9. La prima rivoluzione inglese
a) I ceti popolari e la rivoluzione: i dibattiti di Putney
b) Milton: per la libertà di pensiero
c) Il processo a Carlo I d’Inghilterra
d) Il moralismo dei puritani
e) Winstanley: contro l’inganno della religione
S ocietà
I ceti popolari
e la rivoluzione inglese:
i dibattiti di Putney
FINESTRE SULLA STORIA
Profilo, La guerra civile e la decapitazione
di Carlo I…, p. 290
Un esercito di uomini liberi
Agli inizi del 1647, dopo
aver sconfitto e posto sotto
sorveglianza il re Carlo I, il
Parlamento considerava chiuso il conto con l’assolutismo
monarchico ed esauriti i suoi
obiettivi politici. I tribunali
speciali al servizio del re, come la Camera stellata o l’Alta Commissione, erano
stati aboliti. L’arcivescovo Laud, massimo difensore
della Riforma anglicana basata sul potere dei vescovi (episcopalismo) a cui i presbiteriani opponevano
i Consigli degli anziani sul modello delle Chiese calviniste, era stato mandato a morte nel 1645. Adesso
al Parlamento bastava soltanto gestire il potere acquisito e quindi decise di sciogliere l’esercito, dove si manifestavano segni di dissenso. Pertanto ne
smantellò una parte e dirottò il resto verso l’Irlanda, dove fin dal 1641 i cattolici avevano cercato di
approfittare della confusa situazione politica per
liberarsi dal giogo britannico. La speranza era di
tacitare con la distribuzione delle terre espropriate
ai «papisti» irlandesi le insidiose contestazioni dei
soldati.
Ma l’Esercito di nuovo modello (New model army)
era diverso da quelli tradizionali, formati da mercenari o da soldati arruolati a forza. Lo componevano
in primo luogo volontari provenienti dalle file dei
contadini liberi (yeomen, freeholders) e dalle botteghe artigiane delle città: sufficientemente istruiti (gli analfabeti non superavano il 25%, una cifra
estremamente esigua per l’epoca una cifra estremamente esigua) e fortemente politicizzati. Agli scontri sul campo di battaglia, i soldati erano abituati ad
alternare riunioni collettive dedicate alla preghiera
e appassionanti dibattiti riguardanti i destini del
paese. Cromwell, Ireton, Fairfax, Rainsborough (i
loro capi, i cosiddetti «grandi») erano molto amati
dai sottoposti, i quali d’altra parte potevano in breve
accedere ai posti di comando per i meriti dimostrati sul campo di battaglia, analogamente a quanto
accadrà alla fine del Settecento nelle armate della
Francia rivoluzionaria. Alle pressioni esercitate dal
Esercitazioni della cavalleria inglese in una incisione del XVII
secolo.
Parlamento per liquidare l’esercito divenuto una
minaccia rispetto ai nuovi equilibri sociali e politici
raggiunti, il New model army rispose con una serie
di dirompenti iniziative. Una petizione del marzo
1647 chiedeva l’abolizione delle decime destinate
ai ministri del culto, sostenendo l’opportunità che
«venissero pagate solo da coloro che si impegnano
a farlo e che pattuiscono con loro il compenso delle
loro fatiche». Nello stesso mese incominciò a prendere forma una struttura rappresentativa, col compito di preparare un raduno generale dell’esercito
per affrontare i temi di fondo della politica nazionale. Nel giugno l’esercito stabilì solennemente di
«non sciogliersi volontariamente e di non lasciarsi
dividere». Sempre nel giugno – e senza consultare
i “grandi” – alcuni soldati decisero il trasferimento del re a Newmarket, dove poteva essere meglio
sorvegliato onde vanificare trame filo-monarchiche
alle quali parevano interessati numerosi parlamentari e gli Scozzesi, alleati del sovrano. Nell’agosto
sfilò in segno di sfida per le strade di Londra e infine in ottobre alzò ulteriormente il tiro, autoconvocandosi per stilare un documento programmatico
intitolato: Patto del popolo per una stabile pace sociale.
