Città di Avigliano Regione Basilicata Emanuele Gianturco: l’uomo dalle molte anime Edizione CICS Le foto a pag. 43 e pag. 59 sono state concesse dall’Archivio Imbrenda - Avigliano. © Edizione CICS - 2007 Centro Iniziative Culturali e Sociali Avigliano (Pz) Finito di stampare nel mese di luglio 2007 nella Tipografia Pisani Teodosio Via Luigi Sturzo - Tel. 0971.700693 - 85021 Avigliano (Pz) e-mail: [email protected] Presentazione “Ex umili potens”: questo verso, composto con intento autobiografico da un grande poeta lucano oltre duemila anni fa, ben si presta a descrivere la vicenda umana di Emanuele Gianturco, sicuramente uno dei più grandi uomini che l’antica terra di Basilicata abbia visto nascere. Di origini umilissime ebbe la capacità di diventare, nel volgere di circa venti anni, una delle personalità di maggior rilievo dell’Italia liberale, affermandosi come giurista e come politico. Vi riuscì esprimendo al massimo livello le doti migliori della propria terra natia: l’intelligenza, la tenacia, l’onestà, la profonda religiosità, la laboriosità. Qualità che gli aviglianesi, e i lucani in genere, spesso dimostrano al meglio lontani dalla propria realtà, quando sono chiamati a confrontarsi con gli altri e riescono a vincere quel sentimento di impotenza e di perenne insoddisfazione che sovente li limita quando operano nel proprio contesto. L’edizione del presente volumetto, che viene distribuito gratuitamente alle famiglie residenti nel Comune in occasione dell’Anno Gianturchiano, ha lo scopo di contribuire a far conoscere a tutti la figura e l’opera del grande concittadino che ha saputo imprimere un segno indelebile nella storia di Avigliano. Avigliano, 24 giugno 2007 Il Sindaco Domenico Tripaldi Indice Introduzione . . . . . . . pag. 5 Note Biografiche su Emanuele Gianturco a cura di Fabio Ferrara . . . . . . pag. 7 Emanuele Gianturco: il politico, il giurista e il musicista a cura di Daniela Claps ...... pag. 21 IL POLITICO ...... pag. 23 IL GIURISTA ...... pag. 43 IL MUSICISTA...... pag. 59 Bibliografia . ...... pag. 63 Introduzione Lo storico napoletano di origine lucana, Saverio Cilibrizzi, definì Gianturco: “la figura più gigantesca della Lucania per potenza e versatilità d’ingegno, dopo Mario Pagano”, e rilevò che in lui si fusero, armonicamente, il musicista, il giurista, il docente, l’avvocato, l’uomo politico e il legislatore. Emanuele Gianturco nacque in Avigliano, il 20 marzo 1857, da padre calzolaio e da madre contadina, in una famiglia numerosa, con molte bocche da sfamare. A ricordare le origini e le amare vicende degli anni della prima giovinezza sarà lui stesso quando, il 20 aprile 1889, presentandosi agli elettori del terzo collegio di Potenza come candidato alla Camera dei Deputati, compendiò la sua vita e il suo programma in questa frase: “Ebbi umili i natali, avversa la fortuna, e questa vinsi e quelli nobilitai con la sola perseverante virtù del lavoro … Dovunque risplenda la luce di alti ideali, dovunque chiami la voce del dovere, là sarà il mio posto.” Dotato di alto intelletto e tenace volontà, dopo un’infanzia e un’adolescenza di stenti e di sacrifici, sotto la guida del fratello maggiore, sacerdote, chiamato con riconoscenza e venerazione “zio prete”, a 21 anni conseguì a Napoli la laurea in giurisprudenza presso l’Università degli Studi “Federico II”, e a distanza di pochi giorni, il diploma di maestro compositore al Conservatorio di musica “S. Pietro a Majella” del capoluogo partenopeo, frequentato grazie a una borsa di studio, concessagli dall’Amministrazione Provinciale di Potenza. A seguito di mature riflessioni, su parere del padre e su consiglio di Giustino Fortunato, il Gianturco rifiutò la direzione di un’orchestra a New York e scelse la via della scienza giuridica. A 25 anni era già libero docente di Diritto civile all’Università di Napoli; intraprese, parallelamente all’insegnamento universitario, una rinomata attività forense che lo pose, in pochi anni, tra i più importanti maestri innovatori del diritto civile. Coltivò, altresì, tra le mura domestiche, la passione per la musica; ai suoi concerti in famiglia assistettero anche Nitti e D’Annunzio, ospiti in casa Gianturco. A 32 anni, dette inizio ad una brillante carriera politica, entrando a far parte della pattuglia dei parlamentari lucani: Fortunato, Lacava, Branca, Grippo, Torraca e Nitti, un gruppo molto qualificato e più numeroso della rappresentanza napoletana. Si fece notare subito per i suoi lucidi e apprezzati interventi alla Camera dei Deputati di cui rivestì, per tre volte, la carica di vice presidente. In breve tempo gli furono conferiti incarichi ministeriali, prima, come sottosegretario di Stato alla Giustizia, poi, quale ministro della Pubblica Istruzione, due volte come Ministro della Giustizia; in ultimo, fu ministro dei Lavori Pubblici. La morte lo colse, prematuramente, a cinquant’anni allorché era auspicata la sua nomina a presidente del Consiglio dei Ministri. Nei 18 anni di vita politica, con i parlamentari della sua generazione, che avevano ereditato l’Unità dai padri del Risorgimento, s’impegnò ad assolvere il compito della nascita e della formazione di uno Stato etico, con nuovi ordinamenti, con diritti comuni ed eguali opportunità di vita civile e sociale per tutti i cittadini, riformando e creando nuove istituzioni. Nel Parlamento, si caratterizzò come un liberale, tutt’altro che conservatore, attento alle esigenze e alle istanze dei ceti popolari. Spiccò per le grandi intuizioni che, nonostante non avessero trovato immediato accoglimento, sarebbero andate a realizzarsi nel tempo. Nelle ricorrenze del Centocinquantenario della nascita e del Centenario della morte di Emanuele Gianturco (1857 – 1907), il C.I.C.S. – (Centro Iniziative Culturali e Sociali) di Avigliano, attivamente partecipe alle manifestazioni celebrative indette nel corrente 2007, proclamato «Anno gianturchiano» dal Comune di Avigliano, intende, attraverso la presente pubblicazione, offrire un proprio contributo alla divulgazione del nome e della figura del più illustre Figlio della comunità aviglianese. Avigliano, giugno 2007 Il Centro Iniziative Culturali e Sociali di Avigliano 6 Note Biografiche su Emanuele Gianturco A cura di Fabio Ferrara 7 8 Emanuele Gianturco 20 marzo 1857 Emanuele Luca Gianturco nasce ad Avigliano, figlio del calzolaio Francesco e di Domenica Maria Mancusi, trascorre l’età adolescenziale nel paese natale,in una casa simile ad un capannone , senza una camera , senza una stanza,insieme alla sua numerosa famiglia. Il padre Francesco,vedovo di Vita Crescenza Claps da cui aveva avuto 6 figli , sposò in seconde nozze, Domenica Maria Mancusi, da cui nacquero Emanuele e Vincenzo. Ad Avigliano, Emanuele compie i primi studi, frequentando dapprima la scuola privata del fratello maggiore Giuseppe(1) e poi la quarta ginnasiale nel ginnasio comunale istituito ad Avigliano. 1871 Giunge per la prima volta a Napoli, condotto da Giuseppe, per terminare gli studi ginnasiali. Frequenta il "Principe Umberto", licenziandosi primo tra quattrocento studenti. 1872 Insieme a Vincenzo e Giuseppe, è costretto a trasferirsi al liceo "Campanella" di Reggio Calabria per frequentare la prima liceo. Motivo del trasferimento è l'assegnazione della cattedra di prima classe ginnasiale a Giuseppe, lo"zio prete". 1873-1875 Termina gli studi liceali a Potenza. 1876-1879 Tornato a Napoli, si iscrive alla Facoltà di legge presso l'Università Federico II. Inoltre, segue le lezioni di Luigi Settembrini(2) e frequenta la seconda scuola di Francesco De Sanctis(3). luglio 1879 Nella stessa settimana, riesce a laurearsi in legge con Giuseppe Polignani(4), con una tesi "Sulle fiducie nel diritto civile italiano", e a diplomarsi al Conservatorio di S. Pietro a Majella. 9 gennaio 1880 Risulta iscritto all’albo dei procuratori legali di Napoli. 1880 Ha la fortuna di entrare, grazie alla protezione di Polignani, nello studio legale dei fratelli Plastino(5). Qui, inizia ad esercitare la professione legale e, nello stesso tempo, a collaborare alla nota rivista “Il Filangieri” (alla quale rimane legato fino al 1886). 