
di Roma circa l'imminente distruzione dello Stato d'Israele. È chiaro che
Ahmadinejad, noto membro di una setta sciita che vede nello sterminio degli Ebrei
l'esca per propiziare il ritorno del mitico dodicesimo imam e l'avvento del Giorno del
Giudizio, ha ripetuto i proclami incendiari dopo mesi di silenzio perché adesso si
sente sicuro di poter realizzare i suoi folli progetti messianici a breve scadenza. Di
fronte a questa terribile prospettiva, cosa dovrebbe fare il mondo libero? A questa
domanda ha implicitamente risposto lo stesso Ahamadinejad quando ha
pubblicamente schernito il presidente uscente degli Stati Uniti d'America, George
Walker Bush, il quale secondo il tiranno di Teheran sarà costretto a lasciare la Casa
Bianca senza aver potuto condurre un attacco preventivo contro l'Iran.
In verità, nell'attuale contesto geopolitico mondiale che vede un'Europa
strangolata dal caro-petrolio, una Russia fornitrice all'Iran di tecnologia nucleare e di
missili balistici capaci di colpire non solo Israele, ma anche le città europee - fino a
Madrid, per intendersi - e una Cina comunista sostenitrice della sovrana
autodeterminazione di ogni Stato disposto a fornirle energia e materie prime, soltanto
gli Stati Uniti hanno la capacità militare di sventare il progetto nazislamico di un
nuovo Olocausto. Già quattro volte, nell'ultimo secolo, gli Usa hanno deciso l'esito di
un conflitto: la prima nel 1917, dopo che la prima guerra mondiale aveva già
provocato milioni di vittime civili, sono intervenuti sulla spinta dell'indignazione
causata dalla indiscriminata guerra sottomarina scatenata dai Tedeschi contro le navi
mercantili e passeggeri dei paesi neutrali in viaggio da e per l'Europa, e hanno
determinato il crollo degli Imperi centrali; la seconda nel 1941, ancora per lo sdegno
suscitato stavolta dal vile attacco giapponese a Pearl Harbor, hanno salvato l'Europa e
l'Asia dal dominio dell'Asse Roma-Berlino-Tokio, ma non hanno potuto o voluto
impedire il genocidio di sei milioni di Ebrei (recentemente Bush ha espresso il
rimpianto del suo Paese per non aver bombardato Auschwitz); la terza nel 1996,
quando hanno fermato la mano del carnefice Milosevic dopo i massacri di Bosnia e il
martirio di Sarajevo; e la quarta nel 1999, quando sono intervenuti di nuovo contro la
Serbia per fermare la "pulizia etnica" in Kossovo. In tutte queste occasioni gli Stati
Uniti d'America sono entrati in guerra solo dopo che atroci massacri erano stati già
compiuti; stavolta l'alleato storico, Israele, chiede loro di intraprendere una vera e
propria «guerra preventiva», di sparare insomma il primo colpo. Vediamo dunque
quali sarebbero le conseguenze nell'uno e nell'altro scenario:
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1) L'AMERICA ATTACCA PER PRIMA L'IRAN - L'Iran ha una superficie
grosso modo pari a quella dell'Iraq (liberato da Saddam Hussein nel 2003, e da allora
sotto il controllo delle forze della Coalizione dei Volenterosi guidata da Washington)
e una popolazione di circa 70 milioni di persone. Un attacco preventivo condotto
contro gli impianti nucleari - in gran parte situati a molti metri di profondità nel
sottosuolo - e contro i centri di potere del regime islamico (caserme dei Pasdaran,
impianti petroliferi, basi aeree, navali e missilistiche) richiederebbe, come per l'Iraq,
almeno un mese di massicci bombardamenti con missili Cruise lanciati dalle navi
situate nell'Oceano Indiano e con bombe ad alta penetrazione lanciate da fortezze
volanti in partenza dalla base di Diego Garcia (la più vicina al teatro delle operazioni)
che causerebbero circa 20-30.000 morti fra civili e militari iraniani. L'Iran
risponderebbe tentando di bloccare il traffico petrolifero nel Golfo Persico (ad
esempio lanciando barchini carichi di esplosivo contro le petroliere), il che farebbe
schizzare il prezzo del petrolio a più di 200 dollari il barile per almeno sei mesi,
finché la flotta americana non avesse ripreso il controllo dello Stretto di Hormuz.
Hamas e Hezbollah userebbero il loro arsenale - missili a media gittata di
fabbricazione russa forniti da Teheran - per colpire le città israeliane dalla Striscia di
Gaza e dal Libano, provocando centinaia di morti. Alla fine del conflitto le capacità
nucleari e militari dell'Iran sarebbero state azzerate, ma gli Usa subirebbero la
riprovazione della Russia, delle cancellerie europee e dell'opinione pubblica
ciecopacifista di tutto il mondo.
2) L'AMERICA ASPETTA CHE L'IRAN SPARI IL PRIMO COLPO - Il
"primo colpo" dell'Iran consisterebbe presumibilmente in un attacco nucleare contro
Tel Aviv e Haifa, due città che rappresentano un bersaglio ideale per l'odio di
Ahmadinejad: sono i maggiori centri economici, commerciali e tecnologici di Israele,
e sono abitate per il 96% da ebrei e arabi di religione cristiana, «porci e scimmie» per
il Corano (i pochi arabi di religione musulmana hanno cittadinanza israeliana e sono
ben integrati nel tessuto sociale, per cui agli occhi degli ayatollah sono più o meno
degli apostati indegni di vivere); e, insieme, in un lancio di missili intercontinentali
"made in Russia" contro le città europee. I missili iraniani sterminerebbero almeno
400.000 persone in Israele e svariate migliaia in Europa, dopodiché Israele e gli Usa
scatenerebbero il proprio arsenale atomico contro le principali città della Persia,
diciamo Teheran e Isfahan (entrambe centri economici e industriali). Risultato:
almeno 15 milioni di morti iraniani. Alla fine l'Iran tornerebbe all'età della pietra,
Israele sarebbe fortemente ridimensionato come potenza regionale del Medio Oriente
e Mosca coglierebbe i frutti di una guerra combattuta per interposta persona,
stringendo nei suoi tentacoli un'Europa ferita e terrorizzata e divenendo la potenza
egemone d'Eurasia.
Se questi sono gli unici scenari possibili, ne segue con necessità assoluta che per
gli Stati Uniti d'America, per Israele, per l'Europa e per il mondo intero un attacco
preventivo contro l'Iran rappresenta l'opzione migliore, perché determinerebbe il
minor numero di vittime da ambo le parti e otterrebbe la fine dell'appoggio iraniano
al terrorismo palestinese e quindi, in prospettiva futura, l'evoluzione dell'Iran verso
libertà e democrazia, la stabilizzazione dell'area mediorientale, il ribasso del prezzo
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del petrolio e la fine delle ambizioni egemoniche della Russia. Pertanto noi
dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e del Partito
Mondialista esortiamo il presidente George Walker Bush a non commettere l'errore di
Roosevelt che rifiutò di bombardare Auschwitz e di fermare l'Olocausto; ad attaccare
ora, prima che sia troppo tardi.
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ISRAELE RISPONDE ALL'ATTACCO TERRORISTA DI HAMAS,
NONOSTANTE LA PUSILLANIMITÀ DEL MONDO
(28/12/2008) Ieri, 27 dicembre, a mezzogiorno ora locale, è scattata l'operazione
"Piombo fuso". Ottanta aerei ed elicotteri con la stella di David hanno martellato un
centinaio di obiettivi militari nella Striscia di Gaza. In soli 4 minuti sono stati distrutti
il comando centrale di polizia, il quartier generale della sicurezza, caserme e basi per
l'assemblaggio dei missili che da anni l'infame movimento terrorista e
fondamentalista islamico Hamas lancia sul Sud d'Israele, e sono stati uccisi più di 150
miliziani terroristi che si addestravano per sferrare attacchi a tradimento contro il
civile e democratico popolo d'Israele. Dopo il tramonto gli attacchi aerei sono ripresi
e proseguiti per tutta la notte. Sono state colpite una moschea che fungeva da base
logistica per i terroristi assassini e un'officina per la costruzione dei famigerati missili
Qassam che anche ieri sono stati scagliati su Israele: sei persone sono state ferite e
una donna è stata uccisa da uno di questi missili nella città di Netivot, una donna
"colpevole" solo di essere ebrea.
Anche oggi proseguono i bombardamenti da parte dell'aviazione israeliana,
mentre Ismail Haniyeh, leader dell'illegittimo governo di Hamas che detiene ormai da
troppo tempo il potere illegalmente nella Striscia dopo aver eliminato con atroci
massacri tutti gli oppositori interni, ha annunciato l'inizio di una "terza Intifada"
contro Israele e l'uso di kamikaze contro la popolazione civile israeliana; una tecnica
di guerra vigliacca che non è certo una novità e che testimonia, per chi non sia
accecato da preferenze ideologiche, del carattere "pacifico" e "moderato" di questa
organizzazione. Nel frattempo il territorio israeliano è sottoposto a incessanti lanci di
missili provenienti da Gaza, non più solo missili Qassam, ma ora anche di tipo Grad
(di fabbricazione iraniana) con una gittata ben maggiore, tanto da arrivare a colpire
non solo le consuete città martiri di Ashkelon, Sderot e Gan Yavne, ma anche
Ashdod, a 40 km dal confine; un chiaro segnale di come i perfidi capi di Hamas
abbiano utilizzato i sei mesi di "tregua" per rafforzare il loro arsenale con missili
made in Teheran. E infatti il tiranno iraniano, il folle Ahmadinejad che vuole
cancellare Israele dalle carte geografiche, ha prontamente espresso la propria
solidarietà ai suoi vassalli palestinesi "vittime dell'aggressione sionista" e inviato una
nave con "medicine e aiuti umanitari" che, ne siamo sicuri, conterrà ben poco grano e
molto, troppo piombo.
Come è ormai (malsana) tradizione dalla guerra libanese del 2006, le diplomazie
di tutto il pianeta si sono affrettate a condannare "l'uso sproporzionato della forza" da
parte di Israele (Sarkozy, a nome dell'Unione Europea, e il portavoce di Bruxelles
Solana), a deplorare "il massacro di civili" (l'ONU e il Vaticano), a ordinare al
governo di Gerusalemme di interrompere "immediatamente" i bombardamenti (la
Russia, buona amica di Hamas e Hezbollah). Fanno eccezione, per ora, gli Stati Uniti
d'America, i quali si sono limitati a invitare Israele a evitare vittime civili, e viceversa
hanno apertamente confermato ciò che è sotto gli occhi di tutti: cioè che la colpa
dell'offensiva (anzi: contro-offensiva) di Tsahal va attribuita unicamente ad Hamas,
colpevole di aver rotto unilateralmente la tregua e di aver ripreso a seminare morte e
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distruzione nel Sud d'Israele con i suoi bombardamenti missilistici. Ma forse la
maggiore saggezza dimostrata da Washington in queste ore è dovuta al fatto che al
governo c'è ancora George Walker Bush; dallo staff del "presidente eletto" Obama in
vacanza alle Hawaii, infatti, non non è arrivata una parola, e certo Honolulu non è
priva di telefoni e antenne paraboliche...
Di fronte a questa offensiva verbale ci si dovrebbe chiedere: perché nessun
membro della comunità internazionale è intervenuto in questi giorni per impedire agli
infami terroristi di Hamas di scagliare i loro missili contro il territorio israeliano,
uccidendo, ferendo e terrorizzando centinaia di migliaia di civili innocenti? Perché la
comunità internazionale interviene solo ora per legare le mani a Israele, come ha fatto
nel 2006 dopo la giusta risposta di Gerusalemme al vile attacco a tradimento portato
da Hezbollah con l'acquiescenza del governo di Beirut? A leggere le dichiarazioni
che si susseguono da ieri sembra che per la grandissima maggioranza dell'opinione
pubblica mondiale esistano soltanto i civili di Gaza, che essi soltanto siano degni di
rispetto e di commiserazione. Nessuno tien conto del fatto che le forze armate
israeliane, essendo al servizio e a difesa di un popolo e di un governo civili e
democratici, mirano a colpire soltanto obiettivi militari, e che le vittime civili nella
Striscia si devono al fatto che i perfidi miliziani di Hamas, per sottrarsi ad attacchi
come quello attuale, hanno sempre nascosto le loro basi, i loro arsenali, le officine di
montaggio dei loro mortali missili in mezzo alle abitazioni civili, nelle scuole, negli
ospedali e nelle moschee; i terroristi, invece, non hanno mai preso di mira caserme o
installazioni militari situate in territorio israeliano: hanno sempre colpito le città e gli
inermi villaggi, per uccidere quanti più "sporchi ebrei" possibile. E perché mai,
infine, i "poveri" civili di Gaza hanno permesso in tutti questi anni ad Hamas di
costruire una rete di gallerie e depositi sotterranei che si estende per tutta l'area della
Striscia (15 km di lunghezza e 10 di larghezza)? Perché hanno permesso a questi
banditi assassini di costruire cunicoli e ammassare armi sotto le loro case, perché non
si sono ribellati e non li hanno fatti a pezzi? Se lo avessero fatto, se avessero preferito
la pace con Israele al fanatismo etnoreligioso, ora non dovrebbero piangere la morte
dei loro cari. E se lo facessero ora, almeno salverebbero la vita delle centinaia di feriti
ai quali Hamas sta impedendo di attraversare il valico di Rafah per cercare cura e
salvezza in Egitto; la motivazione "ufficiale" è che Hamas vorrebbe l'apertura totale
del valico, la verità è che vuole utilizzarlo per rifornirsi di nuove terribili armi di
distruzione da usare ancora contro l'inerme popolazione d'Israele.
Nel frattempo il governo israeliano sta valutando gli effetti conseguiti dalle
operazioni aeree, e il ministro della Difesa Ehud Barak non ha escluso l'avvio di una
controffensiva di terra: già centinaia si soldati e carri armati sono stati dislocati al
confine con Gaza, e 6.500 riservisti mobilitati. Ancora una volta il popolo di Israele,
unico paese civile, liberale e democratico del Medio Oriente, unico avamposto
dell'Occidente in una terra di barbari terroristi fanatici e di sanguinari dittatori che
usano la religione come strumento di discriminazione fra gli uomini e di offesa alla
libertà e alla vita degli altri popoli, combatte per difendere il proprio sacro diritto
all'esistenza. E noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World
Empire" e del Partito Mondialista siamo e saremo, come sempre, al suo fianco, per
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lottare contro tutti i tiranni laici e religiosi e assicurare pace, libertà e giustizia per
tutti gli uomini, in Medio Oriente come in tutto il mondo. VINCI, ISRAELE!
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ADESSO AHMADINEJAD È DAVVERO UN TIRANNO. ABBATTIAMOLO!
(14/6/2009) Tommaso d'Aquino, il massimo teologo e filosofo del Medioevo,
soprannominato "Dottore Angelico" per la profondità della sua dottrina, colui il cui
pensiero è stato assunto in toto dalla Chiesa cattolica quale filosofia ufficiale con
l'enciclica Aeterni Patris di Leone XIII (1879), distingueva due categorie di tiranni:
1) il tiranno "per mancanza di titolo", cioè colui che assume il potere su un gruppo
d'uomini in violazione delle norme che regolano l'accesso al governo; e 2) il tiranno
"per esercizio", cioè colui che esercita il potere nel proprio interesse anziché per il
bene comune del gruppo. Anche se di fatto le due situazioni possono sovrapporsi e
storicamente lo hanno fatto spesso - poiché chi assume il potere senza averne titolo è
portato, per conservarlo, a governare nel proprio interesse, e chi governa nel proprio
interesse pur avendone titolo è portato a violare le leggi in materia di accesso alla
carica per conservare il potere - la loro distinzione concettuale è della massima utilità
nell'attuale fase politica scaturita dalle elezioni presidenziali iraniane dello scorso
venerdì 12 giugno.
Come i nostri lettori hanno già appreso dai media, la sfida tra il presidente
uscente Mahmoud Ahmadinejad, leader della fazione radicale e fondamentalista dei
pasdaran (i Guardiani della Rivoluzione khomeinista) e il candidato moderato Mir
Hossein Mussavi ha visto una altissima affluenza al voto della popolazione, e in
particolare dei giovani e delle donne, le due fasce della società iraniana
tradizionalmente più aperte alla modernizzazione del Paese, ad un allentamento
dell'occhiuta sorveglianza del clero sciita - dall'imposizione del velo alle donne fino
alla proibizione per ragazzi e ragazze di tenersi per mano in strada e di partecipare a
feste comuni - e delle sue milizie paramilitari su ogni aspetto della vita e
all'integrazione dell'Iran nell'Occidente. Ci si aspettava dunque, sia da analisti interni
che da osservatori internazionali, che Mussavi avesse buone probabilità di superare il
primo turno elettorale e di affrontare Ahmadinejad in un testa a testa al ballottaggio.
In effetti, alla chiusura delle urne Mussavi si è subito proclamato vincitore in base ai
dati in suo possesso, e ha messo in guardia i suoi sostenitori contro il pericolo di
brogli. Purtroppo mai previsione fu più azzeccata: nel giro di dodici ore Ahmadinejad
veniva proclamato ufficialmente vincitore con il 63% dei voti contro il 35 di
Mussavi, e la Guida Suprema dell'Iran ayatollah Ali Khamenei (il successore di
Khomeini alla carica che rappresenta il vertice "reale" del potere, al di là della
facciata democratico-elettiva del Presidente e del Parlamento) si è affrettato ad
avallare la proclamazione affermando che la sua vittoria era "una benedizione divina"
(tralasciamo facili commenti su un "dio" come Allah che manda i suoi fedeli a farsi
esplodere per uccidere civili innocenti, e i cui "sacerdoti", i mullah, gli imam e gli
ayatollah, considerano atto di culto lo stuprare sistematicamente i bambini maschi
nelle scuole coraniche, il considerare per legge atte al matrimonio bambine di nove
anni e l'autorizzare matrimoni "a tempo", anche solo di 15 minuti, giusto il tempo di
violare una vergine e consegnarla ai lapidatori). Questa "benedizione" ha dato il
destro ad Ahmadinejad per lanciare una massiccia campagna di arresti nei confronti
del Mosharekat, il partito di Mussavi, il cui gruppo dirigente è ora quasi interamente
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detenuto, mentre Mussavi e sua moglie, anche lei fervente riformista, sono scomparsi
dalla circolazione e si teme per la loro vita.
Contro i sostenitori di Mussavi, scesi in strada a Teheran e in tutto il Paese per
protestare contro i brogli, Ahmadinejad ha scagliato le sue ronde di motociclisti
armati di manganelli e i terribili basiji, i paramilitari in borghese. Il regime ha tentato
di isolare l'Iran dal resto del mondo: il satellite della BBC che trasmetteva il
notiziario in lingua farsi è stato oscurato, la sede della tv satellitare Al-Arabiya è stata
chiusa per una settimana, giornalisti olandesi e di altri paesi occidentali sono stati
arrestati ed espulsi; anche la troupe italiana è stata aggredita, l'interprete massacrata
di botte, la cassetta che mostrava la scena sequestrata, il cameraman minacciato di
non riprendere gli scontri di piazza; solo la ferma volontà dei giovani iraniani, i più
colti e occidentalizzati del Medio Oriente, che hanno usato telefonini e macchine
fotografiche per produrre foto e video e li hanno immessi su Youtube sfidando la
censura, sta permettendo al mondo di venire informato su quanto sta accadendo in
Iran, sulle folle che danno alle fiamme automobili, chioschi, banche e uffici pubblici
al grido "Morte al dittatore!", che affrontano coraggiosamente i poliziotti-motociclisti
in tuta nera e li linciano se ne trovano qualcuno isolato dai compari, e che,
soprattutto, ricevono l'appoggio della grandissima maggioranza della popolazione. Il
favore popolare verso i rivoltosi è così manifesto, così evidente, così imbarazzante
per la nuova amministrazione del "dialogante" Obama, che il suo vice Joe Biden si è
detto "preoccupato" (bontà sua!) per gli sviluppi del dopo-voto, e il Segretario di
Stato Hillary Clinton ha fatto sapere che gli Stati Uniti d'America stanno
"monitorando" il risultato del voto per accertare che "sia stata rispettata la genuina
volontà del popolo iraniano".
Ed è proprio questo il punto: gli osservatori mandati da Mussavi a controllare la
regolarità dello scrutinio avevano segnalato che il candidato riformista aveva
conseguito circa 19 milioni di voti contro gli appena 5 di Ahmadinejad (su un totale
di circa 24 milioni di elettori), e già prima del 12 giugno era ben noto a tutti che i
riformisti riscuotono consensi soprattutto fra i giovani, in un Paese come l'Iran in cui
i giovani costituiscono la fetta più numerosa della popolazione, e nei ceti urbani che
sono stati colpiti dalla crisi economica conseguente al crollo del prezzo del petrolio
molto più degli abitanti delle campagne, tradizionali sostenitori di Ahmadinejad.
Inoltre la cricca al potere si è già resa colpevole di brogli alle elezioni parlamentari e
amministrative, e nelle campagne il controllo della polizia sui seggi è pressoché
totale. Mohamed Karrubi, un altro candidato riformista alle presidenziali che in
passato aveva ricevuto 6 milioni di voti, questa volta se ne è visti riconoscere appena
300mila. Dove sono finiti tutti gli altri? "Travasati" nell'urna di Ahmadinejad,
naturalmente.
Finora Ahmadinejad aveva esercitato il potere nell'interesse della propria
fazione, i pasdaran che detengono il controllo del petrolio, dei commerci, delle
banche e di quasi tutte le attività economiche (e non a caso le proteste popolari sono
iniziate col dare alle fiamme bazar e banche); aveva represso con durezza e crudeltà
le minoranze religiose cristiane, sunnite e bahji; aveva fatto imprigionare, torturare,
uccidere decine di migliaia di studenti e altri oppositori; aveva avviato e perseguito
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un vasto programma di costruzione di centrali nucleari e laboratori di arricchimento
dell'uranio allo scopo di dotarsi della bomba atomica, cosa che gli permetterebbe di
assumere l'egemonia su tutto il Medio Oriente e soprattutto di realizzare il suo folle
sogno: distruggere lo Stato di Israele per favorire il ritorno sulla terra del "dodicesimo
imam", perno della fede sciita, e accelerare la venuta del Giorno del Giudizio in cui
Allah dovrebbe ricompensare i muslims e condannare all'inferno ebrei, cristiani,
pagani e "apostati". Insomma, si era comportato come un tiranno "per esercizio", e le
cancellerie occidentali - sia quelle della Vecchia Europa interessata al petrolio e ai
traffici con l'Iran, sia la nuova amministrazione americana desiderosa di stringere
rapporti su "nuove basi" con l'Islam - avevano sinora reagito con parole tanto
indignate quanto inconcludenti. Forse erano ancora prigioniere della dottrina sul
tirannicidio elaborata dai maestri medievali come Tommaso d'Aquino, per i quali il
cattivo governante deve essere rimosso con la forza solo come "ultima ratio", e solo
se si è sicuri che la sua rimozione non arrechi allo Stato danni maggiori della sua
permanenza al potere. Ma dal 12 giugno, dopo che le urne hanno sancito la vittoria di
Mussavi con 19 milioni di voti su 24, Mahmoud Ahmadinejad non è più il legittimo
presidente dell'Iran. Adesso egli esercita il potere contro le norme formali che
regolano la procedura di elezione del Presidente della Repubblica Islamica dell'Iran.
Adesso egli è un tiranno "per mancanza di titolo", un "vero" tiranno, un usurpatore; e
contro gli usurpatori i maestri del pensiero politico occidentale, a partire da Tommaso
d'Aquino, prescrivono unanimemente la sollevazione popolare e, nel caso questa si
riveli insufficiente, l'intervento delle autorità superiori, l'Impero e la Chiesa, al fine di
irrogare l'unica pena degna del loro crimine: la morte.
Pertanto l'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il
suo ramo esecutivo, il Partito Mondialista, esortano tutti i governi dell'Occidente, e in
particolare il Presidente degli Stati Uniti d'America Barack Obama, sovrano di fatto
dell'Impero americano - figura di quell'Impero mondiale che deve venire, e per il cui
avvento noi lottiamo e operiamo contro le forze della teocrazia, della dittatura, del
tradizionalismo, del nazionalismo xenofobo e del fondamentalismo religioso affinché guidino una Grande Armata per la liberazione del popolo dell'Iran dal
tiranno che lo opprime da ormai troppi anni e dalla sua cricca di fanatici violenti e di
mullah pedofili. È tempo che il popolo di Persia, erede di quel Ciro che fondò il
primo impero multietnico della storia, che restituì la libertà al popolo d'Israele e
finanziò con il suo tesoro la ricostruzione di Gerusalemme e del Tempio, si risollevi
dalla povertà materiale, dalla miseria spirituale e dall'abiezione morale in cui è
sprofondato dalla cacciata del suo legittimo sovrano, lo Scià Reza Pahlevi, e riprenda
il suo posto al fianco dei popoli civili.
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SUL MARE DI GAZA ISRAELE COMBATTE
PER DIFENDERE LA CIVILTÀ
(31/5/2010) Alle 4 del mattino, ora locale, reparti scelti della Marina israeliana
hanno abbordato la flotta di 6 imbarcazioni partita dalla Turchia una settimana fa con
l'intenzione esplicita di forzare il blocco navale imposto dallo Stato di Israele alla
Striscia di Gaza dal 2007, anno in cui prese il potere in essa il movimento islamico
integralista e terrorista Hamas che nel suo statuto costitutivo si propone la distruzione
di quella che chiamano "entità sionista". La spedizione era stata organizzata dal "Free
Gaza Movement", una galassia di organizzazioni non governative filopalestinesi
egemonizzata dall'Ihh, una associazione turca che Israele e la CIA hanno messo da
tempo sulla loro lista nera per aver finanziato Hamas e altre organizzazioni terroriste
islamiche, come quella facente capo in Italia all'imam della moschea di viale Jenner a
Milano. L'abbordaggio era stato preceduto da ripetuti avvertimenti lanciati via radio
dalle navi militari con la stella di Davide, con i quali si invitava il convoglio a non
entrare in una zona di guerra sottoposta a blocco secondo le norme del diritto
internazionale e a dirigersi piuttosto nel più vicino porto israeliano, ove gli 800
attivisti avrebbero potuto con tutta comodità scaricare le 10.000 tonnellate di "aiuti
umanitari" - ufficialmente cibo, medicinali, sedie a rotelle per gli invalidi, tende e
materiali da costruzione - e supervisionare il loro trasporto a Gaza attraverso i valichi
terrestri; ma i sedicenti "pacifisti" avevano rifiutato. I soldati di Gerusalemme,
calatisi con delle corde da un elicottero sulla nave turca "Mavi Marmara", quartier
generale della flottiglia, sono stati aggrediti da orde di "pacifinti" armati di coltelli,
bastoni, spranghe di ferro, persino con delle granate assordanti (il famoso pacifismo
turco...), sette di loro sono stati feriti, due in modo grave, e solo allora, dopo essersi
consultati via radio con i loro comandanti, sono stati autorizzati ad aprire il fuoco
uccidendo sette aggressori e ferendone una quarantina. Nel frattempo i soldati saliti a
bordo delle altre imbarcazioni non incontravano alcuna resistenza, e naturalmente su
di esse non c'è stato alcun morto o ferito né fra i passeggeri né fra i militari. Tutte le
navi sono poi state scortate nel porto di Ashdod, i "pacifinti" feriti portati negli
ospedali e gli altri presi in consegna dalle autorità.
Al di là delle stucchevoli obiezioni che sono state mosse col senno di poi - era
necessario assaltare le navi con dei soldati? Non si potevano mandare dei poliziotti?
Non si poteva sparare qualche cannonata di avvertimento davanti alla prua delle
navi? (bravi, e se non invertivano la rotta?); non si potevano lanciare dei siluri per
danneggiare le sale macchine? (già, così l'ONU avrebbe condannato ufficialmente
Israele per pirateria); non si potevano usare commandos di subacquei o minisommergibili per mettere fuori uso le eliche? (e rivolgersi a James Bond, no?) - è
necessario ribadire alcuni punti fondamentali:
1) il diritto internazionale autorizza uno Stato impegnato in una guerra contro un
altro Stato o organizzazione politica belligerante a porre in essere un blocco terrestre,
aereo e navale delle frontiere dello Stato o territorio aggressore allo scopo di impedire
al nemico di ricevere armamenti da potenze terze. Il fatto che l'abbordaggio della
flottiglia filopalestinese sia avvenuto in acque internazionali, e non nelle acque
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territoriali israeliane, si spiega semplicemente considerando che gli attivisti avevano
rifiutato di dirigersi verso porti israeliani e che il loro scopo, dichiarato fin dalla
partenza ai media di tutto il pianeta, era appunto di violare il blocco entrando nelle
acque territoriali della Striscia di Gaza. Quindi l'abbordaggio israeliano non può in
alcun modo esser considerato una violazione del diritto internazionale;
2) il diritto internazionale prevede che lo Stato imponente il blocco debba lasciar
entrare nello Stato o territorio sottoposto a blocco i cosiddetti "aiuti umanitari",
ovvero tutto ciò che è necessario per la sopravvivenza della popolazione civile (dove
per "civile" si intende il "non militare", cioè chi non combatte contro lo Stato
imponente il blocco indossando una divisa) e che non costituisca armamento o mezzo
per la costruzione di armamenti. Ebbene, ogni giorno, sottolineo ogni giorno, lo Stato
di Israele lascia entrare nella Striscia di Gaza più di cento, sottolineo cento, camion
carichi di cibo, medicine e altri beni utili alla popolazione civile: ogni giorno gli
abitanti di Gaza ricevono dai "perfidi Giudei" farina, carne, frutta e verdura, latte e
formaggio, zucchero, foraggio per il bestiame, antibiotici, vestiti e gasolio in misura
dieci volte superiore al carico portato "ufficialmente" dalla Flotilla ottomana. Non
solo, ma ogni giorno i "perfidi Giudei" lasciano passare alla frontiera e accolgono nei
loro ospedali decine di malati e feriti palestinesi provenienti da Gaza e bisognosi di
cure, malati e feriti che magari, poche ore o giorni prima, hanno lanciato contro le
città israeliane qualcuno delle migliaia di missili "made in China" comprati da
Teheran e recapitati attraverso i tunnel scavati al confine con l'Egitto. Quindi, a parte
il fatto che i cosiddetti "civili" di Gaza sono in molti casi combattenti senza divisa, e
quindi vigliacchi e violatori del diritto internazionale (il quale prescrive che i
combattenti debbano essere facilmente distinguibili dai non-combattenti, proprio al
fine di tutelare questi ultimi); a parte che a Gaza anche i cosiddetti "civili" che non
fanno parte di Hamas collaborano con esso costruendo i tunnel per il passaggio delle
armi, o facendoli costruire dai propri figli ancora infanti, o dando ospitalità nelle
proprie case ai terroristi, o custodendo in esse armi e munizioni, e quindi, secondo il
diritto internazionale, non possono esser considerati propriamente dei "noncombattenti"; a parte tutto questo, è falso che la popolazione della Striscia di Gaza sia
«ridotta alla fame e alla disperazione» per colpa del blocco imposto da Israele. Se la
popolazione di Gaza è veramente ridotta alla fame e alla disperazione, la colpa è
unicamente dei terroristi di Hamas che taglieggiano i commercianti, incamerano tutti
i viveri che giungono dall'esterno, intascano i cento milioni di dollari che ogni anno ogni anno! - l'Unione Europea e i Paesi islamici elargiscono a Gaza, e usano tutto
questo cibo e questo denaro non per la sopravvivenza e il benessere della
popolazione, bensì per comprare armi sempre più sofisticate allo scopo di uccidere un
numero sempre più elevato di "perfidi Giudei";
3) i cosiddetti "pacifisti" vedono, o credono di vedere, soltanto le sofferenze
della popolazione di Gaza. Non vedono, non vogliono vedere le sofferenze degli
abitanti di Ashkelon, Sderot e di tutte le altre città e villaggi israeliani che ogni giorno
vengono colpiti dai missili lanciati dalla Striscia di Gaza. Non vedono, non vogliono
vedere il terrore negli occhi dei bambini ebrei costretti a interrompere i loro giochi e a
correre nei rifugi quando la sirena avverte che di lì a cinque o dieci minuti un missile
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di Hamas porterà loro morte e distruzione soltanto perché sono ebrei. Non vedono,
non vogliono vedere il martirio degli studenti iraniani imprigionati per aver protestato
contro le elezioni-farsa di un anno fa, né quello dei musulmani Ahmadi massacrati
pochi giorni fa a Lahore, considerati eretici sia dai sunniti che dagli sciiti, e che per la
legge pakistana non possono neppure chiamarsi musulmani. Non hanno voluto vedere
il dolore, l'angoscia negli occhi del padre e della madre di Gilad Shalit, il
giovanissimo soldato israeliano rapito dai terroristi di Hamas e prigioniero da troppi
anni proprio a Gaza, e non hanno nemmeno voluto farsi latori di una loro lettera ai
capi di Hamas con cui chiedevano informazioni sulla salute del loro figlio che
neppure la Croce Rossa può visitare;
4) il movimento terroristico Hamas è solo la punta di un iceberg costituito da
centinaia di milioni di musulmani che ormai da un secolo hanno abbracciato una
interpretazione letterale e fondamentalista del Corano per la quale l'esistenza in vita
di esseri umani che professano altre religioni, o si dichiarano atei, o magari seguono
una interpretazione non letterale e non fondamentalista dello stesso Corano è una
intollerabile offesa ad Allah e Maometto, un'offesa da lavare con il sangue degli
"infedeli" e degli "apostati". Togliere il blocco a Gaza, permettere ad Hamas di
ricevere liberamente armi, trasformerebbe la Striscia in un santuario del terrore simile
all'Afghanistan al tempo dei talebani, al Sudan e alla Somalia, in una portaerei da cui
i nemici dell'Occidente lancerebbero attacchi in tutto il Mediterraneo con la
benedizione di Bin Laden e Ahmadinejad.
L'Islam non è sempre stato così: nelle corti di califfi e sultani sono fiorite per
secoli poesia e letteratura, filosofia e medicina; alcuni ebrei e cristiani sono stati
tollerati e hanno ricoperto incarichi di grande rilevanza nelle società musulmane.
Eppure nel 642, dopo aver conquistato Alessandria d’Egitto, il generale arabo Amr
ibn al-’As ordinò di bruciarne la gloriosa biblioteca sentenziando: «Se questi libri
contengono cose che sono scritte nel Corano, sono inutili; se contengono cose
contrarie a quanto è scritto nel Corano, sono dannosi». Eppure nel XII secolo il
filosofo, medico e giurista Abu al-Walid Muhammad ibn Ahmad ibn Muhammad ibn
Rushid (più conosciuto come Averroè) fu condannato a morte dal califfo di Cordova
per aver sostenuto che Dio non agisce nel mondo con un arbitrio assoluto, ma in
modo conforme alla ragione, e che i precetti del Corano non andavano presi alla
lettera, come pretendevano gli ignoranti, ma interpretati nel loro significato simbolico
(un metodo che Ebrei e Cristiani hanno sempre praticato con la Torah e il Vangelo).
Eppure nel 1955 nella traduzione in arabo della Divina Commedia pubblicata in
Egitto vennero censurati i versi dell’Inferno relativi a Maometto. Eppure nel 2005
Ahmad al-Baghdadi, docente di scienze politiche in Kuwait, è stato condannato a un
anno di galera per aver detto che a scuola è meglio se i bambini passano più tempo a
studiare musica che a studiare il Corano. Eppure dal 2007 la televisione egiziana
trasmette sermoni di imam i quali seriosamente insegnano che la Terra è piatta perché
così sta scritto nel Corano (se non ci credete guardate questo video su Youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=eMqPI-RMU7Q&feature=player_embedded).
Eppure oggi, nel terzo millennio, un gruppo di avvocati del Cairo ha citato in giudizio
l'editore delle "Mille e una notte" per ottenere il divieto di pubblicare un'opera di
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«propaganda sionista» che parla di geni magici, tappeti volanti, animali parlanti e
persino di ebrei buoni, onesti e valorosi, tutte cose che essi considerano false perché
non menzionate nel Corano. Eppure oggi talebani afghani, qaedisti iracheni e basiji
iraniani sgozzano, decapitano, torturano e impiccano musicisti, pittori e registi,
insegnando che l'unica "arte" buona per un musulmano è quella di fabbricare cinture
esplosive e bombe atomiche per sterminare ebrei e cristiani. E tutto questo avviene,
grazie ai miliardi di dollari ricavati dal petrolio o elargiti da "semplici" musulmani a
banche islamicamente corrette e ad associazioni "caritatevoli" che finanziano il
terrorismo, sotto gli occhi di un Occidente che ha ripudiato la doppia radice grecoromana ed ebraico-cristiana da cui è scaturito il suo primato nelle scienze, nelle arti,
nell'economia e nella politica, che si vergogna di aver portato la civiltà al mondo e si
affida a un falso messia di nome Obama il quale non perde occasione per
genuflettersi davanti a tiranni e tagliagole con la bandiera verde.
In conclusione, la posta in gioco nello scontro di Gaza tra la Marina israeliana e
i "pacifinti" filo-Hamas non è soltanto la difesa del diritto dello Stato di Israele a
esistere e a difendersi contro i suoi nemici. La posta in gioco è la difesa della libertà,
della tolleranza, dell'apertura alla conoscenza dell'altro che ha fatto dell'Occidente la
più grande e migliore civiltà della Storia. E in questa lotta per la difesa della civiltà
ogni uomo e ogni donna amante della vita, della verità e della pace - la vera pace che
non è acquiescenza al male, ma nasce dalla giustizia - deve essere, come saremo noi
mondialisti, schierato dalla parte di Israele, l'unica democrazia in un Medio Oriente di
satrapi feroci e di ayatollah fanatici, l'unico baluardo rimasto a difesa dell'Occidente,
della Verità, della Civiltà e della Vita contro le armate dell'Islam sanguinario, della
Menzogna, della Barbarie e della Morte. Noi dell'Associazione Internazionale "New
Atlantis for a World Empire" e del Partito Mondialista siamo certi che alla fine
Israele vincerà. Vincerà contro i missili di Hamas, contro i kamikaze di Al Qaeda,
contro i pacifinti strabici e contro l'ONU ipocrita. Vincerà anche per tutti quei milioni
di musulmani che sono stanchi di vivere sotto la cappa di piombo di regimi
intolleranti e crudeli, per tutti quei musulmani che vogliono vivere anch'essi la loro
fede distinguendo fra ciò che si deve a Dio e ciò che si deve a Cesare. Vincerà e
restituirà all'Occidente la pace, la sicurezza, la serena coscienza della sua grandezza,
della sua missione di liberazione per tutto il genere umano. Perché, come dice il
Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, «la salvezza viene dai Giudei».
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CHI BRUCIA IL CORANO È "PAZZO".
E CHI UCCIDE IN NOME DEL CORANO?
(11/9/2010) In questi giorni il reverendo americano Terry Jones, che aveva
annunciato di voler bruciare 200 copie del Corano per commemorare le 3.000 vittime
degli attentati che hanno distrutto le Torri Gemelle e ferito il Pentagono e per
protestare contro l'attacco del fondamentalismo islamico contro l'Occidente, è stato
oggetto di una serie di attacchi concentrici per costringerlo a desistere: il
criptomusulmano Barack Hussein Obama gli ha gettato addosso la colpa di tutte le
morti di soldati americani che dovessero avvenire d'ora in poi in Afghanistan (come
se i talebani avessero bisogno di qualche Corano bruciato per farsi esplodere contro le
pattuglie di marines), il Vaticano ha deplorato la «profanazione di un libro sacro» e
paragonato il reverendo Jones ai nazisti che bruciarono il Talmud (sic!), tutti i media
mondiali lo hanno bollato come un pazzo esaltato, un fanatico, un uomo assetato di
potere e dsideroso di mettersi in mostra. Alla fine, dopo aver ricevuto la "visita" di
due agenti dell'Fbi, il povero Jones è stato costretto a fare marcia indietro. Ora noi
mondialisti vogliamo chiederci e chiedervi: se chi brucia il Corano è pazzo, chi
uccide in nome del Corano che cos'è?
I 19 kamikaze che hanno dirottato i quattro aerei dell'11 settembre, non erano
forse tutti islamici, cioè seguaci del Corano che dice: «Instillerò il mio terrore nel
cuore degli infedeli; colpiteli sul collo e recidete loro la punta delle dita... I
miscredenti avranno il castigo del Fuoco!... Non siete certo voi che li avete uccisi: è
Allah che li ha uccisi»?
Gli ayatollah iraniani che vogliono lapidare Sakineh e altre centinaia di donne,
non giustificano la loro volontà omicida citando il Corano che dice: «Flagellate la
fornicatrice e il fornicatore, ciascuno con cento colpi di frusta e non vi impietosite
[nell'applicazione] della Religione di Allah, se credete in Lui e nell'Ultimo Giorno»?
I talebani che hanno buttato giù con la dinamite i Buddha giganti di Bamiyan,
non erano forse fanatici adoratori del Corano che dice: «Ben presto getteremo lo
sgomento nei cuori dei miscredenti, perché hanno associato ad Allah esseri ai quali
Egli non ha dato autorità alcuna. Il Fuoco sarà il loro rifugio. Sarà atroce l’asilo degli
empi»?
Il folle Ahmadinejad non vuol forse cancellare Israele dalle carte geografiche
perché Maometto ha scritto nel Corano: «L'ultimo giorno non verrà finché tutti i
musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno e
fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra e
l'albero diranno: 'O musulmano, o servo di Allah, c'è un ebreo nascosto dietro di me,
vieni e uccidilo'»?
Il rifiuto da parte degli islamici di integrarsi nelle società dei Paesi che pure li
accolgono e dànno loro casa e lavoro, non è forse dovuto al fatto che nel Corano è
scritto: «I credenti non si alleino con i miscredenti, preferendoli ai fedeli. Chi fa ciò
contraddice la religione di Allah, a meno che temiate qualche male da parte loro»? E
ancora, non è forse scritto nel Corano: «Vorrebbero che foste miscredenti come lo
sono loro e allora sareste tutti uguali. Non sceglietevi amici tra loro, finché non
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emigrano per la causa di Allah. Ma se vi volgono le spalle, allora afferrateli e
uccideteli ovunque li troviate. Non sceglietevi tra loro né amici né alleati»?
Coloro che massacrano i cristiani in Afghanistan, Pakistan, Iraq, Egitto, Algeria
e Indonesia non sono forse tutti musulmani fanatici adoratori del Corano che dice:
«Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori [i politeisti, cioè secondo loro - i Cristiani] ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro
agguati. Se poi si pentono, eseguono l’orazione e pagano la decima, lasciateli andare
per la loro strada»? E ancora, non è forse scritto nel Corano: «La ricompensa di
coloro che fanno la guerra ad Allah e al Suo Messaggero e che seminano la
corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e
la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l’ignominia che li
toccherà in questa vita; nell’altra vita avranno castigo immenso, eccetto quelli che si
pentono prima di cadere nelle vostre mani. Sappiate, Allah è perdonatore,
misericordioso»?
La guerra scatenata contro l'America, contro l'Occidente e contro tutti i nonmusulmani dai terroristi fondamentalisti islamici non si fonda forse sul fatto che nel
Corano è scritto: «Preparate, contro di loro [i miscredenti], tutte le forze che potrete
[raccogliere] e i cavalli addestrati per terrorizzare il nemico di Allah e il vostro e altri
ancora che voi non conoscete, ma che Allah conosce. Tutto quello che spenderete per
la causa di Allah vi sarà restituito e non sarete danneggiati»? E ancora, non è forse
scritto nel Corano: «In verità, coloro che avranno rifiutato la fede ai nostri segni li
faremo ardere in un fuoco e non appena la loro pelle sarà cotta dalla fiamma la
cambieremo in altra pelle, a che meglio gustino il tormento, perché Allah è potente e
saggio»? E la solidarietà che tutti i musulmani del pianeta manifestano costantemente
per i terroristi, aiutandoli col denaro e col loro omertoso silenzio, non si fonda forse
sul fatto che nel Corano è scritto: «Non sono eguali i credenti che rimangono nelle
loro case (eccetto coloro che sono malati) e coloro che lottano con la loro vita e i loro
beni per la causa di Allah. A questi Allah ha dato eccellenza su coloro che rimangono
nelle loro case e una ricompensa immensa»?
È dunque tempo che gli uomini e le donne dell'Occidente la smettano di
autoflagellarsi con i sensi di colpa per gli attentati e i massacri che i fondamentalisti
islamici compiono ogni giorno contro di essi, come se gli islamici dovessero avere
per forza qualche "buona" ragione per avercela con noi, mentre noi non ne avremmo
alcuna per tentare almeno di difenderci. I pacifinti sinistri e terzomondisti accusano
l'Occidente per il colonialismo e dicono ai terrorizzati occidentali: «È per il vostro
colonialismo che l'Islam ce l'ha con voi». Stolti! Quale colpa storica dovevano
scontare gli Indiani per subire gli attentati di Mumbai del 2008? Forse gli Indiani
hanno mai colonizzato terre islamiche? E i Balinesi, quale colpa dovevano scontare
per subire gli attentati del 2002? Quando mai Bali è stata terra islamica? E i cristiani
che vengono perseguitati da Casablanca a Giakarta, costringendoli a convertirsi a
forza all'Islam o a subire atroce morte, i cristiani che né il Papa né il Tettamanzi
costruttore-di-moschee si azzardano a difendere, sono forse anch'essi dei
colonizzatori? O non sono forse eredi dei cristiani che abitavano quelle terre secoli
prima della nascita di Maometto?
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La verità, la dura verità che l'Occidente politicamente corretto non vuole
accettare, è che gli islamici non ci odiano per quello che facciamo o abbiamo fatto
contro di loro; ci odiano semplicemente perché non siamo e non vogliamo essere
islamici, perché siamo e vogliamo essere cristiani, ebrei, induisti, ba'ahi, animisti o
atei. La verità è che i musulmani odiano tutto ciò che è diverso da loro. Quando
l'Occidente comprenderà questa dura ma innegabile verità, sarà capace di fare l'unica
cosa giusta: smetterla di difendersi passivamente dagli attacchi che subisce giorno
dopo giorno e portare la guerra in casa del nemico, combattere il fondamentalismo
islamico nelle sue roccaforti, nei suoi santuari, fino ad abbattere tutti i regimi tirannici
che si fondano sul Corano e ridurre i Paesi islamici a colonie di un unico Impero
mondiale, che si occupi di deislamizzare le menti e i cuori degli uomini e delle donne
e di affermare il sacro principio dell'uguale dignità e libertà di ogni individuo umano,
al di là della sua religione, del suo sesso e della sua etnia. Solo allora il mondo
conoscerà la vera pace, quella che si fonda non sull'acquiescenza al male, ma sul
primato della persona umana, creata a immagine di Dio, rispetto ad ogni comunità di
appartenenza. Per questo scopo noi mondialisti lottiamo e lotteremo sempre, nella
certezza che questa è la meta finale e inevitabile dell'umanità.
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L'ISLAM È NEMICO DEL GENERE UMANO. FERMIAMOLO!
(21/12/2010) L'attentato recentemente compiuto a Stoccolma da un terrorista
musulmano che, grazie a Dio, è stato l'unica vittima della sua infamia - che il suo
nome venga cancellato per sempre - ha riproposto per l'ennesima volta alla pigra e
imbelle opinione pubblica europea il problema fondamentale della nostra epoca:
l'esistenza di decine di migliaia di seguaci del falso dio Allah e del suo falso profeta
Maometto pronti a farsi saltare in aria con giubbotti, cinture o zainetti pieni di
esplosivo e di chiodi acuminati nel mezzo di strade e piazze affollate da uomini,
donne e bambini innocenti, all'interno di centri commerciali e stazioni della
metropolitana o ferroviarie o aeroporti, allo scopo di uccidere il maggior numero
possibile di "infedeli" - cioè di cristiani, ebrei, indù o atei -, di seminare il terrore e di
demoralizzare l'Occidente per costringerlo a sottomettersi in massa all'Islam e
instaurare in tutto il mondo regimi basati sulla Sharia (la legge coranica). Temiamo
che purtroppo, dopo aver innalzato il livello di allerta durante le imminenti feste
natalizie, governi e popoli d'Europa torneranno a far finta che questo problema non
esista, esattamente come hanno fatto meno d'un mese fa quando il ramo yemenita di
Al Qaeda spedì in Gran Bretagna, Germania e negli Stati Uniti d'America cartucce
per stampanti laser imbottite di esplosivo, vantandosi poi di aver paralizzato il
traffico aereo commerciale del pianeta con la modica spesa di 4000 dollari: anche
allora ci furono retate, arresti, intensificazione delle misure di sicurezza per una
settimana, poi l'umanità ricadde nella solita, ingenua illusione che il terrorismo
islamico fosse roba di pochi fanatici isolati. Non è così.
Purtroppo non è così. Purtroppo l'Islam è una massa di un miliardo di individui
abituati da 1400 anni a considerare se stessi come gli unici veri uomini graditi a Dio,
e a trattare tutto il resto del genere umano come animali cui è lecito, anzi doveroso
fare tutto il male possibile e immaginabile: mentire, ingannare, rubare, fare guerra,
rapire donne e bambini per violentarli, bastonarli, frustarli, mozzare naso e orecchie,
spezzare la spina dorsale, arderli vivi. Purtroppo gli islamici sono individui cui imam
pagati dalla casa reale saudita con i proventi del petrolio venduto a caro prezzo a noi
occidentali fanno ogni giorno il lavaggio del cervello con sermoni, teleromanzi e
persino cartoni animati per insegnar loro sin dall'infanzia a odiare l'Occidente, il
«Grande Satana» americano e il «piccolo Satana» israeliano, a chiamare gli ebrei
"porci" e i cristiani "scimmie" e a desiderare il loro sterminio. Le atrocità compiute
dai nazisti, la "soluzione finale" progettata da Hitler, il Reich millenario della razza
ariana sono bazzecole davanti alla ferocia dei musulmani che obbediscono
ciecamente a regimi nazisteggianti, che promettono di completare l'Olocausto del
popolo ebraico e tramano ogni giorno per costruire un Califfato Mondiale che
costringa tutta l'umanità a scegliere se convertirsi in massa all'Islam o morire.
Non è possibile separare, come s'illudono i pacifinti della sinistra internazionale,
i musulmani "fondamentalisti" dai cosiddetti musulmani "moderati", perché tutti i
musulmani, anche quelli che non combattono a tempo pieno in Afghanistan e Iraq
contro le forze della coalizione guidata dagli Stati Uniti d'America - ma ci sono anche
terroristi islamici "a mezzo servizio", che si uniscono ai talebani per tre o quattro
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mesi l'anno e poi tornano a Londra, Parigi, Berlino o Roma come se niente fosse -,
mettono i loro risparmi, i proventi di lavori apparentemente normali a disposizione di
banche e organizzazioni fintamente "filantropiche" che utilizzano questa ingente
massa di denaro per comprare dalla Russia, dalla Cina comunista e dalla Corea del
Nord esplosivi, bombe, missili a lungo raggio e armi chimiche, batteriologiche e
nucleari da utilizzare contro il mondo libero. Non è possibile neppure fare patti o
scendere a compromessi con chi si professa musulmano, perché il Corano insegna a
questi individui che ogni azione, anche la più riprorevole, è santa e benedetta se
compiuta per arrecare danno a un "infedele" e aumentare la gloria dell'Islam; perciò
qualunque promessa un musulmano faccia a un cristiano, un ebreo, un indù o un ateo,
quel musulmano sarà sempre sicuro di trovare dieci, cento, mille imam disposti a
benedire la rottura di quella promessa; qualunque menzogna un musulmano pronunci
nei suoi discorsi a un non musulmano troverà sempre comprensione e addirittura
approvazione presso la comunità musulmana mondiale, se quella menzogna sarà
servita a uccidere dei non musulmani e a favorire l'espansione planetaria della
barbarie islamica.
In conclusione, l'Islam non è disposto a venire a patti con nesun'altra religione o
cultura, non vuole convivere con nessun altro diverso da esso se non finché lo ritenga
necessario per armarsi meglio e prepararsi ad assalirlo a tradimento. L'ISLAM È
NEMICO DELL'INTERO GENERE UMANO. Per questo noi mondialisti
auspichiamo che cristiani, ebrei, indù e atei dell'intero Occidente si uniscano in una
grande alleanza per combattere senza quartiere l'Islam barbaro e bugiardo in ogni
parte del mondo, dalle nostre metropoli ai più remoti villaggi del Pakistan e
dell'Afghanistan, dalle organizzazioni "filantropiche" saudite alle banche iraniane
gestite dai pasdaran, dalle quinte colonne no-global e ciecopacifiste agli Staticanaglia che armano e proteggono i terroristi. La guerra all'Islam, ai suoi complici e
ai suoi utili idioti sarà lunga e difficile, costerà all'Occidente lacrime e sangue; ma
alla fine la bandiera verde dell'Islam sarà gettata nella polvere come è stato per la
svastica e la falce-e-martello, e il genere umano, unito in un solo Impero mondiale
federale e liberaldemocratico, conoscerà finalmente pace, prosperità, libertà e
giustizia per tutti.
Per questo noi del Partito Mondialista e dell'Associazione Internazionale "New
Atlantis for a World Empire" auguriamo a tutta l'umanità un buon Natale, nonostante
le persecuzioni contro i cristiani in tutto il Medio Oriente, nonostante l'avanzata in
Europa dell'empia alleanza Islam-Sinistra-noglobal, nonostante l'America sia schiava
del filoislamico Obama e a Israele sia impedito di difendersi contro la minaccia
nucleare iraniana: perché la prima venuta nel mondo del Signore Gesù Cristo, Figlio
di Dio, ci ricorda che il male non prevarrà, e che non i musulmani bugiardi e
violentatori di bambine, ma i giusti erediteranno la terra. Anche l'annuncio da parte
della Santa Sede che il Papa lancerà il giorno di Capodanno del 2011 un appello al
mondo per fermare le violenze e le persecuzioni commesse dai seguaci di Allah e
Maometto contro i cristiani è per noi un segno consolante: finalmente anche la
Chiesa, dopo anni di "dialogo" a senso unico e di "tolleranza" ripagata con
persecuzioni e minacce di morte, si sta rendendo conto del pericolo mortale
70
rappresentato dall'Islam non solo per libertà e democrazia, ma anche per la stessa
continuità della fede cristiana; e quando anche il popolo americano avrà compreso
l'inganno in cui è caduto eleggendo il filoislamico Obama e lo avrà gettato nella
polvere dandosi un Comandante in capo degno di questo nome, la sacrosanta alleanza
tra Roma e Washington guiderà l'Occidente alla liberazione dell'intero genere umano.
Per questo, a tutti gli uomini amanti della pace, della vera pace che è fondata sulla
giustizia e sul rispetto degli immortali diritti di ogni uomo alla vita, alla libertà e alla
ricerca della felicità, buon Natale.
71
FERMARE L'ISLAM PER SALVARE ANCHE GLI ISLAMICI
(22/12/2010) Come avevamo previsto, il nostro ultimo editoriale "L'Islam è
nemico del genere umano. Fermiamolo!" ha suscitato un vespaio di polemiche tra gli
internauti: centinaia di messaggi sono arrivati alla nostra casella e-mail
[email protected] solo nelle prime due ore seguenti alla pubblicazione, e molti di
essi venivano da quanti non a torto abbiamo chiamato "pacifinti della Sinistra" i quali
ci domandavano scandalizzati "Ma voi mondialisti volete sterminare tutti i
musulmani?". Ci sembra dunque opportuno, per rispondere a tanto scandalo,
completare e precisare il discorso iniziato ieri con quell'editoriale.
In primo luogo noi mondialisti abbiamo un sacro rispetto per ogni essere umano,
in quanto creato dal Dio Altissimo, Signore del cielo e della terra, a Sua immagine;
ma rispettiamo appunto ogni essere umano in quanto individuo, non in quanto
membro di questo o quel gruppo, partito, razza o religione. Dall'alba dei tempi i
gruppi nascono, si espandono, raggiungono un apice di potenza e ricchezza, poi
declinano, si riducono, scompaiono e vengono sostituiti da altri gruppi: nel 539 a.C.
l'esercito di Ciro il Grande sbaragliò le armate assiro-babilonesi e fondò il primo
impero multietnico della Storia, ma trecento anni dopo quel grande impero fu
distrutto da Alessandro Magno che ne fondò uno ancor più esteso, e questo a sua
volta fu abbattuto dalla nuova potenza di Roma; duemila anni fa le religioni politeiste
di Greci e Romani furono sostituite da una nuova religione partita da una oscura
provincia dell'Impero Romano; così è stato per i secoli seguenti e così sarà finché
esisterà l'uomo. Nessun gruppo, nessuna razza, nessuna cultura, nessun regno,
nessuna religione - neppure quella cristiana - può vantare una garanzia di eternità;
pertanto noi mondialisti non feticizziamo nessun gruppo particolare, e abbiamo a
cuore soltanto due cose: l'individuo, ogni individuo con i suoi diritti immortali e
inalienabili alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità, e l'intera specie umana.
Di conseguenza noi mondialisti non vediamo nulla di scandaloso, in linea di
principio, nell'idea che una religione come quella islamica possa scomparire dalla
faccia della Terra: non sono forse scomparse le civiltà dell'Egitto e della
Mesopotamia, Aztechi e Incas? Ciò che è importante per noi non è il fatto che una
civiltà, una cultura o una religione scompaiano, ma il motivo per cui scompaiono:
Aztechi e Incas praticavano feroci sacrifici umani e conducevano continue guerre
contro i loro vicini per procurarsi prigionieri a cui strappare il cuore per offrirlo ai
loro falsi déi, e furono proprio quei vicini esasperati dalle continue vessazioni a
fornire aiuto ai conquistadores per debellare quegli imperi del male; se dunque
l'Islam è una falsa religione che predica violenza e odio contro tutti i non islamici e
persino contro gli islamici "tiepidi", che semina morte e distruzione su tutto il
pianeta, non sarebbe forse cosa buona e giusta combatterla e distruggerla come
religione, cioè come gruppo?
Distruggere un gruppo in quanto gruppo, beninteso, non significa sterminarne
tutti i membri, e neppure la maggior parte: la distruzione degli imperi incaico e azteco
non significò affatto lo sterminio delle popolazioni indigene, ma solo la loro
sottoposizione a un diverso potere statale e la "riprogrammazione" dei loro cervelli, e
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di quelli dei loro discendenti, con una nuova religione e una nuova cultura che
consideravano i sacrifici umani e la schiavitù non più cosa buona e giusta, bensì un
abominio. Allo stesso modo, ciò che noi mondialisti prepariamo e auspichiamo non è
lo sterminio di tutti i musulmani, e neppure della maggior parte di essi: ciò che
vogliamo è la distruzione dell'Islam in quanto gruppo, in quanto cultura, in quanto
falsa religione di odio e di morte, e la "riprogrammazione" dei cervelli musulmani
con una nuova cultura che annulli il lavaggio del cervello praticato dagli imam al
servizio dei reali sauditi o degli ayatollah iraniani e li trasformi da potenziali
attentatori suicidi in persone normali che vogliano lavorare onestamente, crearsi una
famiglia e vivere rispettando il diritto delle loro figlie a non essere mutilate e date in
spose contro la loro volontà, il diritto delle loro mogli a non essere umiliate dalla
poligamia e dal ripudio, il diritto dei loro vicini a professare una fede diversa dalla
loro, gli immortali e inalienabili diritti di ogni essere umano, musulmano o non
musulmano, alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità.
Se poi, per garantire la sicurezza del genere umano contro la minaccia di
attentati con esplosivi convenzionali o, Dio non voglia, con armi chimiche,
batteriologiche e nucleari, si rendesse necessario uccidere dei terroristi islamici,
questo per noi non è motivo di scandalo, perché un abisso separa l'uomo buono
dall'uomo malvagio, e come dice il Filosofo, se l'uomo buono è superiore agli déi,
l'uomo malvagio è inferiore alle bestie, e quindi uccidere un terrorista è come
uccidere una bestia ripugnante e pericolosa; se poi i terroristi islamici fossero dieci,
cento, mille o un milione, allora sarebbe cosa buona e giusta, per garantire la
sicurezza del genere umano, uccidere dieci, cento, mille o un milione di islamici, non
in quanto islamici, ma in quanto terroristi. Ma poiché gli islamici che si dedicano al
terrorismo non sono un milione, il caso che abbiamo esposto è puramente ipotetico, e
i pacifinti della Sinistra che volessero prenderlo a pretesto per accusarci di voler
sterminare tutti gli islamici in quanto islamici farebbero un buco nell'acqua.
Per gli islamici che non si dedichino al terrorismo, siano essi la maggior parte o
una minoranza di tutti i musulmani, l'uccisione non è per noi affatto necessaria:
sarebbe sufficiente controllare i flussi internazionali di denaro impedendo loro di
finanziare banche "islamicamente corrette" e associazioni fintamente "filantropiche"
che in realtà raccolgono miliardi di dollari per finanziare il terrorismo islamico,
impedire loro di costruire in Occidente moschee per diffondere i loro sermoni di
incitamento all'odio e alla violenza, e soprattutto avviare una vasta e capillare opera
di "rieducazione" attraverso scuole, giornali, televisioni e Internet, al fine di annullare
il lavaggio del cervello subìto sin dall'infanzia da parte degli imam seminatori di
menzogna e di odio e "riprogrammarli" al rispetto del diritto di ogni essere umano
alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Anche per questo nobile scopo noi
mondialisti lavoriamo: per liberare gli islamici dalla schiavitù di una falsa religione
che predica odio, violenza e morte e restituirli al genere umano come persone normali
che vogliano vivere in pace come tutti e con tutti, cittadini di un Impero mondiale che
assicuri a ogni essere umano, qualunque sia il gruppo a cui appartiene, pace,
prosperità, libertà e giustizia.
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DAL MAROCCO ALLO YEMEN I POPOLI LOTTANO
PER LIBERTÀ E DEMOCRAZIA
(28/1/2011) Trentasei giorni sono passati dall'ultimo nostro editoriale, non
perché non avessimo nulla da dire sui tragici avvenimenti che si svolgevano nel
mondo - primo fra tutti il barbaro e vile attentato compiuto dai terroristi islamici
contro la Chiesa dei Santi di Alessandria d'Egitto - ma perché noi mondialisti
preferiamo fare la Storia prima di scriverla. Oggi, dopo un lungo tour che ha
impegnato in prima persona il Chief Director dell'Associazione Internazionale "New
Atlantis for a World Empire" Andrea Zuckerman e gran parte del Comitato Direttivo
del Partito Mondialista da Rabat ad Algeri, da Tunisi a Tripoli e Il Cairo, da Ankara a
Damasco e da Beirut a Sanaa, possiamo annunciare il successo della nostra
operazione "Snow on the Sahara": indignati dalla ingiusta morte di tre giovani che si
erano dati fuoco per protestare contro la mancanza di libertà e democrazia, centinaia
di migliaia di tunisini sono scesi nelle strade e nelle piazze, hanno affrontato a mani
nude la polizia, che dopo breve resistenza ha solidarizzato con i rivoltosi, e hanno
costretto a una precipitosa fuga il tiranno Ben Ali che aveva dominato il Paese per 23
anni con l'appoggio della Francia e dell'Italia craxian-berlusconiana.
Dalla Tunisia il fuoco della rivolta si è ben presto esteso all'Algeria; poi al
Marocco, dove si è sommato alla protesta contro la corruzione dominante nelle
istituzioni; alla Libia, dove il dittatore Gheddafi sta tentando a fatica di reprimere i
tumulti ostentando sorrisi verso la "rivoluzione del popolo tunisino"; all'Egitto, dove i
copti stanchi di essere perseguitati, violentati e massacrati si sono uniti ai giovani
musulmani occidentalizzati e all'opposizione liberale ansiosa di disfarsi del "faraone"
Mubarak; alla Siria, dove il tiranno e figlio di tiranno Bashar Assad ha
prudenzialmente oscurato Facebook per bloccare - invano - le comunicazioni fra i
ribelli; in Libano, dove la popolazione si sta sollevando contro la cricca del falso
cristiano presidente Suleiman e contro la sua decisione di affidare la guida del
governo ai fanatici di Hezbollah uccisori del grande premier Rafik Hariri; e perfino
nello Yemen, dove il popolo è sceso nelle piazze per chiedere la fine del trentennale
regime di Abdallah Saleh. Manca soltanto la Turchia, dove però l'esercito e i ceti più
colti e illuminati da anni si oppongono ai tentativi di Recep Tayyp Erdogan di
instaurare la sharia e allontanare il Paese dall'Europa e dagli Stati Uniti d'America,
per cui non è detto che anche da Ankara non giungano buone notizie nelle prossime
settimane. In poche parole, su tutto il Maghreb e il Medio Oriente si è abbattuta una
nevicata di proteste contro regimi corrotti e tirannici che da decenni tenevano il trono
col sangue e la truffa, e soffia un vento gagliardo - il vento dello Spirito - che grida
per mille bocche due sole parole: «Libertà» e «Democrazia».
L'operazione "Snow on the Sahara" costituisce la logica prosecuzione del
progetto iniziato da noi mondialisti nel XIX secolo per condurre il mondo islamico ad
accettare i princìpi e valori universali, ma portati alla consapevolezza razionale dal
Cristianesimo che è l'anima dell'Occidente, della distinzione tra sacro e profano
secondo la parola del Signore Gesù Cristo «Rendete a Cesare quel che è di Cesare, e
a Dio quel che è di Dio», dell'uguale dignità di ogni individuo umano al di là del suo
74
sesso, della sua razza e della sua cultura di origine, e dell'uguale diritto di tutti gli
uomini e le donne alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità; un processo di
occidentalizzazione che necessariamente, a causa dell'ipertrofico complesso di
superiorità dei muslims nei confronti degli "infedeli" e soprattutto dei nasrani (cioè
dei cristiani), doveva sopportare, almeno nelle prime fasi, di svolgersi secondo
modalità "autoctone". Abbiamo iniziato coltivando i Giovani Turchi, che hanno
avvicinato il morente impero ottomano all'Europa e particolarmente - lo avevamo
previsto - all'autoritaria e illiberale Germania di Bismarck; ma il loro dominio si è
contaminato con un nazionalismo cieco fino all'atroce genocidio degli Armeni, così
abbiamo scelto dalla loro cricca uno degli elementi meno compromessi, un ufficiale
di nome Mustafa Kemal. Lo abbiamo iniziato nella nostra loggia di Salonicco
"Machedonia resorta et Veritas" insegnandogli tutto quel che gli era possibile
recepire circa la superiorità civile e morale dell'Occidente, gli abbiamo dato potere e
autorità per abbattere il califfato, togliere l'Islam come religione di Stato, strappare il
velo della vergogna dalla faccia delle donne, proclamare la laicità della nuova
Turchia e indirizzarla sulla strada virtuosa della neutralità nel grande conflitto fra le
democrazie e il nazifascismo e dell'alleanza postbellica con Washington. Di fronte a
questi ragguardevoli risultati anche la guerra con la Grecia, lo scambio coatto di
1.400.000 ellenici d'Anatolia con 600.000 turchi europei, la compressione della
libertà d'espressione e l'omertà sul genocidio armeno sono stati per noi e per tutto il
genere umano, come usano dire i Sioux, un "buono scambio"; di certo il migliore
possibile nelle condizioni date (così come fu un buon affare per l'umanità, nello
stesso periodo, il "Progetto Meiji" con cui spingemmo il sedicenne Mutsuhito ad
abolire il feudalesimo e ad aprire il Giappone all'Occidente, pur con gli inevitabili
strascichi nazionalistici e bellicisti).
Ma ora, grazie a Internet e ai social networks, i giovani islamici, dalle spiagge
atlantiche fino all'Indonesia, possono confrontare le proprie vite oppresse dal
conformismo e dalla menzogna con la libertà e l'apertura mentale di cui godono i loro
coetanei di New York, Londra o Tokio; possono acquisire coscienza della falsità
irredimibile del fanatismo islamico rispetto alla verità luminosa del Cristianesimo che
annuncia la pace fra Cielo e terra e abbatte i muri di separazione fra gli uomini e i
popoli; possono constatare come la chiamata alla lotta contro il "Grande Satana"
americano e contro l'"entità sionista" sia solo lo spauracchio consunto dietro cui
regimi corrotti nascondono lo status quo; possono organizzarsi per lottare contro i
satrapi laici e teocratici al potere da decenni che si spartiscono le immense ricchezze
dei loro Paesi mantenendo le masse nella povertà e nell'ignoranza. La morte di Neda
Agha-Soltan e di tanti altri giovani iraniani negli ultimi due anni non è dunque stata
vana: dal sangue dei martiri dell'Onda Verde è germinato il seme dell'attuale
rivoluzione che porterà il mondo islamico ad abbracciare i diritti immortali e
inalienabili dell'uomo annunciati dall'Occidente greco-romano ed ebraico-cristiano;
una nuova, ulteriore tappa del cammino iniziato 700 anni fa dai nostri padri Templari
verso la creazione di un Impero mondiale che abbatta ogni frontiera tra gli uomini,
abolisca ogni discriminazione di sesso, razza e religione, e assicuri finalmente pace,
prosperità, libertà e giustizia per tutti.
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DICHIARAZIONE DI SOSTEGNO AL POPOLO LIBICO IN LOTTA
PER LIBERTÀ E DEMOCRAZIA
(26/2/2011) Il Partito Mondialista sostiene l'eroica lotta del popolo libico contro
il tiranno assassino Muhammar Gheddafi;
deplora, condanna e rigetta l'ipocrisia del governo filotirannico d'Italietta e di
tutte le cancellerie d'Occidente che per 42 anni hanno tollerato l'infame persecuzione
e repressione del popolo libico in nome di meschini interessi affaristici, e che da
giorni assistono inerti al massacro di tanti uomini, donne, anziani e bambini innocenti
da parte di mercenari e squadroni della morte provenienti dall'Africa subsahariana e
anche dall'Europa;
respinge come propaganda ridicola e ipocrita lo spauracchio del
fondamentalismo islamico e della creazione di un sedicente emirato di Al Qaeda
agitato dal regime di Gheddafi davanti agli occhi di un Occidente pavido e interessato
solo agli affari con i peggiori tiranni del pianeta;
esorta l'America a liberarsi dalla cappa di viltà impostale dall'imbelle Obama e a
porsi alla testa di un grande esercito di liberazione del popolo libico dalla tirannia
dell'assassino Gheddafi;
e invoca il Dio Altissimo Uno e Trino, Signore del cielo e della terra, nelle cui
mani sono le vite e i destini degli uomini e dei popoli, e la Santa Vergine Maria,
Regina delle Vittorie, che nel giorno della sua apparizione a Lourdes ha donato al
popolo d'Egitto la liberazione dal tiranno Mubarak, di mostrarsi benigni anche con il
popolo di Libia e liberarlo con mano possente e braccio teso dal tiranno Gheddafi,
affinché dopo essere stato martoriato da 42 anni di feroce dittatura di terrore, miseria
e morte possa camminare sulla strada, che ha già intrapreso di sua scelta, della libertà
e della democrazia.
Andrea Zuckerman
Chief Director
International Society
"New Atlantis for a World Empire"
CEO Partito Mondialista
in unione con il Comitato Direttivo
e con tutti gli associati
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TRIPOLI LIBERATA DAL TIRANNO. PROSSIMA TAPPA: DAMASCO!
(28/8/2011) La città di Tripoli, capitale della Libia, festeggia ormai da giorni la
liberazione dall'infame regime del colonnello Gheddafi: le ultime sacche di resistenza
dei mercenari vengono demolite in una strenua lotta casa per casa, i prigionieri
politici che gli sgherri del rais non hanno fatto in tempo a massacrare e bruciare
vengono liberati dalle carceri, il dittatore e i suoi figli sono in fuga. Forse potranno
rifugiarsi ancora per qualche mese in un cunicolo sotterraneo come topi, come
mafiosi siciliani, come vermi che temono la luce del sole; o forse scapperanno in
Algeria, paese illiberale proprio come era la Libia, o in Venezuela dal suo compagno
di massacri Chavez, o alla corte di qualche tirannello africano o asiatico, ma non
importa: anche Annibale, dopo aver dato tanto filo da torcere a Roma ed aver vagato
di regno in regno, alla fine restò senza protettori e non poté far altro che suicidarsi.
Oggi l'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il
Partito Mondialista, suo ramo esecutivo, festeggiano per la caduta di un'altra tessera
del domino mediorientale. Quando, alla fine del 2010, demmo inizio all'operazione
"Snow on the Sahara", alcuni dei nostri dubitavano che si potesse andare oltre
qualche manifestazione di massa repressa nel sangue e qualche timida riforma; il
progetto delineato dal nostro Direttore Generale Andrea Zuckerman - provocare il
crollo, uno dopo l'altro, di tutti i regimi tirannici dal Marocco all'Iran mediante lo
scatenamento di proteste e sollevazioni popolari appoggiate da interventi militari
esterni - sembrava troppo audace anche a quanti di noi avevano studiato a memoria i
piani analoghi messi in atto dai nostri predecessori prima nel Giappone di metà '800 e
poi in Turchia con la vittoriosa rivoluzione di Mustafa Kemal Ataturk. Ebbene, oggi
possiamo dire che le previsioni del nostro Chief Director si stanno realizzando sotto i
nostri occhi, giorno dopo giorno: dopo l'esilio di Ben Alì, dopo la deposizione di
Mubarak, adesso tocca a Muammar Gheddafi, dopo 42 anni, lasciare il suo trono
grondante di sangue; il sangue dei passeggeri degli aerei da lui fatti esplodere o
dirottati, il sangue dei soldati americani che morirono nella discoteca "La Belle" di
Berlino Ovest per una bomba collocata dai suoi sicari, il sangue degli oppositori
assassinati nelle strade di Roma con la tacita complicità degli imbelli Italiani (quegli
stessi Italiani che avevano favorito la sua ascesa al potere), il sangue degli abitanti del
Ciad cui fece guerra per esportare la sua abietta "rivoluzione verde". Tutto questo
sangue ora grida dalla terra vendetta al Giudice delle anime e dei corpi, e certamente
quel grido non resterà inascoltato.
Oggi noi mondialisti festeggiamo la caduta di un altro regime nemico di Libertà
e Democrazia, e ridiamo: ridiamo del patetico primo ministro italiano Berlusconi che
a Parigi aveva annunciato l'inizio dei bombardamenti francesi sulle truppe
gheddafiane in marcia verso Bengasi con la faccia afflitta di chi ha appena perduto un
amico fraterno; ridiamo dei Belpietro, dei Feltri, dei Sallusti, dei Ferrara, di tutti gli
alfieri dell'Occidente a corrente alternata, di tutti quelli che "la guerra a Saddam va
bene, quella a Gheddafi no perché ci dà il petrolio e ci toglie dai piedi i clandestini";
ridiamo dei Sergio Romano, di tutti quelli che paventano un emirato islamico sulla
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"quarta sponda", di tutti i corsivisti di "Corriere", "Giornale" e affini che raccontano
compunti delle "fucilazioni in piazza" e di come "la gente inizia a rimpiangere
Gheddafi", di tutti i pappagalli del "si stava meglio quando si stava peggio" e del
"quando c'era lui, caro lei..."; ridiamo di tutti i no-global, complottisti e gli eurasisti
che strepitano contro l'«assalto delle demoplutocrazie giudaico-massoniche atlantiste
al cuore dell'Eurasia». Noi ridiamo di tutti questi nostalgici del fascismo e del
nazismo che si inginocchiano davanti a ogni esibizione di forza bruta, ridiamo di
questi ruderi di un passato di genocidi i quali, come il guerriero di un famoso poema,
"del colpo non accorti/ancor combattono e son morti". Ridiamo perché, come ha
insegnato il grande epistemologo Thomas Kuhn, le rivoluzioni, tanto nelle scienze
quanto nella politica e nella società, si compiono quando i difensori del vecchio modo
di pensare si estinguono per motivi anagrafici e vengono sostituiti da giovani che
impongono un pensiero nuovo, una politica nuova, una società nuova. Oggi tutto
questo sta avvenendo nel mondo islamico, e noi non possiamo che esserne felici. Il
vecchio mondo arabo delle dittature nazislamiche e delle monarchie oscurantiste sta
crollando pezzo dopo pezzo; quello che verrà, tra le inevitabili cadute e riprese, sarà
un autentico progresso per centinaia di milioni di esseri umani ai quali finora era stato
raccontato che Israele e l'America erano la causa dei loro problemi, della loro
povertà, della loro arretratezza spirituale, e che adesso hanno deciso di farla finita con
le menzogne e di prendere in mano il loro destino.