Il Patto del popolo
I rappresentanti eletti democraticamente dai soldati
si ritrovarono a Putney, nei pressi di Londra, il 28
ottobre 1647 per incontrarsi coi rappresentanti de-
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FINESTRE SULLA STORIA
Stampa del XVII secolo
che mostra campagne ben
coltivate nei pressi di Cambridge.
gli ufficiali e coi «grandi» al fine
di mettere a punto (sull’esempio
dell’antica Magna Charta del 1215)
un documento di grande portata da sottoporre alla ratifica del
Parlamento. Cardine delle loro richieste era la sovranità popolare,
con la soppressione della Camera
dei lord (considerando «una pura
tirannia che le stesse persone sedessero in Parlamento per tutta la
vita») e una riforma elettorale che
prevedeva l’estensione del diritto
di voto a quasi tutta la popolazione maschile adulta.
Altre richieste riguardavano il decentramento amministrativo, la soppressione dei monopoli concessi
alle grandi compagnie commerciali, una più equa
ripartizione della ricchezza e la riforma dell’apparato giudiziario, eliminando fra l’altro l’uso del latino
nei dibattiti processuali e cancellando l’imprigionamento per debiti. Come se non bastasse – in una
Europa dominata dalla caccia alle streghe e dal settarismo religioso – si chiedeva la libertà di stampa
e d’opinione, la tolleranza per tutte le confessioni e
uno stato rigorosamente laico, estraneo ai problemi
di coscienza dei singoli cittadini. Venivano infine
avanzate misure destinate a garantire l’istruzione
pubblica generalizzata e gratuita, l’assistenza ai poveri e persino la creazione di un servizio sanitario
nazionale. Ciò che i rappresentanti dei soldati sottoponevano ai «grandi» era quindi un vasto progetto politico rivoluzionario che rovesciava il potere
dell’aristocrazia fondiaria, della grande proprietà
borghese e degli affaristi della city in cui si identificava il Parlamento. In questo progetto si riconoscevano la piccola e la media borghesia, ma anche
gli artigiani penalizzati dal controllo del mercato
ancora esercitato dalle antiche corporazioni e tuttavia soggetti alle loro ferree normative, esposti al
ricatto degli usurai e schiacciati dal monopolio del
commercio esercitato dalle potenti compagnie che
controllavano i prezzi. Vi trovavano inoltre spazio
la protesta dei piccoli agricoltori contro l’espandersi
delle recinzioni e il malcontento diffuso contro un
sistema fiscale che colpiva i consumi e che invece
esentava la proprietà fondiaria, a danno delle masse
popolari. Infine la tolleranza di tutte le confessioni
stava a cuore alle numerose minoranze religiose (se
ne contavano a centinaia), ancora costrette all’emarginazione dall’egemonia dei presbiteriani.
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L’intensa stagione dei livellatori
Nelle proposte sostenute dai rappresentanti dei soldati non era difficile riconoscere l’impronta dei livellatori (Levellers), un movimento politico che rievocava nel nome le rivolte contadine per abbattere
le recinzioni delle terre comuni operate dai grandi
proprietari. I Levellers si ispiravano all’agitazione
dei lollardi del XIV secolo, né a essi erano estranee le indicazioni democratiche dell’anabattismo
o il senso della tolleranza praticato dagli Olandesi.
