Città di Avigliano
Regione Basilicata
Emanuele Gianturco:
l’uomo dalle molte anime
Edizione CICS
Le foto a pag. 43 e pag. 59 sono state concesse dall’Archivio Imbrenda - Avigliano.
© Edizione CICS - 2007
Centro Iniziative Culturali e Sociali
Avigliano (Pz)
Finito di stampare nel mese di luglio 2007
nella Tipografia Pisani Teodosio
Via Luigi Sturzo - Tel. 0971.700693 - 85021 Avigliano (Pz)
e-mail: [email protected]
Presentazione
“Ex umili potens”: questo verso, composto con intento autobiografico
da un grande poeta lucano oltre duemila anni fa, ben si presta a descrivere
la vicenda umana di Emanuele Gianturco, sicuramente uno dei più grandi
uomini che l’antica terra di Basilicata abbia visto nascere.
Di origini umilissime ebbe la capacità di diventare, nel volgere di circa
venti anni, una delle personalità di maggior rilievo dell’Italia liberale,
affermandosi come giurista e come politico.
Vi riuscì esprimendo al massimo livello le doti migliori della propria
terra natia: l’intelligenza, la tenacia, l’onestà, la profonda religiosità, la
laboriosità.
Qualità che gli aviglianesi, e i lucani in genere, spesso dimostrano al
meglio lontani dalla propria realtà, quando sono chiamati a confrontarsi
con gli altri e riescono a vincere quel sentimento di impotenza e di perenne
insoddisfazione che sovente li limita quando operano nel proprio contesto.
L’edizione del presente volumetto, che viene distribuito gratuitamente
alle famiglie residenti nel Comune in occasione dell’Anno Gianturchiano,
ha lo scopo di contribuire a far conoscere a tutti la figura e l’opera del grande
concittadino che ha saputo imprimere un segno indelebile nella storia di
Avigliano.
Avigliano, 24 giugno 2007
Il Sindaco
Domenico Tripaldi
Indice
Introduzione
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pag. 5
Note Biografiche su Emanuele Gianturco
a cura di Fabio Ferrara .
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pag. 7
Emanuele Gianturco: il politico, il giurista e il musicista
a cura di Daniela Claps ...... pag. 21
IL POLITICO ...... pag. 23
IL GIURISTA ...... pag. 43
IL MUSICISTA...... pag. 59
Bibliografia
.
...... pag. 63
Introduzione
Lo storico napoletano di origine lucana, Saverio Cilibrizzi, definì Gianturco: “la figura più gigantesca della Lucania per potenza e versatilità d’ingegno, dopo Mario Pagano”, e rilevò che in lui si fusero, armonicamente, il
musicista, il giurista, il docente, l’avvocato, l’uomo politico e il legislatore.
Emanuele Gianturco nacque in Avigliano, il 20 marzo 1857, da padre
calzolaio e da madre contadina, in una famiglia numerosa, con molte bocche
da sfamare. A ricordare le origini e le amare vicende degli anni della prima
giovinezza sarà lui stesso quando, il 20 aprile 1889, presentandosi agli elettori del terzo collegio di Potenza come candidato alla Camera dei Deputati,
compendiò la sua vita e il suo programma in questa frase:
“Ebbi umili i natali, avversa la fortuna, e questa vinsi e quelli nobilitai
con la sola perseverante virtù del lavoro … Dovunque risplenda la luce di alti
ideali, dovunque chiami la voce del dovere, là sarà il mio posto.”
Dotato di alto intelletto e tenace volontà, dopo un’infanzia e un’adolescenza di stenti e di sacrifici, sotto la guida del fratello maggiore, sacerdote,
chiamato con riconoscenza e venerazione “zio prete”, a 21 anni conseguì
a Napoli la laurea in giurisprudenza presso l’Università degli Studi “Federico II”, e a distanza di pochi giorni, il diploma di maestro compositore al
Conservatorio di musica “S. Pietro a Majella” del capoluogo partenopeo,
frequentato grazie a una borsa di studio, concessagli dall’Amministrazione
Provinciale di Potenza.
A seguito di mature riflessioni, su parere del padre e su consiglio di Giustino Fortunato, il Gianturco rifiutò la direzione di un’orchestra a New York
e scelse la via della scienza giuridica. A 25 anni era già libero docente di
Diritto civile all’Università di Napoli; intraprese, parallelamente all’insegnamento universitario, una rinomata attività forense che lo pose, in pochi anni,
tra i più importanti maestri innovatori del diritto civile.
Coltivò, altresì, tra le mura domestiche, la passione per la musica; ai
suoi concerti in famiglia assistettero anche Nitti e D’Annunzio, ospiti in casa
Gianturco.
A 32 anni, dette inizio ad una brillante carriera politica, entrando a far
parte della pattuglia dei parlamentari lucani: Fortunato, Lacava, Branca,
Grippo, Torraca e Nitti, un gruppo molto qualificato e più numeroso della
rappresentanza napoletana. Si fece notare subito per i suoi lucidi e apprezzati
interventi alla Camera dei Deputati di cui rivestì, per tre volte, la carica di
vice presidente.
In breve tempo gli furono conferiti incarichi ministeriali, prima, come
sottosegretario di Stato alla Giustizia, poi, quale ministro della Pubblica
Istruzione, due volte come Ministro della Giustizia; in ultimo, fu ministro
dei Lavori Pubblici. La morte lo colse, prematuramente, a cinquant’anni allorché era auspicata la sua nomina a presidente del Consiglio dei Ministri.
Nei 18 anni di vita politica, con i parlamentari della sua generazione, che
avevano ereditato l’Unità dai padri del Risorgimento, s’impegnò ad assolvere il compito della nascita e della formazione di uno Stato etico, con nuovi
ordinamenti, con diritti comuni ed eguali opportunità di vita civile e sociale
per tutti i cittadini, riformando e creando nuove istituzioni.
Nel Parlamento, si caratterizzò come un liberale, tutt’altro che conservatore, attento alle esigenze e alle istanze dei ceti popolari. Spiccò per le grandi intuizioni che, nonostante non avessero trovato immediato accoglimento,
sarebbero andate a realizzarsi nel tempo.
Nelle ricorrenze del Centocinquantenario della nascita e del Centenario
della morte di Emanuele Gianturco (1857 – 1907), il C.I.C.S. – (Centro
Iniziative Culturali e Sociali) di Avigliano, attivamente partecipe alle manifestazioni celebrative indette nel corrente 2007, proclamato «Anno gianturchiano» dal Comune di Avigliano, intende, attraverso la presente pubblicazione, offrire un proprio contributo alla divulgazione del nome e della figura
del più illustre Figlio della comunità aviglianese.