L'operazione "Snow on the Sahara" proseguirà: in Siria sono ormai 3.000 i morti
a causa della brutale repressione portata avanti dal vile Assad con l'aiuto dei suoi
padrini di Teheran. La Siria ormai può contare solo sul folle Ahmadinejad; per il
resto ha tutto il mondo contro, l'Unione Europea, gli Stati Uniti d'America, l'Onu,
perfino la Turchia e gli altri paesi arabi si vergognano di essere accostati ad Assad. Il
crollo del regime siriano priverebbe l'Iran di uno sbocco strategico sul Mediterraneo,
libererebbe Israele dalla tenaglia di Hezbollah e Hamas, e porrebbe le basi per una
ripresa dell'Onda Verde al fine di abbattere finalmente il crudele regime degli
ayatollah. Avanti tutta, dunque: prossima tappa Damasco, per abbattere tutti i tiranni,
costruire l'Impero mondiale e assicurare pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti!
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NO ALLA MENZOGNA DELLO STATO PALESTINESE!
(24/9/2011) L'affermazione fatta davanti all'Assemblea Generale dell'Onu da
Abu Mazen, capo dell'Olp ed erede del terrorista assassino Yasser Arafat, "Il
riconoscimento dello Stato palestinese da parte vostra sarà un grande passo sulla via
della pace", richiama in modo inquietante gli slogans che il Grande Fratello, il
tiranno invisibile e onnipresente del romanzo di Orwell "1984", ammannisce ai
sudditi per instupidirli e impedire il rovesciamento del suo regime: "La guerra [contro
Israele] è pace", "La menzogna [quella raccontata da settant'anni sull'esistenza di un
"popolo palestinese"] è verità", "La schiavitù [all'Olp e ad Hamas] è libertà". In attesa
della scontata decisione dell'Organizzazione Non Utile, anzi Dannosa quant'altre mai,
noi mondialisti vogliamo qui ricordare a chi ci legge che stare dalla parte dei
palestinesi che lanciano missili contro gli innocenti israeliani e sgozzano nel sonno
famiglie di ebrei innocenti non è "stare dalla parte della pace". Stare dalla parte della
pace, nella guerra fra israeliani e palestinesi, significa ricordare che:
1) i palestinesi sono un'invenzione della propaganda antisemita islamica post1948: prima della nascita dello Stato di Israele quel territorio era sotto mandato
britannico, prima ancora era stato parte dell'impero ottomano, e la cosiddetta
Cisgiordania, o meglio la Giudea e la Samaria, erano parte del regno di Giordania.
Ergo, i palestinesi come nazione e come popolo non esistevano finché la propaganda
islamica antisemita non li ha inventati per fare leva sull'amore malato dell'Occidente
per il principio di nazionalità;
2) i palestinesi da 130 anni sgozzano gli ebrei senza fare distinzioni tra militari e
civili, né fra uomini, donne, vecchi e bambini. Durante la seconda guerra mondiale il
Gran Muftì di Gerusalemme si alleò con Hitler promettendo di consegnare ai nazisti
gli Ebrei che si fossero rifugiati in Terrasanta per sfuggire alle persecuzioni. Meno di
un mese fa terroristi assassini giunti dalla Striscia di Gaza hanno ucciso sette
israeliani a Eilat, e i cosiddetti "palestinesi" hanno esultato come iene e bruciato nelle
piazze la bandiera con la Stella di David gridando come al solito "Morte a Israele!".
Lo scorso 17 aprile è morto un ragazzo israeliano di sedici anni straziato da un
missile palestinese lanciato da Gaza contro il suo scuolabus, e i due palestinesi
colpevoli dello sterminio della famiglia Fogel, una volta arrestati, hanno precisato di
aver sentito piangere il figlio più piccolo di appena TRE MESI mentre uscivano dalla
casa, e di essere tornati sui propri passi APPOSITAMENTE PER SGOZZARE
ANCHE LUI NELLA CULLA.
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In conclusione: chi vuole stare DAVVERO dalla parte della pace, deve stare
dalla parte di Israele. Tutto il resto è MENZOGNA. Per questo noi del Partito
Mondialista e dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire"
continueremo ad appoggiare sempre e con convinzione la lotta per l'esistenza dello
Stato di Israele, unico avamposto di libertà e democrazia in un Medio Oriente
schiavizzato da tiranni e dittatori laici e teocratici, e di tutto il popolo ebraico sparso
nel mondo e minacciato di un secondo Olocausto dall'Asse del Male nero-rossoverde. Li appoggeremo anche contro lo stesso governo degli Stati Uniti d'America
oggi rincitrullito dalle melliflue cantilene del vile Obama, almeno finché il popolo
americano non lo caccerà dalla Casa Bianca e non si darà nuovamente un
Comandante in Capo deciso a combattere per portare libertà e democrazia a tutti gli
uomini e i popoli del pianeta. Li appoggeremo sempre perché gli Ebrei sono stati i
primi a rifiutare i miti falsi e mortiferi del sangue e del suolo, a farsi cittadini del
mondo, a rifiutare ogni aristocrazia che non fosse basata sul talento e sul merito. Li
appoggeremo sempre perché dal popolo di Israele viene Gesù Cristo, colui che ha
distinto le "cose di Dio" dalle "cose di Cesare" liberando l'umanità dalle vecchie
concezioni sacrali dell'autorità politica e aprendo la via alla libertà del pensiero e
della scienza che ha fatto dell'Occidente la più grande civiltà della Storia. Li
appoggeremo sempre perché Israele e il popolo ebraico sono il seme dell'Impero
mondiale per la cui creazione lavoriamo, quello Stato universale, federale e
liberaldemocratico che libererà il genere umano dalla tirannia delle molteplici
nazionalità, fonte perenne di discriminazioni, persecuzioni, guerre e genocidi, e
assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti.
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GHEDDAFI UCCISO, SIC SEMPER TYRANNIS!
(20/10/2011) Oggi, col favore dell'Altissimo, aerei da caccia dell'Alleanza
Atlantica hanno bombardato un convoglio in fuga dalla città libica di Sirte uccidendo
due figli del dittatore Gheddafi, Mutassim e Saif al-Islam, e ferendo lo stesso tiranno,
che poi è stato catturato dalle forze di liberazione della Nuova Libia e ucciso sul
posto.
Piange la scomparsa di Gheddafi il primo ministro italiano Berlusconi, il quale
ha commentato laconicamente "Sic transit gloria mundi" (così passa la gloria del
mondo) pensando all'umiliazione cui ha sottoposto il proprio popolo omaggiando il
tiranno durante le sue frequenti visite a Roma.
Piangono la sua scomparsa Bertinotti, Rizzo, Ferrero e tutti i colonnellini senza
esercito della sinistra italiota, orfani dell'ennesimo tiranno santificato come difensore
del Terzo Mondo dal colonialismo del "perfido Occidente assetato di petrolio".
Piange la sua scomparsa il fascista-leghista Borghezio, che lo chiama "il
templare di Allah" perché ha perduto completamente il senso della Storia e del
ridicolo.
Piangono la sua scomparsa i terroristi assassini dell'Olp, dell'Eta e dell'Ira, orfani
del loro maggior fornitore di esplosivo per attentati sanguinari che hanno ucciso
migliaia di uomini, donne, vecchi e bambini innocenti.
Piangono la sua scomparsa Assad figlio, il folle Ahmadinejad con il suo mentore
Khamenei, il cekista Putin e i mandarini cinesi, i quali stanno comprendendo che il
movimento iniziato da noi mondialisti con il lancio dell'Operazione "Snow on the
Sahara" e lo scoppio della Primavera Araba non si fermerà finché tutti loro non
saranno spariti dalla faccia della terra.
L'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il Partito
Mondialista, suo ramo esecutivo, plaudono al magnifico esito dell'opera di
liberazione del popolo libico portata avanti dalla NATO e confermano che
proseguiranno nella loro marcia per la creazione di un Impero mondiale, federale e
liberaldemocratico, che abbatta tutti i tiranni e i dittatori laici e teocratici, elimini ogni
sovranità dei decrepiti Stati-nazione, e con essa ogni differenza fra cittadini e stranieri
e ogni discriminazione di razza, sesso e religione, e assicuri finalmente pace,
prosperità, libertà e giustizia per tutti.
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DICHIARAZIONE DI SOSTEGNO AL POPOLO SIRIANO
IN LOTTA PER LIBERTÀ E DEMOCRAZIA
(1/6/2012) In questo giorno nel quale i cristiani fanno memoria della Passione e
Morte del Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, noi mondialisti non possiamo,
non vogliamo, non dobbiamo ignorare il grido di dolore che sale a noi da tante parti
della martoriata terra di Siria.
Il sangue dei bambini di Hula, di Homs, di Hama, di Damasco e d'Aleppo
ancora oggi dalla terra sale al Dio che vede ogni cosa, al Giudice e Vendicatore degli
innocenti, a Colui che ha detto: «Guai a chi chiama bene il male e male il bene, guai
a chi chiama luce le tenebre e tenebre la luce».
Sì, diciamo alto e forte noi mondialisti: guai, guai, guai al sanguinario e
menzognero Assad che massacra il suo popolo a colpi di cannone e a furia di
sgozzamenti, e poi infama le sue vittime chiamandole "terroristi"; guai al folle
Ahmadinejad che arma e finanzia il suo compare di nequizie Assad per imporre la
propria egemonia su tutto il Medio Oriente; guai al corrotto e menzognero Putin che
protegge quel regime corrotto e sanguinario nell'arengo dell'ONU, Organizzazione
Non Utile a difendere il diritto degli innocenti; guai agli ipocriti come Kofi Annan
che si presenta come mediatore di pace dopo aver intascato per anni regalìe da un
altro tiranno, Saddam Hussein, per chiudere entrambi gli occhi sulle vendite
sottobanco di petrolio in violazione di quel programma "Oil for Food" che come
segretario dell'Onu avrebbe dovuto far rispettare; e guai, guai, guai agli eurasisti che
si nascondono dietro la facciata luccicante di accademie e istittuti di ricerca e
pubblicano riviste patinate come "Eurasia" e "Geopolitica", guai ai
nazionalboslcevisti, guai ai socialisti nazionali di "Rinascita", guai a tutti gli
occidentali traditori come Giuda e venduti al Maligno i quali agitano lo spauracchio
del fondamentalismo islamico e di Al Qaeda per paralizzare i governi dell'Occidente
e impedir loro di fermare questa atroce mattanza.
Noi mondialisti non siamo come costoro, assassini, vili, bugiardi, ipocriti. Noi
mondialisti il 26 febbraio 2011, quando il popolo di Libia si era appena sollevato
contro il tiranno Muhammar Gheddafi che lo opprimeva da 42 anni, pubblicammo su
questo sito Internet una dichiarazione di sostegno alla lotta dei Libici per conquistare
libertà e democrazia, e neppure otto mesi dopo, il 20 ottobre, annunciammo con
grande gioia che il tiranno Gheddafi era stato eliminato. Noi mondialisti non siamo
insieme "sì" e "no", in noi, come nel Signore Gesù Cristo, c'è solo il "sì", un "sì"
convinto al desiderio, inscritto da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo e donna
nascente al mondo, di vivere in pace, libertà e democrazia, nel rispetto dei diritti
immortali e inalienabili di ogni individuo umano alla vita, alla libertà e alla ricerca
della felicità.
Pertanto il Partito Mondialista, come ha sostenuto l'eroica lotta del popolo libico
contro il tiranno assassino Muhammar Gheddafi, così oggi sostiene l'altrettanto eroica
lotta del popolo siriano contro il tiranno assassino Bashar el-Assad;
deplora, condanna e rigetta l'ipocrisia di tutte le cancellerie d'Occidente che per
troppi anni hanno tollerato e continuano a tollerare l'infame persecuzione e
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repressione del popolo siriano in nome di meschini interessi affaristici e per non
urtare la suscettibilità dell'orso russo, e che da più d'un anno assistono inerti al
massacro di tanti uomini, donne, anziani e bambini innocenti da parte di squadroni
della morte senza onore né dignità;
respinge come propaganda ridicola e ipocrita lo spauracchio del
fondamentalismo islamico e di Al Qaeda agitato dal regime di Assad e dai suoi
reggicoda eurasisti davanti agli occhi di un Occidente pavido e interessato solo agli
affari con i peggiori tiranni del pianeta;
esorta l'America a liberarsi dalla cappa di viltà impostale dall'imbelle Obama e a
porsi alla testa di un grande esercito di liberazione del popolo siriano dalla tirannia
dell'assassino Assad;
e invoca il Dio Altissimo Uno e Trino, Signore del cielo e della terra, nelle cui
mani sono le vite e i destini degli uomini e dei popoli, e la Santa Vergine Maria,
Regina delle Vittorie, che nel giorno della sua apparizione a Lourdes ha donato al
popolo d'Egitto la liberazione dal tiranno Mubarak e ha interceduto efficacemente per
la liberazione del popolo di Libia, di mostrarsi benigni anche con il popolo di Siria e
liberarlo con mano possente e braccio teso dal tiranno Assad, affinché dopo essere
stato martoriato per troppi anni da una feroce dittatura di terrore, miseria e morte
possa camminare sulla strada, che ha già intrapreso di sua scelta, della libertà e della
democrazia, insieme al popolo di Israele, al popolo degli Stati Uniti d'America e a
tutti i popoli liberi e giusti dell'Occidente, fino alla meta dell'unificazione di tutto il
genere umano in un solo Impero mondiale federale e liberaldemocratico che sia Unità
nella Pluralità così come il Signore Dio è Unità nella Trinità.
Così come Dio, la cui Santissima Trinità ci apprestiamo a celebrare fra due
giorni, è Uno per la natura divina delle sue tre Persone, così un giorno il genere
umano sarà riunito in uno Stato mondiale che sarà unico per la natura umana di tutti i
suoi membri. Allora cesseranno guerre, tirannie, dittature laiche e teocratiche,
persecuzioni e genocidi; allora le ingenti risorse che oggi vengono sperperate in armi
e guerre verranno utilizzate per sollevare i popoli del Terzo Mondo dalla loro miseria
materiale e spirituale; allora l'essere nati al di qua o al di là di un confine non
costituirà più motivo di discriminazione fra gli uomini, perché la terra intera sarà un
solo Stato senza confini; allora tutti gli individui umani, qualunque sia la loro
religione, la loro etnia o il loro sesso, potranno sviluppare i propri talenti in pace e
libertà, nel rispetto dei diritti di ciascuno e di tutti alla vita, alla libertà e alla ricerca
della felicità. Di questo luminoso traguardo sarà anticipazione e segno la liberazione
della Siria, per la quale noi mondialisti profonderemo i nostri beni e le nostre vite,
nella certezza che il Signore Dio, Giusto Giudice, farà presto vendetta contro il
sanguinario Assad come ha fatto vendetta contro il sanguinario Gheddafi, e che
questo regime di menzogna, terrore e morte finirà presto come è finito l'altro. Lo
abbiamo detto e lo faremo.
Andrea Zuckerman
Chief Director
International Society
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"New Atlantis for a World Empire"
CEO Partito Mondialista
in unione con il Comitato Direttivo
e con tutti gli associati
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"PILLAR OF DEFENSE", ISRAELE DIFENDE LIBERTÀ E DEMOCRAZIA
(17/11/2012) Da quattro giorni le Forze Armate dello Stato di Israele sono
impegnate nell'operazione "Pilastro di Difesa": dopo che i lanci quotidiani di missili
dalla Striscia di Gaza contro città e villaggi israeliani avevano raggiunto livelli
davvero insopportabili, Israele ha prima eliminato il capo militare dei terroristi di
Hamas al Jaaabari - responsabile del rapimento del soldato GIlad Shalit e della morte
di moltissimi innocenti Ebrei -, poi ha lanciato una vasta campagna di
bombardamenti mirati contro i tunnel che Hamas usa per far entrare missili, armi ed
esplosivi nella loro base di Gaza, contro i depositi in cui questi missili, armi ed
esplosivi vengono nascosti, e contro gli edifici in cui i terroristi di Hamas si
nascondono come ratti, mentre 75.000 soldati si stanno radunando al confine fra
Israele e Gaza preparandosi ad un attacco di terra. Nel frattempo il territorio di Israele
è stato bersagliato ancor più fortemente dai missili di Hamas: alcuni sono arrivati fino
a Tel Aviv, cadendo grazie a Dio in mare senza fare vittime, altri fino a
Gerusalemme, uno ha centrato un edificio uccidendo tre innocenti; ciò dimostra senza
ombra di dubbio che non si tratta di razzetti artigianali ed innocui, bensì di ordigni
mortali, che l'Iran degli ayatollah pedofili e del folle Ahmadinejad fornisce ai suoi
figliocci di Hamas, e che vengono introdotti nella base di Gaza attraverso i tunnel
scavati con la complicità dell'Egitto (troverete molti articoli e video sull'argomento
sulla
nostra
pagina
Facebook
"Partito
Mondialista"
all'indirizzo
https://www.facebook.com/pages/Partito-Mondialista/282813698438366 e sul nostro
canale YouTube "mondialistparty" nella playlist "IDF News all'indirizzo
https://www.youtube.com/playlist?list=PLtGCniAwV7C9wMuTO_lt06cvH6RHgF7j
1).
Naturalmente quanto avvenuto ha scatenato la solita ondata di ipocrita
indignazione sui media italiani: "Pioggia di missili su Israele in risposta all'uccisione
di un capo di Hamas", hanno titolato, come se la responsabilità di aver iniziato le
ostilità fosse di Israele, e non dei terroristi di Hamas che da vent'anni lanciano ogni
giorno decine di missili su pacifici villaggi e città israeliani! La verità è che l'Europa
è malata di antisemitismo da cinquecento anni, da quando Martin Lutero scriveva
libelli contro gli Ebrei accusandoli di deicidio e di usura, a quando l'ebreo traditore
Karl Marx accusava i suoi ex-fratelli ebrei di adorare il denaro, a quando fascisti,
nazisti e comunisti bollavano gli Ebrei come "cosmopoliti" e tuonavano contro le
"demoplutocrazie giudaico-massoniche" anglosassoni colpevoli di fondarsi sui diritti
dell'uomo, di ogni uomo, anziché sui nefasti idoli del sangue e del suolo; la verità è
che l'intera Europa è antisemita e filoislamica, e vorrebbe volentieri vedere distrutto
lo Stato di Israele, unico baluardo di Libertà e Democrazia in un Medio Oriente
schiavo contento di tiranni e dittatori, e vorrebbe volentieri vedere sterminati tutti gli
Ebrei del mondo pur di essere amica della belva islamica assetata di sangue, sperando
che si sazi di carne ebraica e non le venga voglia di sbranare anche gli imbelli
Europei, troppo vili per difendere con le armi la loro libertà, la loro democrazia e i
loro diritti. Illusi!
Naturalmente anche i vari regimi islamici hanno fatto sentire la loro
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indignazione: "Israele ha commesso un crimine contro l'umanità", ha tuonato il nuovo
presidente egiziano Mohamed Morsi a nome dei Fratelli Musulmani, come se
lanciare da vent'anni migliaia di missili su pacifici villaggi e città di Israele, solo
perché abitati da Ebrei, non fosse, questo sì, un atroce crimine contro l'umanità, un
crimine che grida vendetta al Dio Altissimo, il Dio di Abramo, di Isacco e di
Giacobbe! E naturalmente le cancellerie della vecchia, decrepita Europa malata di
filoislamismo antiebraico si sono affrettate a intervenire, condannando come
"sproporzionata" la reazione israeliana e prestando i loro buoni uffici al fine di
ottenere l'ennesima tregua. Folli! Non sanno, o fingono di non sapere, che per i
musulmani le tregue sono solo un gradito intervallo tra un episodio e l'altro della loro
interminabile guerra "santa" (jihad) contro Ebrei, cristiani e non-musulmani in
genere, gradito perché consente loro di riprendere le forze dopo un attacco e di
pianificarne altri ancora più devastanti.
Naturalmente anche stavolta le organizzazioni dei pacifinti si sono scagliate
contro gli israeliani "assassini", colpevoli di bombardare edifici civili, come se non
fosse ormai noto anche ai bambini che i terroristi di Hamas nascondono
vigliaccamente le loro armi, i loro esplosivi e i loro missili all'interno di abitazioni
civili, per usare i civili come scudi umani. Ultimamente c'è stata anche una patetica e
pelosa intemerata del TGcom contro il lancio da parte dell'esercito israeliano di
volantini su Gaza con avvertimenti alla popolazione civile di allontanarsi dagli edifici
in cui Hamas nasconde armi, esplosivi e missili, per la loro sicurezza. Secondo i
giornalisti ipocriti del TGcom, in questo modo Israele violerebbe le convenzioni
internazionali costringendo la popolazione di Gaza ad abbandonare le proprie case se
non vuole essere considerata un nemico da bombardare; ma in verità gli abitanti di
Gaza, se non vogliono essere bombardati da Israele e non vogliono abbandonare le
loro case, hanno un'altra possibilità: ribellarsi contro i terroristi di Hamas che usano
le loro case per nascondere armi, esplosivi e missili, ucciderli o consegnarli alle
autorità di Israele, e impegnarsi sinceramente a non fare mai più guerra a Israele, a
non attentare mai più alla vita e alla libertà di innocenti cittadini israeliani con lanci
di missili, attentati e rapimenti. Se invece gli abitanti di Gaza tollerano che i terroristi
di Hamas usino le loro case per nascondere armi, esplosivi e missili, se addirittura
partecipano convintamente a ogni funerale di un capo di Hamas ucciso dalle Forze
Armate di Israele, osannando il morto come "martire" e gridando "morte a Israele",
come possono poi lamentarsi di essere considerati giustamente dei combattenti
nemici e di subire per questo la giusta punizione?
Troppe volte Israele ha portato pazienza, troppe volte ha trattenuto la sua giusta
ira. Oggi la misura è colma; oggi è tempo che Israele scateni la sua teologica potenza
contro quanti vogliono distruggerlo. "Teologica", sì: perché quando nella Storia
avviene - raramente, purtroppo - che un individuo o un popolo esercitino la Forza con
Giustizia, come Israele ha fatto nel 2008 con l'operazione "Piombo Fuso" e come sta
facendo oggi con l'operazione "Pilastro di Difesa", allora tutti gli altri uomini e popoli
devono guardare ad esso con timore e tremore, ed esclamare, come gli Egizi ai tempi
di Mosè, «Veramente il Signore combatte accanto a Israele!». Sì, davvero il Signore,
il Dio Altissimo Creatore del cielo e della terra, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il
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Dio di Giacobbe cammina alla testa del suo popolo e combatte per lui i suoi nemici. E
noi mondialisti - dopo che il popolo degli Stati Uniti d'America, rieleggendo per altri
quattro anni il vile e filoislamico Barack Hussein Obama, ha dimostrato di voler
consegnarsi al Male e di voler ripudiare la missione ad esso affidata, quella per cui lo
avevamo creato, di essere la città sulla collina e l'araldo nel mondo di Libertà,
Democrazia e Diritti Umani - sosteniamo e sosterremo con ogni sforzo la lotta del
popolo di Israele per difendere la propria vita, la libertà dell'Occidente e la civiltà nel
mondo intero, per abbattere tutti i tiranni e i dittatori laici e teocratici, e per costruire
l'Impero mondiale che assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Perché,
come dice il nostro Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, «la salvezza viene dai
Giudei», ora e sempre. Amen. VINCI, ISRAELE!
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LOST IN ACTION
(2/2/2013) Il 21 gennaio 2013, alle 9.30 ora locale, un commando del Partito
Mondialista si è introdotto segretamente nella centrale nucleare iraniana di Fordo, nei
pressi della città di Qom. Il commando, composto da 4 persone, era guidato dal capo
dei nostri agenti esecutivi in Iran, nome in codice Ester Firuze; gli altri 3 componenti
del commando erano Ernst Gottlieb, François Lévy e Mordechai Reza. Scopo della
loro missione era sabotare il programma nucleare militare dell'Iran, distruggendo un
impianto ad alta tecnologia collocato nella centrale destinato alla produzione di
sincronizzatori (necessari affinché la detonazione degli esplosivi convenzionali
all'interno di una bomba termonucleare avvenga in modo controllato al fine di unire i
vari frammenti di uranio arricchito, formare la massa critica e avviare la reazione a
catena) e danneggiare il maggior numero possibile delle 2.784 centrifughe utilizzate
per l'arricchimento dell'uranio.
Dopo essersi introdotto nella centrale - situata in un profondo bunker sotterraneo
scavato nelle viscere di una montagna - e aver neutralizzato due guardie, il
commando ha raggiunto la sala ove era collocato l'impianto di produzione dei
sincronizzatori, e l'agente Ester in persona ha posizionato l'esplosivo e regolato il
timer per esplodere alle 11.30 ora locale. Mentre già si accingevano ad uscire dalla
centrale, i nostri quattro agenti sono stati scoperti da un gruppo di venti pasdaran; dal
nostro quartier generale abbiamo assistito impotenti, attraverso le microtelecamere e i
microfoni indossati dai nostri, all'uccisione immediata di Gottlieb e Lévy e al
ferimento ad un braccio di Reza, il quale veniva catturato insieme a Ester. I due sono
stati portati nella stanza adibita alle torture, spogliati e seviziati con coltelli per
costringerli a rivelare lo scopo della loro missione; ma entrambi hanno resistito
eroicamente, confortandosi a vicenda per più di un'ora, finché alle 11.30 in punto,
come previsto, le bombe da essi posizionate sono esplose distruggendo l'impianto di
produzione dei sincronizzatori e gran parte della centrale. Nell'esplosione gli agenti
Ester Firuze e Mordechai Reza hanno trovato la morte insieme, secondo le nostre
stime, a centinaia di pasdaran e di tecnici che lavoravano nell'impianto. Le autorità
iraniane hanno tentato invano di tenere nascosto l'accaduto, ma i danni erano così
ingenti che hanno dovuto creare un cordone di sicurezza di 30 km intorno alla
centrale nucleare e chiudere al traffico la strada statale 7 che attraversa la regione. I
corpi di Ester Firuze, Ernst Gottlieb, François Lévy e Mordechai Reza sono stati
recuperati nel pomeriggio da un gruppo di insiders mescolatisi alle squadre di
soccorso inviate sul posto per la ricerca dei feriti sotto le macerie, portati con un
elicottero nel Beluchistan (regione i cui abitanti lottano da anni per l'indipendenza
dall'Iran), trasferiti con un volo segreto su una portaerei statunitense in navigazione
nel Golfo Persico, e da lì al nostro quartier generale, dove hanno ricevuto l'estremo
omaggio.
L'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il Partito
Mondialista, suo ramo esecutivo, salutano con affetto, stima e gratitudine l'agente
esecutivo Ester Firuze, immolatasi eroicamente con i suoi compagni per rallentare la
marcia di morte del regime iraniano verso il possesso dell'arma atomica e il
88
compimento del Secondo Olocausto, e promettono a tutti gli uomini giusti di questa
Terra che continueranno senza sosta a lottare, a prezzo della vita, per la realizzazione
del Grande Progetto: la creazione di un Impero mondiale federale e
liberaldemocratico che abbatta tutti i tiranni laici e teocratici, elimini le vetuste
sovranità particolari dei singoli Stati-nazione, istituisca una cittadinanza universale
per tutto il genere umano e assicuri ad ogni individuo il rispetto degli immortali e
inalienabili diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità.
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L'ISLAM DEVE SCEGLIERE: INTEGRARSI O SCOMPARIRE
(25/5/2013) Il Comitato Direttivo dell'Associazione Internazionale "New Atlantis
for a World Empire" e del Partito Mondialista, suo ramo esecutivo, in unione con il
Direttore Generale Andrea Zuckerman e con tutti gli associati porge le proprie sentite
condoglianze al piccolo Jack e a tutta la famiglia di Lee Rigby, il soldato
venticinquenne di Manchester, membro del secondo battaglione del Royal Regiment
of fusiliers, barbaramente assassinato a Londra da due terroristi islamici, due infami
di origine nigeriana a cui la Gran Bretagna aveva dato cittadinanza, diritti e pace che
si erano convertiti all'Islam e per questo sono diventati dei barbari assassini.
Come il barbaro attentato di Boston, anche questo infame assassinio dimostra in
modo inequivocabile che l'Islam è un pericolo per tutto il genere umano. Non
vogliamo certo affermare scioccamente che ogni uomo, donna, vecchio o bambino di
religione islamica sia per ciò solo un maniaco omicida, no, questo sarebbe
espressione di razzismo falso e bugiardo; ma di certo tutti i mandanti e gli esecutori
degli infami e brutali attentati terroristici avvenuti negli ultimi vent'anni, dal primo
attentato alle Torri Gemelle del 1993 alle autobombe di Nairobi e Dar es Salaam, dal
Golgota dell'11 settembre 2001 alle stragi di Madrid e Londra, tutti costoro erano
uomini di religione islamica; e tutti gli attentatori suicidi che insanguinano le città di
Israele, dell'Iraq e dell'Afghanistan, anche essi sono tutti di religione islamica; fra i
peggiori assassini di massa degli ultimi cinquanta anni non si trovano di certo
cristiani, né induisti, né membri di altre religioni, ma soltanto islamici.
Gli islamici non riconoscono l'uguaglianza in dignità e diritti tra uomo e donna,
praticano la poligamia, stuprano le donne e poi le lapidano accusandole falsamente di
adulterio, violentano perfino i bambini nelle madrase (le scuole coraniche)
trasformandoli in spietate macchine di morte. Gli islamici sono intolleranti verso
chiunque non professi la religione islamica, sono ossessionati dalla smania di
costringere tutti i non-islamici a convertirsi all'Islam o a morire, compiono i loro
assassini in modi brutali, decapitando le loro vittime o facendole a pezzi a colpi di
machete, come i due infami assassini londinesi di origine nigeriana e come i membri
della setta islamica Boko Haram in Nigeria. Gli islamici vogliono distruggere lo Stato
di Israele e sterminare tutti gli Ebrei del mondo soltanto perché gli Ebrei sono riusciti
a trasformare il deserto in fertili campi coltivati e a fare del loro piccolo Paese uno
Stato democratico, prospero e ricco, mentre gli islamici preferiscono vivere nella
miseria e nell'abbrutimento spirituale, e sottomettersi ai più feroci tiranni e dittatori
laici o teocratici, pur di poter sfogare sulle donne e sui non-islamici il loro maniacale,
psicotico complesso di superiorità. Gli islamici sono pericolosi come gli Incas, i
Maya e gli Aztechi che facevano continue guerre ai propri vicini al solo scopo di
procurarsi prigionieri da sacrificare ai loro dèi, vittime innocenti che essi poi orribile a dirsi! - scuoiavano e mangiavano; anzi, gli islamici sono ancora più
pericolosi, perché Incas, Maya ed Aztechi erano confinati nell'America
centromeridionale, erano relativamente scarsi di numero e dotati di armi primitive,
mentre gli islamici sono quasi un miliardo, sono diffusi su tutto il pianeta e sono
disposti a usare anche armi chimiche, batteriologiche e nucleari pur di sterminare il
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maggior numero possibile di "infedeli". Insomma, gli islamici sono il pericolo N. 1
per ogni amante della Libertà, della Democrazia e dei Diritti dell'Uomo.
È pertanto necessario che tutti gli uomini amanti della Libertà, della Democrazia
e dei Diritti dell'Uomo, in Occidente e in tutto il mondo, si uniscano nella grande
battaglia contro l'Islam mortifero e assassino, e pongano agli islamici la seguente
alternativa: o abbandoanre il lor psicotico complesso di superiorità nei confronti delle
donne, dei Cristiani, degli Ebrei e di tutti i non-islamici, accettando di integrarsi
pacificamente con il resto del genere umano in un solo Impero mondiale pacifico,
prospero e democratico, oppure fare la stessa fine degli Incas, dei Maya e degli
Aztechi sacrificatori di uomini e antropofagi, che furono spazzati via dal soffio dello
Spirito e dalle armi dei Conquistadores. Questo non significherebbe, naturalmente, lo
sterminio di ogni uomo, donna, vecchio o bambino di religione islamica, così come la
distruzione dei regni degli Incas, dei Maya e degli Aztechi non ha significato lo
sterminio di tutti gli indigeni del Centro e Sud America, ma soltanto l'eliminazione di
tutti i combattenti e cannibali fanatici e l'integrazione degli individui pacifici, delle
donne e dei bambini nella struttura sociale dei nuovi regni ispanomaericani;
significherebbe soltanto l'eliminazione di tutti i terroristi assassini, di quanti prendono
le armi contro l'Occidente e contro il mondo libero, e l'integrazione degli individui
pacifici, delle donne e dei bambini liberati dalla schiavitù islamica, nella nuova
struttura sociale liberale, democratica ed ugualitaria del futuro Impero mondiale, che
sarà tollerante con tutti i tolleranti e intollerante soltanto con gli intolleranti, e che
assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia ad ogni uomo, donna, vecchio e
bambino, indipendentemente dalla sua religione di appartenenza, a condizione che
questa religione accetti di convivere pacificamente e rispettosamente con tutte le altre
religioni e opinioni su Dio, sull'uomo e sul mondo.
Noi mondialisti abbiamo deciso da tre anni di offrire agli islamici la possibilità
di accettare libertà, democrazia e diritti dell'uomo: la nostra operazione "Snow on the
Sahara", che ha sinora portato alla caduta dei regimi corrotti e assassini di Ben Alì,
Mubarak e Gheddafi, e che presto porterà al crollo anche di Assad e Ahmadinejad e
alla liberazione dei popoli di Siria e Persia, è volta proprio a consentire agli islamici
che lo vogliano di disfarsi dei loro tiranni e dittatori e di camminare con Israele, con
l'Occidente e con il resto del genere umano sulla via della pace, della prosperità, della
libertà e della democrazia. La responsabilità di rispondere positivamente o
negativamente a questo "sacro esperimento" sta nelle loro mani. Sta all'Islam, e
all'Islam soltanto, la responsabilità di compiere questa scelta e di assumerne le
conseguenze storiche: integrarsi, o scomparire.
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MESSAGGIO DEL PARTITO MONDIALISTA AL POPOLO DI EGITTO
IN LOTTA PER LIBERTÀ E DEMOCRAZIA
(29/6/2013) Il Comitato Direttivo del Partito Mondialista, ramo esecutivo della
Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire", in unione con tutti
gli associati, esprime la sua solidarietà e il suo appoggio al nobile popolo di Egitto in
lotta per libertà e democrazia contro il tirannico regime del fondamentalista islamico
Mohamed Morsi.
Il nobile popolo di Egitto, che ha combattuto e versato il proprio sangue per
liberarsi dal vecchio tiranno Mubarak, non può sopportare di essere ancora schiavo
del nuovo tiranno Morsi. Perciò noi mondialisti diciamo a voi Egiziani:
Combattete, combattete per abbattere il regime tirannico, menzognero, corrotto e
assassino del fondamentalista islamico Morsi!
Combattete, Egiziani, per costruire un Egitto libero e democratico!
Combattete, Egiziani, per costruire un Egitto libero per donne e uomini!
Combattete, Egiziani, per costruire un Egitto libero per poveri e ricchi!
Combattete, Egiziani, per costruire un Egitto libero per musulmani, cristiani,
ebrei, atei, per tutte le religioni e per tutte le opinioni!
Combattete, Egiziani, per costruire un Egitto libero, moderno, con separazione
fra religione e politica!
Alle forze armate egiziane noi mondialisti diciamo:
Non opponetevi al giusto desiderio del vostro popolo che chiede libertà,
democrazia e la fine del tirannico regime di Morsi! Aiutate il vostro popolo a
conquistare libertà, democrazia e modernità!
Noi mondialisti sappiamo che la giusta lotta del nobile popolo di Egitto contro il
tiranno Morsi sarà vittoriosa, e che il nobile popolo di Egitto saprà liberarsi dal
proprio tiranno per camminare sulla via della pace, della libertà, della democrazia e
dei diritti di tutti gli uomini e le donne, insieme con Israele, con gli Stati Uniti
d'America e con tutto l'Occidente, per costruire insieme l'Impero mondiale che
abbatterà tutti i tiranni e i dittatori laici e teocratici e assicurerà pace, prosperità,
libertà e giustizia per tutti gli uomini e le donne del pianeta Terra.
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LA "SHALE REVOLUTION" E L'IMPERO MONDIALE
(4/8/2013) Cinque giorni fa alcuni giornali italiani, come al solito affetti da
provincialismo (leggi: guardare sempre il proprio ombelico nazionale), hanno
riportato nelle pagine interne e senza enfasi una notizia che invece avrebbe dovuto
comparire in apertura con titoli a nove colonne: il principe saudita Al Waleed bin
Talal, nientemeno che nipote del re Abdallah, ha reso pubblica via Twitter una lettera
che aveva inviato lo scorso 13 maggio al ministro del Petrolio di Riad, Ali al Naimi,
accusandolo di sottovalutare «la minaccia per il regno rappresentata dallo shale gas e
dallo shale oil del Nordamerica». Ora, è già un fatto rilevante che in una monarchia
assolutista come quella dei Saud simili contrasti emergano alla luce del sole invece di
essere risolti con discrezione nell'ombra, ma ancor più rilevante è il merito della
questione: che cosa saranno mai, si chiederà il lettore di questa pagina, lo shale gas e
lo shale oil? e perché rappresenterebbero un tale pericolo per l'Arabia Saudita?
Andiamo con ordine. In inglese shale vuol dire "scisto": si tratta di un tipo di
roccia argillosa, impermeabile, disposta in vaste stratificazioni orizzontali situate in
genere a 3-4.000 metri di profondità e caratterizzata da microscopici pori che possono
contenere o metano (che viene detto shale gas, o gas di scisto) oppure petrolio (e
allora si parla di shale oil). Ora, si dà il caso che gli Stati Uniti d'America possiedano
riserve vastissime sia di petrolio, sia ancor più di gas contenuti in queste rocce di
scisto: per quanto riguarda lo shale oil si parla di circa 1.500 miliardi di barili, mentre
per lo shale gas si stima che gli USA dispongano delle maggiori riserve al mondo,
pari a circa 132.000 miliardi di metri cubi; ai ritmi di consumo attuali (circa 7
miliardi di barili di petrolio e 700 miliardi di metri cubi di gas all'anno) tali
riserve basterebbero a coprire le necessità statunitensi per più di 200 anni.
Questi giacimenti erano noti già dagli anni '40 del XX secolo, ma fino a pochi
anni fa non era disponibile la tecnologia necessaria a sfruttarli: per estrarre petrolio e
gas dalle rocce di scisto è infatti necessario prima trivellare verticalmente fino ai 3-4
km di profondità sopra detti, poi proseguire la trivellazione in orizzontale, seguendo
l'andamento degli strati argillosi (horizontal drilling) e infine pompare una miscela di
acqua e aria ad alta pressione, per fratturare le rocce e consentire agli idrocarburi
liquidi o gassosi di fuoriuscire dai pori ed essere pompati in superficie (il cosiddetto
hydrofracking).
Da una decina d'anni tale tecnologia è finalmente disponibile, e dal 2008 Barack
Hussein Obama - vile e inetto nell'affrontare manu militari le minacce agli Stati Uniti
d'America e all'Occidente - ha compiuto l'unica azione per la quale meriterà forse di
passare alla Storia: ha emanato una normativa che prevede forti sgravi fiscali e
autorizzazioni agevolate per le grandi companies americane che si dedicavano alla
ricerca in questo settore, allo scopo di assicurare all'America, nel lungo periodo,
l'autosufficienza energetica.
Ebbene, le ricerche sono state così fruttuose, che gli Stati Uniti d'America, i
quali nel 2008 producevano soltanto 4,9 milioni di barili di petrolio al giorno, grazie
allo shale oil nel 2011 ne hanno prodotti 5,7 milioni, esportandone all'estero ben 1,2
milioni di barili al giorno - ridiventando quindi un esportatore netto di petrolio,
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primato che avevano perduto dal 1949 -; nel 2012 la domanda americana di petrolio
da Algeria, Angola e Nigeria è diminuita del 41%, e si prevede che nel 2020 gli USA
supereranno l'Arabia Saudita diventando il primo produttore al mondo. Per quanto
riguarda lo shale gas, poi, la sua produzione nel 2000 copriva appena l'1% del
fabbisogno statunitense, ma nel 2006 copriva già il 5,9%, e nel 2010 il 20%; oggi i
consumatori americani (non solo cittadini comuni, ma soprattutto imprese) pagano il
gas un terzo, e l'elettricità meno della metà degli Europei; gli USA sono divenuti i
primi produttori al mondo di metano, superando anche la Russia, che nel 2012 ha
dovuto interrompere le trivellazioni nel giacimento artico di Shtokman (il più vasto
d'Europa, con una capacità di 3.900 miliardi di metri cubi), perché l'abbassamento del
prezzo di mercato causato dallo shale americano ne aveva reso lo sfruttamento
economicamente insostenibile; dal 2009 le importazioni di GNL (gas naturale
liquido) da parte di Washington sono calate di due terzi, e si prevede che nel 2028
l'America sarà indipendente dal resto del mondo anche per quanto riguarda il
fabbisogno di gas naturale.
Ora potete dunque comprendere il terrore che si sta diffondendo nella monarchia
saudita, che nel 2012 aveva ottenuto ben il 92% delle sue entrate dalla vendita di
petrolio: come ha ammonito il principe Al Waleed, nel 2014 la richiesta mondiale
scenderà di 250.000 barili al giorno, e questo sarà solo l'inizio, perché anche altri
Paesi, come la Gran Bretagna, la Polonia e l'Ucraina, hanno intenzione di sfruttare i
loro giacimenti di scisto (i quali, a differenza di quelli "convenzionali", sembrano
essere distribuiti sulla superficie terrestre in modo più uniforme). Ma le conseguenze
più importanti della "Shale Revolution" saranno di ordine geopolitico: l'indipendenza
energetica significherà per gli Stati Uniti d'America l'annullamento del patto siglato
nel 1945 da Franklin Delano Roosevelt con Abdulaziz Ibn Saud, che in cambio di un
accesso sicuro alle forniture di petrolio ha obbligato Washington non soltanto a
garantire assistenza militare all'Arabia Saudita, ma soprattutto a finanziare per
settant'anni con oceani di dollari la fanatica ideologia wahabita, cioè la versione più
antimoderna e intollerante dell'Islam, quella che ha dato origine a Osama bin Laden e
ad Al Qaeda, al terribile Golgota dell'11 settembre 2001 e a tutti le stragi compiute
dal terrorismo islamico in ogni parte del mondo.
Chiudere il rubinetto del denaro alla petromonarchia fondamentalista dei Saud
significherà per gli Stati Uniti d'America affrancarsi dal dilemma che da settant'anni
attanaglia la loro politica estera, sempre divisa tra ideali e interessi, fra rispetto dei
diritti umani e complicità con i peggiori tiranni e dittatori, fra esportazione della
democrazia e mantenimento della stabilità dei regimi e degli approvvigionamenti
energetici. D'ora in poi Washington sarà libera di perseguire la sua missione storica:
unire sotto la sua guida tutte le democrazie del pianeta per muovere guerra senza
quartiere ai terroristi islamici e agli Stati-canaglia che li finanziano e li armano, per
liberare tutti i popoli della Terra da tutti i regimi tirannici e dittatoriali, laici e
teocratici, e integrarli in un Impero mondiale, federale e liberaldemocratico, che
assicuri a ogni individuo umano il rispetto degli immortali e inalienabili diritti alla
vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Come sempre Ragione e Scienza, doni
sublimi dell'Altissimo, cooperano alla diffusione di Libertà e Democrazia, come è
94
avvenuto dall'inizio dell'espansione planetaria dell'Occidente ebraico-cristiano,
affinché si realizzi la parola del Signore Gesù Cristo: Ut unum sint, che tutti siano
uno: un solo popolo, sotto una sola legge.
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A GAZA ISRAELE COMBATTE PER DIFENDERE LA CIVILTÀ
(19/7/2014) Da circa quaranta ore l'esercito di Israele sta operando nella Striscia
di Gaza per distruggere le installazioni missilistiche dell'organizzazione terrorista
islamica Hamas. Dopo aver sopportato stoicamente per settimane il bombardamento
sempre più esteso delle proprie città e villaggi - bombardamento reso, grazie a Dio, in
gran parte inefficace dal sistema di difesa antimissile Iron Dome (Cupola di ferro)
che intercetta e distrugge in volo gli ordigni di morte - il primo ministro Benyamin
Netanyahu, in accordo con il Gabinetto di Sicurezza del governo di Gerusalemme, ha
dato il via libera alle forze armate: alle 21.17 del 17 luglio, mentre l'elettricità veniva
tagliata e su Gaza cadeva il buio, 40.000 soldati e centinaia di carri armati con la
stella di David hanno fatto ingresso in quel territorio che, da quando nel 2005 Israele
si ritirò pensando ingenuamente di favorire un embrione di democrazia palestinese, è
divenuta un santuario del peggiore estremismo fondamentalista, il regno di Hamas,
l'organizzazione terrorista che in nome del falso dio Allah e del falso profeta e vero
assassino Maometto vuole sterminare tutti gli ebrei del mondo.
Come era avvenuto nei giorni precedenti per le operazioni aeree, anche
l'invasione di terra della Striscia di Gaza ha suscitato la reazione scandalizzata delle
cancellerie occidentali, ormai totalmente asservite ai diktat di Eurabia, e
l'indignazione a comando dei soliti pacifinti, i quali si indignano per i morti
palestinesi ma non per quelli israeliani, e protestano contro i missili israeliani lanciati
contro le basi di Hamas ma non contro i missili palestinesi lanciati contro le città
israeliane e perfino contro la centrale nucleare di Dimona. Barack Hussein Obama, il
filoislamico amico e complice di tutti i tiranni, ha dato un colpo al cerchio e uno alla
botte ribadendo il diritto di Israele a provvedere alla propria difesa e
contemporaneamente ingiungendo a Netanyahu di "evitare un'escalation"; ma ormai
Netanyahu e tutto il popolo di Israele hanno ben compreso che gli USO, Stati Uniti di
Obama, sono un gigante dai piedi d'argilla, una pallida ombra della superpotenza che
vinse la Guerra Fredda, che liberò il Kuwait dall'occupazione irachena e abbatté il
regime corrotto e sanguinario di Saddam Hussein. Oggi gli Stati Uniti d'America,
trasformati per opera di Obama da paladini della libertà e della democrazia in alleati
dell'Iran degli ayatollah pedofili e in sostenitori dei Fratelli Musulmani egiziani
contro il nuovo corso democratico del presidente al-Sisi, non sono in grado di
minacciare Israele e di costringere il suo popolo e il suo governo a subire una tregua
che, come avvenuto nel 2006, nel 2009 e nel 2012, servirebbe solo ai suoi nemici per
ricostituire i propri arsenali e ricominciare tra qualche mese a lanciare nuovi attacchi
ancora più sanguinosi.
Oggi Israele ha davanti a sé un'occasione unica: non può limitarsi, come pure ha
proclamato ufficialmente, a distruggere qualche tunnel usato dai terroristi di Hamas
per infiltrarsi nel proprio territorio e rapire civili innocenti, o a smantellare qualche
rampa di lancio dei missili che piovono ogni giorno a decine su Tel Aviv, Haifa e
sulle altre sue città (missili che Hamas ottiene dall'Iran, missili sempre più potenti,
che ormai hanno una gittata superiore ai 150 Km e quindi sono in grado di colpire
ogni angolo dello Stato ebraico); non può, dopo la formazione di un governo unitario
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tra i finti moderati di Abu Mazen e i veri fanatici di Hamas, permettere ai suoi nemici
di prendere il controllo anche della Cisgiordania, da dove potrebbero martellare con
lanci di missili tutte le città sulla costa; non può, dopo la proclamazione del Califfato
su gran parte della Siria e dell'Iraq, consentire che la Cisgiordania venga infiltrata dai
fondamentalisti dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (Isil) e diventi terreno di
una gara tra sunniti e sciiti a chi vuol dimostrarsi più fedele ad Allah uccidendo il
maggior numero di ebrei.
Oggi Israele deve farla finita con tutti i suoi nemici storici e prevenire l'ascesa di
quelli futuri: deve occupare militarmente tutta la Striscia di Gaza, distruggere tutte le
basi di Hamas, della Jihad Islamica e di tutti gli altri gruppi terroristici annidate al suo
interno, eliminare i loro capi e tutta la loro struttura di comando. Ma non basta: deve
anche annettere giuridicamente al proprio territorio l'intera Cisgiordania - sia la parte
di essa più densamente abitata da ebrei, sia quella con popolazione arabo-musulmana
- ed espellere verso la Giordania (la quale d'altronde ha già una notevole quota di
popolazione che si proclama di "etnia" palestinese, sebbene i palestinesi non siano
mai esistiti come gruppo etnico, ma siano un'invenzione della propaganda di Arafat)
tutti quei sedicenti "palestinesi", in realtà arabi, che rifiutassero di giurare fedeltà allo
Stato di Israele, in modo da trasformare la Valle del Giordano in un nuovo Vallo di
Adriano contro i nuovi barbari, in un fossato di difesa dell'unica democrazia del
Medio Oriente contro gli assalti dei fondamentalisti dell'Isil che adesso minacciano di
prendere il potere anche in Giordania e che da lì potrebbero facilmente passare in
Cisgiordania e minacciare Gerusalemme e tutta Israele, se non trovassero appunto
nella Valle del Giordano il muro invalicabile di Tsahal.
È interesse dell'Occidente e di tutto il genere umano, anche se esso non se ne
rende conto, che Israele vinca oggi a Gaza, che distrugga Hamas e tutti i suoi nemici,
che occupi Gaza e annetta la Cisgiordania: se gli sciiti di Hamas e i sunniti dell'Isil,
divisi religiosamente ma uniti dall'odio verso ebrei e cristiani, riuscissero - Dio non
voglia! - a distruggere Israele, il Califfato travolgerebbe anche l'Egitto, si salderebbe
con i movimenti fondamentalisti nel Nord Africa e con il regime islamista di Recep
Tayyp Erdogan in Turchia, e prenderebbe in una tenaglia l'Europa, minacciando di
tagliarle i rifornimenti di gas e petrolio, costringendola ad accettare la penetrazione
della sharia, la legge coranica, in tutti i settori della vita sociale, a subire la
discriminazione delle donne e il lavaggio del cervello dei bambini per addestrarli a
diventare terroristi suicidi, finché nel giro di pochi decenni l'intero continente
cadrebbe sotto il dominio dell'Islam, abdicando a duemila anni di civiltà ebraicocristiana e a tutti i progressi compiuti negli ultimi tre secoli nel campo dei diritti civili
e politici; a quel punto, anche un'America prostrata da otto anni di regime obamista
finirebbe per arrendersi ai fondamentalisti islamici in casa propria, e tutto il genere
umano diventerebbe schiavo di un condominio del terrore islamo-russo-cinese che
riporterebbe le lancette della Storia al Medioevo, cancellando il primato
dell'individuo in nome della prevalenza obbrobriosa della comunità di origine,
religiosa o etnica che sia. Contro questo scenario da incubo si erge oggi la sola
teologica potenza di Israele, il Messia delle nazioni, il popolo che concilia in sé il
massimo della determinatezza e della particolarità con il massimo dell'apertura e
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dell'universalità: come Gesù Cristo, il Messia atteso dal popolo di Israele, era
pienamente maschio, pienamente ebreo, e tuttavia, proprio a partire da questa sua
determinatezza e particolarità, annunciò al mondo il messaggio della misericordia di
Dio per tutti gli esseri umani, per l'uomo come per la donna, per il Giudeo come per il
Greco; così il popolo di Israele, determinato dal sangue e dalla Legge di Mosè, è oggi
il solo a portare senza compromessi la bandiera dell'universalismo, a lottare affinché i
sacri princìpi della Libertà, della Democrazia e dei Diritti dell'Uomo siano estesi a
beneficio di tutti gli individui umani, in ogni angolo del pianeta.
Per questo motivo noi mondialisti appoggiamo e appoggeremo sempre, senza
riserve, la sacrosanta lotta di Israele per la propria sopravvivenza, sicuri come siamo
che essa si inserisce nel quadro della grande guerra che si combatte da secoli tra
Mondialismo e Antimondialismo; guerra che finirà inevitabilmente con la creazione
dell'Impero mondiale federale e liberaldemocratico, il quale abbatterà tutti i tiranni
laici e teocratici e assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. In quel
giorno anche lo Stato di Israele, come tutti gli altri Stati, potrà abbandonare senza
rimpianti la propria sovranità e la propria separatezza e determinatezza storico-etnica
e religiosa, per divenire una semplice circoscrizione amministrativa di un solo Stato
mondiale, con un solo popolo e una sola legge, con uguali diritti e doveri per tutti.
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L'ISLAM, IL CRISTIANESIMO E L'INVIDIA DEL KALASHNIKOV
(16/01/2015) I due attacchi terroristici islamici avvenuti la scorsa settimana a
Parigi hanno suscitato reazioni ambigue e inquietanti non soltanto presso i soloni
della grande stampa europea e internazionale, sempre pronti a giustificare tiranni,
dittatori e assassini, ma anche e soprattutto da parte di vescovi, cardinali e addirittura
dello stesso Papa Bergoglio.
Inspiegabilmente e scandalosamente i massimi rappresentanti della Chiesa
cattolica, invece di ricordare l'esortazione di Gesù Cristo a "porgere l'altra guancia a
chi ti offende", si sono schierati dalla parte delle masse islamiche fanatizzate,
accusando i poveri disegnatori e redattori del settimanale satirico "Charlie Hebdo", il
cui sangue macchiava ancora il pavimento del giornale, di "essersela cercata", di aver
"mancato di responsabilità", di aver "offeso la fede religiosa di un miliardo e mezzo
di musulmani, quanto essi hanno di più caro, di più intimo e profondo"; qualche
opinionista cattolico ha addirittura rinfacciato maramaldescamente alle vittime di
aver pubblicato vignette "blasfeme" anche nei confronti di Gesù Cristo, della
Madonna, della Trinità e del Romano Pontefice, quasi rammaricandosi che i cattolici
siano stati più tolleranti degli islamici; e lo stesso Bergoglio, sull'aereo che lo portava
dallo Sri Lanka alle Filippine, dopo aver espresso la solita, retorica condanna nei
confronti di chi "uccide in nome di Dio" (naturalmente facendo di ogni erba un
fascio, senza precisare che c'è Dio e dio, c'è il Dio di Gesù Cristo che è Logos e Pace
e c'è il falso dio Allah che è irrazionale e violento), se l'è prontamente rimangiata
affermando che "se uno offende, deride e disprezza la religione, si deve aspettare
delle reazioni violente" e che se uno offende la religione di un altro è come se gli
offendesse la madre e quindi deve aspettarsi "un pugno in testa", proprio lui che di
fronte al massacro quotidiano dei cristiani nei paesi islamici pretende di cavarsela a
buon mercato dicendo ai fedeli di pregare...
Ora, a parte il fatto che per i musulmani il concetto di "offesa alla religione" è
piuttosto ampio e confuso (si è ritenuti "blasfemi" anche se si fa un ritratto serio e
posato di Maometto, senza alcun intento caricaturale), a noi mondialisti sembra che i
cristiani si siano lasciati influenzare negativamente dagli islamici in merito alla
nozione di Sacro e al rapporto fra questo e l'uomo. Gli islamici infatti, come indica la
stessa parola Islam = sottomissione, credono che il Sacro sia una realtà totalmente
avulsa dall'uomo, dalla sua natura razionale e libera, dai suoi desideri e dalla sua
aspirazione alla felicità; una realtà assolutamente trascendente, terribile e violenta,
davanti alla quale l'uomo potrebbe solo inchinarsi e, appunto, sottomettersi,
rinunciando all'uso della propria ragione e della propria libertà per obbedire
ciecamente a colui che, di tempo in tempo, si proclama annunciatore della volontà di
Dio. Noi mondialisti, invece, riteniamo - come ha detto il nostro Signore Gesù Cristo,
il vero Figlio di Dio - che "il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato"; che
la libertà di espressione e di religione discende dalla natura dell'uomo creato libero a
immagine e somiglianza di Dio, e quindi è, essa sì, un diritto sacro, il diritto più sacro
di tutti; che perciò il Sacro ha senso, ed è degno di rispetto, solo in quanto è conforme
alla dignità di ogni individuo umano; e che pertanto nessuna vera o presunta offesa a
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una fede religiosa possa giustificare la messa a morte del vero o presunto "offensore".
I cristiani, fino a qualche tempo fa, sembravano aver ben compreso questa verità
evangelica: avevano smesso di perseguitare gli "eretici" - qualifica che spesso serviva
a mettere al bando ogni nemico o persona "scomoda", come fece Filippo il Bello con
noi Templari - e nella Dichiarazione Dignitatis humanae emessa durante il Concilio
Vaticano II avevano riconosciuto solennemente che ogni uomo e donna ha il diritto di
cercare la verità su Dio, sul mondo e su se stessi senza subire costrizioni; ma da
qualche anno essi, quasi fossero vittime della nefasta influenza della propaganda
islamica, hanno compiuto molti passi indietro sulla via della tolleranza.
Sembra quasi che il Cristianesimo provi nei confronti dell'Islam una sorta di
"invidia del kalashnikov" analoga all'"invidia del pene" che Sigmund Freud attribuiva
alle ragazze adolescenti; è come se i vertici della Chiesa invidiassero l'intolleranza e
il fanatismo dei musulmani, ingannando se stessi e scambiando tale intolleranza e
fanatismo per genuina fede in Dio, e di conseguenza desiderassero che tutti i fedeli
cristiani fossero altrettanto fanatici e intolleranti nei confronti di quanti offendono la
fede cristiana. Non si rendono conto, il Papa Bergoglio, i vescovi francesi, l'ineffabile
cardinal Tauran (che qualche anno fa, di fronte all'accusa di "blasfemia" nei confronti
di una bambina pakistana affetta dalla sindrome di Down, invitava a "considerare la
proporzione tra l'accusa e come si è svolto il fatto, se ci sia stata o meno
consapevolezza e volontà", come se l'offesa consapevole e volontaria nei confronti di
Maometto possa giustificare una condanna a morte), che la "tiepidezza" dei cristiani
nel rispondere alle offese verso la loro religione è un pregio, una benedizione, un
grande dono che l'Onnipotente ha fatto loro per il tramite dell'Illuminismo, di
quell'Illuminismo che adesso Bergoglio considera diabolico, ma che il suo
predecessore Joseph Ratzinger, nel famoso discorso di Ratisbona del 2006, aveva
elogiato per aver "costretto" il Cristianesimo a unire insieme Fede e Ragione
allontanandosi dalla trappola mortale del fanatismo e dell'imposizione violenta del
Vangelo, mentre gli islamici, proprio per aver posto il loro falso dio Allah in una
trascendenza oltre il Logos, proprio per aver rifiutato di conciliare Ragione e fede,
hanno tentato e tentano da 1.400 anni di sottomettere con la violenza tutto il genere
umano alle loro credenze false, fanatiche e discriminatorie nei confronti delle donne e
dei non-islamici.
Per questo l'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il
Partito Mondialista, suo ramo esecutivo, nel condannare con forza e, noi sì, senza
retorica le barbariche stragi compiute dagli assassini islamici in nome di Allah e
Maometto, esortano i cristiani di tutto il pianeta a non farsi traviare dai cattivi pastori
che non si curano del gregge del Signore Dio, che predicano una falsa misericordia
verso gli islamici massacratori di cristiani e poi giustificano la violenza degli stessi
islamici nei confronti di tutti i non-islamici, e rinnovano il loro fermo proposito di
compiere ogni sforzo per «secolarizzare l'Islam» come primo passo per attuare il
Grande Progetto, contenuto nel Manifesto programmatico del Partito Mondialista, di
creare un Impero mondiale, federale e liberaldemocratico, che assicuri il rispetto dei
diritti sacri e inalienabili di ogni individuo umano alla vita, alla libertà e alla ricerca
della felicità. Agli islamici, invece, ricordiamo quanto già scritto nel nostro editoriale
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del 25 maggio 2013: noi mondialisti, con la nostra operazione "Snow on the Sahara"
che ha portato all'esplodere delle Primavere Arabe e alla caduta dei regimi dittatoriali
di Ben Ali in Tunisia, di Mubarak in Egitto, di Gheddafi in Libia e di Saleh nello
Yemen, abbiamo teso la nostra mano amica verso gli islamici, tentando il "sacro
esperimento" di convertirli alla democrazia liberale e al rispetto dei diritti dell'uomo.
Ora spetta ad essi, e ad essi soltanto, scegliere se vogliono integrarsi nel mondo
globalizzato di oggi e nell'Impero mondiale venturo, convivendo in pace con il resto
del genere umano, o se preferiscono essere spazzati via dal soffio dello Spirito di Dio
e cancellati dalla Storia, come è avvenuto per il nazismo e il comunismo.
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ALLA GUERRA DICHIARATA DALL'ISLAM
SI DEVE RISPONDERE CON LA GUERRA
(28/06/2015) I quattro sanguinosi attacchi terroristici avvenuti lo scorso venerdì
26 in quattro Paesi - Francia, Tunisia, Kuwait e Somalia - dovrebbero finalmente aver
aperto gli occhi alle sonnacchiose cancellerie occidentali sulla gravissima situazione
in cui il genere umano si trova ormai da più di venti anni: SIAMO IN GUERRA.
Da più di venti anni, ovvero dalle prime stragi compiute dai fondamentalisti
islamici in Algeria negli anni '90 del XX secolo, L'ISLAM HA DICHIARATO
GUERRA A TUTTO IL GENERE UMANO.
In questi anni l'Islam ha ucciso più di 100.000 innocenti in Algeria; ha preso il
potere in Afghanistan, trasformandolo in un emirato del terrore, con esecuzioni
pubbliche quotidiane negli stadi; ha compiuto decine di attentati, dalle ambasciate
americane in Kenya e Tanzania all'abbattimento delle Torri Gemelle di New York
l'11 settembre 2001, dalle stragi di Madrid, Bali e Londra alle ultime in Tunisia e
Kuwait; ha ricreato il Califfato sunnita su più di metà della Siria e su più di metà
dell'Iraq, uccidendo, sgozzando, decapitando, vendendo schiave le donne del nemico
e addestrando i bambini fatti prigionieri a diventare scudi umani, mentre la teocrazia
pedofila degli ayatollah sciiti opprime dal 1979 il nobile popolo di Persia e oggi
allunga la sua ombra malefica dal Libano allo Yemen, dalla Siria all'Iraq.
Ormai ogni musulmano, in qualunque parte del mondo viva, può trasformarsi da
un momento all'altro in un assassino spietato che uccide e decapita il proprio datore
di lavoro, come è avvenuto venerdì scorso in Francia, oppure prende in ostaggio
uomini, donne e bambini innocenti in una scuola o in un teatro uccidendoli in modo
efferato, come hanno fatto i terroristi islamici ceceni a Beslan e a Mosca, oppure si fa
esplodere contro una base militare dell'Unione Africana in Somalia o in una moschea
della fazione avversa, oppure entra in una pasticceria di Sidney massacrando
chiunque gli capiti a tiro, oppure si lancia con la propria automobile contro i passanti,
come è avvenuto alcuni mesi fa in Canada, oppure chiede un passaggio a un
automobilista per pugnalarlo a morte, come ha fatto un arabo in Israele una settimana
fa.
È tempo che tutto il genere umano comprenda che l'ISLAM È UNA
IDEOLOGIA INTOLLERANTE, TOTALITARIA E ASSASSINA, UNA
IDEOLOGIA DI MORTE CHE VA FERMATA A QUALUNQUE COSTO, PENA
LA STESSA SOPRAVVIVENZA DELL'UMANITÀ SULLA TERRA.
È tempo che tutto il genere umano, dall'America alla Russia, dall'Europa alla
Cina, si unisca in una sacra guerra per la sopravvivenza, per la liberazione dal terrore,
dall'intolleranza e dall'oppressione portate dall'Islam ovunque esso sia arrivato.
Per vincere questa santa guerra della Vita contro la Morte, tutto il genere umano
dovrà adottare contro l'Islam misure straordinarie, eccezionali, le uniche adeguate a
fronteggiare la minaccia mortale che l'Islam costituisce; misure di emergenza che
forse faranno storcere il naso alle anime belle, ai ciecopacifisti, ai cultori dello Stato
di diritto senza se e senza ma, a quanti sono convinti che a una guerra di sterminio si
possa rispondere con i poliziotti di quartiere e con la magistratura ipergarantista. Non
102
comprendono, questi cultori della legalità assoluta, che lo Stato di diritto, il principio
nulla poena sine praevia lege, il giusto processo, la democrazia che conta i voti e
non li pesa, sono stati creati nell'Europa stremata dalle guerre di religione per
garantire un certo grado di sicurezza agli oppositori dei sovrani e dei governi di volta
in volta al potere, sul presupposto che governanti e oppositori, maggioranza e
minoranza condividessero un insieme di princìpi e di valori di libertà, uguaglianza,
tolleranza per tutte le religioni e le opinioni politiche. Già con l'avvento del
comunismo in Russia, e poi del fascismo in Italia e del nazismo in Germania, i più
saggi videro e compresero che gli istituti dello Stato di diritto liberale e della
democrazia potevano essere usati da forze antiliberali e antidemocratiche per
prendere il potere e metterli poi da parte come arnesi inutili, per instaurare regimi
totalitari basati sul terrore di Stato e sul più cieco conformismo ideologico.
Così come il Terzo Reich e l'Unione Sovietica non sono stati sconfitti e abbattuti
da operazioni di polizia e da sentenze giudiziarie, ma da bombardamenti a tappeto,
sbarchi aeronavali e schieramenti di truppe e di missili (anche nucleari), allo stesso
modo, per sconfiggere l'Islam, sarà necessario SOSPENDERE LE GARANZIE
DELLO STATO DI DIRITTO E DELLA DEMOCRAZIA NEI CONFRONTI DEI
MUSULMANI.
Per sconfiggere l'Islam, sarà necessario affidare la gestione dei musulmani
presenti nei Paesi non islamici alla competenza delle Forze Armate. Ogni familiare,
parente, amico di un musulmano che compia atti terroristici dovrà essere espulso
dall'Occidente. Ogni musulmano che dia denaro, armi o altri aiuti a chi compie
attentati terroristici dovrà essere espulso dall'Occidente. Ogni musulmano, sia esso un
imam o no, che predichi, giustifichi o invochi l'odio, l'intolleranza, la persecuzione e
l'uccisione di individui non musulmani dovrà essere espulso dall'Occidente. Ogni
musulmano che rifiuti di giurare fedeltà ai princìpi immortali e inalienabili di libertà,
uguaglianza e tolleranza, dovrà essere espulso dall'Occidente. Infine, tutti i Paesi non
islamici della Terra dovranno formare un grande esercito, occupare militarmente, uno
dopo l'atro, tutti i Paesi islamici, eliminare fisicamente tutti i tiranni e i dittatori laici e
teocratici, epurare le forze armate, la burocrazia, la magistratura e i mass media da
ogni individuo intollerante e fondamentalista, e creare in quei Paesi una società civile
laica, tollerante e democratica, capace di assumere progressivamente l'autogoverno
nel rispetto degli immortali e inalienabili diritti di ogni uomo e donna alla vita, alla
libertà e alla ricerca della felicità. Se poi qualche Paese non islamico, come la Russia
del tiranno Putin o la Cina comunista, non si schierasse con il resto del genere umano
in questa santa guerra contro l'oppressione islamica, tali Paesi e regimi dovranno
essere considerati, come l'Islam, NEMICI DEL GENERE UMANO, e trattati come i
Paesi islamici, al fine di rimuovere anche i loro tiranni e dittatori e trasformare
anch'essi in Paesi liberali, democratici e rispettosi dei diritti umani, in regioni
desovranizzate di un unico Impero mondiale federale, liberale, democratico e
tollerante.
Noi mondialisti sappiamo bene che la guerra di liberazione del genere umano
dalla minaccia dell'Islam costerà sangue, sofferenze e lacrime per milioni di
innocenti; e sappiamo bene che la minaccia dell'Islam sarà veramente sconfitta
103
soltanto quando saranno sconfitti tutti i regimi tirannici, dittatoriali e totalitari che
forniscono ai musulmani armi e complicità. Ma sappiamo pure che l'unica alternativa
alla guerra contro l'Islam e contro i suoi complici dell'Asse del Male sarebbe la resa
dell'Occidente e di tutto il genere umano alle potenze intolleranti, totalitarie e
assassine che strumentalizzano, il Sacro, il Sangue e il Suolo per combattere la civiltà
della Vita, della Libertà e dei Diritti dell'Uomo; e sappiamo che, come il genere
umano ha saputo sconfiggere il nazifascismo e il comunismo, così saprà sconfiggere
anche il terrorismo islamico e ogni altro regime intollerante, tirannico e totalitario.
Perché l'aspirazione ad una vita libera, sicura e felice è stata posta da Dio nel cuore di
ogni uomo e donna che viene al mondo, dal principio della storia fino a oggi; e tale
aspirazione troverà il suo compimento inevitabile nella creazione di un solo Stato
mondiale liberale, democratico e tollerante, che assicurerà pace, prosperità, libertà e
giustizia per tutti. ONE STATE FOR ONE PEOPLE: MANKIND/UN SOLO
STATO PER UN SOLO POPOLO: L'UMANITÀ.
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CONTRO L'ISLAM ASSASSINO CI VOGLIONO RIMEDI ESTREMI
(21/11/2015) Gli avvenimenti delle ultime settimane mostrano ormai
chiaramente a chiunque non sia accecato dai fumi dell'ideologia che L'iSLAM HA
DICHIARATO GUERRA A TUTTO IL GENERE UMANO, e che il genere umano
ha davanti a sé solo due strade: o sceglie di sottomettersi all'islam assassino e di
vivere una vita da dhimmi, da schiavi in balia dei seguaci del falso dio Allah e del
falso profeta Maometto, oppure decide, una volta per tutte, di difendersi adottando
tutte le misure necessarie a sconfiggere chi vuole sterminarlo.
1) In primo luogo, come in ogni guerra dal principio della storia umana, è
necessario compattare il cosiddetto "fronte interno". Ciò implica la necessità di
formare una coalizione planetaria di tutti i popoli che non vogliono sottomettersi
all'Islam assassino di matrice sunnita autore dei recenti attacchi terroristici a Parigi
e Bamako: Stati Uniti d'America e Israele, Europa, India, Giappone, Australia e
Nuova Zelanda, ma anche Russia, Cina e l'Iran dominato dalla teocrazia sciita
dovranno mettere da parte le loro rivalità politico-economico-religiose e combattere
insieme contro il Califfato. Dovranno bombardare a tappeto Raqqa, Mosul e le altre
città in mano ai seguaci di al-Baghdadi, con bombe e missili di ogni tipo, distruggere
caserme, centri di comando, strade e vie di comunicazione, pozzi petroliferi,
raffinerie e depositi, senza escludere l'uso di alcuna arma, compresa la bomba
atomica. Del resto, nel 1945 gli Americani non furono forse costretti a incenerire nel
fuoco nucleare Hiroshima e Nagasaki per convincere Hirohito e la sua casta di
guerrafondai ad arrendersi, e risparmiare così le vite di decine di migliaia di soldati
statunitensi e di centinaia di migliaia di civili nipponici che altrimenti sarebbero state
sacrificate nella conquista di tutto il territorio del Giappone, in uno stillicidio di
combattimenti casa per casa? Ebbene, adesso il pericolo per tutto il genere umano è
ben più grave di quello costituito dal Giappone 70 anni fa, pertanto l'uso dell'arma
atomica per sconfiggere il Califfato sanguinario non può essere esclusa a priori.
2) Ma non basterà distruggere lo Stato Islamico per sventare il pericolo
costituito dall'Islam sunnita: come si è visto nelle strade di Gerusalemme, a Parigi e a
Bamako, ma anche in precedenza a Madrid e Londra, a Bali, Bangkok, Mumbai e in
tutti i luoghi colpiti dal terrorismo islamico - a partire da New York e Washington,
martirizzate l'11 settembre 2001 -, gli islamici sunniti sono un miliardo di fanatici
disposti a tutto per imporre la loro ideologia di morte su tutto il pianeta, sono pronti a
farsi esplodere sugli autobus e nei teatri, a sparare a caso su persone innocenti nei
ristoranti e nelle sale da concerto, ad avvelenare le riserve idriche, ad usare armi
chimiche, batteriologiche e nucleari allo scopo malvagio e abietto di uccidere il
maggior numero possibile di non-islamici. Per fermarli sarà necessario limitare
fortemente, se necessario annullare le libertà di tutti i musulmani residenti in
Paesi non-islamici: essi dovranno venire internati tutti in campi di prigionia, così
come avvenne per gli Italiani, i Tedeschi e i Giapponesi residenti in Inghilterra e
negli Stati Uniti d'America durante la seconda guerra mondiale, perché il pericolo, lo
ripetiamo ancora una volta, il pericolo di sterminio per tutto il genere umano è molto
più grande oggi di quanto lo fosse 70 anni fa. Inoltre tutte le spie, tutti i traditori,
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tutti coloro, islamici e non-islamici, che collaboreranno con il nemico in qualsiasi
modo, compiendo attentati terroristici, sabotando l'economia e la vita sociale dei
Paesi della coalizione anti-sunnita, o diffondendo propaganda a favore del
nemico, dovranno essere passati per le armi.
3) Infine, i Paesi islamici a maggioranza sunnita, a partire dall'Arabia Saudita,
Quatar, Kuwait e le altre monarchie della penisola arabica che attualmente finanziano
il Califfato, e quindi il terrorismo, con i provneti della vendita del petrolio, dovranno
essere posti davanti a una scelta: o romperanno i loro legami, le loro complicità, le
loro alleanze con il Califfato, cessando ogni finanziamento e ogni fornitura di
armi ai terroristi e aderendo alla Coalizione, oppure dovranno subire lo stesso
trattamento del Califfato e dei suoi seguaci, dovranno anch'essi venire attaccati,
sconfitti e distrutti.
Noi mondialisti sappiamo bene che non tutti coloro i quali oggi combattono
contro il Califfato sunnita sono animati da ideali di libertà, democrazia e rispetto dei
diritti umani: sappiamo bene che il tiranno Putin sta combattendo il Califfato con lo
scopo, neppure troppo nascosto, di mantenere al potere il macellaio Assad per
imporre la propria egemonia sul Mediterraneo, utilizzando le basi navali siriane, e
che l'Iran dominato dalla teocrazia sciita brama di vendicarsi della sua secolare
sottomissione ai sunniti (che costituiscono il 90% di tutti gli islamici del mondo) e di
mettersi alla testa della jihad contro l'Occidente. Ma sappiamo pure che le necessità
belliche richiedono di stringere alleanze con tutti i nemici del proprio nemico: come
70 anni fa Churchill e Roosevelt strinsero alleanza con Stalin per sconfiggere l'Asse
Roma-Berlino-Tokio, così oggi è necessario che l'Europa e gli Stati Uniti d'America una volta che questi ultimi si saranno sbarazzati del tiranno filoislamico Barack
Hussein Obama e si saranno dati un Comandante in Capo degno di tal nome - si
alleino con il grande tiranno Putin e con i suoi vassalli Khamenei e Assad, come pure
con i mandarini del Partito Comunista Cinese, per sconfiggere l'Armata della Morte
sunnita.
Dopo che questo grande pericolo sarà stato sventato, dopo che il Califfato sarà
stato distrutto, al-Baghdadi ucciso con tutti i suoi seguaci, e i sunniti di tutto il pianeta
pacificati o neutralizzati in un modo o nell'altro, allora l'Occidente potrà e dovrà
rivolgere le proprie armi e i propri eserciti contro l'Asse del Male Mosca-PechinoTeheran, per liberare i nobili popoli di Russia, di Cina e di Persia dalla loro schiavitù
e miseria materiale e spirituale, e creare finalmente l'Impero mondiale che assicurerà
pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Ma ogni grande costruzione destinata a
durare nei secoli non si realizza in un solo giorno. Oggi è il tempo di combattere il
Califfato e i sunniti. Ad ogni giorno basta la sua pena.