Cresciuti rapidamente a partire dal 1646 e il 1649
e organizzatisi con proprie stamperie più o meno
legali e un comitato direttivo che si riuniva nelle
taverne londinesi, i livellatori giunsero a disporre
anche di un settimanale («The moderate»), pubblicato regolarmente per oltre un anno e persino di
un proprio simbolo: la coccarda verdemare. I loro
avversari li consideravano nemici dell’ordine costituito e qualcuno li accusava di «aver gettato tutti i
misteri, tutti i segreti del potere dinanzi al popolo»,
rendendolo in tal modo «talmente curioso e arrogante che non avrebbe mai più ritrovato l’umiltà
per sottoporsi alla legge». Un tale genere di «colpe»
era però motivo di vanto e di pungenti ironie per la
vasta pubblicistica che il movimento affidava alla
penna dei suoi maggiori esponenti: in primo luogo John Lilburne, colonnello dell’Esercito di nuovo
modello e autore di numerosi opuscoli, fra cui La libertà dell’inglese nato libero conferitagli dai Lords nel
giugno 1646, a causa del quale era stato condannato
a una lunga detenzione nella Torre di Londra da cui
potrà uscire solo in seguito a una petizione popolare firmata da migliaia di cittadini. Stretto collaboratore di Lilburne era Richard Overton, anch’egli
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Putney aveva operato manovre di
rinvio e aveva fatto appello al «buon
senso» per sostituire alla richiesta del suffragio universale il solo riconoscimento del
diritto elettorale soltanto a coloro che pagavano
le tasse o per escludere da ogni tolleranza il culto
cattolico e l’ancor più aborrito ateismo. In pratica Cromwell si servì dei livellatori per indebolire il Parlamento e poi utilizzò il Parlamento per
emarginare i livellatori. Seppe tuttavia recuperare alcune istanze contenute nella bozza del Patto
del popolo e poi si aprì con la forza la strada verso il potere. Difensore della Camera dei lord e rispettoso della legalità ufficiale fino al 1647, mutò
atteggiamento nel 1648 quando epurò energicamente la Camera dei comuni dai deputati sospetti
di simpatia realiste. Sciolse allora la Camera dei
lord, poi fece condannare alla decapitazione per
Il ruolo di Cromwell
I livellatori erano un movimento politico e
più propriamente il movimento politico della piccola borghesia e delle masse popolari. Gli
Indipendenti invece si caratterizzavano soprattutto sotto l’aspetto religioso, pur avendo un forte seguito tra la gentry (la piccola nobiltà rurale
con caratteristiche di borghesia imprenditoriale),
come interpreti dell’ortodossia puritana e quindi nemici giurati della Chiesa di stato anglicana,
alla quale opponevano l’autonomia delle Chiese
locali (congregazionismo). Alla resa dei conti
furono essi a dimostrare una maggiore capacità
di manovra e a raccogliere i frutti seminati dai
livellatori, governando, incontrastati, l’Inghilterra dal 1649 al 1660. Li guidava Oliver Cromwell
(1599-1658), esponente della gentry, in gioventù
avversario delle recinzioni e poi organizzatore
dell’Esercito di nuovo modello, di cui era diventato il capo indiscusso. Cauto nella fase cruciale
dello scontro tra i livellatori e il Parlamento, a
Stampa allegorica del 1658 che celebra Oliver Cromwell, lord
protettore della Repubblica Unita d’Inghilterra, Scozia e Irlanda
(le tre corone sono infilzate nella sua spada e dalla colonna di
destra tre donne in abiti regali rappresentanti i tre regni offrono
ciascuna l’alloro al lord protettore). Fra gli altri simboli, per lo
più di derivazione biblica, secondo la tradizione puritana, la
colomba sotto la luce di Dio, «al quale soltanto si deve gloria»,
la corruzione di Babilonia della monarchia Stuart, l’arca di Noè
condotta per volere di Dio attraverso Scilla e Cariddi fino al
sereno del monte Ararat. Londra, British Museum.
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FINESTRE SULLA STORIA
autore di numerosi saggi e fermo difensore della libertà di coscienza appresa in gioventù presso la comunità anabattista di Amsterdam. Altro esponente
di primo piano dei livellatori fu William Walwin,
colto umanista, razionalista convinto, fautore di un
cristianesimo che a suo avviso doveva concretizzarsi nel «soccorrere i miseri e nel riscattare i popoli
da tutti i tiranni e dagli oppressori». Al mancato
successo di questo movimento, che pure a metà del
1647 aveva il controllo dell’esercito e che sembrava avere in pugno la vittoria, contribuì l’illusione di
poter raggiungere un accordo con gli Indipendenti
(l’ala radicale del puritanesimo), avversari dell’assolutismo monarchico e sostenitori di una politica
di riforme. Gli Indipendenti erano rappresentati da
personaggi come Cromwell, Ireton e Fairfax, dotati
di un forte ascendente tra i soldati che nello scontro
tra i livellatori e il Parlamento avevano tenuto fino
al 1647 un atteggiamento oscillante. Nel corso del
raduno plenario di Putney, dove si doveva decidere
il destino delle istituzioni inglesi, Cromwell evitò la
contrapposizione frontale coi fautori del Patto del
popolo e lasciò a Ireton il compito di contrastare il
suffragio universale, la tolleranza religiosa e i punti che sembravano minacciare la tutela della proprietà privata, soppressa la quale per Ireton sarebbero sorte «anarchia e disordine». A sospendere i
Dibattiti di Putney giunse però la notizia improvvisa che il re Carlo I era riuscito a fuggire nell’isola di
Wight sotto la protezione della flotta e di fronte alla
prevedibile ripresa della guerra civile si ricostruì
l’unità dell’esercito, rimandando a tempi migliori la
discussione del Patto del popolo.