Avigliano, giugno 2007
Il Centro Iniziative Culturali e Sociali
di Avigliano
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Note Biografiche
su
Emanuele Gianturco
A cura di Fabio Ferrara
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Emanuele Gianturco
20 marzo 1857
Emanuele Luca Gianturco nasce ad Avigliano, figlio del calzolaio Francesco
e di Domenica Maria Mancusi, trascorre l’età adolescenziale nel paese
natale,in una casa simile ad un capannone , senza una camera , senza una
stanza,insieme alla sua numerosa famiglia. Il padre Francesco,vedovo di
Vita Crescenza Claps da cui aveva avuto 6 figli , sposò in seconde nozze,
Domenica Maria Mancusi, da cui nacquero Emanuele e Vincenzo. Ad
Avigliano, Emanuele compie i primi studi, frequentando dapprima la scuola
privata del fratello maggiore Giuseppe(1) e poi la quarta ginnasiale nel
ginnasio comunale istituito ad Avigliano.
1871
Giunge per la prima volta a Napoli, condotto da Giuseppe, per terminare gli
studi ginnasiali. Frequenta il "Principe Umberto", licenziandosi primo tra
quattrocento studenti.
1872
Insieme a Vincenzo e Giuseppe, è costretto a trasferirsi al liceo "Campanella"
di Reggio Calabria per frequentare la prima liceo. Motivo del trasferimento
è l'assegnazione della cattedra di prima classe ginnasiale a Giuseppe, lo"zio
prete".
1873-1875
Termina gli studi liceali a Potenza.
1876-1879
Tornato a Napoli, si iscrive alla Facoltà di legge presso l'Università Federico
II. Inoltre, segue le lezioni di Luigi Settembrini(2) e frequenta la seconda
scuola di Francesco De Sanctis(3).
luglio 1879
Nella stessa settimana, riesce a laurearsi in legge con Giuseppe Polignani(4),
con una tesi "Sulle fiducie nel diritto civile italiano", e a diplomarsi al
Conservatorio di S. Pietro a Majella.
9
gennaio 1880
Risulta iscritto all’albo dei procuratori legali di Napoli.
1880
Ha la fortuna di entrare, grazie alla protezione di Polignani, nello studio
legale dei fratelli Plastino(5). Qui, inizia ad esercitare la professione legale e,
nello stesso tempo, a collaborare alla nota rivista “Il Filangieri” (alla quale
rimane legato fino al 1886).
1881
E’ autore di un famoso scritto “Gli studii di diritto civile e la questione
del metodo in Italia”, nel quale propone il passaggio dal puro commento
esegetico alla costruzione sistematica del Codice, intendendo, con tale
svolta, esaltare il vantaggio espositivo delle nuove tecniche di studio e,
quindi, la loro idoneità a mettere in luce principi di diritto non rilevabili
letteralmente dal tessuto delle norme contenute nel Codice. E' in questo
periodo che pone molta della sua attenzione sull’annoso problema
del rapporto tra insegnamento universitario del diritto e tirocinio
professionale.
1882
A 28 anni, pubblica la prima edizione della Parte Generale ed inizia
l’attività di libero docente. La sua scuola privata è strutturata su un modulo
tipicamente seminariale e di lavoro collettivo, che connota l'attività didattica
di una proiezione familiaristica, facendo del maestro un padre.
Egli fa riferimento al modello educativo delle antiche scuole di retorica di
Roma, allo spirito critico e alla socialità delle discussioni propri degli Studi
medioevali.
1884
Pubblica la “Crestomazia di casi giuridici in uso accademico”, opera
dedicata a Rudolf von Jhering(6), celeberrimo giurista tedesco, nonché amico
e corrispondente del Polignani.
gennaio 1885
Risulta iscritto all'albo degli avvocati.
10
1885
Difende il diritto degli aviglianesi di far legna nel bosco di Lagopesole.
marzo e aprile 1885
Partecipa al concorso per la cattedra di Diritto civile nell’Università di
Torino.
settembre 1885
Presenta domanda di concorso per la cattedra di Diritto civile della Libera
Università di Perugia.
1886
Partecipa al concorso per la cattedra di Diritto civile nell’Università di
Macerata ed in quella di Messina ,risulta vincitore ma rifiuta entrambi
gli incarichi preferendo continuare il suo insegnamento privato a
Napoli.
1889
Vince il concorso per la cattedra di Diritto civile presso l’Università di
Napoli.
maggio 1889
Viene eletto per la prima volta alla Camera, il 5 Maggio 1889, nel terzo
collegio di Basilicata.
dicembre 1889
Sorge il "Circolo giuridico", organismo attivissimo di cui è per 6 anni vicepresidente.
1890
Viene rieletto nel collegio di Acerenza.
giugno 1890
Sposa, il 5 giugno 1890, nella chiesa di S. Pasquale, in Portici, Remigia
Guariglia.
11
agosto 1890
Inizia il contenzioso con l’Università di Napoli. In qualità di parlamentare, è
costretto a rinunciare ad ogni lucro che possa derivare dalle quote d’iscrizione
e ad accettare il ruolo di “incaricato ufficiale gratuito” dell’insegnamento di
Diritto Civile.
1891
Prende vita il primo volume delle Opere giuridiche, con lo scritto "Lettere
agli agricoltori italiani".
1892
E’ rieletto nel collegio di Acerenza.
settembre 1892
Ottiene la nomina ad "ordinario" per impulso del nuovo Ministro della
Pubblica Istruzione, Ferdinando Martini.
1893
Pubblica lo scritto "Le indagini sulla paternità", contenuto nelle Opere
giuridiche.
1893
Entra a far parte, in qualità di socio onorario, del Circolo giuridico di
Palermo.
maggio-settembre 1893
E’ Sottosegretario di Stato alla Giustizia con i ministri Eula e SantamariaNiccolini nel primo gabinetto Giolitti.
1895
E’ eletto per la quarta volta nel collegio di Acerenza.
marzo 1896-settembre 1897
E’ Ministro della Pubblica Istruzione.
giugno 1896
Affronta alla Camera il tema della riforma universitaria .
12
1897
E’ eletto nel collegio di Acerenza e in quello di Isernia.
maggio 1897
Presenta alla Camera dei Deputati il suo disegno di legge "Modificazioni
alle leggi vigenti sull'istruzione superiore", teso a restituire all'insegnamento
privato quel valore che la legge Bonghi(1875) le aveva sottratto. Essa, infatti,
aveva stabilito che la tassa di iscrizione ai corsi doveva essere pagata, da
allora in poi, dallo studente alla cassa dell'università e da questa all'insegnante
a titolo privato.
settembre-dicembre 1897
E’ Ministro della Giustizia.
1898
Dopo la doppia esperienza ministeriale nel governo Di Rudinì, si reca, per un
intenso soggiorno di studio, in Germania, Francia ed Inghilterra.
1900
Vengono alla luce altri 2 scritti, riuniti poi nelle Opere giuridiche:
"Provvedimenti per la repressione dell'usura" e "Sui discorsi dei procuratori
generali".
1900
E’ nuovamente eletto nel collegio di Acerenza.