1881 E’ autore di un famoso scritto “Gli studii di diritto civile e la questione del metodo in Italia”, nel quale propone il passaggio dal puro commento esegetico alla costruzione sistematica del Codice, intendendo, con tale svolta, esaltare il vantaggio espositivo delle nuove tecniche di studio e, quindi, la loro idoneità a mettere in luce principi di diritto non rilevabili letteralmente dal tessuto delle norme contenute nel Codice. E' in questo periodo che pone molta della sua attenzione sull’annoso problema del rapporto tra insegnamento universitario del diritto e tirocinio professionale. 1882 A 28 anni, pubblica la prima edizione della Parte Generale ed inizia l’attività di libero docente. La sua scuola privata è strutturata su un modulo tipicamente seminariale e di lavoro collettivo, che connota l'attività didattica di una proiezione familiaristica, facendo del maestro un padre. Egli fa riferimento al modello educativo delle antiche scuole di retorica di Roma, allo spirito critico e alla socialità delle discussioni propri degli Studi medioevali. 1884 Pubblica la “Crestomazia di casi giuridici in uso accademico”, opera dedicata a Rudolf von Jhering(6), celeberrimo giurista tedesco, nonché amico e corrispondente del Polignani. gennaio 1885 Risulta iscritto all'albo degli avvocati. 10 1885 Difende il diritto degli aviglianesi di far legna nel bosco di Lagopesole. marzo e aprile 1885 Partecipa al concorso per la cattedra di Diritto civile nell’Università di Torino. settembre 1885 Presenta domanda di concorso per la cattedra di Diritto civile della Libera Università di Perugia. 1886 Partecipa al concorso per la cattedra di Diritto civile nell’Università di Macerata ed in quella di Messina ,risulta vincitore ma rifiuta entrambi gli incarichi preferendo continuare il suo insegnamento privato a Napoli. 1889 Vince il concorso per la cattedra di Diritto civile presso l’Università di Napoli. maggio 1889 Viene eletto per la prima volta alla Camera, il 5 Maggio 1889, nel terzo collegio di Basilicata. dicembre 1889 Sorge il "Circolo giuridico", organismo attivissimo di cui è per 6 anni vicepresidente. 1890 Viene rieletto nel collegio di Acerenza. giugno 1890 Sposa, il 5 giugno 1890, nella chiesa di S. Pasquale, in Portici, Remigia Guariglia. 11 agosto 1890 Inizia il contenzioso con l’Università di Napoli. In qualità di parlamentare, è costretto a rinunciare ad ogni lucro che possa derivare dalle quote d’iscrizione e ad accettare il ruolo di “incaricato ufficiale gratuito” dell’insegnamento di Diritto Civile. 1891 Prende vita il primo volume delle Opere giuridiche, con lo scritto "Lettere agli agricoltori italiani". 1892 E’ rieletto nel collegio di Acerenza. settembre 1892 Ottiene la nomina ad "ordinario" per impulso del nuovo Ministro della Pubblica Istruzione, Ferdinando Martini. 1893 Pubblica lo scritto "Le indagini sulla paternità", contenuto nelle Opere giuridiche. 1893 Entra a far parte, in qualità di socio onorario, del Circolo giuridico di Palermo. maggio-settembre 1893 E’ Sottosegretario di Stato alla Giustizia con i ministri Eula e SantamariaNiccolini nel primo gabinetto Giolitti. 1895 E’ eletto per la quarta volta nel collegio di Acerenza. marzo 1896-settembre 1897 E’ Ministro della Pubblica Istruzione. giugno 1896 Affronta alla Camera il tema della riforma universitaria . 12 1897 E’ eletto nel collegio di Acerenza e in quello di Isernia. maggio 1897 Presenta alla Camera dei Deputati il suo disegno di legge "Modificazioni alle leggi vigenti sull'istruzione superiore", teso a restituire all'insegnamento privato quel valore che la legge Bonghi(1875) le aveva sottratto. Essa, infatti, aveva stabilito che la tassa di iscrizione ai corsi doveva essere pagata, da allora in poi, dallo studente alla cassa dell'università e da questa all'insegnante a titolo privato. settembre-dicembre 1897 E’ Ministro della Giustizia. 1898 Dopo la doppia esperienza ministeriale nel governo Di Rudinì, si reca, per un intenso soggiorno di studio, in Germania, Francia ed Inghilterra. 1900 Vengono alla luce altri 2 scritti, riuniti poi nelle Opere giuridiche: "Provvedimenti per la repressione dell'usura" e "Sui discorsi dei procuratori generali". 1900 E’ nuovamente eletto nel collegio di Acerenza. 1900 In un discorso tenuto dinanzi agli elettori del suo collegio, premendo per un rafforzamento dell'autorità dello Stato contro ogni tendenza disgregatrice, da un lato deplora che "siano scemate le forze di resistenza e di coesistenza dello Stato", dall'altro rifugge da una presenza autoritaria e da un continuo intervento dello stesso nella cosa pubblica. giugno 1900-febbraio 1901 E’ Guardasigilli nel governo Saracco. 13 1902 Difende gli usi civici degli abitanti di Capracotta. 1903 Fa parte del Consiglio dell' ordine forense napoletano con compito di “delegato alla commissione di vigilanza” per la biblioteca forense in Castelcapuano. 1904 Vengono pubblicati altri due volumetti delle Opere giuridiche: "Sulla riforma giudiziaria" e "Separazioni personali di coniugi nel triennio 1899-1901". 1904 E’ eletto nel collegio di Acerenza, in quello di Ariano e nel primo collegio di Napoli. 1905 Pongono termine alle Opere giuridiche i due scritti "Sullo sgravio dal debito ipotecario" e "Disposizioni sulla pubblicità dei diritti immobiliari". marzo 1905 Combatte con insistenza il diritto allo sciopero, proponendo che "sia rinvigorita l'autorità dello Stato conciliandosi la intangibilità dello Statuto con la tutela dei pubblici servizi". giugno 1906-novembre 1907 E’ nominato Ministro dei Lavori Pubblici nel governo Giolitti ed affronta il difficile compito della statalizzazione delle ferrovie. novembre 1907 Muore a Napoli, il 10 novembre 1907, stroncato da un cancro alla gola tre giorni dopo aver presentato le dimissioni dal suo incarico ministeriale. 1913 Viene inaugurata a Napoli una scuola intitolata ad Emanuele Gianturco. 1926 Gennaro Marciano arringa a Napoli in Castelcapuano di fronte al busto 14 dell’insigne Gianturco. Viene, inoltre, inaugurato il 26 settembre 1926, il monumento che, ancora oggi, domina la piazza di Avigliano. 1957 Hanno luogo a Napoli, Avigliano e Potenza le grandiose “Celebrazioni gianturchiane”, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte. NOTE 1. Giuseppe Gianturco, lo "zio prete", è il vero educatore di Emanuele e il suo più grande amico. "La mia famiglia", piccolo volume scritto da Giuseppe nel 1897, ma pubblicato postumo, offre al lettore un quadro autentico della famiglia Gianturco. 2. Luigi Settembrini nasce a Napoli nel 1813 e compie studi giuridici in linea con la tradizione familiare. Amante della libertà e fiero avversario della tirannide, si iscrive all’Unità Italiana; condannato all'esilio, approda in Irlanda e poi si trasferisce in Inghilterra. Tornato in Italia nel 1860, gli viene conferito l'incarico di docente di letteratura italiana all'Università di Napoli. Il suo insegnamento è caratterizzato dall'intransigente difesa dell'autonomia dello Stato dal potere del Papa. Muore a Napoli nel 1876. Le sue opere più importanti sono: Lezioni di letteratura italiana e Ricordanze della mia vita. 3. Francesco De Sanctis nasce da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Nel 1826, lascia la provincia per recarsi a Napoli dove frequenta il ginnasio privato di uno zio paterno. Completati gli studi ginnasiali e liceali, intraprende la via della giurisprudenza, presto però trascurata per seguire le lezioni di letteratura italiana del marchese Puoti, nel cui palazzo De Sanctis ha modo di conoscere Leopardi ed avviare la sua vera formazione. 4. Giuseppe Polignani (1825-1882) è la figura che più di tutte ha inciso sulla formazione giuridica di Gianturco. Profondo conoscitore delle fonti del diritto, mente originale ed acuta, Polignani stima la causa non come occasione di arzigogoli e cavilli curiali, ma come caso giuridico, cui bisogna applicare principi certi e rigorosi. Critico riguardo lo stile puramente espositivo dei romanisti e, in genere, dei giuristi italiani, Polignani crede fermamente, proprio come Gianturco, nella validità didattica dei casi giuridici. 