FINESTRE SULLA STORIA
alto tradimento il sovrano Carlo I
(1649) e inaugurò la Libera repubblica
(Free commonwealth). Abolì in seguito le intollerabili decime, ridusse i tassi di interesse
sui prestiti, liberò i contadini dalle residue servitù feudali e infine nel 1653 nominò d’autorità un
nuovo Parlamento composto da puritani di stretta osservanza (i cosiddetti «santi»), i quali cercarono di imporre a tutto il paese il loro acceso
rigorismo morale. Portò quindi a compimento il
tentativo non riuscito al Parlamento di chiudere
la partita con l’esercito, inviandolo alla conquista
delle terre irlandesi e pagando fino a dieci sterline per la testa di un prete cattolico. Garantita
la stabilità interna attraverso la dittatura, il lord
protettore della repubblica si preoccupò anche di
porre fine all’ascesa sui mari dei pur correligionari olandesi.
Dinanzi alla spregiudicatezza di un avversario
che sapeva alternare la repressione alle offerte
di pacificazione «con la forza della persuasione
e all’occorrenza utilizzando le lacrime» – secondo quanto scriveva un diplomatico veneziano –, i
livellatori rimasero confusi. Accusati di sostenere
l’abolizione della proprietà privata (nonostante
ne ribadissero la legittimità naturale, ma rivendicandola come diritto di tutti), essi assunsero la
causa della libertà dell’Irlanda come ultima barricata. Affermando con Walwin che la lotta degli
Irlandesi «alla ricerca dei loro diritti» coincideva con quella del popolo inglese che tentava di
scrollarsi di dosso «i propri oppressori», si adoperarono senza successo per provocare l’ammutinamento delle truppe. Sconfitti, intrapresero
cospirazioni fallimentari e furono anche accusati di collusione con gli ambienti realisti, mentre
molti dei loro esponenti (tra cui Lilburne) finivano i propri giorni nelle galere di Cromwell. Dal
canto suo la borghesia inglese della terra, dell’industria e degli affari accettò per qualche tempo
l’ombrello della dittatura puritana, salutando con
entusiasmo l’occupazione dell’Irlanda (un terzo
delle cui terre andarono ai conquistatori) e l’Atto di navigazione (1651) che sbarrava la strada
all’espansionismo olandese. Anche i poveri di
Londra ricevettero qualcosa e nei durissimi inverni tra il 1649 e il 1651, funestati dalle avversità
meteorologiche, beneficiarono di elargizioni gratuite di grano e di carbone. Ma crebbero coloro
che si domandavano se la lunga guerra civile non
fosse stata soltanto lo scontro tra due fazioni di
una stessa classe dominante per decidere quale
delle due avrebbe assunto l’egemonia.
I veri livellatori o zappatori
Le aspettative andate deluse dei ceti popolari sopravvissero dopo il 1650 in cenacoli ristretti, dove venivano riproposte le istanze della solidarietà
sociale e della libertà dall’oppressione. Alla sconfitta del movimento politico democratico corrispose pertanto la proliferazione di piccole confessioni per lo più ispirate all’anabattismo, come
i quaccheri (che ebbero i maggiori promotori in
George Fox e in James Nayles), sostenitori del pacifismo, della libertà di coscienza, dell’eguaglianza sociale e persino sessuale.
Questo vasto arcipelago di comunità autonome
noto col nome di veri livellatori portò alle estreme conseguenze la tensione ideale per la libertà,
l’opposizione al conformismo puritano, la critica
rimasta a mezzo delle diseguaglianze sociali o la
legittimità della proprietà privata, giungendo talvolta a suggerire l’identificazione di Dio con la
natura e con la ragione.