1900
In un discorso tenuto dinanzi agli elettori del suo collegio, premendo per un
rafforzamento dell'autorità dello Stato contro ogni tendenza disgregatrice,
da un lato deplora che "siano scemate le forze di resistenza e di coesistenza
dello Stato", dall'altro rifugge da una presenza autoritaria e da un continuo
intervento dello stesso nella cosa pubblica.
giugno 1900-febbraio 1901
E’ Guardasigilli nel governo Saracco.
13
1902
Difende gli usi civici degli abitanti di Capracotta.
1903
Fa parte del Consiglio dell' ordine forense napoletano con compito di “delegato
alla commissione di vigilanza” per la biblioteca forense in Castelcapuano.
1904
Vengono pubblicati altri due volumetti delle Opere giuridiche: "Sulla riforma
giudiziaria" e "Separazioni personali di coniugi nel triennio 1899-1901".
1904
E’ eletto nel collegio di Acerenza, in quello di Ariano e nel primo collegio
di Napoli.
1905
Pongono termine alle Opere giuridiche i due scritti "Sullo sgravio dal debito
ipotecario" e "Disposizioni sulla pubblicità dei diritti immobiliari".
marzo 1905
Combatte con insistenza il diritto allo sciopero, proponendo che "sia
rinvigorita l'autorità dello Stato conciliandosi la intangibilità dello Statuto
con la tutela dei pubblici servizi".
giugno 1906-novembre 1907
E’ nominato Ministro dei Lavori Pubblici nel governo Giolitti ed affronta il
difficile compito della statalizzazione delle ferrovie.
novembre 1907
Muore a Napoli, il 10 novembre 1907, stroncato da un cancro alla gola tre
giorni dopo aver presentato le dimissioni dal suo incarico ministeriale.
1913
Viene inaugurata a Napoli una scuola intitolata ad Emanuele Gianturco.
1926
Gennaro Marciano arringa a Napoli in Castelcapuano di fronte al busto
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dell’insigne Gianturco. Viene, inoltre, inaugurato il 26 settembre 1926, il
monumento che, ancora oggi, domina la piazza di Avigliano.
1957
Hanno luogo a Napoli, Avigliano e Potenza le grandiose “Celebrazioni
gianturchiane”, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte.
NOTE
1. Giuseppe Gianturco, lo "zio prete", è il vero educatore di Emanuele e il suo
più grande amico. "La mia famiglia", piccolo volume scritto da Giuseppe
nel 1897, ma pubblicato postumo, offre al lettore un quadro autentico della
famiglia Gianturco.
2. Luigi Settembrini nasce a Napoli nel 1813 e compie studi giuridici in linea
con la tradizione familiare. Amante della libertà e fiero avversario della
tirannide, si iscrive all’Unità Italiana; condannato all'esilio, approda in
Irlanda e poi si trasferisce in Inghilterra. Tornato in Italia nel 1860, gli viene
conferito l'incarico di docente di letteratura italiana all'Università di Napoli.
Il suo insegnamento è caratterizzato dall'intransigente difesa dell'autonomia
dello Stato dal potere del Papa. Muore a Napoli nel 1876. Le sue opere più
importanti sono: Lezioni di letteratura italiana e Ricordanze della mia
vita.
3. Francesco De Sanctis nasce da una famiglia di piccoli proprietari terrieri.
Nel 1826, lascia la provincia per recarsi a Napoli dove frequenta il
ginnasio privato di uno zio paterno. Completati gli studi ginnasiali e liceali,
intraprende la via della giurisprudenza, presto però trascurata per seguire le
lezioni di letteratura italiana del marchese Puoti, nel cui palazzo De Sanctis
ha modo di conoscere Leopardi ed avviare la sua vera formazione.
4. Giuseppe Polignani (1825-1882) è la figura che più di tutte ha inciso sulla
formazione giuridica di Gianturco. Profondo conoscitore delle fonti del
diritto, mente originale ed acuta, Polignani stima la causa non come occasione
di arzigogoli e cavilli curiali, ma come caso giuridico, cui bisogna applicare
principi certi e rigorosi. Critico riguardo lo stile puramente espositivo dei
romanisti e, in genere, dei giuristi italiani, Polignani crede fermamente,
proprio come Gianturco, nella validità didattica dei casi giuridici.
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5. I fratelli Plastino sono tra i legali più conosciuti a Napoli ed è nel loro
studio che Gianturco intraprende la professione. Giuseppe Plastino, allievo
del Polignani, è insegnante privato con effetti legali di Istituzioni di diritto
romano e di Pandette. Deputato dal 1882, spenderà gli ultimi suoi anni da
avvocato proprio nello studio legale, ormai avviatissimo, del suo vecchio
praticante Gianturco.
6.Rudolf von Jhering, rinomato romanista tedesco, nonchè amico e
corrispondente di Polignani, è l'autore dei "Civilrechtsfalle", opera
che più di ogni altra avvia Gianturco all'adozione del metodo casistico
nell'insegnamento giuridico. Con ogni probabilità, Gianturco non ebbe
modo di conoscere Jhering durante la settimana del soggiorno napoletano
del giurista tedesco, ma riuscì a intrattenere con lui un fecondo scambio di
corrispondenza.
Consultazioni bibliografiche:
o Fonseca C.D., L'esperienza culturale e politica di Emanuele Gianturco, Napoli Liguori Editore, 1986;
o Gianturco G., La mia famiglia, Edizioni Osanna Venosa;
o Mazzacane A., L'esperienza giuridica di Emanuele
Gianturco,Napoli, Liguori Editore, 1987.
16
La casa natìa di Emanuele Gianturco.
1872. Il giovane Emanuele, primo a
sinistra, posa con il fratello Giuseppe,
“Zio prete”, seduto e il fratello Vincenzo
assieme all’amico Raffaele Aiello di
Potenza. (Archivio privato Pinto).
1926. Lavori in corso per l’erezione del
monumento dedicato a Gianturco.
17
Commemorazione E. Gianturco, 80° anniversario della morte del 28/29 novembre
1987, organizzato dal CICS di Avigliano.
18
Tavolo della presidenza della Commemorazione dell’80° anniversario della morte
(28/29 novembre 1987).
Manifesto della
Commemorazione
dell’80° anniversario
della morte
(28/29 novembre 1987).
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Emanuele Gianturco:
il politico, il giurista e il
musicista
A cura di Daniela Claps
IL POLITICO
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La carriera politica
La vicenda politica di Emanuele Gianturco inizia il 5 maggio
1889 quando il terzo collegio di Basilicata lo elesse a suo rappresentante
in Parlamento.
Fu poi confermato nelle elezioni del 1890, 1892, 1897, 1900,
1904 allorché oltre al fedele Collegio lucano, il Collegio di Isernia,
di Ariano ed il Primo di Napoli si contesero l’onore di eleggerlo
deputato.