15 5. I fratelli Plastino sono tra i legali più conosciuti a Napoli ed è nel loro studio che Gianturco intraprende la professione. Giuseppe Plastino, allievo del Polignani, è insegnante privato con effetti legali di Istituzioni di diritto romano e di Pandette. Deputato dal 1882, spenderà gli ultimi suoi anni da avvocato proprio nello studio legale, ormai avviatissimo, del suo vecchio praticante Gianturco. 6.Rudolf von Jhering, rinomato romanista tedesco, nonchè amico e corrispondente di Polignani, è l'autore dei "Civilrechtsfalle", opera che più di ogni altra avvia Gianturco all'adozione del metodo casistico nell'insegnamento giuridico. Con ogni probabilità, Gianturco non ebbe modo di conoscere Jhering durante la settimana del soggiorno napoletano del giurista tedesco, ma riuscì a intrattenere con lui un fecondo scambio di corrispondenza. Consultazioni bibliografiche: o Fonseca C.D., L'esperienza culturale e politica di Emanuele Gianturco, Napoli Liguori Editore, 1986; o Gianturco G., La mia famiglia, Edizioni Osanna Venosa; o Mazzacane A., L'esperienza giuridica di Emanuele Gianturco,Napoli, Liguori Editore, 1987. 16 La casa natìa di Emanuele Gianturco. 1872. Il giovane Emanuele, primo a sinistra, posa con il fratello Giuseppe, “Zio prete”, seduto e il fratello Vincenzo assieme all’amico Raffaele Aiello di Potenza. (Archivio privato Pinto). 1926. Lavori in corso per l’erezione del monumento dedicato a Gianturco. 17 Commemorazione E. Gianturco, 80° anniversario della morte del 28/29 novembre 1987, organizzato dal CICS di Avigliano. 18 Tavolo della presidenza della Commemorazione dell’80° anniversario della morte (28/29 novembre 1987). Manifesto della Commemorazione dell’80° anniversario della morte (28/29 novembre 1987). 19 Emanuele Gianturco: il politico, il giurista e il musicista A cura di Daniela Claps IL POLITICO 24 La carriera politica La vicenda politica di Emanuele Gianturco inizia il 5 maggio 1889 quando il terzo collegio di Basilicata lo elesse a suo rappresentante in Parlamento. Fu poi confermato nelle elezioni del 1890, 1892, 1897, 1900, 1904 allorché oltre al fedele Collegio lucano, il Collegio di Isernia, di Ariano ed il Primo di Napoli si contesero l’onore di eleggerlo deputato. Ancora oggi non conosciamo il modo in cui lo statista aviglianese sia entrato nella vita politica. Sicuramente, la fama che egli aveva già acquistato come avvocato e come giurista ne facilitò l’ingresso. Nella tradizione soprattutto meridionale, infatti, era tipico il rapporto tra avvocatura, insegnamento universitario e attività parlamentare. Tuttavia, da un articolo di Francesco Saverio Nitti, apparso sul Corriere di Napoli il 20 aprile 1889, si capisce che l’avvio all’attività politica di Gianturco é avvenuto sotto le ali di Francesco Crispi. Nel 1889, le distinzioni all’interno della sinistra storica non erano ancora così determinate come lo furono successivamente. Lo statista lucano, infatti, entrò alla Camera da crispino ma svolse la sua attività politica e governativa preminentemente sotto la protezione di Giolitti. Inoltre, c’è da considerare che l’itinerario della formazione politica di Gianturco è stato certamente legato all’ambiente napoletano che, tra l’altro, vantava una rappresentanza parlamentare lucana di notevole rilievo di cui facevano parte Fortunato, Nitti, Torraca e Lacava. 25 Nitti, infatti, ricorda, nel 1947, nella Prefazione all’edizione nazionale delle Opere Giuridiche dello statista di Avigliano, le affinità intellettuali che, pur nella diversità delle opinioni politiche, lo legavano a Fortunato e allo stesso Gianturco. Lo statista aviglianese ricoprì, il suo primo incarico governativo nel 1893 come Sottosegretario alla Giustizia nel ministero Giolitti, con il quale si saldò un forte legame in occasione delle vicende della Banca Romana. Com’è noto, nella seduta del 13 maggio 1895, il giovane deputato lucano tenne un eloquente discorso in difesa del Giolitti, convinto che la Commissione parlamentare, mettendolo in stato di accusa senza averlo interrogato, stesse violando la più elementare garanzia giuridica: il diritto alla difesa. Portando la discussione su un campo prettamente giuridico, Gianturco riscattò una situazione che sembrava compromessa irrimediabilmente e salvò lo statista di Dronero da una condanna ingiusta. Nel 1896, Giolitti scrisse una lettera a Rudinì ponendo il nome del deputato lucano come uno dei ministri indicati per la sua parte; così lo statista aviglianese divenne Ministro della Pubblica Istruzione. L’anno successivo, alle dimissioni di Costa, fu nominato invece, Ministro di Grazia e Giustizia. L’attività parlamentare dello statista lucano si svolse in un ventennio cruciale per il giovane Regno d’Italia, all’incirca tra il 1889 e il 1907, in anni difficili per il Paese, segnati dal movimento dei fasci siciliani, dalla sconfitta di Adua e poi, dalla “crisi di fine secolo”. Per quanto concerne la Basilicata, in particolare, dall’inchiesta Branca del 1883, emersero una società rurale ormai sconvolta, un 26 sistema economico regionale in fase di ristagno e una consistente ondata migratoria. Gianturco, nella lettera ai suoi elettori del 1889, affermava: “disfatti i grandi partiti storici, col sopirsi delle grandi questioni politiche… a noi giovani spetta principalmente attendere allo studio delle questioni economiche e sociali onde è già travagliato il nostro Paese. A noi non venne data la somma ventura di fare l’Italia politica: ma non inglorioso, né lieve compito è quello di rifare l’Italia civile…”. Il ruolo che spettò agli uomini della seconda generazione del Risorgimento fu quello, infatti, di costruire lo “Stato nazionale” attraverso programmi di carattere economico e sociale; il tutto entro un quadro disomogeneo caratterizzato da realtà completamente diverse tra loro, non solo sul piano geostorico bensì per le situazioni presenti entro ciascuna di esse. Il problema principale, in quel contesto storico, fu quello di trovare una base di legittimità nello Stato liberale che andasse al di là degli elettori, pochi e ricchi (perché il suffragio era censitario) e puntare in qualche modo su un consenso più largo. Bisognava riuscire a proporre una politica capace di affrontare i problemi generali, quelli della collettività, ed in modo particolare, quello dell’ordine sociale. Gianturco fu, perciò, completamente in disaccordo con Crispi quando questi, a seguito dei moti della Sicilia e della Lunigiana, anziché adottare provvedimenti sociali ed economici, intervenne con leggi eccezionali di pubblica sicurezza. Lo statista di Avigliano, in quella occasione, si oppose, in particolare, all’articolo terzo del testo accettato dalla Commissione parlamentare secondo il quale, poteva essere mandato al domicilio 27 coatto chiunque avesse soltanto manifestato il proposito di commettere vie di fatto contro gli ordinamenti sociali. Il parlamentare lucano, perciò, invitò il governo Crispi, a risolvere le “urgenti e gravissime questioni agrarie” e ribadì la necessità di una legislazione sociale per l’industria, a partire dalle leggi sugli infortuni del lavoro poiché ogni indugio nel provvedere costituiva per le classi dirigenti “grave colpa d’impreveggenza e (…) di cecità politica”. Gianturco riteneva, infatti, che lo Stato unitario fosse chiamato ad assolvere un “compito sociale”, assumendo sopra di sé la cristiana missione di “protettore dei deboli”, secondo i dettami delle nuove scienze sociali. La sua concezione dello Stato etico venne manifestata, nel 1891, nella prolusione universitaria d’esordio L’individualismo e il socialismo nel diritto contrattuale, in cui condensò il suo pensiero riformistico, individuando nella disciplina del contratto di lavoro subordinato e nella repressione dell’usura, le più urgenti risposte legislative alla questione sociale. Gianturco proclamò per il ventesimo secolo un programma così sintetizzato: “Non reazione ma libertà, entro i limiti della legge e sotto lo scudo della giustizia sociale”. La sua visione delle linee di costruzione dello Stato etico fu, comunque, decisamente moderata: all’autorità e alle capacità d’iniziativa della classe dirigente affidava l’attuazione di quel programma di “pacificazione sociale mercè il diritto” che avrebbe dovuto prevenire, con l’adozione di opportune riforme, le spinte eversive delle masse lavoratrici e favorire la composizione pacifica dei conflitti di classe. 