106
MONDIALISMO E RUSSIA
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PETROLIO E LIBERTÀ
(24/12/2006) In questi giorni di festa più consumistica che spirituale, e con i
giornali in sciopero permanente effettivo, gli Italiani non hanno forse ancora avuto
notizia di un evento che dovrebbe farli riflettere molto, e con loro tutti gli Europei: il
colosso energetico russo Gazprom, controllato dallo Stato, ha deciso di adottare una
politica tariffaria a doppio binario e secondo un criterio politico. Per dirla in breve, da
questo inverno Paesi come Ucraina e Georgia, accusati dal Cremlino di tenere una
politica filo-occidentale, pagheranno per il metano fornito da Mosca un prezzo più
alto di quello che sarà accordato a regimi "amici" come la Bielorussia.
Dovrebbero riflettere in primo luogo gli Italiani, che già lo scorso anno ebbero a
soffrire per una riduzione delle forniture di gas adottata formalmente come ritorsione
verso un presunto furto da parte del governo di Kiev, ma in realtà per punire quel
popolo "colpevole" di aver abbattuto il regime tirannico e comunista amico della
Russia e di aver scelto come presidente quel Viktor Yushchenko che il cekista Putin
aveva già tentato di assassinare con la diossina, nello stile tipico del Kgb da cui è
stato allevato (ombrelli dalla punta avvelenata e tè al polonio, per intendersi); forse,
se lo facessero a fondo e secondo verità, si pentirebbero delle loro recenti scelte
elettorali e farebbero a pezzi il loro premier, il placido Prodi che due mesi or sono,
ponendo la propria firma su un contratto tra Eni e Gazprom, ha aperto a quest'ultima
la possibilità di vendere direttamente metano in Italia, assoggettando così il proprio
paese al ricatto energetico.
Ma dovrebbero riflettere anche tutti gli abitanti del Vecchio Continente, dal
momento che la mossa del colosso russo si inscrive in una strategia degna di un
campione di scacchi: l'intesa con l'Eni, che fa di Gazprom un fornitore privilegiato di
tutta l'Unione Europea; l'alleanza con la compagnia algerina Sonantrach, anch'essa
sotto il ferreo controllo dello Stato - di quello Stato ex-colonia francese il cui primo
leader, Bourghiba, profetizzò che il ventre delle madri islamiche sarebbe stato l'arma
decisiva per la riconquista dell'Europa da parte dei seguaci di Allah -, con la Libia di
Gheddafi e con l'Uzbekistan ancora sovietizzante; i buoni rapporti fra la Russia del
nuovo zar e il regime iraniano, rapporti che si sostanziano nello scambio di petrolio
contro tecnologia nucleare per mettere gli ayatollah in condizione di costruirsi la
Bomba e missili a lunghissima gittata (anche intercontinentale) affinché possano
lanciarla su Tel Aviv, Haifa e magari anche su Atene, Napoli e Roma; tutto questo
costituisce la prova evidente dell'esistenza di quell'«asse del male» contro cui il
presidente americano George Walker Bush non cessa di suonare l'allarme fin
dall'inizio del suo primo mandato, voce che grida nel deserto dell'indifferenza
eurocontinentale. Una impura alleanza tra fondamentalisti islamici e nostalgici del
comunismo che vuole usare spregiudicatamente le forniture energetiche come
strumento di ricatto al fine di zittire la voce degli Europei quando protestano per la
violazione dei diritti umani, di riassorbire sotto la tutela dell'orso russo oggi l'Ucraina
e la Georgia, domani la Polonia e gli altri paesi che un tempo facevano parte del Patto
di Varsavia, e da qui a dieci o vent'anni, di strangolare l'intero continente nella doppia
tenaglia dell'energia e dell'immigrazione per creare quell'entità imperiale estesa da
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Lisbona a Vladivostok che è nei progetti della lobby eurasista: un'alleanza tra Europa,
Russia e Islam autosufficiente dal punto di vista economico, autarchica, dominata da
una ideologia comunitaristica e razzista e da una religione neopagana, capace di
soggiogare l'Africa e l'Asia, di sconfiggere l'odiata America e di cancellare dalla
faccia della terra cristiani ed ebrei, seguaci di religioni universalistiche nemiche di un
«sano sentimento dell'identità e dell'appartenenza alla propria comunità». Sarebbe la
fine della libertà per miliardi di esseri umani.
Se letta in questa prospettiva acquista un barlume di verità anche la tesi,
sostenuta da molti no-global, secondo cui le operazioni umanitarie sinora condotte
dagli Stati Uniti d'America nel Kossovo, in Afghanistan e in Iraq, e perfino una futura
guerra contro l'Iran dei mullah, avrebbero quale scopo nascosto la creazione di
governi favorevoli alla costruzione di un immane oleodotto capace di trasportare per
migliaia di chilometri, fino in Europa, le ricchissime riserve petrolifere di repubbliche
asiatiche come il Turkmenistan, non a caso alleatesi con gli Usa dopo l'11 settembre.
La verità è che il petrolio centroasiatico non serve agli Stati Uniti d'America: nel
Golfo del Messico e in Alaska ci sono riserve gigantesche ancora non sfruttate. Non
serve neppure alla Gran Bretagna, che preferisce approvigionarsi dalle piattaforme
nel Mare del Nord. Servirebbe invece moltissimo all'Europa, perché le consentirebbe
di liberarsi dal ricatto incrociato di Mosca, Teheran, Algeri e Tripoli e la salverebbe
dall'infausto destino di trasformarsi in Eurabia o, peggio ancora, in una succursale
dell'Unione Islamo-Sovietica.
Finché il progresso tecnologico non affrancherà l'Occidente dalla dipendenza dai
combustibili fossili, finché tutte le case dell'Euro-America non saranno riscaldate
dall'energia solare, dalle maree o da un nucleare sicuro, e finché tutte le automobili
non saranno alimentate con idrogeno, etanolo o zucchero (non sorridete, sono in
corso ricerche sorprendenti anche su questo versante) la parola "libertà" farà sempre
rima con "petrolio"; insieme staranno in piedi o cadranno. È bene pensarci, la
prossima volta che dallo stomaco salga alle labbra un'imprecazione contro Bush e la
sua "cricca" di petrolieri.
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BISOGNA FERMARE PUTIN. SUBITO
(8/8/2007) Da alcuni mesi il capo del Cremlino, l’ex agente del Kgb Vladimir
Putin, sta dimostrando di essere, se possibile, ancora più pericoloso per la pace e la
libertà dell’Occidente di un Bin Laden.
Dapprima ha scatenato un’offensiva mediatica, diplomatica e militare contro il
progetto statunitense di costruire uno “scudo spaziale” anti-missili balistici mediante
il dispiegamento in Polonia e nella Repubblica Ceca di postazioni radar di allerta e
batterie di missili intercettori. Un’offensiva iniziata denunciando tale progetto,
contemporaneamente, come «inutile», in quanto situato in una posizione tale da non
poter fermare i missili eventualmente lanciati dall’Iran, e come «pericoloso elemento
di destabilizzazione dell’equilibrio strategico in Europa»; una accusa che rivela
soltanto il timore della Russia di vedersi togliere dalle mani la “pistola” nucleare con
cui da cinquanta anni tiene sotto ricatto i governi europei, come è dimostrato dalla
successiva minaccia di puntare nuovamente i suoi missili a lungo raggio contro le
città del Vecchio Continente. Anche la decisione di ritirarsi unilateralmente dal
Trattato per la riduzione delle forze convenzionali in Europa rientra nella tattica di
minacciare i popoli d’Europa affinché restino, come sono da mezzo secolo, “servi di
due padroni”: alleati degli Stati Uniti d’America, ma con un orecchio attento a
cogliere i diktat del temibile vicino.
In un secondo tempo, Putin ha portato avanti quella strategia di sterminio feroce
di ogni forma di dissidenza iniziata con l’uccisione di moltissimi giornalisti
indipendenti, fra i quali la famosa Anna Politkovskaja, e di numerosi dissidenti: dopo
l’ex colonnello del Kgb Alexander Litvinenko, stroncato da un tè al polonio, è stata la
volta di Yuri Golubev, uno dei fondatori di Yukos (la società petrolifera che
minacciava di scalfire il monopolio energetico, e il conseguente potere ricattatorio,
del colosso statale Gazprom, fatta a pezzi dopo che il suo presidente Mikhail
Khodorkovskij è stato imprigionato in Siberia con false accuse). Un altro sicario
mandato dal Cremlino, lo scorso giugno, stava per eliminare Boris Berezovski, il
leader dell’opposizione democratica anch’egli in esilio a Londra: gli aveva dato
appuntamento all’Hotel Hilton di Park Lane, spacciandosi per un amico, e si era
portato dietro un ignaro bambino, probabilmente per coprirsi la fuga dopo aver
piantato una pallottola nella testa della sua vittima; ma questa volta i servizi segreti
britannici sono stati più veloci, e il piano di morte è stato sventato.
La rabbia del cekista Putin si è quindi scatenata contro la Gran Bretagna,
colpevole di dare asilo a una folta comunità di 250mila russi che si oppongono alla
deriva autoritaria del loro paese dopo i progressi e le speranze suscitati dal governo
del mite Eltsin, e più in generale di essere la testa di ponte degli Stati Uniti d’America
sulla sponda orientale dell’Atlantico. Dapprima la Russia ha rifiutato di consegnare
alle autorità inglesi Andrei Lugovoi, il doppiogiochista accusato di aver avvelenato
Litvinenko con il polonio; e qualche giorno dopo due bombardieri Tupolev 95
“Orso”, capaci di sganciare fino a 16 testate nucleari, si sono pericolosamente
avvicinati allo spazio aereo britannico, come non accadeva dai tempi della Guerra
Fredda; due caccia Tornado, partiti dalla base di Leeming, li hanno “agganciati” coi
110
loro radar di attacco, e solo allora gli “Orso” hanno fatto dietrofront e sono tornati
alla loro base di Murmansk. La dichiarazione del genrale Zelin, capo dell’aviazione
russa, è raggelante per la sua ipocrisia: «I nostri aerei stavano effettuando voli
regolarmente pianificati su acque neutrali»; ogni commento è superfluo...
Gli ultimi due episodi hanno definitivamente colmato la misura. La sera di
lunedì 6 un caccia Su-24 è penetrato nello spazio aereo della Georgia, repubblica exsovietica che dopo la cacciata di Shevardnaze si è avvicinata agli Usa, e ha sganciato
una bomba da 700 Kg, per fortuna non esplosa, su un villaggio a 65 chilometri dalla
capitale, vicino alla provincia dell’Ossezia del Sud che da anni lotta con l’aiuto di
Mosca per la secessione e il congiungimento con la Russia. Le autorità di Tbilisi
hanno convocato l’ambasciatore russo Kovalenko ed espresso la loro ferma protesta;
Mosca ha malamente negato di aver invaso lo spazio aereo georgiano e di aver
sganciato bombe, ma è stata sbugiardata dalle registrazioni dei tracciati radar esibiti
alla stampa dal Ministero degli Esteri della Georgia. La scorsa notte, infine, un
portavoce della Marina ha riferito che la Russia ha portato a termine positivamente il
test di un nuovo tipo di missile balistico a lungo raggio di tipo “Sineva”, lanciato da
un sottomarino nucleare in navigazione nell’Oceano Pacifico.
Questa escalation di attentati e provocazioni dimostra la crescente volontà del
dittatore russo di innalzare la tensione con gli Stati Uniti d’America e con tutto
l’Occidente. Se si aggiungono il sostegno a regimi tirannici come l’Iran del folle
Ahmadinejad e il Venezuela di Chávez, cui sta fornendo tecnologia missilistica e
nucleare, e il rifiuto di isolare i terroristi di Hamas, se ne deve concludere che gli
obiettivi perseguiti da Putin in politica estera sono tre, e tutti inquietanti: ricostituire
l’egemonia russa sui paesi un tempo membri dell’Unione Sovietica e del Patto di
Varsavia; aumentare l’influenza di Mosca sull’Europa occidentale attraverso
un’alternanza di minacce e offerte di forniture di petrolio e gas; innalzare la tensione
in tutte le aree “calde” del mondo allo scopo di tenere alto il prezzo dei combustibili
fossili, riempire le casse dello Stato e indebolire il prestigio degli Stati Uniti
d’America, ponendosi come alfiere di un mondo “multipolare” in cui la resistenza
all’espansionismo Usa è la foglia di fico dietro cui si nasconde la pretesa di tutti i
dittatori, comunisti o islamisti, di essere lasciati liberi di opprimere i loro sudditi in
casa propria.
Per questo motivo l’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World
Empire” e il suo ramo esecutivo, il Partito Mondialista, in applicazione di quanto già
enunciato nel Manifesto programmatico del 3 aprile 2005, hanno fatto e faranno ogni
sforzo per sostenere tutti gli oppositori liberali e democratici al regime autoritario del
cekista Putin, al fine di abbattere il suo regno di terrore e morte e restituire la Russia
all’Occidente, all’amicizia con gli Stati Uniti d’America, terra di libertà e guida del
movimento per la creazione dell’Impero mondiale.
111
PUTIN E AHMADINEJAD PADRONI D'EURASIA
(17/10/2007) La recentissima visita di Vladimir Putin in Iran, iniziata con un
vertice dei cinque paesi che si affacciano sul Mar Caspio (oltre a Russia e Iran,
Azerbaijan, Kazakistan e Turkmenistan) e conclusa con un rafforzamento dell'intesa
nucleare con Mahmoud Ahmadinejad, mostra al di là di ogni ragionevole dubbio
quale sia il disegno dei due dittatori: essere l'uno la mente, l'altro il braccio di un
blocco imperiale eurasiatico.
Da un lato Putin, che per aggirare l'ostacolo posto dalla costituzione russa ad una
sua terza rielezione consecutiva si appresta a candidare nel 2008 un uomo di paglia e
a riservarsi il ruolo di primo ministro (una sorta di Richelieu del XXI secolo), mira a
estendere e consolidare il suo potere di ricatto energetico sull'Europa acquisendo il
controllo dell'area del Caspio, il più importante bacino al mondo di petrolio e gas
naturale già oggi e ancor più nei prossimi decenni, quando i giacimenti del Golfo
Persico inizieranno a esaurirsi; per questo ha preteso e ottenuto dai partner rivieraschi
l'impegno a non mettere il proprio territorio a disposizione di paesi terzi, così
bloccando in un sol colpo sia i tentativi degli Stati Uniti di impiantarvi basi per la
lotta al terrorismo in Afghanistan e Iraq, sia il progetto americano di un gasdotto che
attraversi il Caspio alleviando la fame d'energia degli europei - si ricordi che la
Francia, pur avendo 58 centrali nucleari (il numero più alto in Europa), dipende da
approvigionamenti esteri per metà del proprio fabbisogno energetico -.
Dall'altro Ahmadinejad, ex-pasdaran che si è fatto le ossa sequestrando i
diplomatici americani a Teheran nel 1979 e compiendo incursioni segrete a Kirkuk
durante la guerra contro Saddam Hussein, ed è salito alla presidenza come protetto
della Guida suprema della Rivoluzione Alì Khamenei, è un fanatico fortemente
imbevuto dell'ideologia-forza dell'Islam (non merita di esser chiamata religione):
distruggere l'odiata "entità sionista", Israele, come prologo allo sterminio di ebrei,
cristiani e apostati (categoria amplissima nella quale rientrano, l'uno per l'altro,
sunniti e sciiti, come pure tutti i musulmani "moderati" e quelli non pienamente
osservanti) per affrettare la venuta del Giorno del Giudizio, in cui Allah dovrebbe
concedere l'eterna beatitudine ai "veri credenti" e condannare all'eterna dannazione i
miscredenti; e oltretutto sa benissimo che nessun tiranno islamico può mantenersi al
potere se rinuncia a questo obiettivo (il presidente egiziano Sadat fu assassinato dai
Fratelli Musulmani, di cui era stato alleato, per aver concluso con Israele la pace di
Camp David). Però ha appena 41 anni, e come tutti gli uomini possiede l'istinto di
autoconservazione (insieme ad altri ugualmente umani ma indegni di un "buon"
musulmano: subito dopo l'elezione fu accusato di aver, nientemeno, guardato delle
ballerine senza velo). L'intesa cordiale con Putin, che ha portato sinora alla
costruzione dell'impianto nucleare di Bushehr e alla fornitura all'Iran, direttamente o
via Cina (a sua volta affamata di petrolio caspico) di missili balistici sempre più
potenti - l'attuale Shahab 3 ha una gittata di 1.500 Km, vale a dire fino ad Istambul; lo
Shahab 5 in costruzione arriverebbe a 4.900 Km, cioè fino a Lisbona e Seul - gli
permette in prospettiva di prendere due piccioni con una fava: radere al suolo due o
tre città israeliane (ad esempio Tel Aviv, centro commerciale ed economico dello
112
Stato, Haifa, polo scientifico e tecnologico d'eccellenza, e Ashqelon) uccidendo
alcuni milioni di "porci" ebrei (oltre a varie decina di migliaia di arabi che, va da sé,
verrebbero bollati come "apostati"); coprirsi di gloria imperitura presso la Umma
togliendo al sunnita Bin Laden il titolo di "spada dell'Islam"; e procrastinare il
proprio personale Giorno del Giudizio di trenta o quarant'anni grazie ai veti nel
Palazzo di vetro dell'amico Putin e ai suoi bombardieri che hanno ripreso a sorvolare
i cieli del globo, godendosi le vergini terrene (e forse anche i giovinetti, come è
costume dei mullah secondo le denunce di molte ONG) in attesa di quelle celesti...
Qualcuno potrebbe obiettare a questa ricostruzione paventando il pericolo per la
Russia rappresentato da un Iran dotato della Bomba e di missili in grado di
trasportarla su ogni angolo del suo territorio; ma questa critica non tiene conto del
fatto che l'arsenale missilistico e nucleare a disposizione di Putin è di gran lunga
superiore a quello che ora sta fornendo al suo alleato. Agli ayatollah non conviene
sfidare la Russia, oggi come ieri (è per questo motivo che il progetto del giovane
Ahmadinejad di assaltare anche l'ambasciata sovietica fu prontamente accantonato);
conviene piuttosto esserne la longa manus, il braccio armato a cui affidare il compito
impopolare di tenere sotto mira Europa, India, Cina e mezza Africa, mentre l'orso
rosso esercita la sua egemonia "morbida" attraverso l'impero di Gazprom.
Sarebbe la realizzazione dei sogni più esaltati degli esponenti dell'eurasismo:
una Grande Alleanza tra Russia e Islam (con l'Europa nel ruolo di banchiere suo
malgrado) in grado di controllare l'intera massa continentale eurasiatico-africana, di
cancellare da essa la "spina" Israele, di assoggettare l'Inghilterra e il Giappone e di
espellere gli Stati Uniti d'America, ricacciandoli nell'Oceano e nelle sue isole
(Australia, Nuova Zelanda e Hawaii) lontano dal Cuore della Terra (Heartland),
nuovo centro del potere mondiale. Sarebbe la fine della libertà per i cinque sesti del
genere umano. Una prospettiva catastrofica che solo il popolo americano, già
impegnatosi tre volte a liberare il mondo prima dall'imperialismo prussiano, poi
dall'Asse Roma-Berlino-Tokio, e subito dopo dall'Impero del male comunista, potrà
scongiurare, se prenderà coscienza della sua missione storica di portare libertà e
democrazia a tutti i popoli e di fondare, con lacrime e sangue, un Impero mondiale in
cui finalmente siano assicurati ad ogni uomo e donna gli inalienabili diritti alla vita,
alla libertà e alla ricerca della felicità.
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SATELLITE ABBATTUTO, LO SCUDO USA FUNZIONA.
E PUTIN MASTICA AMARO...
(24/2/2008) Alle 22.30 ora di Washington di mercoledì 20 febbraio il satellite
spia americano Nrol-21 che, sfuggito al controllo dopo il lancio in dicembre, stava
ricadendo sulla Terra è stato distrutto ad un' altezza di circa 230 chilometri da un
missile SM-3 lanciato dall'incrociatore "Lake Erie" della classe Aegis in navigazione
al largo delle Hawaii. Il forte impatto del missile privo di testata esplosiva è stato
sufficiente a ridurre in mille pezzi il veicolo spaziale del peso di 2500 chilogrammi.
Ufficialmente l'azione è stata giustificata dall'esigenza di evitare il rischio che il
satellite cadesse su zone abitate inquinandole con i 500 chilogrammi di idrazina (un
propellente tossico) che aveva a bordo. In realtà, dal momento che la probabilità di
caduta su una zona abitata era molto bassa (il nostro pianeta è coperto per il 70%
dagli oceani, a cui vanno aggiunti deserti, monti e foreste) il significato di quanto
accaduto va ben al di là di una semplice misura di protezione civile, come dimostrano
le veementi proteste subito levatesi da Mosca e Pechino. La verità è che gli Stati
Uniti d'America hanno approfittato dell'occasione - che potrebbe anche esser stata
creata ad arte impartendo al satellite un ordine di rientro in atmosfera - per eseguire, e
con pieno successo, un test di intercettazione di un oggetto piccolo, veloce e molto
pericoloso: qualcosa di molto simile, cioè, ad un missile balistico armato con testate
nucleari.
Fin dall'inizio del suo primo mandato nel 2001 il presidente George Walker
Bush si è dato il compito di mettere gli Stati Uniti e i loro alleati al riparo dall'incubo
dell'apocalisse nucleare che attanaglia il mondo da cinquant'anni. L'«equilibrio del
terrore» fra America e Urss si basava proprio sulla consapevolezza che entrambe le
superpotenze sarebbero uscite annientate da un conflitto condotto usando armi
atomiche: nessuno dei due contendenti ha mai osato sparare il primo colpo perché il
grande numero di ordigni portati a bordo da aerei e sottomarini, in volo e in
navigazione 24 ore su 24, avrebbe garantito all'avversario la possibilità di attuare una
rappresaglia micidiale anche dopo che tutte le sue città fossero state incenerite. Dopo
il crollo dell'Unione Sovietica nel 1991 le cose, anziché migliorare, sono andate di
male in peggio: il nuovo zar di Russia, il gelido Putin che ricorda con nostalgia il
periodo staliniano, ha fornito senza scrupoli tecnologia missilistica e nucleare alle
peggiori dittature del pianeta, dalla Corea del Nord all'Iran del folle Ahmadinejad che
vuole cancellare Israele dalle carte geografiche. Il suo obiettivo è chiaramente la
creazione di un "asse del male" che unisca sotto la sua guida tutti i regimi che odiano
libertà e democrazia e sono quindi nemici giurati dell'America e di Israele, unico
paese democratico del Medio Oriente, allo scopo di stringerli in una tenaglia mortale.
L'unico modo per sfuggire a questa trappola consiste nell'allestire un sistema
avanzato di difesa basato sull'uso di missili in grado di intercettare le testate nucleari
durante il loro volo al di sopra dell'atmosfera, quando, essendosi distaccate dal
vettore di lancio, il loro movimento è determinato unicamente dalla forza di gravità
terrestre ed esse non possono più cambiare rotta per sfuggire agli inseguitori.
Ecco perché l'abbattimento del satellite "impazzito" costituisce per gli Stati Uniti
114
d'America un grande successo, e per Mosca e Pechino un buon motivo per masticare
amaro: esso dimostra che gli Usa possiedono finalmente la tecnologia necessaria e
sufficiente per costruire uno «scudo spaziale» capace di difendere per sempre il
proprio territorio non solo dai missili nucleari provenienti da Russia e Cina, ma anche
da quelli che in futuro potrebbero essere lanciati dall'Iran nel corso di una guerra
scatenata contro l'Occidente dagli ayatollah per conto dei loro padrini di Mosca. Per
questo Putin ha affermato che lo scudo spaziale americano costituisce «una
gravissima violazione dell'equilibrio strategico in vigore in Europa da mezzo secolo»
e minaccia costantemente i pavidi Europei di puntare i suoi missili contro le loro città
se acconsentiranno a ospitare sul loro territorio le postazioni radar e le rampe di
lancio dei missili intercettori, come hanno già deciso Polonia e Repubblica Ceca: la
verità è che lo scudo Usa difenderebbe non solo gli Stati Uniti d'America, ma anche
le città e i popoli d'Europa, e toglierebbe dalle mani della Russia la pistola con cui da
cinquant'anni tiene sotto tiro il Vecchio Continente, togliendogli la libertà di
schierarsi, come pure vorrebbe, al fianco degli Stati Uniti e costringendolo ad una
politica ipocrita di "equidistanza" fra Oriente e Occidente, fra tirannide e libertà.
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TRA KOSSOVO E OSSEZIA LA DEMOCRAZIA FA LA DIFFERENZA
(10/8/2008) La guerra scoppiata tre giorni fa nel Caucaso, con l'occupazione
della piccola e pacifica repubblica di Georgia da parte dell'imponente armata russa in
risposta ad una operazione di Tbilisi diretta a riportare sotto la legittima sovranità
georgiana le regioni dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud, ha scatenato sui mezzi di
comunicazione italiani la solita litania di intellettualoidi filorussi come l'ineffabile
Sergio Romano, ai quali non è parso vero di dare addosso ad un Paese che, dopo la
"rivoluzione delle rose", ha il torto inescusabile di aver voltato le spalle a Mosca e di
essersi schierato con l'Occidente, fino a chiedere l'ammissione nell'Unione Europea e,
orrore!, nella Nato. La principale obiezione rivolta da queste quinte colonne di Putin
in Italia a chi, come il presidente degli Stati Uniti George Walker Bush, ha
condannato l'invasione russa di uno Stato sovrano come riedizione di quanto
avvenuto a Budapest nel 1956 e a Praga nel 1968, e ammonito la Russia a restaurare
quanto prima l'integrità territoriale della Georgia, è stata la stessa usata dal tiranno
Putin e dal suo fantoccio Medvedev: con quale coerenza i paesi occidentali
protestano contro il tentativo di secessione dalla Georgia di due regioni a
maggioranza russofona, quando pochi mesi fa essi hanno riconosciuto l'indipendenza
dalla Serbia del Kossovo, solo perché regione a maggioranza albanese?
Sfortunatamente per Putin e per i suoi manutengoli, però, l'analogia non regge.
Non regge perché gli albanesi del Kossovo sono stati vittime di una sanguinosa
operazione di "pulizia etnica" da parte della Serbia di Milosevic, ovvero di arresti
arbitrari, massacri, proibizione di usare la propria lingua e di coltivare la propria
cultura, mentre sudosseti e abkhazi hanno goduto fin dalla proclamazione
d'indipendenza della Georgia, nel 1991, di speciali statuti di autonomia. Non solo, il
presidente georgiano Mikhail Saakashvili aveva lealmente offerto al leader
separatista abkhazo Bagapsh la carica di vicepresidente, che questi ha rifiutato perché
il suo padrone al Cremlino mirava a ben altro: a mettere le mani sull'oleodotto che da
Baku, capitale dell'Azerbaigian, attraversa il territorio georgiano per giungere sulla
costa turca, e che attualmente è l'unica via di fornitura all'Europa del petrolio
proveniente dal Caspio la quale non passi per la Russia e non sia perciò sotto il
controllo di Gazprom.
Non regge, inoltre, perché la Serbia sotto il regime di Milosevic era un paese
totalitario i cui cittadini erano privati di ogni libertà, da quella di pensiero e di
religione a quella di iniziativa economica, mentre la Georgia, dopo la cacciata del
corrotto ex ministro sovietico Shevardnaze e l'elezione di Saakashvili, ha avviato
profonde riforme volte a migliorare la situazione economica della popolazione e ad
attirare investimenti stranieri. Anche in Serbia, del resto, la proclamazione
d'indipendenza del Kossovo ha concorso a determinare l'elezione di un presidente e di
un governo filo-occidentali, e i frutti si son visti subito: grandi imprese occidentali come l'italiana Fiat - hanno iniziato a investire nel Paese, e Radovan Karadzic, il
massacratore dei bosniaci, è stato consegnato al Tribunale per i crimini nella exJugoslavia dopo aver goduto per anni di una impunità garantita dalla copertura delle
alte sfere di Belgrado.
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Insomma, se si può con ragione sostenere l'esistenza di un diritto alla secessione
di una parte del popolo soggetto ad uno Stato antidemocratico, al fine di conseguire
una vita migliore sotto il profilo materiale e spirituale, non si può attribuire lo stesso
diritto ai cittadini di uno Stato democratico per innalzare muri di ostilità tra gli
uomini e attuare discriminazioni odiose. Che le istanze secessioniste di abkhazi e
sudosseti siano sostenute con le armi da un paese come la Russia, in cui la quasi
totalità della popolazione vive in condizioni miserevoli, e la ricchezza è concentrata
nelle mani dei fedelissimi di un ex agente del Kgb che ha fatto uccidere centinaia di
giornalisti scomodi e rinchiudere gli oppositori in prigioni siberiane, infine, è la prova
regina di quale scelta l'Occidente debba compiere: difendere la libertà della Georgia,
e con essa la libertà dell'Europa e di tutta l'umanità. Alla faccia di Sergio Romano e
di tutti i suoi cloni, meschini adoratori di tiranni e dittatori, destinati a finire con essi
nella polvere.
117
UN ANELLO PER DOMARE PUTIN
(24/8/2008) Gli eventi seguiti all'infame invasione della libera e democratica
Georgia da parte dell'Armata russa, avvenuta lo scorso 7 agosto, hanno mostrato
chiaramente al mondo quale pericolo rappresenti la Russia, attualmente e in
prospettiva futura, per gran parte delll'umanità.
L'esercito di Mosca ha dichiarato di muoversi in difesa delle aspirazioni
indipendentiste delle popolazioni di Ossezia del Sud e Abkhazia - regioni in verità
dalla composizione etnica variegata e "a macchia di leopardo", dove russi e georgiani
convivono negli stessi villaggi e spesso nella stessa famiglia -, ma in realtà lo scopo
cui mirava il tiranno Putin era ben più ambizioso: porre sotto il proprio controllo
l'oleodotto che da Baku trasporta il petrolio azero attraverso il territorio georgiano
fino a Ceyhan in Turchia, l'unica via di rifornimento energetico dell'Europa che non
passi in territorio russo e non sia quindi soggetta ad essere aperta e chiusa a
piacimento dai suoi compagni cekisti da lui insediati al comando di Gazprom; e
quindi porre una pesante ipoteca su Nabucco, il progetto di una pipeline che dal
Turkmenistan (via Caspio) dovrebbe percorrere Azerbaigian, Georgia e Turchia per
approdare in Bulgaria. Il fatto che Nabucco permetterebbe all'Europa di accedere alle
favolose riserve centroasiatiche bypassando la Russia, e quindi liberandosi dal suo
ricatto energetico, spiega assai bene non solo perché il progetto sia caldeggiato da
Washington, ma anche la durezza dell'intervento di Mosca contro Tbilisi: un'Europa
privata di petrolio e gas nei giorni più freddi di uno dei prossimi inverni potrebbe
essere costretta a subire qualunque ricatto dell'orso russo, a tollerare qualunque
sopruso. Potrebbe essere costretta anche a tollerare una invasione dell'Ucraina al fine
di strapparne la metà orientale filorussa (una riedizione su scala più grande di quanto
sta accadendo adesso in Georgia) e una rioccupazione delle repubbliche baltiche,
colpevoli come Kiev di essersi schierate con gli Stati Uniti d'America dopo essersi
liberate dalla schiavitù del Patto di Varsavia.
Ma la protervia con cui il tiranno Putin sta punendo i georgiani per la loro scelta
di campo filoatlantica non è che un aspetto della sua strategia imperialista a 360
gradi. La Russia è stata, insieme alla Cina, promotrice del cosiddetto Gruppo di
Cooperazione di Shangai, un'organizzazione che, nata all'indomani dell'11 settembre
2001 apparentemente per promuovere la collaborazione economica e la lotta al
terrorismo, si è sviluppata fino a diventare un'alleanza politico-militare allargata
all'Iran e a quasi tutte le ex-repubbliche sovietiche dell'Asia centrale - con lo
svolgimento anche di esercitazioni congiunte - allo scopo di "evitare influenze
straniere nell'area", ovvero di impedire agli Stati Uniti d'America e ai loro alleati di
avere un accesso privilegiato alle sue fonti energetiche. Come se non bastasse, la
Russia fornisce da anni armamenti sofisticati sia direttamente a Teheran (da cui
finiscono, via Damasco, a Hezbollah e Hamas che li lanciano contro l'odiato Israele)
sia alla Cina che poi li rivende agli ayatollah; e sta fornendo supporto logistico e
tecnologie ad Ahmadinejad per realizzare il suo folle sogno di cancellare l'«entità
sionista» dalle carte geografiche a colpi di bombe atomiche, nonché per trasformare
l'Iran nel suo cane da guardia nel Medio Oriente, incaricato di tenere sotto scacco
118
l'India e attrarla nell'orbita della coppia Pechino-Mosca. Tutto questo mentre la
popolazione russa vive nella miseria più nera, subendo un crollo demografico di un
milione di persone all'anno a causa delle condizioni sanitarie e del reddito pro-capite
a livelli sovietici che la roboante propaganda nazionalistico-imperialista del regime
non riesce a nascondere.
Tutto quanto detto dimostra a sufficienza che il regime di Putin costituisce un
pericolo per la libertà e la pace non solo dell'Europa, ma dell'intera Eurasia. Per
questo vanno salutati con favore sia il raggiungimento dell'accordo tra Stati Uniti e
Polonia per l'installazione in quel Paese di un sistema di 10 missili intercettori
nell'ambito del programma denominato "scudo spaziale", sia la decisione dell'Ucraina
di integrare il proprio la propria difesa antiaerea con quella della Nato. L'ira con cui
Putin ha reagito, fino a minacciare la rottura dei rapporti di collaborazione con
l'Alleanza Atlantica e a mettere la Polonia sotto il tiro dei missili nucleari russi, è la
spia del pericolo che egli sente avvicinarsi: l'Anello politico-militare che l'America
sta stringendo, lentamente ma con tenacia, intorno alla Russia è il solo strumento a
disposizione per rovesciare il suo regime di terrore. Lo chiedono i georgiani, lo
chiedono gli ucraini, lo chiedono lituani, lettoni ed estoni; lo chiedono polacchi,
cechi, slovacchi, ungheresi, bulgari e romeni; lo chiedono tutti i popoli della Nuova
giovane Europa che hanno speso lacrime e sangue per liberarsi dal giogo di Mosca e
non hanno alcun desiderio di essere "rivenduti" ad essa dalla Vecchia Europa
vigliacca e maestra dell'appeasement. Lo chiedono gli israeliani, stanchi di dover
combattere per la vita contro l'impura alleanza tra antiamericanismo russo,
antisemitismo islamico e indifferenza europea. Lo chiedono, infine, i 140 milioni di
russi che sono stanchi di paragonare ogni giorno la loro miseria materiale e spirituale
con l'opulenza sfacciata degli oligarchi del Kgb; che aspirano a una vita da esseri
umani, in cui prosperità e progresso non siano in antitesi con il diritto di ognuno alla
libertà, ma il loro naturale frutto. Come è avvenuto in Europa, grazie alla sintesi tra il
logos greco e la Rivelazione ebraico-cristiana, prima che egoismi e odi nazionalistici
la soffocassero; come si è ripetuto con maggior successo in America, terra di libertà.
«Un Anello per trovarlo, un Anello per domarlo,
un Anello per ghermirlo e nel buio incatenarlo»
119
CHI CONQUISTA L'HEARTLAND LIBERA L'EURASIA (DA PUTIN)
(7/8/2009) Un anno fa l'Armata Rossa, in esecuzione di un progetto criminale
pianificato da mesi, invadeva la repubblica liberale e democratica della Georgia. Il
pretesto ufficiale, la tutela della popolazione civile di due provincie ribelli a Tbilisi
(Abkhazia e Ossezia del Sud) contro una presunta "pulizia etnica" ordita dal
presidente georgiano Mikhail Saakashvili, è stato smascherato quasi subito dalla
libera stampa internazionale, che ha mostrato come la pulizia etnica sia stata
compiuta dai militari russi e dalle milizie abkhaze e ossetine ai danni dei civili
georgiani costretti a lasciare le loro case date alle fiamme. Purtroppo al contributo di
verità dei media non ha corrisposto un comportamento altrettanto coraggioso da parte
non solo delle cancellerie della Vecchia Europa, da tempo asservite al tiranno cekista
Putin (e questo era prevedibile), ma neppure da parte di un Presidente degli Stati
Uniti d'America come George Walker Bush che pure aveva fatto dell'esportazione
della democrazia nel mondo la massima della sua politica estera, ma che nell'agosto
2008 era ormai giunto quasi al termine del suo secondo mandato e non aveva più la
legittimità e l'interesse a impegnarsi in una nuova Guerra Fredda contro l'ex-Impero
del Male. La faziosa mediazione di Sarkozy, in pratica una servile acquiescenza ai
diktat del nuovo zar, ha ratificato l'annessione di Abkhazia e Ossezia del Sud alla
Russia. Cosa ancor più grave, ha sancito il controllo di Putin e del suo apparato di
potere sulle condotte che attraversano la Georgia per portare petrolio e gas dalle
repubbliche ex-sovietiche dell'Asia Centrale (Kazakhstan, Uzbekistan, Kirghizistan,
Tagikistan e Turkmenistan) all'Europa.
La gravità di questo fatto può esser compresa tenendo presente che i cosiddetti
"Stan" costituiscono il nucleo storico di quella regione che il grande geografo inglese
Halford Mackinder, padre della geopolitica, ha chiamato nel 1919 Heartland, cioè
Cuore della Terra. Questa regione, estesa approssimativamente dalle pianure
dell'Ucraina meridionale alle steppe caspiche, molto fertile, ricchissima di risorse
naturali e dotata di buone vie di comunicazione fluviali, costituiva per Mackinder il
«perno geografico della Storia», in quanto sede originaria di tutte le tribù e le orde di
barbari nomadi che hanno provocato il disfacimento dell'impero di Roma e per secoli
hanno percorso l'Europa. A causa della sua lontananza dagli oceani, inoltre, essa
rappresenta un baluardo quasi inespugnabile da parte delle potenze marittime; l'unica
via d'accesso a questa regione è appunto costituita dalle pianure dell'Europa orientale.
Per tali motivi Mackinder raccomandò fermamente al governo britannico di compiere
sempre ogni sforzo diplomatico e militare affinché le due potenze terrestri del
Vecchio Continente, Germania e Russia, non si alleassero né si sopraffacessero l'un
l'altra così da creare un solido blocco di potere sull'Europa dell'Est in grado di
controllare l'accesso all'Heartland; il suo insegnamento si può compendiare nella
celebre massima «Chi controlla l'Europa orientale governa l'Heartland; chi controlla
l'Heartland governa l'Isola del Mondo [ovvero l'insieme Eurasia+Africa]; chi
controlla l'Isola del Mondo governa il Mondo». La profonda verità di tale
affermazione è sotto gli occhi di tutti nell'attuale momento storico, in cui il tiranno
Putin, controllando direttamente o indirettamente i territori su cui passano gli
120
oleodotti e i gasdotti, è in grado di bloccare a suo arbitrio i rifornimenti energetici
all'Europa, di strangolarla economicamente, e di conseguenza esercita un formidabile
ricatto sui governi europei, ufficialmente alleati di Washington ma di fatto servi di
Mosca.
È in questa prospettiva storico-geografica che si comprende la necessità vitale
per gli Stati Uniti d'America, unico Paese dell'Occidente rimasto ancora indenne
dall'egemonia russa, di sostenere economicamente e militarmente la libera,
democratica e filo-occidentale Georgia, di aiutare il popolo georgiano a riconquistare
le province secessioniste dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud, e di favorire una piena
transizione democratica in Ucraina, sconfiggendo le fazioni filorusse che si
oppongono al progetto del presidente Viktor Yushchenko di unire il suo Paese alla
Nato. Solo in questo modo l'Occidente potrà acquisire il controllo sulle condotte di
transito di petrolio e gas, e di conseguenza conquistare il dominio sull'Heartland; e
conquistare l'Heartland, per l'America e per l'Occidente, significherebbe liberare la
Russia dalla tirannide putiniana, interrompere il flusso di aiuti economici e militari
che da Mosca raggiunge Teheran alimentando il folle progetto di Ahmadinejad e
degli ayatollah di costruirsi la Bomba per distruggere Israele, spegnere il
turbocapitalismo cinese negatore dei diritti umani e sostenitore delle dittature
birmana e vietnamita, togliere ossigeno ai regimi "bolivariani" dell'America Latina
che cercano l'alleanza con l'ex-patria del comunismo e con il fondamentalismo
islamico contro gli odiati yankees; in una parola, significherebbe far trionfare Libertà
e Democrazia su entrambi gli emisferi del globo.
Purtroppo questa altissima missione di liberazione e di progresso umano non
sembra essere nell'agenda dell'attuale presidente americano Barack Hussein Obama,
più preoccupato di dialogare che di agire. Un motivo di più, se non ce ne fossero già
abbastanza, per prevedere che la sua stella tracollerà presto. Noi mondialisti, in attesa
di quel fausto giorno in cui il popolo americano si doterà di un comandante in capo
all'altezza del suo compito storico, continueremo a illuminare i cuori e le menti dei
navigatori di Internet per far comprendere la necessità che l'Occidente, guidato dagli
Stati Uniti d'America, si assuma la propria responsabilità civilizzatrice nei confronti
del resto dell'umanità e costruisca finalmente un Impero mondiale che abbatta ogni
regime tirannico e totalitario e assicuri pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti.
121
UCRAINA LIBERA, PROSSIMA TAPPA: MOSCA !
(22/2/2014) Il sangue dei 70 martiri versato nei giorni scorsi in piazza Maidan e
nelle strade di Kiev ha concimato l'albero della libertà del nobile popolo di Ucraina:
oggi il piccolo tiranno Viktor Yanukovich è fuggito dalla sua sua reggia dorata
adorna di colonne di marmo, dal suo lussuoso parco di 140 ettari con campo da golf,
eliporto privato e un allevamento di struzzi, e si è rifugiato a Kharkiv, nella regione
orientale russofona del Paese; il Parlamento ucraino ha votato a larghissima
maggioranza la sua messa in stato d'accusa decretandone l'immediata decadenza dalle
funzioni e fissando nuove elezioni presidenziali per il prossimo 25 maggio, ha
abrogato l'articolo del codice penale usato dal decaduto regime per imprigionare dopo
un processo-farsa l'ex Primo Ministro Yulia Tymoshenko, l'eroina della Rivoluzione
Arancione del 2004 (che presto sarà liberata), ha rimosso dalle cariche di ministro
dell'Interno e di presidente dell'assemblea i fedelissimi di Yanukovich sostituendoli
con esponenti dell'opposizione.
La capitale Kiev è nelle mani dei cittadini in rivolta, i palazzi del potere sono
stati abbandonati e occupati dai manifestanti, la polizia ha affermato in una nota
ufficiale di essersi schierata "al fianco del popolo" e di condividere il desiderio
comune di "un cambiamento rapido nel Paese". Il partito di Yanukovich sta perdendo
deputati a ritmo frenetico, mentre molti ministri del decaduto regime sono spariti
dalla circolazione, probabilmente in fuga - come farà forse anche Yanukovich, se la
giustizia del popolo non lo raggiungerà prima - verso la corte del loro padrino, il
tiranno cekista Putin che finora li aveva appoggiati e protetti dalle sanzioni
internazionali mentre mandavano i carri armati a massacrare i loro stessi concittadini,
colpevoli ai loro occhi di volere l'adesione dell'Ucraina all'Unione Europea, e quindi
a quell'Occidente disprezzato e bollato come "decadente", "moralmente corrotto",
"incapace di assicurare benessere e piena occupazione", ma che per gli uomini e le
donne di piazza Maidan rappresenta, come effettivamente è, la patria di quei princìpi
e di quei valori di libertà, democrazia e rispetto dei diritti dell'uomo che il grande
tiranno Putin e il piccolo tiranno Yanukovich hanno sempre conculcato e represso,
l'antitesi di quei disvalori mortiferi della comunità forzosamente omogenea, del
primato del collettivo sull'individuo, del sangue e del suolo su cui si reggevano e si
reggono i loro troni di sangue. Non è un caso che in questi giorni convulsi di lotta il
regime di Yanukovich abbia tentato di persuadere i poliziotti a massacrare i loro
compatrioti sostenendo che essi fossero sobillati dal "sionismo internazionale": è
tipico dei regimi tirannici, dittatoriali e totalitari di destra e di sinistra,
fondamentalisti cristiano-ortodossi o islamici, di additare quale capro espiatorio
l'Ebreo, l'apolide per definizione, colui che, non avendo radici in nessun luogo
particolare, è cittadino del mondo.
Il Partito Mondialista, che ha sempre sostenuto, discretamente ma
coerentemente, la lotta silenziosa e civile del popolo ucraino per affrancarsi dalla
"tutela" dell'Orso russo, saluta oggi con grande gioia il ritorno dell'Ucraina nel
consesso dei popoli civili, dell'Occidente che è la più grande e la migliore civiltà della
Storia, e annuncia che proseguirà la sua opera per illuminare le menti e i cuori degli
122
uomini e delle donne del nostro tempo circa la bontà e l'inevitabilità di un
superamento della vetusta e mortifera distinzione del genere umano in più di cento
Stati-nazione estranei l'un l'altro e in guerra perenne fra loro, e della creazione di un
solo Stato o Impero mondiale che assicuri pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti.
Il Grande Tiranno Putin inizi a tremare, perché il momento della sua fine è più vicino
oggi di quando noi Templari fondammo nel 2005 il Partito Mondialista. Il macellaio
Assad, gli ayatollah pedofili di Teheran, i petromonarchi arabi che finanziano alQaeda preghino pure il loro falso dio Allah e il loro falso profeta Maometto: non li
salveranno dalla giusta ira dei loro popoli. I mandarini del Partito Comunista Cinese
smettano di accumulare nelle banche svizzere le ricchezze sottratte ai loro
concittadini, perché non vivranno abbastanza per godersele. Presto, molto presto, il
mondo intero sarà una sola casa, una sola famiglia. Presto, molto presto, non ci sarà
più né Giudeo né Greco, né cittadino né straniero, né "fedele" né "infedele", perché
tutti saranno un solo popolo, con una sola legge, la legge della Libertà, della
Democrazia e dei Diritti dell'Uomo.
123
INVASIONE DELL'UCRAINA, PER PUTIN È L'INIZIO DELLA FINE
(2/3/2014) Dopo la fuga da Kiev del piccolo tiranno Yanukovich e la
proclamazione di un nuovo governo liberale e democratico, il Grande Tiranno Putin
ha deciso di gettare la maschera e di mostrare a tutto il mondo la sua arroganza
imperialistica: in queste ore 28.000 soldati russi, con centinaia di carri armati, hanno
invaso l'Ucraina orientale; decine di aerei ed elicotteri da trasporto di Mosca hanno
sbarcato truppe nei principali aeroporti della Crimea, prendendone il controllo; una
base radar, un centro di addestramento della Marina ucraina e varie caserme della
Guardia frontaliera di Kiev sono state occupate da reparti paramilitari al soldo di
Putin, i quali hanno requisito le armi e minacciato i soldati ucraini per "persuaderli" a
passare dalla parte del governo-fantoccio da essi insediato a Sebastopoli e
Simferopoli.
Il piano del cekista Putin è chiaro ed evidente a tutti: prima ha sobillato la rivolta
degli ucraini filorussi orientali, spingendoli a occupare le sedi delle amministrazioni
locali e concedendo loro prontamente la cittadinanza russa; adesso, con la scusa di
voler "difendere la vita dei cittadini russi in Ucraina dagli attacchi dei nazisti" - un
argomento che fa sempre presa sulla stolta opinione pubblica della Vecchia Europa,
molto sensibile (giustamente) nei confronti del nazifascismo, ma pronta sempre a
chiudere entrambi gli occhi di fronte ai soprusi compiuti da Mosca - egli si sta
preparando ad annettere l'intera Ucraina orientale alla Federazione Russa, e a tal
scopo la Duma sta "casualmente" discutendo una proposta di legge che renderà più
facile per il governo russo l'annessione di nuovi territori anche senza un trattato
internazionale.
Noi mondialisti non riponiamo eccessiva fiducia nella cosiddetta "comunità
internazionale": finora il vile Barack Hussein Obama ha reagito soltanto con blande
parole di condanna e con la minaccia di non partecipare al G8 di Sochi del prossimo
giugno, ma non sembra abbia alcuna intenzione di impegnare la forza militare degli
Stati Uniti d'America nella difesa dell'integrità territoriale e della libertà di un Paese
che i media filoputiniani d'Occidente dipingono in coro come facente parte del
"cortile di casa" del Cremlino, pertanto è molto probabile che, dopo alcune riunioni
straordinarie dell'Onu (dove Mosca eserciterà il suo diritto di veto), della Nato e
dell'Unione Europea, tutti accetteranno il fatto compiuto così come nel 2008 hanno
accettato l'invasione della Georgia e l'annessione de facto alla Russia di Abkhazia e
Ossezia del Sud. Del resto l'Occidente non ha forse sopportato senza batter ciglio
l'invasione dell'Ungheria nel 1956 e della Cecoslovacchia nel 1968, i massacri di
civili innocenti, la repressione di governi espressione della volontà popolare? Allo
stesso modo, purtroppo, gli uomini e le donne del nobile popolo di Ucraina, che
hanno combattuto per mesi in piazza Maidan in nome dell'idea di Europa come patria
di libertà e democrazia, da quella Europa, dimentica del suo glorioso passato, e
dall'America, incatenata dal pifferaio maligno Obama, si apprestano a essere traditi,
abbandonati a un triste destino di invasione, occupazione brutale, repressione, terrore
e morte.
È la fine del sogno di un'Ucraina libera e democratica, allora, direte voi?
124
Dobbiamo forse rassegnarci a veder trionfare la violenza sulla ragione, l'arroganza sul
diritto, la prepotenza sull'innocenza? No, cari lettori, no. La disperazione appartiene
solo a chi non ha lo sguardo lungo di noi mondialisti, a chi vede solo il qui-e-ora e
non ricorda quanto è successo l'altro ieri, figuriamoci vent'anni fa. Chi, come noi
mondialisti, è abituato a leggere gli avvenimenti del presente inquadrandoli nella
prospettiva storica della guerra in corso da cinque secoli tra l'esercito del
Mondialismo e la masnada assassina dell'Antimondialismo, riconosce nell'invasione
dell'Ucraina in corso in questi giorni la ripetizione dei tentativi compiuti dall'Unione
Sovietica di mantenere il potere usando il pugno di ferro; e comprende che, come la
repressione delle rivolte di Budapest e Praga non riuscirono a salvare il regime
totalitario comunista sovietico dal crollo e dallo smembramento dell'Impero del Male
nel 1991, così oggi la repressione della rivolta di Kiev non salverà il regime
menzognero e assassino di Putin da una fine ormai vicina. La Storia, maestra di vita
spesso inascoltata ma sempre vincente, insegna che il futuro appartiene alla Libertà,
alla Democrazia e ai Diritti dell'Uomo, non alla schiavitù, alla tirannide e alla
barbarie; che tutti i regimi illiberali, tirannici e totalitari sono sempre prima o poi
crollati miseramente, sopraffatti dall'arretratezza tecnologica, dalla miseria
economica e dall'anelito di libertà dei propri sudditi; che il genere umano si sta
muovendo, lentamente ma irresistibilmente, verso l'unificazione in un solo Stato
mondiale che riconoscerà e proteggerà i diritti di ogni uomo e di ogni donna a
prescindere dalla sua etnia, dalla sua religione, dalla sua condizione sociale e dalla
sua ideologia.
Per questo noi mondialisti continueremo a combattere, con la parola e con le
opere, al fianco del nobile popolo ucraino oggi minacciato, così come del popolo
russo oppresso dal Grande Tiranno Putin, del popolo cinese che geme e soffre sotto il
tallone dei mandarini comunisti, dei popoli islamici schiacciati da tiranni laici e
ayatollah pedofili, dei popoli africani e latinoamericani impoveriti da dittatori corrotti
e assassini, dei popoli europei tentati di diventare i servizievoli banchieri di tutti i
tiranni; certi come siamo, che tutti questi regimi tirannici, illiberali e totalitari, laici e
teocratici, crolleranno e finiranno nella polvere come è avvenuto per la Germania
nazionalsocialista, per l'Unione Sovietica, per la Serbia nazionalcomunista di
Slobodan Milosevic e per la Libia di Muhammar Gheddafi, e che presto, molto
presto, tutto il genere umano sarà unito nell'Impero mondiale che assicurerà pace,
prosperità, libertà e giustizia per tutti. Il fatto che oggi, a Mosca, un centinaio di
persone si siano riunite per protestare contro l'invasione dell'Ucraina, ci conferma
nella nostra convinzione: per il regime di Putin questo ennesimo crimine sarà l'inizio
della fine.
125
I FATTI D'UCRAINA NEL PROGETTO MONDIALISTA
E LA RISPOSTA PERSONALE AD ESSO
(4/5/2014) I fatti avvenuti in Ucraina negli ultimi giorni, da quando è iniziata la
riscossa del legittimo governo di Kiev contro i banditi russofoni spalleggiati e armati
da Mosca, hanno sollevato il solito vespaio di polemiche interessate da parte di
giornalisti e intellettualoidi asserviti alla lobby putiniana. In particolare in Italia ci si è
stracciati le vesti per i 50 ribelli filorussi morti venerdì scorso nell'incendio di un
edificio pubblico. Ora, per non farsi travolgere dall'emotività e non rimanere ciechi
davanti al significato di questi pur tragici avvenimenti, è opportuno e necessario
"inquadrarli" nel contesto storico-geografico cui appartengono, allo stesso modo in
cui, per fare un esempio, la liturgia cristiana, in questo periodo di quarantanove giorni
che va da Pasqua a Pentecoste, riflette sui tragici eventi della Passione, morte e
risurrezione di Gesù Cristo "inquadrandoli" nel piano di salvezza universale preparato
da Dio sin dalla fondazione del mondo. Seguiamo dunque questa pista analogica.
Nel grande discorso tenuto a Pentecoste Pietro, sotto la guida dello Spirito
Santo, mostra a una folla di pellegrini giunti a Gerusalemme per la festività
tradizionale come ciò che era sembrato un caso di cronaca nera abbastanza
insignificante - la crocifissione da parte del potere politico-giudiziario romano di un
rabbi che godeva di un grande consenso popolare, a causa dell'invidia delle autorità
religiose di Israele - era in realtà il compimento della promessa fatta dall'Altissimo al
genere umano sin dal primo peccato, allorché il Signore Dio aveva preannunciato che
la "stirpe della donna" avrebbe schiacciato la testa al serpente: la promessa cioè di un
Messia, Figlio dell'Uomo e Figlio di Dio, il quale avrebbe preso su di sé tutti i peccati
del mondo, offrendosi al Padre in sacrificio di espiazione quale «agnello senza difetto
e senza macchia», soffrendo e morendo in modo ignominioso per obbedienza
d'amore, per poi risorgere liberando l'umanità dalla paura della morte. Ebbene, in
modo analogo noi mondialisti vogliamo esortarvi a considerare la morte violenta di
quei ribelli filorussi all'interno del grande progetto che stiamo realizzando da 700
anni, da quando cioè la persecuzione di Filippo il Bello ci costrinse a entrare in
clandestinità: l'unificazione di tutto il genere umano in un solo Stato o Impero
mondiale fondato sulla distinzione fra Trono e Altare, fra le "cose di Dio" e le "cose
di Cesare", nel quale nessun individuo possa essere perseguitato per le sue opinioni
politiche o religiose, e in cui ogni essere umano possa godere pacificamente dei diritti
immortali e inalienabili, dati da Dio, alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità.
Per la realizzazione di questo grande progetto, noi mondialisti abbiamo
dapprima utilizzato i nostri buoni rapporti con i sovrani di Scozia, Spagna, Portogallo
e Inghilterra allo scopo di riedificare, consolidare ed espandere i nostri insediamenti
in terra americana (quegli insediamenti dai quali avevamo tratto la colossale quantità
d'argento che aveva fatto di noi Templari i banchieri di tutta l'Europa); poi, grazie alla
creazione della Massoneria da un lato, e dall'altro all'infiltrazione dei Gesuiti e degli
altri ordini religiosi missionari, abbiamo fecondato le classi intellettuali e le élites al
potere tanto nei Paesi europei quanto in Cina e Giappone, stimolando ovunque il
rovesciamento dei vecchi regimi teocratici e tradizionalisti e la creazione di governi
126
sempre più profondamente liberali e democratici, aperti al progresso scientifico e
tecnico e dediti all'incivilimento dei costumi delle loro popolazioni, disposti a
intessere pacifici commerci e scambi di idee con il resto del mondo anziché a
conquistare nuovi territori in guerre senza fine. Anche quando i nostri piani hanno
subìto delle battute d'arresto - come in Russia con la rivoluzione bolscevica che
abbatté il governo riformista di Kerenskij da noi appoggiato, o come in Italia e
Germania con la presa del potere da parte di Mussolini e Hitler, o come in Giappone
allorché la classe militare impose al Paese il perseguimento una politica estera
aggressivamente espansionista - noi mondialisti abbiamo saputo sfruttare
adeguatamente la rete transnazionale creata in tanti secoli da banchieri, imprenditori e
intellettuali al di qua e al di là dell'Atlantico per mobilitare capitali, uomini e armi in
guerre calde e fredde, in lotte di liberazione e attività di contenimento, finché quei
regimi mostruosi e inumani sono stati abbattuti, e le bandiere nere e rosse sono finite
nella polvere.
Ora, è in questo grande progetto di liberazione universale che va "inquadrata" e
analizzata la morte violenta di quei 50 ribelli filorussi. In primo luogo, è un fatto
incontestabile che quell'edificio pubblico in cui hanno trovato la morte era stato da
essi occupato con la violenza dopo aver aggredito vilmente un corteo di pacifici
cittadini ucraini che manifestava il proprio desiderio di restare fedeli alla madrepatria
e di non passare dalla parte di un regime oscurantista e liberticida come quello che
oggi opprime la Russia, e che ha già invaso e occupato manu militari la penisola di
Crimea; per cui la loro sorte, pur tragica, deve essere considerata una giusta
punizione per i crimini contro le persone e contro l'ordine pubblico da essi compiuti
(allo stesso modo per cui il Signore Gesù Cristo, commentando la sorte di un gruppo
di Galilei che si erano ribellati ai Romani durante una festa pasquale ed erano stati
messi a morte da Pilato, dice: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti
i Galilei? No, io vi dico; ma se non vi convertirete, finirete anche voi così»). Più in
generale, le attività violente poste in essere dai russofoni, su ispirazione e con il
sostegno politico, finanziario e militare del cekista Putin (che da "buon" agente del
Kgb ha una notevole esperienza in materia di complotti, sedizioni e insurrezioni
armate contro governi democratici spacciate per "giuste rivolte popolari contro regimi
reazionari"), sia negli ultimi mesi in Ucraina, sia da molti anni in Moldavia (dove il
governo legittimo deve fronteggiare la loro pretesa di staccare dal resto del Paese la
regione della Transnistria per aggregarla alla Russia), sono in radicale opposizione al
nostro progetto di accerchiare le quattro potenze autocratiche d'Eurasia, Russia, Cina,
Corea del Nord e Iran, con un Anello di Paesi liberali e democratici, rispettosi dei
diritti umani e delle minoranze religiose. Il nostro progetto prevede che questi Paesi,
in Europa orientale come nel Sud-Est asiatico, sulla sponda sud del Mediterraneo
come nel Medio Oriente, saranno disponibili a ospitare basi militari, stazioni radar e
batterie di missili antimissile che renderanno impossibile a Putin, ai mandarini del
Partito Comunista cinese, al tiranno Kim Kong-Un e agli ayatollah pedofili e
antisemiti lanciare le loro bombe atomiche sulle pacifiche città d'Europa, del
Giappone e d'Israele, impedendo così a quei regimi tirannici e totalitari di continuare
a ricattare il resto del genere umano e facilitando, nel lungo periodo, la sollevazione
127
dei popoli da essi oppressi, il loro crollo e la creazione anche in quei Paesi di governi
liberali e democratici, che accetteranno, in accordo con gli Stati Uniti d'America e
con tutti i Paesi d'Occidente, di rinunciare alla loro sovranità e di divenire, tutti, a
Nord come a Sud, a Est come a Ovest, semplici circoscrizioni amministrative di un
solo Impero mondiale federale e liberaldemocratico, che abolirà tutte le vetuste
sovranità etno-nazionali e con esse la differenza tra "cittadino" e "straniero", e
assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti.
Così come l'assoggettamento di tutti i popoli dall'Iberia alla Persia sotto il
dominio illuminato di Roma favorì l'attività evangelizzatrice dei primi cristiani, allo
stesso modo l'unificazione del genere umano in un solo Impero mondiale è
condizione necessaria affinché si compia il progetto divino di «abbattere il muro di
separazione, cioè l'inimicizia» che fin dalla Creazione divide gli uomini, affinché non
ci sia più «né Giudeo né Greco, né maschio né femmina, né schiavo né libero, ma
tutti siano uno in Cristo»; e come dopo il discorso di Pietro quei pellegrini, che erano
convenuti a Gerusalemme «da ogni parte del mondo conosciuto», chiesero
all'Apostolo: «Noi, cosa dobbiamo fare?», allo stesso modo ciascun essere umano,
davanti al grandioso progetto di liberazione dall'inimicizia, dalle guerre, dalle
persecuzioni e dai genocidi che noi mondialisti vi offriamo, è chiamato a dare una
risposta personale, a compiere una scelta: opporsi a tale offerta gratuita e
disinteressata di pace e prosperità, subendone le necessarie, dolorose conseguenze secondo l'antico e perenne adagio "fata volentem ducunt, nolentem trahunt" (il
Destino guida chi vuol seguirlo, e trascina chi recalcitra) - oppure accettarla,
facendosi annunciatori del Mondialismo nel proprio ambiente familiare, scolastico,
lavorativo e religioso, illuminando i cuori e le menti degli uomini e delle donne del
nostro tempo circa la bontà e l'inevitabilità del cammino storico che sta conducendo il
genere umano, lentamente ma irresistibilmente, verso l'abbattimento di tutti gli Statinazione e l'unificazione in un solo Stato mondiale.
Per quanto ci riguarda, noi mondialisti siamo pieni di speranza: gli Atti degli
Apostoli narrano che di fronte all'invito di Pietro «Fatevi battezzare, e ricevete lo
Spirito Santo», più di quattromila ebrei, in quel solo giorno di Pentecoste, accettarono
il battesimo; allo stesso modo noi mondialisti riteniamo che solo una piccola, esigua
minoranza di criminali perversi si opporrà al nostro progetto di unificazione del
genere umano, perché il Mondialismo è la risposta all'attesa di pace, uguaglianza e
libertà che abita nei cuori e nelle menti di tutti gli uomini e le donne del pianeta, di
miliardi di uomini e donne che ogni giorno sacrificano la propria vita per costruire un
mondo senza barriere. E per questo vinceranno.
128
MONDIALISMO E CINA
129
TIBET IN CROCE, BOICOTTARE LA CINA È UN DOVERE
(21/3/2008) In questo giorno nel quale i cristiani di tutto il mondo fanno
memoria della Passione e morte di Gesù Cristo, l'Associazione Internazionale "New
Atlantis for a World Empire" e il suo ramo esecutivo, il Partito Mondialista, non
possono e non vogliono dimenticare il martirio dell'eroico popolo tibetano che in 58
anni ha visto morire un milione dei suoi figli, che ogni giorno è conculcato nei suoi
diritti di libertà religiosa e civile dall'infame regime di occupazione comunista cinese;
un regime atroce che non permette neppure a un gruppo di pellegrini in esilio di
varcare il confine e di recarsi nella propria patria a pregare nei propri templi, ma li
uccide a fucilate in un macabro tiro al bersaglio tra le nevi dell'Himalaya, come
mostra
questo
video
ripreso
tre
settimane
fa
(http://it.youtube.com/watch?v=BkMcj4vQtRU&NR=1).
Le proteste, scoppiate a Lhasa il 10 marzo nell'anniversario di una rivolta che fu
stroncata nel sangue di 65.000 vittime, continuano tuttora (questo video
[http://media.phayul.com/flv-view.aspx?hide=1&av_id=89&av_links_id=195], girato
con un telefonino, mostra lo scontro tra i monaci e gli sgherri della polizia cinese
avvenuto il 15 marzo a Labrang, nella provincia tibetana dell'Amdo) nonostante la
feroce
repressione
messa
in
atto
da
Pechino
[http://it.youtube.com/watch?v=R42ECGoddLQ] che ha già provocato più di 100
morti, come documentano queste terribili immagini sfuggite alla censura del regime e
trasmesse all'Occidente da un turista francese e dall'agenzia di stampa cattolica
Asianews:
130
Nel frattempo, la rivolta del popolo tibetano desideroso di libertà si è estesa alle
vicine province del Sichuan, Qinghai e Gansu. Il regime comunista cinese ha
accusato la "cricca del Dalai Lama" di aver fomentato gli scontri - una scusa ridicola
per chiunque sappia come il capo spirituale dei tibetani abbia sempre seguito nelle
sue rivendicazioni politiche il precetto della non-violenza tipico del buddhismo - e si
è vantato attraverso l'agenzia di stampa ufficiale Xinhua di aver ricevuto il sostegno
di Paesi come Russia, Bielorussia, Vietnam, Pakistan... decisamente i fiori più belli
della democrazia.
In quest'ora gravida di dolore per il popolo del Tibet e per tutti gli amanti della
libertà (che sono numerosi in tutto il mondo, a partire dalla stessa Cina), il Partito
Mondialista invita tutti i lettori di questo sito a colpire gli interessi economici del
regime comunista cinese: in primo luogo astenendosi d'ora in poi dall'acquistare
prodotti "made in China" realizzati da operai sottopagati e supersfruttati (in
maggioranza donne e bambini); poi boicottando beni e servizi commercializzati dalle
imprese che sponsorizzano le Olimpiadi con cui Pechino sta tentando di presentarsi al
mondo con un volto "gradevole". La scelta è varia: Adidas, Coca-Cola, General
Electric, Johnson & Johnson, Kodak, McDonald's, Samsung, Visa... se queste
multinazionali riscontreranno un calo significativo e prolungato delle vendite e dei
conseguenti ricavi saranno indotte a sciogliere i loro contratti con il sanguinario
regime cinese, e il danno che questo ne riceverà sarà immenso. Non bisogna dar retta
ai difensori delle dittature come l'orrido ministro degli Esteri italiano (ancora per
131
poco) D'Alema, o ai liberali a giorni alterni come Emma Bonino, che temono
l'irrigidimento di Pechino ed esortano a non penalizzare il popolo cinese: perché i
burocrati del Pcc sanno bene che la Cina ha una popolazione troppo povera per
assorbire la sua produzione industriale nel caso venga meno la domanda mondiale, e
perché i cinesi sono i primi a non poterne più del regime totalitario che li opprime da
più di mezzo secolo e a lottare per abbatterlo, come hanno fatto i martiri di Piazza
Tien an Men e come fanno ogni giorno i bloggers che sfidano la censura per far
pervenire al mondo libero immagini e notizie della repressione. Se queste forme di
boicottaggio economico avranno successo, sarà più facile persuadere i governi
occidentali a mettere in atto sanzioni ancora più dure nei confronti di Pechino: non
solo il boicottaggio delle Olimpiadi di sangue, ma anche e soprattutto il
congelamento dei beni del regime situati in Occidente e la sospensione dei contratti
stipulati dalle imprese occidentali.
Boicottare la Cina è un dovere di tutti. Per il Tibet messo in croce, per la
Birmania schiacciata da un regime nazionalcomunista sostenuto da Pechino, per il
Darfur martoriato dal regime islamico del Sudan con la complicità della Cina che ne
acquista il petrolio, per tutti gli uomini e i popoli vittime di regimi tirannici.
Comincia da qui, dall'ingerenza umanitaria messa in atto da ognuno di noi, la
costruzione di quell'Impero mondiale in cui le sovranità e gli egoismi nazionali
scompariranno, le discriminazioni di sesso, razza, lingua e religione saranno dissolte,
e l'umanità conoscerà finalmente pace e prosperità.
132
LIBERTÀ PER GLI UIGURI, O ANDRANNO CON AL QAEDA
(27/7/2009) Sono passati poco più di quindici giorni dai sanguinosi scontri fra
cinesi Han e Uiguri scoppiati nella regione "autonoma" dello Xinjiang/Turkestan
Orientale. Il 5 luglio gli Uiguri, l'etnia maggioritaria (45% della popolazione, contro
il 41 di Han, il 7 di Kazaki, il 5 di cinesi Hui, e un 2% circa di Tagiki, Uzbeki,
Tartari, Russi, Tibetani, Manchu e altre minoranze) avevano manifestato nella
capitale Urumqi per chiedere giustizia dopo l'uccisione di due loro membri, quando
sono stati aggrediti dalla polizia di Pechino e da gruppi di Han armati. Il regime
comunista ha ripreso il controllo solo dopo una settimana di violenze che hanno
lasciato sul terreno più di 600 morti, imponendo il coprifuoco e comminando la pena
di morte ai fomentatori degli scontri, ma nessuno, nemmeno nei palazzi del potere
rosso, può illudersi che questo sia l'ultimo atto di una crisi che dura praticamente dal
1949, cioè da quando l'esercito di Mao Tse-Tung riprese il controllo della provincia
dello Xinjiang, resasi indipendente una decina d'anni prima come Repubblica del
Turkestan Orientale dopo il crollo del Celeste Impero.
Forse nessuno di chi ci sta leggendo ha mai sentito parlare dell'esodo dei 60.000
kazaki che nel 1962 varcarono il confine con l'Unione Sovietica per sottrarsi alla
pulizia etnica; ma forse qualcuno ricorderà la rivolta di Baren del 1990 che finì con
50 vittime, o quella di Ghulja del 1997 in cui un migliaio di Uiguri si scontrarono con
la polizia militare, o gli attentati sui bus di Urumqi di quello stesso anno.
Organizzazioni al di sopra di ogni sospetto, come Amnesty International e Human
Rights Watch, hanno acceso da tempo i riflettori sulla sistematica violazione dei
diritti umani operata dal regime cinese a danno dell'etnia uigura, come pure hanno
fatto i sostenitori dell'indipendenza esuli negli Stati Uniti d'America; una comunità
guidata non da estremisti fanatici, come vorrebbe far credere Pechino per legare la
sua repressione al carro della Guerra al Terrore dichiarata da Washington dopo l'11
settembre, bensì da una imprenditrice di successo e deputata all'Assemblea del
Popolo... finché non pronunciò un durissimo discorso a porte chiuse accusando i
mandarini del Partito di "genocidio culturale", cosa che le costò il carcere e l'esilio.
Guarda caso, di genocidio culturale ha parlato anche il Dalai Lama a proposito
della politica di repressione e stravolgimento demografico che si sta compiendo in
Tibet. In entrambe le regioni il regime sta procedendo da decenni a trasferire, sia
coattivamente che con incentivi economici, centinaia di migliaia di Han ritenuti più
fedeli a Pechino; in entrambe le regioni gli Han detengono il controllo delle industrie,
dei commerci, della burocrazia e delle forze armate, mentre Uiguri e Tibetani sono
ridotti alla fame e alla miseria più nera, privati persino della possibilità di coltivare la
propria cultura o di ascoltare le loro musiche tradizionali. Non è dunque casuale che
nello Xinjiang/Turkestan Orientale, come nel Tibet, si siano verificati rivolte e scontri
interetnici che i comunisti tentano di delegittimare bollandoli come "terrorismo".
Ora, noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire"
abbiamo esplicitamente affermato nel capitolo 2 del Manifesto fondativo del Partito
Mondialista di essere fermamente, assolutamente contrari a un tradizionalismo
pregiudiziale e cieco che in nome del passato pretende di innalzare barriere tra gli
133
uomini; ma non possiamo non condannare con altrettanta durezza ogni tentativo di
sradicare culture da parte di un potere, come quello comunista della Cina
continentale, che non persegue il bene comune di tutti i suoi cittadini, nella libertà e
nella democrazia, ma soltanto l'accrescimento della propria potenza e la
conservazione di privilegi per qualche milione di mandarini di partito e funzionari
corrotti. Siamo inoltre ben consapevoli che la repressione delle legittime aspirazioni
del popolo uiguro - come di quello tibetano - alla libera espressione della propria
cultura e religione, e la conseguente disperazione, rischiano di spingere un islamismo
moderato e tollerante, come è sempre stato quello turcomanno, nelle braccia di Al
Qaeda, i cui capi non aspettano altro per mettere a ferro e fuoco l'intera Asia Centrale.
Si consideri infine che il Turkestan/Xinjiang, così come i vari "stan" che lo
affiancano ai confini, è ricchissimo di minerali e soprattutto di petrolio e gas, il cui
sfruttamento è vitale sia per un'Europa che voglia affrancarsi dai ricatti del cekista
Putin, sia per una Cina affamata di energia e già alle prese con i primi black-out
nell'erogazione di energia elettrica alle floride regioni orientali, e che stringere
accordi commerciali con questi Paesi non vuol dire solo posare un tubo d'acciaio da
Astana o Urumqi fino a Vienna: vuol dire soprattutto aprire l'Heartland, il cuore
dell'Eurasia, e in definitiva la Russia al vento della civilizzazione, con i benefici
effetti che chiunque può immaginare sul tenore di vita e sulla tonalità spirituale di un
popolo prostrato dal crollo demografico e dalla tirannide del nuovo padrone del
Cremlino.
È dunque assolutamente necessario che l'Occidente, a partire dagli Stati Uniti
d'America, si risvegli dal sonno obamiano e metta in campo ogni mezzo di pressione,
dalle sanzioni economiche alla forza militare, per costringere Pechino a concedere
libertà, democrazia e rispetto di leggi certe e uguali per tutti, dall'ultimo contadino ai
detentori del potere. Solo in questo modo saranno liberate le risorse finora represse
della società civile cinese, e tutti i suoi cittadini, a qualunque etnia appartengano,
potranno crescere e prosperare nella vera pace, quella che nasce dalla difesa e
promozione dei diritti immortali e inalienabili di ogni essere umano.
134
I GIOVANI MUSULMANI NON GRIDANO PIÙ «MORTE A ISRAELE».
E ADESSO TOCCA ALLA CINA
(20/2/2011) A imitazione del nostro Signore noi, Poveri Cavalieri di Cristo e
del Tempio di Salomone, non siamo "sì" e "no" insieme: abbiamo una sola parola, e
quel che promettiamo lo manteniamo. Nel nostro editoriale del 28 gennaio vi
avevamo promesso che su tutto il mondo islamico sarebbe caduta una nevicata di
rivoluzioni, e così è stato; vi avevamo annunciato che dopo la fuga di ben Alì dalla
Tunisia sarebbe toccato a Mubarak bere l'amaro - ma giusto - calice dell'esilio, e l'11
febbraio gli Egiziani hanno festeggiato la cacciata del Faraone. Ora che la nostra
operazione "Snow on the Sahara" è in pieno svolgimento tutta la fascia che va da
Casablanca a Teheran è in ebollizione: in Marocco il popolo chiede al re Mohammed
VI riforme che limitino i poteri della monarchia e maggiore autonomia per la
magistratura; a Tunisi la gente scende in piazza per eliminare dal governo anche gli
ultimi esponenti del corrotto regime defunto; in Algeria sempre più persone si
scontrano senza paura con gli sgherri di Bouteflika; in Libia i ribelli hanno
conquistato Bengasi e tengono sotto assedio il figlio di Gheddafi, il quale ha ordinato
ai suoi mercenari di sparare sulla folla con i razzi anticarro perché sa che questa volta
finirà impiccato come merita da 42 anni; nello Yemen Alì Abdallah Saleh tenta
disperatamente di restare abbarbicato alla poltrona mandando i suoi servi a picchiare i
dimostranti che ne chiedono pacificamente le dimissioni; l'emiro del Bahrein si
barcamena tra feroci repressioni e promesse di dialogo col solo risultato di esasperare
il 70% dei suoi sudditi; in Iran i giovani, che sono i due terzi di una popolazione fra le
più istruite del Medio Oriente, danno alle fiamme i ritratti di Khomeini e del suo
successore gridando «Dopo Mubarak e Ben Alì, adesso tocca a Sayyed Alì
[Khamenei]».