Ancora oggi non conosciamo il modo in cui lo statista
aviglianese sia entrato nella vita politica. Sicuramente, la fama che
egli aveva già acquistato come avvocato e come giurista ne facilitò
l’ingresso. Nella tradizione soprattutto meridionale, infatti, era tipico
il rapporto tra avvocatura, insegnamento universitario e attività
parlamentare.
Tuttavia, da un articolo di Francesco Saverio Nitti, apparso sul
Corriere di Napoli il 20 aprile 1889, si capisce che l’avvio all’attività
politica di Gianturco é avvenuto sotto le ali di Francesco Crispi.
Nel 1889, le distinzioni all’interno della sinistra storica non
erano ancora così determinate come lo furono successivamente. Lo
statista lucano, infatti, entrò alla Camera da crispino ma svolse la sua
attività politica e governativa preminentemente sotto la protezione di
Giolitti.
Inoltre, c’è da considerare che l’itinerario della formazione
politica di Gianturco è stato certamente legato all’ambiente
napoletano che, tra l’altro, vantava una rappresentanza parlamentare
lucana di notevole rilievo di cui facevano parte Fortunato, Nitti,
Torraca e Lacava.
25
Nitti, infatti, ricorda, nel 1947, nella Prefazione all’edizione
nazionale delle Opere Giuridiche dello statista di Avigliano, le affinità
intellettuali che, pur nella diversità delle opinioni politiche, lo legavano
a Fortunato e allo stesso Gianturco.
Lo statista aviglianese ricoprì, il suo primo incarico governativo
nel 1893 come Sottosegretario alla Giustizia nel ministero Giolitti,
con il quale si saldò un forte legame in occasione delle vicende della
Banca Romana.
Com’è noto, nella seduta del 13 maggio 1895, il giovane
deputato lucano tenne un eloquente discorso in difesa del Giolitti,
convinto che la Commissione parlamentare, mettendolo in stato di
accusa senza averlo interrogato, stesse violando la più elementare
garanzia giuridica: il diritto alla difesa. Portando la discussione su
un campo prettamente giuridico, Gianturco riscattò una situazione
che sembrava compromessa irrimediabilmente e salvò lo statista di
Dronero da una condanna ingiusta.
Nel 1896, Giolitti scrisse una lettera a Rudinì ponendo il nome
del deputato lucano come uno dei ministri indicati per la sua parte;
così lo statista aviglianese divenne Ministro della Pubblica Istruzione.
L’anno successivo, alle dimissioni di Costa, fu nominato invece,
Ministro di Grazia e Giustizia.
L’attività parlamentare dello statista lucano si svolse in un
ventennio cruciale per il giovane Regno d’Italia, all’incirca tra il
1889 e il 1907, in anni difficili per il Paese, segnati dal movimento
dei fasci siciliani, dalla sconfitta di Adua e poi, dalla “crisi di fine
secolo”.
Per quanto concerne la Basilicata, in particolare, dall’inchiesta
Branca del 1883, emersero una società rurale ormai sconvolta, un
26
sistema economico regionale in fase di ristagno e una consistente
ondata migratoria.
Gianturco, nella lettera ai suoi elettori del 1889, affermava:
“disfatti i grandi partiti storici, col sopirsi delle grandi questioni
politiche… a noi giovani spetta principalmente attendere allo
studio delle questioni economiche e sociali onde è già travagliato il
nostro Paese. A noi non venne data la somma ventura di fare l’Italia
politica: ma non inglorioso, né lieve compito è quello di rifare l’Italia
civile…”.
Il ruolo che spettò agli uomini della seconda generazione
del Risorgimento fu quello, infatti, di costruire lo “Stato nazionale”
attraverso programmi di carattere economico e sociale; il tutto entro
un quadro disomogeneo caratterizzato da realtà completamente diverse
tra loro, non solo sul piano geostorico bensì per le situazioni presenti
entro ciascuna di esse.
Il problema principale, in quel contesto storico, fu quello di
trovare una base di legittimità nello Stato liberale che andasse al di
là degli elettori, pochi e ricchi (perché il suffragio era censitario) e
puntare in qualche modo su un consenso più largo.
Bisognava riuscire a proporre una politica capace di affrontare
i problemi generali, quelli della collettività, ed in modo particolare,
quello dell’ordine sociale. Gianturco fu, perciò, completamente in
disaccordo con Crispi quando questi, a seguito dei moti della Sicilia e
della Lunigiana, anziché adottare provvedimenti sociali ed economici,
intervenne con leggi eccezionali di pubblica sicurezza.
Lo statista di Avigliano, in quella occasione, si oppose, in
particolare, all’articolo terzo del testo accettato dalla Commissione
parlamentare secondo il quale, poteva essere mandato al domicilio
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coatto chiunque avesse soltanto manifestato il proposito di commettere
vie di fatto contro gli ordinamenti sociali.
Il parlamentare lucano, perciò, invitò il governo Crispi, a
risolvere le “urgenti e gravissime questioni agrarie” e ribadì la necessità
di una legislazione sociale per l’industria, a partire dalle leggi sugli
infortuni del lavoro poiché ogni indugio nel provvedere costituiva
per le classi dirigenti “grave colpa d’impreveggenza e (…) di cecità
politica”.
Gianturco riteneva, infatti, che lo Stato unitario fosse chiamato
ad assolvere un “compito sociale”, assumendo sopra di sé la cristiana
missione di “protettore dei deboli”, secondo i dettami delle nuove
scienze sociali.
La sua concezione dello Stato etico venne manifestata, nel
1891, nella prolusione universitaria d’esordio L’individualismo e il
socialismo nel diritto contrattuale, in cui condensò il suo pensiero
riformistico, individuando nella disciplina del contratto di lavoro
subordinato e nella repressione dell’usura, le più urgenti risposte
legislative alla questione sociale.
Gianturco proclamò per il ventesimo secolo un programma
così sintetizzato: “Non reazione ma libertà, entro i limiti della legge e
sotto lo scudo della giustizia sociale”.
La sua visione delle linee di costruzione dello Stato etico
fu, comunque, decisamente moderata: all’autorità e alle capacità
d’iniziativa della classe dirigente affidava l’attuazione di quel
programma di “pacificazione sociale mercè il diritto” che avrebbe
dovuto prevenire, con l’adozione di opportune riforme, le spinte
eversive delle masse lavoratrici e favorire la composizione pacifica
dei conflitti di classe.
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Per quel che concerne la statura politica, Gianturco dimostrò una
straordinaria capacità di uomo di governo, di essere ben inserito nella
vita del Parlamento italiano, nel gioco degli schieramenti politici e, di
essere un uomo di larghissime mediazioni e di ampia disponibilità.
Per amore del Paese, non esitò a rinunciare volontariamente
all’ufficio di Guardasigilli e a cedere la carica a Zanardelli, quando
si trattò di “ spianare la via a Rudinì e facilitare una combinazione
politica seria e duratura”. Nel governo Saracco, invece, furono proprio
le sue riconosciute qualità di mediatore a garantirgli la nomina a
Ministro della Giustizia, incarico che mantenne fino alla caduta di
questo gabinetto.