28 Per quel che concerne la statura politica, Gianturco dimostrò una straordinaria capacità di uomo di governo, di essere ben inserito nella vita del Parlamento italiano, nel gioco degli schieramenti politici e, di essere un uomo di larghissime mediazioni e di ampia disponibilità. Per amore del Paese, non esitò a rinunciare volontariamente all’ufficio di Guardasigilli e a cedere la carica a Zanardelli, quando si trattò di “ spianare la via a Rudinì e facilitare una combinazione politica seria e duratura”. Nel governo Saracco, invece, furono proprio le sue riconosciute qualità di mediatore a garantirgli la nomina a Ministro della Giustizia, incarico che mantenne fino alla caduta di questo gabinetto. Pertanto, è dai comportamenti manifestati nell’attività parlamentare (fu anche tre volte vicepresidente della Camera dei Deputati) e governativa che si possono cogliere gli aspetti salienti della politica gianturchiana, ispirata alle sue umili origini, all’educazione cattolica, alla diretta esperienza della miseria dei contadini lucani e dei vicoli napoletani che determinarono la sua avversione, più spesso istintiva che concettuale, al liberismo economico e all’individualismo liberale. Nel 1947, non a caso, Nitti affermò : “Se io dovessi scrivere una biografia di Emanuele Gianturco e spiegare tutti i lati del suo carattere e la sua intelligenza poliedrica ed esuberante, io parlerei del suo paese natale, Avigliano, della famiglia e soprattutto del fratello prete che egli considerava sempre con rispettosa riverenza. Non potendogli dare titolo che non gli fosse attestato di riverenza anche quando era grande personaggio e ministro lo chiamava zio prete e gli dava del voi”. Dalle memorie che lo “zio prete” scrisse, e che vennero successivamente pubblicate, emerge l’ambiente familiare in cui visse 29 e si formò la personalità di Emanuele Gianturco: una modesta famiglia di un piccolo paese della Basilicata, che con tenacia favorì l’ascesa dei suoi più giovani componenti: Emanuele, e il fratello minore Vincenzo. Dalle citate memorie di Giuseppe Gianturco, spicca, altresì, il rapporto tra Avigliano e Potenza e, soprattutto, la grande forza di attrazione che Napoli esercitava sui giovani provinciali, giacchè era ancora nella vecchia capitale che si formavano culturalmente e politicamente i professionisti e gli uomini politici meridionali. Spiccato e sincero fu, poi, il sentimento religioso di Emanuele Gianturco in un periodo in cui era diffuso lo spirito anticlericale e vivo il conflitto tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Quando egli si presentò alle elezioni politiche del 1889, aveva certamente fama di cattolico, ma anche di liberale, sostenitore dello Stato laico. Agli elettori del terzo collegio di Basilicata, pur professandosi “scevro da ogni intemperanza o pregiudizio antireligioso”, promise che “sarebbe sorto in Parlamento fiero difensore dei diritti dello Stato laico”. Dichiarò di non essere fautore di una religione di Stato, ma, nello stesso tempo, di volere un risveglio della coscienza religiosa italiana: “risveglio che avrebbe impedito l’umiliante spettacolo di atei che portavano addosso le loro devozioni e di cristiani che non avevano animo di professarsi tali apertamente”. Secondo l’onorevole lucano, l’Italia non aveva mai avuto una politica ecclesiastica, né di Destra, né di Sinistra. Egli riteneva che il Parlamento dovesse occuparsene, determinando i criteri di conduzione e le modalità di tutela dei diritti dello Stato. 30 Lo statista lucano era convinto, inoltre, dell’utilità e della necessità di un trattato che definisse i rapporti fra il Vaticano e lo Stato italiano. Esso avrebbe dovuto lasciare sicurezza e libertà di movimenti alla Chiesa nella sua azione religiosa, così nazionale come internazionale, senza tuttavia diminuire in nulla la libertà e la laicità dello Stato. Francesco Saverio Nitti scrisse che, spesso, nelle sue conversazioni con lo statista di Avigliano, aveva affrontato questo argomento notando che, a riguardo, Gianturco aveva delle vedute molto equilibrate. “In materia di religione, Gianturco per Nitti, era soltanto un cattolico di buona fede, ma come uomo politico era geloso custode dei diritti e delle prerogative dello Stato”. Il ministro lucano fu, tuttavia, sempre contrario all’introduzione del divorzio che concepiva come un attentato inconsulto alla famiglia italiana, “la base incrollabile della società domestica”. Nel febbraio del 1906, Gianturco si fece promotore finanche di un’associazione politica che chiamò liberal–temperata. Essa raggruppava quei deputati meridionali che non condividevano la linea politica assunta dal Ministero Sonnino e, soprattutto, i provvedimenti che questi voleva presentare alla Camera, fra cui, appunto, la legge sul divorzio. Il successo dell’iniziativa venne frustrato dai giolittiani che temevano Gianturco si ponesse a capo della maggioranza della deputazione meridionale. Essi, infatti, lo chiamarono al Governo con l’incarico di Ministro dei Lavori Pubblici. Intanto, il ruolo ormai dirigente assunto dal Ministro lucano nel seno non solo della deputazione meridionale, ma dell’intera rappresentanza parlamentare, veniva testimoniato dalle cronache politiche coeve, che indicando in Gianturco “il capo dei moderati” di Montecitorio, ne pronosticavano il massimo incarico governativo. 31 Emanuele Gianturco fu, infatti, un uomo politico dalle qualità notevoli. Ebbe una carriera rapida e promettente che venne stroncata, a solo 50 anni, dal morte prematura che gli impedì di raggiungere altre mete cui sembrava destinato, come auspicato da parte dei più influenti settori del Parlamento. EXCURSUS DEGLI INCARICHI MINISTERIALI DI EMANUELE GIANTURCO Il Ministro della Pubblica Istruzione Emanuele Gianturco fu nominato Ministro della Pubblica Istruzione il 10 marzo 1896, nel governo affidato al presidente del Consiglio, il marchese Di Rudinì. Vi rimase fino al 18 settembre 1897. Un incarico che durò, quindi, solo 18 mesi e si caratterizzò, tuttavia, per una vasta azione riformatrice che coinvolse la scuola elementare, la secondaria, la normale e, persino l’Università. Quando Gianturco assunse l’incarico di Ministro della P. I., i problemi della scuola erano di natura non solo tecnica e didattica, ma anche sociale e politica. Il popolo e la classe dirigente, in particolare, si mostravano poco attenti rispetto alle problematiche della scuola e questa, a sua volta, non si raccordava affatto con le mutate esigenze della società. Da qualche decennio, infatti, era iniziato, in Italia, il trapasso dall’economia agricola a quella 32 industriale e veniva perciò richiesta una formazione sempre più qualificata. Tra i primi provvedimenti che adottò, vi fu la presentazione alla Camera, il 1°giugno 1896, di un progetto di legge sul riordinamento delle scuole complementari e di quelle normali, con il quale si proponeva di riformare radicalmente la preparazione degli insegnanti della scuola primaria. Il nuovo ministro era convinto che la scuola normale non fosse in grado di preparare culturalmente, né didatticamente, i maestri elementari, in un periodo in cui l’insegnamento primario era l’unico popolare e garantito dallo Stato. Il citato disegno di legge fu approvato alla Camera il 4 giugno 1896, e poi, il 10 luglio dello stesso anno, anche al Senato. A distanza di circa un anno dall’approvazione di quella legge, il ministro lucano affermò che aveva voluto cominciare la sua opera riformatrice dalle scuole normali perché convinto che, sino a quando il corpo dei maestri elementari non fosse stato rinnovato, nulla sarebbe valso a rialzare le sorti della scuola primaria. Gianturco adottò altri provvedimenti nei confronti dei maestri che erano all’epoca non dipendenti dello Stato, ma dei Comuni e che, quindi, vivevano una situazione precaria sotto il profilo economico. Lo statista di Avigliano, si impegnò molto, inoltre, per l’organizzazione e la diffusione, su tutto il territorio nazionale, dei Patronati scolastici: erano organi parascolastici, basati sulla libera iniziativa privata, che avevano il compito di provvedere, con volontarie contribuzioni, col sussidio dello Stato e con quello del Comune, che agli scolari meno abbienti fossero concessi, gratuitamente, libri, vestiti, e, possibilmente, una refezione. 