Ma l’iniziativa più radicale fu promossa da un gruppo di braccianti, gli zappatori (Diggers), che nel
1649 misero a coltura le terre comuni della collina
di St. George (proprio ai bordi della riserva reale
di caccia di Windsor), da cui prese spunto Gerrard
Winstanley per sostenere proposte ancor più rivoluzionarie di quelle dei livellatori. Razionalista,
ateo dichiarato e teorico dell’abolizione della proprietà privata della terra, egli cercò di indagare i
meccanismi psicologici che a suo giudizio determinavano i comportamenti religiosi, affermando che
«finché gli uomini guardano al cielo, i loro occhi
Cromwell licenzia i parlamentari (1653) e li sostituisce con
puritani di stretta osservanza. Le sue parole sono: «Andate via,
delinquenti, avete mangiato anche troppo!».
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M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore
Bibliografia
V. Gabrieli, Puritanesimo e libertà, Torino, Einaudi, 1952.
C. Hill, Il mondo alla rovescia. Idee e movimenti rivoluzionari nell’Inghilterra del Seicento, Torino, Einaudi, 1981.
H. N. Brailsford, I livellatori e la Rivoluzione inglese, Milano, Il Saggiatore, 1962.
M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore
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FINESTRE SULLA STORIA
resteranno spenti») e insieme elaborò un progetto politico in cui potessero riconoscersi i ceti non proprietari, la cui massa cresceva con lo
sviluppo del capitalismo. Alla proprietà privata, al denaro, all’avidità,
Winstanley contrapponeva comunità autonome, autogestite e confederate, ricollegandosi a taluni tratti
di una società nuova suggerita oltre
un secolo prima da Tommaso Moro
nell’Utopia. Il suo progetto non trascurava di scendere nei dettagli, fra
l’altro con la proposta di istituire un
servizio pubblico per divulgare rapidamente e dappertutto le scoperte e
i perfezionamenti tecnici conseguiti
o per rivendicare un’istruzione pubblica gratuita e capace di integrare
L’esecuzione di Carlo I, il 30 gennaio 1649, in una stampa del XVII secolo.
pratica e teoria.
Analogamente al movimento dei livellatori, anche quello ben più esiguo degli zap- Parlamento licenziato da Cromwell, pose fine alla
patori fu scompaginato dalla repressione, ma Libera repubblica e restaurò la monarchia consepiù ancora dagli incalzanti processi di trasfor- gnando il trono a Carlo II. L’ordinamento demomazione economica che assicurarono all’Inghil- cratico congregazionista crollò come un castello
terra l’egemonia del commercio internazionale di carta e fu ristabilito l’episcopalismo anglicano.
e ne fecero la dominatrice del mondo. Vincitore Solida rimase soltanto l’oppressione sull’Irlanda,
dello scontro con le forze popolari sembrò dun- mentre (come notava lo storico Brailsford) l’ideaque essere Cromwell, il potente lord protettore lismo puritano cedeva il posto a «una società ingordella repubblica che affermava orgogliosamente da e senza scrupoli, quale l’isola non ne conobbe
di aver portato a termine «grandi realizzazioni»: mai l’eguale». Diverso fu invece il destino dei vinti.
dall’edificazione delle nuove istituzioni alla con- Infatti un secolo dopo o poco più la democrazia
quista dell’Irlanda, fino alla creazione della Chiesa dei livellatori, rielaborata dalla cultura illuminipuritana congregazionista. Tuttavia alla sua mor- stica, comincerà a diventare patrimonio comune
te (1658) ben poco sopravvisse di questa costru- della coscienza moderna e l’esperienza dei Diggers
zione. Nel 1660 il generale Monk ripristinò il sosterrà i primi passi del pensiero socialista.
DOCUMENTI
Milton: per la libertà della cultura
Tra i maggiori poeti inglesi di tutti i tempi, come autore del poema Paradiso perduto (1667), John Milton
(1608-1674) si batté contro l’assolutismo monarchico e quando si aprì la crisi politica interruppe bruscamente un viaggio in Italia per fare rientro in Inghilterra. Fautore del divorzio, del diritto al tirannicidio,
irriducibile difensore della piena libertà di coscienza e di opinione, Milton pose i temi della libertà di cultura
al centro dell’Areopagitica (l’Areopago era nell’antica Atene il tribunale in cui si affrontavano i problemi politici della città), un pamphlet (da cui è ripreso il brano che segue) composto nel 1644, in piena guerra civile,
e indirizzato ai membri del Lungo Parlamento per sostenerli nello smantellamento della Camera stellata e
dell’Alta commissione, i due tribunali incaricati della censura sulla stampa e della persecuzione antipuritana.