Tutte queste rivolte popolari, sia prese isolatamente, sia ancor più nel loro
sovrapporsi, intersecarsi e influenzarsi reciproco, hanno sollevato lo stupore, il
disappunto, l'inquietudine, il terrore in quella schiera di giornalisti, opinionisti,
maitres a penser come l'ex ambasciatore a Mosca Sergio Romano, docenti di
relazioni internazionali, arabisti, orientalisti, islamofascisti come Pietrangelo
Buttafuoco (il signor "l'Occidente è al tramonto, l'Occidente è al tramonto") e
sedicenti esperti di geopolitica alla Lucio-Caracciolo-e-compagni-di-Limes, i quali
avevano sempre sentenziato dalle loro cattedre del Nulla che mai e poi mai i
musulmani avrebbero accettato i diritti umani, la libertà e la democrazia "importati"
dall'Occidente, che il liberalismo e il primato dell'individuo sulla comunità di nascita
erano incompatibili con la cultura di popoli abituati, prima e dopo la loro conversione
all'Islam, a un modo di vivere comunitaristico, che il XXI secolo avrebbe visto il
prevalere del fervore religioso islamico sul materialismo e l'edonismo occidentali, bla
bla bla... Per ora tutti questi soloni prezzolati sono costretti a tacere di fronte a un
fatto evidente e indiscutibile: da quando i Tunisini hanno dato il via all'Onda della
rivoluzione nessuno, nessuno, in nessun Paese in rivolta, ha dato alle fiamme una sola
bandiera a stelle e strisce o con la stella di David, nessuno ha calpestato i ritratti di
Netanyahu, nessuno ha gridato «Morte all'America» o «Morte a Israele»; piuttosto
135
calpestano i ritratti di Khamenei, Ahmadinejad, dei tiranni che se ne sono andati e di
quelli che non se ne vogliono ancora andare, e quando gridano, gridano «Morte al
dittatore», «Libertà», «Democrazia».
Ciò che i maestri del multiculturalismo razzista non hanno compreso, e che noi
mondialisti avevamo invece ben capito e previsto da molti anni, è che il mondo
islamico è composto per la grandissima maggioranza di giovani al di sotto dei 30
anni, giovani che guardano le tv satellitari, navigano in Internet, si creano i loro
profili su Facebook e "cinguettano" con Twitter esattamente come i loro coetanei
occidentali; giovani che attraverso la televisione e il computer apprendono come
vivono i giovani in Occidente; giovani che, esattamente come i giovani occidentali,
desiderano ascoltare le canzoni di Shakira o di Lady Gaga senza essere additati come
peccatori dagli imam e sgozzati da fanatici talebani; desiderano mangiare un piatto di
pasta al pomodoro o una crêpe senza essere picchiati da squadracce di motociclisti e
arrestati per ordine di un ayatollah; desiderano incontrare persone dell'altro sesso e
sposarsi per amore e non per un accordo economico concluso tra famiglie al di sopra
delle loro teste; desiderano vivere decentemente del proprio lavoro senza essere
costretti a emigrare da governanti corrotti che monopolizzano i proventi delle
ricchezze naturali, petrolio, diamanti, uranio e metalli, con cui l'Altissimo aveva
benedetto quelle terre affinché fossero utilizzate per il bene comune del popolo e non
per l'opulenza di pochi e la miseria di molti; desiderano esprimere liberamente le loro
opinioni e contribuire al buon governo dei loro Paesi senza che il dibattito pubblico
venga sequestrato da tiranni sanguinari che impegnano ossessivamente i loro popoli
in imprecazioni e minacce contro il "Grande Satana" americano e contro l'«entità
sionista» per distrarli dai problemi interni. Questi giovani hanno finalmente capito
che la causa della loro miseria materiale e della loro arretratezza spirituale non sta a
Washington né a Gerusalemme o Tel Aviv, ma nelle loro capitali, nei loro palazzi
presidenziali e nelle loro regge, non si chiama Bush o Obama o Netanyahu ma Ben
Alì, Mubarak, Saleh, Khalifa, Assad e Nasrallah, Khamenei e Ahmadinejad. Hanno
compreso che i regimi da cui sono stati oppressi per decenni si reggono solo sulle
fragili fondamenta della loro paura di buttarli giù. E hanno deciso di dire: BASTA!
Cosa ci riserva il futuro? Noi mondialisti, ormai lo sapete, preferiamo fare la
Storia eseguendo i decreti dell'Altissimo piuttosto che scriverla, e pertanto non ci
avventuriamo in previsioni. Ci limitiamo a constatare quanto sta accadendo sotto i
nostri, sotto i vostri occhi: proprio oggi in Cina il regime comunista ha messo agli
arresti più di 20 avvocati e attivisti in favore dei diritti umani per tentare vanamente
di impedire che alcuni giovani, accordatisi tramite forum e social networks, si
radunassero in una piazza di Pechino e lanciassero sulla folla e sui giornalisti
appositamente convocati mazzi di gelsomini a simboleggiare la volontà di imitare i
loro coetanei di Tunisi. L'Onda della libertà ha ormai valicato anche la Grande
Muraglia, e non servirà a niente bloccare sui motori di ricerca la parola "gelsomino"
(è accaduto davvero) e tutte le notizie su Tunisia, Egitto, Yemen, Iran e dintorni.
L'unificazione del genere umano in un solo Impero mondiale federale, liberale e
democratico procederà inarrestabile, perché essa costituisce la risposta al desiderio
profondo di ogni uomo e donna di vivere in libertà, giustizia e pace con i suoi simili.
136
MONDIALISMO E AMERICA
137
AMERICA, “REPORT” SCOPRE L’ACQUA CALDA
(4/06/2007) Se esistesse un premio per il servizio giornalistico più ovvio e
scontato – una sorta di IgNobel della stampa – quest’anno se lo aggiudicherebbero
certamente Milena Gabanelli e tutta la redazione di “Report” per l’inchiesta
“Revolution.com” trasmessa domenica 3 giugno.
Quali clamorose novità emergono infatti dal servizio a firma Manon Loizeau?
Che negli Stati Uniti d’America esiste un gran numero di individui, associazioni e
fondazioni (dalla Freedom House, fondata da un ex giornalista per difendere nel
mondo la libertà di stampa col sostegno del senatore repubblicano John McCain,
all’Einstein Institute dell’ex consulente dei servizi segreti militari Robert Helvey, dal
“Progetto per le democrazie in transizione” dell’ex dirigente della Lockheed Bruce
Jackson al miliardario iscritto al partito democratico George Soros) i quali hanno
speso milioni di dollari per creare e sostenere gruppi di opposizione democratica ai
regimi tirannici e autocratici del serbo Milosevic, del georgiano Shehevardnaze,
dell’ucraino Kuchma e del kirghizo Akayev? Che tutti questi gruppi di opposizione
democratica finanziati da individui e associazioni statunitensi hanno seguito le
istruzioni contenute in un manuale scritto da uno studioso americano di nome Gene
Sharp e intitolato “Dalla dittatura alla democrazia”? Che le hanno seguite così bene,
quelle istruzioni, da far crollare in pochi mesi, e senza spargimento di sangue, quattro
tirannie in cinque anni (Serbia 2001, Georgia 2003, Ucraina 2004, Kirghizistan
2005)? Che senza i finanziamenti e l’appoggio americano Milosevic sarebbe ancora
al potere, e le rivoluzioni “delle rose”, “arancione” e “dei tulipani” sarebbero state un
fallimento? Insomma, che gli Stati Uniti d’America odiano la tirannide e amano la
democrazia?
Se questo è lo scoop che intendeva realizzare mandando in onda quel servizio,
egregia signora (o signorina) Gabanelli, ebbene è in ritardo di almeno 231 anni…
Ora, data la sua giovane età, si può comprendere che Lei non abbia vissuto in prima
persona, e con una steadycam in spalla, l’esaltante giornata del 4 luglio 1776; ma
poiché si presume che, per fare il giornalista, si debba aver conseguito almeno la
licenza elementare, non si può assolutamente scusare il fatto che Lei non conservi
memoria di aver studiato a scuola la Dichiarazione d’Indipendenza che quel giorno fu
sottoscritta a Philadelphia da uomini illustri come Benjamin Franklin, Thomas
Jefferson e George Washington; un documento nel quale si proclamava apertamente
il principio di diritto naturale e razionale che «tutti gli uomini sono creati da Dio
eguali, e sono dotati dal loro Creatore di uguali diritti, fra i quali il diritto alla vita,
alla libertà e alla ricerca della felicità», e che «per la difesa di questi diritti sono
istituiti governi fra gli uomini», e che pertanto, «qualora un governo, mediante una
lunga pratica di malversazioni, arresti illegali e imposizioni fiscali arbitrarie,
dimostri di non voler tenere in alcun conto questi diritti, un popolo è legittimato ad
opporsi a tale regime, a deporlo e a sostituirlo con un altro di propria scelta».
Questa è la pietra angolare su cui è stato fondato l’edificio della democrazia
statunitense, e a questi immortali principi il governo e il popolo degli Stati Uniti
d’America sono sempre stati fedeli: quando a metà dell’Ottocento rifiutarono di
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pagare gli odiosi pedaggi pretesi alle loro navi dai pirati barbareschi del
Mediterraneo, e mandarono il corpo dei marines appena costituito sulle spiagge di
Libia a liberare quanti erano stati resi schiavi da quei predoni; quando nel 1898
sostennero la lotta per l’indipendenza del popolo cubano contro la retrograda Spagna;
quando nel 1917, per dare pace alle anime dei passeggeri del transatlantico Lusitania
affondato da un sommergibile tedesco, turisti innocenti che si sentivano cittadini del
mondo e al mondo chiedevano solo rispetto per le loro vite e i loro beni, inviarono in
Europa centinaia di migliaia di volontari che decretarono la vittoria delle democrazie
e la disfatta del militarismo prussiano; quando nel 1941, assaliti a tradimento da chi
fingeva di impegnarsi in trattative diplomatiche e non si degnò neppure di consegnare
una dichiarazione di guerra, impegnarono tutto il loro potenziale bellico, umano e
tecnologico per sconfiggere l’Asse Roma-Berlino-Tokio e salvare il mondo dal
genocidio; quando per cinquant’anni difesero metà dell’Europa e del mondo dalla
minaccia di un’invasione sovietica, finché la bandiera rossa fu ammainata dalla cima
del Cremlino e l’ultimo autocrate Gorbaciov fu sostituito dal mite Eltsin. Ed anche
oggi, oggi che il nuovo despota russo, l’uomo del Kgb Vladimir Putin, minaccia di
puntare i suoi missili nucleari sulle città d’Europa come ritorsione per il
dispiegamento ai confini del suo regno di un sistema di difesa anti-missili balistici
che egli accusa contraddittoriamente di essere, insieme, «inutile» e «lesivo
dell’equilibrio strategico tra le superpotenze nucleari» (cioè, per dirla con brutale
schiettezza, di togliere dalle mani dell’orso russo la pistola che per cinquant’anni ha
tenuto puntata alla testa dell’Europa, per mantenerla nella schiavitù della paura); oggi
che il mondo intero è minacciato di nuove stragi, di infiniti 11 settembre da una
piovra fondamentalista islamica che vuole assoggettare l’umanità ad un Califfato
mondiale nemico delle donne e della libertà di pensiero; anche oggi il governo e il
popolo degli Stati Uniti d’America, siano essi guidati da un presidente repubblicano o
democratico, sono sempre alla guida del movimento d’uomini e di donne che opera
ogni giorno, con la parola, con la tastiera di un computer o con la canna di un fucile,
per abbattere i regimi tirannici, autoritari ed oscurantisti e instaurare nel mondo la
vera pace, quella che nasce dal rispetto della libertà e dignità di ogni essere umano.
Questa, signora Gabanelli, è la vera notizia.
139
I LEADERS CAMBIANO, NOI RESTIAMO. E RESISTIAMO
(12/11/2008) Come i nostri lettori già sanno, il Partito Mondialista ha visto la
prima luce il 3 aprile 2005, poche ore dopo la santa morte di Giovanni Paolo II, il
Papa che, con la sua instancabile denuncia dei crimini e della menzogna del
marxismo-leninismo - denunzia condotta con sovrano sprezzo del pericolo fino a
subire un gravissimo attentato ordito dal Kgb (come ha dimostrato il lavoro della
Commissione italiana sul dossier Mitrokhin, egregiamente presieduta da Paolo
Guzzanti) - ha contribuito, in fraterna e leale collaborazione con l'allora Presidente
degli Stati Uniti d'America Ronald Reagan il Precursore, a far crollare l'Unione
Sovietica, il regno del Male che in settant'anni aveva massacrato più di cento milioni
di esseri umani e seminato in tutto il mondo miseria, terrore e morte.
Nel 2005 era Presidente degli Stati Uniti d'America George Walker Bush, colui
che aveva saputo rispondere con rapidità e fermezza al vile attacco sferrato dal
terrorismo fondamentalista islamico l'11 settembre 2001 contro il popolo americano e
contro la più antica e grande democrazia del pianeta; colui che con le operazioni
militari Infinitive Justice (Giustizia infinita) e Enduring Freedom (Libertà duratura)
aveva inaugurato la Guerra al terrore, portando il ferro e il fuoco in casa del Nemico,
stanandolo dalle caverne dell'Afghanistan, liberando milioni di donne dalla schiavitù
del burka talebano e restituendo ai bambini la libertà di giocare con gli aquiloni; colui
che ha abbattuto il feroce regime di quel Saddam Hussein che pagava 10.000 dollari
per ogni palestinese che si faceva esplodere su un autobus di Gerusalemme o davanti
a una discoteca di Tel Aviv, che ha gasato un milione di curdi, che ha torturato a
morte il suo stesso popolo, che si è arricchito scandalosamente trafficando petrolio
sottobanco con la complicità del meschino capobastone dell'Onu Kofi Annan. Per
tutti questi motivi egli ha meritato l'eterna riconoscenza del genere umano, e
l'attribuzione da parte di noi mondialisti del titolo di nuovo Augusto, Fondatore
dell'Impero mondiale.
Lo scorso 4 novembre, onorando non a parole, ma con i fatti gli immortali
princìpi della democrazia americana, George Walker Bush, il grande Marciatore per
la Libertà, ha ceduto lo scettro del comando all'uomo designato a succedergli dal voto
popolare. Che la democrazia si fondi sulla volontà del popolo, di tutto il popolo senza
discriminazioni di sesso, razza e fede religiosa è indiscutibile; ma è altrettanto certo e
provato dalla Storia, maestra di vita, che la volontà popolare ha bisogno di essere
illuminata dalla luce della ragione e della conoscenza della realtà, da quella luce
senza la quale l'agire politico è simile al vagare di un cieco che sbatte la testa contro il
muro dei problemi e delle emergenze perché non li vede (o finge di non vederli). Se il
voto del popolo, oltre che condizione necessaria, fosse anche da solo sufficiente a
garantire l'esistenza di una "vera" democrazia, cioè di un governo rispettoso dei diritti
inalienabili di ogni essere umano - cittadino o straniero, uomo o donna, nato o
concepito, sano o malato, cristiano o musulmano, buddista o ateo - alla vita, alla
libertà e alla ricerca della felicità, allora regimi come quelli di Mussolini e Hitler, di
Lenin e Mao, del cekista bicefalo Putin-Medvedev e del folle antisemita
Ahmadinejad dovrebbero essere qualificati e trattati come democratici, anziché, come
140
sono realmente, delle tirannie sanguinarie da abbattere per il bene dei loro popoli
sottomessi e dell'intera umanità.
Solo il tempo e le opere che compirà potranno dire se Barack Obama sarà un
vero presidente americano o un traditore dell'Occidente: come dice il Signore Gesù
Cristo, «gli alberi si riconoscono dai frutti». Per il momento, la sua elezione ha
coinciso con il più grave attacco che il Partito Mondialista abbia subito dalla sua
fondazione: un attacco imprevisto, di una violenza inaudita, condotto in modo
concentrico da una Sinistra smaniosa di rivincite provinciali e da una Destra ansiosa
di saltare sul carro del vincitore annunciato; un attacco che ci ha costretto a chiudere
questo sito Internet per ben otto giorni, e che ha rischiato di distruggere la nostra
organizzazione per sempre. Ma l'Altissimo, nel cui Nome noi compiamo la nostra
opera, ci è venuto in soccorso nella figura di un servo di Dio, un pastore della Chiesa;
un uomo di vasta e profonda cultura, che se la ride di tutte le fole sui complotti
giudaico-massonici di cui ci accusano i nostri avversari, gente senza Verità; egli ci ha
portato il suo conforto e ci ha offerto il suo sostegno, dimostrando che la Chiesa
cattolica è ben altra cosa dai ciecopacifisti alla Alex Zanotelli e dai francescani
Pizzaballe che aprono le porte dei Luoghi Santi ai terroristi assassini.
Così oggi, nell'ottavo giorno, noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis
for a World Empire" e del Partito Mondialista, deposta la veste del lutto, riprendiamo
la pubblicazione del nostro sito, più di prima decisi a resistere alla marea montante
del nuovo totalitarismo russo-islamo-cinese che fa proseliti tra gli orfani del
comunismo e del nazifascismo, cercando di incatenare l'Europa con il ricatto
energetico, di attuare con i dittatori africani un empio scambio di protezione politica
contro materie prime e di sedurre le masse indigene del Sudamerica con logori
slogans anti-yankees. Decisi a resistere anche alle sirene dei Sarkozy e dei Berlusconi
che predicano l'appeasement tra America e Russia, disposti, come i loro predecessori
a Monaco nel 1938, a vendere l'onore in cambio della pace, e a ritrovarsi nudi come
vermi, senza l'uno né l'altra. Il nostro scopo è sempre lo stesso: illuminare le menti e i
cuori degli uomini e delle donne che ci incontrano nella Rete, per preparare il tempo
in cui il governo e il popolo degli Stati Uniti d'America diverranno consapevoli della
missione storica loro affidata di essere la città sulla collina, del dovere sacro di
utilizzare la loro superiorità militare, economica e morale per fondare un Impero
mondiale che abbatta tutte le tirannie e le dittature laiche e religiose e doni finalmente
al genere umano pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti.
Chiunque leggerà questo editoriale sappia per certo: i leaders del mondo libero
possono cambiare e anche tradire, ma noi mondialisti restiamo. Noi ci saremo
sempre; saremo sempre accanto a voi, dentro di voi, con voi; saremo la voce della
vostra coscienza, il sostenitore indefesso della vostra virtù, il fustigatore inflessibile
della vostra ipocrisia. Ai nostri alleati diciamo: rallegratevi per questo. Ai nostri
nemici diciamo: rassegnatevi. Noi ci saremo sempre.
141
L'AMERICA DI OBAMA LEGA LE MANI A ISRAELE
(18/1/2009) Gaza 2008 come Libano 2006. Ancora una volta l'esercito israeliano
è costretto a tornare alle proprie basi senza aver finito il lavoro. Ancora una volta i
ragazzi che difendono a costo della vita l'unica democrazia del Medio Oriente devono
riattraversare il confine sapendo che non potranno annunciare ai loro parenti e amici:
"Ce l'abbiamo fatta". Ancora una volta settimane di massicci bombardamenti aerei e
navali, cannoneggiamenti di carri armati e incursioni di forze speciali non sono
riusciti a eliminare per sempre la minaccia di distruzione che grava su Israele da
sessant'anni. Ancora una volta un vigliacco leader di una organizzazione terroristica
(nel 2006 Nasrallah di Hezbollah, oggi Meshaal di Hamas) canta vittoria perché le
bombe e i missili di Tsahal non sono riusciti a raggiungerlo nel suo bunker
sotterraneo, perché la maggior parte dei suoi seguaci, nascosti e coperti dalla
popolazione (spontaneamente o per costrizione, poco importa), è sopravvissuta agli
attacchi mirati, perché la gran parte del suo micidiale arsenale missilistico è ancora
intatta, perché la tregua unilaterale decisa da Gerusalemme gli permetterà di tirare il
fiato e di prepararsi a nuovi lanci di missili sempre più potenti contro inermi città
israeliane sempre più lontane dal confine e quindi meno attrezzate per dare
protezione ai civili, e soprattutto perché facendosi scudo con la popolazione ha
"guadagnato" un bel migliaio di morti - in particolare donne e bambini - che potrà in
futuro gettare sul piatto della bilancia di eventuali trattative e utilizzare per fomentare
l'odio dei musulmani di tutto il mondo contro l'Israele "nazista". E ancora una volta la
non-vittoria di Israele non è dovuta a una inferiorità militare, tutt'altro, ma solo alla
mancanza di tempo.
La differenza fondamentale tra Libano 2006 e Gaza 2008 sta in questo: nel 2006
fu l'Unione Europea traumatizzata dalle "barbare stragi" compiute dall'aviazione
israeliana - soprattutto dalla distruzione di un condominio di Cana usato da Hezbollah
come nascondiglio e base di lancio per i katiuscia diretti contro il Nord di Israele - a
imporre al premier Olmert il cessate il fuoco e il dispiegamento al confine con il
Libano di un contingente Onu di "interposizione" che non ha mai ricevuto il mandato
di disarmare i terroristi islamici (e di fatto, nonostante i suoi pattugliamenti da
operetta, Hezbollah ha oggi a disposizione più di 40.000 missili made in Teheran);
stavolta invece lo stato maggiore ebraico e le forze di Tsahal hanno avuto a
disposizione appena 22 giorni per tentare la missione impossibile di neutralizzare per
sempre l'apparato militare di Hezbollah e mettere in sicurezza il proprio confine
meridionale, perché dopodomani, martedì 20 gennaio 2009, sulla piazza del
Campidoglio di Washington, un uomo di nome Barack Hussein Obama, scelto lo
scorso 4 novembre da un elettorato composto in grandissima maggioranza da
afroamericani come mai prima d'ora, acclamato dalle folle di tutto il pianeta come il
Kennedy nero e come un nuovo messia, diventerà Presidente degli Stati Uniti
d'America. E Obama, lo sanno tutti, era contrario all'operazione "Piombo fuso".
La potenza economica e militare di uno Stato non è garanzia della sua civiltà e
democraticità. La Russia è sempre stata, per estensione territoriale, risorse naturali e
apparato bellico, la prima potenza del continente eurasiatico; ma dagli zar a Putin ha
142
sempre impiegato la sua strabordante potenza per soffocare ogni anelito di libertà
sotto la cappa di un regime autocratico ed espansionista (la Georgia di Saakashvili e
l'Ucraina di Yushchenko ne hanno fatto e ne stanno facendo tragica esperienza). La
Cina, potenza egemone nell'Asia orientale e prima "fabbrica" del pianeta, semina
morte e distruzione dal Tibet allo Xinjang, imprigiona sacerdoti cristiani, monaci
buddisti e intellettuali dissidenti, protegge le dittature dalla Birmania all'Africa in
cambio di petrolio e materie prime. Se in un Paese un governo liberale e democratico
viene sostituito, magari con il consenso del popolo, da un regime tirannico che
disprezza i diritti naturali di ogni essere umano alla vita e alla libertà, una potenza
benevola può trasformarsi in una minaccia per l'intera umanità. Come diceva san
Tommaso d'Aquino, "la corruzione dei migliori è la peggiore di tutte".
Gli Stati Uniti d'America negli ultimi 60 anni sono stati guidati da capi saggi e
buoni che ne hanno orientato la politica interna e internazionale verso traguardi di
libertà e di progresso: Roosevelt ha salvato l'Europa dalla barbarie nazifascista e
l'Oriente dall'espansionismo giapponese, Truman ha impegnato il suo popolo a
contenere la minaccia del comunismo che alfine è stata sconfitta da Reagan, Kennedy
e Johnson hanno abbattuto le barriere razziali, i due Bush hanno affrontato la sfida
del terrore globale islamico e difeso il diritto alla vita degli esseri umani allo stadio
embrionale. Ora Barack Hussein Obama dichiara di voler ritirare i soldati americani
dall'Irak, di voler chiudere il carcere "degli orrori" di Guantanamo (e chi chiuderà
mai le galere iraniane dove vengono torturate migliaia di studenti colpevoli di aver
chiesto libertà agli ayatollah, una libertà incompatibile col Corano?), di voler
abrogare le restrizioni poste da George Walker Bush alla concessione di
finanziamenti federali per l'uso di embrioni umani nelle ricerche sulle cellule
staminali, di voler estendere la praticabilità dell'aborto e legalizzare le unioni tra
omosessuali, di voler "dialogare" con le organizzazioni terroristiche palestinesi e di
voler "trattare" con il folle Ahmadinejad che le arma e che vuole solo prendere tempo
per costruirsi un paio di bombette atomiche da lanciare su Tel Aviv e Haifa e
cancellare dalla faccia della terra due o tre milioni di ebrei...
Gli americani, desiderosi come negli anni Venti di rinchiudersi in un
isolazionismo a prova di 11 settembre, guardano a Barack Hussein Obama come a un
salvatore dell'America dal proprio "destino manifesto" di essere il popolo chiamato a
portare all'umanità libertà e democrazia; il resto del mondo guarda al Kennedy nero
come a colui che lo salverà dall'invadenza, dall'ingenuità e dall'arroganza dei
cowboys. Noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e
del Partito Mondialista aspetteremo che l'America si svegli dal suo letargo, riprenda
coscienza di essere la "città sulla collina" e riprenda a combattere per la costruzione
di un Impero mondiale che protegga i diritti intangibili di ogni uomo alla vita, alla
libertà e alla ricerca della felicità. Per il momento, le previsioni meteorologiche
annunciano cielo sereno su Washington. Come dice la Scrittura, il Padre celeste fa
splendere il suo sole sui buoni e sui cattivi. Ma dice anche: Guai ai pastori infedeli
che opprimono il mio gregge.
143
OBAMA È UN INCAPACE, LA SALVEZZA VERRÀ DA ISRAELE
(14/5/2009) Noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World
Empire" e del Partito Mondialista sappiamo bene che un capo di governo, soprattutto
se di un Paese democratico, non può essere giudicato se non dopo un congruo periodo
di "rodaggio". Per questo motivo ci siamo astenuti sinora dall'esprimere una
posizione ufficiale sull'attuale presidente degli Stati Uniti d'America Barack Hussein
Obama. Ora, però, la misura è colma; e pertanto, in unione fraterna con tutti gli
associati, presentiamo i capi d'accusa e le relative prove. Come sta scritto nel
Vangelo, «l'albero si riconosce dai frutti».
1) A neppure 24 ore dalla sua proclamazione ufficiale sulla spianata del
Campidoglio di Washington, Barack Hussein Obama ha abrogato il divieto che era
stato posto dal suo predecessore George Walker Bush (quantum diversus ab illo!)
all'uso di fondi federali per sostenere organizzazioni non governative che
promuovono la diffusione dell'aborto nel Terzo Mondo e per finanziare esperimenti
di laboratorio su esseri umani allo stadio embrionale vivisezionati allo scopo di
estrarne cellule staminali. Come abbiamo chiaramente e nettamente affermato nel
Manifesto fondativo del Partito Mondialista, nostro ramo esecutivo, «siamo ben
consapevoli del fatto che nessuna società aperta, complessa e differenziata al suo
interno può sopravvivere senza un consenso di fondo su principi e valori strutturanti
la convivenza; principi e valori che sono propri di tutti gli uomini come individui, ma
che solo il Cristianesimo come religione organizzata ha fatto emergere alla luce della
consapevolezza e innalzato a pilastri angolari di una civiltà universale» e che pertanto
«il mondialista non sarà mai un ateo ignorante, un libertino senza cervello, un maiale
sazio e annoiato». Non possiamo dunque che appoggiare convintamente le proteste
formulate dalla Santa Sede, la quale ha parlato apertamente di «decisione ideologica
contraria alla volontà della maggioranza degli americani» e di «arroganza del
potere».
2) Una settimana dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, Barack Hussein
Obama ha annunciato il ritiro delle truppe statunitensi dall'Iraq a partire dal 2010,
decretato la chiusura del carcere di Guantanamo con la conseguente liberazione di
migliaia di terroristi e fiancheggiatori di Al Qaeda, e proibito ai funzionari che
lavorano per le agenzie di sicurezza nazionale di usare l'espressione "guerra al
terrorismo" e di qualificare i nemici degli Stati Uniti d'America come terroristi. Per il
gusto sadico e sciocco di distinguersi dal suo predecessore George Walker Bush,
Obama ha azzerato i benefici effetti che erano stati ottenuti dal generale David
Petreus con la sua strategia di controinsorgenza (attaccare i terroristi nei loro covi
invece di starsene rinchiusi nelle caserme in attesa del prossimo attentato; allearsi con
i capitribù sunniti moderati per dividere il fronte nemico; sostenere concretamente la
popolazione civile per indurla a togliere il proprio appoggio ai terroristi); ha tradito le
giuste attese del popolo iracheno che sei anni fa aveva accolto festosamente gli
americani per essere liberato dalla paura e dalla miseria della dittatura di Saddam
Hussein; ha detto ai capi tribali come Moqtada al-Sadr che gli Stati Uniti d'America
non vogliono assumersi la responsabilità di opporsi alle loro feroci mattanze, che
144
infatti hanno fatto segnare immediatamente una ripresa dopo i molti mesi di calma
portati dalla "cura" Petraeus. Inoltre, con una intervista alla tv Al-Arabiya ha teso la
mano ai despoti musulmani offrendo loro di perseguire «un nuovo cammino, basato
sull’interesse reciproco e sul reciproco rispetto»; in altre parole ha promesso ai tiranni
di Teheran e Damasco che gli Stati Uniti d'America non tenteranno di scalzarli dai
loro troni di sangue come hanno meritatamente fatto con Saddam e con Milosevic, a
costo di gettare nel panico i loro pochi alleati pseudo-moderati (come l'Egitto,
l'Arabia Saudita e la Giordania) spingendoli a riarmarsi e a cercare accordi con gli
ayatollah. Peccato che il regime iraniano abbia "male" interpretato l'apertura
obamiana come un segno di debolezza degli Usa e abbia risposto puntando i propri
missili balistici su Israele, l'unica democrazia liberale della regione...
3) Sessanta giorni dopo, Barack Hussein Obama ha inviato il suo segretario di
Stato, l'ineffabile Hillary Clinton, in un tour promozionale in Cina e Indonesia. Ai
mandarini del Partito Comunista di Pechino ha rivolto un messaggio inequivocabile:
«Non lasceremo che le nostre divergenze sui diritti umani ci impediscano di
collaborare alla soluzione di vari problemi, come il riscaldamento globale». In altre
parole al nuovo presidente del Paese un tempo culla della libertà importa molto più
della sorte di due pinguini e quattro orsi polari che di quella di due miliardi di cinesi
schiavi di un regime dittatoriale che censura Internet, opprime i Tibetani attuando un
feroce genocidio, condanna a morte innocenti senza processo per prelevarne gli
organi e usarli per rivitalizzare decrepiti funzionari di partito, rinchiude cristiani e
buddhisti in campi di lavoro forzato dove con il loro sangue si producono i beni di
consumo di infima qualità con cui la Cina comunista sta scalando le vette
dell'economia mondiale. Nel frattempo il tandem Putin-Medvedev (il presidenteombra e l'ombra di un presidente) ha rispedito al mittente la proposta obamiana di
scambiare la rinuncia americana al dispiegamento in Polonia e repubblica Ceca del
sistema antimissile chiamato "scudo stellare" con un intervento russo per bloccare il
programma nucleare dell'Iran: il messia della nuova America pacifista e
multilateralista ha praticamente offerto su un piatto d'argento alla Russia i popoli
dell'Europa orientale che il suo predecessore Ronald Reagan aveva faticosamente
liberato dal giogo di Mosca! Neppure dieci giorni dopo il regime totalitario della
Corea del Nord effettuava il lancio di prova di un nuovo missile intercontinentale
capace di incenerire la California, e Barack Hussein Obama come ha reagito? Ha
forse ordinato di abbattere il missile per dimostrare al fanatico Kim Jong-Il che gli
Stati Uniti d'America non tollerano attentati alla loro sicurezza? No! Ha forse inviato
nel Mar Cinese la flotta americana del Pacifico per dissuadere Pyongyang
dall'attaccare la Corea del Sud o il Giappone, che fino a prova contraria sono ancora
alleati fedeli di Washington? No! Ha reagito nel solo modo che conosce: con parole,
parole, soltanto parole.
4) Infine, per festeggiare indegnamente i primi cento giorni del suo primo (e
speriamo ultimo) mandato, Barack Hussein Obama non ha mosso un dito per salvare
dalle orride carceri iraniane la sua concittadina Roxana Saberi. Non ha mobilitato i
reparti adibiti alle operazioni speciali per liberare l'innocente giornalista accusata
ingiustamente di spionaggio con uno di quei colpi di mano che ormai, con lui al
145
potere, dovremo rassegnarci a vedere soltanto nelle retrospettive di film come "Spy
Game"; non ha neppure mandato nel Golfo Persico qualche portaerei per fare almeno
un po' paura agli ayatollah; non ha fatto assolutamente nulla, neppure quando la
povera Roxana è stata condannata a otto anni di carcere (e Dio solo sa se ne sarebbe
uscita viva) e si è sottoposta a un durissimo sciopero della fame per dodici
lunghissimi giorni. Si è solo dichiarato, bontà sua, «sollevato» quando il tribunale
d'appello di Teheran ha commutato la condanna in due anni con la condizionale e ha
rimesso la giovane in libertà perché «l'America non è un paese ostile». Capite?
Trent'anni che imam e ayatollah aizzano le folle contro il "Grande Satana americano",
e all'improvviso l'America non è più un paese "ostile" all'Iran! Quale empio patto è
stato siglato tra Hussein Obama e Mahmoud Ahmadinejad, il folle che vuole
cancellare Israele dalle carte geografiche? Forse la liberazione della giornalista
iraniano-americana è stata la contropartita alla promessa obamiana di opporsi al
bombardamento dei siti nucleari iraniani da parte di Israele, improvvidamente
annunciato dal Times per il prossimo 11 giugno?
Concludendo, sulla base delle prove qui esposte Barack Hussein Obama deve
essere riconosciuto INCAPACE DI GARANTIRE LA SICUREZZA DEL POPOLO
CHE LO HA ELETTO E DELL'OCCIDENTE, e il verdetto nei suoi confronti deve
essere di CONDANNA, durissima e senza appello.
Come reagire a questo tracollo della potenza degli Stati Uniti d'America, del
Paese che noi mondialisti avevamo eletto a «base avanzata, portaerei e punta di lancia
per la costruzione di un Impero mondiale che li veda assumere la guida dell’umanità»
e al quale avevamo promesso «il più sincero appoggio, la più sicura fedeltà e la
massima collaborazione nella loro azione politica su scala planetaria»? Non è la
prima volta che la Storia, cioè il dispiegarsi nello spazio e nel tempo del progetto
dell'Altissimo sulla sua creazione, vede questo alternarsi di avanzamenti e
arretramenti della libertà, della democrazia e dell'apertura reciproca degli uomini e
dei popoli. Nel V secolo avanti Cristo il multietnico e tollerante impero persiano, che
aveva unito genti diverse sotto un mite governo, favorito il commercio e lo scambio
di idee (è nella Ionia persiana che nascono insieme moneta e filosofia), riportato gli
Ebrei nella loro patria e finanziato la ricostruzione del Tempio, era divenuto un'entità
farraginosa nelle mani di satrapi corrotti. Provvidenzialmente, dunque, esso fu
sconfitto dalla coalizione delle città-Stato greche guidate da Atene: benché esse si
siano poi dilaniate per cento anni avvolgendosi nella spirale di un bieco
micronazionalismo, hanno dato un contributo inestimabile alla causa della
democrazia, e soccombendo alla forza di Roma l'hanno fecondata con la sua civiltà
permettendole di fondare un impero cosmopolitico ancora più grande di quello di
Ciro e di Alessandro. Ventuno secoli dopo, i pesanti galeoni dell'Invincibile Armada
furono provvidenzialmente affondati dalle agili navi corsare di Francis Drake, e
l'impero di Madrid su cui non tramontava mai il sole cedette di fronte al nascente
impero britannico, che perseguitò i cattolici ma pose le basi della democrazia
parlamentare e dello Stato di diritto. Allo stesso modo, oggi, in attesa che un nuovo
attentato di Al Qaeda sul suolo americano - per il quale non bisognerà purtroppo
attendere molto tempo, stante il basso livello cui sono ridotte le difese degli Stati
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Uniti - induca quel popolo a riscattarsi dalla vergogna, a gettare l'incapace Obama
nella polvere e a scegliersi un comandante in capo degno di tale titolo, noi mondialisti
ci troviamo costretti ad abbandonare la malridotta portaerei a stelle e strisce e a
ripiegare, per la salvezza della causa, su un più piccolo ma agile vascello corsaro.
Fuor di metafora, il momento storico ci offre l'opportunità di valorizzare
adeguatamente il potenziale di emancipazione insito nel popolo e nel governo dello
Stato di Israele, del quale in questo giorno gli amanti della libertà celebrano il
sessantunesimo anniversario di ricostituzione. È stata l'ispirazione profetica
veterotestamentaria dei primi Padri Pellegrini a forgiare lo spirito di tolleranza del
popolo americano, a fondare le sue istituzioni sul diritto inalienabile di ogni essere
umano alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. È stato il contributo
intellettuale e morale degli Ebrei emigrati dall'Europa sottomessa al nazifascismo a
impedire che gli Stati Uniti d'America si trasformassero in un popolo di gretti razzisti
wasp, a farne la democrazia aperta e progressista che ha sconfitto l'Asse del Male
Roma-Berlino-Tokio e ha contenuto per cinquant'anni l'avanzata planetaria del
comunismo. Dal 1948 ad oggi Israele ha rappresentato l'avamposto in mezzo alle
monarchie fondamentaliste e alle dittature nazicomunisteggianti del Medio Oriente
della libertà, della democrazia e del progresso materiale e spirituale di un Occidente
che troppo spesso lo ha ricambiato con disprezzo e indifferenza; ha affrontato
vittoriosamente quattro guerre, due "intifade", gli Scud di Saddam Hussein e una
catena senza fine di attentati terroristici nei ristoranti che ospitavano banchetti
nuziali, nelle discoteche in cui giovani innocenti hanno trovato ingiusta morte, sugli
autobus che trasportano i bambini ebrei a scuola; e lo ha fatto senza rinunciare alle
proprie istituzioni democratiche, senza comprimere i diritti civili e politici dei
cittadini israeliani di religione musulmana e cristiana che pure troppo spesso hanno
collaborato con il nemico.
Noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e del
Partito Mondialista non intendiamo confermare né smentire che l'aviazione israeliana,
il prossimo 11 giugno, scatenerà la sua teologica potenza contro i depositi di uranio
arricchito dell'Iran, contro le sue centrali nucleari, contro le sue basi di lancio dei
missili balistici armati con testate chimiche e batteriologiche e puntati contro Tel
Aviv e Haifa. Possiamo però affermare ufficialmente che se e quando un simile
attacco avverrà, il governo e il popolo di Gerusalemme riceveranno da noi
mondialisti il più convinto sostegno e la più leale collaborazione. Perché, come sta
scritto nel Vangelo, «la salvezza viene dai Giudei».
147
1919-1991, LE OCCASIONI PERDUTE DELL'AMERICA
(8/5/2010) In questo giorno nel quale il mondo celebra ufficialmente il 65°
anniversario della fine della seconda guerra mondiale (in realtà l'8 maggio 1945
avvenne la resa incondizionata della Germania nazista agli Alleati; le ostilità con il
Giappone sarebbero proseguite fino al 16 agosto) noi mondialisti invitiamo i lettori a
riflettere sulle due occasioni che nel Novecento gli Stati Uniti d'America hanno avuto
tra le mani di ottenere una egemonia democratica sull'Europa, e di conseguenza su
tutto il supercontinente eurasiatico; due occasioni che essi, clamorosamente ma non
sorprendentemente, si sono lasciati sfuggire.
La prima occasione si aprì nel 1919. Due anni prima il presidente americano
Woodrow Wilson aveva dichiarato guerra alla Germania e all'Austria, inviando in
pochi mesi un corpo di spedizione ingentissimo - ben 116.000 soldati statunitensi
morirono e 204.000 restarono feriti - che, insieme ai rifornimenti di armi e generi
alimentari e ai finanziamenti concessi a Inghilterra, Francia e Italia, fu decisivo nello
spostare le sorti della prima guerra mondiale a favore delle potenze democratiche.
L'entrata in guerra fu determinata da vari fattori: ai primi del '900 gli Stati Uniti
d'America erano il primo produttore mondiale di cereali e carne bovina, la loro
economia rappresentava il 33% del PIL mondiale, la loro industria aveva superato
quella inglese, la loro flotta rivaleggiava con quella britannica, dal 1914 al 1916 le
loro esportazioni verso l'Europa erano quadruplicate e le loro banche avevano
concesso a Francia e Inghilterra prestiti per un totale di 2 miliardi di dollari che
sarebbero andati perduti in caso di vittoria della Triplice Alleanza; inoltre l'opinione
pubblica americana, inizialmente neutrale, fu scossa e indignata prima
dall'affondamento del transatlantico inglese Lusitania da parte di un sottomarino
tedesco il 7 maggio 1915 (sciagura che vide la morte di 1.200 passeggeri, di cui 140
americani, su 2.000), poi dalla pubblicazione nel marzo 1917 del famigerato
"telegramma Zimmerman" con il quale la Germania prometteva aiuto militare e
finanziario al Messico qualora avesse dichiarato guerra agli Stati Uniti. Da parte sua,
Wilson voleva riaffermare i sacri princìpi della libertà del commercio marittimo insidiata dalla decisione tedesca di condurre una guerra sottomarina indiscriminata
contro tutte le navi, anche neutrali, dirette verso i porti dell'Intesa - e del rispetto dei
diritti umani e della democrazia, e al termine del conflitto propose agli Stati europei
la creazione di una Società delle Nazioni che avrebbe dovuto fungere da arbitro delle
questioni internazionali e bandire per sempre la guerra.
Non è esercizio di fantastoria affermare che una Società delle Nazioni guidata da
Washington avrebbe potuto stroncare sul nascere il regime nazionalsocialista di
Adolf Hitler (eventualmente invadendo la Germania, che a seguito dei trattati di pace
nel 1933 era ancora priva di un esercito) e impedirgli di riarmare il Terzo Reich, di
far sprofondare il mondo in una guerra ancor più crudele e sanguinosa insieme a
Mussolini e Hirohito, di sterminare sei milioni di Ebrei, causare la morte di più di
cinquanta milioni di innocenti, ridurre l'Europa a un cimitero di rovine e favorire
l'occupazione comunista di metà del Vecchio Continente e di gran parte dell'Asia. Ma
gli Stati Uniti d'America ricaddero nella tendenza all'isolazionismo che li aveva
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caratterizzati sin dalla loro fondazione e il Congresso rifiutò di ratificare l'entrata
degli USA nella Società, che fu così privata del suo primo e più importante sponsor e
resa di fatto impotente.
La seconda occasione è durata dal 1991 al 2000. In quel decennio aperto dal
fallito golpe militare contro Gorbaciov che si risolse con l'ascesa al potere di Boris
Eltsin e la dissoluzione dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti d'America avrebbero
potuto approfittare della vittoria conseguita sullo storico avversario in virtù della loro
enorme superiorità economica, tecnologica e soprattutto morale e spirituale.
Avrebbero potuto favorire con ogni mezzo la nascita e lo sviluppo in Russia, nell'exUnione Sovietica, in Africa e nel Sudamerica di governi democratici, di economie di
libero mercato e di società civili aperte e liberali, sollevando centinaia di milioni di
esseri umani da situazioni secolari di fame e miseria. Avrebbero potuto incoraggiare
un rapido ingresso dell'Europa centro-orientale nella Nato e nell'Unione Europea,
mettendo così la Russia nella condizione di non poter rimandare ulteriormente le
profonde riforme del sistema economico e delle istituzioni statali necessarie a
divenire uno Stato pienamente democratico e occidentale, in grado di associarsi
strettamente con l'America e con l'UE in un sistema di sicurezza transatlantico.
Avrebbero potuto, in cambio di aiuti economici, insediare nelle nuove repubbliche
ex-sovietiche dell'Asia Centrale basi militari che avrebbero permesso loro di
accerchiare la Cina e costringere il regime comunista ad abbandonare la sua stretta di
ferro sulla società e concedere finalmente al popolo cinese le libertà di religione, di
pensiero, di decidere autonomamente il numero di figli e di iniziativa economica che
esso chiede dai tempi di Tienanmen. Avrebbero potuto utilizzare il loro immenso
potenziale militare per abbattere le dittature laiche e teocratiche del Medio Oriente,
risolvere una volta per tutte la questione arabo-israeliana e prevenire l'esplodere del
fondamentalismo islamico.
Sappiamo tutti come sono andate le cose. La guerra contro l'Iraq per liberare il
piccolo emirato del Kuwait si arrestò quando i carri armati americani erano già sulla
strada per Bagdad. Poi a Bush padre succedette Bill Clinton, che nello Studio Ovale
preferiva accoppiarsi con le stagiste piuttosto che fare il comandante in capo, e la
potenza militare a stelle e strisce fu posta sic et simpliciter al servizio dell'ONU
(l'Organizzazione Non Utile, anzi dannosa) e delle sue "operazioni umanitarie".
Quando in Somalia la dittatura di Siad Barre crollò e il Paese fu dilaniato dalle lotte
fra i vari signori della guerra i soldati dell'esercito più forte del pianeta furono inviati
non a sterminare i nemici nel più breve tempo possibile e a trasformare il Corno
d'Africa in una testa di ponte per controllare insieme il Continente Nero, il Golfo di
Aden (e quindi l'accesso al Mar Rosso e al canale di Suez) e l'Oceano Indiano, ma a
fare le crocerossine, a combattere una guerra da operetta senza uccidere nessuno;
come era prevedibile molti di loro ci rimisero la pelle, gli altri tornarono in patria con
la coda fra le gambe, e per il resto del decennio gli USA si astennero da interventi
militari (con le sole eccezioni di un piccolo bombardamento sull'esercito serbo nel
1995, per fermare i massacri in Bosnia, e del più deciso intervento contro Belgrado
nel 1999 per fermare la "pulizia etnica" nel Kossovo) e preferirono cogliere i
"dividendi della pace": la globalizzazione economica, Internet, un benessere che si
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reggeva solo sulla volontà pervicace di chiudere gli occhi e disinteressarsi del mondo.
La richiesta della Polonia di entrare nella Nato, avanzata nel 1993, fu tenuta nel
congelatore per tre anni, e quando fu accettata la Russia di Eltsin si era già riavuta
dalla "sbornia" democratica e aveva intrapreso quel processo regressivo che l'avrebbe
portata a gettarsi fra le braccia dell'ex agente del Kgb Vladimir Putin. Gli "Stan"
centroasiatici furono praticamente abbandonati a loro stessi e ricaddero, uno dopo
l'altro, sotto il controllo di Mosca. Quanto al fondamentalismo islamico, poté
espandersi senza ostacoli: il lancio di un paio di missili su una fabbrica di armi
chimiche in Sudan e su un campo di addestramento di al-Qaeda in Afghanistan non
poteva avere che un valore simbolico. Così l'America dovette subire gli attentati
dell'11 settembre 2001 e uno stillicidio quotidiano di morti in Iraq e Afghanistan, e
oggi si trova a fronteggiare contemporaneamente: una coalizione Russia-Cina-Iran
che ha egemonizzato l'Asia Centrale e si propone di tenerne fuori gli USA; un
riavvicinamento fra Cina e Giappone fondato sulla contrapposizione tra
confucianesimo e "valori occidentali", con il nuovo primo ministro nipponico, il
socialdemocratico Yukio Hatoyama, che ha messo in discussione la permanenza delle
basi militari statunitensi nel Paese; e un asse Parigi-Berlino-Mosca cementato dal
ricatto energetico di Gazprom, con Sarkozy e la Merkel che si sono adoperati
indefessamente a giustificare l'aggressione russa alla Georgia del 2008 e a impedire
l'ingresso di Tbilisi e Kiev nell'Alleanza Atlantica, e che hanno accolto «con
interesse» la proposta di Dimitri Mevedev, il fantoccio pro-tempore di Putin al
Cremlino, per la creazione di un sistema di sicurezza esteso da Lisbona a Vladivostok
che escluda gli Stati Uniti d'America dall'Eurasia.
In conclusione, non si può non concordare con quanto il grande politologo
Zbigniew Brzezinski scrisse nel suo saggio "La grande scacchiera" del 1997:
«L'America è troppo democratica in casa per essere autocratica all'estero... Non
era mai successo che una democrazia populista conquistasse la supremazia
internazionale. Ma la ricerca della potenza non è obiettivo da suscitare passioni
popolari, se non in presenza di una minaccia o di una sfida improvvisa a quello che
l'opinione pubblica considera il proprio benessere. L'autonegazione economica
(ovvero gli stanziamenti alla difesa) e il sacrificio umano (le vittime anche tra i
soldati professionisti) richiesti dal raggiungimento di quell'obiettivo non sono
congeniali agli istinti democratici. La democrazia è nemica della mobilitazione
imperiale».
La Storia mostra che il popolo americano non si è deciso a entrare nel primo
conflitto mondiale né per i morti del Lusitania né per la guerra sottomarina dei
Tedeschi contro le sue navi mercantili, ma solo quando si è sentito minacciato da una
possibile invasione messicana propiziata da Berlino; come non ha preso le armi
contro nazismo e fascismo quando migliaia di ebrei hanno cercato nel suo territorio
rifugio dalle persecuzioni, e neppure quando Hitler e Mussolini hanno messo a ferro e
fuoco l'Europa, ma solo quando il Giappone ha attaccato e distrutto la sua flotta a
Pearl Harbor minacciando di espellerlo dall'Asia e dal Pacifico. Così anche oggi, di
fronte all'attacco concentrico dell'autocrazia russa, del turbocomunismo cinese e del
fondamentalismo sciita-wahabita islamico non ci si deve meravigliare che l'America
150
abbia dato il potere all'imbelle Obama (che già molti chiamano "Obamba");
semplicemente il popolo americano non si sente ancora minacciato nella sua esistenza
al punto da affidarsi anima e corpo a un comandante in capo degno di questo nome.
Se le cose stanno così, non bisognerà purtroppo attendere molto perché le cose
cambino. Sin dall'epoca dei Padri Pellegrini questo grande Paese è stato la «città sul
monte» e la «lucerna posta sul lucerniere» di cui parla il Vangelo; ha sempre avuto
gli occhi di tutti puntati addosso, quelli di chi guardava ad esso come a un faro di
libertà e quelli di chi lavorava per la sua distruzione. L'unico interrogativo che ci si
può porre è: quanti volte dovrà ripetersi l'11 settembre, quante Torri dovranno
crollare, quanti innocenti dovranno morire prima che il popolo americano comprenda
che l'unico modo per sopravvivere su questo pianeta selvaggio è imporre il proprio
dominio universale, che l'unica via per garantire la propria sicurezza e il proprio stile
di vita è costruire un Impero mondiale che garantisca la sicurezza, la libertà e la
prosperità di tutto il genere umano?
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SCOOP DI WIKILEAKS:
L'AMERICA NON VUOLE VINCERE IN AFGHANISTAN
(29/7/2010) Sgombriamo subito il campo da una colossale bugia che in questi
giorni circola sui media di tutto il pianeta: non è stato il soldato di prima classe
Bradley Manning a trasmettere al sito Wikileaks i 92.000 files classificati sulle
operazioni militari condotte dagli Stati Uniti d'America e dai loro alleati in
Afghanistan dal 2004 al 2009. Chi ha appena un po' di cervello, del resto, avrà già
capito che un ragazzone di 22 anni, seppur analista d'intelligence, non avrebbe mai
potuto avere accesso da solo a una così gran mole di documenti sensibili, e tantomeno
farla uscire dai segretissimi computers del Pentagono senza che la sua colpevolezza
fosse subito evidente "al di là di ogni ragionevole dubbio"; se così non fosse, non lo
avrebbero tenuto confinato in un carcere militare in Kuwait per due mesi prima di
formulare l'accusa contro di lui. Quanti si stanno mobilitando per difenderlo stiano
dunque tranquilli, il ragazzo è solo un capro espiatorio e se la caverà con poco o
niente: dal Pentagono in su sanno benissimo che si è trattato di un eccellente lavoro di
squadra (e compasso...). Quanto a Wikileaks, ha agito sulla base di quell'antica e
perenne repulsione verso la segretezza nella politica estera e nella diplomazia che
caratterizza il popolo americano dai tempi della Dichiarazione d'Indipendenza e che è
un aspetto del suo rifiuto di uno Stato "pesante" e oppressivo (lo stesso rifiuto su cui
si fonda il divieto costituzionale di restrizioni al porto d'armi da parte dei cittadini
«essendo necessaria una milizia ben regolata per la sicurezza di uno Stato libero»).
Detto questo, cosa c'è di sconvolgente nei famigerati "warlogs"? Che le truppe
americane hanno passato per le armi alcuni capi talebani appena catturati senza un
regolare processo? Parafrasando Bill Clinton potremmo rispondere: "it's the war,
stupid!". Il "regolare processo", questo portento dello Stato di diritto liberale e
borghese, non è stato inventato per accertare la responsabilità degli indagati, ma per
difenderli da arresti e carcerazioni arbitrarie da parte del sovrano, e quindi è
storicamente nato e si è affermato nel presupposto e sotto la condizione che tra lo
Stato accusatore e l'accusato esistesse una comunanza di fondo, data
dall'appartenenza al medesimo popolo e dalla volontà di preservarne l'esistenza e il
bene comune, tale da consentire che fra di essi si instaurasse un duello ad armi pari;
nei confronti di nemici esterni e traditori catturati nel corso di un conflitto bellico le
garanzie processuali non sono mai state ritenute applicabili. Forse suscitano orrore le
stragi di civili "insabbiate"? Dovrebbero suscitare maggior orrore gli attentati con gas
tossici compiuti dai talebani contro bambine colpevoli solo di andare a scuola, gli
sgozzamenti di musicisti di strada, i kamikaze che si fanno saltare in aria fra la gente
che va al mercato a comprare un po' di cibo; ma i pacifinti occidentali tacciono
pudicamente di fronte a queste atrocità quotidiane. Oppure ci si indigna perché i
governi impegnati in Afghanistan si dicevano "irritati" dall'attività di alcune Ong
come Emergency? Allora indignatevi anche contro noi mondialisti, che in tempi non
sospetti abbiamo denunciato le collusioni di Gino Strada e dei suoi collaboratori
locali con gli assassini dei giusti Sayed e Adjmal, guida e interprete del giornalista di
Repubblica Daniele Mastrogiacomo, per la cui liberazione il governo di Prodheini e
152
Dalemah aveva vergognosamente fatto pressioni sul presidente Karzai affinché
liberasse cinque pericolosissimi capi talebani, salvo poi lavarsi le mani dal sangue dei
due "pezzenti" afghani trucidati al suo posto.
Ciò che di veramente scandaloso emerge dai files di Wikileaks, e su cui i media
italiani hanno abilmente sorvolato, è il fatto che gli Stati Uniti d'America, a partire da
George Walker Bush per continuare con Barack Hussein Obama, abbiano elargito
miliardi di dollari a un Paese, il Pakistan, di cui conoscevano bene il doppio gioco;
che abbiano fornito montagne di denaro e di armi al suo esercito e ai suoi servizi
segreti, sapendo che quel denaro e quelle armi venivano usati per uccidere soldati
americani e alleati, ragazzi del Kentucky e della California, inglesi e italiani, polacchi
ed estoni che hanno lasciato casa e famiglia non soltanto per una buona paga, ma
soprattutto per difendere la loro patria dalla minaccia di un nuovo 11 settembre e per
diffondere nel mondo libertà e democrazia. Non si può liquidare tutto ciò con
considerazioni di opportunità strategica relative alle molte testate nucleari di
Islamabad e al rischio che finiscano nelle mani di Al Qaeda, perché quel regime è già
legato a doppio filo al network del terrore. Ciò che è veramente scandaloso è che, ad
onta delle proclamazioni ufficiali, LA CLASSE DIRIGENTE DI WASHINGTON
NON VUOLE VINCERE DAVVERO IN AFGHANISTAN.
Se volesse vincere, capirebbe che deve prima ottenere il controllo del territorio
afghano, e che per ottenere il controllo del territorio non si può annunciare in anticipo
la data del proprio ritiro, né usare il contagocce quando il generale McChrystal chiede
100.000 uomini in più; si devono mettere in campo tutte le truppe e le armi necessarie
affinché gli afghani abbiano più paura di schierarsi contro gli USA che contro i
tagliagole di Bin Laden, e si deve essere pronti a lasciarli sul posto per decenni, a
costo di sostituire i corrotti governanti, capitribù e signori della guerra locali con
governatori a stelle e strisce. Se volesse vincere, smetterebbe di finanziare il regime
doppiogiochista pakistano e penserebbe piuttosto a bombardare i santuari talebani
nelle zone di confine, a inviare i reparti speciali a Quetta per catturare Bin Laden che,
è arcinoto, si nasconde lì col beneplacito dei servizi segreti pakistani, e, se proprio si
ha paura delle testate nucleari, si dovrebbe avere il coraggio di requisirle a forza e di
"commissariare" l'intero Pakistan e qualsiasi altro Paese complice dei terroristi.
Se volesse vincere, capirebbe che in questa epoca di globalizzazione e di
frontiere aperte l'unico modo per difendere la libertà, la sicurezza e la stessa esistenza
degli Stati Uniti d'America è assumersi l'onere e l'onore di combattere senza
quartiere, in prima persona, i terroristi e i loro sostenitori in ogni parte del pianeta,
senza affidarsi a esecutori locali più che discutibili. Se volesse vincere, capirebbe che
per vincere in Afghanistan è necessario vincere nell'Iraq che è nuovamente
sprofondato nel caos, nell'Iran khomeinista che arma i terroristi, nel Sudamerica che
vende petrolio agli ayatollah in cambio di sostegno anti-yankees, nella Russia che
fornisce missili e centrifughe nucleari a Ahmadinejad affinché tenga sotto scacco
l'Eurasia per suo conto, nella Vecchia Europa che elargisce ogni anno milioni di euro
a ong filopalestinesi e terzomondiste.
Se volesse vincere, capirebbe che la Guerra al terrore finirà solo quando gli Stati
Uniti d'America unificheranno tutto il pianeta in un Impero mondiale che garantisca a
153
ogni essere umano il rispetto degli immortali diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca
della felicità. Finché non capiranno tutto ciò, gli Stati Uniti d'America sono destinati
a subire ancora infiniti scandali, infiniti lutti, infiniti Vietnam.
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CON OBAMA L'AMERICA TRADISCE LA SUA MISSIONE
(7/11/2012) Purtroppo ciò che avevamo previsto si è realizzato: il popolo degli
Stati Uniti d'America ha scelto l'imbelle, bugiardo e filoislamico Barack Hussein
Obama, si è lasciato incantare dalle sue parole flautate, dalla sua retorica falsa e
melensa, si è lasciato convincere a odiare se stesso, a ripudiare la sua missione
storica; le parole sagge e veritiere di Mitt Romney non sono state sufficienti a vincere
le menzogne di Obama.
Gli Stati Uniti d'America hanno sempre combattuto per portare in tutto il
mondo libertà e la democrazia, da quando nel 1898 hanno liberato Cuba dal giogo
spagnolo, a quando nel 1917 sono intervenuti nel primo conflitto mondiale
decidendolo in favore degli Stati liberaldemocratici contro le autocrazie germanicoottomane; da quando nel 1941, dopo essere stati vilmente attaccati a tradimento,
hanno profuso uomini e armi per sconfiggere l'Asse del Male Roma-Berlino-Tokio, a
quando nel 1989-1991 hanno visto i loro sforzi per difendere l'Europa occidentale
dalla morsa del comunismo ricompensati dal crollo del Muro di Berlino e dalla fine
dell'Unione Sovietica; da quando nel 1991 hanno sconfitto una prima volta il
sanguinario regime di Saddam Hussein per liberare il piccolo Kuwait invaso, a
quando nel 2003 lo hanno debellato definitivamente dando la libertà al popolo
dell'Iraq; da quando nel 1999 hanno salvato il popolo kossovaro dal genocidio per
mano di Slobodan Milosevic, a quando nel 2001, dopo i lutti dell'11 settembre, hanno
raccolto le loro forze e dato battaglia al regime fanatico e assassino dei talebani per
liberare il popolo dell'Afghanistan. Ma oggi il popolo degli Stati Uniti d'America,
evidentemente non ancora stanco dopo 4 anni di ubriacante masochismo, ha ritenuto
più gradevole il finto pacifismo di Barack Hussein Obama, il suo tendere la mano a
tutti i tiranni e dittatori del mondo promettendo che mai più l'America avrebbe usato
la sua potenza economica, politica e militare per scalzarli dai loro troni di sangue. Il
popolo degli Stati Uniti d'America ha così deciso di abdicare alla sua missione
storica, a quel Destino Manifesto annunciato per la prima volta da John L. O'Sullivan
nel 1845: liberare tutti i popoli della Terra dalle tenebre dell'ignoranza e della
barbarie, e unirli nell'Impero mondiale della Libertà, della Democrazia e dei Diritti
dell'Uomo.
Rifiutando la sua missione storica, rifiutando il destino che l'Altissimo ha scelto
per essa e per il quale l'ha chiamata ad esistere, l'America diventerà un popolo come
tutti gli altri, chiuso nel suo gretto egoismo nazionalistico puntellato dal vieto slogan
della comunanza di sangue e di suolo, impelagato negli intrighi della diplomazia
segreta e nelle politiche di sopraffazione interna ed esterna che hanno travagliato
tutto il resto del genere umano per gran parte della sua storia. Il popolo degli Stati
Uniti d'America ha forse deciso così pensando che Barack Hussein Obama non
dichiarerà guerra ad altri Paesi e che pertanto gli USA e il mondo saranno in pace; ma
la guerra che il nuovo Asse del Male Mosca-Pechino-Teheran ha dichiarato
all'Occidente, ai suoi valori, alla sua civiltà fondata sugli immortali e inalienabili
princìpi dell'uguaglianza di tutti gli individui umani e sul diritto di ogni uomo e
donna alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità, fin dal primo attentato al World
155
Trade Center del 1993, la guerra che che ha avuto il suo tragico Golgota nella
distruzione delle Torri Gemelle l'11 settembre 2001, non si fermerà certo per la bella
faccia di Barack Hussein Obama né per le sue parole flautate: l'America sarà colpita
duramente dai suoi nemici, Dio non voglia!, dai nemici della Libertà, della
Democrazia e dei Diritti dell'Uomo, e sanguinerà sotto i loro colpi, e sarà smembrata,
dispersa ai quattro venti e gettata nella pattumiera della Storia, come si addice a
quanti sotterrano vilmente i talenti loro affidati dal Signore Dio invece di farli
fruttificare.
Quale altro popolo, adesso, potrà assumersi un così alto incarico? Gli Islamici
nascono solo per fare i kamikaze; gli Africani non hanno mai smesso di ammazzarsi a
vicenda, come dimostrano le tragiche mattanze del Ruanda e del Congo; gli Europei
non riescono a mettersi d'accordo su nulla; i Russi non hanno la più pallida idea di
cosa sia la democrazia; la Cina è sprofondata nel più cieco conservatorismo
ideologico comunista; l'America Latina segue docilmente chiunque abbia el dinero...
Un solo popolo si salva dalla universale corruzione: Israele. Soltanto il popolo di
Israele, l'unica democrazia liberale in un Medio Oriente schiavo di tiranni e dittatori
laici e teocratici, ha la forza morale e il coraggio necessari per assumersi l'alto onore
di combattere per salvare l'Occidente dall'assalto del fondamentalismo terrorista
islamico e dal nuovo Asse del Male Mosca-Pechino-Teheran, e di essere per noi
mondialisti la nuova punta di lancia, la nuova portaerei, la nuova base avanzata da cui
partire per fondare l'Impero mondiale che porterà pace, prosperità, libertà e giustizia a
tutto il genere umano. E pertanto sarà il popolo di Israele a guadagnare onore e gloria
dal compimento di questa nobile missione. Come dice il Signore Gesù Cristo, il
Figlio di Dio, «la salvezza viene dai Giudei», ora e sempre. Amen.
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MESSAGGIO DAL FUTURO
(25/11/2323) Salute a voi, uomini e donne del XXI secolo ! Io sono Alex van
Buren, Gran Maestro dell'Ordine Templare Rinato, e vi invio questo messaggio
attraverso un varco dimensionale per informarvi circa il cammino futuro del genere
umano, e darvi la forza di attraversare i tempi di ferro e di fuoco che state vivendo.
Da più di 150 anni l'Impero mondiale è una realtà. Il Grande Progetto, per il
quale decine di generazioni di Templari e membri del Partito Mondialista hanno
sacrificato la vita, è giunto al suo compimento il 7 ottobre dell'anno 2170. In quel
giorno, festa di Maria Regina delle Vittorie, l'Assemblea Generale dell'Unione
Oceanica delle Democrazie, la coalizione di Paesi guidata dagli Stati Uniti d'America
che aveva combattuto e sconfitto l'Asse del Male russo-sino-islamico, proclamò la
nascita degli Stati Uniti del Mondo (United States of the World, USW).
Gli Stati Uniti del Mondo sono una repubblica federale fondata sul diritto di
ogni individuo umano alla vita dal concepimento fino alla morte naturale, sui tre
princìpi di libertà, uguaglianza e solidarietà, e sulla "distinzione collaborativa" tra
Sacro e Profano. Ogni città e villaggio del pianeta, grande o piccolo, gode di
completa autonomia nell'amministrare l'80% del denaro prelevato con le tasse dai
propri cittadini, e devolvono il restante 20% alle contee, ciascuna con una superficie
di 10.000 chilometri quadrati, che provvedono alle necessità comuni a più città e
villaggi; a loro volta le contee devolvono il 20% delle proprie finanze - cioè il 4%
totale (20% × 20%) delle tasse pagate da ogni cittadino - ai governi degli Stati
Federati, e questi ultimi, infine, devolvono il 20% del loro budget - cioè l'8 per mille
(20% × 20% × 20%) delle tasse pagate da ogni individuo umano - al Governo della
Federazione, che lo utilizza per finanziare progetti su scala globale.
In questi 150 anni il Governo Federale ha condotto con successo importanti
programmi di riassetto idrogeologico nei territori fino ad allora sconvolti da alluvioni
e calamità naturali: il deserto del Sahara e le steppe dell'Asia Centrale sono ora
giardini fioriti, grazie a imponenti opere di ingegneria che estraggono l'acqua dai
giacimenti sotterranei risalenti all'ultima era glaciale, e la distribuiscono attraverso un
fitto sistema di canalizzazione. La malaria è ormai un ricordo lontano, dopo che la
zanzara anofele è stata condotta all'estinzione rilasciando nell'ambiente esemplari
maschi geneticamente modificati, e anche i virus Ebola e Hiv, che tanto flagellavano
la vostra epoca, sono stati debellati.
La legge federale proibisce il lavoro minorile, garantisce a ogni lavoratore della
Terra un salario minimo sufficiente ad assicurare una vita dignitosa a lui/lei e alla sua
famiglia, regola la collaborazione fra imprenditori e operai all'interno delle aziende.
La prostituzione è vietata, l'aborto è consentito solo in caso di pericolo per la vita
della madre (il che ha fatto crollare il numero delle interruzioni di gravidanza
eseguite in tutto il mondo ogni anno a percentuali statisticamente insignificanti); la
violenza contro le donne è duramente repressa dai codici penali di tutti gli Stati
Federati, e ingenti risorse sono state impiegate con successo in vasti programmi
educativi rivolti alle popolazioni del Terzo Mondo allo scopo di instillare nelle menti
e nei cuori delle nuove generazioni il principio dell'uguale dignità di donne e uomini.
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Tutto il genere umano utilizza una sola moneta. Internet è stato esteso a tutto il
pianeta ed è divenuto Globalnet, la Rete Globale; per mezzo di essa ogni individuo
può cercare liberamente informazioni su ogni campo dello scibile umano, concludere
affari, intrattenere rapporti con le pubbliche amministrazioni, studiare, comprare,
vendere e giocare usando un microchip impiantato sottopelle nella mano sinistra.
La Costituzione degli Stati Uniti del Mondo garantisce e protegge il diritto di
professare qualsiasi religione che non sia incompatibile con l'uguaglianza di tutti gli
esseri umani, la parità fra uomo e donna e la libertà di apostasia e di conversione. Di
conseguenza l'Islam e l'Induismo sono stati dichiarati "religioni illecite", ma del resto,
dopo i massacri avvenuti durante il Grande Scontro delle Civiltà, erano ben pochi i
musulmani e gli indù rimasti vivi, perciò non hanno creato problemi di ordine
pubblico. Il Cristianesimo, nelle sue varie denominazioni, è ancora la religione di
gran lunga prevalente, anche perché era quella praticata dalla maggioranza degli
uomini e delle donne sopravvissuti al Clash of Civilizations, ed è diffuso ormai
dappertutto, con quasi 3,5 miliardi di fedeli; subito dopo la sconfitta definitiva
dell'Islam le conversioni sono state così rapide e numerose, che già nel 2145, quando
ancora l'Impero mondiale non era nato e l'Unione Oceanica governava mediante
colonie i Paesi sconfitti e conquistati alla democrazia, il Papa Giovanni Paolo V in
persona officiò alla Mecca la Messa solenne di inaugurazione della Cattedrale,
costruita in meno di cinque anni e capace di ospitare al proprio interno 7.000 fedeli.
Certo, oggi che le cose vanno piuttosto bene, sembra impossibile che il genere
umano sia stato sul punto di estinguersi tre secoli fa, quando Barack Hussein Obama
uccise con le proprie mani il neoeletto Presidente Hillary Clinton mentre stava
giurando sulla Bibbia e si proclamò Emiro delle Americhe in mondovisione, mentre
l'Iran inceneriva con una pioggia di missili nucleari Tel Aviv e Haifa, Riad, Amman e
Istanbul, i sottomarini israeliani per ritorsione distruggevano Teheran e Isfahan, e
India e Pakistan si annichilivano reciprocamente. Certo furono tempi duri per voi e
per i vostri figli - o forse dovrei dire saranno? - quando il Tiranno Sanguinario
Obama impose la sharia come legge suprema negli Stati Uniti d'America con
l'appoggio dei pasdaran, e insieme al suo burattinaio Khamenei, a Vladimir Putin e a
Xi Jinping firmò il Trattato di Washington che sanciva la divisione del mondo in
blocchi continentali - America, Eurasia, il Califfato (sciita) e la Grande Cina - e la
messa al bando di liberalismo, democrazia, capitalismo e "sionismo". In quegli anni
di grande tribolazione il Partito Mondialista rappresentò l'unico faro di speranza per il
genere umano: dopo aver scoperto le trame segrete intessute da Obama con il regime
degli ayatollah (troppo tardi per sventarle, purtroppo), riuscimmo almeno a mettere in
salvo il giovane senatore repubblicano Marco Rubio e l'anziano vicepresidente
democratico neoeletto Joe Lieberman, sostituendoli con dei sosia che furono uccisi
nella strage dell'Inauguration Day insieme a tutti i membri del Congresso e ai vertici
delle Forze Armate Usa; successivamente, con l'aiuto di reparti dell'Esercito e della
Guardia Nazionale che non avevano giurato fedeltà al nuovo regime, lanciammo da
Cheyenne il Proclama della Rivolta, e dopo sei anni di aspri combattimenti
riuscimmo alfine a liberare l'intero territorio degli Stati Uniti d'America e a catturare
l'Emiro Obama, che fu processato, condannato per tradimento verso il genere umano
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e impiccato insieme con la moglie e le figlie che, fanaticamente, lo avevano
supportato fino all'ultimo.
Tante cose avrei ancora da raccontarvi, uomini e donne del XXI secolo, ma non
sareste in grado di sopportarne il peso; né d'altronde la rivelazione del terribile futuro
che vi attende potrebbe cambiarlo anche solo di una virgola, dal momento che, per la
Legge di Conservazione del Flusso Storico scoperta dai nostri scienziati cinquant'anni
fa, ci è impossibile cambiare ciò che per noi è il passato (come affermerà
enfaticamente la professoressa Takako Shimizu dell'Università di Kyoto, "la Natura
aborre i paradossi temporali"). Questo messaggio che vi inviamo nel giorno in cui si
celebra la solennità di Cristo Re dell'Universo vuol dunque essere soltanto un invito
ad essere forti, a non piegare la testa nemmeno di fronte ai tiranni più spietati, a non
disperare mai: le città distrutte dal fuoco atomico sono risorte/risorgeranno più belle
di prima, e l'Impero mondiale dei figli dell'uomo non avrà mai fine.
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IL TIRANNO OBAMA VA ELIMINATO. ORA!
(20/8/2015) Fin dall'antica Grecia e dal mito di Antigone l'Occidente ha
imparato che le leggi non scritte sono più importanti di quelle scritte. Da quando i
nostri antenati, i Templari sfuggiti alla persecuzione di Filippo il Bello e insediatisi in
Inghilterra, decisero di trasformare le colonie britanniche nel Nordamerica in uno
Stato indipendente (vedi il nostro scritto "Chi siamo, da dove veniamo, cosa
vogliamo"), tutti i presidenti degli Stati Uniti, da George Washington fino a George
Walker Bush, hanno risposto a tre requisiti: erano cristiani, erano membri della
Massoneria - più precisamente del Rito Scozzese Antico e Accettato, da noi eretto
dopo la secessione delle logge eurocontinentali per riaffermare la fede nel Dio di
Gesù Cristo - ed erano già stati ammessi, al momento della candidatura, al 33° grado,
il più alto, quello dei Gran Maestri. La prima eccezione a questa legge non scritta si
verificò nel 2008, quando un giovane e ambizioso senatore democratico
afroamericano si candidò e vinse pur essendo un massone del 32° grado. Quel
massone ambizioso era Barack Hussein Obama.
Subito dopo la sua proclamazione Obama iniziò a compiere atti che stridevano
aspramente con la tradizione: abrogare il divieto che era stato posto dal suo
predecessore George Walker Bush (quantum diversus ab illo!) all'uso di fondi
federali per sostenere organizzazioni non governative che promuovono la diffusione
dell'aborto nel Terzo Mondo e per finanziare esperimenti di laboratorio su esseri
umani allo stadio embrionale vivisezionati allo scopo di estrarne cellule staminali;
annunciare il ritiro dei soldati americani dall'Afghanistan per il 2010 - così
indebolendo la capacità deterrente delle truppe sul campo e provocando la morte di
molti bravi ragazzi partiti da New York o dal Minnesota per diffondere libertà e
democrazia -; proibire ai funzionari che lavorano per le agenzie di sicurezza
nazionale di usare l'espressione "guerra al terrorismo" e di qualificare i nemici degli
Stati Uniti d'America come terroristi; promettere dal Cairo ai tiranni di Teheran e
Damasco che gli Stati Uniti d'America non avrebbero mai tentato di scalzarli dai loro
troni di sangue come avevano meritatamente fatto con Saddam e con Milosevic. Tutti
gesti più che sufficienti per indurci a sospettare ch'egli fosse ben più e peggio che un
massone giovane, ambizioso e impaziente.
Fu così che noi mondialisti avviammo una indagine segreta al fine di scoprire i
suoi reconditi propositi, una indagine che ci portò a mettere in luce e a rivelare ai
media i numerosi scheletri nell'armadio di Barack Hussein Obama: dal suo legame
con la Fratellanza Musulmana e con il regime islamico e assassino del Sudan tramite
uno dei suoi numerosi fratellastri, fino al suo essere un criptomusulmano, un
musulmano che finge di essere cristiano. Abbiamo tentato di mettere in guardia il
popolo americano e il genere umano, sia pur con la prudenza richiesta dall'opporsi al
capo del Paese più potente della terra, facendo scrivere e pubblicare nel 2009 da Dan
Brown - uno degli intellettuali migliori usciti dal nostro Vivarium - il romanzo The
Lost Symbol, in cui l'ambiguità e il pericolo rappresentati da Obama erano adombrati
dalla figura del malvagio Mal'akh, che si introduce nella Massoneria e ne scala i vari
gradi allo scopo di distruggerla dall'interno. Ma purtroppo l'America e il mondo si
160
sono lasciati incantare dalla sua melliflua retorica pacifista e terzomondista, e non ci
ha ascoltato.