33 Egli fece entrare nella competenza della P. I. anche gli asili infantili che, pur non essendo allora, delle vere e proprie scuole, davano assistenza e la prima formazione a tanti bambini, già prima della frequenza della scuola dell’obbligo. Si occupò anche della scuola secondaria della quale non mancò di sottolineare le insufficienze. Si propose, pertanto, di procedere, con un apposito disegno di legge. Nel frattempo, emanò una serie di decreti correttivi, tra i quali: l’obbligo degli esami di licenza ginnasiale e liceale per tutti, con l’eliminazione della promozione per scrutinio; il divieto di iscrizione all’Università senza aver conseguito la licenza liceale; il divieto di conferire cattedre nella scuola secondaria, se non per concorso per titoli ed esami. Tra le questioni relative alla scuola secondaria, Gianturco dovette affrontare anche quella relativa all’insegnamento del greco, ossia stabilire se mantenerlo tra le materie obbligatorie o declassarlo tra le facoltative. Rispetto a questo argomento, già oggetto di dibattito ai tempi del suo predecessore, e sul quale l’opinione pubblica appariva divisa, il Ministro lucano si espresse dichiarando di essere orientato verso una scelta facoltativa dell’insegnamento del greco, eccezion fatta per gli studenti che, pensassero di iscriversi poi, alla Facoltà di Lettere o Giurisprudenza. Più volte ebbe modo di esprimersi alla Camera su questo problema, riconoscendo la grande importanza del greco sul piano pedagogico sottolineando, tuttavia, che il tempo dedicato alla materia nei ginnasi e nei licei era talmente poco e, quindi insufficiente, perché i giovani studenti “potessero penetrare nello spirito di quei sommi scrittori ed intendere il valore ideale di quelle opere immortali”. 34 Annunciò, pertanto, la sua intenzione di affrontare il problema in sede di riforma della scuola secondaria. Nei suoi intenti, si proponeva, altresì, uno sbocco aggiuntivo, rispetto alle secondarie; ovvero, al termine della scuola elementare, pensava all’istituzione di scuole di arti e mestieri, come già era avvenuto in altri paesi d’Europa. Ciò, però non avvenne, perché passò dalla P. I. a reggere il Ministero di Grazia e Giustizia. Gianturco si occupò, inoltre, delle Università italiane che, alla fine del secolo XIX, vivevano una situazione preoccupante. Si prefiggeva, infatti, di risolverla con un’apposita riforma. I nodi da sciogliere erano tanti. Tra questi: l’Università doveva essere una libera corporazione o un istituto di Stato? Ed ancora: doveva avere per fine l’insegnamento scientifico o il professionale? La sua posizione risultò chiara in due importanti sedute della Camera e del Senato: alla Camera il 22 giugno 1896 ed al Senato il 3 luglio 1896. Secondo il suo pensiero, lo Stato non poteva rinunciare al compito di dirigere e ordinare l’insegnamento superiore e, del resto, i crescenti bisogni della scienza esigevano mezzi proporzionati che la corporazione non poteva fornire con la sola dotazione fissa ed i proventi delle tasse d’iscrizione. Tuttavia, riteneva che la scienza non potesse essere monopolio dello Stato per cui, accanto all’insegnamento pubblico, doveva vivere e prosperare anche l’insegnamento privato. Per tale ragione, assunse una serie di iniziative per riorganizzare e disciplinare la libera docenza che avrebbe dovuto svolgere una duplice funzione: di concorrenza e di complementarietà all’insegnamento ufficiale. 35 Per l’accesso alla cattedra sostenne il sistema dei concorsi, non ritenendo idoneo quello della cooptazione, tenuto conto dei problemi che derivavano nella pratica. Del progetto Baccelli sulla riforma universitaria, accettò i concetti dell’autonomia amministrativa e didattica, mentre rispetto alle forme disciplinari, espresse delle riserve, ritenendo che fosse necessaria la figura di un curator studiorum, cioè di un organo giurisdizionale che mantenesse la disciplina, così come accadeva già in altre Università europee. Quello di fine secolo fu, infatti, per l’Europa un periodo di turbolenze politico-sociali che trovarono immediata ripercussione nelle Università. Oggetto di rivolta degli universitari furono, in quegli anni, anche alcuni provvedimenti di rigore del Gianturco che si era proposto due importanti obiettivi: riordinare gli organismi amministrativi dell’istruzione pubblica; elevare la serietà degli studi, convinto che nella scuola, più che nelle piazze d’armi, si preparassero i destini della nazione. In tema di Università va ricordata anche la sua iniziativa per la riorganizzazione e il potenziamento dell’Università di Napoli. Con un apposito disegno di legge, ottenne dei fondi destinati a mettere l’Università “Federico II” nelle condizioni di rispondere, in modo moderno, alla sua funzione di promotrice di scienza. Si occupò anche del vasto ed importante campo dell’arte, della tutela del patrimonio archeologico e monumentale italiano. Gianturco voleva “che l’Italia facesse dell’arte un fondamento precipuo dell’educazione nazionale”. Fu lieto d’inaugurare, il 19 dicembre 1896, l’Esposizione di Belle Arti a Firenze e, il 28 aprile 1897, ad Urbino, il monumento a Raffaello. 36 Promosse l’insegnamento della storia dell’arte, istituendo a Roma, la prima cattedra di tale disciplina, affidandola ad Adolfo Venturi, un insigne studioso della materia. Il Ministro di Grazia e Giustizia Emanuele Gianturco assunse l’incarico di Ministro di Grazia e Giustizia, la prima volta, dal 18 settembre 1897 al 14 dicembre dello stesso anno, quando volontariamente offrì il suo posto all’onorevole Zanardelli per favorire la formazione del governo Di Rudinì. Nel breve periodo rimasto in carica, diede prova delle sue indiscutibili capacità di legislatore iniziando gli studi della riforma del diritto penale. Fu una seconda volta Ministro Guardasigilli dal 24 Giugno 1900 al 15 Febbraio 1901 durante il Governo Saracco. Tra i vari provvedimenti, assunti nell’esercizio di questo incarico, merita speciale menzione il decreto emanato per la concessione della grazia condizionale, che anticipava, nella forma permessa al potere esecutivo, l’istituto della condanna condizionale. Concepì, inoltre, una completa ed organica riforma giudiziaria. Il 17 settembre del 1900 su Il Corriere apparve un editoriale intitolato: La riforma giudiziaria secondo il ministro Gianturco. “Il disegno di legge – annunciava il giornale in prima pagina – si divide in tre parti. Con la prima si ordinano diversamente gli uffici giudiziari; con la seconda si fissano i gradi e gli stipendi; con la terza si stabiliscono le guarentigie della magistratura”. 