Emarginato col ripristino della monarchia e il passaggio al potere di Carlo II (1660), Milton morirà quasi
cieco e dimenticato, ma nel 1696 verrà almeno in parte introdotta in Inghilterra la libertà di stampa, per la
quale egli si era battuto con tanta passione.
I libri non sono cose assolutamente morte, ma sono
invece animati d’uno spirito vitale, che li rende così
attivi come quello stesso spirito che li partorì. Anzi
essi custodiscono, come in una fiala, la più pura
essenza e virtù di quella mente che trasfuse in loro
la vita […] ed uccidere un buon libro è quasi lo stesso che uccidere un uomo. Anzi in un certo senso è
ancor peggio: perché chi uccide un uomo, uccide
una creatura dotata di ragione, fatta ad immagine
di Dio; ma chi distrugge un buon libro uccide la
ragione stessa, distrugge – direi quasi – la pupilla
di quella Immagine Divina. Sono molti gli uomini
che vivono, inutil peso della terra, ma un buon libro
è il prezioso fluido vitale d’uno spirito superiore,
imbalsamato e gelosamente custodito per una vita
al di là della vita.
Questa politica [ostile alla libertà di stampa] fu perseguita da Leone X e dai suoi successori, finché la
lega suggellata fra il Concilio di Trento (1545-1563)
e l’Inquisizione spagnola produsse e perfezionò
quegli Elenchi ed Indici espurgatori che, frugando
dentro le viscere di molti antichi ed ottimi autori,
perpetrano una violazione peggiore di qualunque
altra mai possa commettersi della loro sepoltura.
Né si limitavano alle questioni d’eresia, ma qualsiasi oggetto non andasse loro a genio essi o lo colpivano con una proibizione o lo mandavano senz’al-
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tro in quel loro nuovo Purgatorio dell’Indice. Ed
a colmar la misura di queste usurpazioni, la loro
ultima invenzione fu quella di ordinare che nessun
libro, opuscolo o foglio dovesse essere stampato –
come se san Pietro avesse lasciato loro le chiavi della Stampa anche fuori del Paradiso! –, a meno che
non fosse approvato e sottoscritto da due o tre frati
ghiottoni […].
Permettetemi che io vi racconti ciò che ho visto e
sentito in altri paesi oppressi da questa specie di
tirannica inquisizione. Nei quali paesi, trovatomi
io a sedere fra i loro dotti […] fui da loro reputato fortunato per aver avuto i natali in una terra di
filosofica libertà – come stimavano che fosse l’Inghilterra –, mentre essi invece non facevano altro
che lamentarsi della servitù in cui erano caduti i
loro studi, affermando che era questa servitù che
aveva offuscato la gloria del genio italiano, in modo
che niente si scriveva laggiù da molti anni, se non
adulazioni e tronfia rettorica. Fu lì ch’io trovai e visitai il famoso Galileo, ormai vecchio, divenuto prigioniero dell’Inquisizione perché aveva pensato in
astronomia diversamente da come pensano i suoi
censori francescani e domenicani.
J. Milton, Areopagitica. Discorso per la libertà della stampa,
Roma-Bari, Laterza, 1987.
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Il processo a Carlo I d’Inghilterra
Un tempo furono instaurati buoni re per rendere
giustizia; da ciò apprendiamo che il fine che ci si
era proposto facendo i re o qualsiasi altro governante è stato quello di godere della giustizia. Tale
è l’unico fine; pertanto, signore, se un re vuol tendere a un fine diverso, che sia del tutto contrario a
quello, o se un qualsiasi altro governante tende a un
fine contrario a quello per il quale il suo governo
è stato instaurato, bisogna che sappia ch’egli altro
non è se non un ufficiale al quale hanno affidato
un incarico e ch’egli è obbligato a impiegarlo per il
bene del popolo che gli è stato affidato. Se non lo fa
spetta a questo popolo dare ordine che si punisca e
castighi questo governante per aver commesso una
tale offesa.