Nel frattempo Obama ha portato avanti il suo piano per distruggere dall'interno
quella che fino ad allora era stata la più grande democrazia della storia, la "città sulla
collina", il faro per tutte le genti desiderose di libertà. Dopo il ritiro dall'Afghanistan è
venuta la fuga ignominiosa dall'Iraq, abbandonato alle faide tra sunniti e sciiti, agli
attentati quotidiani e alle scorrerie del Califfo nero al-Baghdadi; al grido di dolore del
nobile popolo di Persia, che combatteva e moriva per opporsi al regime degli
ayatollah pedofili, il filoislamico Obama ha risposto con una tonnellata di parole
vuote, della serie «non possiamo interferire, ma siamo con voi»; alla possibilità,
offertagli nel 2011 da noi mondialisti con l'operazione "Snow on the Sahara", di
mettersi alla testa di un grande movimento di liberazione del Medio Oriente da tutti i
tiranni laici e teocratici, ha reagito favorendo l'ascesa al potere in Egitto del
fondamentalista Morsi e iniziando trattative segrete per "normalizzare" i rapporti
degli Usa con il regime familistico-comunista dei Castro e con gli ayatollah iraniani
che vogliono dotarsi della bomba atomica per distruggere Israele. Erano indizi più
che sufficienti per condannare Barack Hussein Obama come tiranno, e per chiedere
al popolo degli Stati Uniti d'America di rimuoverlo dal potere, come noi abbiamo
fatto ripetutamente. Ma anche questa volta non siamo stati ascoltati.
Finché, nel novembre del 2014, non si è verificato un evento totalmente
inaspettato e imprevedibile: nel nostro quartier generale, in circostanze e in un modo
tali da sfidare tutte le leggi fisiche oggi conosciute, è apparso un messaggio, scritto da
un Gran Maestro templare del remoto futuro, nel quale si avverte l'attuale
generazione circa le sciagure che la colpiranno nel 2017, quando Barack Hussein
Obama ucciderà con le proprie mani il suo neoeletto successore Hillary Clinton,
proclamandosi Emiro delle Americhe e scatenando una guerra nucleare contro Israele
e altri popoli insieme all'Iran (potete leggere qui la versione originale, e qui invece
una traduzione). Da allora sono passati nove mesi, nei quali le previsioni di quel
"messaggio dal futuro" hanno iniziato a compiersi: Hillary Clinton ha annunciato
ufficialmente la sua candidatura alle presidenziali del 2016; e Obama ha firmato con
l'Iran un accordo che non soltanto non elimina il pericolo nucleare - limitandosi a
"congelare" formalmente il cammino di Teheran verso la Bomba per soli 10 anni, ma
senza prevedere alcun controllo veramente serio ed efficace -, non soltanto non dice
una parola sul fatto che gli ayatollah si sono dotati negli ultimi anni di un arsenale di
missili intercontinentali (di provenienza russa, cinese e nordcoreana) in grado di
devastare un'area che va da Berlino a Nuova Delhi, non soltanto mette fine alle
sanzioni internazionali contro gli ayatollah preparando un afflusso nelle loro casse di
più di 150 miliardi di dollari l'anno che saranno utilizzati per finanziare il terrorismo
in Medio Oriente e altrove, ma addirittura obbliga gli Stati Uniti d'America a
muovere guerra contro Israele qualora esso decida di salvaguardare la propria
esistenza lanciando contro gli impianti nucleari iraniani un attacco unilaterale con
mezzi militari o anche solo informatici (come già ha fatto in passato).Tutte queste
circostanze ci hanno pertanto costretto, dopo lunghe analisi e numerose discussioni
fra i nostri scienziati e strateghi militari e politici, a ritenere quel messaggio
161
«inspiegabilmente autentico».
In conclusione, tutte il materiale da noi raccolto negli ultimi sette anni prova in
modo preciso, concorde e inequivocabile che Barack Hussein Obama è un tiranno,
un tiranno musulmano che ha sfruttato la sua affiliazione alla Massoneria,
l'appoggio della comunità afromaericana e i cospicui finanziamenti elettorali
ricevuti dai peggiori regimi islamici allo scopo di abbattere dall'interno la
democrazia americana, distruggere lo Stato di israele, sterminare il popolo
ebraico e assoggettare gli Stati Uniti d'America, l'Occidente e tutto il genere
umano al dominio dell'Asse del Male russo-cino-iraniano. Anche se il "messaggio
dal futuro" ci avverte che è impossibile cambiare quanto esso prevede, noi
mondialisti ci rifiutiamo di lasciare che un così triste destino si compia, senza fare
quanto è in nostro potere per impedirlo, a costo di sacrificare le nostre vite.
Per questo motivo il Partito Mondialista fa appello agli amanti della libertà e
della democrazia in America e in tutto il mondo, affinché si attivino al più presto
insieme a noi per tentare di fermare il piano criminale e genocida del tiranno Obama,
con qualunque mezzo. In gioco ci sono la vita di milioni di uomini e donne
innocenti, e la libertà di tutto il genere umano.
162
MONDIALISMO E ANTIMONDIALISMO
163
ANTONIONI, IL COMUNISTA CHE SOGNAVA L'APOCALISSE
(1/8/2007) Non è un caso che ieri sera Rai Due abbia deciso di commemorare
Michelangelo Antonioni trasmettendo alle 21.00 “Zabriskie Point” e che Rai Tre ne
abbia usato la sequenza finale per aprire il suo speciale delle ore 23. Proprio da quel
film del 1970 e da quella scena in particolare è possibile comprendere il motivo del
fascino, diciamo pure della venerazione che l’intellighenzia di sinistra, non solo in
Italia ma un po’ in tutta la Vecchia Europa e perfino presso i cineasti di Hollywood –
decisamente la componente più “europea” degli States – ha coltivato per il regista
della “incomunicabilità” e della “alienazione”.
“Zabriskie Point” mostra chiaramente che l’intento di Antonioni, sin dal suo
esordio nel 1950 con la rappresentazione della crisi di una coppia “borghese” in
“Cronaca di un amore”, è sempre stato quello di mettere in scena lo stereotipo della
società capitalistica disegnato da Marx e Lenin, con tutti i suoi peggiori vizi: la
volgarità (i clienti di un emporio che comprano enormi panini imbottiti), l’amore per
il guadagno (il gruppo di speculatori edilizi che progetta di trasformare un’area
desertica in una zona turistica di gran pregio), la brutalità dei tutori dell’ordine
costituito (i poliziotti che all’inizio del film picchiano i partecipanti ad una
manifestazione studentesca contro la guerra del Vietnam e al termine uccidono il
protagonista, accusato di aver ucciso un loro collega), lo sfruttamento neocolonialista
del Terzo Mondo (la cameriera messicana che lavora nella megavilla di proprietà del
ricco padre della protagonista), la repressione degli istinti individuali (che si sfogano
in una serie di “liberi” amplessi fra sabbie e rocce)... E anche la scena conclusiva, con
la terrificante serie di esplosioni (reale, o soltanto immaginata?) che manda in briciole
la megavilla e, di seguito, tutti i simboli della civiltà occidentale (ombrelli, sedie a
sdraio, un salotto con televisore, una rivendita di vestiti, un distributore di bibite e
merendine, una biblioteca) è la risposta alla richiesta dei comunisti di ogni paese
dall’800 in poi: «Fateci sognare!».
Perché ciò che i comunisti hanno sempre sognato non è tanto un mondo “altro”,
di cui non sono mai stati capaci di delineare le caratteristiche, quanto la fine di
“questo” mondo, il «superamento dello stato di cose presente» (Marx), in una parola:
l’Apocalisse. I comunisti, e tutti i loro epigoni (fascisti, nazisti, eco-catastrofisti,
terzomondisti, antiglobalisti), sono in realtà degli inconfessati apocalittici; eredi di
quegli gnostici del III secolo per i quali il mondo era la creazione di un dio malvagio,
e quindi meritava di essere interamente distrutto affinché sorgesse un mondo nuovo;
eredi dei catari, i “puri” che nel Medioevo praticavano il suicidio, l’infanticidio e la
soppressione degli anziani e dei malati proclamando l’avvento di un mondo purgato
da ogni imperfezione; come il poeta, essi sono capaci di dire soltanto quel che non
sono e quel che non vogliono. Per questo comunisti, ambientalisti e no-global son
sempre pronti a giustificare ogni massacro compiuto dai fanatici terroristi seguaci di
Osama Bin Laden, a partire dall’Olocausto delle Torri Gemelle: perché in quell’orgia
di morte e distruzione essi vedono la realizzazione del loro desiderio, la distruzione di
questo mondo.
Noi mondialisti, che ci riconosciamo nella guida dell’Associazione
164
Internazionale “New Atlantis for a World Empire” e nel Partito Mondialista,
sappiamo bene che questo desiderio di morte non è condiviso dalla grandissima
maggioranza della popolazione mondiale, neppure dalla maggioranza dei fedeli
musulmani; sappiamo bene che la grandissima maggioranza degli uomini e delle
donne desidera invece vivere in pace e libertà, senza essere perseguitati e schiavizzati
per il proprio sesso, per la propria razza, per la propria religione; nella sicurezza della
vita, nel pacifico godimento dei beni e nel libero sviluppo dei talenti di ognuno per il
benessere comune. Noi sappiamo bene che la grandissima maggioranza degli uomini
e delle donne di questo pianeta è già mondialista e aspetta solo che qualcuno le riveli
la verità su se stessa, come il borghese di Molière dovette pagare un maestro di
dizione per scoprire di aver sempre “parlato in prosa”. Noi sappiamo bene che
l’Apocalisse, quando verrà, non sarà il rovesciamento del mondo presente, ma il suo
compimento; che ad essere distrutto non sarà il mondo, creato da Dio in ogni sua
parte «bello e buono e giusto» (come insegnava il grande Eraclito), bensì il peccato
che di questo mondo non è una parte, ma solo una privazione, una contraffazione
tragica, ma limitata e destinata a finire.
Per questo il sogno funesto di Antonioni è destinato a non realizzarsi mai, per
questo il comunismo è stato sconfitto dalla Storia e l’Unione Sovietica si è
disgregata, per questo il terrorismo islamista non prevarrà e gli Stati-canaglia presto o
tardi saranno distrutti: perché la grandissima maggioranza degli uomini non è
apocalittica, è integrata. L’Impero mondiale vincerà, perché esso già regna nelle loro
menti e nei loro cuori.
165
CONTRO LA FAME, CAMBIA I REGIMI
(16/10/2007) La Giornata Mondiale per l'Alimentazione celebrata oggi ha visto
il presidente della Fao Jacques Diouf ripetere ancora una volta una notizia scomoda
per le cassandre dell'ecocatastrofismo e i soloni della "bomba demografica": la Terra
produce da decenni cibo sufficiente, per quantità e qualità, a sfamare ben più dei 6
miliardi di esseri umani che la popolano attualmente. Perché mai, allora, 840 milioni
di essi soffrono per fame cronica, e altre centinaia di milioni di denutrizione più o
meno grave? Nessun giornale, nessun telegiornale italiano si è curato di rispondere a
questa domanda dettata dal buon senso, limitandosi a rivolgere agli abitanti
dell'Occidente "sazio e disperato" il solito fervorino peloso alla solidarietà verso i
popoli del Terzo Mondo.
La verità è molto più complessa e impegnativa: i paesi in cui regnano fame,
malattie e povertà sono gli stessi che all'indomani della seconda guerra mondiale
combatterono e vinsero sanguinose guerre di "liberazione" dal dominio coloniale
delle potenze europee (Inghilterra, Francia, Belgio, Portogallo e Italia) in nome di un
preteso «diritto all'autodeterminazione dei popoli», e che, ottenuta l'indipendenza,
hanno adottato forme di governo e di organizzazione dell'economia e della società di
tipo marxista-leninista e collettivista sorrette dalle forze armate, che hanno represso
ferocemente il dissenso interno e scatenato conflitti interminabili con i vicini.
Basti pensare a quanto accaduto nel subcontinente indiano dopo la cacciata degli
Inglesi: lotte tra indù e musulmani, separazione fra India e Pakistan (dal quale
successivamente si è staccato il Bangladesh), migrazioni forzate e massacri per
milioni di innocenti, una rivalità che dura tuttora per il controllo della regione del
Kashmir; e sebbene l'India, abbandonati i sogni socialisti di Nehru, sia oggi una
democrazia di tipo occidentale e vanti un numero sempre crescente di giovani laureati
in informatica e altre discipline scientifiche, la maggior parte di quel miliardo di
persone (in particolare la popolazione rurale) vive ancora in condizioni di miseria
materiale e spirituale, utilizzando gli apparecchi ecografici per uccidere centinaia di
migliaia di bambine con l'aborto selettivo anziché affogandole nei fiumi e
mantenendo in piedi antiquate discriminazioni contro i fuori-casta e le minoranze
etniche. O ancora si guardi alle guerre fra Etiopia, Eritrea e Somalia, paesi dominati
per decenni da tiranni comunisti come Amin, Mengistu e Siad Barre; alle guerre civili
in Angola e Mozambico, fomentate dall'Urss di Breznev e da Fidel Castro; ai conflitti
tribali in Ruanda e Burundi, a quelli religiosi tra musulmani e cristiani-animisti in
Sudan e Nigeria; alla sorte del Vietnam dopo la vergognosa fuga degli americani nel
1975, alle mattanze di Pol Pot in Cambogia (due milioni di abitanti su sei sterminati),
al regime "socialista" che ha ridotto in miseria la Birmania...
In tutta l'Africa e l'Asia la decolonizzazione, lungi dal portare benessere e
felicità alle nazioni, ha dilapidato quel poco o tanto di infrastrutture tecnologiche, di
istruzione e di modernizzazione dei costumi, in una parola di civiltà, che l'uomo
bianco vi aveva portato dalla seconda metà dell'Ottocento; e i regimi comunisti di ieri
e islamisti di oggi hanno fatto ancor peggio, imponendo forme di coltivazione della
terra inefficienti e orientando la produzione industriale verso l'incremento della
166
potenza militare anziché verso il benessere dei propri cittadini-sudditi. In quindici
anni le guerre combattute da 23 paesi africani sono costate più di 300 miliardi di
dollari in scuole, ospedali e infrastrutture distrutti, per non parlare dei costi sostenuti
dai paesi confinanti per dare ospitalità ai profughi; nel solo Sudafrica le violenze
scatenate da bande di neri dopo la fine dell'apartheid provocano la perdita di 22
milioni di dollari l'anno per il ridotto ingresso di turisti. Perfino l'Iran, che pure è
ricco di petrolio e gas, è costretto a importare gran parte della benzina consumata da
automobili e camion obsoleti (e superinquinanti) a causa della politica dissennata
condotta dal Ahmadinejad e dalla cricca di ayatollah che lo sostiene, interessata
soltanto ad acquisire tecnologie missilistiche e nucleari nella sua folle ossessione di
distruggere Israele e di accelerare il Giorno del Giudizio che dovrebbe sancire la
beatitudine eterna per i muslim e la dannazione per "infedeli" e "apostati".
Se quindi si vuol trarre una lezione dai discorsi pronunciati in questa giornata, si
deve in primo luogo riconoscere la menzogna di quanti (anche in Europa) hanno
agitato per decenni la bandiera dell'autodeterminazione dei popoli a scapito dei ben
più concreti diritti degli individui alla libertà di religione, di pensiero e di iniziativa
economica che hanno determinato la prosperità e il primato materiale e spirituale
dell'Occidente su tutte le altre culture della storia; e di qui prendere atto che un
autentico riscatto del Terzo Mondo dalla fame e dalla povertà non potrà avvenire
senza un previo radicale cambio di regime, con la deposizione di tiranni e dittatori
laici e religiosi e l'imposizione di governi rispettosi dei diritti inviolabili di ogni
essere umano. Un cambio di regime che soltanto un Occidente consapevole del
proprio primato e del connesso dovere di esportare la civiltà è in grado di realizzare
utilizzando non solo le arti della diplomazia, ma anche la forza delle armi che spesso
è l'unico linguaggio compreso da quei popoli e da quei regimi.
La fame scomparirà dalla faccia della terra, in ultima analisi, solo quando tutti i
popoli avranno abdicato ad una sovranità nazionale storicamente apportatrice di lutti
e miserie e si saranno uniti in un solo Impero mondiale, senza più discriminazioni di
sesso, razza, lingua o religione. A questo traguardo, in ottemperanza al programma
tracciato nel Manifesto del 3 aprile 2005, noi dell'Associazione Internazionale "New
Atlantis for a World Empire" e del Partito Mondialista lavoriamo, affinché ci siano
finalmente pane, libertà e giustizia per tutti.
167
HARRY POTTER È DEI NOSTRI. E ANCHE LE WINX
(8/11/2007) Dall'alba della storia fiabe, leggende e saghe sono state il mezzo
attraverso cui gli uomini hanno dato espressione ai loro sogni, hanno esorcizzato i
loro fantasmi, hanno immaginato un mondo libero dalle contraddizioni e dalle
violenze della quotidianità. Non è dunque casuale che i più importanti prodotti
fantasy degli ultimi quarant'anni (all'incirca) rappresentino la trasposizione narrativa
di quei concetti e temi propri del movimento mondialista che potete trovare enunciati
in questo sito, in forma generale nel nostro Manifesto programmatico, e più
specificatamente nelle sezioni Editoriali e Mediaworld; non certo come conseguenza
di un complotto mediatico ordito da qualche multinazionale o circolo giudaicomassonico-esoterico-sinarchico-etc. come ama pensare e scrivere su giornali, libri e
in Rete gente di corte vedute; più semplicemente perché il mondialismo costituisce la
sintesi dell'eterna aspirazione umana all'unità, al benessere e alla pace.
Qualche esempio? Partiamo dal primo telefilm cult nella storia della televisione,
"Star Trek". In tutti i paesi del mondo milioni di appassionati conoscono l'astronave
Enterprise e il suo equipaggio multietnico: dal capitano Kirk al vulcaniano Spock,
freddo e razionale, e al medico di bordo, il sanguigno "Bones" McCoy, dal timoniere
giapponese all'armiere russo e all'addetta alle comunicazioni afroamericana, tutte le
razze della Terra e tutti i popoli di una utopica Federazione galattica convivono
pacificamente in quel microcosmo ispirato ai progetti della "Nuova Frontiera" di
Kennedy e della Great Society di Johnson, così come in tutte le altre versioni della
saga prodotte dal 1966 ad oggi; e se all'inizio il cosmopolitismo pacifico (non
pacifista) dei buoni si contrapponeva alla violenza barbarica dei "mongolici"
Klingon, in tempi più recenti il ruolo del nemico "esistenziale" è stato assunto non a
caso dai Borg, ibridi uomo-macchina tutti connessi fra loro la cui politica estera
consiste unicamente nella cattura di umanoidi da inserire forzosamente nella loro
comunità-alveare (un richiamo polemico al fondamentalismo islamico e alla sua
pretesa di annullare la libertà individuale nella Umma? Forse...).
Venendo ai giorni nostri, un modello di eroe mondialista è il maghetto Harry
Potter. Su di lui è stato scritto tutto e il contrario di tutto: gli "intellettuali" di destra e
di sinistra lo hanno prima ascritto alla loro fazione, poi lo hanno scaricato sull'altra;
l'attuale Papa Benedetto XVI, quando era ancora il cardinale Joseph Ratzinger, lo
definì "anticristiano" in quanto le sue avventure sarebbero piene di maghi, streghe e
incantesimi e in esse non comparirebbe alcun riferimento a Dio, a Gesù Cristo, alla
Madonna e ai santi (da questo punto di vista anche le fiabe dei fratelli Grimm, suoi
conterranei, meriterebbero di essere messe all'indice). Proviamo a esaminarlo da
vicino: di sicuro non è razzista, dal momento che la sua migliore amica Hermione è
una mezzosangue (il termine spregiativo con cui vengono indicati i nati dall'unione di
maghi e "babbani", i semplici esseri umani), mentre il suo nemico Lord Voldemort è
precisamente un babbano che ha ripudiato le sue origini e odia proprio i
mezzosangue; inoltre in "The Order of Phoenix" scambia il suo primo bacio con una
compagna di studi indiscutibilmente orientale. Aggiungiamo che non sopporta le
ingiustizie, e che nutre una sana diffidenza nei confronti dei burocrati del Ministero
168
della Magia impegnati più a mantenere il proprio potere che ad assicurare la
protezione dalle forze del Male; non è forse sufficiente per dimostrare che egli
possiede tutte le qualità di indipendenza di giudizio, iniziativa personale, tolleranza
verso i "diversi" e amore per la giustizia che sono storicamente proprie dell'uomo
anglosassone, e che caratterizzano l'antropologia del cosmopolitismo mondialista?
Per finire, non possiamo non accennare - dal momento che questo sito è ospitato
su un server italiano e rivolto in primo luogo agli Italiani - al fenomeno editoriale
degli ultimi anni, le "Winx": sei studentesse di un esclusivo college per fate
provenienti da ogni pianeta della Galassia. La leader indiscussa del gruppo, la fatina
dai capelli rossi Bloom, è una apolide: il suo mondo è stato distrutto dalle forze del
Male poco dopo la sua nascita, il suo popolo sterminato. "È una senza-patria, una
sradicata", direbbero i fanatici del comunitarismo e del nazionalismo, un "elemento
sovversivo" alla pari degli ebrei... Eppure è proprio lei il personaggio dotato dai
creatori della serie di maggiore sincerità, generosità e nobiltà d'animo, privo anche di
quelle piccole idiosincrasie che caratterizzano le sue compagne (ad es. la fissazione
per la moda, l'ambientalismo, la musica o la tecnologia); ed è sempre lei quella i cui
gadgets sono più ricercati dai piccoli telespettatori. Non sarà dunque che lo status di
senza-patria, nella fantasia come nella realtà, doni agli uomini e alle donne cui tocca
questo destino l'apertura mentale, la capacità di non discriminare i propri simili fra
"compatrioti" e "stranieri", ma di vederli tutti come membri di una comune umanità,
che fa di essi degli individui carismatici e cosmostorici, autori e determinatori della
storia del mondo?
È questa la radice del mondialismo: il desiderio di creare un Impero mondiale
nasce proprio dal riconoscimento dell'uguaglianza di tutti gli uomini al di là di ogni
discriminazione di sesso, razza o religione, e dalla necessità di superare l'ostacolo
all'unità del genere umano costituito dalla divisione del pianeta in Stati organizzati su
base etno-nazionale, fonte prima delle guerre e delle tirannie che hanno sempre
funestato l'umanità. Il fatto che l'universo della fantasy sia già mondialista
rappresenta, a nostro parere, la miglior prova che il mondo "reale" è incamminato
anch'esso verso questa meta.
169
CONTRO IL FONDAMENTALISMO INDUISTA
CI VUOLE PIÙ MONDIALISMO
(26/8/2008) L'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e
il suo ramo esecutivo, il Partito Mondialista, condannano con la massima durezza
l'ondata di persecuzioni e massacri in corso nello Stato indiano del'Orissa ad opera di
fondamentalisti indù che stuprano suore, uccidono sacerdoti, religiosi e laici cattolici,
incendiano e devastano scuole, ospedali e centri sociali, costringendo il milione di
cristiani della regione a fuggire e a vivere nel terrore; si associano altresì al dolore
della gerarchia e del popolo cristiano dell'India, e al loro sdegno per la brutale
indifferenza manifestata dalle autorità nazionali e locali di fronte a questa atroce
mattanza.
Da più di dieci anni l'India è funestata da un movimento religioso nazionalista
(avente la sua espressione politica nel Bharatiya Janata Party, il Partito del Popolo
indiano) che, dietro un ipocrita appello a restaurare i valori e la cultura tradizionali di
quel popolo, mira in realtà a perpetuare lo stato di inferiorità sociale ed economica
degli appartenenti alle caste più basse e ai gruppi "tribali" residuo del'antica
popolazione preariana. I cristiani rappresentano il bersaglio preferito di questi fanatici
sia perché le loro scuole e università e i loro ospedali sono i migliori e più avanzati
del Paese, sia soprattutto perché i cristiani, in forza della loro fede nell'uguale dignità
di ogni essere umano unito in Gesù Cristo con Dio (fonte del primato dell'Occidente
su ogni altra cultura della Storia), aprono le porte delle cure, dell'istruzione e di una
vita migliore a questi "intoccabili", che nel sistema sociale tradizionale dell'India
sono stati costretti per duemila anni a sopravvivere "contaminandosi" con i cadaveri o
spalando letame, umiliati dai membri della casta sacerdotale e di quella dei bramini.
Non a caso è dalle scuole e dalle università cattoliche che è uscita la nuova
generazione di giovani ex-fuoricasta, istruiti nell'informatica e nella lingua inglese,
che ha inserito l'India nel circuito virtuoso della globalizzazione e ha trasformato il
distretto di Bangalore nella nuova Silicon Valley, dove si realizzano programmi che
girano sui PC di tutto il pianeta.
Il fatto poi che vittime delle persecuzioni siano stati non solo i cristiani - spesso
condannati in base a leggi locali liberticide per il reato di conversione dall'induismo
ad altra fede - ma anche i musulmani (a partire dai massacri di Ayodhya del 1992) e i
sikh, dimostra che esse non trovano giustificazione in un presunto "proselitismo" dei
cristiani né in una risposta irrazionale ad uno strisciante "neocolonialismo" delle
potenze occidentali che li vedrebbe nel ruolo di quinte colonne. Siamo di fronte ad un
fondamentalismo aggressivo come quello islamico di cui si fa portatrice al Qaeda, e
come quello motivato dalla falsa credenza nell'inuguaglianza degli uomini, nella loro
distinzione in "fratelli" e "infedeli", e dal conseguente odio verso tutti coloro che non
condividono la propria fede, i propri costumi, il proprio modo di vivere, e che per
questo hanno solo due possibilità: convertirsi, o morire.
Di fronte a una simile mentalità antiumana, l'unico antidoto è costituito da una
intensificazione degli sforzi, da parte di tutti i paesi dell'Occidente, per instillare nelle
menti e nei cuori degli indiani - ma anche dei musulmani, come pure degli
170
appartenenti ai cosiddetti "popoli nativi" dell'Africa nera e dell'America latina - dosi
massicce e sempre crescenti di rispetto per l'uguale libertà e dignità di ogni essere
umano, a prescindere dal suo sesso, dalla sua razza e dalla sua religione. In una
parola di mondialismo, unica visione del mondo che creda nella razionalità del
mondo e nell'unicità della stirpe umana creati da un Dio-Amore, unica cura ai mali di
un'umanità oppressa da egoismi e discriminazioni che attende, come nelle doglie del
parto, l'unificazione in un solo Impero mondiale e l'inizio di un'era di pace, libertà e
giustizia per tutti.
171
BUTTAFUOCO SI RASSEGNI, L'OCCIDENTE NON È AL TRAMONTO
(11/7/2009) Che Pietrangelo Buttafuoco sia un nazifascista era cosa nota dal
2004-2005, allorché pubblico il saggio (saggio?) L'ora che viene. Intorno a Evola e a
Spengler e il romanzo di fantastoria Le uova del drago in cui celebrava le gesta
immaginarie di una spia del Terzo Reich. Che egli sia anche un filoislamico era
parimenti manifesto dal 2008, anno di pubblicazione di Cabaret Voltaire. L'Islam, il
sacro, l'Occidente - celebrazione spudorata della "religiosità" islamica contrapposta
al "materialismo" occidentale - e de L'ultima del diavolo, romanzo che riportava in
auge la leggenda del riconoscimento di carismi profetici nel giovane Maometto da
parte di un monaco cristiano. Nulla di sorprendente, quindi, che l'ultima puntata di
ieri sera, 10 luglio, del suo talk-show "Il grande gioco" sia stata tutta condotta sul leitmotiv dell'Occidente "terra del tramonto-terra al tramonto", con l'anchorman
"saraceno" a battere sui soliti, vieti tasti: l'omologazione culturale portata dalla
globalizzazione che produrrebbe una serie di "genocidi culturali incrociati", la civiltà
occidentale recepita dal Terzo Mondo solo come una sorta di immenso supermarket,
l'America prigioniera del suo immenso debito pubblico in mano alla Cina, gli
americani obesi e ingenui che non conoscono Michelangelo... Non ha sorpreso, noi
mondialisti, nemmeno il siparietto commosso (ma non certo commovente) dedicato a
Martin Heidegger, «colui che ha svelato l'essenza dell'Occidente come oblio
dell'Essere», ovvero lo "zappaterra" - questo significa in tedesco heide-egger alemanno che ha tentato di diventare il Führer della filosofia distruggendo il
patrimonio metafisico dell'Occidente così come Hitler, il il Führer della politica, ha
tentato di abbattere il governo della Legge, possente eredità del pensiero grecoromano ed ebraico-cristiano, per sostituirlo con il dominio di un solo uomo
incarnazione dell'Essere "qui ed ora" del popolo tedesco. Nulla di nuovo, dunque, e
nulla di vero: con buona pace di Buttafuoco e di tutti gli antioccidentalisti di destrasinistra-centro, l'Occidente non è affatto al tramonto. Meno che mai lo è l'America.
Partiamo dal luogo comune della "ingenuità" americana. Come ha fatto notare
l'ottima giornalista Lucia Annunziata (ospite tanto stuzzicato quanto ignorato) gli
Americani sono un popolo aristocratico ed elitario, in cui i giovani mandriani del
Middlewest hanno frequentato le migliori università, e l'idea di Buttafuoco che essi
rispondano «Michelangelo? I don't know» è semplicemente una panzana
propagandistica; così come è uno stereotipo quello degli Americani grassi, obesi,
flaccidi mangiatori di hamburger e hot-dog conditi con salse improbabili. Questi
obesi americani sono gli stessi che hanno salvato l'Europa dalla barbarie nazifascista e questo probabilmente è il motivo dell'odio da parte del Buttafuoco -; sono gli stessi
che per cinquanta anni hanno difeso l'Occidente dalla minaccia sovietica, e che oggi
lo proteggono dal terrorismo fondamentalista islamico e dall'Apocalisse nucleare
preparata da Stati-canaglia come la Corea del Nord e l'Iran del folle Ahmadinejad.
Quanto alla presunta "ricattabilità" americana a causa del trilione di dollari di
buoni del Tesoro detenuti dalla Cina, va sottolineato che questi massicci acquisti di
titoli Usa sono necessari prima di tutto al regime comunista di Pechino, per tenere
basso il cambio del renmimbi (la valuta nazionale) e sostenere le esportazioni di
172
prodotti che proprio negli Stati Uniti d'America hanno il loro mercato principale; se il
regime cinese decidesse di vendere quei titoli provocherebbe un apprezzamento del
cambio renmimbi/dollaro che azzererebbe le esportazioni, distruggerebbe il sistema
produttivo - data l'assenza di un mercato interno altrettanto vasto - e provocherebbe la
fine della Cina come potenza "emergente".
Il "materialismo" occidentale, poi, è una accusa che non lascia il segno: ogni
grande impero della Storia si è fondato non soltanto sulla superiorità militare (l'hard
power), ma anche sul soft power, sulla capacità di legare a sé i sottomessi offrendo
loro la condivisione di un patrimonio fatto di idee, valori e, perché no?, anche di
ricchezza materiale. Se Roma, la Roma idolatrata dal fascista Buttafuoco, non fosse
stata allo stesso tempo imperium ed emporium, non sarebbe riuscita a unificare gran
parte dell'Europa, del Nordafrica e del Medio Oriente per cinquecento anni e a
lasciare la sua eredità ai posteri. Allo stesso modo la superiorità dell'Occidente su
tutte le altre culture storiche deriva non soltanto dai cannoni, ma anche dal
patrimonio di valori e princìpi - uguaglianza di tutti gli esseri umani, primato della
Ragione e della Legge sulla volontà arbitraria di un sovrano, fede nella razionalità e
conoscibilità del mondo creato da un Dio-Logos - ereditato da Atene, Roma e
Gerusalemme. Anzi, è stata proprio la superiorità dei princìpi e valori a rendere
possibile la nascita della scienza moderna, la vittoria sulle epidemie e sulla fame, la
crescita della popolazione, della ricchezza e della potenza anche militare che hanno
portato l'Occidente a conquistare l'egemonia sul mondo; altro che crasso
"materialismo"!
Infine, il vecchio tasto del "genocidio culturale" prodotto dalla globalizzazione.
Chiunque abbia un qualche ricordo di quanto studiato a scuola sa, o dovrebbe sapere,
che la storia dell'umanità è costellata da una serie lunghissima di "genocidi culturali":
ogni volta che un popolo ha conquistato l'egemonia su altri popoli creando un impero
- dai Cinesi Han agli Assiro-Babilonesi, dai Persiani ai Macedoni, dai Romani ai
Britannici - la cultura del popolo vincitore si è imposta su quelle dei popoli vinti e le
ha sostituite interamente, o si è ibridata con esse dando origine a nuove civiltà (come
è avvenuto con la cultura greca, che "conquistò il feroce vincitore" romano).
L'omologazione culturale attualmente in corso sotto l'egida della lingua inglese e
dell'American way of life, pertanto, costituisce la rinnovazione di un fenomeno ben
conosciuto dagli storici e che non ha nulla di "terribile" come paventano i no-global
alla Buttafuoco; forse qualcuno versa lacrime sulla scomparsa della cultura sumerica
o etrusca? E perché dunque ci si dovrebbe scandalizzare per una futura scomparsa
della cultura italiana o francese o tedesca o cinese o etiope o indiana? Tanto più che,
come noi mondialisti abbiamo rilevato nel nostro Manifesto fondativo (capitolo 2), la
maggior parte dei prodotti culturali delle varie epoche storiche ha un contenuto e uno
scopo di esaltazione nazionalistica della propria fazione - etnia, religione o classe
sociale che sia - e di sopraffazione violenta e sanguinaria di quanti non appartengano
a quello specifico "recinto": Greci contro Persiani, Francesi contro Inglesi, Tedeschi
contro Francesi, Russi contro Tedeschi, Islamici contro "infedeli". In un futuro
Impero mondiale, in cui le appartenenze nazionali non saranno più pretesto per
discriminare l'uomo dall'uomo, di tale pluralismo bellicoso delle culture si potrà fare
173
tranquillamente a meno.
In conclusione: Buttafuoco e gli altri seguaci di Spengler, Evola e Heidegger si
rassegnino. L'Occidente, nonostante la crisi economico-finanziaria di questi anni,
conserverà il primato nel tenore di vita e nella potenza militare rispetto a tutti gli altri
popoli del pianeta; e sarà l'Occidente, e non Cindia o il Bric (Brasile-Russia-IndiaCina), la civiltà egemone del XXI secolo, quella che sconfiggerà le tirannie dei Putin,
degli Hu Jintao e degli Ahmadinejad, che fonderà un Impero mondiale destinato a
imporre su tutto il pianeta la liberatrice cultura dei diritti umani e del governo della
Legge e a donare finalmente al genere umano prosperità e pace.
174
NAZIONE, IL REGALO AVVELENATO DELLA FRANCIA AL MONDO
(7/8/2009) Da alcuni giorni il leader della Lega Nord Umberto Bossi sta
vivacizzando le prime pagine dei giornali italici, altrimenti stanche e provinciali
come si addice alla calura estiva, con le sue proposte-provocazioni in materia di
insegnamento nelle scuole dei dialetti - che lui preferisce chiamare «lingue etniche» e delle «culture» regionali, nonché di affiancare inni e stendardi locali al tricolore
nazionale e all'inno di Mameli. Nella maggioranza delle altre forze politiche del
Paese queste uscite sono generalmente accolte con fastidio e insofferenza, come
provocazioni di un movimento sempre in cerca di visibilità; l'opinione comune degli
Italiani, quella del cosiddetto "uomo della strada", tende a distinguere fra la "lingua"
nazionale e i "dialetti" considerati espressione di folklore locale. In realtà, a una
analisi non superficiale queste dispute rivelano il carattere "artificiale" di un concetto
che si tende a dare per ovvio: quello di nazione.
Fino al 1400 le uniche nationes esistenti in Europa erano i gruppi di studenti
iscritti nelle varie università, che tendevano a far vita comune in base al territorio di
nascita. A nessuno sarebbe mai venuto in mente di discriminare i sudditi di un regno
o di un impero fra indigeni ed immigrati, perché il criterio di appartenenza allo Stato
era la fedeltà ai suoi governanti. È solo durante la Guerra dei Cent'Anni che Giovanna
d'Arco rifiuta obbedienza al re d'Inghilterra, legittimo erede al trono di Francia per
discendenza da Filippo il Bello, in nome della distinzione fra le due "nazioni" e del
motto «la Francia ai Francesi». Dopo la fine del conflitto e la rinuncia dell'Inghilterra
ai suoi possedimenti sul Continente, è sempre la Francia a rilanciare l'uso politico
della nazione: è Luigi XIV, il "Re Sole", ad avviare un processo di livellamento e
omogeneizzazione culturale dei vari popoli che componevano il suo regno: franchi,
normanni, bretoni, piccardi, aquitani, borgognoni, provenzali, baschi, stratificatisi
nell'Esagono nei millenni a partire dal primo popolamento preistorico ai Galli, dalla
conquista romana alle invasioni barbariche, furono costretti ad abbandonare le loro
leggi e i loro costumi, la loro stessa identità collettiva per diventare tutti
semplicemente "francesi".
A completare il processo di ibridazione fra nazionalità e cittadinanza è poi la
rivoluzione giacobina che lo esporta in Germania, Italia e nel mondo slavo: dovunque
si è ripetuto lo stesso processo di omologazione forzata, di soppressione violenta
delle differenze ancestrali in nome dell'idea che i membri di uno Stato debbano avere
in comune lingua, usanze, religione e soprattutto discendere dalla medesima etnia o
razza («Fatta l'Italia bisogna fare gli Italiani»). Dall'Europa, questo frutto avvelenato
è stato infine esportato in Africa, Asia e America latina e soprattutto nel mondo
islamico, fomentando prima le guerre di decolonizzazione, poi i conflitti tribali che
hanno insanguinato Ruanda e Burundi, Etiopia ed Eritrea, Somalia e Sudan, gli
scontri fra islamici e cristiani-animisti nel Darfur, in Nigeria e adesso in India e nel
Punjab, sempre in nome della falsa e perniciosa idea che vi debba essere omogeneità
di carne e sangue, di lingua e religione fra i cittadini di un Paese, e che a quanti non
vogliono adeguarsi alla religione, alle usanze, alla "cultura" maggioritaria non resti
altra possibilità che fuggire o morire.
175
Per questo, di fronte sia alle "baruffe chiozzotte" sui dialetti padani, sia alle ben
più tragiche persecuzioni contro i cristiani in Pakistan di questi ultimi giorni, noi
mondialisti riteniamo che l'unica soluzione sia la fine dell'ibrido nazione-Stato, la
separazione fra appartenenza etnica e cittadinanza e il radicamento di quest'ultima
nella semplice residenza in un territorio, indipendentemente dal fatto che esso sia
quello in cui si è nati oppure no. Ciò sarà possibile solo quando tutti gli Stati della
terra abbandoneranno le loro pretese di sovranità assoluta su un territorio e sugli
uomini e donne che vi abitano, unendosi in un solo Impero mondiale che abolisca
ogni discriminazione di razza, lingua e religione in nome degli immortali ed
universali diritti di ogni essere umano alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità.
176
IL GENERALE SVELA LE MENZOGNE DEGLI EURASISTI
(4/7/2010) Il mondialismo, questo possente movimento d'uomini e di idee il cui
scopo è l'unificazione del genere umano in un solo Impero mondiale per far cessare le
discriminazioni, le persecuzioni e le guerre storicamente causate dalla divisione
dell'umanità in gruppi o Stati etnicamente e religiosamente omogenei, ha sempre
trovato sulla propria strada ostacoli posti da quanti in queste divisioni fratricide
trovavano l'occasione per ricavare profitti in termini di denaro o di potere; profitti
generalmente inconfessabili e perciò bisognosi del manto protettivo ipocrita di
qualche ideologia che facesse apparire, di volta in volta, cosa necessaria o addirittura
"buona" distinguere gli esseri umani fra chi è "dentro" e chi "fuori" rispetto a un
particolare confine. Così ad esempio il poeta greco Euripide afferma in una sua
tragedia che «governare sui Barbari agli Elleni ben s'addice», e Aristotele distingueva
dagli "stranieri" (Greci di un'altra città che beneficiavano della sacra legge
dell'ospitalità) i "barbari", considerati appartenenti a un'altra specie d'uomini per
natura rozzi e violenti, dunque inferiori e meritevoli d'essere combattuti con ogni
mezzo, fino alla riduzione in schiavitù o all'annientamento. Nell'Ottocento, l'eclissi
dello spirito cristiano che per mille e trecento anni aveva insegnato l'uguaglianza
naturale di tutti gli uomini portò al sorgere di un nazionalismo esasperato, espresso
particolarmente da filosofi tedeschi come Herder che proclamarono come fatto
naturale la divisione del genere umano in popoli e culture diversi, e bollarono ogni
tentativo di unificazione come un attentato alla pluralità degli usi e dei costumi. In
entrambi i casi dietro queste affermazioni si vede chiaramente l'interesse dei membri
di un gruppo a dominare su quanti a quel gruppo non appartengono, gli antichi Greci
nei confronti dei non-Greci, i Tedeschi nei confronti degli Slavi e degli altri popoli
d'Europa.
Nell'attuale Terzo Millennio il nemico più insidioso del mondialismo è
rappresentato dagli eurasisti o eurasiatisti. L'ideologia eurasista inizia ponendo come
verità indiscutibile che esista da sempre una fondamentale unità culturale, sociale e
religiosa fra tutti i popoli che dalla preistoria hanno abitato la vasta porzione di
superficie terrestre compresa tra le coste portoghesi, l'Estremo Oriente, l'Artico e
l'Oceano Indiano che essi chiamano "Eurasia": una cultura unitaria fondata sui tre
pilastri della Terra intesa come Grande Madre che reca su di sé, nei confini, il segno
della divisione dell'umanità in vari popoli, del Lavoro manuale come unica fonte di
ricchezza, e di un Sacro visto in senso panteistico come identità fra Dio e mondo. A
questa presunta cultura eurasiatica si contrapporrebbe, nella visione degli eurasisti, la
cultura anglosassone - storicamente incarnatasi prima nella Gran Bretagna e poi negli
Stati Uniti d'America - che sarebbe invece fondata sul Mare inteso come assenza di
confini e dunque di legge, luogo informe di pirati-mercanti, sul Commercio e sulla
Finanza come mezzi per depredare "pacificamente" gli altri popoli, e su una Tecnica
atea e materialistica che, mirando al dominio sull'ambiente, metterebbe in pericolo la
sopravvivenza dell'umanità. Gli eurasisti si propongono di agire come una lobby
attraverso riviste come "Eurasia", siti Internet e agenti infiltrati in scuole, università,
nei media e nelle istituzioni politiche per instillare nelle menti e nei cuori degli
177
abitanti dell'Eurasia la coscienza di appartenere a un'unica civiltà, e di costruire una
grande alleanza fra la Russia, che per essi dovrebbe assumere il ruolo di popolo-guida
in virtù delle sue immense riserve di petrolio e gas naturale, la Cina che apporterebbe
le risorse finanziarie, l'India che fornirebbe manodopera specializzata in informatica e
a basso costo, e un Iran dotato dell'arma atomica, al fine di espellere dal continente
eurasiatico la talassocrazia a stelle e strisce - l'«eterna Cartagine» che dal 1989
starebbe tentando di conquistare l'Asia Centrale ricca di risorse naturali, il "cuore
della terra" (Heartland) contrapposto alla "mezzaluna interna" (Europa, India ed
Estremo Oriente) e alla "mezzaluna esterna" (Gran Bretagna, America e Oceania)
nella terminologia del geografo inglese Halford Mackinder -, di distruggere l'«entità
sionista» (cioè lo Stato di Israele, che gli eurasisti considerano un volgare avamposto
coloniale dell'Occidente e di cui negano persino l'ebraicità) e di fondare un impero in
cui lo Stato prevalga sull'individuo, l'appartenenza etnica costituisca legittima fonte
di discriminazione fra gli uomini, e i diritti "liberali" alla vita, alla libertà di pensiero
e di impresa, e alla proprietà siano subordinati a un non meglio precisato "interesse
collettivo della Comunità".
Ma non basta: gli eurasisti mirano altresì a fare dell'Africa una miniera di
petrolio e minerali a disposizione dell'Eurasia in cambio della non ingerenza negli
affari interni dei suoi regimi corrotti e tirannici, e a sollevare contro gli Stati Uniti i
popoli dell'America meridionale (che essi chiamano "indiolatina") sull'esempio di
dittatori e demagoghi come Chavez, Morales e Lula che negli ultimi dieci anni hanno
stretto solidi legami con Mosca, Pechino e Teheran, offrendo accesso a giacimenti
petroliferi in cambio di forniture di armamenti e centrali nucleari allo scopo di
ottenere anch'essi la Bomba. Il sogno finale degli eurasisti è la distruzione dell'odiata
"superpotenza oceanica" secondo la "profezia" di Igor Panarin, un analista del Kgb
che nel 1998 previde una seconda guerra civile americana causata dalla crisi
economica e dalla rivolta degli Stati più ricchi contro la crescente pressione fiscale di
Washington, cui dovrebbe seguire lo smembramento degli Stati Uniti d'America in
cinque parti, con l'Alaska che tornerebbe alla Russia (la quale l'aveva acquisita nel
'700 e poi venduta agli USA nel 1867), le Hawaii e la California annesse dalla Cina o
dal Giappone, il Middlewest dal Canada, il Texas e gli altri Stati del Sud con una
ingente popolazione di latinos che si consegnerebbero al Messico e quelli della costa
atlantica che sceglierebbero di unirsi all'Unione Europea...
Alle menzogne degli eurasisti si potrebbe rispondere con dovizia di
argomentazioni razionali e storiche. Si potrebbe ad esempio ricordare che i popoli
abitanti nel continente eurasiatico non hanno mai condiviso una medesima
concezione religiosa: per Indiani, Cinesi e Giapponesi il Sacro, la Divinità coincide
con il mondo, mentre a partire dall'Ebraismo e dal Cristianesimo fino all'Islam si
afferma il principio della distinzione fra un Dio Creatore e l'universo inteso quale
Creazione. Oppure si potrebbe contestare la definizione svalutativa degli Stati Uniti
d'America come «eterna Cartagine», facendo notare agli ignoranti eurasisti che i
Romani, contrariamente a quanto afferma la tradizione, avevano maturato una solida
esperienza marinara ben prima di affrontare i Cartaginesi, e che pertanto l'equazione
Roma = Terra sulla quale essi basano le loro elucubrazioni è una patente falsità.
178
Ma la smentita più forte alle menzogne eurasiste arriva proprio da uno dei loro
supporters più accreditati: il generale Fabio Mini, ex comandante della missione
NATO Kfor in Kossovo fra il 2002 e il 2003, il quale attualmente collabora con
riviste di punta della lobby eurasista come "Limes" e la succitata "Eurasia". A lui è
stata recentemente commissionata la prefazione di un libro del redattore di "Eurasia"
Daniele Scalea intitolato "La sfida totale. Equilibri e strategie nel grande gioco delle
potenze mondiali", che costituisce il tentativo degli eurasisti di assicurare una
parvenza di scientificità alla loro ideologia mediante il ricorso alle dottrine di vari
esponenti della cosiddetta geopolitica, la scienza (o presunta tale) che si propone di
studiare e prevedere i rapporti di forza e le dinamiche di ascesa e caduta di Stati e
imperi sulla base della conformazione geografica dei territori. Ebbene il generale
Mini, contrariamente alle aspettative dei suoi committenti che desideravano da lui
una recensione "in ginocchio", ha esposto nella prefazione a "La sfida totale" una
serie di «avvertenze per l'uso» che si possono riassumere in due critiche al lavoro di
Scalea:
1) «Alla pari di qualsiasi teoria politica, la geopolitica non è mai obiettiva,
asettica o imparziale... Le teorie geopolitiche sono sempre strumentali: servono a
prendere parte alla competizione, a spiegarla, ma anche a incitarla, alimentarla e
perfino a farla degenerare... Ed anche ammettendo che le teorie siano frutto di
elaborazioni scientifiche, la loro applicazione ed interpretazione è sempre a supporto
di un'idea, una fede, o soltanto un interesse» (pp. 9-10). Con queste frasi brevi e
icastiche Mini assesta un colpo mortale alla pretesa "scientificità" delle teorie
eurasiste secondo cui la Russia sarebbe naturalmente destinata a dominare il
continente eurasiatico in grazia della vastità del suo territorio e delle sue ricchezze
minerarie, ignorando ipocritamente fattori bloccanti come l'alcolismo diffuso, il
pessimo sistema sanitario, l'alta mortalità infantile, la scarsa aspettativa di vita e il
profondissimo crollo demografico che procede dall'epoca sovietica al ritmo di
700.000 anime in meno all'anno e nel 2010 spingerà la popolazione russa sotto i 140
milioni. Anche la condanna di Israele e della sua politica verso i palestinesi - i quali,
come ha fatto notare acutamente la studiosa ebraico-inglese Bat Ye'Or nel suo saggio
"Eurabia", non possono neppure essere chiamati nazione e tantomeno popolo, dal
momento che dal 1948 fino alla Guerra dei Sei Giorni e alla conquista israeliana del
1967 i territori della Giudea e Samaria (o Cisgiordania che dir si voglia) erano stati
occupati dal regno di Giordania, così come la Striscia di Gaza era stata occupata
dall'Egitto, ed entrambi erano stati in precedenza parti dell'impero ottomano senza
alcuna velleità di indipendenza nazionale - secondo il generale «non può negare il
passato del popolo ebraico, la Shoa, lo sterminio subito» (p. 10), come pretendono
invece gli eurasisti adoratori del folle Ahmadinejad e del suo progetto di cancellare
l'odiata «entità sionista» dalle carte geografiche. A proposito dell'Iran, che per Scalea
e i suoi sodali sarebbe una delle chiavi di volta della geopolitica, «non bisogna
dimenticare che il regime continua ad essere spietato e che non concede nulla, né al
diritto della gente, né alle opposizioni istituzionalizzate» (p. 11).
Quanto allo smembramento della Jugoslavia e alla guerra del Kossovo, il
generale Mini ha buon gioco nel ricordare agli eurasisti che il serbo Slobodan
179
Milosevic, il musulmano bosniaco Alja Itzbegovic e il croato Franjo Tudjman non
erano delle anime belle, che essi «hanno commesso tutti i crimini di cui sono stati
accusati e altri che nessuno vuole ricordare» e che dunque «non si può puntare il dito
contro gli Stati Uniti senza considerare chi fossero quei personaggi e cosa avessero
fatto ai rispettivi popoli», così come la forza dell’UCK «non veniva soltanto dagli
aiuti innegabili dei servizi segreti tedeschi, britannici e americani o dai traffici
illegali» ma anche e soprattutto «dal supporto di una popolazione che per dieci anni è
stata dimenticata dalla comunità internazionale e lasciata alla mercè di un sistema che
Milosevic, protetto dalla Russia, voleva repressivo e discriminatorio» (p. 12). Proprio
così: la Russia, la "grande madre" degli eurasisti, la patria della buona vita secondo il
trinomio Terra-Lavoro-Sacro ha protetto per dieci anni in Serbia un sistema
repressivo e discriminatorio nei confronti dei kossovari, parola di Fabio Mini che
scrive un giorno sì e l'altro pure su "Eurasia", "Limes" e le altre riviste degli eurasisti!
La stoccata più forte ai suoi committenti il generale Mini la assesta parlando
della Cina. Il Paese del Dragone avrà avuto molti meriti, non ultimo quello di aver
tratto dall'indigenza 200 milioni di cittadini in meno di vent'anni, ma «dare il merito
di questo alla fase "preparatoria" di Mao [come Daniele Scalea fa a p. 110 del suo
libro] significa sottovalutare i disastri del "[grande] balzo in avanti" e dimenticare
quelli della rivoluzione culturale. Assegnare crediti per una politica di successo senza
addebitare gli insuccessi, le repressioni, le persecuzioni e le violazioni dei diritti dei
cittadini favorisce l'incomprensione e attenta alla credibilità dell'analisi». In altre
parole il prefatore afferma che l'autore del libro di cui sta scrivendo la prefazione ha
compiuto una "analisi" non credibile, che egli ha spacciato per verità scientifica i suoi
desideri, le sue speranze, i suoi sogni... Un individuo simile si può fregiare solo di un
titolo: quello di ciarlatano. La stessa lettura distorta della realtà è contenuta per Mini
nei capitoli dedicati all'America "indiolatina" e all'Africa: al di là delle ingerenze e
delle "provocazioni" americane - come sarebbe la costituzione dell'Africom, il
Comando militare istituito da Washington nel 2007 per portare aiuti umanitari al
continente nero e prevenire l'insorgere di conflitti, il quale per Scalea sarebbe solo la
dimostrazione della perdita di prestigio degli Stati Uniti e della loro volontà di tener
fuori la Cina dall'Africa usando la forza bruta - «quanti paesi», si domanda Mini,
«hanno saputo e voluto amministrarsi bene? Castro ha fatto di Cuba un piatto da
consumarsi freddo, come la vendetta» e il bolivarismo di Chavez «si oppone allo
strapotere e all'arroganza americana, ma non destina nulla alla gente o alla stabilità.
Fa solo affari privati, come la peggiore politica americana» (p. 13).
Insomma il generale Mini, che pure come si è visto non lesina critiche agli Stati
Uniti d'America, paragonandoli addirittura ai «pirati barbareschi» (p. 9), e mette
perfino in dubbio il carattere ebraico di Israele (p. 10), ritiene che l'analisi geopolitica
degli eurasisti sia «di parte», «ambigua e ingannevole», che essa stia «al servizio di
qualcosa e di qualcuno, in senso concettuale di sicuro e forse anche in senso
materiale», e senza neppure dichiararlo apertamente (p. 13). Esattamente quanto
sosteniamo da sempre noi mondialisti, cioè che i nemici di un Impero mondiale
fondato dagli Stati Uniti d'America e orientato secondo il sacro principio
dell'uguaglianza di tutti gli esseri umani su cui si basa la grande democrazia
180
americana non sono animati dal desiderio di salvare l'umanità da una dittatura
universale o di preservare la varietà dei costumi e delle culture da improbabili
"genocidi", ma solo dall'egoistico interesse a mantenere la loro piccola o grande fetta
di potere e di "beni al sole", si tratti degli ayatollah pedofili o dell'ex agente del Kgb o
dei ducetti africani o dei caudillos sudamericani.
2) La seconda critica che il generale Fabio Mini rivolge a "La sfida totale" è di
«privilegiare gli attori tradizionali delle relazioni internazionali» (p. 10), cioè gli Stati
nazionali, etnicamente omogenei, che Scalea considera ancora pienamente sovrani ed
eguali come al tempo del trattato di Westfalia. In realtà, fa notare Mini, questa idea è
stata confutata sia prima del 1648 - dal momento che Francia, Spagna e Svezia erano
indipendenti dal Sacro Romano Impero fin dalla morte di Carlo Magno, l'Olanda si
era già separata da esso e perfino le città imperiali come Amburgo erano definite
"libere" - sia dopo, in quanto l'espansionismo napoleonico, l'internazionalismo
comunista, il capitalismo e la globalizzazione «hanno in vario modo alterato il
principio di uguaglianza fra nazioni e il principio di sovranità al quale si sono spesso
appellati i conservatori (vecchi e nuovi) e i nazionalisti» (p. 14). Ma il colpo più duro
al sistema degli Stati, per Mini, viene dalla «nascita di un sistema complesso di flussi
internazionali che non fanno più capo agli stati e agli interessi nazionali, ma ad attori
non statali, legali e illegali, palesi e occulti». Che valore hanno i confini politici per i
trafficanti di esseri umani o di droga o di diamanti che attraversano decine di Stati
corrompendo una pletora di piccoli burocrati e guardie di confine? Che importanza
hanno le leggi statali per i capi di Al Qaeda che si muovono in tutto il mondo
raccogliendo fondi e aprendo siti Internet per insegnare ai nemici dell'Occidente "ateo
e materialista" a costruirsi bombe micidiali nella cucina di casa? Per questi flussi di
uomini, denaro e risorse naturali, chiosa Mini, «non esiste un "cuore" da difendere o
da attaccare, non esistono mezzelune interne e non esistono neppure stati canaglia o
stati virtuosi»; la nuova geografia che essi disegnano ha bisogno di una propria
geopolitica, di una nuova scienza che «sia in grado di individuare più chiaramente gli
interessi globali e gli attori capaci di orientarne i flussi e quindi di guidare l'intero
sistema» (pp. 14-16).
Ebbene, questa "nuova geopolitica" che il generale Mini invoca per spiegare il
mondo nuovo, il mondo post-nazionale creato dalla globalizzazione e dalla Rete, è
proprio quella che sta alla base del Manifesto del Partito Mondialista: è il
riconoscimento, tanto moderno quanto antico, del primato dell'individuo su ogni
comunità di cui sia parte per nascita o adesione successiva, volontaria o coatta; è la
constatazione del fatto innegabile che le collettività statali nascono, crescono,
invecchiano e muoiono, e che pertanto nessuna di esse può arrogarsi un primato sui
singoli, irripetibili membri dell'unica "collettività" veramente perenne, la specie
umana; è la deduzione logica che, in un mondo in cui i confini statali non possono più
fermare né i viaggi della speranza degli immigrati clandestini, né i viaggi della morte
degli aspiranti kamikaze, soltanto una autorità globale può imporre un ordine, una
regola a fenomeni globali. È questo il contenuto dell'«altro libro» che al termine della
sua prefazione il generale Fabio Mini augura a Daniele Scalea di scrivere in un
prossimo futuro, ma che l'eurasista Scalea, per l'ideologia aberrante che lo muove,
181
non sarà mai capace di scrivere. Quel libro, quell'analisi, quel progetto lo abbiamo
scritto noi, e giorno dopo giorno lo stiamo realizzando.
182
PER I MILLE KOSSOVO DEL PIANETA
L'UNICA SOLUZIONE È L'IMPERO MONDIALE
(28/7/2010) Il parere consultivo reso dalla Corte dell'Aja, secondo cui la
proclamazione d'indipendenza da parte del Kossovo «non è in contrasto con la legge
internazionale», ha suscitato, oltre alla scontata euforia di Pristina e all'altrettanto
ovvia irritazione di Belgrado, una serie di reazioni contrastanti in tutto il Vecchio
Continente: baschi e catalani hanno visto nel pronunciamento - giuridicamente
irrilevante, ma politicamente esplosivo - una legittimazione della loro voglia di
secessione dalla Spagna, slovacchi e romeni sono preoccupati per le ricadute che esso
potrà avere in regioni come la Transilvania abitate da cospicue minoranze ungheresi,
i greco-ciprioti temono una separazione unilaterale della parte dell'isola invasa e
occupata da Ankara, Mosca ha difeso la sovranità serba sul Kossovo pensando al
proprio caotico Caucaso... per non parlare dell'Irlanda del Nord, che potrebbe
rivendicare a favore di una secessione da Londra il fatto di non avere neppure un
confine terrestre comune con la Gran Bretagna. Insomma, la geografia politica
dell'Europa potrebbe da ora in poi subire uno sconvolgimento terrificante, con la
ripresa di fenomeni terroristici che da anni covavano sotto la cenere e lo scoppio di
nuove guerre interstatali. Di fronte a un simile scenario apocalittico noi mondialisti
sentiamo il dovere di esprimere, umilmente ma fermamente, il nostro punto di vista.
La questione dei mille Kossovo che dilaniano il pianeta, nella sua radice, è la
seguente: esiste un diritto umano all'indipendenza? Come è noto, i giuristi
distinguono i diritti in tre categorie.: I diritti civili sono quelli proclamati nella
"Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" emanata dai rivoluzionari francesi
nel 1789 come propri di ogni essere umano, cioè le libertà di pensiero, di religione, di
stampa, di immunità da arresti arbitrari. I diritti politici spettano invece ai soli
cittadini, e si sostanziano nel diritto di accedere alle cariche pubbliche, di votare ed
essere votati. Infine, con il termine diritti sociali si indica il diritto di ogni essere
umano a ricevere dallo Stato di residenza una serie di prestazioni monetarie o sotto
forma di servizi amministrativi, come l'istruzione pubblica gratuita, l'assistenza
sanitaria, sussidi per maternità difficile, invalidità o disoccupazione e così via. Come
si può vedere, mentre i diritti "civili" e quelli "sociali" si predicano come attributi di
ogni individuo umano, i cosiddetti diritti "politici" sono legati al possesso della
qualità di cittadino, vale a dire di membro di un gruppo di uomini organizzato in
Stato. Domanda: in quale delle tre categorie rientrerebbe il preteso diritto a rendersi
indipendenti da uno Stato già esistente per formarne uno nuovo o unirsi ad un altro
Stato? Risposta elementare: IN NESSUNA. I diritti soggettivi, per loro natura, si
predicano degli esseri umani in quanto individui; i cosiddetti "diritti collettivi" o
"diritti delle minoranze", detti anche "diritti culturali", altro non sono che il diritto dei
singoli membri individuali di un gruppo etnico, linguistico, religioso o culturale a una
valorizzazione pubblica della propria lingua, religione o cultura all'interno di una
comunità statale composta in maggioranza da membri di differente etnia, lingua,
religione o cultura. Giuridicamente parlando, non esistono diritti dei gruppi. I gruppi
non sono il soggetto del Diritto, ma della Politica.
183
Se così stanno le cose - e non possono che essere così, se la forza degli
argomenti che abbiamo portato ha un valore - che senso ha l'affermazione della Corte
olandese di "non contrarietà alla legge internazionale" di una proclamazione
d'indipendenza coma quella kossovara? In realtà essa discende dalla teoria della
uguale sovranità di tutti gli Stati proclamata nel trattato di Vestfalia del 1648, con il
quale le potenze europee dell'epoca (il Sacro Romano Impero germanico, la Francia,
l'Olanda, la Prussia e la Svezia) misero fine a una trentennale guerra di religione fra
cattolici e protestanti; una teoria funzionale alla seconda affermazione fondamentale
di quell'antico documento, quella dell'obbligo dei sudditi di uno Stato di scegliere tra
l'adeguarsi alla religione del loro sovrano oppure emigrare in un altro Stato (cuius
regio, illius religio), e che in pratica non è mai stata osservata né prima di allora né
dopo, ddal momento che in ogni epoca storica gli Stati più potenti dal punto di vista
militare ed economico hanno esercitato sugli Stati meno ricchi e meno forti
un'influenza più o meno palese, se non altro nelle loro decisioni di politica estera,
ovvero nello scegliere se considerare un terzo Stato come "amico" o come "nemico",
secondo l'insegnamento del politologo nazista Carl Schmitt (le cui abiette scelte
politiche non inficiano, purtroppo, la correttezza delle sue più celebri affermazioni
teoriche). Del resto, nel Ventesimo secolo appena trascorso abbiamo potuto
constatare la violazione del dogma vestfaliano nella forma dell'esistenza di due grandi
coalizioni di Stati, l'una guidata da Washington e l'altra da Mosca, in cui l'ideologia
del "paese-guida" informava tanto le scelte di politica estera dei "vassalli" quanto la
struttura economica, sociale e culturale al loro interno. Insomma, come scrisse il
grande filosofo tedesco Hegel, i trattati obbligano gli Stati soltanto rebus sic
stantibus, ovvero finché ad essi conviene, e pertanto non sono da considerare
propriamente atti giuridici, bensì atti politici.
In conclusione, non esiste, giuridicamente parlando, un diritto umano, e
tantomeno "naturale", di un gruppo di uomini a farsi Stato e ad essere riconosciuto da
altri gruppi umani come indipendente e sovrano. Su queste materie l'unico criterio
risolutore, dall'alba dei tempi fino al Giorno del Giudizio, è stato, è e sarà la forza
(militare, economica o culturale) comparata dei vari Stati. Né si può biasimare
moralisticamente il fatto che esistano Stati pienamente sovrani e Stati a sovranità
limitata, protettorati o addirittura colonie: l'Impero di Roma assicurò pace, ordine e
prosperità dalla Britannia all'Eufrate per cinquecento anni, e i popoli sottomessi
scoprirono presto che la sudditanza a Cesare era abbondantemente ripagata da un
sistema amministrativo non esoso, da legioni efficienti, da un sistema di norme che
assicuravano uguali diritti civili a tutti e da imponenti spese per la costruzione di
acquedotti, terme e altri edifici pubblici che hanno sfidato i secoli; e identico discorso
può esser fatto per l'Impero britannico, che da Londra irradiò la civiltà su metà delle
terre emerse e su metà della popolazione mondiale, sradicando pratiche vergognose come il rogo delle vedove indiane sulle pire dei mariti - e lasciando alle ex-colonie la
preziosa eredità della common law. Anche la sovranità limitata dei membri del Patto
di Varsavia, sancita col sangue degli insorti di Budapest e Praga, non era esecrabile in
sé, ma per l'ingiustizia radicale dell'ideologia comunista che si rivelava anche nel
modo di gestire il dissenso dei "vassalli": gli Stati Uniti d'America, paese-guida
184
dell'Occidente libero, democratico e prospero, affrontarono e risolsero i medesimi
problemi in modo ben diverso dall'Unione Sovietica, utilizzando più la loro
superiorità culturale ed economica che quella militare, e con ben diverso esito, come
dimostra il crollo di questa e la vittoria di quelli.
Di conseguenza l'unico mezzo per impedire ai mille Kossovo del pianeta di
esplodere, l'unico mezzo per fermare la scia di sangue provocata dalle rivendicazioni
indipendentistiche da Pristina a Belfast e dal Daghestan alla Cisgiordania è
l'unificazione del mondo sotto il potere militare, economico e culturale di un solo
Stato. Solo in un Impero mondiale, che noi auspichiamo sorga un giorno sotto la
guida degli Stati Uniti d'America, "dolce terra dei liberi", tutti gli individui umani
potranno godere dei medesimi diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità,
come pure del diritto ad essere assistiti dallo Stato in situazioni di difficoltà
economica o sociale. Purtroppo al momento il popolo americano è prostrato da una
crisi economico-finanziaria che dura ormai da tre anni, e subisce ancora il fascino
perverso dell'incantatore Barack Hussein Obama. Ma noi mondialisti siamo fiduciosi:
lavoriamo sulla scala dei secoli, non sulla scaletta elettorale degli inquilini protempore della Casa Bianca. E comunque le elezioni di mid-term sono alle porte, e
allora tutti i nodi - dalla liberalizzazione dell'aborto e della sperimentazione sugli
embrioni, fino al servilismo pro-islamista e alla fallimentare conduzione delle guerre
in Iraq e Afghanistan - verranno al pettine.
185
SOLO L'IMPERO MONDIALE PUÒ RISOLVERE
IL PROBLEMA DEI ROM
(18/9/2010) In questi ultimi giorni la decisione presa dal Presidente francese
Nicolas Sarkozy di procedere allo smantellamento dei campi nomadi non autorizzati
presenti sul territorio della République e al rimpatrio forzoso dei rom colà giunti da
Romania e Bulgaria a partire dalla caduta dei rispettivi regimi comunisti nel 1989 e
dall'apertura delle frontiere della Unione Europea ha sollevato aspre critiche nei
palazzi di Bruxelles abituati a fare la carità con i soldi e le case d'altri (giustamente
Sarkò ha risposto alle accuse della commissaria lussemburghese Reding invitandola
ad accogliere gli espulsi nel poco popolato e ricco Principato), nelle cancellerie di
Italia e Germania preoccupate di un'ulteriore invasione di massa e negli ambienti
della sinistra "al caviale" che ha rimproverato alla Francia di aver abiurato alla sua
fama di patria della fraternité e della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del
cittadino. In verità tali accuse rivelano, a chi non abbia gli occhi della mente accecati
da pregiudiziali ideologiche, l'esistenza in seno alle società occidentali di un conflitto
tra due visioni del mondo completamente opposte l'una all'altra: lo statalismo
nazionalista, da un lato, e l'universalismo mondialista, dall'altro.
Lo statalismo nazionalista ha avuto origine di fatto proprio in Francia, quando
Giovanna d'Arco contestò il diritto, sancito dalle leggi di successione ereditaria, di
Enrico VI a unire nella sua persona i due regni di Inghilterra e Francia al grido «La
Francia ai Francesi!»; tuttavia la sua origine come principio giuridico risale al 1648,
quando il trattato di Vestfalia pose fine alla sanguinosa Guerra dei Trent'Anni tra
l'Impero romano-germanico, cattolico, e la coalizione formata dai principi tedeschi
protestanti appoggiati da Francia e Svezia, stabilendo l'uguale sovranità di ogni Stato
d'Europa, grande o piccolo che fosse. In tal modo si affermò per tre secoli l'idea che
ogni Stato, in quanto rappresentante della propria comunità nazionale considerata,
volente o nolente, omogenea per razza, lingua, religione e cultura, avesse il potere
insindacabile di regolare quanto accadeva all'interno dei propri confini, e all'inverso
che i cittadini di uno Stato - cioè coloro che avevano con un certo territorio un
rapporto privilegiato derivante dalla più o meno antica residenza degli antenati godessero nei confronti dell'autorità governante di maggiori diritti rispetto agli
"stranieri", cioè a quanti in quel territorio fossero ospiti per motivi di affari, di studio
o perché emigrati per sfuggire alla miseria o a persecuzioni.
Il passaggio dalle monarchie assolute alla democrazia conseguente alle
rivoluzioni del 1789 e del 1848, sebbene avvenuto in nome dei diritti dell'uomo, nel
consegnare il potere statale nelle mani delle masse popolari ha fatto dell'appartenenza
alla nazione il segno distintivo di coloro che avevano il diritto politico di eleggere i
governanti, di farsi eleggere e di entrare nella pubblica amministrazione, abolendo
così anche le pur minime possibilità di carriera militare, amministrativa e intellettuale
godute dagli stranieri nell'Antico Regime in forza del beneplacito regio; è per questo
che nell'Europa degli Stati-nazione ottocenteschi si sviluppano contemporaneamente
sia l'odio verso gli stranieri e il desiderio di unificare imperialisticamente tutti i popoli
considerati come appartenenti alla stessa nazione - il revanscismo in Francia dopo la
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sconfitta del 1870 ad opera della Prussia, il pangermanesimo, il panslavismo in
Russia - sia un crescente antisemitismo diffuso che si manifesta nell'accusa di
tradimento all'ufficiale ebreo-alsaziano Alfred Dreyfus e nei pogrom che in Russia,
tra la fine del XIX secolo e l'inizio del Novecento, provocano la morte di migliaia di
ebrei e la fuga di molti altri verso gli Stati Uniti d'America. Insomma, nella Vecchia
Europa i diritti, proclamati come "dell'uomo", sono in realtà i diritti "del cittadino", e
di un cittadino che si identifica e si distingue dagli stranieri per la razza, la lingua, la
religione e la cultura, in una parola per l'appartenenza o l'estraneità a una determinata
nazione. Nessuna meraviglia, dunque, se queste nazioni l'una contro l'altra armate si
siano prima gettate nell'orribile massacro della prima guerra mondiale (che fu
essenzialmente una guerra civile europea) e vent'anni dopo siano state funestate dal
tentativo nazista di sottomettere l'intero continente e di cancellare il popolo di Israele.
Né può suscitare scandalo, da questo punto di vista, che i popoli del Terzo Mondo,
liberatisi dal dominio coloniale degli Europei, ma imbevuti della stessa ideologia
nazionalista, si siano abbandonati per decenni a guerre tribali e a massacri
indiscriminati come in Ruanda, e che i musulmani disprezzino, perseguitino e
uccidano cristiani, ebrei, induisti e animisti dall'Algeria all'Indonesia: essi stanno
semplicemente applicando con coerenza il principio per cui gli esseri umani hanno
più o meno diritti, o nessuno, a seconda che siano dentro o fuori la Umma, la nazione
islamica, lo stesso principio che l'attuale Papa difende inconsapevolmente quando
tuona contro ogni tentativo di fondare un Nuovo Ordine Mondiale che contempli
anche l'uso della forza contro terroristi e Stati-canaglia.
Proprio le tragiche esperienze del secondo conflitto mondiale, risoltosi nella
vittoria della democrazia grazie al decisivo intervento del popolo americano (il quale
non solo sacrificò i suoi giovani sulle spiagge della Normandia e sui monti
dell'Appennino, ma rifornì di armi, petrolio e grano l'Unione Sovietica permettendole
di resistere all'invasione tedesca), e la presa di coscienza dell'abisso della Shoah in
cui l'Europa era sprofondata a causa dei molti collaborazionisti allo sterminio,
determinarono l'affermarsi di un modello di società radicalmente opposto al
nazionalismo statalista: il modello cosmopolitico degli Stati Uniti d'America, un
Paese nato in un continente-isola libero e "vergine" dall'unione di uomini e donne
provenienti da ogni angolo della Vecchia Europa, da perseguitati religiosi, esiliati
politici, gente in cerca di una vita migliore. In quel nuovo Paese, liberi dai pregiudizi
nazionalistici delle ex-patrie, questi uomini e queste donne si fusero insieme in un
nuovo popolo che aveva per segni distintivi solo la fedeltà a Dio, che aveva dato loro
quella Terra Promessa, e alla Costituzione, che garantiva loro uguale libertà e dignità.
Non per niente il nome di questa nuova forma di società, melting-pot (crogiuolo),
venne coniato dall'ebreo Israel Zangwill come titolo di uno spettacolo teatrale da lui
scritto nel 1909 in onore del Presidente Theodore Roosevelt: un adattamento di
"Romeo e Giulietta" in cui un giovane immigrato ebreo russo si innamora di una
immigrata russa cristiana, la lascia sconvolto quando scopre che ella è figlia
dell'ufficiale zarista colpevole del pogrom che lo costrinse a fuggire dalla Russia, ma
poi si riconcilia con la fanciulla celebrando con la loro unione la grandezza
dell'America, «il grande crogiuolo nel quale tutte le razze d'Europa si fondono e si
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riformano» e in cui «Tedeschi e Francesi, Irlandesi e Inglesi, Ebrei e Russi... tutti loro
si uniranno per costruire la Repubblica dell'Uomo e il regno di Dio».
Vediamo così che la politica delle espulsioni varata dalla Francia di Sarkozy e i
massacri degli "infedeli" da parte dei seguaci di Allah e Maometto sono entrambi
figli della concezione nazionalistica tipica della Vecchia Europa, in cui si proclama sì
che «tutti gli uomini sono uguali», ma si agisce come se alcuni, i cittadini, fossero
«più uguali degli altri». Per sconfiggere questa visione della società non servono
certo i lamenti e le riprovazioni delle anime belle, della sinistra terzomondista o del
Vaticano; serve invece inculcare nelle menti e nei cuori degli uomini e delle donne
una visione diversa. Solo quando tutti gli uomini e le donne del pianeta avranno
compreso di essere membri a ugual titolo di una sola specie, di una sola grande
famiglia chiamata Umanità, e costruiranno un Impero mondiale in cui ogni sovranità
nazionale sarà abolita e tutti saranno cittadini del mondo, solo allora i rom, i
musulmani e tutti gli altri membri di gruppi linguistici, etnici, religiosi o culturali
avranno la stessa dignità, potranno vivere e cercare la loro fortuna in qualunque luogo
della terra, e se commetteranno dei crimini saranno giudicati come individui e non
collettivamente.