Pertanto, è dai comportamenti manifestati nell’attività
parlamentare (fu anche tre volte vicepresidente della Camera dei
Deputati) e governativa che si possono cogliere gli aspetti salienti della
politica gianturchiana, ispirata alle sue umili origini, all’educazione
cattolica, alla diretta esperienza della miseria dei contadini lucani e
dei vicoli napoletani che determinarono la sua avversione, più spesso
istintiva che concettuale, al liberismo economico e all’individualismo
liberale.
Nel 1947, non a caso, Nitti affermò : “Se io dovessi scrivere una
biografia di Emanuele Gianturco e spiegare tutti i lati del suo carattere
e la sua intelligenza poliedrica ed esuberante, io parlerei del suo paese
natale, Avigliano, della famiglia e soprattutto del fratello prete che
egli considerava sempre con rispettosa riverenza. Non potendogli dare
titolo che non gli fosse attestato di riverenza anche quando era grande
personaggio e ministro lo chiamava zio prete e gli dava del voi”.
Dalle memorie che lo “zio prete” scrisse, e che vennero
successivamente pubblicate, emerge l’ambiente familiare in cui visse
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e si formò la personalità di Emanuele Gianturco: una modesta famiglia
di un piccolo paese della Basilicata, che con tenacia favorì l’ascesa
dei suoi più giovani componenti: Emanuele, e il fratello minore
Vincenzo.
Dalle citate memorie di Giuseppe Gianturco, spicca,
altresì, il rapporto tra Avigliano e Potenza e, soprattutto, la
grande forza di attrazione che Napoli esercitava sui giovani
provinciali, giacchè era ancora nella vecchia capitale che si
formavano culturalmente e politicamente i professionisti e gli
uomini politici meridionali.
Spiccato e sincero fu, poi, il sentimento religioso di Emanuele
Gianturco in un periodo in cui era diffuso lo spirito anticlericale e vivo
il conflitto tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica.
Quando egli si presentò alle elezioni politiche del 1889, aveva
certamente fama di cattolico, ma anche di liberale, sostenitore dello
Stato laico.
Agli elettori del terzo collegio di Basilicata, pur professandosi
“scevro da ogni intemperanza o pregiudizio antireligioso”, promise
che “sarebbe sorto in Parlamento fiero difensore dei diritti dello Stato
laico”. Dichiarò di non essere fautore di una religione di Stato, ma,
nello stesso tempo, di volere un risveglio della coscienza religiosa
italiana: “risveglio che avrebbe impedito l’umiliante spettacolo di atei
che portavano addosso le loro devozioni e di cristiani che non avevano
animo di professarsi tali apertamente”.
Secondo l’onorevole lucano, l’Italia non aveva mai avuto una
politica ecclesiastica, né di Destra, né di Sinistra. Egli riteneva che il
Parlamento dovesse occuparsene, determinando i criteri di conduzione
e le modalità di tutela dei diritti dello Stato.
30
Lo statista lucano era convinto, inoltre, dell’utilità e della
necessità di un trattato che definisse i rapporti fra il Vaticano e lo Stato
italiano. Esso avrebbe dovuto lasciare sicurezza e libertà di movimenti
alla Chiesa nella sua azione religiosa, così nazionale come internazionale,
senza tuttavia diminuire in nulla la libertà e la laicità dello Stato.
Francesco Saverio Nitti scrisse che, spesso, nelle sue
conversazioni con lo statista di Avigliano, aveva affrontato questo
argomento notando che, a riguardo, Gianturco aveva delle vedute
molto equilibrate. “In materia di religione, Gianturco per Nitti, era
soltanto un cattolico di buona fede, ma come uomo politico era geloso
custode dei diritti e delle prerogative dello Stato”.
Il ministro lucano fu, tuttavia, sempre contrario all’introduzione
del divorzio che concepiva come un attentato inconsulto alla famiglia
italiana, “la base incrollabile della società domestica”.
Nel febbraio del 1906, Gianturco si fece promotore finanche di
un’associazione politica che chiamò liberal–temperata. Essa raggruppava
quei deputati meridionali che non condividevano la linea politica assunta
dal Ministero Sonnino e, soprattutto, i provvedimenti che questi voleva
presentare alla Camera, fra cui, appunto, la legge sul divorzio.
Il successo dell’iniziativa venne frustrato dai giolittiani
che temevano Gianturco si ponesse a capo della maggioranza della
deputazione meridionale. Essi, infatti, lo chiamarono al Governo con
l’incarico di Ministro dei Lavori Pubblici.
Intanto, il ruolo ormai dirigente assunto dal Ministro lucano
nel seno non solo della deputazione meridionale, ma dell’intera
rappresentanza parlamentare, veniva testimoniato dalle cronache
politiche coeve, che indicando in Gianturco “il capo dei moderati” di
Montecitorio, ne pronosticavano il massimo incarico governativo.
31
Emanuele Gianturco fu, infatti, un uomo politico dalle qualità
notevoli. Ebbe una carriera rapida e promettente che venne stroncata,
a solo 50 anni, dal morte prematura che gli impedì di raggiungere altre
mete cui sembrava destinato, come auspicato da parte dei più influenti
settori del Parlamento.
EXCURSUS DEGLI INCARICHI MINISTERIALI DI
EMANUELE GIANTURCO
Il Ministro della Pubblica Istruzione
Emanuele Gianturco fu nominato Ministro della Pubblica
Istruzione il 10 marzo 1896, nel governo affidato al presidente del
Consiglio, il marchese Di Rudinì. Vi rimase fino al 18 settembre
1897.
Un incarico che durò, quindi, solo 18 mesi e si
caratterizzò, tuttavia, per una vasta azione riformatrice che
coinvolse la scuola elementare, la secondaria, la normale e,
persino l’Università.
Quando Gianturco assunse l’incarico di Ministro della P. I.,
i problemi della scuola erano di natura non solo tecnica e didattica,
ma anche sociale e politica. Il popolo e la classe dirigente, in
particolare, si mostravano poco attenti rispetto alle problematiche
della scuola e questa, a sua volta, non si raccordava affatto con
le mutate esigenze della società. Da qualche decennio, infatti,
era iniziato, in Italia, il trapasso dall’economia agricola a quella
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industriale e veniva perciò richiesta una formazione sempre più
qualificata.
Tra i primi provvedimenti che adottò, vi fu la presentazione alla
Camera, il 1°giugno 1896, di un progetto di legge sul riordinamento
delle scuole complementari e di quelle normali, con il quale si
proponeva di riformare radicalmente la preparazione degli insegnanti
della scuola primaria.
Il nuovo ministro era convinto che la scuola normale non
fosse in grado di preparare culturalmente, né didatticamente, i maestri
elementari, in un periodo in cui l’insegnamento primario era l’unico
popolare e garantito dallo Stato.