37 Questo progetto di riforma, benché conosciuto soltanto per informazioni ufficiose della stampa, offrì immediatamente il campo ai più vivaci ed interessanti dibattiti per le ardite idee che lo informavano, tra cui: l’istituzione del giudice unico per tutte le materie giudiziarie, anche penali, salva la sola competenza delle Assise. Il Ministro lucano, tuttavia, indugiò nella presentazione del suo disegno di legge in Parlamento perché, come dichiarò pubblicamente nel suo discorso alla Camera sulla riforma Zanardelli, nutriva dei dubbi sull’opportunità di estenderlo anche alla materia penale. Un altro tema, su cui sembra si sia soffermato con attenzione, fu quello della autonomia della magistratura. Il Ministro aveva ben chiaro quanto fosse “unanime il consenso intorno alle necessità di aumentare le garanzie dei giudici in ordine all’inamovibilità dall’ufficio e dalla sede”. Perciò proponeva che i trasferimenti potessero avvenire “solo su parere di una commissione speciale di magistrati” che si ebbe in seguito con l’istituzione del Consiglio Superiore della Magistratura. In materia di nomine e promozione, fu per una diminuzione dei poteri ministeriali affinché si preservasse lo Stato di diritto, incentrato sul sistema dei poteri separati ed autonomi. Si propose, inoltre, di elevare il prestigio della magistratura e di assicurarne l’indipendenza economica. Nel discorso tenuto il 3 marzo 1890, a proposito della proposta di legge per l’ammissione e le promozioni in magistratura, il giurista lucano propose per tutti i laureati in giurisprudenza, l’esercizio del tirocinio in una fase anteriore a quella della selezione del personale, secondo la sequenza laurea-tirocinio-esame di Stato. Lo scopo era quello di far conseguire ai giovani aspiranti, con la pratica giudiziaria, un risultato assai più soddisfacente di quello 38 raggiunto con sistemi di tipo teorico, ritenuto un inutile duplicato degli studi universitari. Non va dimenticato, infine, la posizione di contrasto che Gianturco assunse rispetto al problema dell’unificazione delle Corti di Cassazione Regionali. Il giurista lucano illustrò le sue idee su questo tema in uno scritto del 1901, propugnando una soluzione tecnica alla cui base sembra vi fosse il forte amore per le tradizioni giuridiche locali, per la cultura giuridica napoletana e per le passate istituzioni del Regno, naturalmente vissuto con lo spirito critico dei tempi nuovi. Il Ministro dei Lavori Pubblici Emanuele Gianturco diede prova della sua straordinaria versatilità d’ingegno nei 17 mesi in cui fu Ministro dei Lavori Pubblici, nel terzo Gabinetto Giolitti. Dal 29 maggio 1906 al 7 novembre dell’anno successivo, affrontò il difficile compito di attuare la statalizzazione delle ferrovie. Nonostante alcune iniziali riserve, accettò l’incarico ed intraprese con energia il lavoro di Ministro. Ebbe da risolvere, secondo quanto scrisse Nitti, “tutti gli intricatissimi rapporti finanziari fra le società, il personale ferroviario e lo Stato”. Inoltre, dovette far fronte alle proteste dei viaggiatori per i ritardi e per i contrattempi di servizio; nonché ai problemi dettati da linee, impianti e vetture in tale stato di deperimento da dover essere al più presto demoliti o posti fuori uso. 39 Quindici giorni gli furono più che sufficienti per acquisire larga competenza tecnica in tutti i problemi che si proponeva di risolvere. Nitti scrisse: “Non vide mai problemi politici da affrontare, ma questioni giuridiche da risolvere con serenità e giustizia”. Fra inaudite difficoltà, affrontò e risolse i vari problemi del settore: il riscatto delle linee meridionali; l’assetto del personale; l’ordinamento definitivo, amministrativo e contabile dell’azienda; il programma finanziario dei lavori e degli acquisti, da compiersi in un settennio, con lo scopo di rendere il servizio ferroviario pari alle esigenze del progresso e dell’economia nazionale. Il Ministro, in pochi mesi, riuscì a dare un assetto all’esercizio di Stato delle ferrovie ed a far approvare dal Parlamento la spesa di ben 910 milioni per la soluzione definitiva del complesso problema dei pubblici trasporti. E non solo. Concepì, in tutta la sua armonica ed organica complessità, il problema delle comunicazioni; vide come le ferrovie trovassero il loro sussidio e il loro completamento, da un lato nella navigazione interna; dall’altro, nei trasporti marittimi. Fra le più gravi difficoltà politiche e finanziarie, fece approvare per legge il più grandioso e completo piano di sistemazione dei nostri porti che sia mai stato presentato al Parlamento italiano. I più valorosi ingegneri d’Italia rimasero sbalorditi davanti alla capacità tecnica del Ministro dei Lavori Pubblici. Lo stupore maggiore fu quello dei colleghi di Gabinetto: Vittorio Emanuele Orlando, infatti, non esitò ad affermare che non vi era da meravigliarsi se Gianturco, mettendosi a studiare astronomia, avesse, dopo pochi giorni, scoperto una nuova stella. Con tutti i suoi complessi problemi giuridici ed economici, il sistema ferroviario nazionale venne, dunque, portato a termine in 40 pochi mesi d’intenso lavoro, grazie ad un notevole impegno personale del Gianturco, già gravemente sofferente per un cancro alla gola. Una settimana dopo il secondo intervento chirurgico, pur consapevole della fine imminente, si recò a Roma per completare la sua opera di Ministro dei Lavori Pubblici. Infatti, morì a Napoli, tre giorni dopo aver presentato le dimissioni dal suo incarico ministeriale, il 10 novembre 1907. 41 IL GIURISTA 44 Momenti della mostra, organizzata dal CICS durante il Convegno di Studi su Emanuele Gianturco del 19 e 20 aprile 1986. 45 46 L’avvocato Parte cospicua dell’opera di Emanuele Gianturco giureconsulto si rinviene nella attività forense, definita da molti studiosi “grandissima ed insigne”. Il giurista lucano svolse il prescritto biennio di pratica forense durante gli ultimi due anni di università, così come consentiva la legge 8 giugno 1874. Gli anni del tirocinio non furono facili, ma pieni di amarezza e di umiliazioni. La madre lo incoraggiava e lo incitava, per esercitarsi, a difendere almeno le cause di gratuito patrocinio. Gli diceva: “queste cause, ti porteranno le altre; e queste, ti pagheranno quelle”. Si avviò all’attività legale, cominciando a frequentare lo studio di Nicola Alianelli. Di questo deludente esordio professionale troviamo una eloquente cronaca nelle pagine scritte dal fratello maggiore Giuseppe che racconta come l’avvocato Alianelli trattasse Emanuele: “non come un praticante, ma come un servo (…), pagandolo con poca moneta e con molti rimproveri”. Avvilito, tornò ad Avigliano a difendere cause in Pretura. Poco dopo, raggiunse nuovamente Napoli, dove ebbe la fortuna di entrare, grazie alla “protezione” di Giuseppe Polignani, nello studio legale dei fratelli Plastino. Ben presto Emanuele Gianturco, prese posto fra i più grandi avvocati di un Foro, che, come quello napoletano, contava campioni insigni. Invitato ad assumere cause importantissime, egli dimostrò come alla cultura teorica, andava in lui congiunto il senso più squisito dell’arte e della pratica giuridica. 47 Fra le prime delle innumerevoli cause quando prestò la sua difesa, due riguardavano il comune natìo: l’una, in cui salvò dall’esproprio la casa comunale di Avigliano; l’altra, nella quale esaminò il diritto civico degli Aviglianesi a far legna nel bosco di Lagopesole. Il suo patrocinio venne sollecitato a Napoli ed altrove, per le cause più importanti. A lui si rivolse persino Re Leopoldo del Belgio, per ottenere un parere destinato a regolare i rapporti tra l’Inghilterra e lo Stato libero del Congo. Gianturco – principe del foro – considerò l’avvocatura come un’alta missione. Nell’esercizio della attività forense, rifuggiva dagli espedienti e dai cavilli e le sole armi che utilizzava erano quelle dell’ingegno, dell’eloquenza e della dottrina. Il campo di esercizio dell’avvocato lucano non era ristretto: trattava con eguale capacità e perizia le controversie di diritto privato e di diritto pubblico, di diritto comune e di diritto ecclesiastico. La sua opera di avvocato fu in realtà la continuazione dell’impegno di studioso e di maestro; nel Foro sapeva ricondurre limpidamente ai principi generali le questioni che discuteva e di queste poi si serviva per l’illustrazione e l’elaborazione scientifica del diritto. Lo studio del pensiero giuridico di Gianturco non può, pertanto, prescindere dall’esame delle sue numerosissime allegazioni forensi, nelle quali le questioni più varie e più complesse vennero trattate genialmente, con rigore di metodo scientifico, apportando un importante contributo anche alla scienza del diritto. Avrebbe potuto, con l’esercizio professionale, realizzare