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LA LOTTA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
IN UN FUMETTO "PER RAGAZZE"
(3/8/2011) I molti Italiani che leggono da anni con assiduità e sincero interesse
quanto pubblichiamo su questo sito Internet sanno già che noi mondialisti non
abbiamo disdegnato di prendere in considerazione opere letterarie, cinematografiche,
televisive e perfino fumettistiche, nella consapevolezza che fantasy e science-fiction,
lungi dal costituire meri passatempi infantili, rappresentano - come le antiche saghe e
leggende - la proiezione dei più profondi e insopprimibili desideri umani, primo fra
tutti quello a una comunione umana senza barriere (vedete ad es. gli editoriali "Harry
Potter è dei nostri. E anche le Winx" e "Un fumetto pieno di saggezza"). Per questo
motivo tali nostri seguaci "della prima ora" non si sorprenderanno se in questi giorni
estivi funestati dalla doppia strage di Oslo, dal martirio del popolo siriano e dall'ansia
per la sorte economica e politica degli Stati Uniti d'America, noi dedichiamo questo
editoriale all'analisi di un fumetto giapponese apparentemente estraneo, anzi
completamente agli antipodi rispetto alla tragica serietà degli eventi odierni: il manga
"Magic Knight Rayearth", composto da due serie pubblicate originariamente tra il
1993 e il 1996.
Come detto, all'apparenza l'opera si presenta come un ibrido tra un fumetto "per
ragazze" (shōjo manga), sentimentalistico e sdolcinato, e un'avventurosa storia
d'azione. Nella prima serie tre studentesse giapponesi di 14 anni - Hikaru (il cui nome
significa "luce" o "fuoco"), Umi ("mare") e Fu ("vento") -, in gita con le rispettive
classi alla Torre di Tokio, vengono trasportate magicamente in una dimensione
parallela e si ritrovano sul pianeta Sephiro, un mondo che si regge sulla forza di
volontà della Colonna Portante; qui le tre ragazze apprendono che l'attuale Colonna,
la principessa Emeraude, è stata rapita dal sommo sacerdote Zagato facendo
piombare quel mondo nel caos, e che esse sono state convocate allo scopo di
adempiere una leggenda: assumere il ruolo di "cavalieri magici" (magic knights),
risvegliare dal loro sonno millenario tre giganteschi robot da combattimento Rayearth, il Guerriero del Fuoco; Ceres, il Guerriero dell'Acqua; e Windam, il
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Guerriero del Vento - e liberare la principessa affinché pace e ordine tornino a
regnare. Da qui la storia segue i canoni classici dei giochi di ruolo di ambientazione
medievalistica - quelli, per intenderci, che tanto piacciono a molti giovani maschi
occidentali come Breivik, i quali prima si imbottiscono la testa di idee confuse sui
«Templari difensori della Tradizione» (quando la verità è l'esatto opposto), poi
vagheggiano un ritorno a un mitico Medioevo da romanzetti gerarchico e teocratico, e
infine tentano di realizzare i loro sogni a colpi di autobombe e kalashnikov -: le tre
ragazze, accompagnate da un buffo animaletto-guida di nome Mokona, incontrano
vari personaggi, si procurano delle armi, risvegliano i Guerrieri, affrontano e
sconfiggono i servi di Zagato fino a uccidere lo stesso gran sacerdote. A questo punto
il classico, melenso finale che tutti si aspetterebbero si rovescia nel suo contrario: le
ragazze scoprono che Emeraude non era mai stata rapita, ma si era volontariamente
autoreclusa nel vano tentativo di soffocare l'amore per Zagato (sentimento che l'aveva
distolta dal suo compito di Colonna Portante, gettando il proprio mondo nel caos), e
non potendo né suicidarsi né essere uccisa da un abitante di Sephiro, aveva poi
convocato i "cavalieri magici" allo scopo di sfuggire con la morte al suo angoscioso
dilemma, e ora, resa folle dalla disperazione, si avventa su di loro per vendicare la
morte del suo amato; alle tre eroine, spinte dall'istinto di conservazione, non resta che
esaudire il desiderio della principessa dandole la morte, il che le riporta a Tokio un
istante dopo la loro "partenza". La seconda serie vede le protagoniste, spinte dal
rimorso, incontrarsi nuovamente sulla Tokio Tower e di nuovo essere trasportate
nell'universo di Sephiro, che nel frattempo si sta avviando alla completa distruzione
per mancanza della sua Colonna, mentre gli emissari di altri tre mondi, spinti dai
motivi più vari, ambiscono ad assumere quel titolo; qui le tre ragazze, mentre
affrontano in combattimento gli "invasori", riflettono tra loro e con altri personaggi
sull'assurdità di un sistema, come quello della Colonna Portante, che sacrifica la vita
e la felicità di un singolo individuo al benessere della collettività. Alla fine il buffo
Mokona, rivelatosi come il dio creatore di quell'universo e del suo ordine tradizionale
e l'artefice della seconda "convocazione", si pone quale arbitro della contesa
assegnando la vittoria a Hikaru; ma la giovane terrestre, in accordo con le altre due e
con gli amici di Sephiro, decide di abolire il sistema della Colonna Portante e di
condividere con il popolo il compito di ricostruire quel mondo e garantirne la pace, in
una sorta di Commonwealth esteso agli abitanti degli altri pianeti.
Come si può comprendere dal nostro succinto riassunto, e da alcuni "indizi"
seminati qua e là dalle autrici - le "maghette" tracciano nell'aria delle grandi stelle di
David; una di esse si vanta di esser molto brava nei balli tradizionali e «specialmente
nel mayim mayim» (la più famosa danza ebraica); la ragazza che si impone quale
leader "naturale" del trio ha un aspetto fisico (statura bassa e capelli rossi) che
ricorda, al femminile, i tratti del biblico David da giovane: «fulvo [cioè rosso di
capelli], con begli occhi e gentile di aspetto» (1 Sam 16,12) -, i temi affrontati in
quest'opera sono carichi di tutta la serietà e la drammaticità del nostro mondo reale
che in questa prima decade del Terzo Millennio ha visto il crollo delle Due Torri e la
Guerra al Terrore e oggi assiste incerto alla Primavera Araba e all'ascesa
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apparentemente irresistibile della Cina capital-comunista: il confronto tra l'Oriente
collettivista e totalitario, rappresentato dalla triade Mosca-Pechino-Teheran, e
l'Occidente ebraico-cristiano fondato sul primato della persona umana e dei suoi
inalienabili diritti rispetto allo Stato; l'idea tipicamente orientale per cui «è bene
sacrificare uno solo affinché il popolo non perisca» contrapposta al principio-guida
dell'Occidente, per il quale il bene del Tutto sociale non può prescindere dal bene di
tutti i suoi membri; la lotta fra una Tradizione acriticamente accettata dalla massa,
idolum tribus che vuol rinchiudere gli uomini nel proprio angusto e mortifero
orizzonte, e la Ragione critica del singolo, immagine del Logos divino, che mette in
discussione le convinzioni tralatizie e apre le società a sempre nuovi traguardi di
civiltà e promozione umana; il senso della Storia quale cammino di sofferta, ma
progressiva e inarrestabile affermazione della democrazia liberale e della politica
come "bene comune" (common wealth) di tutti, senza discriminazioni di sesso, classe,
razza o religione, rispetto alle vetuste e antiumane concezioni dello Stato come
proprietà esclusiva di un monarca o del proletariato o della razza ariana o dei muslims
o degli uomini contrapposti ai sudditi o ai borghesi "nemici del popolo" o alle razze
"inferiori" o agli "infedeli" o alle donne. Niente male, per essere solo un fumetto "per
ragazze"!
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CONTRO IL WWF DELLE CULTURE
(31/10/2011) Nelle ultime settimane noi mondialisti abbiamo ricevuto
numerosi messaggi, sia sulla nostra casella di posta elettronica [email protected]
che sulla nostra pagina Facebook "Partito Mondialista", da parte di persone che ci
accusavano di voler distruggere le religioni cosiddette "tradizionali", "etniche" o
"ancestrali" col pretesto di voler secolarizzarle al livello del Cristianesimo, come è
nostra intenzione fin dalla stesura del Manifesto del Partito Mondialista nel 2005
(vedi il capitolo II). Queste persone assomigliano agli ambientalisti radicali del Wwf,
che meglio sarebbe chiamare "conservazionisti", i quali credono che le specie animali
attualmente viventi sulla Terra debbano essere conservate in saecula saeculorum, e
che pertanto quelle specie che sono in via di estinzione - in via di estinzione,
naturalmente, per colpa dell'uomo cattivo, "il cancro della terra", come lo chiamò
vent'anni fa il rappresentante del Wwf in Italia Fulco Pratesi - debbano essere
"protette" mendiante l'istituzione di parchi o riserve interdette per sempre all'accesso
dell'uomo cattivo; allo stesso modo, questi "conservazionisti culturali" credono che le
culture minoritarie stiano scomparendo non perché è legge naturale che le culture,
così come le specie viventi, nascano, si sviluppino, decadano e scompaiano, ma
perché oppresse dalle culture maggioritarie cattive, e soprattutto dalla cultura che per
essi è la più cattiva di tutte, la cultura occidentale liberaldemocratica e capitalistica di
origine greco-romanno-ebraico-cristiana, e che pertanto i cattivi capitalisti cristiani
abbiano l'obbligo morale di istituire delle "riserve culturali" i cui abitanti dovrebbero
esser condannati fino alla fine dei tempi a vivere secondo la cultura "tradizionale" che
professano attualmente, senza avere contatti "corruttori" con membri di altre culture.
Per dimostrare a chi legge quanto siano buone e degne di esser conservate queste
culture e religioni "tradizionali", noi mondialisti adesso vi racconteremo una storia
vera: la storia di una strega africana suo malgrado.
La chiameremo Ziwa, il nome non è importante, come lei ce ne sono tante in
Africa. È nata albina. I suoi genitori non hanno voluto seguire il consiglio degli
anziani del villaggio, che li avevano esortati ad abbandonarla nella foresta affinché
non attirasse gli spiriti maligni. Così Ziwa è cresciuta nella sua capanna ai margini
del villaggio, allevando capre come tutti nella sua regione.
Quando Ziwa aveva 25 anni - ed era quindi già una vecchia, in una regione ove
l'età media non supera i 38 anni - una capra di proprietà di una donna sua vicina le si
avvicinò mentre raccoglieva le erbe con cui lei era solita prepararsi, seguendo i
consigli della defunta madre, un unguento per proteggere la pelle chiarissima dai
raggi del sole, ne mangiò un po', e poiché quelle erbe contengono un alcaloide
mortale per uomini e animali se ingerito, morì all'istante. Ziwa si offrì di cedere una
delle sue capre alla vicina per risarcirla della perdita dell'animale, ma quella prima la
picchiò, poi si recò dal capovillaggio e la accusò di essere una strega. Il
capovillaggio, riuniti tutti i capifamiglia, sentenziò che Ziwa era una strega, che ella
usava le erbe per preparare veleni e filtri magici, che la sua presenza aveva adirato gli
spiriti buoni degli antenati, e che pertanto era necessario che lei, i suoi animali, la sua
capanna e le poche cose che possedeva fossero bruciati per scacciare dal villaggio gli
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spiriti maligni.
Detto fatto, uno stuolo di uomini armati di lance, coltelli e torce accese si recò
alla capanna di Ziwa, afferrò la donna, la legò, sgozzò una ad una tutte le sue capre e
dette fuoco alle carcasse e alla capanna. Quando stavano per bruciare viva anche lei,
Ziwa fu salvata da due missionari comboniani intervenuti in extremis, i quali
offrirono 100 dollari al capovillaggio e 20 a ciascuno dei pii capifamiglia
convincendoli a ceder loro la donna e a portarla via sulla loro jeep. Oggi Ziwa vive
nella missione dei padri comboniani della sua regione, fa da madre a otto bambini
abbandonati dalle loro famiglie perché albini come lei, ha imparato a leggere e
scrivere, e studia per diventare medico.
Questa è la storia di una delle tante vittime delle assurde superstizioni che ancor
oggi impestano i cervelli di molti Africani. E da questa storia si possono, si devono
trarre due conclusioni:
1) anche contro queste superstizioni, anche per la salvezza delle tante, troppe
Ziwa africane, asiatiche e latinoamericane, noi mondialisti lavoriamo per la creazione
di un Impero mondiale;
2) se le religioni "tradizionali" insegnano agli uomini che è lecito uccidere
uomini, donne e bambini perché albini, o malati di Aids, o semplicemente "diversi"
dalla media locale, come insegnano le credenze tribali africane, allora distruggere
queste religioni "tradizionali" è non solo lecito, ma doveroso per il bene di quelle
stesse popolazioni. E al diavolo i paladini del Wwf culturale.
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DATAGATE, L'UNICO RIMEDIO È L'IMPERO MONDIALE
(27/10/2013) Negli ultimi giorni le "rivelazioni" sapientemente distribuite da
Edward Snowden agli organi di stampa circa le attività di intercettazione svolte dalla
Nsa (National Security Agency) nei confronti di capi di Stato e di governo della
Vecchia Europa hanno sollevato un vespaio di polemiche scandalizzate e spinto
politici e opinionisti a pretendere da Barack Hussein Obama non soltanto delle scuse
ufficiali, ma addirittura una sorta di messa in mora degli Stati Uniti d'America, un
loro "commissariamento" da parte delle cancellerie europee simile a quello esercitato
dalla UE nei confronti degli Stati troppo indebitati. Tutto questo scandalo sarebbe
semplicemente molto ridicolo, se non celasse una grande ipocrisia e una realtà
inquietante.
L'ipocrisia sta nel fatto che gli Europei, scandalizzatisi per lo spionaggio USA
nei confronti dei loro governanti - e, si presume alquanto temerariamente, anche di
semplici cittadini -, non si pongono alcun interrogativo circa una eventuale attività di
intercettazione delle loro comunicazioni telefoniche e informatiche da parte della
Russia o della Cina o di Paesi islamici come l'Iran. Forse il cekista Putin, che ad ogni
inverno minaccia l'Europa di chiudere i rubinetti del gas, e che adesso tiene decine di
attivisti di Greenpeace prigionieri con l'accusa di pirateria, è considerato più
affidabile di un presidente americano che ordina di intercettare le comunicazioni di
sospetti terroristi e dei loro complici e finanziatori? Forse il mandarino
capitalcomunista Xi Jinping non spierebbe le industrie europee e americane per
carpire segreti utili ad alimentare in modo truffaldino la crescita economica del Drago
cinese, mentre lo farebbe il capo del Paese che vanta il maggior numero di premi
Nobel per le scienze, che ha inventato i computer e Internet? Forse la retorica
melliflua del nuovo presidente-fantoccio iraniano Rohani, già colpevole (per sua
stessa, orgogliosa ammissione) di aver mentito ai diplomatici occidentali al fine di far
avanzare nascostamente il programma nucleare di Teheran, ha fatto dimenticare agli
smemorati Europei che l'Iran possiede già missili capaci di portare testate atomiche
sulle loro città? Eppure politici e opinione pubblica del Vecchio Continente si
preoccupano soltanto delle spiate da parte di Washington, da parte della "nazione
indispensabile", da parte del Paese che li ha liberati dal nazifascismo, che li ha
protetti dalle grinfie dell'Orso russo per cinquant'anni, che oggi si assume il maggiore
costo economico e in vite umane nella guerra globale al terrorismo islamico. Perché?
La verità, l'inquietante, dura verità, è che gli Europei non si considerano più
alleati degli Stati Uniti d'America. Dal 1989-1991, anni dell'abbattimento del Muro di
Berlino e della dissoluzione dell'Unione Sovietica, gli Europei si sono illusi di non
avere più nemici al mondo, di non avere più bisogno di essere protetti dallo scudo
militare e politico degli Stati Uniti d'America, e hanno tolto dalla soffitta e
rispolverato il loro atavico complesso di superiorità nei confronti degli Americani, da
sempre visti come mandriani rozzi e violenti, la Bibbia in una mano e il Winchester
nell'altra, persuasi ingenuamente, addirittura!, di essere la "città sulla collina", il
popolo scelto da Dio per portare al genere umano libertà, democrazia e progresso...
La verità è che gli Europei, di destra, di sinistra e di centro, si sentono una "colonia"
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dell'America, e hanno una dannatissima voglia di buttarsi fra le braccia di Putin, dei
mandarini cinesi, degli ayatollah iraniani, di chiunque essi pensano possa liberarli
dalla sudditanza nei confronti di Washington e restituire loro il primato perduto da
quando, impantanati nelle trincee della prima guerra mondiale, furono costretti a
invocare l'intervento degli yankees per impedire alla Germania di conquistare l'intera
Eurasia da Lisbona a Vladivostok. La verità è che gli Europei non hanno mai
sopportato l'American way of life, il primato dell'individuo sulla collettività, la
preferenza verso il mercato e la concorrenza piuttosto che verso uno Stato protettore e
guardiano asfissiante, l'enfasi data alla libertà piuttosto che all'uguaglianza,
l'ammirazione per chi giunge in cima alla scala sociale grazie alla ricchezza
accumulata col sudore della fronte invece che per ereditarietà; e per questo essi si
sono sempre sentiti, e si sentono oggi, più vicini ai regimi comunitaristici e totalitari
della Russia, della Cina e dei Paesi islamici che alla democrazia liberale
d'Oltreoceano.
La conclusione che si deve dunque trarre è che oggi, come nel 1914, come nel
1938, gli Stati Uniti d'America - se si fa eccezione da Israele, Stato
liberaldemocratico sì, ma troppo piccolo per esercitare un'influenza a livello globale sono l'unico Paese del mondo a conservare un sistema sociale e politico fondato su
Libertà, Democrazia e Diritti dell'Uomo, e ad avere il potere economico,
propagandistico e soprattutto militare necessario per esportare tale sistema di vita al
resto del genere umano. Per questo noi mondialisti continueremo a operare affinché il
popolo americano si liberi al più presto dall'incantesimo schiavizzante del pifferaio
Barack Hussein Obama, si dia un Comandante in Capo degno di questo nome, e
riprenda a combattere la buona battaglia per liberare il genere umano da tutti i tiranni
e i dittatori, laici e teocratici, e costruire l'Impero mondiale che assicurerà pace,
prosperità, libertà e giustizia per tutti. Soltanto allora, quando non ci saranno più
molti Stati-nazione sovrani in competizione l'uno contro l'altro, ma un solo Stato
mondiale, solo quando gli uomini non si considereranno più nemici perché abitano
sulle rive opposte di un fiume o dai lati opposti di una catena montuosa, soltanto
allora non ci sarà più alcun Datagate, perché gli uomini e le donne di tutto il pianeta
si tratteranno l'un l'altro come membri di una sola patria, il mondo.
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L'IMPERO "ANTIMPERIALISTA" DEL MALE
(19/1/2014) L'accusa che viene rivolta più frequentemente contro noi
mondialisti è di essere degli "imperialisti", ovvero, secondo i nostri avversari, di voler
instaurare su tutto il genere umano il dominio imperialistico di una sola nazione o
etnia, volta a volta identificata con il popolo degli Stati Uniti d'America, o con gli
"anglosassoni", o con la famigerata "lobby giudaico-massonica", quando non
addirittura con gli Hyksos o i Cro-Magnon o i discendenti di Atlantide, o con qualche
razza di rettiloidi come pensa quel buontempone di David Icke... Ora, a parte la
stupidità di chi attribuisce velleità etno-imperialistiche a un popolo come quello
statunitense che storicamente si è formato dalla mescolanza di individui provenienti
da etnie diverse (il melting pot), ciò che merita una attenta riflessione è il fatto che i
nemici del mondialismo si autodefiniscano "antimperialisti", laddove essi sono i tristi
epigoni di ideologie su cui sono stati fondati imperi di terrore e morte.
Pensiamo ad esempio agli antimondialisti "di destra": non si ricollegano essi
forse al fascismo mussoliniano e soprattutto al nazionalsocialismo hitleriano, due
correnti di pensiero che hanno spinto la Germania e l'Italia a muovere guerra ad altri
popoli, a sottomettere quasi tutta l'Europa, a massacrare milioni di innocenti sol
perché membri di nazioni considerate inferiori e indegne di esistere? Eppure eccoli lì,
su riviste e siti Internet, a strillare contro il "pensiero unico" imposto dagli States, a
predicare la "libertà dei popoli di autogovernarsi", a sostenere l'uguale dignità di tutte
le culture, compresa quella islamica che predica come dovere del "vero credente" lo
sterminio di ebrei e cristiani. Discorso analogo vale per gli antimondialisti "di
sinistra", i quali, fingendo di aver dimenticato che l'Unione Sovietica ha costruito
sull'ideologia marxista-leninista un impero esteso su tutta l'Europa centro-orientale
che è durato per settant'anni, e represso nel sangue ogni tentativo di rivolta o anche
solo di riforma pacifica, oggi si alleano anch'essi con i terroristi di Hamas e con i
tagliagole talebani sostenendo - come ha fatto recentemente la giornalista del
"Manifesto" Geraldina Colotti - che «dopo la scomparsa dell'Unione sovietica la
bandiera dell'antimperialismo e della questione sociale è stata ripresa dai movimenti
islamici». Per non parlare degli eurasisti e del loro vate, il nazionalbolscevico
Alexander Dugin, che nel suo libro-oracolo La Rivoluzione conservatrice in Russia si
scaglia contro la "globalizzazione unipolare dominata dagli Stati Uniti", ma nel
contempo vaticina l'avvento di un impero eurasiatico governato dalla triade MoscaPechino-Teheran, e non si vergogna di chiamarlo addirittura «il Regnum», o anche
«l’impero della Fine». Quindi i nemici "antimperialisti" dell'Impero mondiale per cui
noi Templari lavoriamo sono non soltanto nostalgici di imperi passati, ormai morti e
sepolti nella polvere della Storia, ma addirittura si fanno sostenitori e profeti di
imperi futuri; ma di quale "antimperialismo" essi parlano, allora?
In verità il concetto di "impero", come molte altre nozioni della scienza politica,
non è affatto monolitico e univoco, ma plurisenso. Esistono infatti, storicamente e
teoricamente, due modelli antitetici di impero: ci sono imperi come quello persiano di
Ciro il Grande, che garantì libertà di culto a tutti i popoli sottomessi, autorizzò gli
Ebrei a tornare nella loro terra e finanziò la ricostruzione del Tempio di
196
Gerusalemme, o come quello creato da Roma, che unì genti diverse sotto un'unica
legge e assicurò a gran parte del mondo allora conosciuto cinque secoli di pace e
ordine, o come l'impero britannico che portò la civiltà a mezzo miliardo di esseri
umani; e ci sono imperi di altro stampo, come quello degli Assiri, che deportavano e
sterminavano chiunque rifiutasse di prosternarsi a Marduk, come il Califfato islamico
che per secoli ha ridotto ebrei, cristiani e indù allo stato di dhimmi, sudditi di serie B
oppressi da tasse e persecuzioni, o come appunto il Terzo Reich nazista e l'Urss
comunista, che hanno sterminato milioni di esseri umani in nome della lotta contro le
"razze inferiori" e contro i "nemici di classe". La differenza fra queste due forme
opposte di impero sta nel fatto che gli imperi del primo tipo si fondavano sul primato
dell'individuo rispetto all'etnia di origine, e quindi sull'uguale dignità di tutti i
cittadini davanti alla legge (fosse essa espressione della volontà di un uomo o di un
parlamento), mentre gli imperi del secondo tipo si fondavano, all'opposto, su un
preteso primato dell'etnia (basata sui criteri del territorio, o del sangue, o della
religione, o dell'economia), da cui derivava logicamente la costruzione di una società
organizzata secondo livelli gerarchici, in cui i cittadini avevano differenti diritti e
doveri a seconda della loro appartenenza territoriale o nazionale o religiosa o di
classe. E la conferma di questa analisi è offerta ancora una volta dall'eurasista Dugin,
quando afferma che «nel sistema mondiale eurasista la fondamentale figura storica
agente non è l’individuo, ma la comunità, l’ethnos, la cultura, la formazione sociale
organica», esattamente all'opposto di quanto avviene nell'Occidente che egli avversa
e vuole distruggere.
In conclusione, la guerra che si combatte da secoli tra mondialismo e
antimondialismo non è un conflitto tra un "imperialismo" visto sic et simpliciter
come cattivo e un "antimperialismo" considerato per se stesso come sempre buono,
bensì una lotta tra due modelli di società, uno basato su libertà e uguaglianza, l'altro
su schiavitù e disuguaglianza. Per questo noi mondialisti non ci lasceremo intimorire
dalla retorica flautata degli imperialisti antimperialisti, ma continueremo nella nostra
opera di illuminazione delle menti e dei cuori degli uomini e delle donne del nostro
tempo, affinché comprendano la bontà e l'inevitabilità del cammino storico che sta
portando il genere umano, lentamente ma sicuramente, verso l'unificazione in un solo
Stato o Impero mondiale, nel quale non ci sarà più «né Giudeo né Greco, né schiavo
né libero, né uomo né donna», perché tutti saranno una cosa sola, cittadini uguali
davanti ad un'unica legge.
197
HEIDEGGER, ANTISEMITA PERCHÉ ANTIMONDIALISTA
(22/1/2014) Un terremoto sta scuotendo il mondo ovattato della filosofia
internazionale da quando l'editore tedesco Klostermann, poco più di un mese fa, ha
annunciato l'imminente pubblicazione dei "Quaderni neri" di Martin Heidegger, il
diario segreto che egli vergò su taccuini dalla copertina nera - da cui il nome - per più
di quarant'anni, dal 1931 fino al 1975 (l'anno precedente alla sua morte). Il motivo di
tanto can-can è duplice: in primo luogo, fino a poco tempo fa quasi nessuno
conosceva l'esistenza di questo diario composto in totale da 33 quaderni (a marzo ne
verranno pubblicati tre); ma ciò che più intriga è la ridda di indiscrezioni, trapelate
più o meno ufficiosamente, in merito al loro contenuto, che è sembrato subito poter
gettare luce su un aspetto sinora oscuro della vita e del pensiero di questo famigerato
(per i detrattori) o famoso (per i discepoli sfegatati) filosofo nazista: stiamo parlando
del suo vero o presunto antisemitismo.
Che Heidegger abbia aderito al nazionalsocialismo fin dalla presa del potere da
parte di Adolf Hitler è cosa nota, come è risaputo ch'egli, al momento della nomina a
rettore dell'Università di Friburgo, pronunciò un discorso apertamente celebrativo del
nuovo regime, attribuendogli nientemeno il merito di aver avviato il ritorno della
filosofia alle sue origini (ovvero a quella "aurora del pensiero" da lui identificata con
la dottrina parmenidea dell'eternità dell'Essere uno e immobile, prima che il
"parricidio" di Platone spostasse l'attenzione degli uomini dall'ascolto oracolare della
voce dell'Essere allo studio della natura e delle proprietà dei singoli enti), e che
durante l'anno o poco più in cui tenne la carica si adoperò zelantemente per applicare
le direttive naziste sulla "purificazione" della cultura tedesca da contaminazioni
ebraiche, facendo bruciare libri scritti da autori ebrei e privando della cattedra
numerosi docenti di ascendenza ebraica; ma sino a oggi la questione se egli fosse
anche personalmente antisemita è rimasta sospesa nell'incertezza, con i seguaci della
filosofia heideggeriana sempre pronti a respingere ogni accusa e a sostenere che il
loro venerato maestro abbia peccato, al più, di opportunismo, di ambizione
carrieristica, ma che mai, mai egli abbia condiviso nel suo intimo le dottrine razziali
nazionalsocialiste, e che soprattutto il suo pensiero filosofico sia immune da ogni
macchia di connivenza con simili abomini... Ma oggi, appunto, sembra che i
"Quaderni neri" possano dissipare le ombre, far luce su questo mistero annoso. È
proprio così, o si tratta di gossip, di voci senza fondamento? In verità noi mondialisti,
grazie ai nostri numerosi "occhi privati", abbiamo potuto leggere in anteprima questi
diari, e possiamo qui dirvi non soltanto che Martin Heidegger era un antisemita
convinto, ma anche perché lo era.
Nei "Quaderni neri" Heidegger si scaglia molte volte contro quel che egli
chiama Weltjudentum, l'«ebraismo mondiale». Le accuse da lui rivolte agli Ebrei
ruotano essenzialmente intorno a due poli concatenati fra loro:
1) per Heidegger il pensiero ebraico è esclusivamente calcolante, è un pensiero
"ossessionato dal calcolo", e per tal motivo esso è per lui la causa della decadenza
della filosofia e dell'umanismo e dell'avvento di quella che egli chiamò «civiltà della
198
Tecnica», in cui l'uomo, ubriacato dalla "volontà di potenza", si illude di poter
manipolare tutte le cose a suo arbitrio, fino a trasformare il mondo intero in una realtà
completamente artificiale o anche a distruggerlo. Era già noto che per Heidegger la
civiltà della Tecnica era rappresentata in modo preminente dal capitalismo degli Stati
Uniti d'America e dal bolscevismo sovietico, e che nel dopoguerra egli mise nello
stesso mazzo anche il nazismo, parlando della capacità dell'uomo moderno di
fabbricare in massa, indifferentemente, beni di consumo o cadaveri; ma adesso risulta
chiaro che la fonte di questa diabolica "volontà di potenza" era da lui individuata
appunto nell'attitudine degli Ebrei, le vittime dello sterminio nazista, verso il solo
"pensiero calcolante". Qui si rivela come la filosofia heideggeriana si inscriva in quel
filone dell'antisemitismo europeo basato sull'accusa di «avidità» che inizia dal
Medioevo e dai sermoni di Martin Lutero, prosegue con il Marx de La questione
ebraica secondo il quale «il dio che gli ebrei adorano è il denaro», e sfocia ai primi
del '900 nella contrapposizione delineata da Werner Sombart fra «mercanti» ed
«eroi» e da Oswald Spengler fra civiltà basate sul potere del denaro e civiltà basate
sul potere della spada; in sostanza, l'accusa che Heidegger rivolge agli Ebrei è di
essere stati all'origine della moderna società capitalistica basata sul libero mercato,
che ha sostituito alle gerarchie immutabili basate sulla nobiltà di nascita e sulla
religione l'uguaglianza di tutti i cittadini in una società fluida ("liquida", secondo la
definizione oggi di gran moda coniata da Zygmunt Bauman), nella quale ognuno può,
pagando, ottenere beni e servizi, ovvero farsi servire dai propri simili, e chiunque,
grazie ai propri talenti e alla propria inventiva, può salire fino ai gradini più alti della
scala sociale;
2) ma l'accusa più forte, più radicale, l'accusa "metafisica" che Martin Heidegger
rivolge agli Ebrei è di aver provocato l'Entwurzelung des Seins, lo «sradicamento
dell'Essere». Si sapeva già, fin dalla pubblicazione nel 1927 della sua opera capitale
Essere e tempo, che per Heidegger l'Essere, questa entità sovraumana e sovradivina
che è al centro di tutta la sua speculazione, si manifesta nel mondo secondo le
categorie dello spazio e del tempo, ossia attraverso la pluralità dei popoli, distinti per
i territori diversi da essi abitati, che volta a volta, nella storia, impongono la loro
peculiare civiltà; ed era noto pure che nel famoso/famigerato discorso di
inaugurazione del rettorato egli aveva richiamato il popolo tedesco a essere fedele al
destino storico nascente dal proprio essere "qui e ora". Adesso diventa
definitivamente chiaro che per lui la "fedeltà" di un popolo al proprio "destino"
nasceva dal "radicamento" nella terra, nel territorio tradizionalmente abitato, e che
dunque gli Ebrei, in quanto popolo "sradicato" (che tale "sradicamento" non sia stato
affatto volontario, bensì subìto per la violenza dei popoli da cui furono assoggettati e
dispersi, dagli Assiri ai Greci ai Romani, non sembra importare molto al cinico
Heidegger) e "messianico", erano da lui visti come gli artefici di un complotto volto a
"sradicare" tutti i popoli e a creare una società planetaria cosmopolitica; e anche la
"fissazione" ebraica per il calcolo e la misurabilità di tutte le cose, già analizzata
sopra al punto 1), deriva per Heidegger appunto dalla natura "sradicata" del popolo
ebraico, che porterebbe i suoi membri a trascurare qualsiasi distinzione qualitativa fra
199
gli uomini e a omologarli tutti in una società globale e anonima di produttoriconsumatori.
In conclusione, la duplice domanda che ci siamo posti all'inizio ha trovato
risposta: Martin Heidegger era antisemita, ed era antisemita in quanto
antimondialista, in quanto nemico della società aperta globale, fondata sul libero
commercio e sull'uguale dignità di tutti gli individui umani, che costituisce il
traguardo verso cui la Storia, ministra dei decreti dell'Altissimo, sta conducendo il
genere umano, e di cui gli Ebrei, come mercanti e come esuli, sono stati gli
involontari ma provvidenziali annunciatori. Ce ne offre conferma un passo di un libro
recentemente pubblicato, intitolato Terra e mare: riflessioni di geopolitica e geodiritto a partire da Carl Schmitt - da noi già segnalato qui - con il quale siamo in
piena sintonia:
«Gli ebrei dispersi in tutta l’Europa tardo-romana, interdetti per legge
imperiale dal coltivare i campi, dall’arruolarsi nell’esercito e da tutte le attività
considerate “pure” dai cristiani, dovettero sostentarsi esercitando la custodia e il
prestito di denaro a interesse; condannati per secoli quali avidi profittatori, costoro
ebbero tuttavia il merito storico di fornire capitali al commercio marittimo e alla
Rivoluzione industriale, facendo dell’Inghilterra (dove, a causa della Riforma e
dell’anglicanesimo, si era verificato un recupero della tradizione veterotestamentaria
in ordine alla valorizzazione del lavoro quale forma di “ascesi intramondana” e alla
prosperità economica come segno della benedizione divina) il nuovo centro del
potere e della ricchezza mondiali...
...Quando, conquistata l’indipendenza da parte delle colonie inglesi del
Nordamerica e proclamata in Francia la Déclaration des droits de l’homme et du
citoyen che sancì la fine dell’Antico Regime, gli ebrei ottennero parità di diritti civili
e di accesso agli studi universitari, la loro condizione esistenziale di “sradicati” li
collocò nella posizione spirituale idonea per sviluppare un pensiero letterario,
economico, scientifico, sociale e giuridico non legato alle categorie politiche del
sangue e del suolo, ma orientato secondo categorie generali, universalistico...
È questa la dote che il popolo ebraico in particolare, e in generale tutti i
déracinés della terra portano al mondo – per la forza degli eventi, certamente; ma
chi crede, con Eraclito, che il mondo non è «un mucchio di cose gettate a caso»,
riconosce pure che esso è «com’è necessario che sia» –: la capacità di astrarre dalla
propria situazione particolare, dal proprio essere qui ed ora, in questo o quest’altro
modo (Da-Sein) e di sollevarsi ad una piena consapevolezza della condizione umana
in generale, in ogni luogo e in ogni epoca della storia».
È per questo che il Partito Mondialista difende e difenderà sempre il diritto alla
vita, alla libertà e alla ricerca della felicità di tutti gli individui umani, e insieme,
senza contraddizione, il diritto all'esistenza dello Stato di Israele come Stato degli
Ebrei e per gli Ebrei: perché lo Stato di Israele, lungi dal fondare la propria esistenza
e legittimità su una comunanza escludente di razza, lingua, costumi o religione, è uno
Stato aperto a uomini e donne di ogni etnia, di ogni religione; l'unico Stato del Medio
200
Oriente da cui i cristiani non fuggano con terrore, ma in cui anzi si rifugino volentieri
e aumentino di numero; l'unico Stato del pianeta, insieme all'America (almeno prima
ch'essa fosse incantata dal pifferaio Obama e cadesse nella Grande Apostasia di
rifiutare la propria missione storica) che si erga come sentinella della libertà e della
democrazia di fronte alla minaccia costituita dall'Asse del Male Mosca-PechinoTeheran, e che per questo rappresenta l'anticipazione profetica dell'Impero mondiale
venturo, in cui tutti gli individui umani avranno gli stessi diritti e i medesimi doveri, a
prescindere dal sesso, dalla razza e dalla religione che professano: un solo Stato per
una sola famiglia, il genere umano.
201
SOLO L'IMPERO MONDIALE PUÒ FERMARE
LE STRAGI DEL MEDITERRANEO
(22/04/2015) Il recentissimo naufragio avvenuto nel Canale di Sicilia di un
barcone carico di immigrati, con la morte per annegamento di più di 700 di loro, non
è che l'ennesima stazione di una via Crucis che si consuma da anni nelle acque del
Mediterraneo, di quel mare che per settecento anni ha unito le due sponde dell'impero
di Roma, e che da quattordici secoli divide un'Europa ormai sempre meno cristiana
da un Islam sempre più aggressivo, intollerante e ansioso di "riscattare" la propria
inferiorità politica, scientifica, economica e morale nei confronti dell'Occidente
sterminando tutti i non-islamici, cristiani ed ebrei in primis. Come spesso accade,
tuttavia, l'attenzione sollevata dai grandi mezzi di comunicazione ha spinto il mondo
politico e intellettuale europeo, e in particolare in Italia, a iniziare la solita immonda
gazzarra da salotto che durerà lo spazio d'una settimana, in cui ogni deputato,
ministro, poetucolo dal grande ego e dai pochi lettori (ogni riferimento al signor Erri
De Luca è puramente volontario) e presidente di Ong strabico-umanitarie propone la
soluzione ritenuta migliore per porre fine al "dramma", alla "strage".
Sempre molto gettonata presso la Sinistra radical-chic è la proposta del
"corridoio umanitario": aprire sedi dell'Unione Europea nei Paesi dell'Africa subsahariana e del Medio Oriente nei quali transitano i profughi per espletare in loco le
procedure burocratiche volte ad accertare, per ciascuno di essi, la titolarità o meno del
diritto di chiedere asilo. È un'idea che piace, appunto, soprattutto alla gauche au
caviar, a quegli intellettuali ciecopacifisti che si indignano per la morte di un
palestinese solo quando c'è di mezzo Israele e non quando è colpa del Califfato, e che
di nero nella loro vita hanno visto soltanto i costosissimi tubini di Armani delle loro
mogli e la faccia dei loro camerieri; non piace invece alla grandissima maggioranza
della popolazione europea, ben consapevole non soltanto dell'effetto eversivo che
avrebbe l'afflusso di milioni di musulmani in un continente la cui civiltà è ancora, suo
malgrado, fondata sul Cristianesimo, ma anche dell'impossibilità per lo spazio
geoeconomico europeo - già densamente abitato e fortemente urbanizzato - di
accogliere simili enormi masse umane, senza la possibilità di assicurare loro quello
standard di prestazioni socio-sanitarie e di opportunità lavorative che gli Stati dell'UE
riescono a malapena a garantire ai propri cittadini.
In questi giorni, presso gli analisti più saggi, sta acquistando maggior favore
l'opzione "blocco navale", alla quale politicanti di destra affiancano lo slogan
"bombardiamo le navi degli scafisti!". Certamente uno schieramento di navi militari
presso le coste nordafricane, con l'ordine tassativo di respingere con la forza ogni
imbarcazione non autorizzata, accompagnato da una accorta campagna mediatica di
dissuasione, potrebbe scoraggiare molti dal versare somme di denaro spesso ingenti
nelle mani dei trafficanti di carne umana: l'Australia, con questo sistema chiamato
"Stop the Boats", ha ridotto in un solo anno del 90% il numero degli sbarchi
clandestini sulle proprie coste. Né ci si può lasciar incantare dalla retorica dei soliti
pseudogiuristi sempre pronti a brandire l'articolo 11 della costituzione italiana
(l'abusato "ripudio della guerra") e a evocare scenari apocalittici qualora flotte
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europee invadessero le acque libiche, perché l'alternativa è chiara: o si decide di
lasciar entrare tutti, oppure si agisce coerentemente per impedire l'ingresso a chi non
ha il diritto di entrare. Fin quando il genere umano sarà diviso in cento e più nazioni
sovrane, ognuna di esse conserverà il diritto "profano" di preservare l'integrità etnica
del proprio popolo, e di discriminare pertanto, secondo il numero, il censo, l'etnia o la
religione, gli stranieri che chiedono il permesso di stabilirsi all'interno delle loro
frontiere.
L'unica soluzione al dramma umanitario delle "carrette del mare", a nostro
parere, non è comunque un blocco navale, per quanto ben congegnato. La soluzione
definitiva si avrà solo quando l'Occidente, tutto intero, prenderà coscienza della sua
missione storica: esportare nel mondo la sua superiore civiltà, la civiltà di Aristotele e
di Gesù Cristo, la civiltà di Atene, Roma e Gerusalemme, la civiltà della libertà, della
democrazia e dei diritti dell'uomo, al fine di creare uno Stato o Impero mondiale che
assicuri a tutti gli individui umani pace e prosperità. Per realizzare questa altissima e
nobile missione sarà necessario muovere guerra a tutti i regimi tirannici, dittatoriali e
teocratici che, opprimendo i loro popoli e aggredendo i propri vicini, sono all'origine
delle fiumane di disperati che si dirigono verso il Nord del pianeta; una guerra senza
quartiere, che comporterà inevitabilmente molte perdite da entrambe le parti, ma che
tuttavia è l'unica strada per far sì che il Mediterraneo, come tutti gli altri mari e oceani
solcati dai viaggi della speranza, torni a essere ciò che era al tempo degli antichi
Romani: non un vallo di separazione, ma un ponte di passaggio, un mezzo di
comunicazione fra parti diverse di un solo mondo unito e in pace.
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L'ITALIA MAFIOLEGHISTA IN UN RACCONTO DI PISTOLERE
(16/10/2015) Dall'alba della storia fiabe e leggende sono state il mezzo
attraverso cui gli uomini hanno dato espressione ai loro sogni, hanno esorcizzato i
loro fantasmi, hanno immaginato un mondo libero dalle contraddizioni e dalle
violenze della quotidianità. I molti Italiani che leggono da anni con assiduità e
sincero interesse quanto pubblichiamo su questo sito Internet sanno già che noi
mondialisti non abbiamo disdegnato di prendere in considerazione opere letterarie,
cinematografiche, televisive e perfino fumettistiche, nella consapevolezza che fantasy
e science-fiction, lungi dal costituire meri passatempi infantili, rappresentano - come
le antiche saghe e leggende - la proiezione dei più profondi e insopprimibili desideri
umani: desideri di unità, di benessere, di pace, di una comunione umana senza
barriere (vedete ad es. gli editoriali Harry Potter è dei nostri. E anche le Winx e La
lotta tra Oriente e Occidente in un fumetto "per ragazze"). Del resto, anche il grande
filosofo Hegel riteneva che al di là delle contingenze e delle meschinità del presente
ci dovesse essere per l'uomo una «domenica della vita», un luogo-tempo in cui alzare
lo sguardo e contemplare il mondo sub specie aeternitatis, con l'occhio di Dio. Per
tale motivo abbiamo deciso di dedicare questa pagina ad esporvi genesi e sviluppo di
uno dei più grandi successi editoriali dell'ultimo decennio, un'opera di cui noi
mondialisti andiamo giustamente fieri: "Gunslinger Girl".
Ma andiamo con ordine. Era il 1996 quando i nostri "occhi segreti" nel Sol
Levante ci segnalarono un giovane studente universitario di nome Yutaka Aida, che
faceva parte del "Circolo di Studi sui Manga" e disegnava storie a fumetti su alcune
fanzine (riviste per appassionati); il ragazzo era timido e impacciato, ma aveva
talento, e dopo esserci sincerati della sua dirittura morale e del suo scarso
attaccamento al denaro - tre secoli di esperienza ci avevano ammonito a non rischiare
di produrre un nuovo Francis Bacon - decidemmo di "agganciarlo". Il patto che gli
proponemmo era chiaro e vantaggioso per entrambi: noi mondialisti gli avremmo
dato fama e successo, e in cambio lui avrebbe realizzato una storia con i contenuti da
204
noi scelti. Fu così che Yu Aida trascorse diciotto mesi alternandosi fra le aule
universitarie ed il nostro Vivarium, acquisendo quelle conoscenze e quei valori che,
uniti alla sua fertile fantasia, trasfuse prima in un racconto breve di 48 pagine
pubblicato dal 1998 al 2000, e poi, una volta assunto da una prestigiosa rivista
mensile, in una serie durata ben dieci anni, dal 2002 al 2012, che gli ha assicurato
fama perenne e numerosi premi: una storia ambientata nell'Italia contemporanea,
scossa da scontri di piazza e attentati terroristici e governata da un Presidente del
Consiglio che possiede il 70% dei mezzi di comunicazione, in cui un Ente per il
Benessere Sociale, ufficialmente dedito al reinserimento di persone disabili,
segretamente ottiene in affidamento ragazzine menomate nel corpo e nello spirito
(una è stata stuprata da un serial killer in mezzo ai cadaveri ancora caldi dei propri
familiari; un'altra investita con l'automobile dal padre in bancarotta al fine di
riscuotere un'assicurazione sulla sua vita; un'altra ancora salvata in extremis da uno
"snuff movie" della camorra; e così via), le potenzia con arti e organi biomeccanici, le
sottopone al lavaggio del cervello e le affida a istruttori-supervisori per addestrarle a
divenire spietate e insospettabili killer di Stato.
Ciò che caratterizza "Gunslinger Girl" è proprio il riferimento costante e preciso
all'ambiente sociale, culturale e antropologico del Bel Paese, realizzato dall'autore
grazie al supporto fornito dai nostri analisti - i quali in quel periodo si stavano
distinguendo onorevolmente anche nell'Operazione Rainbow, "persuadendo" Iginio
Sraffi ad assegnare il ruolo principale all'apolide Bloom -. Oltre al ritratto
iperrealistico, a fine di "avvertimento", di un Silvio Berlusconi che già iniziava a
inclinare pericolosamente in senso putinista, il nostro contributo si esplicò
principalmente nella scelta dell'Antagonista, il nemico n.1 delle ragazze con la
pistola, ancora più pericoloso di mafiosi e trafficanti d'armi: il Movimento delle
Cinque Repubbliche, un'organizzazione paramilitare che persegue con la violenza la
divisione dell'Italia in cinque Stati indipendenti, la cui manovalanza è composta da
funzionari corrotti, anarchici, reduci delle Brigate Rosse, idealisti convinti che Roma
ladrona succhi i soldi dei laboriosi nordisti per elargirli ai parassiti del Sud... ma i cui
capi, le "teste pensanti" che muovono le fila nell'ombra, sono un gruppo di grossi
industriali del Nord Italia timorosi della globalizzazione, i quali vogliono creare una
Padania autarchica per continuare a vendere i loro prodotti in condizioni di
monopolio. Attraverso questa veste grafico-narrativa intendevamo mettere in guardia
il popolo italiano contro le macchinazioni secessioniste della Lega Nord di Umberto
Bossi e dei suoi sodali in camicia verde, smascherando i meschini interessi economici
celati dietro le rivendicazioni etno-folkloristiche, e facendo comprendere ai lettori
attenti che l'unificazione del genere umano in un solo Stato mondiale è l'unica via per
superare i conflitti fra le classi e le diffidenze fra i popoli.
Non a caso, alla fine della storia, la giovane procuratrice della Repubblica che,
adempiendo a un lascito testamentario, accetta di farsi impiantare un ovulo congelato
di una delle "pistolere" fecondato dal seme del "fratello" di questa, e di dare alla luce
una bambina cui dà nome Speranza, la porta a vivere con sé negli Stati Uniti
d'America, il Paese del melting pot, la terra della libertà, dell'uguaglianza e delle
opportunità: e proprio la giovane Speranza, divenuta attrice e insignita del premio
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Oscar, pronuncia la frase conclusiva del racconto: "Nonostante tutto, la speranza
continuerà ancora ad abitare questo mondo". È la stessa speranza, che è certezza
delle cose future, che anima e guida noi mondialisti: la certezza della dissoluzione,
sempre più vicina, dei vetusti Stati etno-nazionali; la certezza del tramonto ormai
imminente degli odi razziali; la certezza della fine, presto o tardi, di persecuzioni,
guerre e genocidi, e dell'avvento dell'Impero mondiale che apporterà pace, prosperità,
libertà e giustizia per tutti.
206
MONDIALISMO E CRISTIANESIMO
207
LA CHIESA HA TRADITO GESÙ CRISTO?
NO, MA ALCUNI CATTOLICI...
(25/8/2006) I venditori di ciambelle di salvataggio stanno facendo affari d’oro.
La pubblicazione sul “Giornale” del 23 agosto di un editoriale intitolato "La nostra
civiltà destinata alla morte", nel quale la sociologa Ida Magli accusa la Chiesa di aver
«tradito Gesù Cristo» per allearsi con l’Islam, ha sollevato uno tsunami di risposte
polemiche da parte del mondo cattolico italiano, a riprova di come questo paese sia
divenuto, dalla caduta del Muro della vergogna di Berlino, la frontiera avanzata in
Europa della lotta tra mondialismo e antimondialismo. La nostra casella postale è
stata sommersa da messaggi di religiosi e laici il cui comun denominatore si può così
riassumere: la Chiesa non è un’autorità politica ma spirituale, non ha né può arrogarsi
il compito di disarmare i contendenti, la sua missione è (secondo un’opinione diffusa)
«annunciare la civiltà dell’amore che è al di sopra della legge, al di sopra di ogni
ragione o torto». Noi dell’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World
Empire” siamo stati inoltre, e abbondantemente, accusati di ateismo, anticlericalismo,
odio verso la Chiesa e laicismo (oltre che, come al solito, di razzismo, imperialismo,
servilismo all’America, a Bush, alla Nike o alla Coca-cola; ma a questo siamo
abituati...). Riteniamo pertanto opportuno utilizzare questo spazio per una messa a
punto concettuale.
In primo luogo, ogni associazione umana ha una sua “bussola”, un insieme di
princìpi e valori che ne determinano la posizione rispetto al resto dell’umanità, ne
orientano l’agire e fungono da termine di verifica circa la “fedeltà” o “infedeltà” del
gruppo al proprio spirito costitutivo. In questo senso la Chiesa ha come bussola Gesù
Cristo, le sue parole e azioni così come tramandate dagli apostoli e dai loro
successori. La nostra bussola è il Manifesto del Partito Mondialista, redatto a
conclusione del Convegno di Roma del 3 aprile 2005, ed esso afferma con la
massima chiarezza che nessuna società aperta, complessa e differenziata al suo
interno può esistere senza un consenso di fondo su principi e valori strutturanti la
convivenza; che tali principi e valori sono propri di tutti gli uomini come individui,
ma solo il Cristianesimo come religione organizzata li ha fatti emergere alla luce
della consapevolezza e innalzati a pilastri angolari di una civiltà universale; che
perciò il mondialista non sarà mai un ateo ignorante, un libertino senza cervello, un
maiale sazio e annoiato. Ribadiamo inoltre quanto già affermato nel Manifesto e
nelle precedenti news, che cioè noi consideriamo il Cristianesimo (e l’Ebraismo da
cui discende) padre e mallevadore del mondialismo per aver contribuito alla
desacralizzazione della natura, liberando gli uomini dal timor pànico verso di essa e
aprendola alla loro inventività sotto la garanzia delle leggi eterne di un Dio fedele, e
per aver rovesciato il rapporto pagano fra individuo e comunità di appartenenza,
proclamando il valore infinito della persona umana ritta davanti a Dio e l’uguaglianza
di tutti gli uomini al di là di ogni distinzione di razza, religione o di qualsivoglia
confine o “recinto” dentro o fuori dei quali le diverse culture hanno preteso di
chiuderli. Questo primo punto sia dunque pacifico: noi non siamo né atei, né
irreligiosi, né anticlericali o laicisti o materialisti.
208
Fatta questa doverosa premessa, riteniamo che la fonte delle divergenze fra la
nostra interpretazione (o quella della Magli, a parte le differenze stilistiche) e quella
dei nostri detrattori in merito alla posizione della Santa Sede nei rapporti con Israele e
con il mondo islamico consista soprattutto nel fatto che dalle due sponde della
polemica si utilizzi la stessa parola per indicare “cose” diverse e al limite opposte.
Detto in altri termini, se il problema è la fedeltà o meno della Chiesa a Gesù Cristo
bisogna chiedersi preliminarmente: cos’è Gesù Cristo per i cattolici italiani, cos’è per
la Magli, cos’è per noi?
Come hanno fatto notare Gaspare Barbiellini Amidei ("Brescia, la carità
illegale", Corriere della Sera 22/8/2006) e Gianni Baget Bozzo ("La carità sbagliata",
Il Giornale 24/8/2006) a commento del barbaro assassinio di Hina Saleem (ragazza
pakistana sgozzata dai maschi della sua famiglia per aver scelto di vivere
all’occidentale), molti cattolici italiani hanno una concezione della carità cristiana del
tutto avulsa da qualsiasi riferimento alle leggi, civili e penali, del paese in cui essa
dovrebbe esplicarsi. In realtà si tratta di un atteggiamento diffuso in gran parte del
Vecchio Continente, se si ricorda la durissima opposizione condotta anni or sono da
alcuni prelati della Chiesa di Francia contro la decisione governativa di espulsione
nei confronti di migliaia di immigrati irregolari (i cosiddetti sans-papiers), fino alla
decisione di ospitare i clandestini nelle chiese. È una concezione che discende dalla
riduzione romanticistica del Cristianesimo a “religione dell’amore” ad opera di autori
come Dostoevskij (il principe Myskin de “L’idiota” e il mite Alioscia dei “Fratelli
Karamazov” come modelli del buon cristiano) che hanno tentato di eliminare ogni
riferimento dottrinale, ogni accenno al modello di uomo e di società che per 1.800
anni è stato distillato dai Libri sacri. Tutto il lavoro di generazioni di teologi e filosofi
sulla distinzione tra sfera religiosa e sfera secolare, sui giusti doveri del cristiano nei
confronti dell’autorità statale e sui connessi obblighi di questa verso il popolo, sulla
distinzione fra guerra giusta e ingiusta, sulla liceità del tirannicidio, che pure aveva
animato la meritoria opposizione alla barbarie nazifascista e al totalitarismo
comunista, è stato buttato a mare in nome di un malinteso pacifismo che bolla ogni
atto di forza come “violenza” e che ritiene possibile opporsi al Male con una
testimonianza disarmata, dimenticando che se la difesa di se stessi può essere una
facoltà rinunciabile, la difesa dei propri simili è un obbligo morale e giuridico cui non
ci si può sottrarre.
Non c’è da meravigliarsi, dunque, se chi ritiene che la carità/solidarietà verso gli
“ultimi della terra” possa esercitarsi in spregio alla legalità, fino alla copertura e
all’agevolazione di quanti commettono reati atroci, di fronte all’aggressione del
terrorismo fondamentalista finanziato dagli Stati-canaglia nei confronti del popolo di
Israele e di tutto l’Occidente si sente “obbligato” ad accoppiare ad una generica
condanna degli attentati suicidi, una ben più emotiva reprimenda nei confronti delle
rappresaglie israeliane, e a cercare di giustificare il fanatismo islamico quale
espressione di una “rabbia dei poveri” verso i ricchi del pianeta (dimenticando che la
maggioranza dei kamikaze sono ricchi o almeno benestanti, come del resto i
rivoluzionari comunisti erano figli viziati della borghesia). È come se molti settori
della Chiesa cattolica stessero mettendo in atto uno “sganciamento” del Cristianesimo
209
dalla civiltà occidentale, nell’attesa – o forse, per alcuni, nell’auspicio – di una più o
meno lontana distruzione di questa da parte dei “nuovi barbari” e di una nuova
“inculturazione” di quello in popoli considerati immuni dalla corruzione del Primo
Mondo. Chi pensa così non si avvede che quanto passa sotto l’espressione “civiltà
occidentale” è il prodotto di quei principi di laicità, primato dell’individuo-persona,
uguaglianza e libertà che discendono direttamente dall’insegnamento del Cristo e che
non sono stati “inculturati” nel paganesimo, ma hanno completamente sostituito gli
anti-valori pagani (primato della comunità sull’individuo, indiscutibilità del potere
politico, tradizionalismo, etnicismo discriminante) costruendo letteralmente dal nulla
una cultura a propria immagine e somiglianza. Al confronto l’Islam con la sua
poligamia, con l’inferiorità della donna rispetto all’uomo e degli “infedeli” rispetto ai
muslims, i sottomessi ad Allah e Maometto, è rimasto fermo ad un modello di vita
vecchio di tremila anni che vede, giustamente, nel Cristianesimo la radice di tutto ciò
che odia, libertà, uguaglianza, autorità come servizio e non come potere, democrazia;
pensare che un simile compatto schema di credenze preistoriche possa accogliere
l’annuncio del Vangelo, o anche solo tollerarne la presenza accanto a sé, è peccare di
criminale ingenuità.
La risposta che va data alla domanda del titolo, «la Chiesa ha tradito Gesù
Cristo?» è dunque: No, se con il termine "Chiesa" si intende il vertice della gerarchia
cattolica mondiale, il successore di Pietro – e in particolare l’attuale Pontefice, quel
Joseph Ratzinger che nel saggio “Senza radici”, ricordando con Marcello Pera il
contributo congiunto della filosofia greca, della giurisprudenza romana e della fede
ebraico-cristiana all’edificazione dell’Occidente, ha tessuto il più bell’elogio della
società statunitense, insieme profondamente religiosa e autenticamente laica; Sì, se si
guarda alle parole e ai comportamenti di leaders di movimenti e associazioni, e anche
di taluni vescovi “progressisti”, i quali tendono a dissociare la figura storica di Gesù
Cristo dalla sua dottrina e dalla civiltà cui essa ha dato vita per farne il profeta di un
pacifismo disincarnato e astorico. Non è un caso che a questo atteggiamento irenista
corrisponda un crescente senso di sconcerto, di delusione e rifiuto da parte dei
“semplici” fedeli, quel popolo di Dio che rispetta le leggi dello Stato e non può
accettare che i suoi pastori giustifichino chi le viola, che rispetta le altrui fedi e vite e
non può accettare che i suoi pastori giustifichino i seminatori dell’odio e della morte;
e non è un caso che al di là dell’Atlantico, terra di legge e ordine, i vescovi siano
molto più sensibili alle istanze della “base” e più attenti a rendere a Cesare quel che è
di Cesare.
In conclusione, quel che noi, i fedeli cristiani, e probabilmente anche la Magli
chiediamo alla Chiesa non è di inviare le guardie svizzere a presidiare la frontiera tra
Israele e Libano, non è di fare da stampella all’Onu che ancora straparla e non si
accorge di esser morta; è semplicemente di continuare a tutti i livelli e in tutte le sedi,
come ha sempre fatto e come fa il suo Capo visibile, a dire la verità opportunamente
e inopportunamente, a distinguere fra ragioni e torti senza fare delle marmellate
insipide che giovano soltanto ai prevaricatori, a essere fedele sino in fondo al suo
Fondatore: «Il tuo parlare sia: sì sì, no no; il di più vien dal demonio». Noi, per parte
nostra, continueremo su questa strada, convinti che il bene dell’uomo non si può
210
ricercare per l’eternità, se non sono preventivamente assicurate pace, libertà e
sicurezza in questo mondo.
211
LA CHIESA NON SI SCHIERA, I CRISTIANI SI’:
CONTRO ISRAELE E USA
(2/9/2006) Gli avvenimenti di queste ultime settimane ci costringono a tornare
sul delicato tema del “silenzio” della Chiesa nei confronti delle atrocità commesse dal
terrorismo fondamentalista islamico finanziato dagli Stati-canaglia (Iran in testa) e
sulla sua “equidistanza” tra Israele e gli Stati Uniti d’America, unici baluardi della
libertà nel mondo, da un lato, e i nemici dell’Occidente e di quei valori che pur hanno
una origine storica cristiana, dall'altro.
1) Alla “marcia per la pace” Perugia-Assisi dello scorso 26 agosto sono stati
esposti striscioni inneggianti a Hezbollah ed esplicitamente anti-israeliani e antiamericani. Dal momento che tale iniziativa è stata organizzata, come al solito, dai
francescani di Assisi (ai quali Benedetto XVI ha dovuto opportunamente ricordare
che «san Francesco non era un pacifista») oltre che da molte associazioni del mondo
cattolico italiano, il fatto che tali striscioni non siano stati rimossi e che nessuno dei
coordinatori abbia sentito il dovere di scusarsi per la loro presenza, o almeno di
prenderne le distanze, è indicativo dell’inclinazione terzomondista, antisionista,
antiamericana e antioccidentale assunta ormai da decenni dal cattolicesimo in Italia.
Nonostante il Concilio Vaticano II abbia cancellato l’accusa di “deicidio” nei
confronti del popolo ebraico preso nel suo complesso, e persino cancellato dalle
invocazioni liturgiche la preghiera del Venerdì Santo “per i perfidi Giudei”, la base
cattolica italiana continua a mantenere nei confronti dello Stato di Israele un
atteggiamento di diffidenza se non di autentico disprezzo. Molti sacerdoti
rimproverano ai loro fedeli la simpatia verso Israele sostenendo che «la Chiesa
guarda al Medio Oriente con uno sguardo d’insieme», e come esempio di «sguardo
d’insieme» rivangano gli eccidi dei Cananei commessi da Giosuè tremila anni fa
(sic!). Per non parlare, poi, di quegli ambienti sindacal-cattocomunisti che,
confondendo i “poveri in spirito” del Vangelo con i poveri di beni materiali (e
dimenticando che la maggioranza dei kamikaze palestinesi e di Al Qaeda erano
borghesi benestanti che hanno vissuto nell’agiatezza finché non sono stati irretiti da
un imam fondamentalista) e la “liberazione dal male” cristiana con una liberazione da
veri o presunti gioghi coloniali, credono di realizzare sulla terra il Regno dei cieli
combattendo contro l’America “atea e materialista” e contro i suoi alleati, a
cominciare da Israele.
2) L’Ucoii, divenuta tristemente famosa in questi giorni per aver paragonato
Israele al nazismo, si appresta ad aprire a Milano una scuola per bambini musulmani,
in cui verranno impartiti programmi d’insegnamento, mutuati dalle scuole egiziane,
contrassegnati da un virulento antisemitismo. Indovinate chi ha finanziato l’acquisto
di locali in cui verrà aperta questa scuola islamica? Le Acli, naturalmente, così come
molte moschee sono già state aperte in Italia in locali messi a disposizione da parroci
“ecumenisti”, senza tener conto del fatto che per l’Islam un luogo adibito a moschea
diventa terra sacra a Maometto per l’eternità e non può essere più distolto da quella
destinazione, a costo di scatenare una jihad per la sua difesa. Insomma, questi zelanti
parroci e lavoratori cattolici stanno allevando nel proprio seno la serpe che morderà
212
loro e l’intera comunità in cui vivono ed operano, come hanno dimostrato gli ultimi
episodi di sgozzamenti e stupri compiuti da immigrati, regolari o clandestini, di
religione musulmana. Come ha ammonito Gaspare Barbiellini Amidei nel suo
articolo del 22 agosto sul Corriere della Sera ("Brescia, la carita' illegale") i cristiani
dovrebbero coniugare meglio la carità evangelica con il senso della legalità, e
ricordare che i Concordati stipulati con gli Stati non comportano per la Chiesa solo
diritti, ma anche doveri, primo fra tutti il rispetto delle leggi dello Stato; molti prelati
e laici, invece, sembrano addurre la necessità evangelica di «obbedire a Dio prima
che agli uomini» per violare leggi che sembrano “ingiuste” solo alla loro particolare
visione soggettiva.
3) Dopo che al Meeting riminese di Comunione e Liberazione il vescovo
coadiutore di Gerusalemme ha proclamato - vedi l'articolo "Il vescovo Twal difende
Hezbollah" (www.caserta24ore.it del 29/08/2006) - che «Hamas ed Hezbollah sono il
prodotto dell'occupazione israeliana protratta nel tempo. La loro è resistenza.
Legittima al cento per cento» e che «nessuna forza straniera ha il diritto di mettere il
naso negli affari interni libanesi», proprio ieri il suo superiore, il patriarca Sabbah, si
è fatto promotore di una dichiarazione congiunta dei leaders cristiani di Terrasanta vedi l'articolo "Chiese di Gerusalemme contro sionismo cristiano" (Zenit 01-9-2006)
- in cui si condanna il «programma sionista» in quanto avente «una visione del
mondo per cui il Vangelo è identificato con l’ideologia dell’impero, il colonialismo e
il militarismo», si rifiuta «l’alleanza contemporanea tra leader sionisti cristiani e
organizzazioni con elementi nei governi di Israele e Stati Uniti, che attualmente
stanno imponendo le loro frontiere preventive e la loro dominazione sulla Palestina»,
si afferma che «i palestinesi sono un popolo allo stesso tempo musulmano e
cristiano» respingendo «tutti gli intenti di sovvertire e frammentare la sua unità» e si
avvertono i cristiani di tutto il mondo che «il sionismo cristiano e i suoi alleati stanno
giustificando la colonizzazione e l'apartheid e l’imperialismo». Sotto lo schermo di
una citazione evangelica (“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di
Dio”) si legittimano attentati e lanci di missili contro innocenti israeliani; si ingiunge
all’Occidente di astenersi da ogni tentativo di migliorare le condizioni di vita dei
palestinesi alla mercé di fanatici senza scrupoli, che usano le loro case come depositi
di armi, i loro corpi come scudi umani, i loro cadaveri come arma propagandistica; si
chiamano i cristiani ad allearsi con l’Islam per una guerra santa contro il “Grande
Satana” a stelle e strisce e contro il “Piccolo Satana” con la stella di David. Proprio
come ha fatto il dittatore Chavez stringendo un patto di ferro con il folle
Ahmadinejad per la creazione di un “partito di Dio” rosso-verde, già ramificatosi in
tutto il Sudamerica, allo scopo di «combattere il sionismo e l'imperialismo yankee»
(vedi l’articolo "Hezbollah avanza, anche in Venezuela" su www.ragionpolitica.it del
2-9-2006).
In conclusione. Forse la Chiesa, in quanto istituzione fondata da Gesù Cristo per
rivelare, attraverso la sua persona e la sua parola, l’amore di Dio agli uomini di tutti i
tempi, non può schierarsi con nessun regime o ideologia politica, neppure con quella
liberaldemocrazia che pure è sorta sul primato della dignità e dell’uguale libertà di
ogni individuo umano annunciato dal Vangelo; ma sicuramente i cristiani d’Italia,
213
dell’Europa continentale e del Medio Oriente la loro scelta di schieramento l’hanno
già compiuta: meglio con i sans-papiers che con le vittime degli stupri islamici,
meglio con Hezbollah e Hamas che con gli odiati Ebrei e Americani, meglio con tutti
i dittatori del Terzo Mondo e con i predicatori dell’odio che con l’Occidente “ateo e
materialista”. Noi dell’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World
Empire” e del Partito Mondialista, per parte nostra, continueremo a stare dalla parte
dell’Occidente contro i suoi nemici (Islam, Cina, Russia, Europa), dalla parte della
società aperta contro il comunitarismo settario, dalla parte della libertà contro la
tirannide, dalla parte della vita contro gli adoratori della morte; e siamo certi, per la
nostra analisi e comprensione dello sviluppo storico dell’umanità, che alla fine il
tempo, galantuomo, ci darà ragione.
214
SENZA IMPERO NON C'È CHIESA
(14/01/2007) «È necessario che avvengano scandali», dice il Vangelo; e
certamente il clamore suscitato dalla nomina ad arcivescovo di Varsavia e primate di
Polonia – la Polonia di Karol Wojtyla, strenuo oppositore del comunismo! – di quello
Stanislaw Wielgus che i documenti strappati agli archivi dei servizi segreti e
consegnati all’opera di divulgazione dell’Istituto Nazionale per la Memoria
indicavano come informatore del regime, dalle sue menzognere negazioni iniziali,
dalla sua successiva confessione e dalle finali dimissioni su pressione del Vaticano,
una funzione positiva e altamente meritoria per la vita della Chiesa l’avrà. Non solo
come “conferma, di certo paradossale, di quanto la sua storia sia fino in fondo, nel
bene e nel male, la storia di questo Continente”, l’Europa, oppresso per sessanta anni
dalla più sanguinaria e pervasiva forma di totalitarismo mai conosciuta dall’umanità,
secondo le parole dell’articolo di Ernesto Galli Della Loggia pubblicato oggi dal
Corriere della Sera. E neppure perché ci mette in guardia nel caso, fra dieci o
vent’anni, scoprissimo che c’erano sacerdoti-missionari francesi e vescovi palestinesi
a libro paga di Saddam Hussein o di Yasser Arafat (ogni riferimento ai nomi di JeanMarie Benjamin e Michel Sabbah è puramente intenzionale). Ma soprattutto per aver
ricordato ai cristiani, e soprattutto a certi uomini di Curia, che essa non può
pretendere di adagiarsi in una beata autarchia, di essere l’unica istituzione universale
necessaria e sufficiente in un mondo lacerato tra più di 150 Stati e staterelli; che al di
là della Chiesa, e perfino prima di essa, c’è l’Impero.
Quando la Chiesa teneva in pregio ragione e filosofia, quando si faceva la fila
per assistere a una lezione di Tommaso d’Aquino, nei sacri palazzi tutti conoscevano
a memoria la massima formulata nel V secolo da papa Gelasio sulle «due autorità
create da Dio per il governo degli uomini in questo mondo: quella sacra dei Pontefici
per la salvezza delle anime, e quella regale degli Imperatori per una vita pacifica e
sicura in questo mondo», e tutti ne comprendevano il significato profondo: come cioè
non fosse neppur concepibile un’opera di evangelizzazione e di elevazione spirituale
della società a prescindere dall’esistenza di quell’entità politica multietnica e
soprannazionale – l’Impero – che sola era in grado di amministrare le cose di Cesare
(la moneta e la spada) per assicurare le condizioni indispensabili alla pace.
Senza legioni per sedare tumulti nelle città, senza pattuglie a sorvegliare le
strade e a proteggere le carovane dai briganti, senza eserciti per respingere gli
invasori, senza uno standard di sicurezza comune che sollevasse gli uomini dalla
difesa personale della vita e dei beni, in una parola del corpo, come avrebbe potuto la
Chiesa svolgere il suo ministero per la salvezza delle anime? Per questo già durante
le persecuzioni i cristiani pregavano per la buona salute degli imperatori, affinché
avessero dalla loro parte un Senato fedele, un popolo ubbidiente e un esercito
vittorioso; per questo anche nel 1500, in piena Riforma protestante, quando gli eretici
anabattisti conquistarono la città tedesca di Münster costringendo gli abitanti, sotto
pena di morte, a compiere cose riprorevoli come l’accoppiarsi con le proprie figlie al
modo degli antichi patriarchi ebrei, soltanto l’intervento dell’esercito imperiale fece
sì che quei fanatici venissero sconfitti e il vescovo-conte di Münster potesse
215
riprendere possesso del suo feudo.
Solo quando l’aquila del potere abbandonò la reggia di Aquisgrana e, sorvolate
senza sostarvi le pianure galliche, si posò dapprima sul Big Ben e, un secolo dopo,
sulla Casa Bianca, l’eurocentrismo della Chiesa di Roma condusse i pontefici ad
arroccarsi in una ambigua neutralità che, mentre riconosceva formalmente uguale
dignità ad ogni Stato grande o piccolissimo e ad ogni sovrano l’immunità da ogni
interferenza esterna, nella sostanza li ricompensava con gli interessi innalzandoli
quali reggitori dell’unica realtà multinazionale rimasta sulla terra. Tanto profonda era
la cecità della Chiesa nel disconoscere la nuova incarnazione dell’Impero da indurre
Pio IX nel 1863, con la guerra civile americana all’apice dell’incertezza, ad
assecondare le correnti più retrive dell’episcopato cattolico statunitense – per le quali
gli schiavi erano impreparati alla libertà e l’Atto di emancipazione del presidente
Lincoln un “atroce proclama”– e a prendere partito per gli schiavisti del Sud,
indirizzando una missiva “all’illustre e onorabile Jefferson Davis” e riconoscendolo
quale “presidente degli Stati confederati d’America”, col risultato di coprirsi
d’infamia presso l’opinione pubblica mondiale e di consegnare per due secoli ai
protestanti la bandiera del progresso e della difesa dei diritti umani.
Doveva la Storia, maestra di vita, mettere un altro Pio, il dodicesimo, di fronte ai
genocidi nazifascisti per costringerlo ad abbandonare il gelido indifferentismo dei
suoi predecessori e a proclamare, nel radiomessaggio di Natale del 1942, la sintonia
fra la Chiesa e le democrazie liberali guidate dagli Stati Uniti d’America; così come
quarant’anni dopo fu il terrore rosso che opprimeva la sua amata Polonia a spingere
Giovanni Paolo II ad allearsi con un altro presidente americano, Ronald Reagan, per
stringere il regime sovietico nella doppia tenaglia di una opposizione spirituale e di
una controffensiva economico-politico-militare che doveva condurre quel colosso dai
piedi d’argilla alla sua fine miserevole nel glorioso 1989.
Nell’attuale frangente storico, con l’Occidente minacciato dall’esterno
dall’«asse del male» islamo-russo-cinese e dall’interno dal fascio dei movimenti
neocomunisti, comunitaristi, tradizionalisti e antiglobalisti, se la Chiesa non vuole
rinchiudersi in un vuoto fideismo dimentico del mondo e della sorte degli uomini; se
essa non vuole ridursi ad ossequiare i dittatori in cambio del piatto di lenticchie di
una libertas confinata nelle sacrestie; se essa vuole preservare quel patrimonio di
valori nato dalle tre fonti della filosofia greca, del diritto romano e della fede ebraicocristiana che ha fatto dell’Occidente la prima e più grande civiltà della terra, la Chiesa
ha di fronte a sé una sola scelta: stringere una nuova alleanza con gli Stati Uniti
d’America, terra di libertà, e con i suoi alleati nel mondo – a cominciare dal popolo
d’Israele, avamposto della democrazia in un Medio Oriente soggiogato e sedotto da
tiranni e demagoghi – per combattere, divisi nei ruoli ma uniti nello scopo, la buona
battaglia per la creazione di un nuovo Impero mondiale che abbatta finalmente ogni
divisione di etnia, sesso, classe o religione fra gli uomini e assicuri pace, libertà e
giustizia per tutti. Nella fedeltà al mandato del suo Signore, per il quale (come ricorda
l’apostolo Paolo) «non c’è più né Giudeo né Greco, né schiavo né libero, né maschio
né femmina; perché tutti sono uno»; un messaggio, proprio in quanto cristiano,
pienamente mondialista, e viceversa.
216
SENZA CHIESA NIENTE IMPERO
(11/12/2011) Dall'alba dei tempi Stati e popoli nascono, si sviluppano, decadono e
muoiono. Da sempre grandi Stati e popoli numerosi nascono dalla fusione di Stati più
piccoli e popoli meno numerosi. Gli Stati-nazione, etnicamente "omogenei", sorti in
Europa nell' 800 sono adesso in via di superamento verso un grande Stato europeo
multietnico. Solo un ingenuo, o un sostenitore di quello che noi mondialisti abbiamo
chiamato "conservazionismo culturale" (vedi il nostro editoriale "Contro il Wwf delle
culture"), poteva pensare davvero che la frammentazione dell'Europa in più di trenta
Stati e staterelli potenzialmente in lotta perpetua l'un contro l'altro fosse destinata a
durare in eterno. Pertanto ci sorprende alquanto che proprio un cattolico come Roberto
De Mattei, cioè un membro colto e autorevole di quella Chiesa universale che per secoli
ha sofferto le lacerazioni del popolo di Dio causate dalle diverse appartenenze etniconazionali, si erga ora a difensore dello status quo, intonando sul sito dell'agenzia di
informazione "Corrispondenza Romana" il lamento funebre per la "fine dello Stato
nazionale" e invocando sull'altro sito "FattiSentire.org" una "insorgenza
controrivoluzionaria", una "Vandea" contro la "dittatura giacobina dei poteri forti" che
avrebbe il suo quartier generale nella Banca Centrale Europea. Forse, pensando alla
medievale "lotta per le investiture", ai contrasti tra guelfi e ghibellini, fra Chiesa e
Impero ecc., non c'è proprio nulla di cui sorprendersi... Ma noi riteniamo che i motivi
della diffidenza cattolica verso il mondialismo che spinge De Mattei a scagliare contro il
nuovo governo italiano presieduto da Mario Monti, quale massimo insulto, l'accusa di
"socialismo mondialista", siano ben più profondi.