Il citato disegno di legge fu approvato alla Camera il 4 giugno
1896, e poi, il 10 luglio dello stesso anno, anche al Senato. A distanza
di circa un anno dall’approvazione di quella legge, il ministro lucano
affermò che aveva voluto cominciare la sua opera riformatrice dalle
scuole normali perché convinto che, sino a quando il corpo dei maestri
elementari non fosse stato rinnovato, nulla sarebbe valso a rialzare le
sorti della scuola primaria.
Gianturco adottò altri provvedimenti nei confronti dei maestri
che erano all’epoca non dipendenti dello Stato, ma dei Comuni e che,
quindi, vivevano una situazione precaria sotto il profilo economico.
Lo statista di Avigliano, si impegnò molto, inoltre, per
l’organizzazione e la diffusione, su tutto il territorio nazionale, dei
Patronati scolastici: erano organi parascolastici, basati sulla libera
iniziativa privata, che avevano il compito di provvedere, con volontarie
contribuzioni, col sussidio dello Stato e con quello del Comune, che
agli scolari meno abbienti fossero concessi, gratuitamente, libri, vestiti,
e, possibilmente, una refezione.
33
Egli fece entrare nella competenza della P. I. anche gli asili
infantili che, pur non essendo allora, delle vere e proprie scuole,
davano assistenza e la prima formazione a tanti bambini, già prima
della frequenza della scuola dell’obbligo.
Si occupò anche della scuola secondaria della quale non mancò
di sottolineare le insufficienze. Si propose, pertanto, di procedere,
con un apposito disegno di legge. Nel frattempo, emanò una serie di
decreti correttivi, tra i quali: l’obbligo degli esami di licenza ginnasiale
e liceale per tutti, con l’eliminazione della promozione per scrutinio;
il divieto di iscrizione all’Università senza aver conseguito la licenza
liceale; il divieto di conferire cattedre nella scuola secondaria, se non
per concorso per titoli ed esami.
Tra le questioni relative alla scuola secondaria, Gianturco
dovette affrontare anche quella relativa all’insegnamento del greco,
ossia stabilire se mantenerlo tra le materie obbligatorie o declassarlo
tra le facoltative.
Rispetto a questo argomento, già oggetto di dibattito ai tempi
del suo predecessore, e sul quale l’opinione pubblica appariva divisa,
il Ministro lucano si espresse dichiarando di essere orientato verso
una scelta facoltativa dell’insegnamento del greco, eccezion fatta per
gli studenti che, pensassero di iscriversi poi, alla Facoltà di Lettere o
Giurisprudenza.
Più volte ebbe modo di esprimersi alla Camera su questo
problema, riconoscendo la grande importanza del greco sul piano
pedagogico sottolineando, tuttavia, che il tempo dedicato alla materia
nei ginnasi e nei licei era talmente poco e, quindi insufficiente, perché
i giovani studenti “potessero penetrare nello spirito di quei sommi
scrittori ed intendere il valore ideale di quelle opere immortali”.
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Annunciò, pertanto, la sua intenzione di affrontare il problema in sede
di riforma della scuola secondaria.
Nei suoi intenti, si proponeva, altresì, uno sbocco aggiuntivo,
rispetto alle secondarie; ovvero, al termine della scuola elementare,
pensava all’istituzione di scuole di arti e mestieri, come già era
avvenuto in altri paesi d’Europa. Ciò, però non avvenne, perché
passò dalla P. I. a reggere il Ministero di Grazia e Giustizia.
Gianturco si occupò, inoltre, delle Università italiane che,
alla fine del secolo XIX, vivevano una situazione preoccupante. Si
prefiggeva, infatti, di risolverla con un’apposita riforma.
I nodi da sciogliere erano tanti. Tra questi: l’Università doveva
essere una libera corporazione o un istituto di Stato? Ed ancora: doveva
avere per fine l’insegnamento scientifico o il professionale?
La sua posizione risultò chiara in due importanti sedute della
Camera e del Senato: alla Camera il 22 giugno 1896 ed al Senato il 3
luglio 1896.
Secondo il suo pensiero, lo Stato non poteva rinunciare al
compito di dirigere e ordinare l’insegnamento superiore e, del resto,
i crescenti bisogni della scienza esigevano mezzi proporzionati che
la corporazione non poteva fornire con la sola dotazione fissa ed i
proventi delle tasse d’iscrizione.
Tuttavia, riteneva che la scienza non potesse essere monopolio
dello Stato per cui, accanto all’insegnamento pubblico, doveva vivere
e prosperare anche l’insegnamento privato.
Per tale ragione, assunse una serie di iniziative per riorganizzare
e disciplinare la libera docenza che avrebbe dovuto svolgere una duplice
funzione: di concorrenza e di complementarietà all’insegnamento
ufficiale.
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Per l’accesso alla cattedra sostenne il sistema dei concorsi, non
ritenendo idoneo quello della cooptazione, tenuto conto dei problemi
che derivavano nella pratica.
Del progetto Baccelli sulla riforma universitaria, accettò i
concetti dell’autonomia amministrativa e didattica, mentre rispetto alle
forme disciplinari, espresse delle riserve, ritenendo che fosse necessaria
la figura di un curator studiorum, cioè di un organo giurisdizionale che
mantenesse la disciplina, così come accadeva già in altre Università
europee.
Quello di fine secolo fu, infatti, per l’Europa un periodo di
turbolenze politico-sociali che trovarono immediata ripercussione nelle
Università. Oggetto di rivolta degli universitari furono, in quegli anni,
anche alcuni provvedimenti di rigore del Gianturco che si era proposto
due importanti obiettivi: riordinare gli organismi amministrativi
dell’istruzione pubblica; elevare la serietà degli studi, convinto che
nella scuola, più che nelle piazze d’armi, si preparassero i destini della
nazione.
In tema di Università va ricordata anche la sua iniziativa per
la riorganizzazione e il potenziamento dell’Università di Napoli. Con
un apposito disegno di legge, ottenne dei fondi destinati a mettere
l’Università “Federico II” nelle condizioni di rispondere, in modo
moderno, alla sua funzione di promotrice di scienza.
Si occupò anche del vasto ed importante campo dell’arte, della
tutela del patrimonio archeologico e monumentale italiano. Gianturco
voleva “che l’Italia facesse dell’arte un fondamento precipuo
dell’educazione nazionale”. Fu lieto d’inaugurare, il 19 dicembre
1896, l’Esposizione di Belle Arti a Firenze e, il 28 aprile 1897, ad
Urbino, il monumento a Raffaello.
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Promosse l’insegnamento della storia dell’arte, istituendo
a Roma, la prima cattedra di tale disciplina, affidandola ad Adolfo
Venturi, un insigne studioso della materia.