Questa, signore, non è una nuova legge fatta da
ieri o da quando v’è dissidio e dibattito tra voi e
i vostri popoli, ma è una legge antichissima. […]
Noi non possiamo più, signore, dispensarvi dalla
qualifica di traditore, e faremo vedere che l’ave-
te ben meritata. Essa denota una persona che ha
tradito la fede e la fiducia riposte in lei, e si deve
supporre che questo venga fatto verso un superiore. Epperò, signore, come il popolo d’Inghilterra
avrebbe commesso la medesima offesa contro di
voi se se ne fosse reso colpevole secondo la definizione della legge, così da parte vostra quando
avete abusato della pubblica fede e ingannato la fiducia che egli ha riposto in voi, voi avete tradito la
fede ai vostri superiori, poiché appunto per il bene
del regno v’era stato affidato quel potere. Perciò,
signore, quando vi si chiama a render conto per
aver tradito la vostra fede al pubblico e abusato del
potere che era stato depositato nelle vostre mani,
lo si fa per l’autorità dei vostri superiori. Quando
il popolo chiama un re in giudizio, questo diventa
il minore e colui al quale deve render conto è più
grande di lui.
G. Walter, La rivoluzione inglese, Novara, De Agostini, 1972.
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DOCUMENTI
Dopo la sua definitiva cattura (1648), il sovrano Carlo I fu tradotto dal parlamento dinanzi all’Alta corte di
giustizia (1649) per essere processato come colpevole di aver violato le leggi e i diritti dei cittadini inglesi. Il re
si rifiutò di rispondere ai giudici, di cui disconosceva l’autorità in quanto la sua persona non poteva essere
sottoposta al controllo dei sudditi. Invece il tribunale sostenne che ogni potere doveva essere considerato in
ultima analisi funzionale al benessere del popolo e in tal modo contestò l’ordinamento politico piramidale di
tipo feudale, con al vertice la figura del monarca legittimato nel suo ruolo soltanto da Dio. Si trattava di uno
scontro – per altro già deciso sul terreno delle armi – tra due opposte concezioni della società e della politica.
DOCUMENTI
Il moralismo dei puritani
Il rigore moralistico dei puritani, che si allargò ai loro insediamenti coloniali in America, che anticipò e
accompagnò la rivoluzione inglese, che lasciò tracce profonde nel costume anglosassone al di qua e al di là
dell’Atlantico, appare rimarcato dai due documenti che seguono.
Nel primo (del 1647) il parlamento decreta la chiusura dei teatri, considerati luoghi di distrazione e di potenziale perdizione per i credenti, assoggettando gli attori alle pene detentive previste per i vagabondi. Nel secondo
(del 1649) il governatore della Nuova Inghilterra condanna la moda dei capelli fluenti per i maschi, segno – a
suo avviso – di tendenze trasgressive e pericoloso indizio di corruzione.
Ordinanza sulla soppressione dei teatri
Un’ordinanza dei Lords e dei Comuni riuniti nel
Parlamento, per la soppressione e l’abolizione di
tutti i teatri e interludi [brevi recitazioni], con le pene da infliggere agli attori e spettatori, qui incluse.
Venerdì 11 febbraio 1647. […]
Poiché il teatro […], mal tollerato dai Padri della
religione cristiana, è occasione di molti e svariati
vizi e disordini morali che provocano l’ira di Dio
[…], come già si avverte in questo nostro Paese, con
grave danno per la pace interna, in considerazione
di ciò esso viene vietato dall’Ordinanza di questo
parlamento.
Pertanto per dare efficacia alla soppressione del
teatro si ordina e decreta da parte dei Lords e dei
Comuni, con l’autorità che hanno, che tutti gli attori
di commedie e interludi sono e saranno considerati
come dei vagabondi, passibili delle norme decretate sotto il regno della regina Elisabetta [1558-1603]
e di Giacomo I [1603-1625] e che saranno giudicati
secondo le dette norme, siano o no dei vagabondi,
senza tener conto di nessuna autorizzazione concessa dal re o da qualsiasi altra persona per questa
attività.