Dalla fine dell'Impero Romano ad oggi la Chiesa cattolica è rimasta l'unica
istituzione universale, cioè accogliente nel suo seno uomini e donne "di ogni razza,
popolo e lingua". Ma oggi l'Unione Europea vuole diventare uno Stato sovranazionale, il
Medio Oriente si è incamminato faticosamente verso la liberaldemocrazia, persino la
Russia comincia a scrollarsi di dosso il regime autocratico di Putin. Oggi si affaccia
all'orizzonte la possibilità che sorga un nuovo Impero cosmopolitico, un nuovo Stato
accogliente nel suo seno, come la Chiesa, uomini e donne "di ogni razza, popolo e
lingua"; un Impero de facto mondiale accanto a una Chiesa che aspira ad essere
mondiale, uno Stato universale perché esteso a tutto il pianeta accanto a una Chiesa che
si estenderebbe "soltanto" a 2 miliardi di esseri umani su 7; un simile Impero non
sarebbe una realtà contingente come gli Stati-nazione finora esistiti, comprendenti
sempre solo una parte dell'umanità e perciò destinati a nascere e morire col mutare dei
criteri identificativi delle nazioni, ma avrebbe dalla sua parte il crisma della necessità,
della inevitabilità, della sacertà. Perciò bisogna comprendere lo stato d'animo di molti
cattolici che si sentono come i cristiani dei primi secoli, quando la lealtà allo Stato aveva
un risvolto religioso, e si era costretti a scegliere tra il bruciare un pizzico di incenso
davanti alla statua dell'imperatore e il martirio; e bisogna comprendere anche, seppur con
maggior fatica, l'inquietudine non del Papa - ben consapevole della necessità e della
bontà di una Autorità politica mondiale - ma di quei monsignori di Curia timorosi di
diventare i cappellani cattolici dell'Impero accanto a pastori luterani, battisti e mormoni,
rabbini ebrei, imam musulmani, monaci buddisti e così via...
Però i cristiani dei primi secoli non hanno dedotto da quel dilemma che per la
217
sopravvivenza della loro fede era necessario spezzare l'Impero; anzi, hanno sempre
ringraziato il Signore perché l'Impero consentiva loro di vivere in pace (cosa dice la
liturgia della notte di Natale? Toto orbe composito in pace, quando tutto il mondo era in
pace, Gesù nacque a Betlemme); e quando l'Impero crollò, furono proprio i cristiani a
darsi da fare per la sua renovatio da parte di Carlo Magno. Perché i cristiani avevano
compreso che l'Impero è il catéchon, colui che impedisce all'Anticristo di manifestarsi,
colui che "trattiene" l'eone cristiano dal suo compimento, colui che "ritarda" la fine del
mondo e il Giudizio Universale per dare a tutto il genere umano il tempo di ricevere
l'annuncio del Vangelo e di convertirsi a Cristo.
Da quando l'Impero di Roma è crollato, l'Europa è stata funestata per 1500 anni da
guerre, rivoluzioni e genocidi immani. Solo un Impero mondiale può impedire ad
America, Europa, Russia, Cina e Islam di gettarsi in una guerra planetaria che
sterminerebbe l'umanità. E solo con l'appoggio della Chiesa può nascere un Impero
mondiale che riunisca tutto il mondo nella pace. L'alternativa è la fine del mondo.
Speriamo che la Chiesa lo capisca in tempo. È l'augurio che il Partito Mondialista
rivolge a tutto il genere umano a due settimane dal Natale, il dono che invochiamo
dall'Altissimo: un mondo unito e in pace.
218
LEFEBVRIANI, ANTIMONDIALISMO E LATINORUM
(31/7/2008) Nei nostri editoriali abbiamo informato da anni i lettori circa
l’empia alleanza creatasi dopo l’abbattimento del Muro di Berlino e il crollo
dell’Unione Sovietica fra neo-nazifascisti, nostalgici del comunismo e settori retrivi
del cattolicesimo: un sodalizio volto a porre i bastoni fra le ruote a quel cammino di
espansione dei diritti umani, della libertà e della democrazia, iniziato dagli Stati Uniti
d’America con gli interventi risolutori dei conflitti del 1914 e del 1939 e proseguito
con la difesa dell’Europa occidentale dalle mire egemoniche di Mosca, che secondo
le attese di noi mondialisti – oltre che di ogni sincero cultore della dignità della
persona umana – sta conducendo l’umanità verso l’abolizione dei “sacri egoismi”
nazionali e la creazione di un Impero mondiale a guida americana. Oggi vogliamo
puntare i nostri riflettori su un settore poco noto dell’antimondialismo cristiano: i
lefebvriani.
Per chi non li conoscesse, si tratta dei seguaci dell’ex-vescovo scismatico
Marcel Lefebvre, ribellatosi a Roma in polemica con alcune decisioni del Concilio
Vaticano II (la sostituzione del latino nella liturgia con le lingue nazionali e l’apertura
al principio di libertà religiosa) e fondatore della “Fraternità San Pio X”. Il loro sito
Internet italiano, molto raffinato e costantemente aggiornato, alterna devote
riflessioni sulla Messa tridentina a più prosaiche considerazioni politiche, affidate
soprattutto alla rivista on-line “Tradizione Cattolica” e alla sua rubrica “Orizzonti
mondialisti”. Qui il latinorum lascia il posto a invettive contro le guerre di
“occupazione” statunitensi in Afghanistan e Iraq, alle solite tesi negazioniste che
attribuiscono le stragi dell’11 settembre a un complotto di Cia e Mossad per fornire a
Bush il pretesto per una guerra senza fine, a plateali menzogne – come quella
secondo cui il “vero” numero delle vittime americane in Iraq sarebbe di 70.000 morti,
o l’altra per la quale metà del contingente britannico a Bassora sarebbe stato ucciso o
ferito – e a dotti richiami alle teorie geopolitiche del geografo inglese Halford
Mackinder e del consigliere americano Zbigniew Brzezinski, dipinti come
propugnatori di un assalto concentrico delle “potenze marittime” (Inghilterra e Stati
Uniti) contro l’Eurasia per dividere la Russia in tre parti e impadronirsi delle sue
materie prime.
Non mancano le fanfaluche propagandistiche: Putin, l’assassino di Anna
Politkovskaya e di centinaia di giornalisti coraggiosi che documentavano la verità,
sarebbe il campione della rinascita della Russia che abbassa a 50 anni l’età del
pensionamento per le donne con 5 figli (non vi ricorda Mussolini?) e innalza il
reddito pro-capite con la sua lungimirante politica energetica; sempre Putin avrebbe
fatto imprigionare Mikhail Kodorkhovsky, proprietario della Yukos Oil, non per
impadronirsi del secondo colosso energetico del Paese e togliere di mezzo un
concorrente della Gazprom da lui controllata, bensì al nobile scopo di impedirgli di
cedere all’americana Exxon il patrimonio di conoscenze accumulato dai geofisici
russi, alla base del (presunto) successo di Mosca nel trovare nuovi giacimenti in
Siberia. Ancora Putin sarebbe il difensore della libertà di tutti i popoli d’Europa
contro l’asservimento all’impero di Washington, ma stranamente questo “liberatore”
219
sarebbe costretto, dal malvagio progetto americano di installare un sistema
antimissile in Polonia e nella Repubblica Ceca (come dire, nel suo ex cortile di casa),
oggi a rompere il Trattato sulla riduzione delle armi convenzionali in Europa, a
puntare sulle città del Vecchio Continente i suoi missili nucleari e a strangolare
economicamente Ucraina e Georgia, colpevoli di aver chiesto l’ingresso nella NATO,
domani forse a invadere le repubbliche baltiche, che nell’Alleanza Atlantica sono già
entrate...
Come ognuno può comprendere, siamo di fronte al solito ciarpame ammannito
ogni giorno sul web da siti di estrema destra come da blog altermondialisti e dai soliti
eurasisti. La paternità delle stragi dell’11 settembre è stata rivendicata più volte da
Osama bin Laden in persona, come pure dal suo vice Ayman al-Zawahiri, per cui
continuare a difendere teorie complottiste è ormai segno non più di ignoranza, ma di
autentica malafede.
Quanto allo scudo antimissile, la Casa Bianca ha ampiamente rassicurato il
Cremlino circa la sua destinazione a proteggere le città europee da un eventuale
attacco nucleare proveniente dall’Iran; ma anche se esso fosse rivolto a difendere
l’Europa dai missili intercontinentali russi, questo dovrebbe essere imputato a colpa
del governo e del popolo americani? Non dovrebbero invece essere lodati, l’uno e
l’altro, per la costanza e l’abnegazione con cui sacrificano risorse umane ed
economiche al fine di togliere dalle mani dell’orso russo la pistola nucleare che da
sessant’anni tiene puntata alla testa dei popoli europei, costringendoli a un
disonorevole compromesso tra alleanza formale agli Stati Uniti d’America e
sudditanza de facto ai diktat di Mosca? Putin ha affermato di essere contrario allo
scudo perché esso «distruggerebbe l’equilibrio strategico che regna in Europa dalla
fine della seconda guerra mondiale»: vuol forse dire che l’Europa dovrebbe essere
condannata in eterno a essere succube della Russia, a non poter scegliere liberamente
di aderire con gli Stati Uniti d’America ad una grande Lega delle Democrazie capace
di portare libertà e pace al mondo? Se lo scopo dello scudo antimissile americano è
davvero quello di liberare l’Europa dalle grinfie di Mosca, ben venga!
Infine, è sotto gli occhi di tutti che la ripresa economica della Russia - il cui
reddito pro-capite, come riconoscono gli stessi lefebvriani, in realtà è tornato appena
al livello precedente la fine dell'Urss nel 1991; siamo ben lontani dalla ricchezza
degli USA, o anche solo dell'UE - è avvenuta solo grazie all’aumento astronomico
del prezzo del petrolio causata dell’instabilità mediorientale; instabilità che la Russia
in questi ultimi dieci anni ha fomentato armando l’Iran del folle Ahmadinejad e
aiutandolo a dotarsi di armi nucleari per cancellare dalle carte geografiche l’odiato
Israele. La democratizzazione dell'Iran in seguito a un bombardamento israeloamericano che neutralizzi la capacità nucleare degli ayatollah e aiuti il popolo
persiano a liberarsi di un regime corrotto e assassino come esso desidera da tempo sono gli stessi lefebvriani a riconoscere che in quel Paese, al contrario del resto del
Medio Oriente, l'élite governante è antiamericana e le masse filoamericane - e
l'instaurazione in Russia di una classe dirigente rispettosa dei diritti umani e immune
da corruttele partitico-mafiose servirebbero, oltre che a dare sollievo a centinaia di
milioni di innocenti in miseria, anche a ridurre il prezzo del petrolio, e per
220
conseguenza dei generi alimentari, a livelli più accettabili degli attuali, e quindi a
combattere fame e povertà nel Terzo Mondo, a sventare il ricatto della Cina
comunista sull'Africa (risorse in cambio del sostegno alle dittature) e in definitiva a
rendere la Terra un luogo più libero, sicuro e felice. È dunque così cinica
l'affermazione dell'ex segretario di Stato Madeleine Albright secondo cui «è ingiusto
che la Siberia appartenga solo alla Russia»? Se lo smembramento della Siberia in tre
repubbliche (l'occidentale, fino agli Urali, da annettere all'Unione Europea; la
centrale da porre sotto il controllo angloamericano; l'orientale da assegnare ad una
Cina democratizzata) può realizzare un miglioramento generale delle condizioni di
vita del popolo russo e dell'intero genere umano, opporre a un simile progetto la
difesa della sovranità russa appare una esile foglia di fico.
Il contenuto del sito Internet della “Fraternità San Pio X”, come di quello
firmato da un gruppo di sedicenti “Cattolici Genovesi” che auspica una “santa
alleanza” fra Europa cattolica e Russia ortodossa per sconfiggere il “grande Satana”
americano e il “piccolo Satana” sionista, e di tutti gli altri appartenenti alla galassia
tradizionalista cattolica, è dunque il frutto avvelenato della commistione fra l’ostilità
di alcuni settori della Chiesa verso i principi di libertà e autonomia della sfera
secolare da quella sacrale (come se il Signore Gesù Cristo non avesse mai detto
«Rendete a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio», liberando la
religione dal ruolo di ancella del potere) e i relitti delle ideologie, comunismo e
nazifascismo, che hanno funestato il ventesimo secolo, entrambe generate dal rifiuto
della società aperta che di quella libertà e di quella distinzione fra trono e altare è
l’altissimo prodotto.
Di fronte a questa impura alleanza di fondamentalisti neri, rossi e bianchi
diventa ancor più urgente e necessario, per noi dell’Associazione Internazionale
“New Atlantis for a World Empire” e del Partito Mondialista, proseguire con sempre
maggiore impegno nella nostra opera di apertura e illuminazione delle menti e dei
cuori degli uomini e delle donne di tutto il pianeta, affinché comprendano, come
l’abbiamo compreso noi da tempo, che la maggior parte delle sciagure che funestano
l’umanità dall’inizio della sua storia deriva dalla sua divisione in gruppi e
gruppuscoli in perpetua lotta fra loro, dalla discriminazione fra chi è “dentro” e chi è
“fuori” del gruppo dominante (i maschi, i proletari, gli ariani, i sottomessi ad Allah o
al dio di turno), e che pertanto esse avranno fine solo quando gli Stati costruiti su
base etno-religiosa saranno spogliati della loro sovranità a favore di un Impero
mondiale che assicuri pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti.
221
A GERUSALEMME CAMBIANO I PATRIARCHI
MA LE MENZOGNE RESTANO
(25/12/2008) È Natale e da Gerusalemme ci giunge, puntuale come ogni anno, il
messaggio di auguri del Patriarca dei Latini Michel Sabbah. Nulla di nuovo sotto il
sole, intendiamoci: il solito rammentare ai cristiani di tutto il mondo le "agressioni
[sic!] contro i cittadini" e le "violazioni contro proprietà e beni" compiute
dall'esercito israeliano; la solita rampogna al governo di Israele per "l'ingiusta
chiusura imposta a Gaza e a centinaia di migliaia di innocenti" e per "l'imposizione ai
civili di barriere di chiusura, posti di controllo esasperante e costruzione di muri di
isolamento" negli altri villaggi e città della Terra Santa; il solito pianto sulla "tragedia
dell'Iraq come popolo, civiltà, patrimonio e storia, in seguito all'occupazione e alla
distruzione delle sue strutture di stato, diventando purtroppo teatro del terrorismo e
della violenza"; la solita preghiera al Bambino di Betlemme "nato in una grotta come
un esule, rifugiato in Egitto come profugo e rigettato"; la solita preghiera a Dio fatta
strumentalizzando la Scrittura, affinché Egli spezzi "il giogo e la sbarra che pesano
sulle spalle del popolo, e il bastone del suo aguzzino"...
Aspettate, abbiamo commesso un errore: da quest'anno il Patriarca di
Gerusalemme dei Latini non è più Michel Sabbah, è Fouad Twal. I lettori fedeli e
assidui di questo sito lo conoscono già, perché il 29 agosto 2006 pubblicammo nella
sezione "Scritti scelti" un articolo riportante le sue dichiarazioni da vescovo
coadiutore di Gerusalemme al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini:
"Hamas ed Hezbollah sono il prodotto dell'occupazione israeliana protratta nel
tempo. La loro è resistenza. Legittima al cento per cento"; la missione Unifil inviata
in Libano dopo il vile attacco dei fanatici islamisti a Israele, dopo il rapimento
proditorio di innocenti soldati israeliani (che poi sono stati tutti uccisi, Dio li accolga
nel Suo regno) e dopo il bombardamento a tappeto delle città e dei villaggi israeliani,
non doveva assolutamente disarmare Hezbollah, perché "nessuna forza straniera ha il
diritto di mettere il naso negli affari interni libanesi. Hezbollah è un partito eletto
democraticamente, ha alcuni ministri al governo e in Parlamento diversi parlamentari.
La soluzione ideale può solo arrivare dall'interno e procedere, attraverso un cammino
politico, ad integrare le milizie di Hezbollah nell'esercito formale libanese" (cioè a
mettere l'intero paese dei cedri nelle mani degli assassini, come poi è avvenuto);
l'auspicio che una forza Onu potesse essere mandata anche a Gaza, perché "Israele è
vero che è uscito da otto colonie ma è anche vero che poi vi entra 4 o 5 volte la
settimana per uccidere e devastare"; la negazione che Hezbollah sia teleguidato da
Teheran con la puerile motivazione che "gli armamenti si possono comprare da tutti
quanti, non solo dall'Iran".
Neppure una parola sul fatto, ovvio e scontato per chiunque ragioni senza
pregiudizi, che le truppe di Tsahal sono costrette a compiere incursioni a Gaza per
porre almeno un piccolo freno alla catena di montaggio palestinese che lavora a ritmo
continuo, notte e giorno, per assemblare i famigerati razzi Qassam con cui da molti,
troppi anni vengono quotidianamente colpiti Sderot e gli altri villaggi nel Sud
d'Israele e uccise, ferite, brutalizzate centinaia di persone colpevoli solo di essere
222
ebree, della stessa stirpe di quel Gesù del quale oggi festeggiamo la venuta nel tempo
e nello spazio. Silenzio assoluto sul fatto che il governo israeliano ha dovuto
risolversi a costruire un muro di separazione dalla Cisgiordania per disperazione, per
fermare lo stillicidio di attentati suicidi che veniva compiuto ogni giorno da giovani
palestinesi irretiti da imam senza scrupoli contro i loro coetanei ebrei in discoteche e
ristoranti, per impedire che i papà e le mamme ebrei con due figli dovessero mandarli
a scuola su due autobus diversi affinché, in caso di attentato, se ne salvasse almeno
uno, e sul fatto che dopo la costruzione del muro il numero degli attentati si è
drasticamente ridotto. Silenzio anche sul fatto, altrettanto ovvio e scontato per tutti
tranne che per i ciecopacifisti di professione, che la liberazione dell'Iraq (sì,
liberazione, non occupazione; L-I-B-E-R-A-Z-I-O-N-E) fu decisa dal Presidente
degli Stati Uniti d'America George Walker Bush dopo l'infame attacco sferrato a
tradimento contro New York e Washington dall'organizzazione terroristica al-Qaeda
di Osama bin Laden, il cui luogotenente al-Zarkawi (in seguito provvidenzialmente
ucciso dalle truppe della Coalizione dei Volenterosi) risiedeva da anni a Bagdad con
il favore del tiranno Saddam Hussein, complottando per fornire al network del terrore
globale le armi chimiche e batteriologiche di cui il regime baathista disponeva, tanto
vero che le aveva usate in modo molto efficiente per eliminare centinaia di migliaia
di curdi e sciiti. Insomma, a Gerusalemme possono anche cambiare i patriarchi, ma le
menzogne rimangono sempre le stesse. E meno male che Sabbah e Twal si sono
limitati a sparare parole (almeno per ora): nel 1974 il vescovo greco-melchita di
Cesarea Hilarion Capucci fu condannato a 12 anni di carcere da un tribunale
israeliano dopo esser stato fermato ad un posto di blocco mentre, confidando
nell'immunità diplomatica trasportava sulla sua automobile targata S.C.V. un carico
di armi destinate all'Olp; liberato tre anni dopo per le improvvide pressioni di Paolo
VI, questo modello di santità vive tuttora in esilio a Roma, dove continua a far
propaganda pro-Intifada in manifestazioni pubbliche e con interviste.
A voler essere cinici si potrebbe dire che nei Sacri Palazzi vaticani, dove è
maturata la nuova nomina, non tengano molto all'immagine della Chiesa, alla pessima
figura procurata da questi pastori infedeli che distorcono le parole del loro Signore
per servire gli interessi dei vari dittatori laici e religiosi, unica causa delle sofferenze
del loro gregge; ma purtroppo il problema non è di immagine. Il problema nasce
dall'oltraggio commesso in Anagni nel 1303 dagli sgherri del re di Francia Filippo IV
detto il Bello - bello forse nel corpo, ma immondo e ributtante nell'anima - che
ridussero in fin di vita il Papa Bonifacio VIII, suscitando lo sdegno unanime della
Cristianità. Da allora la Chiesa divenne acutamente, forse fin troppo consapevole di
non disporre di forze materiali sufficienti ad assicurare l'incolumità fisica del vicario
di Cristo, e tantomeno degli altri suoi pastori; e per questo da allora la sua condotta
nei confronti dei poteri temporali è sempre stata improntata alla massima cautela.
Per questo la Chiesa ha rifiutato di prendere una posizione esplicitamente
contraria tanto ai regimi nazista e fascista, quanto al totalitarismo comunista che pure
mandava a morte migliaia di sacerdoti, religiosi e laici cristiani in mezzo mondo. Vi è
stata certo la ferma, fermissima opposizione di singoli pastori coraggiosi - come il
vescovo di Milano Alfredo Ildefonso Schuster e il suo omologo tedesco Clemens
223
August von Galen detto "il leone di Münster", o come il cardinale di Budapest Jozsef
Mindszenty che pagò con lunghi anni di prigionia la sua resistenza a Hitler e Stalin -;
vi è stato certamente un appoggio sotterraneo della Santa Sede a tutti i cristiani che
prestavano soccorso con rischio della vita agli Ebrei perseguitati, e anche a quanti
organizzavano movimenti di resistenza armata (l'attentato fallito a Hitler del 1944 fu
preparato da un gruppo di alti ufficiali tedeschi cattolici con il silenzioso avallo di Pio
XII); ma appunto si trattò sempre di appoggi "sotterranei", di avalli "silenziosi",
perché una condanna pubblica del nazifascismo prima e del comunismo poi avrebbe
comportato lo sterminio del clero e l'eliminazione violenta della Chiesa dai territori
soggetti a quei regimi (l'unico Pontefice che osò alzare chiara e forte la voce contro il
mostro comunista, Giovanni Paolo II il Grande, scampò miracolosamente all'attentato
mortale ordito dal Kgb e dai servizi segreti bulgari). E oggi che il pericolo per la
libertà, la democrazia e la vita di intere popolazioni viene dal fondamentalismo
terrorista islamico la politica della Chiesa è sempre la stessa: latenter pugnare,
publice tolerare, accogliere i seguaci di Allah Yasser Arafat e Abu Mazen sulla porta
della Basilica della Natività come "protettori" dei cristiani del Medio Oriente e
domandarsi con ansia se sia peggio essere sudditi precari di un califfo musulmano o
cittadini a pieno titolo di un Occidente "ateo e materialista". Solo un Impero mondiale
che imponga a tutti i popoli e gli Stati il rispetto dell'uguale diritto di ogni essere
umano alla vita, alla libertà - dalla libertà di pensiero e di religione a quella di parola,
di stampa e d'impresa - e alla ricerca della felicità potrà salvare la Chiesa dalla
scomoda sudditanza ai poteri temporali e permetterle di svolgere con franchezza la
sua missione di annuncio del Vangelo e di promozione umana.
Ad ogni modo, è Natale. Oggi il Signore Gesù Cristo nasce di nuovo in tutto il
mondo, come da 2008 anni. Nasce di nuovo anche nei villaggi israeliani del Negev
sottoposti da trenta ore a un bombardamento missilistico da Gaza. Nasce di nuovo
anche a Gaza, dove la scorsa notte l'illegale governo di Hamas ha imposto ai cristiani
di annullare la Messa di mezzanotte "per protestare contro l'occupazione sionista", e
dove questa mattina colpi di mortaio lanciati sempre da Hamas hanno falciato un
gruppo di pellegrini cristiani che stavano attraversando il valico di Erez per recarsi a
Betlemme. E noi dell'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World
Empire" e del Partito Mondialista sappiamo che Egli davvero un giorno spezzerà di
nuovo il giogo e la sbarra che pesano sulle spalle dei popoli, e il bastone dei loro
aguzzini. Abbatterà il potere degli aguzzini veri, non di quelli creduti tali dagli
uomini, perché "le Sue vie non sono le nostre vie, e i Suoi pensieri non sono i nostri
pensieri". Lo farà con mani umane, perché Egli ha voluto unire la sua infinita e
perfetta natura divina con la nostra limitata e fragile natura umana, ha voluto
camminare sulle gambe degli uomini e operare prodigi con mani umane. E di quelle
mani, la falange più piccola e insignificante saremo noi. Per questo, nonostante tutto,
Buon Natale.
224
LA META FINALE DELLA STORIA:
L'IMPERO MONDIALE DEI FIGLI DELL'UOMO
(22/11/2009) In questo giorno nel quale i cristiani di tutto il mondo, anche in
mezzo alle persecuzioni, chiudono l'anno liturgico - figura del tempo destinato a
concludersi col Giudizio - celebrando la solennità di Gesù Cristo Re dell'universo,
Inizio e Fine di tutte le cose, anche noi mondialisti avvertiamo l'esigenza di sollevarci
dalle questioni contingenti per gettare con voi uno sguardo sulla meta finale della
Storia, sul traguardo per cui lavoriamo da quel venerdì 13 ottobre del 1307, allorché
fummo provati con il fuoco per essere trovati degni della nostra missione. La prima
lettura proclamata oggi nelle chiese e nelle catacombe, da Roma a Pechino e da
Islamabad a Caracas, è una visione tratta dal Libro del profeta Daniele, scritta
probabilmente nel II secolo a.C., e qui vogliamo riportarla per esteso per iniziare da
essa la nostra riflessione:
Dn 7:1 Nel primo anno di Baldassàr re di Babilonia, Daniele,
mentre era a letto, ebbe un sogno e visioni nella sua mente. Egli
scrisse il sogno e ne fece la relazione che dice:
2 Io, Daniele, guardavo nella mia visione notturna ed ecco, i
quattro venti del cielo si abbattevano impetuosamente sul Mar
Mediterraneo
3 e quattro grandi bestie, differenti l'una dall'altra, salivano dal
mare.
4 La prima era simile ad un leone e aveva ali di aquila. Mentre io
stavo guardando, le furono tolte le ali e fu sollevata da terra e fatta
stare su due piedi come un uomo e le fu dato un cuore d'uomo.
5 Poi ecco una seconda bestia, simile ad un orso, la quale stava
alzata da un lato e aveva tre costole in bocca, fra i denti, e le fu
detto: «Su, divora molta carne».
6 Mentre stavo guardando, eccone un'altra simile a un leopardo,
la quale aveva quattro ali d'uccello sul dorso; quella bestia aveva
quattro teste e le fu dato il dominio.
7 Stavo ancora guardando nelle visioni notturne ed ecco una
quarta bestia, spaventosa, terribile, d'una forza eccezionale, con
denti di ferro; divorava, stritolava e il rimanente se lo metteva
sotto i piedi e lo calpestava: era diversa da tutte le altre bestie
precedenti e aveva dieci corna.
8 Stavo osservando queste corna, quand'ecco spuntare in mezzo a
225
quelle un altro corno più piccolo, davanti al quale tre delle prime
corna furono divelte: vidi che quel corno aveva occhi simili a
quelli di un uomo e una bocca che parlava con alterigia.
9 Io continuavo a guardare,
quand'ecco furono collocati troni
e un vegliardo si assise.
La sua veste era candida come la neve
e i capelli del suo capo erano candidi come la lana;
il suo trono era come vampe di fuoco
con le ruote come fuoco ardente.
10 Un fiume di fuoco scendeva dinanzi a lui,
mille migliaia lo servivano
e diecimila miriadi lo assistevano.
La corte sedette e i libri furono aperti.
11 Continuai a guardare a causa delle parole superbe che quel
corno proferiva, e vidi che la bestia fu uccisa e il suo corpo
distrutto e gettato a bruciare sul fuoco.
12 Alle altre bestie fu tolto il potere e fu loro concesso di
prolungare la vita fino a un termine stabilito di tempo.
13 Guardando ancora nelle visioni notturne,
ecco apparire, sulle nubi del cielo,
uno, simile ad un figlio di uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui,
14 che gli diede potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano;
il suo potere è un potere eterno,
226
che non tramonta mai, e il suo regno è tale
che non sarà mai distrutto.
15 Io, Daniele, mi sentii venir meno le forze, tanto le visioni della
mia mente mi avevano turbato;
16 mi accostai ad uno dei vicini e gli domandai il vero significato
di tutte queste cose ed egli me ne diede questa spiegazione:
17 «Le quattro grandi bestie rappresentano quattro re, che
sorgeranno dalla terra;
18 ma i santi dell'Altissimo riceveranno il regno e lo
possederanno per secoli e secoli».
19 Volli poi sapere la verità intorno alla quarta bestia, che era
diversa da tutte le altre e molto terribile, che aveva denti di ferro e
artigli di bronzo e che mangiava e stritolava e il rimanente se lo
metteva sotto i piedi e lo calpestava;
20 intorno alle dieci corna che aveva sulla testa e intorno a
quell'ultimo corno che era spuntato e davanti al quale erano cadute
tre corna e del perché quel corno aveva occhi e una bocca che
parlava con alterigia e appariva maggiore delle altre corna.
21 Io intanto stavo guardando e quel corno muoveva guerra ai
santi e li vinceva,
22 finché venne il vegliardo e fu resa giustizia ai santi
dell'Altissimo e giunse il tempo in cui i santi dovevano possedere
il regno.
23 Egli dunque mi disse: «La quarta bestia significa che ci sarà
sulla terra un quarto regno diverso da tutti gli altri e divorerà
tutta la terra, la stritolerà e la calpesterà.
24 Le dieci corna significano che dieci re sorgeranno da quel
regno e dopo di loro ne seguirà un altro, diverso dai precedenti:
abbatterà tre re
25 e proferirà insulti contro l'Altissimo e distruggerà i santi
dell'Altissimo; penserà di mutare i tempi e la legge; i santi gli
saranno dati in mano per un tempo, più tempi e la metà di un
tempo.
227
26 Si terrà poi il giudizio e gli sarà tolto il potere, quindi verrà
sterminato e distrutto completamente.
27 Allora il regno, il potere e la grandezza di tutti i regni che sono
sotto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo, il cui
regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e obbediranno».
28 Qui finisce la relazione. Io, Daniele, rimasi molto turbato nei
pensieri, il colore del mio volto si cambiò e conservai tutto questo
nel cuore.
Come si può ben comprendere dalla lettura, sia le quattro bestie dalle forme
strane, sia l'essere «simile a un figlio d'uomo» simboleggiano entità collettive, popoli
e nazioni: il leone è l'impero babilonese, l'orso è l'impero persiano (che
effettivamente «divorò molta carne», cioè si estese su un territorio vastissimo), il
leopardo e la quarta bestia rappresentano l'impero di Alessandro Magno e dei suoi
dieci successori (teste e corna). Tutti questi regni, viene detto al profeta, vengono
«dalla terra», ovvero sono caratterizzati dal predominio di questa o quella etnia,
religione e cultura; a ciascuno di essi il «vegliardo», Dio, assegna un inizio e un
termine.
E il «figlio dell'uomo»? Egli è simbolo di un popolo completamente diverso:
viene «sulle nubi del cielo» e il suo regno non sarà mai distrutto. È un popolo unito
non dalla comunanza della carne e del sangue, della razza o della religione o della
cultura, ma dal riconoscimento della comune natura umana che è anteriore e
superiore a ogni distinzione di razza, lingua o religione. Il suo nucleo fondatore è
Israele, cioè l'insieme di quanti «avevano gridato a Dio e furono salvati» (come è
scritto nel Libro di Ester), i «santi dell'Altissimo», coloro che hanno prestato fede alla
Promessa e hanno accettato di obbedire alla Legge delle Dieci Parole; questo nucleo
originario si è poi esteso a quanti hanno ascoltato il messaggio di salvezza universale
di Gesù Cristo, fondato sull'amore e il rispetto di ogni essere umano, sull'abolizione
di ogni discriminazione di sesso, razza e religione e sulla distinzione tra la sfera sacra
e quella profana, tra le «cose di Dio» e le «cose di Cesare». Su questo messaggio
divino è stata edificata la civiltà dell'Occidente, la sola che abbia superato il timore
superstizioso nei confronti della Natura, che abbia applicato l'ingegno umano, creato
a immagine del Logos Creatore, per scoprire le leggi dell'Universo, debellare le
malattie, abolire la schiavitù e sollevare dalla miseria intere nazioni.
La missione di noi mondialisti consiste proprio nel portare il liberante
messaggio di salvezza cristiano a tutti gli uomini e le donne della terra, anche là ove
le Chiese di Cristo non sono ancora arrivate; nel convincere le menti e i cuori circa la
naturale eguaglianza di tutti gli esseri umani e la conseguente necessità di abbattere
tutti i regimi dittatoriali, teocratici e totalitari che conculcano la libertà e la dignità
della persona umana, di eliminare il cadavere putrefatto della sovranità nazionale,
alibi dei tiranni laici e religiosi, per edificare una società civile planetaria e un Impero
mondiale, uno Stato universale per individui universali.
228
Ai no-global "di destra", i quali aborrono il nostro progetto di un Impero
mondiale perché ritengono, come il loro nefasto maestro Carl Schmitt, che la politica
si fondi sulla lotta all'ultimo sangue fra gruppi nemici, rispondiamo che una umanità
riunificata avrebbe non pochi "nemici" da affrontare: epidemie, carestie, mutamenti
climatici, inondazioni, terremoti, eruzioni vulcaniche, cadute di meteoriti... Tutte
queste minacce sono state sinora affrontate dalle singole nazioni ciascuna con le sole
forze, capacità e saperi della propria singola popolazione; un Impero mondiale potrà
coordinare contro di esse la tecnologia (la tanto vituperata tecnologia!), le risorse
economiche e i saperi di tutta la specie umana.
Ai no-global "di sinistra", nostalgici dell'anarchismo e nemici preconcetti di
ogni autorità, i quali temono l'avvento di un tiranno mondiale, rispondiamo che in
ogni società umana e in ogni epoca della storia, secondo il principio di divisione dei
lavori, esistono per natura - accanto a coloro che coltivano la terra, che cacciano,
pescano, combattono, costruiscono case, aratri, lance, spade o reti da pesca, che
curano i malati, pregano Dio o studiano il mondo - anche dei capi che prendono le
decisioni di ultima istanza, un vertice della piramide che coordina gli sforzi e le
competenze di ciascuno per il bene della società nella sua interezza; e che l'innegabile
realtà che i governanti sono esposti alla tentazione di perseguire il proprio interesse
individuale o quello del proprio sottogruppo particolare anziché preoccuparsi del
bene comune del gruppo nella sua totalità, e che molti di essi a quella tentazione
abbiano ceduto e cedano ogni giorno, non implica che l'autorità sia negativa in sé e
che si debba abolire il governo in generale per abolire il malgoverno, così come il
fatto che gli uomini possano essere, e in molti casi siano, ciechi, sordi, muti o zoppi
non implica che questo sia lo stato naturale dell'uomo e che non sia compito degli
uomini curare le infermità dei propri simili per portarli, nei limiti del possibile in
questo mondo destinato a perire, a uno stato di buona salute.
In ogni epoca della storia gli oppressi all'interno delle singole nazioni hanno
combattuto per abbattere i tiranni che li opprimevano; nel futuro Impero mondiale,
certamente, a periodi di buon governo potranno alternarsi periodi di tirannide, nel
qual caso gli oppressi della società mondiale lotteranno per abbattere i loro
oppressori. Ciò non toglie che la creazione di uno Stato o Impero mondiale, con un
solo Presidente o Imperatore (il titolo è irrilevante), eliminerà dalla faccia della terra
le divisioni e le rivalità fra etnie e religioni finora arroccate come fortezze l'una
contro l'altra armate, causa principale delle guerre, delle carestie e della povertà
materiale e spirituale in cui versa gran parte del genere umano, permettendo inoltre a
un governo planetario illuminato di destinare le ingenti risorse economiche e
scientifiche oggi consumate nella distruzione reciproca alla lotta contro le
"emergenze globali", per un vero progresso dell'umanità, e di assicurare finalmente
pace, prosperità e giustizia per tutti.
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IL "DIALOGO CHIESA-ISLAM" COME L'ASSE ROMA-BERLINO?
(15/11/2010) Il 12 settembre 2006 nell'aula magna dell'Università di Ratisbona
l'ex professore di teologia Joseph Ratzinger, divenuto Papa Benedetto XVI, teneva
una lectio magistralis sull'unità feconda tra fede e ragione che sta a fondamento
dell'Occidente greco-ebraico-cristiano, nella quale citava una frase che un colto
imperatore bizantino, Manuele II Paleologo, aveva immaginato in una sua opera
filosofica di rivolgere a un persiano: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di
nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di
diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava", spiegando poi tale
affermazione in questo modo: «Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non
agire secondo ragione, “σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio».
Come certo saprete, questo passo della lezione scatenò sul Pontefice un diluvio
di accuse di "islamofobia" da parte dei soliti pseudointellettuali politicamente corretti
e gli attirò l'odio dell'intero mondo islamico: dalla Cisgiordania all'Indonesia, dal
Cairo ad Ankara i musulmani reagirono all'insinuazione di essere irrazionali in modo,
ovviamente, irrazionale, maledicendo il Papa, minacciando di ucciderlo, di
conquistare Roma e di trasformare la Basilica di San Pietro in una moschea - uno
sport che a loro piace molto, visto che in 1.400 anni lo hanno praticato con chiese
cristiane, templi induisti e perfino con la tomba di Abramo a Hebron -, definendo
Gesù Cristo "una scimmia appesa a una croce" e massacrando la missionaria italiana
suor Leonella (che aveva dedicato la vita ad aiutare i somali), il sacerdote siroortodosso padre Amer Iskander (il cui corpo fu ritrovato con la testa staccata dal
corpo e le braccia mutilate), il diplomatico UE in Marocco Alessandro Missir di
Lusignano e sua moglie... Il Papa, allora, fece una mezza marcia indietro: si dichiarò
"rammaricato" per le reazioni suscitate dal suo discorso e proclamò la necessità per la
Chiesa del "dialogo" fra cristiani e musulmani, in quanto entrambi «adoratori del Dio
unico, creatore del cielo e della terra», e di una loro comune azione contro il
«secolarismo ateo e materialista».
Da allora Benedetto XVI e i suoi collaboratori, a cominciare dal segretario di
Stato vaticano cardinale Tarcisio Bertone, hanno continuamente ripetuto questo
mantra: cristiani e musulmani adorano un unico Dio, quindi sono fratelli, quindi
devono andare d'amore e d'accordo e lottare insieme contro l'Occidente ateo e
materialista che elimina il Sacro dal mondo; anche la lettera recentemente inviata dal
Papa al folle Ahmadinejad, in risposta alla sua richiesta che la Santa Sede e la
Repubblica islamica dell'Iran unissero i loro sforzi per fermare il secolarismo e
«cambiare le strutture tiranniche che governano il pianeta», esprime la convinzione
pontificia che «il rispetto della dimensione trascendente della persona umana sia una
condizione indispensabile per la costruzione di un giusto ordine sociale e di una pace
stabile». Peccato che i musulmani non abbiano dato loro ascolto: don Andrea
Santoro, monsignor Luigi Padovese, gli stampatori di Bibbie assassinati in Turchia in
questi ultimi anni sono solo la punta mediaticamente visibile di una montagna di
cristiani che hanno pagato con la vita il rifiuto di convertirsi al falso dio Allah e al
suo profeta sanguinario Maometto; una scia di sangue iniziata con i massacri di
230
Otranto e Cipro nel 1500, continuato nel XX secolo con il genocidio degli Armeni da
parte dell'ormai agonizzante impero ottomano, e che ultimamente sta raggiungendo
un tragico acme con il massacro nella cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del
Perpetuo Soccorso a Bagdad dello scorso 31 ottobre e con la dichiarazione di alQaeda secondo cui "tutti i cristiani, ovunque si trovino nel mondo, e tutte le loro
organizzazioni, a cominciare dal Vaticano, sono bersagli legittimi". Eppure,
nonostante le immani sofferenze che i credenti nel Cristo patiscono da anni in tutto il
Medio Oriente, il recente Sinodo dei vescovi di quella vasta regione ha censurato i
pochi interventi volti a denunciare la sistematica persecuzione condotta dall'Islam e
ha preferito puntare il ditino accusatore contro Israele, "colpevole" di aver costruito
una barriera di sicurezza che ha praticamente azzerato le infiltrazioni di terroristi
palestinesi dalla Cisgiordania e lo stillicidio di attentati che colpivano israeliani
indifesi sugli autobus, nei ristoranti e nelle discoteche, nonché di difendersi dagli
attacchi missilistici che partono da Gaza contro le sue città e i suoi villaggi.
Per il Papa e i vescovi non conta neppure il fatto statisticamente provato che
Israele sia l'unico Stato del MO da cui i cristiani non fuggono, ma in cui anzi
prosperano e si moltiplicano (sono passati dai 34.000 del 1949 ai 163.000 odierni,
praticamente +379% in sessant'anni!), mentre in Turchia sono calati dai due milioni
del 2007 a 85mila, in Libano si è passati dal 55 al 35% della popolazione, in Egitto la
loro cifra si è dimezzata, in Siria dalla metà della popolazione si sono ridotti al 4%, in
Giordania sono passati dal 18 al 2%, a Gaza sono rimasti in 3.000 sottoposti a
continue persecuzioni e in Iran quasi non esistono più. Addirittura l'arcivescovo
latino di Bagdad lo scorso 11 novembre, mentre il sangue dei suoi fratelli scorreva
per le strade, ha peccato contro l'ottavo comandamento («Non pronunciare falsa
testimonianza») affermando falsamente in una intervista al "Corriere della Sera" che
«ai tempi di Saddam c'era più sicurezza», laddove la "Repubblica" del 15 novembre
mostra chiaramente che i cristiani iracheni, da 1.300.000 nel 1991 (come
correttamente riportato dal Corsera in una tabella), erano ridotti a 900.000 nel 2003,
quindi un terzo di essi era fuggito all'estero già durante gli anni della dittatura del
"buon" Saddam, ben prima che gli americani imperialisti abbattessero il suo regime!
Cosa spinge le gerarchie della Santa Sede a sacrificare anche la nuda verità delle
cifre sull'altare del "dialogo islamo-cristiano"? Non certo la paterna preoccupazione
di evitare ulteriori crudeltà verso i cristiani che vivono in terre a maggioranza
musulmana (maggioranza peraltro, come ben sapete, storicamente costruita con la
spada): ormai anche il cardinale più ingenuo dovrebbe aver compreso che tutti gli
islamici, dai "fondamentalisti" che uccidono ai "moderati" che tacciono e finanziano,
proseguono nella loro "pulizia religiosa" a prescindere dal fatto che la Chiesa si
profonda in sorrisi e salamelecchi. Noi mondialisti, grazie ai contatti tenuti con
personalità ecclesiastiche, possiamo darvi la risposta ufficiosa ma vera: per quanto
possa apparirvi eccentrico, stupefacente, scandaloso, la risposta è che «sulla bilancia
della Chiesa pesano molto di più i milioni di anime narcotizzate dal secolarismo in
Occidente rispetto alle poche migliaia di morti ammazzati in Medio Oriente; quella
che subiscono i cristiani in Occidente è una persecuzione molto più violenta di quella
che subiscono da parte dei musulmani, anche se è una violenza "morbida" fatta di
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irrisione e disprezzo». Allucinante ma vero: ascoltando molti sacerdoti e vescovi non
certo di primo pelo sembra di sentire le farneticazioni dei no-global che spaccano le
vetrine di negozi e banche e le teste dei poliziotti che tentano di fermarli in nome
della «legittima difesa nonviolenta contro la violenza del sistema capitalisticomondialista che omologa tutto, che cancella le differenze, che vuole imporre il
Pensiero Unico, bla-bla-bla», o i cinegiornali fascisti in cui Mussolini incitava alla
guerra contro le «demoplutocrazie giudaico-massoniche», o le filippiche hitleriane
contro la cultura «degenerata» degli Stati Uniti d'America e contro i giovani
americani amanti del jazz e dello swing bollati come «selvaggi che si dimenano al
suono di una musica negroide».
Sia chiaro: non diciamo questo per mancanza di rispetto verso la Chiesa e i suoi
pastori. Noi mondialisti, come membri dell'Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo e del
Tempio di Salomone, ci consideriamo - nonostante la scomunica ricevuta settecento
anni fa e mai revocata, per il momento - membra del Corpo di Cristo e componenti
della Chiesa, e abbiamo il massimo rispetto per il ministero affidato dal Signore Gesù
a Pietro e ai suoi successori di «legare e sciogliere in terra e in cielo» e di
«confermare i fratelli nella fede», come pure per la funzione «regale, profetica e
sacerdotale» svolta da vescovi, preti e monaci con l'ausilio dello Spirito Santo.
Sappiamo bene altresì come i cristiani, sia cattolici che ortodossi o "protestanti", si
siano sempre prodigati per alleviare miseria e sofferenze, per combattere ingiustizie e
discriminazioni: benedettini e cistercensi non hanno forse bonificato paludi e
dissodato terre incolte? domenicani e francescani non hanno forse fondato ospedali,
ospizi e orfanotrofi per prendersi cura dei malati e salvare mendicanti e bambini da
morte sicura? abbazie e monasteri non hanno forse conservato la cultura greco-latina
dopo le invasioni barbariche, e papi e vescovi non sono stati forse i primi fondatori di
università? e non sono stati forse sacerdoti e pastori a battersi, in Inghilterra e in
America, contro il traffico dei figli d'Africa allegramente praticato dai musulmani e
per l'abolizione della schiavitù? Martin Luther King non era forse cristiano? I
sopravvissuti alla strage di Bagdad non vengono, proprio in queste ore, curati nel
Policlinico Gemelli di Roma, in un ospedale cioè fondato da un religioso cristiano e
gestito direttamente da una università cattolica? In sintesi, l'Occidente che da tre
secoli sta faticosamente portando a tutti i popoli della terra la superiore civiltà dei
diritti umani non è forse il frutto più bello del Cristianesimo?
Noi mondialisti tutto questo lo sappiamo; ma a volte sembra che nei Sacri
Palazzi si ragioni come se la civiltà dei diritti dell'uomo sia un tradimento del
principio di autorità, come se la libertà religiosa fosse un rifiuto della vera fede, come
se la modernità fosse uno schiaffo in faccia alla Tradizione, come se gli islamici
fossero "religiosi" perché vogliono il dominio di Allah su ogni dettaglio della vita
umana mentre gli occidentali sarebbero "atei e materialisti" perché distinguono tra
religione, politica e scienza, tra peccato e reato... Ma non è stato forse il Signore Gesù
Cristo a comandare «Rendete a Cesare quel che è di Cesare»? Rendere a Dio quel
che è di Dio è regola anche per gli islamici, anzi è la regola suprema; ma rendere a
Cesare quel che è di Cesare è ciò che differenzia il Cristianesimo da ogni altra
religione. «Rendere», cioè non dare graziosamente, come fosse un'elemosina, ma
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restituire a Cesare, all'autorità dello Stato, quello che gli spetta come diritto
originario, conferito direttamente da Dio: la moneta e la spada, il potere di pretendere
dai cittadini il pagamento delle imposte per il bene comune e di punire i criminali per
assicurare quella tranquillità della vita, senza la quale non sarebbe possibile ai
cristiani vivere in conformità al Vangelo e rendere ragione della loro fede nell'amore
di Dio verso tutti gli uomini e nella vita eterna.
Per questo l'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World Empire" e il
Partito Mondialista, suo ramo esecutivo, continueranno a condurre la buona battaglia
per illuminare le menti e i cuori degli uomini e delle donne di tutto il pianeta sulla
necessità e inevitabilità di superare le discriminazioni di sesso, razza, religione e
nazionalità che producono tanti lutti e rovine, e di fondare un Impero mondiale che
garantisca pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Anche per i cristiani.
233
KAROL WOJTYLA, UN BEATO MONDIALISTA
(1/5/2011) In questo giorno, domenica in albis e festa della Divina Misericordia,
il Partito Mondialista e l'Associazione Internazionale "New Atlantis for a World
Empire" festeggiano insieme alla Chiesa universale la beatificazione di Karol
Wojtyla, Papa Giovanni Paolo II.
Noi mondialisti plaudiamo alla decisione di Benedetto XVI di accogliere il
desiderio della folla che sei anni fa, durante il funerale di Karol Wojtyla, gridò a gran
voce «Santo subito», e di avviare l'iter della causa di beatificazione con notevole
anticipo rispetto ai tempi ordinari della Chiesa, e all'operato degli organi preposti, che
hanno concluso il processo canonico in tempi rapidissimi.
Accogliamo con gioia e soddisfazione l'elevazione al primo gradino degli onori
liturgici di un grande uomo e Pontefice che non ha soltanto conservato integro,
annunciato senza sosta e trasmesso fedelmente il sacro deposito della Parola di Dio
rivelata dal Signore Gesù Cristo, ma anche e soprattutto, in attuazione di quella
santissima Parola, ha prima combattuto con coraggio e abnegazione contro il
comunismo ateo ignorante e assassino, contribuendo in alleanza con gli Stati Uniti
d'America all'abbattimento del Muro di Berlino e alla disfatta dell'Unione Sovietica, e
poi ha levato la sua voce contro l'indifferenza dell'Occidente nei confronti delle stragi
compiute da masse inferocite e razziste, dittatori folli e fanatici terroristi nel Ruanda,
in Bosnia-Erzegovina e nel Kossovo, denunciando l'ipocrisia delle sovranità nazionali
e invocando l'adempimento del dovere di proteggere le popolazioni civili mediante
una «ingerenza umanitaria», anche contro i propri governanti e anche mediante il
ricorso alla guerra.
Per questo oggi gioiamo e facciamo festa insieme ai cattolici di tutto il mondo,
ai musulmani non fanatici e a tutti i non-cristiani che sono convenuti a Roma da ogni
parte del pianeta per rendere onore al nuovo beato, e auspichiamo presto nuovo santo;
un grande Pontefice, un grande teologo e filosofo, un uomo di grande sensibilità, e
anche un grande mondialista.
234
DA UN PICCOLO SEME NASCERÀ L'IMPERO MONDIALE
(17/6/2012) Oggi, in tutte le chiese del mondo, il popolo cristiano ha udito le
due parabole (analogie, somiglianze) pronunciate da Gesù Cristo sul Regno di Dio
che Egli veniva a portare sulla terra:
1) «Il Regno di Dio è simile a un chicco di senape: esso è il seme più piccolo di
tutti, ma quando viene seminato cresce e diventa l'albero più grande del giardino, e
tutti gli uccelli del cielo vengono a rifugiarsi tra i suoi rami»;
2) «Il Regno di Dio è simile a un uomo che getta il seme nella terra e se ne va.
Notte e giorno, dorma o vegli, il seme cresce e fa frutto; come, egli stesso non lo sa.
Prima nasce lo stelo, poi la spiga, infine il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto
è maturo, subito mette mano alla falce, perché viene il tempo della mietitura».
Ebbene, noi mondialisti vogliamo oggi richiamare la vostra attenzione su questo
brano del Vangelo perché esso parla, sì, del Regno di Dio che «non è da questo
mondo», ma parla anche dell'Impero mondiale che noi stiamo costruendo ogni
giorno, con il sacrificio dei nostri beni e delle nostre vite.
In primo luogo, come il Regno di Dio, anche l'Impero mondiale non è una realtà
calata dall'alto all'improvviso, già fatta e finita. Come il regno di Dio, anche l'Impero
mondiale nasce da un piccolo seme, da un qualcosa che agli occhi superficiali degli
stolti appare debole, insignificante, facile da schiacciare. Non era forse così la Chiesa
di Cristo duemila anni fa di fronte alla strabordante potenza dell'impero di Roma con
le sue legioni, di fronte ai farisei e dottori della Legge di Mosè che deridevano i
Dodici (dodici, non dodicimila o dodici milioni!) considerandoli eretici ignoranti?
Eppure quel "piccolo resto" di pescatori ignoranti, esattori pentiti e pie donne prive
persino del diritto di rendere una testimonianza legale ha dato vita a un popolo di più
di un miliardo di credenti, ha rivoluzionato il modo in cui l'Occidente pensa a Dio,
all'uomo, alla donna, ai bambini - «Lasciate che i piccoli vengano a me, perché di
essi è il regno dei Cieli», mentre fino ad allora, in Grecia e a Roma, essi venivano
abortiti, abbandonati, sfruttati economicamente e sessualmente; e ancora oggi ciò
avviene nell'Africa tribale, nell'India delle caste e nell'Islam dei mullah pedofili -, alla
natura (chi ha costruito i primi ospedali e le prime università, chi ha dato vita a quel
progresso scientifico e tecnologico che ha fatto dell'Occidente la più grande civiltà
della Storia? Sempre loro, i cristiani), alla politica («Rendete a Cesare quel che è di
Cesare e a Dio quel che è di Dio»), alla religione, al futuro... Ebbene, anche il
Mondialismo oggi può apparire una realtà debole e insignificante, un'utopia da
esaltati: che cosa saranno mai, dicono alcuni, un sito Internet semisconosciuto e una
pagina Facebook con solo un migliaio di "mi piace"? Eppure, come il Cristianesimo,
anche il Mondialismo, che del Cristianesimo e dei suoi princìpi fondamentali - la
razionalità del mondo, creato da un Dio che è Logos; la distinzione tra le "cose di
Dio" e le "cose di Cesare", tra la sfera sacrale e la sfera secolare; l'uguaglianza di tutti
gli individui umani, uomini e donne, feti, bambini, adulti e anziani, di ogni etnia,
classe, ceto e religione, in quanto tutti creati da un unico Dio e tutti dotati dal loro
Creatore degli stessi diritti immortali e inalienabili alla vita, alla libertà e alla ricerca
della felicità - costituisce la logica traduzione sul piano della politica sia "interna" che
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"globale", è destinato a produrre un grande frutto: l'unificazione di tutto il genere
umano in un solo Impero mondiale che abbatterà tiranni e dittatori laici e teocratici e
assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti.
Come il Cristianesimo duemila anni fa appariva "scandalo" ai pagani e
"stoltezza" agli Ebrei, anche il Mondialismo oggi appare "scandalo" ai nazionalisti,
agli adoratori delle piccole patrie che fanno la danza della morte attorno ai totem
degli Stati-nazione, e appare "stoltezza" ai no-global anarchici, a quanti vorrebbero
un'umanità trasformata in una melassa indistinta senza governo e senza leggi. Come il
Cristianesimo duemila anni fa era accusato dai pagani di voler abbattere la fede nei
vecchi déi, di voler scalzare le fondamenta dello Stato e fomentare la disobbedienza
civile, così oggi il Mondialismo è accusato di voler abbattere la fede negli idoli falsi e
bugiardi delle appartenenze etniche, nel sangue e nel suolo, e con essi di voler
erodere le fondamenta degli Stati democratici e instaurare un regime dittatoriale
mondiale, come se la democrazia implicasse necessariamente una distinzione fra
cittadini e stranieri, fra chi è "dentro" e chi "fuori" dei confini di una qualsiasi etnia...
Credere che il Mondialismo sia una moda elitaria e passeggera destinata a spegnersi
presto sarebbe sciocco, come si è rivelato sciocco da parte di pagani ed Ebrei pensare
che il Cristianesimo fosse una piccola setta destinata a spegnersi in qualche villaggio
della Galilea o nei suburbi di qualche città greco-romana.
Infine, il Vangelo di oggi ci mostra che l'esito finale di una idea, di un progetto,
non dipende dall'impegno più o meno fervido di chi li porta avanti, e neppure dalla
loro "coerenza" o "incoerenza" fra teoria e pratica, fra gli ideali e la loro applicazione:
l'esito finale di una idea, di un progetto dipende esclusivamente dalla sua bontà
intrinseca, dalla sua fedeltà alla natura umana così come è stata creata e voluta da
Dio. Il Cristianesimo, in questi duemila anni, si è sviluppato e ha prodotto grandi
frutti a prescindere dall'impegno personale dei singoli cristiani, a prescindere dalla
loro fedeltà o infedeltà alla Parola del Signore Gesù Cristo, a prescindere anche dal
buono o cattivo esempio di preti, vescovi e degli stessi Pontefici, perché esso era ed è
la sola religione conforme alla natura dell'uomo, alla sua vocazione di dominare il
mondo senza farsi atterrire dalle superstizioni, di costruire una società in cui non ci
sia «né Giudeo né Greco, né maschio né femmina, né schiavo né libero, perché tutti
sono uno in Cristo». Allo stesso modo il Mondialismo è destinato a crescere e a
produrre il suo frutto supremo, l'Impero mondiale, a prescindere dall'impegno che i
suoi singoli adepti e simpatizzanti metteranno nel diffondere la conoscenza e
l'accettazione della causa, perché esso costituisce la risposta alla più profonda
aspirazione di ogni individuo umano: vivere in una società aperta, senza barriere, in
uno Stato universale per individui universali.
Oggi il Mondialismo appare piccolo, ma la sua è la piccolezza del seme, perché
oggi è il tempo della semina; quando verrà il tempo della mietitura, il tempo in cui
l'Impero mondiale sarà realizzato in tutta la sua grandezza, i posteri si volgeranno
indietro e si meraviglieranno constatando da quale piccolo seme quel grande albero
sarà germogliato, proprio come oggi i cristiani, volgendosi indietro a contemplare la
storia degli ultimi duemila anni, si meravigliano di quante volte la loro religione sia
stata sul punto di scomparire, ed è invece sopravvissuta e si è fortificata. Come,
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neppure essi sanno dirlo; così sarà anche per l'Impero mondiale.
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LA CHIESA È DIVENTATA ISLAMICA
(15/9/2012) Fin dall'apertura di questo sito Internet noi mondialisti abbiamo
richiamato l'attenzione sulla empia connivenza che si andava delineando tra la Chiesa
cattolica e il fondamentalismo islamico. Questa connivenza era già visibile ad
esempio nelle condanne emesse dal Vaticano contro gli Stati Uniti d'America per le
guerre di liberazione dell'Afghanistan e dell'Iraq dalla furia omicida dei talebani e
dalla feroce dittatura di Saddam Hussein, e contro lo Stato di Israele "colpevole" di
difendere il diritto alla vita dei suoi cittadini contro gli attentati e i lanci di missili
organizzati dai terroristi assassini dell'Olp, di Hamas e di Hezbollah; condanne
lanciate dal Vaticano per "uso sproporzionato della forza", a cui mai, mai si sono
accompagnate analoghe condanne nei confronti di dittatori genocidi o di terroristi che
uccidevano innocenti nei ristoranti, nelle discoteche, sugli autobus e perfino durante i
Giochi Olimpici. Finora chi ci legge poteva ancora nutrire il legittimo dubbio che le
nostre accuse nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche fossero dettate da pregiudizi
anticristiani; del resto, non siamo forse, noi mondialisti, dipinti dagli ignoranti come
atei o addirittura satanisti? Oggi, tuttavia, due eventi - uno finito bene, almeno per il
momento, l'altro dall'esito tragico - mostrano senza possibilità di smentita che la
Chiesa cattolica, almeno a livello dei suoi vescovi e cardinali, ha rinnegato il
messaggio di Gesù Cristo e si è convertita a quello che per secoli era stato il suo
nemico giurato: l'Islam.
Prova n. 1 - In Pakistan un mese fa una bambina cristiana di nome Rimsha
Masih è stata arrestata e processata con l'accusa di aver bruciato un manuale in arabo
che insegna a leggere il Corano; per la mentalità islamica era colpevole di
"blasfemia", cioè di aver "profanato" il Corano, che i musulmani considerano libro
sacro. In seguito l'imam che l'aveva accusata di blasfemia è stato accusato a sua volta
di aver bruciato e aggiunto a bella posta le pagine suddette alla spazzatura
maneggiata dalla bambina per ottenere la cacciata dei cristiani dal villaggio e
impadronirsi dei loro terreni al fine di costruirvi sopra una scuola coranica, e Rimsha
è stata per ora rimessa in libertà su cauzione (ma l'accusa non è stata ritirata). Durante
il Meeting per l'Amicizia fra i popoli organizzato come ogni anno da Comunione e
Liberazione il cardinale Jean-Louis Tauran, dopo aver ripercorso in una dotta
relazione il punto di vista della Chiesa cattolica sulla libertà religiosa alla luce della
"apertura" rappresentata dal Decreto del Concilio Vaticano II Dignitatis Humanae,
intervistato sul caso della piccola Rimsha e più in generale sulle persecuzioni subite
dai cristiani nei paesi islamici, ha detto, testualmente:
«In questi casi bisogna considerare la proporzione tra l'accusa e il fatto così
come si è svolto. In questo caso concreto la bambina accusata di blasfemia è affetta
dalla sindrome di Down, quindi non è pienamente capace di intendere e di volere,
inoltre è analfabeta e non sa leggere l'arabo, quindi non si può affermare che abbia
consapevolmente e volontariamente profanato il Corano».
Capite? L'egregio cardinal Tauran - che vent'anni fa, in qualità di Segretario di
Stato della Santa Sede, aveva meritoriamente pubblicizzato e difeso la dottrina della
"ingerenza umanitaria" elaborata dal grande Giovanni Paolo II, ma che adesso, come
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presidente della Pontificia Commissione per il Dialogo con i Musulmani, deve aver
cambiato molte sue idee - non chiede l'assoluzione di una bambina cristiana accusata
di blasfemia in nome della libertà di manifestazione del pensiero, diritto che in
Occidente si è affermato dopo molti secoli di lotte dolorose contro l'oscurantismo di
chi mandava al rogo veri o presunti eretici, spesso per biechi motivi di contesa
politica o di rivalità economica (ne abbiamo fatto le spese anche noi Templari, perciò
lo sappiamo bene); non può farlo, perché evidentemente la Chiesa cattolica, pur
avendo perduto da tempo l'appoggio del potere politico e quindi essendo
impossibilitata a invocare l'intervento del "braccio secolare" in difesa della sua
ortodossia, non ha mai smesso di considerare la libertà di pensiero e di parola come
un diritto sub condicione, cioè un diritto di cui servirsi per la diffusione del Vangelo e
del proprio magistero negli Stati che lo garantiscono, ma che non deve essere
riconosciuto a chi invece esprima opinioni contrarie al Cristianesimo. No, l'egregio
cardinal Tauran, da provetto casuista, entra "nel caso concreto", scende allo stesso
livello dei mullah e degli ayatollah, e pretende di dimostrar loro che "in questo caso
concreto" l'imputata andrebbe assolta per aver commesso un fatto "obiettivamente
grave" sì, ma senza "consapevolezza e volontà", ovvero, come afferma il Catechismo
della Chiesa Cattolica riguardo ai requisiti del peccato, senza "piena avvertenza e
deliberato consenso". Bella forza! E se invece di una bambina disabile e analfabeta
fosse stato accusato un uomo adulto, sano di mente e capace anche di leggere l'arabo,
cosa avrebbe detto il cardinal Tauran, che "in quest'altro caso concreto" ci sarebbero
stati fatto grave, consapevolezza e volontà, e quindi l'imputato di "blasfemia" avrebbe
dovuto essere messo a morte secondo la legge coranica? O ancora, il cardinal Tauran
sarebbe favorevole se il reverendo protestante americano Terry Jones, che alcuni
mesi fa ha consapevolmente e volontariamente bruciato in pubblico copie del Corano
per dimostrare efficacemente il suo disprezzo nei confronti dell'Islam, venisse
arrestato e messo a morte qualora si recasse in Pakistan o in Iran o un altro paese
islamico?
Prova n. 2 - Quattro giorni fa, cioè lo scorso 11 settembre, un commando di
terroristi islamici armato di lanciarazzi, spalleggiato da una folla di fanatici, ha fatto
irruzione nel consolato americano di Bengasi, lo ha dato alle fiamme, e ha
barbaramente assassinato l'ambasciatore degli Stati Uniti in Libia Christopher
Stevens, due marines addetti alla sua sicurezza e l'addetto diplomatico Sean Smith. I
mass media di tutto il pianeta, sempre molto abili nel solleticare i sensi di colpa
dell'Occidente, hanno affermato che l'assalto e l'assassinio erano stati la risposta
islamica a un film americano satirico nei confronti di Maometto. Ebbene, la reazione
delle gerarchie cattoliche è stata un corale "se la sono cercata": dal francescano
Pierbattista Pizzaballa "custode di Terra Santa" (sempre pronto a usare due pesi e due
misure tra Israele e i sedicenti "palestinesi") secondo il quale si sarebbe trattato di una
«provocazione del tutto gratuita» alla pari delle vignette satiriche contro Maometto
pubblicate qualche anno fa da un giornale danese, al vescovo di Tripoli Giovanni
Innocenzo Martinelli (che deplorò l'Operazione "Odissey Dawn" finalizzata a
rimuovere dal potere il dittatore Gheddafi) il quale si è chiesto «È il caso di fare tutta
questa propaganda contro il profeta [sic! E da quando Maometto è divenuto profeta
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del Cristianesimo?], offendendo un popolo attraverso la religione?»; perfino il
responsabile della sala stampa della Santa Sede Federico Lombardi, che alla vigilia
del viaggio di Benedetto XVI in Libano ha risposto ipocritamente ai giornalisti «non
ho da dirvi una posizione della Santa Sede su Hezbollah», si è sentito in dovere di
spiegare sussiegosamente che «il rispetto profondo per le credenze, i testi, i grandi
personaggi e i simboli delle diverse religioni è una premessa essenziale della
convivenza pacifica dei popoli». Ora, che la "religione" al singolare, o come ha detto
ieri il Papa in Libano «la fede in un unico Dio vissuta con cuore puro», sia divenuta il
nuovo Vangelo di una Chiesa cattolica contraria al relativismo a parole ma non nei
fatti, era già chiaro da molti anni a chi ci segue (se non ci credete, leggete il nostro
editoriale del 16/9/2006 "Il Dio di Gesù Cristo non è il dio di Maometto"); del tutto
inedito è invece questo schierarsi apertamente dalla parte di feroci assassini, questo
sputare sui corpi ancora caldi delle vittime, questo considerare il peccato e reato di
omicidio "scusabile", "giustificabile", meno grave dell'offesa "alla" o "a una"
religione (una "offesa" di cui oltretutto l'ambasciatore Stevens, il diplomatico Smith e
i due marines sarebbero stati colpevoli per il solo fatto di essere cittadini americani,
dal momento che nessuno di essi aveva partecipato personalmente alla realizzazione
del film presunto "blasfemo").
Noi mondialisti deploriamo con fermezza che si bestemmi il nome di Dio, di
Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi, e che si bruci o si insozzi la Bibbia; ma
consideriamo un grande progresso della civiltà il fatto che oggi in Occidente chi
bestemmia o brucia una Bibbia non venga arrestato e messo in prigione o a morte,
perché il primato della persona umana su ogni libro od oggetto considerato "sacro" è
per noi la realizzazione nella vita sociale, politica e giuridica della Parola del Signore
nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, il quale ai farisei che rimproveravano i suoi
discepoli per aver raccolto delle spighe di grano allo scopo di cibarsene in giorno di
sabato disse «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato»,
mostrando così che nessuna Legge è veramente sacra e divina se schiaccia l'uomo, e a
uno scriba che gli chiedeva quale fosse il primo e più grande dei comandamenti
rispose «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore e il tuo prossimo come te
stesso», mostrando così che l'uomo creato da Dio a Sua immagine è l'unica realtà
veramente sacra.
I monsignori del Vaticano, i cardinali e i vescovi pensano forse che l'avanzata
dell'Islam porterà a una rinascita della "religione" in generale, e che in Occidente si
tornerà a punire pubblicamente chi offende il Cristianesimo così come oggi nei paesi
islamici si punisce pubblicamente chi è accusato, vero o falso che sia, di "offendere"
l'Islam. Noi mondialisti, invece, sappiamo che l'unico modo per preservare la
religione dal duplice pericolo del fondamentalismo assassino e dell'ateismo
materialistico consiste nel riconoscere con il grande filosofo Emanuele Kant che
«nessuna religione può sopravvivere se è contraria alla ragione», quella ragione
che fonda l'uguaglianza in dignità e diritti di tutti gli individui umani sulla loro
comune natura creata da Dio, e la legittimità degli Stati sul dovere di rispettare in
ogni individuo umano questi immortali e inalienabili diritti, in primo luogo il diritto
alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Così come avviene negli Stati Uniti
240
d'America, dolce terra di libertà, in cui chiunque può professare liberamente qualsiasi
religione o dichiararsi ateo senza essere perseguito penalmente, e dove nessuno si
sogna di mettere a morte i seguaci del Pastafarianesimo, una pseudo-setta di atei che
si prendono gioco del creazionismo dichiarando di credere che il mondo sia stato
creato da un Prodigioso Spaghetto Volante.
Per questo il Partito Mondialista, ramo esecutivo dell'Associazione
Internazionale "New Atlantis for a World Empire", continuerà a operare per
illuminare le menti e i cuori degli uomini, anche dentro i Sacri Palazzi, circa la bontà
e la inevitabilità della creazione di uno Stato o Impero mondiale in cui l'opinione
personale in materia di religione, finché non si traduca in violenze contro le persone e
i loro beni, non costituisca motivo di persecuzione giudiziaria o mediatica; uno Stato
universale che assicuri pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Anche ai
"blasfemi" di ogni risma.
241
IL PAPA FRANCESCO E IL NORDAMERICA "MORTO" PER LA CHIESA
(16/3/2013) La recentissima elezione al soglio di Pietro del cardinale Jorge
Mario Bergoglio, che ha preso il nome impegnativo di Francesco, non poteva
ovviamente non suscitare l'interesse di noi mondialisti, tanto più dopo le previsioni
della vigilia del Conclave che davano come "papabili" due cardinali statunitensi,
l'arcivescovo di Boston Sean Patrick O'Malley e quello di New York Timothy Dolan.
Il nostro Direttore Generale Andrea Zuckerman ne ha pertanto discusso con il nostro
referente oltre il Portone di Bronzo (che qui chiameremo per discrezione Padre X).
Ecco il testo della conversazione:
Andrea Zuckerman: Come mai non è stato eletto un cardinale statunitense?
Eppure ce n'erano almeno due molto favoriti...
Padre X: Il fatto è che ci sono state delle considerazioni di ordine politico, sa...
gli Stati Uniti d'America sono coinvolti politicamente in tutto il mondo, quindi...
AZ: Ho capito, padre: i cardinali hanno avuto paura che il nuovo Papa divenisse
il cappellano del Presidente degli Stati Uniti d'America, come dire il cappellano
dell'Impero mondiale...
P. X: Ma no! Questa è un'interpretazione che lascio ai giornalacci come
"Repubblica"! La verità è che il cristianesimo nell'America Latina è vivo, è in
crescita, c'è un grande fermento, un grande rigurgito di fede, è un continente in
crescita dal punto di vista della fede, come può vedere anche dal fatto che oltre al
Cattolicesimo lì proliferano anche molte sette... ma in Nordamerica invece i cristiani
sono ridotti in una condizione catacombale, basta vedere lo scandalismo che si è fatto
contro la Chiesa da dieci anni in qua...
AZ: Proprio per questo, padre, un Papa statunitense avrebbe potuto favorire un
riorientamento della politica dell'Amministrazione Obama in senso più favorevole ai
cristiani...
P. X: Lei pensa che la Chiesa sia una potenza economica o politica che debba
fare pressione sui governi, ma non è così... La Chiesa propone, ma non impone; se
uno non l'accetta, sbatte i piedi, si toglie la polvere dai sandali, e lascia ciascuno al
suo destino che si è scelto liberamente... Se non fosse toccato all'America Latina,
sarebbe toccato all'Asia, che è un altro continente dove il Cattolicesimo è in forte
crescita... ma l'Europa ormai è morta dal punto di vista della fede...
AZ: Cosa c'entra l'Europa? Vuole forse dire che per la Chiesa anche il
Nordamerica, anche gli Stati Uniti d'America sono "morti"?
P. X: Ma certo! Il Nordamerica ormai è morto per la Chiesa! L'Europa è quella
che ha cominciato la guerra contro Cristo e contro la Chiesa, e gli Stati Uniti sono
andati dietro a ruota; basta vedere quello che ha fatto Obama con la sua sciagurata
riforma sanitaria...
AZ: Ma padre, cosa c'entra Obama e la sua opposizione alla Chiesa? Prima dice
che un Papa statunitense non sarebbe stato il cappellano di Obama, adesso dice che la
Chiesa abbandona gli Stati Uniti d'America perché Obama è contrario al
Cristianesimo... ma la Chiesa non dovrebbe pensare ai cristiani, ai cattolici
242
statunitensi? Un Papa statunitense non sarebbe stato espressione del cattolicesimo
statunitense, che ormai è diventato la seconda religione negli USA dopo i protestanti?
P. X: Insomma, basta! Le ho detto e ripetuto che la politica in queste cose non
c'entra per niente! Lei è libera di pensarla come vuole, la nostra conversazione finisce
qui!
Che dire, amici lettori? La conclusione che ne abbiamo tratto noi è una,
semplice e inequivocabile: la Chiesa cattolica ha deciso che l'Europa e il
Nordamerica sono ormai continenti scristianizzati, perduti per la fede in Cristo, e si
prepara a puntare tutta la sua potenza evangelizzatrice - e quindi anche politicodiplomatica - verso il Sudamerica e l'Asia, che per essa rappresentano un bacino di
potenziali conversioni molto più vasto e ricettivo; per quanto concerne l'Africa,
probabilmente la Chiesa cattolica ha deciso di convivere più o meno facilmente con
l'Islam...
Noi mondialisti, invece, riteniamo che gli Stati Uniti d'America non siano affatto
un Paese "morto" alla fede, ma che al contrario il Cristianesimo statunitense
costituisca una realtà viva e in forte crescita, anche e soprattutto grazie al flusso
ininterrotto di immigrati latinos e asiatici, cioè nativi proprio di quei continenti che
per la Chiesa sono il "vivaio" più promettente di cattolici del futuro. Non è un caso
che tanti cattolici asiatici e latinoamericani decidano di abbandonare per sempre le
loro terre d'origine e iniziare una nuova vita negli USA, per sé e per i propri figli: ciò
avviene perché gli Stati Uniti d'America, come noi mondialisti abbiamo sempre detto
e ripetuto, sono il Paese più aperto, libero e tollerante verso tutte le religioni e le
opinioni su Dio, sull'uomo e sul mondo, che sia mai esistito in tutta la storia del
genere umano; ed essi sono tali, perché noi Templari-mondialisti li abbiamo voluti,
progettati e fondati così, per essere la città sulla collina, per essere sale della terra e
luce per le nazioni, per essere il primo seme del futuro Impero mondiale, il cui
avvento è molto più vicino oggi di quanto voi possiate immaginare, nel quale tutte le
religioni - almeno quelle che vorranno e sapranno accettare i princìpi e i valori della
libertà, della democrazia e del rispetto degli immortali e inalienabili diritti dell'uomo potranno convivere in pace e armonia, senza combattersi a morte come avviene in
Africa e Asia dove l'Islam pretende di spazzare via tutti i non-islamici, senza esser
perseguitate da regimi totalitari come avviene nella Cina comunista e nei Paesi del
Sudamerica schiavi di quell'impura alleanza tra cristianesimo e marxismo che va
sotto il nome di "teologia della liberazione", e senza essere un docile instrumentum
regni come in Russia, dove il patriarca ortodosso, lui sì, è il cappellano del nuovo
Zar, del cekista Putin, prono ai suoi voleri e pronto a mettere in croce tre ragazze
innocenti solo perché hanno "osato" pregare la Santissima Vergine Maria affinché
liberi il popolo di Russia dal regime corrotto, menzognero e assassino dell'infame
Putin e della sua cricca di ex-agenti del Kgb.
In conclusione, sia che il nuovo Papa Francesco voglia sostenere gli sforzi degli
Stati Uniti d'America in favore della diffusione della democrazia, sia che egli si
disinteressi del Nordamerica e preferisca puntare su Asia e Sudamerica per la "nuova
evangelizzazione", noi mondialisti continueremo a lavorare per l'unificazione di tutto
243
il genere umano in un solo Stato o Impero mondiale, federale e liberaldemocratico,
che assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Proprio come sta facendo
da 237 anni il grande laboratorio americano, che proprio per questo attira e
continuerà ad attirare sempre nuovi cittadini da tutto il pianeta, Obama o non Obama.
244
MESSAGGIO DEL PARTITO MONDIALISTA
A SUA SANTITÀ PAPA FRANCESCO I
IN OCCASIONE DELLA VEGLIA DI PREGHIERA E DIGIUNO
PER LA PACE IN SIRIA
(7/9/2013) Mrs Andrea Zuckerman, Direttore Generale della Associazione
Internazionale “New Atlantis for a World Empire”, a Sua Santità Papa Francesco I,
Servo dei servi di Dio, salute.