Il Ministro di Grazia e Giustizia
Emanuele Gianturco assunse l’incarico di Ministro di Grazia e
Giustizia, la prima volta, dal 18 settembre 1897 al 14 dicembre dello
stesso anno, quando volontariamente offrì il suo posto all’onorevole
Zanardelli per favorire la formazione del governo Di Rudinì.
Nel breve periodo rimasto in carica, diede prova delle sue
indiscutibili capacità di legislatore iniziando gli studi della riforma del
diritto penale.
Fu una seconda volta Ministro Guardasigilli dal 24 Giugno
1900 al 15 Febbraio 1901 durante il Governo Saracco.
Tra i vari provvedimenti, assunti nell’esercizio di questo incarico,
merita speciale menzione il decreto emanato per la concessione della
grazia condizionale, che anticipava, nella forma permessa al potere
esecutivo, l’istituto della condanna condizionale.
Concepì, inoltre, una completa ed organica riforma giudiziaria.
Il 17 settembre del 1900 su Il Corriere apparve un editoriale intitolato:
La riforma giudiziaria secondo il ministro Gianturco.
“Il disegno di legge – annunciava il giornale in prima pagina
– si divide in tre parti. Con la prima si ordinano diversamente gli uffici
giudiziari; con la seconda si fissano i gradi e gli stipendi; con la terza
si stabiliscono le guarentigie della magistratura”.
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Questo progetto di riforma, benché conosciuto soltanto per
informazioni ufficiose della stampa, offrì immediatamente il campo ai
più vivaci ed interessanti dibattiti per le ardite idee che lo informavano,
tra cui: l’istituzione del giudice unico per tutte le materie giudiziarie,
anche penali, salva la sola competenza delle Assise.
Il Ministro lucano, tuttavia, indugiò nella presentazione del suo
disegno di legge in Parlamento perché, come dichiarò pubblicamente
nel suo discorso alla Camera sulla riforma Zanardelli, nutriva dei dubbi
sull’opportunità di estenderlo anche alla materia penale.
Un altro tema, su cui sembra si sia soffermato con attenzione, fu
quello della autonomia della magistratura. Il Ministro aveva ben chiaro
quanto fosse “unanime il consenso intorno alle necessità di aumentare
le garanzie dei giudici in ordine all’inamovibilità dall’ufficio e dalla
sede”. Perciò proponeva che i trasferimenti potessero avvenire “solo
su parere di una commissione speciale di magistrati” che si ebbe in
seguito con l’istituzione del Consiglio Superiore della Magistratura.
In materia di nomine e promozione, fu per una diminuzione dei
poteri ministeriali affinché si preservasse lo Stato di diritto, incentrato
sul sistema dei poteri separati ed autonomi. Si propose, inoltre, di
elevare il prestigio della magistratura e di assicurarne l’indipendenza
economica.
Nel discorso tenuto il 3 marzo 1890, a proposito della
proposta di legge per l’ammissione e le promozioni in magistratura,
il giurista lucano propose per tutti i laureati in giurisprudenza,
l’esercizio del tirocinio in una fase anteriore a quella della selezione
del personale, secondo la sequenza laurea-tirocinio-esame di Stato.
Lo scopo era quello di far conseguire ai giovani aspiranti, con la
pratica giudiziaria, un risultato assai più soddisfacente di quello
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raggiunto con sistemi di tipo teorico, ritenuto un inutile duplicato
degli studi universitari.
Non va dimenticato, infine, la posizione di contrasto che
Gianturco assunse rispetto al problema dell’unificazione delle Corti di
Cassazione Regionali.
Il giurista lucano illustrò le sue idee su questo tema in uno
scritto del 1901, propugnando una soluzione tecnica alla cui base
sembra vi fosse il forte amore per le tradizioni giuridiche locali, per
la cultura giuridica napoletana e per le passate istituzioni del Regno,
naturalmente vissuto con lo spirito critico dei tempi nuovi.
Il Ministro dei Lavori Pubblici
Emanuele Gianturco diede prova della sua straordinaria
versatilità d’ingegno nei 17 mesi in cui fu Ministro dei Lavori Pubblici,
nel terzo Gabinetto Giolitti.
Dal 29 maggio 1906 al 7 novembre dell’anno successivo,
affrontò il difficile compito di attuare la statalizzazione delle ferrovie.
Nonostante alcune iniziali riserve, accettò l’incarico ed
intraprese con energia il lavoro di Ministro.
Ebbe da risolvere, secondo quanto scrisse Nitti, “tutti gli
intricatissimi rapporti finanziari fra le società, il personale ferroviario
e lo Stato”. Inoltre, dovette far fronte alle proteste dei viaggiatori per
i ritardi e per i contrattempi di servizio; nonché ai problemi dettati da
linee, impianti e vetture in tale stato di deperimento da dover essere al
più presto demoliti o posti fuori uso.
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Quindici giorni gli furono più che sufficienti per acquisire larga
competenza tecnica in tutti i problemi che si proponeva di risolvere.
Nitti scrisse: “Non vide mai problemi politici da affrontare, ma
questioni giuridiche da risolvere con serenità e giustizia”.
Fra inaudite difficoltà, affrontò e risolse i vari problemi del
settore: il riscatto delle linee meridionali; l’assetto del personale;
l’ordinamento definitivo, amministrativo e contabile dell’azienda;
il programma finanziario dei lavori e degli acquisti, da compiersi in
un settennio, con lo scopo di rendere il servizio ferroviario pari alle
esigenze del progresso e dell’economia nazionale.
Il Ministro, in pochi mesi, riuscì a dare un assetto all’esercizio
di Stato delle ferrovie ed a far approvare dal Parlamento la spesa di
ben 910 milioni per la soluzione definitiva del complesso problema
dei pubblici trasporti. E non solo. Concepì, in tutta la sua armonica ed
organica complessità, il problema delle comunicazioni; vide come le
ferrovie trovassero il loro sussidio e il loro completamento, da un lato
nella navigazione interna; dall’altro, nei trasporti marittimi.
Fra le più gravi difficoltà politiche e finanziarie, fece approvare
per legge il più grandioso e completo piano di sistemazione dei nostri
porti che sia mai stato presentato al Parlamento italiano. I più valorosi
ingegneri d’Italia rimasero sbalorditi davanti alla capacità tecnica del
Ministro dei Lavori Pubblici.
Lo stupore maggiore fu quello dei colleghi di Gabinetto:
Vittorio Emanuele Orlando, infatti, non esitò ad affermare che non vi
era da meravigliarsi se Gianturco, mettendosi a studiare astronomia,
avesse, dopo pochi giorni, scoperto una nuova stella.
Con tutti i suoi complessi problemi giuridici ed economici,
il sistema ferroviario nazionale venne, dunque, portato a termine in
40
pochi mesi d’intenso lavoro, grazie ad un notevole impegno personale
del Gianturco, già gravemente sofferente per un cancro alla gola.