una posizione economica formidabile. Al contrario, non soltanto il giurista lucano non accettò cause contro i Ministeri che aveva retti, 48 ma quando veniva assunto alla direzione di un qualsiasi dicastero, chiudeva i battenti dello studio, e restituiva ai clienti le carte giudiziarie e finanche gli anticipi dei compensi, che aveva ricevuti per l’esame preliminare delle cause. Fu, inoltre, sempre pronto, ad assumere cause di gratuito patrocinio ed a prestare la sua opera in difesa delle Congregazioni di carità e dei poveri, cui devolveva i suoi compensi stabiliti dal giudice. Nei rapporti con i colleghi, dimostrò un’esemplare modestia e remissività di opinioni a tal punto che, nella preparazione della difesa, quasi scompariva il grande ed ammirato maestro e non rimaneva che il collega, con il quale era possibile discutere ed obiettare alla pari. L’insegnamento privato Nel 1882 Emanuele Gianturco ottenne la libera docenza in diritto civile. Poté così aprire nella sua abitazione – secondo un’antica tradizione napoletana, tollerata dalle prime leggi unitarie sulla istruzione superiore – la sua scuola privata di diritto civile, ben presto segnalata come la più fiorente ed affollata di Napoli. Il ruolo di “privato docente” vantava, in questa città, una tradizione di storico rilievo. Durante il regime borbonico, malgrado le repressioni, l’insegnamento privato costituiva l’unica vera sede della libertà di pensiero. Le scuole private di diritto si caratterizzavano, inoltre, per l’impostazione “seminariale” degli studi, per l’indirizzo scientifico e professionale e per l’elevata statura morale ed intellettuale dei suoi maestri. Da esse, tra l’altro, era partito, nella seconda metà del XIX secolo, il rinnovamento metodologico della scienza giuridica. 49 Quando Emanuele Gianturco diventò libero docente, l’insegnamento libero a Napoli aveva ormai alle spalle la sua “età d’oro”. Malgrado i tempi, il giurista lucano rimase figlio della migliore tradizione napoletana, di cui fu forse l’ultimo e più persuaso erede. La sua scuola privata era strutturata su un modulo tipicamente seminariale e di lavoro collettivo. L’occasione di svolgere il corso di studio all’interno dell’ambiente domestico connotava l’attività didattica di una proiezione familiare che favoriva, enormemente, il processo di trasmissione del sapere. Quando però gli iscritti alla sua scuola divennero circa ottocento, la sede delle lezioni del giurista lucano non fu più una modesta camera di studio, ma l’anfiteatro dell’Università Federico II. “Emanuele Gianturco fu maestro insuperato; anzi per me fu il maestro”, così Nicola Coviello, uno dei più illustri giureconsulti italiani, anche lui di origine aviglianese, ricordava il suo professore nel dicembre del 1907. Il giurista lucano era, infatti, un insegnante esemplare. I discepoli lo amavano per la potenza dell’ingegno, per la profondità della sua cultura, per la semplicità dei suoi modi e per la sua eccezionale bontà. Nelle sue lezioni era talmente semplice e chiaro, da farsi comprendere anche da coloro che non avevano alcuna conoscenza del diritto. Nicola Coviello, parlando delle straordinarie doti del Maestro, scrisse che egli, nelle sue lezioni, “cercava sempre di rendere facile il difficile, chiaro ciò che è oscuro, dilettevole ciò che di per sé non sarebbe…mostrando sempre il lato vivo del Diritto, la parte attuosa e quindi più attraente”. Il professor Gianturco non concepiva la norma giuridica, se non in perfetta relazione con la realtà della vita. 50 Per abituare i giovani ai dibattiti, era solito ricorrere alle famose esercitazioni sui “casi giuridici” affinché nei giovani si formasse il senso giuridico, ovvero “quell’abito della mente” come egli stesso lo definiva, che “permette di veder sempre chiara la questione e il principio che ad essa deve applicarsi”. Fu proprio l’efficacia del suo insegnamento, secondo Nicola Coviello, a spingere molti giovani ad abbandonare le lezioni dei professori ufficiali per ascoltarlo ai tempi in cui era ancora un libero docente. Dalla sua scuola privata uscirono, infatti, innumerevoli e valorosi civilisti, fra cui Vincenzo Simoncelli, Nicola e Leonardo Coviello, Vincenzo Ianfolla, Arnaldo Lucci, Francesco Degni, Giuseppe e Tommaso Claps. La carriera universitaria Contemporaneamente all’esercizio della professione forense, Gianturco, allievo in particolare di Giuseppe Polignani, si dedicò con intensità allo studio del diritto. Dal 1880 al 1886 il giurista lucano collaborò ininterrottamente ad Il Filangieri, prestigiosa rivista giuridica napoletana pubblicando recensioni, note a sentenza e saggi, tra cui nel 1881 quello su “Gli studii di diritto civile e la questione del metodo in Italia”, che lo pose subito alla ribalta della nuova civilistica nazionale. Con la breve monografia sulle “fiducie” ottenne, nel 1882, a Napoli, la libera docenza in Diritto civile. Tra il 1885 e il 1887 vinse, ma rifiutò, le cattedre di Diritto civile nelle università di Perugia, 51 Macerata e Messina, preferendo continuare il suo insegnamento privato a Napoli, città cui era ormai legato da sempre più importanti impegni professionali. I frutti più tangibili della sua esperienza d’insegnante privato furono la pubblicazione, nel 1884, di un volumetto di esercitazioni su casi pratici, intitolato Crestomazia di casi giuridici in uso accademico e, nel 1886, le Istituzioni di diritto civile italiano che inaugurarono la fortunata collana di manuali giuridici dell’editore fiorentino Barbera. Nel 1885 il Gianturco, aveva già pubblicato la parte generale e quella relativa al diritto di famiglia delle Istituzioni di diritto civile che, nel 1892, in occasione dell’uscita della seconda edizione inalterata, cambiò titolo in Sistema di diritto civile italiano, per evitare confusione con l’omonimo e più agile libro di Istituzioni pubblicato nel 1886 - opera che gli meritò il plauso dei più eminenti giuristi italiani e stranieri. Nel 1889 raggiunse il suo più alto traguardo accademico, vincendo, dopo otto anni di insegnamento privato, la cattedra di Diritto civile nella facoltà giuridica napoletana, rimasta vacante dopo la morte di Diego Colamarino. A seguito di tale evento, il deputato lucano Michele Torraca inviò al Ministro della Pubblica Istruzione, Paolo Boselli, una premurosa raccomandazione, perché la cattedra fosse assegnata a Gianturco, “libero insegnante, i cui meriti erano stati provati in parecchi concorsi”. Tuttavia, la speranza di un sollecito incarico d’insegnamento, da affidarsi d’ufficio dal Ministro al privato docente, svanì di fronte all’evidente ostilità manifestata dalla Facoltà giuridica napoletana. La cattedra venne messa a concorso e fu vinta solo un anno più tardi da 52 Gianturco; ma la commissione giudicatrice assegnandogli un punto in meno del necessario, si limitò a proporne la nomina a “straordinario”. Con ricorso diretto al Ministro Boselli, il professore lucano non esitò a replicare che fra i titoli presentati al concorso napoletano, ma non menzionati dalla commissione giudicatrice, vi fosse il Manuale di Istituzioni che, oltre ad aver già avuto tre edizioni in meno di due anni, era adottato come libro di testo in varie atenei italiani e, addirittura, da qualcuno tra gli stessi giudici. Il Consiglio superiore della pubblica istruzione, tuttavia, respinse il ricorso. Per poter continuare il suo insegnamento universitario senza decadere dal mandato parlamentare, conquistato da appena un anno, Gianturco comunicò al Ministro di non accettare la cattedra da “straordinario”. Egli chiese di continuare l’insegnamento del Diritto civile nell’Università di Napoli come “privato docente” purché al suo corso venissero attribuiti gli “effetti di corso ufficiale”. Presa conoscenza della disposizione ministeriale, conforme alla richiesta del professore lucano, la Facoltà giuridica napoletana, riconoscendo nel nuovo professore la sola qualità di “privato docente”, gli impedì di presiedere la commissione d’esame di Diritto civile e di prendere parte agli esami di laurea, quando la tesi verteva su tale materia. Il contenzioso tra il professore lucano e la Facoltà, iniziato nel 1890, si concluse con l’assegnazione a Gianturco del titolo assai singolare in quei tempi, di “incaricato ufficiale gratuito” dell’insegnamento di Diritto civile nell’Università di Napoli. Mantenne tale titolo sino alla nomina ad “ordinario” avvenuta, per impulso del nuovo Ministro della Pubblica Istruzione, Ferdinando Martini, con regio decreto del 25 settembre 1892. 