Contro la moda maschile
di portare i capelli lunghi
La moda dei capelli lunghi, secondo lo stile dei
ruffiani [procacciatori di incontri con prostitute]
e dei barbari indiani, che ha cominciato a invadere la Nuova Inghilterra, [è] cosa contraria alla parola di Dio che considera una vergogna per
un uomo libero portare i capelli lunghi (I Cor. XI
14), com’è anche contraria a tutte le abitudini
delle nazioni protette da Dio. Pertanto noi magistrati […] manifestiamo il nostro disaccordo nei
confronti della moda di portare i capelli lunghi,
essendo una cosa incivile e non maschile. Infatti
gli uomini che li portano offendono se stessi e gli
uomini onesti, corrompendone i loro buoni costumi. Invitiamo dunque tutte le persone adulte
di questa giurisdizione a collaborare con le pubbliche autorità e a fare in modo che i membri
delle rispettive confessioni non siano corrotti da
costoro.
D. J. Boorstin, An American Primer, Chicago, The University
of Chicago Press, 1966; trad. di L. Giacobbe.
C. Hill, Society and Puritanism in Prerevolutionary England, London, Secker and Warburg, 1964; trad. di
L. Giacobbe.
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Wintstanley: contro l’inganno della religione
Gerrard Winstanley (1609-1660), il maggiore esponente degli Zappatori, denuncia nell’opuscolo “La legge
della libertà” l’inganno operato delle religioni che pongono in primo piano l’aldilà e impediscono in tal modo
di valutare realisticamente le condizioni sociali terrene, difendendo i privilegi e le ingiustizie esistenti.
con quello che ti do come pagamento per il tuo lavoro. Giacché se farai diversamente, Dio non ti amerà
e quando muori non andrai in cielo, ma sarai preda
del demonio e sarai condannato all’inferno. […] Devi
credere quel che è scritto e ti è detto, e se non credi,
la tua dannazione sarà tanto maggiore».
Orbene, il fratello minore essendo debole di spirito
e non avendo una conoscenza fondata della creazione, né di se stesso, si spaventa e rinunzia alla sua
parte della terra, e si assoggetta a far da schiavo a
suo fratello, per paura dell’inferno dopo la morte,
e nella speranza di guadagnarsi con ciò il paradiso; così si lascia cavar gli occhi e la sua ragione è
accecata.
Pertanto questa dottrina spirituale teologica è una
truffa; poiché mentre gli uomini levano lo sguardo
al cielo, sognando la felicità o temendo l’inferno dopo morti, son loro cavati gli occhi, sì che essi non
vedono quel che è il loro diritto innato e quel che
devono fare qui sulla terra finché vivono: questo è
l’immondo sognatore, la nuvola senza pioggia.
H. N. Brailsford, I Livellatori e la rivoluzione inglese, a cura
di B. Maffi, Milano, Il Saggiatore, 1962.
M. Giappichelli, A. Polcri, S. Fusi, Immagini in movimento 1, Cappelli Editore
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DOCUMENTI
Molte volte […] quando un cuore saggio è aggredito
con questa dottrina d’un Dio e d’un demonio, d’un
cielo e d’un inferno, d’una salvezza e d’una dannazione dopo la morte, se il suo spirito non è saldamente fondato nella conoscenza della creazione o
nella tempra del suo cuore, costui si sforza e tende
l’intelletto onde scoprire il fondo di quella dottrina
e non può raggiungerlo; poiché non di conoscenza
si tratta ma di immaginazione; e così col meditare
e almanaccare finisce col perdere la sapienza che
possedeva e perde il lume della ragione; e se predomina la passione della gioia, è lieto e canta e ride ed
è esuberante nelle sue espressioni, e dice cose strane, ma tutte fantastiche. Ma se predomina la passione del dolore, allora è depresso e triste, e grida
che «è dannato, che Dio l’ha abbandonato e quando
muore egli dovrà andar all’inferno, che non può assicurarsi d’esser chiamato fra gli eletti». […]
E ancora, questa dottrina serve come un mantello
di doppiezza all’astuto primogenito, per defraudare l’ingenuo fratello minore della libertà della terra.
Egli dice infatti: «La terra è mia e non tua, fratello; tu
non devi lavorarla se non la prendi in affitto da me,
e non devi coglierne i frutti se non li compri da me,
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9. La prima rivoluzione inglese