Santo Padre,
come insegna la Sacra Scrittura, il Signore Dio, l’Onnipotente, ha scelto di
camminare nel mondo sulle gambe deboli e incerte degli uomini, ha scelto di
compiere la Sua Volontà nel mondo non a colpi di miracoli, ma servendosi della
mente, del cuore e delle mani degli uomini. Anche la pace, che milioni di cattolici,
insieme a esponenti di altre confessioni cristiane, ai fedeli di altre religioni e a molti
uomini e donne di buona volontà, in questo giorno stanno invocando come dono
dell’Altissimo, non può dunque essere donata da Dio agli uomini se non per mezzo
dell’opera di alcuni di essi che agiscano da “costruttori di pace”.
Dall’alba della storia, questo compito di “costruire” la pace è stato affidato dal
genere umano ai reggitori delle varie comunità politiche che si sono succedute nel
tempo. A tali reggitori, governanti o “sovrani” è sempre stato riconosciuto il dovere
di prendersi cura degli uomini e delle donne loro affidati, di porre in essere le
condizioni per una vita tranquilla e ordinata, per una relazionalità fondata sulla
giustizia e sul rispetto della uguale dignità di tutti i membri della comunità; e di
conseguenza ai sovrani è sempre stato riconosciuto il correlativo diritto di usare la
forza contro i violatori dell’ordine e della giustizia, di arrestare le violenze e punirne
gli autori. Tale riconoscimento non deriva soltanto dalla sapienza umana di ogni
epoca e luogo, ma anche dalla stessa Parola di Dio: nell’Antico Testamento si
paragona il Messia-re a un “pastore” chiamato a curare la pecora ferita e a prendersi
cura di quella malata come ad accudire la pecora grassa e la forte; il Signore Gesù
Cristo, rispondendo a Pilato, gli ricorda che il suo potere di vita e di morte gli è stato
dato “dall’alto”; e san Paolo ammonisce i suoi discepoli a pregare per i propri
governanti e a obbedire loro con queste icastiche parole:
“Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se
non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone
all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si
attireranno addosso la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si
fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l'autorità? Fa' il bene e
ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male,
allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la
giusta condanna di chi opera il male”.
Santo Padre, nell’epoca attuale un numero sempre maggiore di uomini e donne è
divenuto consapevole che la divisione del genere umano in varie comunità politiche
estranee l’una all’altra, lungi dal costituire un argine alla violenza e alla guerra,
245
costituisce al contrario la principale fonte da cui scaturiscono odii, rivalità,
persecuzioni e stragi: sono lì a testimoniarlo i genocidi che nel Novecento hanno
colpito prima il popolo degli Armeni e poi gli Ebrei, i massacri indiscriminati nel
Ruanda, in Somalia e nel Darfur, le persecuzioni, nei confronti non soltanto dei
cristiani, ma anche degli appartenenti a molte altre fedi i quali si trovino a essere
minoranza nel territorio in cui vivono, messe in atto da parte di chi professa una
religione o ideologia “maggioritaria”. Tutti queste guerre, tutte queste persecuzioni,
tutti questi massacri hanno la loro perversa scaturigine dall’egoismo, figlio del
peccato originale, che spinge gli uomini a tracciare confini tra essi e i propri fratelli, e
a discriminare tra chi è “dentro” e chi “fuori” dei recinti, non naturali ma artificiali,
che essi chiamano “nazioni” e “Stati”. Ma come insegna la Scrittura, la natura umana,
pur ferita dal primo peccato, non ha perduto la sua bontà originaria: c’è nel cuore e
nella mente di ogni uomo e donna l’anelito a superare i confini artificiali posti dalla
famiglia e dalla comunità di nascita, a volare “su ali di aquila”, a intessere con i
propri simili una comunione di vita senza barriere.
Di questo anelito universale e insopprimibile del genere umano, il popolo e il
governo degli Stati Uniti d’America si sono fatti portatori e vindici più volte negli
ultimi settant’anni, prima intervenendo per difendere la libertà dei popoli d’Europa e
la dignità umana contro la barbarie dell’ideologia nazionalsocialista, poi sostenendo
la causa della democrazia e dei diritti umani nei decenni in cui essi erano minacciati
dall’avanzata apparentemente inarrestabile del comunismo sovietico ateo e
materialista. Di fatto, piaccia o no, oggi il popolo e il governo degli Stati Uniti
d’America costituiscono l’unica potestà terrena in grado di assicurare la difesa della
dignità umana di fronte alle minacce rappresentate dai fondamentalismi religiosi – in
primis quello islamico – e da quei regimi i quali, negando l’infinito valore della
persona umana creata a immagine di Dio, pretendono di sottomettere le vite e le
coscienze degli individui all’adorazione di idoli falsi e bugiardi, siano essi la Ummah,
lo Stato o la Tradizione; soltanto il popolo e il governo degli Stati Uniti d'America
sono in grado di attuare quella “ingerenza umanitaria” invocata dal Suo predecessore
di augusta memoria, il Beato Giovanni Paolo II, al fine di difendere i diritti umani
delle popolazioni oppresse da regimi dittatoriali o totalitari. Per tale motivo noi
membri dell’Associazione Internazionale “New Atlantis for a World Empire”, fedeli
all’eredità spirituale dei cavalieri Templari, nostri padri nella fede, abbiamo deciso
fin dal 2005 di creare il Partito Mondialista, nostro ramo esecutivo, con lo scopo di
illuminare le menti e i cuori degli uomini e delle donne del nostro tempo circa la
bontà e l’inevitabilità della unificazione di tutti gli uomini e i popoli in un solo Stato
o Impero mondiale, che abbatta il vieto principio di sovranità nazionale e il connesso
divieto di ingerenza negli affari interni dei singoli Stati, e assicuri il rispetto degli
immortali e inalienabili diritti di ogni essere umano ad una vita pacifica, a ricercare
Dio e a credere in Lui secondo i dettami della propria libera e retta coscienza, alla
libertà di esprimere liberamente le proprie opinioni su Dio, sul mondo e sull’umana
società, di godere dei frutti del proprio lavoro, di contrarre matrimonio ed educare i
propri figli senza subire molestie e persecuzioni motivate dal sesso, dall’etnia o dalla
religione.
246
Santo Padre, noi mondialisti nutriamo la serena e ferma speranza che Ella,
superando antichi pregiudizi e malintesi, comprenda la sincerità e la rettitudine del
nostro impegno per una vera pace, pace che non è semplice assenza di conflitti
armati, bensì è frutto del rispetto della giustizia e della dignità di ogni singolo
individuo umano, e voglia pertanto sostenerci e incoraggiarci con la Sua paterna
benedizione. Noi, da parte nostra, preghiamo il Signore Gesù Cristo affinché illumini
la mente e il cuore del Suo vicario, e gli doni sempre forza e franchezza per
testimoniare il Suo Vangelo in ogni circostanza, opportuna e inopportuna. Maria,
Ausiliatrice dei cristiani, Regina della Pace, prega per noi. Amen.
247
LA CHIESA DIVENTA RAZZISTA CONTRO ISRAELE
(28/9/2013) Dal 7 settembre, giorno della veglia di preghiera e digiuno indetto
dal Papa Francesco per impedire all'America di punire il regime assassino del
macellaio Assad che ha usato le armi chimiche contro il suo stesso popolo, il sito di
informazione cattolica Zenit ha lanciato una autentica offensiva mediatica pacifista a
colpi di "aforismi". Quello di lunedì 23 settembre recitava così:
"Io non credo che la guerra sia la soluzione dei problemi. Prego che palestinesi e
israeliani possano vivere un giorno in pace ciascuno sulla sua terra."
Moran Atias (°1981)
Ora, a parte ogni pur sensato discorso circa la competenza della signorina Atias
a parlare di pace e guerra, ciò che noi mondialisti vogliamo farvi notare è l’inciso
secondo il quale israeliani e palestinesi potrebbero, anzi per quelli di Zenit
dovrebbero, vivere in pace sì, ma “ciascuno sulla sua terra”. In altre parole, Zenit, il
principale sito di informazione cattolico del mondo, e quindi, si presume, la Chiesa
cattolica a livello ufficiale, accetta in toto il principio di segregazione etno-religiosa
che Mahmoud Abbas/Abu Mazen, il satrapo dell’Anp che da anni regna non eletto
sulla Cisgiordania col placet di Obama, vuole porre a base dello Stato palestinese da
lui progettato, il quale dovrebbe essere Judenrein, privo di Ebrei così come Hitler
voleva che fosse l’Europa assoggettata dal Terzo Reich. Questo vuol dire che la
Chiesa cattolica, senza dirlo ad alta voce, accetta il progetto palestinese di espellere
gli Ebrei da Gerusalemme Est e da tutta la Cisgiordania (rectius: Giudea e Samaria)
per fare di Israele e Palestina due Stati etnicamente omogenei, l’uno puramente
ebraico, l’altro puramente arabo.
Accettando questo progetto criminale, la Chiesa cattolica non si accorge di stare
ponendo le premesse per la propria eliminazione da tutto il Medio Oriente. Non si
accorge, infatti, che gli islamici, così come non sopportano l’esistenza dello Stato di
Israele su una terra che essi considerano possesso inalienabile di Allah fino alla fine
dei secoli soltanto perché l’hanno conquistata con la violenza mille e trecento anni fa,
allo stesso modo non sopportano la sopravvivenza in tutto il Medio Oriente di
comunità cristiane che essi considerano “straniere” per vile menzogna, in quanto il
Cristianesimo, come ciascuno dovrebbe sapere, è fiorito in quelle terre fin dai tempi
di Gesù Cristo, ben prima della nascita di Maometto, e dalla Siria, dalla Cappadocia,
dall’Anatolia e dall’Africa settentrionale sono venuti moltissimi grandi Padri della
Chiesa e teologi dei primi quattro secoli dell’era cristiana. Espellere gli Ebrei dalla
Cisgiordania, per poi distruggere lo Stato di Israele, sarebbe per gli islamici una
preparazione del grande assalto di sterminio al Cristianesimo, allo scopo di “ripulire”
l’intero Medio Oriente da ogni presenza non-islamica.
Per questi motivi noi mondialisti difendiamo il diritto dello Stato e del popolo di
Israele ad esistere, e ad esistere in quanto Stato ebraico, e proprio in quanto ebraico,
tollerante verso tutte le religioni, unico Paese del Medio Oriente da cui i cristiani non
fuggono, ma in cui anzi aumentano di numero (anche se ipocritamente continuano a
248
negarne l’esistenza e l’ebraicità, chiamandolo “Terrasanta”), e unico avamposto
dell’Occidente libero, democratico e rispettoso dei diritti umani in un Medio Oriente
da sempre oppresso da tiranni e dittatori laici e teocratici; e per gli stessi motivi
sosteniamo e sosterremo sempre il diritto di Israele a difendersi contro il tentativo
delle cancellerie filoislamiche della Vecchia Europa e del vile e filotirannico Barack
Hussein Obama di usarlo come moneta di scambio con l’Asse del Male MoscaPechino-Teheran.
In questo frangente storico, in cui l’America paralizzata dal vile e filotirannico
Obama ha perduto la fiducia nella sua missione storica, Israele è l’unico Paese della
Terra che può ancora promuovere la causa del Mondialismo, la causa della Libertà,
della Democrazia e dei Diritti dell’Uomo, fin quando il popolo degli Stati Uniti
d’America non si darà nuovamente un Comandante in Capo degno di questo nome, e
non riprenderà la lotta per sconfiggere tutti i tiranni e dittatori e per fondare l’Impero
mondiale, che abolirà finalmente il vieto principio di segregazione etno-nazionale e
assicurerà gli stessi immortali e inalienabili diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca
della felicità a tutti gli individui umani, in ogni angolo del pianeta. Anche ai cristiani,
sempre ingrati verso chi difende la loro libertà, da Costantino a George Walker Bush,
e sempre pronti a baciare la mano di chi li vuole schiavi, da Maometto a Obama e da
Putin a Xi Jinping.
249
DA BETLEMME LE SOLITE MENZOGNE DI NATALE
(27/12/2013) Anche quest'anno, grazie a Dio, il mondo ha celebrato la nascita di
Gesù Cristo, e anche quest'anno il genere umano ha dovuto sorbirsi il solito carico di
menzogne servite, con consumata abilità da chef, dal patriarca latino di Gerusalemme
Fouad Twal all'interno della consueta omelia durante la Messa della notte di Natale.
Noi mondialisti abbiamo già informato con dovizia di particolari sulle bugie che i
patriarchi di Gerusalemme sono abituati a rovesciare sui fedeli del Medio Oriente e di
tutto il pianeta infilandole tra un salmo e una preghiera (vedi ad es. i nostri editoriali
"Cristiani schierati contro Israele e USA" e "A Gerusalemme cambiano i patriarchi,
non le menzogne"), ma come si dice: repetita iuvant, quindi anche stavolta
esaminiamole bene, perché i patriarchi di Gerusalemme sono come l'AIDS: se li
conosci li eviti.
Tanto per cominciare, monsignor Twal saluta con deferenza «Mahmoud Abbas,
Presidente della Palestina», insultando così il buon senso, dal momento che la
cosiddetta "Palestina" è un non-Stato, uno Stato che non esiste, un falso Stato che non
è riconosciuto come tale da alcun altro Stato o organizzazione internazionale; un
sedicente Stato i cui sedicenti abitanti "palestinesi" etnicamente non sono mai esistiti,
ma sono sempre stati e sono tuttora arabi come la maggioranza degli abitanti dei
paesi musulmani, e giuridicamente prima erano sudditi del sultano di Costantinopoli,
poi sono divenuti cittadini giordani, per quanto concerne i residenti in Giudea e
Samaria, o cittadini egiziani, per quanto concerne i residenti a Gaza. Ma anche
soprassedendo su questa colossale menzogna, il patriarca Twal, chiamando Abu
Mazen "Presidente di Palestina", offende anche la dignità e i diritti politici dei
sedicenti "palestinesi", dal momento che, se la Palestina fosse un vero Stato, i suoi
cittadini avrebbero il diritto di scegliersi il presidente che più loro aggrada, e di
rimuovere quello che non fosse più loro gradito, o che peggio ancora volesse
mantenere il potere senza averne titolo: sarebbe un tiranno! Invece, si dà il caso che il
mandato presidenziale di Mahmoud Abbas o Abu Mazen che dir si voglia sia scaduto
nel 2009, e che da allora nel sedicente "Stato di Palestina" non si siano più tenute
elezioni per nominare un nuovo sedicente "Presidente": cosicché l'Abu Mazen o
Mahmoud Abbas che dir si voglia, che il patriarca Twal omaggia deferente ad ogni
notte di Natale, è il presidente illegittimo di uno Stato che non esiste, il falso
presidente di un falso Stato. Una bella coppia di menzogne: si comincia bene, Sua
Beatitudine!
E si continua ancora meglio. L'omelia della Messa della notte di Natale prevede,
immancabilmente, un commento al passo della Scrittura che dice «Il popolo che
camminava nelle tenebre ha visto una grande luce»; poteva forse, il patriarca Twal,
farselo mancare? Ecco dunque l'elenco dei drammi che l'umanità attraversa oggi nei
cinque continenti: le guerre civili in Africa, il tifone nelle Filippine, la difficile
situazione in cui versano Egitto e Iraq, la tragedia siriana... ma poi arrivano «i nostri
problemi locali: i detenuti, le loro famiglie che continuano a serbare la speranza di
un loro rilascio, i poveri che hanno perso le loro terre e hanno visto le loro case
demolite, le famiglie che attendono il ricongiungimento». Ora, anche a voler omettere
250
di fare nomi e cognomi dei responsabili delle "guerre civili in Africa" (i musulmani),
della "difficile situazione in cui versano Egitto e Iraq" e della "tragedia siriana"
(ancora i musulmani, che si uccidono fra sciiti e sunniti e nel frattempo fanno a gara a
chi uccide più cristiani, perché è così che fra di essi si dimostra chi è il più fedele
seguace di Allah) - e sì che, per un cristiano, tanto più se patriarca, omettere di
chiamare il male "male" dovrebbe essere un peccato grave quanto omettere di
chiamare il bene "bene" - resta comunque il fatto che i cosiddetti "detenuti" per i
quali il buon Twal si addolora sono detenuti nelle carceri israeliane in quanto
giudicati colpevoli da una giuria imparziale, e dopo un regolare processo (due cose, le
giurie imparziali e i processi regolari, che nel sedicente "Stato di Palestina" o a Gaza
non si trovano neppure a pagarle oro), di aver assassinato a sangue freddo uomini,
donne, vecchi e bambini israeliani colpiti nelle loro case, seduti sulle panchine dei
parchi pubblici, sugli autobus, nei ristoranti e nelle discoteche, soltanto perché erano
israeliani, cioè ebrei. Non si tratta dunque di innocui ladri di polli, né di piccoli
truffatori, e neppure di "semplici" rapinatori di banche alla Jesse James o di abietti
ma "volgari" stupratori: si tratta degli autori di efferati omicidi motivati da odio
religioso e razziale. Che fareste voi, Italiani che leggete queste pagine, se un
extracomunitario residente nel vostro Paese un giorno assalisse e uccidesse qualche
persona incontrata per caso lungo la strada, solo perché Italiana? Che stupidi siamo,
noi mondialisti! A voi Italiani è accaduto proprio qualche mese fa, e lo avete subito
rimesso in libertà... Si dà il caso che invece in Israele simili individui vengano
arrestati, processati e condannati a lunghi anni di carcere; e quindi, addolorarsi per la
loro prigionia, pregare il Signore affinché abbia pietà di essi, e auspicare il loro
rilascio, come fa il patriarca Twal, significa offendere il buon senso e la dignità dei
cittadini israeliani, molti dei quali sono di religione cristiana cattolica e quindi
ricadono sotto la sua cura d'anime. Che direbbe Sua Beatitudine se dei terroristi
"palestinesi" uccidessero dei cittadini israeliani di religione cristiana, allo stesso
modo in cui pochi mesi orsono dei terroristi islamici hanno massacrato decine di
cristiani in un centro commerciale di Nairobi, dopo averli accuratamente separati dai
loro confratelli musulmani?
Ma non basta: fra i "nostri problemi locali" che angustiano il patriarca Twal - il
quale, a quanto sembra, pur risiedendo a Gerusalemme, capitale dello Stato di Israele,
si considera in modo esclusivo palestinese, dal momento che fra i "suoi" problemi
non menziona neppure uno di quelli che angustiano gli Israeliani, come ad esempio
gli attentati terroristici da parte dei terroristi "palestinesi", o il lancio quotidiano di
missili da Gaza contro le città e i villaggi israeliani; eppure, fra i cittadini israeliani,
come abbiamo detto, ci sono anche molti cristiani cattolici! - ci sono anche e
soprattutto i «rifugiati», per i quali egli prega il Signore affinché doni loro «un segno
di speranza per un futuro migliore, in modo che possano fare ritorno al loro paese,
ritrovando una casa». L'esimio patriarca Twal non sa che i sedicenti "rifugiati" sono
discendenti di terza o quarta generazione di sedicenti "palestinesi", ovvero arabi, i
quali nel 1948, alla fondazione dello Stato di Israele che essi aborrivano, non furono
affatto cacciati dagli Ebrei, ma se ne andarono di loro spontanea volontà perché non
volevano convivere con degli "sporchi" Ebrei - che essi, da bravi musulmani,
251
considerano scimmie e porci (come del resto considerano i cristiani), dunque non
esseri umani loro pari - e perché pensavano che gli eserciti di tutti i Paesi arabi
circostanti, che avevano attaccato tutti insieme il neonato Stato di Israele, lo
avrebbero presto distrutto e sterminato tutti gli Ebrei (come avevano fatto i loro padri
negli anni Venti e Trenta del '900 con gli immigrati ebrei nel mandato britannico di
Palestina, e come avevano fatto i nazisti, con i quali i musulmani di tutto il Medio
Oriente avevano collaborato con ardore)? Tanto è vero ciò, che essi si portarono
dietro le chiavi di casa, non certo per nostalgia come racconta la propaganda
palestinista, bensì perché pensavano che sarebbero tornati di lì a poco da trionfatori.
Perché l'esimio patriarca Twal, invece di pregare il Signore e di auspicare dai
governanti musulmani di Egitto, Siria, Libano e Giordania che questi "rifugiati" siano
integrati nei Paesi in cui risiedono da più di sessanta anni (60 ANNI!!!), prega e
auspica che essi invadano lo Stato di Israele, uccidendo o espellendo gli Israeliani di
religione ebraica o cristiana e trasformandolo in uno Stato islamicamente "puro"?
L'insigne uomo di Chiesa non conosce quel passo della Scrittura, il capitolo 4,
versetto 3 della Lettera di Giacomo, in cui il Signore per bocca dell'apostolo
rimprovera duramente: «chiedete e non ottenete perché chiedete male»? L'esimio
patriarca latino di Gerusalemme non ha studiato in seminario le opere di
Sant'Agostino, il quale dice giustamente che la preghiera non è gradita a Dio quando
chiediamo «mala», cioè cose cattive?
Il culmine dell'abiezione, naturalmente, il patriarca Twal lo raggiunge al termine
della sua omelia, là dove chiede a Gesù Bambino la pace «per intercessione della
Vergine Maria, Tua Madre, figlia della nostra terra». Ora, come abbiamo visto
prima, quando l'esimio patriarca Twal parla della "nostra" terra, si riferisce alla terra
dei sedicenti "palestinesi"; quindi per lui la Santa Vergine Maria, in quanto figlia
della terra palestinese, sarebbe una donna palestinese! Non sorridete, amici lettori,
non si tratta di una boutade: la propaganda pagata da Abu Mazen/Mahmoud Abbas
con i milioni di dollari e di euro generosamente elargiti dalle cancellerie occidentali
malate di palestinismo tenta ormai da anni di convincere tutto l'orbe terracqueo che
Gesù Cristo sarebbe un palestinese, che la Vergine Maria e San Giuseppe sarebbero
palestinesi, che tutti e tre sarebbero nati in una terra chiamata "Palestina", che la fuga
della Sacra Famiglia in Egitto sarebbe assimilabile alla fuga dei sedicenti "rifugiati"
da Israele... Persino preti, vescovi e associazioni cattoliche ripetono fino alla nausea
questa abietta menzogna tesa a negare la verità storica, che cioè il Figlio di Dio, il
Signore nostro Gesù Cristo, è nato in una città chiamata Betlemme di Giudea, da una
vergine ebrea sposata a un uomo della stirpe di Davide re di Israele, che Egli è il
Messia annunciato dai profeti del popolo di Israele, è figlio di Davide re di Israele
secondo la legge di Israele, è stato crocifisso con una scritta sul suo capo che diceva
"Gesù Nazareno, il Re dei Giudei», e dunque, in quanto vero uomo, Egli è Ebreo,
pienamente, totalmente e definitivamente Ebreo, non "palestinese". Negare l'ebraicità
di Gesù Cristo, propagandare la menzogna che Egli sia un "palestinese" messo a
morte dai "perfidi ebrei", serve soltanto a legittimare teologicamente lo sterminio del
popolo ebraico da parte dei musulmani, così come la menzogna che Egli sia ariano
servì a Hitler per legittimare Auschwitz.
252
In conclusione, l'ineffabile patriarca Twal ha dato prova ancora una volta di non
tenere in alcun conto la Scrittura: infatti, se conoscesse quel passo di Giacomo 2,8-11
in cui è detto:
«Certo, se adempite il più importante dei comandamenti secondo la Scrittura:
amerai il prossimo tuo come te stesso, fate bene; ma se fate distinzione di persone,
commettete un peccato e siete accusati dalla legge come trasgressori. Poiché
chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa
colpevole di tutto; infatti colui che ha detto: Non commettere adulterio, ha detto
anche: Non uccidere»,
allora non userebbe tanta deferenza verso il mandante di terroristi assassini
musulmani, sedicenti "palestinesi", che fanno distinzione fra musulmani e nonmusulmani, che oggi vogliono uccidere tutti gli Ebrei e domani sterminare tutti i
Cristiani, secondo il motto islamico "dopo il sabato, la domenica";
se tenesse nella giusta considerazione quell'altro passo di Giacomo 2, 14-17 in
cui è detto:
«Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse
che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e
sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace,
riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così
anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa»,
esorterebbe i suoi fedeli a non cadere nell'ipocrisia di tenere insieme la fede in
Gesù Cristo Figlio di Dio con il favoreggiamento di opere maligne come il
terrorismo, l'assassinio, il lancio di missili sopra città e villaggi inermi, il rapimento
di innocenti al fine di ottenere la liberazione dalle carceri di altri assassini e terroristi,
il pagare stipendi a questi assassini mentre sono in prigione, il regalare loro case e
pensioni favolose se vengono liberati, l'elevare loro monumenti, l'intitolare ad essi
scuole e ospedali, l'insegnare ai bambini - ai bambini! - che è bello fare il kamikaze,
il farsi amici degli innocenti in chat o sul luogo di lavoro allo scopo di attirarli in
trappola e sgozzarli come pecore da macello. Chi dice di credere nel Cristo, e si
accompagna con chi commette queste opere del demonio e le considera cosa buona e
giusta, ha in realtà una fede morta; e se costui è un patriarca, allora la sua colpa è
ancora più grande, perché pecca di ipocrisia e induce molti a peccare con lui.
Nonostante tutto, però, anche quest'anno il mondo ha festeggiato il Natale del
Signore, l'ingresso di Dio nella nostra fragile natura umana. Anche quest'anno
abbiamo rinnovato la nostra fede che il mondo non è abbandonato al caso o
all'arbitrio del più forte, ma è guidato da Dio lungo un cammino tortuoso e sofferto,
ma che conduce a un futuro di luce, di gioia e di pace: un cammino la cui prossima
tappa sarà la creazione dell'Impero mondiale, nel quale non ci sarà più «né Giudeo né
Greco», in cui non ci sarà più discriminazione fra Cristiani, Ebrei, musulmani,
induisti o atei, perché «tutti saranno una cosa sola». Uno Stato mondiale in cui le
"cose di Cesare" saranno nettamente separate dalle "cose di Dio", in cui ogni credente
in Dio potrà professare liberamente la propria fede e rendergli culto nel modo
suggerito dalla sua coscienza, purché tale modo non contempli azioni contrarie alla
uguale dignità di tutti gli individui umani (come ad es. le mutilazioni genitali
253
femminili, la lapidazione delle donne adultere o i sacrifici umani) e ogni patriarca
cristiano potrà liberamente pregare Dio affinché abbia pietà dei detenuti, purché egli
chieda a Dio pietà anche per le loro vittime, e potrà anche visitare liberamente i
detenuti nelle carceri e magari portar loro una torta, purché non vi metta dentro una
lima per segare le sbarre...
A questa nobile missione lavoriamo, nel segreto e nel disprezzo degli stolti, noi
mondialisti. Perciò siamo ricolmi di speranza per il futuro, e sopportiamo
persecuzioni e minacce, ascoltando e mettendo in pratica quanto detto dal Signore per
bocca dell'apostolo Giacomo, un Ebreo come Gesù, come Maria e Giuseppe: «Siate
dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate l'agricoltore: egli
aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge
d'autunno e le piogge di primavera. Siate pazienti anche voi, rinfrancate i vostri
cuori, perché la venuta del Signore è vicina». Sì, viene il Signore, viene il nuovo
ordine del mondo che Egli porta, viene l'Impero mondiale. E buon Natale a tutti!
(anche a monsignor Twal).
254
L'INGENUITÀ DEL PAPA SULLA GUERRA
E I MAL DI PANCIA DEI CATTOLICI
(15/9/2014) Il post pubblicato sulla nostra pagina Facebook lo scorso 13
settembre, nel quale mostravamo l'ingenuità abissale dell'attuale Papa che a
Redipuglia ha attribuito la causa delle guerre ai fabbricanti di armi, ma ha taciuto sui
massacri compiuti dagli assassini islamici, ha suscitato un vespaio di polemiche
presso le gerarchie ecclesiastiche cattoliche, sempre molto sensibili quando si mette
in dubbio l'infallibilità pontificia su ogni aspetto dello scibile umano, dalla teologia
alla coltivazione delle margherite (eppure voi affezionati lettori ben sapete che un suo
predecessore scomunicò i nostri padri Templari ingiustamente, solo perché costretto
da un re "bello" di nome, ma orrendo e ributtante nell'anima). Ad esempio padre X, il
nostro contatto in Vaticano, ha inviato una lettera di fuoco al nostro Direttore
Generale Andrea Zuckerman, la quale gli aveva cortesemente inviato in anteprima il
testo del post:
«Cara Andrea, ho ricevuto solo oggi la tua mail perché da noi era interrotto da
sabato il servizio internet. Forse però era meglio se non l'avessi ricevuta affatto...
Ti rendi conto di quello che hai scritto? Sabato scorso il Papa ha visitato il
cimitero militare di Redipuglia che accoglie tante vittime della prima guerra
mondiale: una "inutile strage" operata non con rozzi coltellacci, come dici tu. Lo
stesso vale per i milioni di vittime della seconda guerra mondiale, che si è conclusa
con le bombe atomiche.
Attualmente, la "terza" guerra mondiale vede in campo le orde feroci e
agguerrite del califfato, con armi potenti e sofisticate che la loro scarsa tecnologia
non è certo in grado di fabbricare.
Ti invito a (ri)leggere quello che veramente ha detto il Papa. Non mi pare che
siano le stesse parole di qualsiasi comunistello no-global...»
Abbiamo accolto l'invito di padre X, e siamo andati a rileggere con grande
attenzione i discorsi ufficiali dell'attuale Papa fatti negli ultimi dodici mesi. Eccone
un esempio:
Omelia a Redipuglia, 13/09/2014:
«Anche oggi le vittime sono tante… Come è possibile questo? E’ possibile
perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di
denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!
E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure
gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: “A me che importa?”.
E’ proprio dei saggi riconoscere gli errori, provarne dolore, pentirsi, chiedere
perdono e piangere.
Con quel “A me che importa?” che hanno nel cuore gli affaristi della guerra,
forse guadagnano tanto, ma il loro cuore corrotto ha perso la capacità di piangere.»
255
Udienza generale, 11/06/2014:
«Penso a coloro che fabbricano armi per fomentare le guerre; ma pensate che
mestiere è questo. Io sono sicuro che se faccio adesso la domanda: quanti di voi siete
fabbricatori di armi? Nessuno, nessuno. Questi fabbricatori di armi non vengono a
sentire la Parola di Dio! Questi fabbricano la morte, sono mercanti di morte e fanno
mercanzia di morte. Che il timore di Dio faccia loro comprendere che un giorno tutto
finisce e che dovranno rendere conto a Dio.»
Angelus, 08/09/2013:
«A che serve fare guerre, tante guerre, se tu non sei capace di fare questa guerra
profonda contro il male? Non serve a niente! Non va… Questo comporta, tra l’altro,
questa guerra contro il male comporta dire no all’odio fratricida e alle menzogne di
cui si serve; dire no alla violenza in tutte le sue forme; dire no alla proliferazione
delle armi e al loro commercio illegale. Ce n’è tanto! Ce n’è tanto! E sempre rimane
il dubbio: questa guerra di là, quest’altra di là - perché dappertutto ci sono guerre è davvero una guerra per problemi o è una guerra commerciale per vendere queste
armi nel commercio illegale?»
Come vedete, l’industria delle armi è un chiodo fisso dell’attuale Papa fin dallo
scorso anno, quando bloccò l’intervento armato degli USA contro il regime di Assad
anche insinuando nel cuore e nella mente dei fedeli semplici che lo ascoltavano il
dubbio che si volesse fare la guerra a un regime dittatoriale per vendere più armi, cioè
precisamente quel che sostengono da settant’anni i comunisti. “Gli americani fanno le
guerre perché hanno gli arsenali pieni, così fanno le guerre, consumano un bel po’ di
armi, e ne comprano di nuove; è tutto un giro di soldi”; quante volte abbiamo sentito
questi discorsi da gente di sinistra, anche da chi non è mai stato un comunista, tanto è
diffuso questo luogo comune! E a quanto pare anche l’attuale Papa si accoda a questo
slogan, sostenendo che le guerre si facciano per vendere le armi!
Eppure ha ben nominato Caino! Caino ha forse ucciso suo fratello per
alimentare l’industria delle armi? O lo ha ucciso per invidia? E la guerra che gli
islamici fanno da settant’anni contro Israele e contro gli ebrei, arrivando a scrivere
nello statuto di Hamas che tutti gli ebrei del mondo devono essere uccisi, è forse fatta
per alimentare il commercio delle armi, oppure perché gli islamici sono rosi
dall’invidia nei confronti di Israele, nei confronti degli ebrei che hanno coltivato e
fatto fiorire il deserto, mentre loro, gli islamici, sanno solo uccidere e distruggere in
nome di Allah e Maometto? E la guerra che Putin, i comunisti cinesi e i
fondamentalisti islamici combattono contro l’America e l’Occidente, è forse fatta per
incrementare la produzione e il commercio delle armi, oppure perché Russi, Cinesi e
Islamici odiano l’America e l’Occidente perché hanno uno stile di vita diverso dal
loro, uno stile di vita fondato sul primato della persona creata da Dio a Sua immagine
invece che sul falso primato della comunità di origine, della razza, della Umma, dello
Stato?
La prima e la seconda guerra mondiale non sono state combattute perché erano
stati inventati gli aerei da guerra o i gas asfissianti o le bombe atomiche e si voleva
256
trovare un modo di utilizzarli; ma al contrario gli aerei da guerra, i gas asfissianti e le
bombe atomiche sono stati inventati per combattere due guerre che nascevano da
ideologie mortifere basate sul culto della razza e dello Stato, sull’odio, il disprezzo e
la discriminazione verso gli estranei al proprio gruppo, fossero essi stranieri, borghesi
o “infedeli”. E quanto alle “armi potenti e sofisticate” che il Califfato islamico
starebbe usando adesso, non ci sembra proprio di riuscire a vederle: nei servizi su
giornali e televisioni si vedono solo rozzi coltellacci, mannaie fatte a mano, cinture
esplosive costruite artigianalmente… Desta tanto turbamento che gente armata in
modo tanto rozzo abbia compiuto tanti e così atroci massacri? Oppure ci fa scandalo
l’idea che si possano compiere autentici genocidi anche senza usare le “armi potenti e
sofisticate” che sono appannaggio dell’Occidente “ateo e materialista”, che ci
consentono di riversare il nostro j’accuse sempre verso le democrazie occidentali che
si difendono da chi vuol distruggerle anziché contro i regimi totalitari? Forse
riusciamo a deplorare, a condannare un massacro solo se pensiamo che sia stato
commesso con “armi potenti e sofisticate”, così da dare in un modo o nell’altro la
colpa all’America, all’Occidente (“è l’America, è l’Occidente che ha venduto loro le
armi con cui si massacrano!”, dicono sempre i comunistelli no-global)?
La verità è che le guerre, i massacri, le persecuzioni, i genocidi nascono dal lato
malvagio del cuore umano, dal lato oscuro corrotto dalle ideologie e dalle religioni
false e bugiarde come l’Islam che spingono gli uomini a odiare chi è diverso da quelli
del loro gruppo, della loro razza, della loro religione, del loro Stato. Perciò le guerre,
i massacri, le persecuzioni, i genocidi finiranno soltanto quando tutti gli uomini e le
donne del mondo si riconosceranno membri dell’unica specie umana, con gli stessi
diritti e gli stessi doveri, e si uniranno in un solo Stato o Impero mondiale. Questa è la
nostra speranza, questa è la speranza che spinge noi mondialisti a lavorare ogni
giorno nella vigna del Signore, per dare il nostro piccolo contributo al Suo piano di
salvezza universale: “Che tutti siano una cosa sola”. Amen.
257
LA LEZIONE DELLA SCOZIA AL MONDO: UNITÀ !
(20/9/2014) Con il 55,3% dei voti gli abitanti della Scozia hanno risposto alto e
forte NO alla proposta di secessione dalla Gran Bretagna lanciata dall'ormai ex-primo
ministro di Edimburgo Alex Salmond - si è dimesso subito dopo la proclamazione del
risultato del referendum -.
A nulla sono serviti i suadenti inviti del Partito Nazionalista scozzese ai 4
milioni di residenti, a godersi in solitudine i proventi dell'estrazione del petrolio; così
come sono caduti nel vuoto gli sciagurati auspici delle gerarchie ecclesiastiche
cattoliche, le quali, evidentemente ricordandosi soltanto quando fa loro comodo della
Parola del Signore nostro Gesù Cristo: «Rendete a Cesare quel che è di Cesare»,
avevano esortato i fedeli dai pulpiti delle chiese, durante le sante Messe!, a tentare
un'improponibile restaurazione dell'«anima» cattolica del popolo scozzese "vessato
per tre secoli dagli antipapisti inglesi", come se in Gran Bretagna non ci fosse la
libertà di religione dall'Ottocento...
Nazionalisti e cattolici, marciando divisi per colpire uniti, volevano spezzare la
bella unità della Gran Bretagna, distruggere un Paese che per trecento anni è stato la
più grande potenza marittima del pianeta, un grande Paese che ha edificato un Impero
civilizzatore esteso su metà del globo, un grande Paese che per due lunghi anni, dal
1939 al 1941, si è opposto praticamente da solo all'assalto nazista, un grande Paese
che insieme ai fraterni Stati Uniti d'America ha fatto da baluardo per quarant'anni
all'espansionismo comunista in Europa, un grande Paese che ancora oggi, insieme
agli USA e a Israele, combatte in tutto il mondo contro l'imperialismo
fasciocomunista del tiranno Putin e contro gli assassini islamici del Califfato; tutta
questa bella realtà, questo tesoro di civiltà passata e presente e di promessa per il
futuro, i nazionalisti scozzesi e le gerarchie cattoliche volevano distruggerlo, buttarlo
nella spazzatura, fare come se non fosse mai esistito, peggio, come se non contasse
nulla rispetto alla rivendicazione del proprio "particulare" etno-religioso... Ebbene, a
questo folle tentativo gli abitanti della Scozia hanno detto NO!, hanno risposto alto e
forte che essi si sentono parte nobile e attiva del popolo britannico, che la Scozia,
insieme all'Inghilterra, al Galles e all'Irlanda del Nord, è membro di un'unica realtà
politica e giuridica, che le buone ragioni dell'unità sono più forti delle sirene della
divisione.
Il Comitato Direttivo del Partito Mondialista, in fraterna unione con tutti i suoi
membri sparsi nel mondo, plaude dunque alla grande prova di democrazia degli
abitanti della Scozia, che oggi hanno dato a tutto il genere umano la più grande
lezione: nella rinnovata unità della Gran Bretagna, essi mostrano a tutti gli uomini e
le donne del pianeta che il futuro del genere umano è l'unione in un solo Stato o
Impero mondiale federale e liberaldemocratico, in cui, fermo restando il rispetto
universale degli immortali e inalienabili diritti umani - primi fra tutti il diritto alla
vita, alla libertà e alla ricerca della felicità -, ogni città, ogni contea, ogni regione
possano amministrarsi autonomamente, gestendo senza ingerenze superiori le proprie
finanze per il bene delle varie comunità locali, esattamente come fanno ora gli
scozzesi e da domani faranno anche inglesi, gallesi e irlandesi; affinché si realizzi la
258
Parola del Signore Dio Onnipotente, Padre di tutti gli uomini, quella Parola che il
Papa e i vescovi cattolici dovrebbero ricordare e mettere in pratica, invece di
attardarsi in nostalgie revansciste: «Ut unum sint», che tutti siano una cosa sola: un
solo popolo, sotto una sola legge.
259
INCARNAZIONE E STATO MONDIALE: RIFLESSIONI
SU UNA RECENTE AFFERMAZIONE DI UN TEOLOGO CRISTIANO
(23/11/2014) Sul sito dell'agenzia di notizie cattolica zenit.org, il teologo
cristiano Robert Cheaib ha scritto oggi:
"Con l’incarnazione, Dio ha assunto la storia, il corpo e il tempo mostrandoci
chiaramente che non si può essere realmente di Dio senza passare per il tempo, il
corpo e la storia. Non esagero nel dire che una spiritualità disincarnata è una
spiritualità dell’anti-Cristo perché non riconosce e non confessa Gesù Cristo venuto
nella carne (cf. 2Gv 7)".
Molti nostri seguaci ci hanno scritto chiedendoci:
"Quanto affermato da Robert Cheaib non è in sintonia con quanto affermato
dagli antimondialisti, come ad esempio dal filosofo nazista Heidegger, dai no-global
di sinistra e di destra e dagli eurasisti, cioè che la divisione del genere umano in
molti popoli, in molte culture, sarebbe cosa buona e giusta, e che perciò sarebbe
cosa malvagia e ingiusta unire tutto il genere umano in un solo Stato mondiale? Se è
così, allora Robert Cheaib dice il vero o il falso? Cosa rispondete voi mondialisti?".
Noi mondialisti rispondiamo: Robert Cheaib dice il vero.
Ma Robert Cheaib non dice "tutto" il vero.
Come diceva il grande filosofo tedesco Hegel, solo il Tutto è il Vero.
Quindi dire solo una parte della verità, significa dire una non-verità, significa
dire una falsità.
Cosa manca a quanto detto da Robert Cheaib per essere "tutta" la verità?
È vero che Dio, incarnandosi, ha assunto il corpo, il tempo e la storia.
Quindi è vero che non si può essere realmente di Dio senza passare per il corpo,
il tempo e la storia.
Ma il corpo non è qualcosa di statico, il corpo è una realtà che cambia nel tempo
e nella storia.
E il tempo e la storia sono un cammino, un progredire (dal latino pro-gredior,
cammino in avanti, cammino verso); un cammino che ha un punto di partenza, delle
tappe e un punto di arrivo; un cammino che ha un inizio, uno svolgimento e una fine.
Perciò, incarnandosi e assumendo un corpo che cambia nel tempo e nella storia,
Dio ha assunto il cammino del genere umano nel tempo e nella storia;
un cammino che inizia dalla moltitudine "atomizzata" degli individui isolati,
e passa per l'unione degli individui in famiglie,
per l'unione delle famiglie in città,
per l'unione delle città in Stati,
e finirà con l'unione degli Stati nell'unico Stato mondiale del genere umano.
Perciò, chiunque volesse usare le parole di Robert Cheaib per "sacralizzare"
l'immobilità e l'immodificabilità dell'attuale divisione del genere umano in molti
popoli e culture, direbbe una non-verità, direbbe una falsità.
Perché la verità del genere umano, che è il grande corpo che Dio ha assunto, è la
totalità del suo cammino;
un cammino nel quale i singoli popoli, le singole culture, nascono, crescono,
260
decadono e scompaiono,
mentre il genere umano nella sua totalità cammina dall'estrema divisione verso
l'estrema unione,
dalla moltitudine degli individui isolati verso l'unico Stato mondiale.
261
LA CHIESA "MONDANA" E ANTIMODERNA SI ALLEA
CON IL TIRANNO PUTIN E CON L'ISLAM ASSASSINO
(14/06/2015) Il Signore Gesù Cristo, durante la sua vita terrena, ammonì molte
volte i suoi discepoli riguardo all'incoerenza dei sacerdoti israeliti, i quali dicevano e
non facevano. Evidentemente la Parola del Signore va applicata oggi alla Chiesa
guidata da Jorge Mario Bergoglio, il quale in ogni omelia, in ogni discorso mette in
guardia il popolo cristiano dalla tentazione della "mondanità", ma poi è lui, proprio
lui, il primo "mondano". Non è stato infatti segno di "mondanità" l'accogliere in
Vaticano per la seconda volta in due anni il cekista Vladimir Putin quale «ospite
gradito», enfatizzare su tutti i mezzi di comunicazione la sintonia fra Santa Sede e
Russia in molti settori - dalla necessità di trovare una «soluzione negoziata» alla crisi
ucraina alla protezione dei cristiani del Medio Oriente minacciati dal Califfato
islamico, alla difesa comune dei «valori tradizionali cristiani» contro il materialismo
gay sponsorizzato dai soliti "perfidi" americani - e perfino donare al tiranno
moscovita un medaglione raffigurante l'«Angelo della Pace che vince tutte le guerre»,
così come aveva fatto poche settimane fa con Abu Mazen?
Di certo non vi è coerenza fra le continue, insistenti invocazioni pacifiste di
Bergoglio e il suo definire «angeli di pace» prima un feroce terrorista assassino
islamico che ha pianificato la strage degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco
nel 1972 e migliaia di attentati terroristici contro aerei, autobus, ristoranti e
discoteche in Israele, e poi un tiranno crudele e ipocrita che ha mosso guerra, senza
dichiararlo, contro il pacifico popolo dell'Ucraina, ha invaso la penisola di Crimea, ha
inviato decine di migliaia di soldati russi senza uniforme a far strage di inermi civili
ucraini; così come non è coerente elevare alti lai a proposito della persecuzione dei
cristiani nel mondo, come Bergoglio fa da molti mesi, e contemporaneamente
accogliere con tutti gli onori nei sacri palazzi il capo di un movimento islamico che
sta "ripulendo" i territori cosiddetti palestinesi dai cristiani e l'erede del
cesaropapismo zarista che usa spregiudicatamente il cristianesimo ortodosso come
instrumentum regni. A tal punto si spinge l'incoerenza di Bergoglio, da ignorare
perfino il grido di dolore che sale verso Roma dai cattolici ucraini, tra i più fermi
oppositori dell'aggressione russa, i quali da più d'un anno gli chiedono, invano, di
condannare l'invasione del loro Paese, le stragi di civili innocenti, la "pulizia etnica"
dell'Ucraina orientale dalla presenza cattolica. La verità è che la Chiesa bergogliana ahi, quanto diversa da quella di Wojtyla e Ratzinger! - è terribilmente, cinicamente
coerente, non con quanto dice a parole, ma con ciò che Papa, vescovi, cardinali e
molti preti hanno nel cuore: la dura, sorda, ostinata opposizione nei confronti dei
princìpi di libertà, uguaglianza, democrazia e rispetto dei diritti umani che sono il
portato più nobile della Modernità, e quindi l'odio verso quei Paesi - gli Stati Uniti
d'America, dolce terra di libertà nonostante il rincitrullimento causato dal filoislamico
Obama, e Israele, unico Stato democratico in un Medio Oriente schiavo di tiranni e
dittatori laici e teocratici - che di quei sacri princìpi si sono sempre fatti portatori e
difensori.
La prova? Bergoglio dice che la Chiesa e la Russia di Putin vogliono difendere il
262
matrimonio e la famiglia dagli attacchi della lobby gay appoggiata dagli USA; ma in
realtà la Chiesa difende un modello di famiglia patriarcale e misogino, in cui - come
accade, non a caso, sia nei Paesi islamici che in Russia - la moglie è sottomessa, è
schiava del marito, il quale può picchiarla, sfregiarla con l'acido, persino ucciderla
restando impunito. Non a caso, con il prossimo Sinodo dei vescovi il Vaticano si
prepara a concedere il diritto di accostarsi all'Eucaristia anche ai divorziati risposati,
come avviene già nei Paesi di religione cristiana ortodossa; quindi la Chiesa
bergogliana, per la prima volta nella sua storia bimillenaria, si appresta a riconoscere
ai mariti cattolici anche il diritto di ripudiare le proprie mogli e di prendersi altre
donne, come già fanno gli uomini ortodossi e quelli musulmani, con tanti saluti al
principio di uguaglianza fra uomo e donna sancito dalla Bibbia, là ove dice che la
donna fu tratta, non dalla testa dell'uomo per essergli superiore, né dai piedi per
essergli schiava, bensì «dalla costola dell'uomo» per essergli sua pari!
Un'altra prova? Pochi giorni fa Bergoglio si è augurato che riprenda e giunga a
«felice conclusione» il processo canonico di beatificazione di un religioso francese,
tale padre Léon Gustave Dehon, morto nel 1925, il quale, molti anni prima che Hitler
prendesse il potere in Germania e avviasse lo sterminio di 6 milioni di Ebrei, in molti
scritti sostenne che gli ebrei erano «assetati di denaro», che «la bramosia del denaro
[era] un istinto della loro razza», definì il Talmud «un manuale banditesco, corruttore
e distruttore della società», e suggerì di rendere gli ebrei riconoscibili con particolari
contrassegni, di mantenerli chiusi nei ghetti, di escluderli dalla proprietà terriera,
dalla magistratura e dall’insegnamento; questo campione di antisemitismo, portato a
modello da siti fondamentalisti islamici come Radio Islam, Bergoglio vuol far
diventare beato e proporre ai fedeli come esempio di persona che avrebbe esercitato
le virtù cristiane in grado "eroico", mentre Benedetto XVI nel 2005 aveva bloccato il
processo canonico proprio a causa delle polemiche sull'antisemitismo di Dehon! Non
a caso, dunque, la Chiesa di Bergoglio si è alleata da una parte con la Russia
dominata dal tiranno Putin, ove gli episodi di antisemitismo si moltiplicano ogni
giorno, e dall'altra con il sedicente "Stato di Palestina" che vuole distruggere lo Stato
di Israele, occupare tutta la terra dal mare Mediterraneo al fiume Giordano, e
sterminare tutti gli ebrei del mondo: a determinare le alleanze della Chiesa è sempre
l'odio verso la Modernità e il Progresso, di cui il popolo ebraico è considerato (non a
torto) come il principale agente storico.
Ma la prova definitiva, inoppugnabile, dell'antimodernismo oscurantista della
Chiesa "mondana" guidata da Bergoglio, è la sua opposizione al progetto mondialista
di unificare il genere umano in un solo Stato mondiale, e il suo favore invece verso
una divisione del pianeta in una pluralità di «grandi spazi» culturalmente e
"spiritualmente" omogenei: un'Europa cattolico-protestante, una Grande Madre
Russia ortodossa estesa da Kiev a Vladivostok, l'Ummah islamica, una Grande Cina
confuciana che eserciti la sua egemonia sul Giappone e su tutto il Sud-est asiatico,
l'Africa subsahariana animista e tribale, un'America "indiolatina" che strappi agli
Stati Uniti le regioni abitate da immigrati cattolici e lasci agli anglosassoni bianchi e
protestanti solo il Middlewest e la costa orientale, al massimo... È la solita, antica
avversione nei confronti di un Impero universale che qui riprende vita, dopo che
263
Giovanni Paolo II il Grande aveva guidato la Chiesa ad allearsi con l'America di
Ronald Reagan, il Precursore dell'Impero mondiale, nella lotta di liberazione dal
comunismo - un'alleanza di cui noi mondialisti, senza falsa modestia, portiamo il
merito, come spiegammo già nel nostro scritto "Origini del Mondialismo" -; la stessa
avversione che nel Medioevo spinse i pontefici a condurre una sorda guerra di
logoramento contro il Sacro Romano Impero, al solo scopo di conservare l'egemonia
sulla penisola italiana, e che sempre ha spinto la Chiesa a opporsi a qualsiasi tentativo
di unire il genere umano sotto una sola autorità politica, allo scopo di rimanere la sola
istituzione sovranazionale e di continuare a detenere una funzione di arbitro fra gli
Stati.
Tutti questi argomenti, e molti altri che potremmo addurre, dimostrano a
sufficienza che la Chiesa guidata da Jorge Mario Bergoglio, a dispetto dei suoi
anatemi contro la "mondanità", è assolutamente, ostinatamente e pervicacemente
"mondana" e lontana da Dio nel suo voler allearsi con il tiranno Putin e con l'Islam
fondamentalista, terrorista e assassino contro gli Stati Uniti d'America e lo Stato di
Israele, unici difensori rimasti dei sacri princìpi di libertà, democrazia e rispetto dei
diritti dell'uomo che discendono dalla natura degli esseri umani, maschi e femmine
insieme, quali esseri razionali creati a immagine di Dio, e dalla distinzione posta dal
Signore Gesù Cristo fra le «cose di Dio» e le «cose di Cesare», fra la sfera religiosa e
quella secolare e politica. Per questo noi del Partito Mondialista continueremo
sempre a lottare, con la parola e con la spada, al fianco di Israele e degli Stati Uniti
d'America, per la difesa dell'Occidente dall'aggressione dell'Orso russo e del
fondamentalismo islamico, e per la creazione di un solo Stato o Impero mondiale che
superi le vetuste sovranità etno-nazionali, abbatta tutti i tiranni e i dittatori laici e
teocratici, e assicuri finalmente per tutti gli individui umani, maschi e femmine, il
rispetto dei sacri diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Quando questa
nobile missione sarà stata portata a compimento, ogni uomo e donna sarà libero di
adorare Dio secondo il dettame di una retta coscienza, nel rispetto dell'ordine
pubblico e degli altrui diritti a credere diversamente, e anche la Chiesa di Cristo,
liberata dall'ansia "mondana" del potere, godrà del diritto di annunciare il Vangelo
senza subire persecuzioni e senza dover stringere compromessi con i tiranni.
264
LA CHIESA DIVENTA POLITEISTA
PER ODIO VERSO L'IMPERO MONDIALE
(14/06/2015) Pochi giorni fa, l'11 giugno, il sito di informazione cattolica
zenit.org, che da tempo si pone quale portavoce ufficioso della Santa Sede, ha
pubblicato un editoriale di un certo Padre Alfonso Maria Bruno - nominato da
Bergoglio segretario generale della Congregazione dei Frati Francescani
dell'Immacolata dopo averla "commissariata" per motivi mai ben chiariti - intitolato
"Putin e il Papa: le ragioni di un’alleanza", che costituisce un capolavoro di
disinformazione e una manifestazione plateale di quell'Antilingua descritta da Orwell
in "1984" quale caratteristica dei regimi totalitari.
Dopo aver affermato che «la Santa Sede, [pur] non partecipa[ndo] ai conflitti,
sia militari che politici [...] partecipa ai conflitti ideologici», nel senso che «la
concezione cristiana del mondo e della storia può coincidere, almeno in parte, con le
istanze rappresentate dalle diverse forze in campo», e aver sottolineato che Putin, il
tiranno ricevuto in Vaticano con tutti gli onori, «ha preso la guida - già appartenuta
all’Impero Russo - dell’Ortodossia, cioè di una forza spirituale con cui il Papa - nella
sua visione geostrategica - è ben deciso non soltanto a dialogare, bensì anche ad
allearsi», l'ineffabile padre Bruno, per difendere Bergoglio dal sospetto - da lui stesso
ventilato - di aver "venduto" a Putin «i Cattolici dell’Ucraina, anzi l’Ucraina tutta
intera» (excusatio non petita, accusatio manifesta), si produce in una acrobazia
dialettica degna di un hegelo-marxista della peggior specie: da un lato l'accusa
sarebbe falsa in quanto il Papa latinoamericano sarebbe «un naturale fautore
dell’indipendenza dei popoli», ma dall'altro «questo grande obiettivo, questa meta cui
l’umanità tende[rebbe] - pur tra molte contraddizioni - da un secolo a questa parte»,
cioè l'indipendenza di tutti i popoli, «al punto che qualcuno giunge ad intravedere in
essa una teofania nella storia», non potrebbe prescindere dalla realtà, anzi proprio
dalla più cinica e cruda realtà geopolitica: infatti, tramontati gli Imperi, che per il
padre Bruno sarebbero tutti - in primis quello sovietico - altrettante “prigioni dei
popoli”, «esiste il problema di ristabilire quei legami storici, culturali e soprattutto
spirituali che li uniscono [i popoli], sia pure dovendosi rispettare la reciproca
indipendenza»; e pertanto istanze quali «il panslavismo e la solidarietà tra Ortodossi
[...] analoghe a quelle che accomunano i popoli islamici, devono essere riconosciute:
e soprattutto riconosciute dalla Chiesa Cattolica». In altre parole: i popoli della Terra,
per la Chiesa bergogliana, dovrebbero essere tutti indipendenti e sovrani,
formalmente, ma di fatto uniti da legami «storici, culturali e soprattutto spirituali» in
una pluralità di macroaggregati o «grandi spazi», fra i quali spiccano, non a caso,
l'Ortodossia e l'Ummah (la comunità mondiale di tutti gli islamici), che dovrebbero
godere di un «riconoscimento» giuridico ufficiale; e in nome di tale riconoscimento
Bergoglio avrebbe, secondo il padre Bruno, "giustamente" ignorato le «pressioni»
ricevute (da chi?) affinché si facesse difensore degli «interessi specifici dei Cattolici,
sia di rito orientale, sia di rito latino, che sono schierati tra i difensori più intransigenti
della contrapposizione di Kiev a Mosca».
Ora, non soltanto il giudizio del padre Bruno sugli imperi "prigioni dei popoli",
265
se preso nella sua assolutezza tranchant, è storicamente falso (ci sono stati imperi
accentratori e schiavistici, come quello assiro, quello di Napoleone e il Terzo Reich
hitleriano, ma anche imperi che accordavano pari libertà e dignità a tutti i propri
cittadini, come l'impero persiano di Ciro il Grande, l'impero romano e quello
britannico); non soltanto egli ammette candidamente che la Chiesa è apertamente
schierata, nel «conflitto ideologico» tra Mondialismo e antimondialismo, a favore
della divisione del genere umano in un pluriverso di «grandi spazi» storicamente,
culturalmente e soprattutto "spiritualmente" omogenei, egemonizzati da una potenza
centrale - come nel progetto stilato dal giurista nazista Carl Schmitt -; ma addirittura,
allo scopo di giustificare teologicamente questa opzione della Chiesa per la
frantumazione del genere umano in molti imperi continentali impermeabili l'uno
all'altro, egli si spinge a definire una tale frantumazione una «teofania nella storia»,
cioè una manifestazione di Dio (questo significa il termine greco "teofania"). O
meglio, poiché i vari macroaggregati statuali si differenzierebbero soprattutto dal
punto di vista "spirituale", si tratterebbe di una manifestazione nella storia
dell'esistenza di molti dèi, uno per ciascuno dei «grandi spazi». Insomma, pur di
contrastare l'avvento inevitabile dell'Impero mondiale, la Chiesa di Bergoglio, per
bocca dell'ineffabile padre Bruno - il quale, ricordiamolo, è stato posto a capo dei
Francescani del'Immacolata "commissariati" al fine di riportarli alla "retta dottrina"
(sic!) - ripudia la fede nell'unico Dio e si converte al politeismo!
La verità è che il Cristianesimo, non quello falso propagandato dai vari padri
Bruno, ma quello autentico annunciato dalla Chiesa per duemila anni, è
teologicamente incompatibile con la divisione del genere umano in una pluralità di
«grandi spazi», perché esso si fonda sulla fede in un Dio che è insieme Trino e Uno:
Trino in quanto composto da tre Persone uguali e distinte (il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo), ma Uno in quanto queste tre Persone condividono la medesima natura
o essenza. In modo analogo, il genere umano è plurimo in quanto composto da una
pluralità di individui, maschi e femmine; ma è unico in quanto questa pluralità di
individui, questi miliardi di uomini e donne che lo compongono nel corso della storia,
condividono tutti la medesima natura di esseri razionali creati da Dio a Sua immagine
e somiglianza. Per questo motivo noi mondialisti combattiamo e combatteremo
sempre, con la parola e con la spada, per liberare la Chiesa dalla schiavitù agli idolinazioni e per schierarla insieme agli Stati Uniti d'America e a Israele, scudo e lancia
della democrazia, nella grande guerra contro tutti i tiranni e i dittatori laici e
teocratici. Guerra che attraversa come un filo rosso tutta la storia dell'umanità, e che
si concluderà inevitabilmente con l'unificazione del genere umano in un solo Impero
mondiale, federale e liberaldemocratico, che abbatterà tutte le vetuste sovranità etnonazionali e assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per tutti. Un unico Stato per
tutti gli uomini, a immagine e somiglianza dell'unico Dio in tre Persone.
266
OBAMA E BERGOGLIO, I TRADITORI DEL MONDIALISMO
(22/10/2015, San Giovanni Paolo II Papa) Nell'ultimo canto dell'Inferno, il
sommo poeta Dante Alighieri racconta di aver visto, maciullati nelle tre bocche di
Lucifero, ai due lati Bruto e Cassio, traditori di Cesare e quindi dell'Impero, e al
centro Giuda Iscariota, traditore di Cristo e quindi della Chiesa. Ebbene, se fra
cent'anni - quando l'Impero mondiale sarà divenuto realtà - nascesse un nuovo Dante,
e scrivesse una nuova Commedia, egli certo descriverebbe un Lucifero con due sole
bocche, anziché tre, e in esse metterebbe, a maciullarsi, Barack Hussein Obama e
Jorge Mario Bergoglio, i traditori del Mondialismo.
Che Barack Hussein Obama sia un traditore del Mondialismo, è cosa ormai nota
a quanti leggono i nostri editoriali: fin dal suo primo insediamento alla Casa Bianca
egli ha annunciato il ritiro delle truppe statunitensi dall'Iraq a partire dal 2010, ha
proibito ai funzionari che lavorano per le agenzie di sicurezza nazionale di usare
l'espressione "guerra al terrorismo" e di qualificare i nemici degli Stati Uniti
d'America come terroristi; nel 2009 ha promesso dal Cairo ai tiranni di Teheran e
Damasco che gli Stati Uniti d'America non avrebbero mai tentato di scalzarli dai loro
troni di sangue come avevano meritatamente fatto con Saddam e con Milosevic, ha
fatto orecchie da mercante al grido di dolore del nobile popolo di Persia che
combatteva e moriva per opporsi al regime degli ayatollah pedofili e misogini; ha
abbandonato il popolo dell'Iraq alle faide tra sunniti e sciiti e ai massacri del Califfo
sanguinario, ha favorito l'ascesa al potere in Egitto del fondamentalista Morsi, ha
condotto trattative segrete per "normalizzare" i rapporti degli Usa con il regime
familistico-comunista dei Castro e con gli ayatollah iraniani che vogliono dotarsi
della bomba atomica per distruggere Israele. È fin troppo evidente che Obama è il
nuovo Bruto, il traditore di tutti i suoi predecessori, da Roosevelt che combatté il
nazifascismo a Truman che schierò la potenza degli Stati Uniti per difendere
l'Occidente dall'espansionismo sovietico, da Ronald Reagan il Precursore a George
Walker Bush: egli infatti ha sviato il popolo americano dalla missione di essere la
"città sulla collina", la nuova Gerusalemme che avrebbe dovuto abbattere tutti i
tiranni e i dittatori e fondare l'Impero mondiale apportatore di pace, prosperità, libertà
e giustizia per tutti.
Quanto al cardinale Jorge Mario Bergoglio (non possiamo, in coscienza,
chiamarlo Papa), la sua colpa è più sottile e meno evidente: egli non può essere
accusato di eresia, dal momento che tutti i suoi pronunciamenti pubblici - al netto
delle distorsioni giornalistiche - sono finora stati formalmente in linea con la dottrina
della Chiesa; ma anche Giuda, a ben vedere, era un Ebreo pio e osservante della
Legge. La colpa per cui Giuda è condannato all'inferno non è l'esser stato eretico, ma
regicida: egli non ha infranto i comandamenti della legge mosaica - così come Bruto
non ha violato le leggi romane - ma ha infranto il vincolo di fedeltà e di amore che lo
legava a Gesù Cristo, "Re dei Giudei" e suo Maestro, colui che lo aveva scelto come
apostolo, così come Bruto ha infranto il vincolo di fedeltà a Cesare, suo re e padre
adottivo.
Allo stesso modo Bergoglio ha sinora formalmente rispettato il Vangelo, la
267
Tradizione e il Magistero della Chiesa; ma ha condannato la globalizzazione,
bollandola come processo di omologazione irrispettosa delle differenze e delle
particolarità etniche, anche di quelle più retrograde e abiette come l'infibulazione e la
poligamia; ha suscitato una mobilitazione internazionale per impedire agli Stati Uniti
d'America di abbattere il regime del macellaio Assad e di salvare dal massacro il
popolo siriano (fornendo una buona scusa al filoislamico Obama che di bombardare
Assad, vassallo dell'Iran con cui stava negoziando segretamente da anni, non aveva
affatto voglia); ha rifiutato di ricevere in udienza il Dalai Lama e di pronunciarsi
pubblicamente contro il genocidio del popolo tibetano, mentre ha ricevuto più volte
con grandi onori il tiranno Putin invasore di Georgia e Ucraina; ha sempre omesso di
denunciare le persecuzioni dei cristiani nei paesi a maggioranza islamica e lo
stillicidio di attentati compiuti contro gli ebrei, anzi ha proclamato il diritto dei
musulmani di usare la violenza nei confronti dei vignettisti "blasfemi", ha condannato
la costruzione da parte della autorità israeliane della Barriera di Sicurezza che
nell'ultimo decennio ha fermato almeno in parte i terroristi palestinisti, e ha perfino
chiamato Abu Mazen, l'arcidittatore e capo di assassini, "Angelo della pace"; ha fatto
da mediatore tra Obama e il regime castrista, e nella sua visita a Cuba non ha speso
una sola parola per invocare la fine dell'oppressione che quel popolo soffre da mezzo
secolo, mentre San Giovanni Paolo II il Grande, all'Avana aveva ripetuto per ben 13
volte il grido "Libertà!"; ha rigettato l'idea wojtyliana di una "ingerenza umanitaria"
per salvare popoli minacciati da tiranni e dittatori.
Insomma, Bergoglio ha infranto il vincolo di fedeltà al Magistero del suo
insigne predecessore (o quam diversus ab isto!) che lo aveva creato cardinale, e sta
tentando in tutti i modi di ostacolare, anch'egli, la missione affidata agli Stati Uniti
d'America, in collaborazione con Israele e con tutto l'Occidente, di fondare l'Impero
mondiale, missione sacra perché rispondente alla volontà di Dio annunciata da Gesù
Cristo, Re dell'Universo, che cioè «tutti siano una cosa sola», un solo Popolo, sotto
una sola Legge, con uguali diritti e doveri per tutti. Pertanto egli va considerato il
nuovo Giuda, e come tale, insieme a Obama, sarà dannato in memoriam dalle
generazioni
future.
268
BERGOGLIO VUOLE IL SUICIDIO DELL'UMANITÀ. NOI NO
(21/11/2015) Come tutti certamente sapete, otto giorni fa, venerdì 13 novembre,
la città di Parigi è stata messa a ferro e fuoco da commandos di terroristi islamici che
hanno fatto esplodere bombe davanti allo Stade de France, hanno sparato a raffica su
persone innocenti sedute ai tavoli di ristoranti e bistrot, e infine hanno preso in
ostaggio centinaia di giovani che assistevano a un concerto nella sala concerti
Bataclan; la Francia ha subito reagito dichiarando lo stato di emergenza su tutto il
territorio nazionale e iniziando a bombardare Raqqa, la capitale dell'autoproclamato
Califfato islamico, ricevendo l'appoggio della Russia che ha scaricato su Raqqa una
pioggia non solo di bombe, ma anche di missili lanciati dalle sue navi nel
Mediterraneo e dai suoi bombardieri strategici; ieri, poi, un altro commando di
terroristi islamici ha assaltato un albergo a Bamako, la capitale del Mali, dove ha
seguito lo stesso macabro copione di altri assalti islamici: ha lasciato andare sani e
salvi i musulmani - cioè coloro che dimostravano di conoscere a memoria il Corano e ha trucidato senza pietà decine di francesi, americani, cinesi e clienti di altre
nazionalità, indegni di vivere ai loro occhi per il solo fatto di essere dei non-islamici
(infatti il regime comunista cinese non ha mai compiuto atti di guerra contro Paesi
islamici, anzi collabora con molti regimi islamici fornendo ad essi armi sofisticate e
denaro e costruendo infrastrutture in cambio di materie prime necessarie ad
alimentare il suo turbocapitalismo dirigista). Nel frattempo il cardinale Jorge Mario
Bergoglio, che la maggioranza dei cattolici nel mondo (non noi) considera l'attuale
Vicario di Cristo, ha affermato con veemenza che la Chiesa deve mantenere "le porte
aperte" a tutti, che pertanto il Giubileo della Misericordia da lui proclamato "a
sorpresa" non sarà annullato, che lui si recherà in visita in Africa senza alcuna scorta,
e ha proibito a tutti i cristiani del mondo di partecipare alla rappresaglia difensiva
franco-russa contro la guerra scatenata dall'Islam assassino contro il resto del genere
umano. Il nostro Direttore Generale Andrea Zuckerman ha parlato di tutto questo con
padre X, il nostro "contatto" nella Segreteria di Stato del Vaticano.
Padre X: Indubbiamente noi abbiamo un problema con l'Islam, ma non
possiamo pensare di risolverlo con la guerra, perché sarebbe un suicidio... i
musulmani sono più di un miliardo...
Andrea Zuckerman: Se è per questo, padre, i non-musulmani sulla Terra sono
più di cinque miliardi; chi crede che vincerebbe se si formasse una coalizione
planetaria di tutti i non-musulmani?
Padre X: Ma che dice? L'Islam non ha dichiarato guerra a tutti i non
musulmani, l'Islam ha dichiarato guerra solo a noi cristiani, e noi non possiamo
combattere questa guerra, perché siamo disuniti... Una volta i popoli cristiani si
unirono tutti contro l'Islam, tra l'altro guidati proprio dalla Francia, e allora vinsero
loro contro l'Islam...
Andrea Zuckerman: E come vinsero, padre? Forse facendo una chiacchierata
con gli islamici, o una partita di tennis?
Padre X: Non mi interrompa! Allora i cristiani che vinsero erano dei
269
mascalzoni, ma sapevano di essere dei mascalzoni, e sapevano distinguere il bene dal
male... Oggi invece il cristianesimo in Europa è disgregato, in Francia c'è questo
Hollande, questo ducetto, questa specie di piccolo Napoleone, questa mezza cartuccia
che s'è messo a sparacchiare per raccattare qualche voto, ma finirà male... E anche
Putin finirà male...
Andrea Zuckerman: Ma come, padre?!? Voi del Vaticano avete sempre
ammirato Putin perché secondo voi aveva riportato il Cristianesimo in Russia dopo il
comunismo ateo sovietico, perché difendeva la famiglia contro le teorie del gender...
lo avete difeso anche quando faceva assassinare i suoi oppositori... e adesso lo
scaricate perché si è messo contro l'Islam?
Padre X: Non mi interrompa! Voi mondialisti fate sempre le solite polemicuzze
da quattro soldi, siete sempre attaccati ai regni terreni, alle potenze di questo mondo,
Obma, Putin, Hollande... noi invece guardiamo più avanti, noi guardiamo oltre la
siepe del Leopardi, abbiamo un orizzonte più largo, guardiamo all'eternità... In
Francia Hollande, questo ducetto, questo piccolo Napoleone ha fatto cose terribili, il
matrimonio gay, l'eutanasia, come in Belgio, come in Olanda... ha fatto come faceva
Hitler... fa il male e lo chiama bene... Il cristianesimo è completamente svanito... In
queste condizioni l'Europa non può combattere una guerra...
Andrea Zuckerman: E allora cosa volete fare voi cattolici, padre? Se non
volete combattere contro l'Islam, vuol dire che vi arrenderete? Che vi sottometterete?
Padre X: Ma mai più! Noi non ci sottometteremo mai all'Islam... faremo come
dice san Paolo: vince in bono malum, vinci il male col bene... Adesso il Papa andrà in
Centrafrica, poi ci sarà il Giubileo, lasciamo passare il tempo, e il tempo aggiusta le
cose... no, non le aggiusta ma le acquieta... e se sarà necessario, noi siamo pronti a
rendere la nostra testimonianza a Cristo, testimonianza che in greco si dice martirio...
Andrea Zuckerman: Quindi voi cristiani siete pronti a farvi uccidere tutti per
rendere testimonianza a Cristo... E i non cristiani, i buddisti, gli induisti, gli atei, tutti
quelli che non credono in Cristo, cosa dovrebbero fare secondo Lei?
Padre X: Ma che ne so io... I non cristiani, i pagani, gli atei, quelli che non
conoscono Cristo e non credono in Cristo, come dice la Scrittura, non hanno
speranza, non sperano nella vita eterna, sono fissati, sono fossilizzati in questa vita
terrena che prima o poi deve finire, in un modo o nell'altro... Come dice il Signore,
"lasciate che i morti seppelliscano i loro morti": quelli che non credono in Cristo sono
già morti, sono morti dentro... Perciò ognuno di loro si regolerà secondo quello che
gli dice la sua coscienza: quelli che sono attaccati a questa vita si convertiranno
all'Islam, gli altri, boh... Ma gli altri, se non credono in Cristo e nella vita eterna, che
motivi forti hanno per non convertirsi ad Allah e Maometto? Nessuno... Perciò alla
fine si convertiranno tutti o quasi tutti all'Islam, tranne quei cristiani veri che avranno
la forza di testimoniare Cristo fino all'effusione del sangue...
Avete letto bene, amici della Rete? Bergoglio e tutto il Vaticano non hanno
alcuna intenzione di combattere contro l'Islam assassino, e ordinano a tutti coloro che
vogliono continuare a stare dentro la Chiesa cattolica di non difendersi contro
l'aggressione dell'Islam assassino, ma di scegliere se vogliono convertirsi al falso dio
270
Allah e al falso profeta Maometto per aver salva la vita, o se preferiscono
testimoniare la loro fede in Cristo a costo di farsi ammazzare, di lasciarsi scannare
come pecore da macello... Quanto ai non cristiani, Bergoglio e il Vaticano non se ne
curano: pensano che chi non crede in Gesù Cristo Figlio di Dio e nella vita eterna non
abbia delle motivazioni "forti" per non convertirsi all'Islam, e quindi abbandonano il
resto del genere umano a un destino di schiavitù.
Ebbene, a tutto questo noi mondialisti diciamo alto e forte: NO! NO
all'arrendevolezza dei pacifinti di sinistra, destra e centro che rifiutano di combattere
perché "l'Europa si fonda sulla pace"! NO alla falsa mitezza di quanti si professano
cristiani, ma dimenticano che il Signore Gesù Cristo non ha mai ordinato ai suoi
discepoli di non difendere gli innocenti in pericolo! NO a quanti dicono
"dialoghiamo, non facciamo la guerra all'Islam", e intanto si preparano a spartire il
potere con gli invasori! Noi mondialisti combatteremo contro l'Islam assassino,
nemico del vero Dio e di tutto il genere umano, finché non lo avremo sconfitto,
finché gli islamici non accetteranno la modernità, la libertà di religione e di pensiero,
l'uguaglianza fra uomo e donna e tra islamici e non-islamici, finché essi non
accetteranno di vivere in pace insieme ai non-islamici in un solo Stato mondiale,
oppure, se non lo accetteranno, finché non li avremo distrutti. Perché l'Islam è nemico
di Dio, della Morale e della Storia:
è nemico di Dio, perché il vero Dio, il Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo,
vuole l'amore e la misericordia, vuole che tutti gli individui umani vivano in pace e
amicizia reciproca, in un solo Stato mondiale in cui non ci sia più «né Giudeo né
Greco, né uomo né donna, né schiavo né libero, ma tutti siano una cosa sola»,
mentre il falso dio degli islamici vuole la discriminazione dei non-islamici, la loro
sottomissione con tutti i mezzi, con l'inganno e con la violenza, o la loro uccisione, il
loro sterminio se non si sottomettono;
è nemico della Morale, perché è nella natura relazionale dell'uomo di convivere
con i suoi simili secondo giustizia, cioè secondo l'aurea massima di Gesù Cristo «fate
agli altri quel che volete gli altri facciano a voi», mentre l'Islam, violentando la
natura umana, predica l'ingiustizia, la differenza nei diritti e nei doveri fra uomo e
donna e fra islamici e non-islamici;
ed è nemico della Storia, perché la storia del genere umano è storia del
movimento dalla chiusura all'apertura, dalle tribù isolate e in guerra fra loro verso
l'unico Stato o Impero mondiale che assicurerà pace, prosperità, libertà e giustizia per
tutti, mentre l'Islam vuole mantenere il genere umano diviso in varie comunità
impermeabili l'una all'altra, senza relazioni, senza mescolamento né sessuale, né
economico, né di alcun tipo.
Per questo l'Islam è destinato ad essere sconfitto, a finire nella pattumiera della
Storia insieme al nazifascismo e al comunismo; perché il futuro appartiene ai giovani
del Bataclan, ai giovani che vogliono vivere in pace, amicizia e amore in un mondo
senza barriere. E per questo vinceranno.
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