53 Il civilista Emanuele Gianturco, oltre che insigne uomo politico, avvocato e professore di diritto, è stato uno dei maggiori civilisti italiani degli anni tra l’‘800 e il ‘900. Fu tra i primi giuristi in Italia ad esprimere con il saggio “Gli studii di diritto civile e la quistione del metodo in Italia”, pubblicato su Il Filangieri nel 1881, la necessità di una svolta negli studi di diritto civile, in decadenza all’epoca, e a sottolineare il valore del nuovo metodo sistematico elaborato dalla scienza giuridica tedesca. Con il suo saggio, lo studioso lucano affrontò i temi più originali della cultura giuridica di fine secolo, affermando, al tempo stesso, la necessità di nuove forme espositive, capaci di esprimere una rinnovata funzione ed orientamento della civilistica. Questa nuova produzione letteraria trovò, i suoi primi testi significativi proprio nel Sistema e nelle Istituzioni da lui pubblicati rispettivamente nel 1885 e nel 1886. L’autore scrisse che il libro delle Istituzioni si proponeva di delineare, con la maggiore precisione e concisione possibile, l’intima struttura, lo scheletro, per così dire, degli istituti giuridici, mentre l’esame della loro funzione e delle loro relazioni era compito proprio del Sistema. Tuttavia, se da un lato Gianturco sottolineò i pregi del metodo sistematico, dall’altro, non rinunciò a quello esegetico che, giunto dalla Francia, aveva dominato incontrastato in Italia dal 1865 al 1881. Riconobbe esplicitamente “l’utilità di entrambi”. Insieme alla consegna all’editore dei primi manoscritti delle Istituzioni, pubblicò, infatti, anche la Crestomazia dei casi giuridici in uso accademico, dedicata a Rudolf von Jhering, quando l’insigne giurista tedesco si era allontanato 54 dal sapere tutto astratto, rivelando interesse alla concretezza della vita giuridica. In verità, nel panorama più familiare a Gianturco, quel modello venuto da lontano neppure doveva apparire tanto isolato, visto che a Napoli, l’attività delle scuole private di diritto e le iniziative dei vari “Circoli” si erano da tempo caratterizzate per una particolare attenzione a superare il carattere teorico dell’insegnamento universitario, tentando piuttosto di coniugarlo con le più pragmatiche esigenze della formazione professionale. Con il suo volumetto sui casi pratici, il giurista aviglianese voleva favorire, nei giovani, l’assimilazione dei principi teorici, sviluppare il “senso giuridico” e ridurre lo scarto esistente tra lo studio universitario e la professione legale. Gianturco partecipò, inoltre, ai primi dibattiti sui “problemi del lavoro” quando una disciplina “giuslavoristica” vera e propria non era ancora nata. Non per questo, indubbiamente, può essere considerato un giuslavorista, ossia un fondatore del diritto del lavoro. Si occupò dei cosiddetti “problemi del lavoro” in solo due interventi: nella Prolusione su “L’individualismo e il socialismo nel diritto contrattuale”, nel 1891, e nella Conferenza sul contratto di lavoro, tenuta al Circolo giuridico di Napoli, nel 1902, che occuparono uno spazio minore nell’opera complessiva del civilista. Pur tuttavia, si dimostrò un osservatore attento ai problemi del lavoro – anche come professionista e come politico – per cui diventa interessante, ripercorrere con lui, la vicenda della mancata legificazione del diritto del lavoro che segnò indelebilmente la materia, fino ai giorni nostri. 55 Nel 1891, a soli trentaquattro anni, il professore lucano individuò e propugnò, come soluzione ai problemi del lavoro, un codice sociale. Voleva che il codice civile, nella parte relativa alla locatio operarum, venisse trasformato in un “codice privato sociale”, attento alla sorte dei cittadini. L’auspicio generico di un intervento integrativo del legislatore sul capo “della locazione delle opere”, lasciò tuttavia il posto nel 1893 ad una iniziativa ben più circoscritta e concreta, forse anche più realistica. Chiese, infatti, di eliminare la legislazione frammentaria e disorganica esistente in materia e di intervenire con una legge generale sul lavoro. In quello stesso anno, Gianturco, quale sottosegretario al Ministero di Grazia e Giustizia, si fece promotore dell’istituzione di una Commissione governativa per la riforma dei contratti agrari e del contratto di lavoro, con la finalità di raccogliere tutto il materiale informativo utile alla stesura di un progetto di legge in materia. Il lavoro della commissione ministeriale, che aveva così fortemente voluto e incoraggiato, si rivelò, purtroppo, poco incisivo, anzi deludente, e non trovò realizzazione. Nel 1907, in una lettera al suo allievo Galizia, Gianturco si dimostrò, ormai, rassegnato circa la realizzazione di una legge generale e, si soffermò su una legislazione settoriale. I tempi, insomma, si erano rivelati immaturi per una legge generale, e il giurista lucano si era ripiegato sulla strada, già ampiamente collaudata, degli interventi ad hoc. Se, dunque, questi tentativi del giurista lucano non ci restituiscono l’immagine di un giuslavorista, assumono, tuttavia, un certo rilievo in quanto rendono evidenti i legami che saldavano la 56 nascita del diritto del lavoro alla più ampia riflessione che, sul finire dell’Ottocento, la civilistica italiana aveva avviato su sé stessa, sul proprio metodo e sul proprio oggetto. 57 IL MUSICISTA 60 Il maestro compositore Emanuele Gianturco scelse l’arte del diritto, ma non abbandonò mai la musica, coltivata negli anni giovanili presso il Conservatorio di San Pietro a Maiella, grazie ad una borsa di studio concessagli dall’Amministrazione Provinciale di Potenza. Francesco Nitti, nella più volte citata prefazione all’edizione nazionale delle Opere giuridiche di Gianturco, ricorda che spesso aveva trovato il giurista lucano impegnato, nell’intimità della sua casa, in conversazioni artistiche o intento ad eseguire difficili composizioni di Bach, di Beethoven, di Schubert, con la precisione e il calore di un artista professionale. Il giurista, non fu solo un esecutore bensì, un compositore, titolo che aveva conseguito al termine degli studi musicali. Le sue composizioni per orchestra, per strumenti, per piano e per canto furono pubblicate a Firenze, nel 1912, in un volume, con prefazione di Alessandro Longo, allora Direttore del menzionato Conservatorio napoletano. Gli rimase sempre vivo il ricordo del Conservatorio che aveva frequentato; tant’è, nel testamento dispose un lascito di mille lire in suo favore perché, con il ricavato delle rendite, si bandisse ogni quadriennio un concorso a premi per il miglior elaborato in composizione. Gabriele D’Annunzio, allorché sostò a Napoli, frequentò la casa dello statista aviglianese e ne subì il fascino. Gli regalò due volumi delle Laudi, con la seguente dedica: “Al giurista, la cui sapienza è misurata dal ritmo dell’arte”. 61 62 Bibliografia: Coviello N., Emanuele Gianturco, in Studium, Anno II, dicembre 1907, n. 12. Fonseca C. D.(a cura di), L’esperienza culturale e politica di Emanuele Gianturco, Napoli, Liguori Editore, 1987. Gaeta L., Emanuele Gianturco, il lavoro e il codice mancato, in Atti della quarta edizione del Premio per una tesi di laurea in giurisprudenza Nicola e Leonardo Coviello, Avigliano, 29 settembre 2006. Gianturco E., Crestomazia dei casi giuridici in uso accademico, Napoli, Stab. Tip. Salvati, 1885. Gianturco E., Discorsi parlamentari, Tipografia della Camera dei Deputati, Roma, 1909. Gianturco E., Gli studii di diritto civile e la questione del metodo in Italia, in Il Filangieri, 1881. 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