Una settimana dopo il secondo intervento chirurgico, pur
consapevole della fine imminente, si recò a Roma per completare la
sua opera di Ministro dei Lavori Pubblici. Infatti, morì a Napoli, tre
giorni dopo aver presentato le dimissioni dal suo incarico ministeriale,
il 10 novembre 1907.
41
IL GIURISTA
44
Momenti della mostra,
organizzata dal CICS
durante il Convegno di Studi
su Emanuele Gianturco
del 19 e 20 aprile 1986.
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46
L’avvocato
Parte cospicua dell’opera di Emanuele Gianturco giureconsulto
si rinviene nella attività forense, definita da molti studiosi “grandissima
ed insigne”.
Il giurista lucano svolse il prescritto biennio di pratica forense
durante gli ultimi due anni di università, così come consentiva la legge
8 giugno 1874.
Gli anni del tirocinio non furono facili, ma pieni di amarezza
e di umiliazioni. La madre lo incoraggiava e lo incitava, per
esercitarsi, a difendere almeno le cause di gratuito patrocinio. Gli
diceva: “queste cause, ti porteranno le altre; e queste, ti pagheranno
quelle”.
Si avviò all’attività legale, cominciando a frequentare lo studio
di Nicola Alianelli. Di questo deludente esordio professionale troviamo
una eloquente cronaca nelle pagine scritte dal fratello maggiore
Giuseppe che racconta come l’avvocato Alianelli trattasse Emanuele:
“non come un praticante, ma come un servo (…), pagandolo con poca
moneta e con molti rimproveri”.
Avvilito, tornò ad Avigliano a difendere cause in Pretura. Poco
dopo, raggiunse nuovamente Napoli, dove ebbe la fortuna di entrare,
grazie alla “protezione” di Giuseppe Polignani, nello studio legale dei
fratelli Plastino.
Ben presto Emanuele Gianturco, prese posto fra i più grandi
avvocati di un Foro, che, come quello napoletano, contava campioni
insigni. Invitato ad assumere cause importantissime, egli dimostrò
come alla cultura teorica, andava in lui congiunto il senso più squisito
dell’arte e della pratica giuridica.
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Fra le prime delle innumerevoli cause quando prestò la sua difesa,
due riguardavano il comune natìo: l’una, in cui salvò dall’esproprio
la casa comunale di Avigliano; l’altra, nella quale esaminò il diritto
civico degli Aviglianesi a far legna nel bosco di Lagopesole.
Il suo patrocinio venne sollecitato a Napoli ed altrove, per le
cause più importanti. A lui si rivolse persino Re Leopoldo del Belgio,
per ottenere un parere destinato a regolare i rapporti tra l’Inghilterra e
lo Stato libero del Congo.
Gianturco – principe del foro – considerò l’avvocatura come
un’alta missione. Nell’esercizio della attività forense, rifuggiva dagli
espedienti e dai cavilli e le sole armi che utilizzava erano quelle
dell’ingegno, dell’eloquenza e della dottrina.
Il campo di esercizio dell’avvocato lucano non era ristretto:
trattava con eguale capacità e perizia le controversie di diritto privato
e di diritto pubblico, di diritto comune e di diritto ecclesiastico.
La sua opera di avvocato fu in realtà la continuazione
dell’impegno di studioso e di maestro; nel Foro sapeva ricondurre
limpidamente ai principi generali le questioni che discuteva e di
queste poi si serviva per l’illustrazione e l’elaborazione scientifica del
diritto.
Lo studio del pensiero giuridico di Gianturco non può,
pertanto, prescindere dall’esame delle sue numerosissime allegazioni
forensi, nelle quali le questioni più varie e più complesse vennero
trattate genialmente, con rigore di metodo scientifico, apportando
un importante contributo anche alla scienza del diritto.
Avrebbe potuto, con l’esercizio professionale, realizzare
una posizione economica formidabile. Al contrario, non soltanto il
giurista lucano non accettò cause contro i Ministeri che aveva retti,
48
ma quando veniva assunto alla direzione di un qualsiasi dicastero,
chiudeva i battenti dello studio, e restituiva ai clienti le carte
giudiziarie e finanche gli anticipi dei compensi, che aveva ricevuti
per l’esame preliminare delle cause.
Fu, inoltre, sempre pronto, ad assumere cause di gratuito
patrocinio ed a prestare la sua opera in difesa delle Congregazioni di
carità e dei poveri, cui devolveva i suoi compensi stabiliti dal giudice.
Nei rapporti con i colleghi, dimostrò un’esemplare modestia e
remissività di opinioni a tal punto che, nella preparazione della difesa,
quasi scompariva il grande ed ammirato maestro e non rimaneva che il
collega, con il quale era possibile discutere ed obiettare alla pari.
L’insegnamento privato
Nel 1882 Emanuele Gianturco ottenne la libera docenza in
diritto civile. Poté così aprire nella sua abitazione – secondo un’antica
tradizione napoletana, tollerata dalle prime leggi unitarie sulla
istruzione superiore – la sua scuola privata di diritto civile, ben presto
segnalata come la più fiorente ed affollata di Napoli.
Il ruolo di “privato docente” vantava, in questa città, una
tradizione di storico rilievo. Durante il regime borbonico, malgrado le
repressioni, l’insegnamento privato costituiva l’unica vera sede della
libertà di pensiero. Le scuole private di diritto si caratterizzavano,
inoltre, per l’impostazione “seminariale” degli studi, per l’indirizzo
scientifico e professionale e per l’elevata statura morale ed intellettuale
dei suoi maestri. Da esse, tra l’altro, era partito, nella seconda metà del
XIX secolo, il rinnovamento metodologico della scienza giuridica.
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Quando Emanuele Gianturco diventò libero docente,
l’insegnamento libero a Napoli aveva ormai alle spalle la sua “età
d’oro”. Malgrado i tempi, il giurista lucano rimase figlio della migliore
tradizione napoletana, di cui fu forse l’ultimo e più persuaso erede.
La sua scuola privata era strutturata su un modulo tipicamente
seminariale e di lavoro collettivo. L’occasione di svolgere il corso
di studio all’interno dell’ambiente domestico connotava l’attività
didattica di una proiezione familiare che favoriva, enormemente, il
processo di trasmissione del sapere.
Quando però gli iscritti alla sua scuola divennero circa ottocento,
la sede delle lezioni del giurista lucano non fu più una modesta camera
di studio, ma l’anfiteatro dell’Università Federico II.
“Emanuele Gianturco fu maestro insuperato; anzi per me fu
il maestro”, così Nicola Coviello, uno dei più illustri giureconsulti
italiani, anche lui di origine aviglianese, ricordava il suo professore
nel dicembre del 1907.
Il giurista lucano era, infatti, un insegnante esemplare. I discepoli
lo amavano per la potenza dell’ingegno, per la profondità della sua
cultura, per la semplicità dei suoi modi e per la sua eccezionale bontà.
Nelle sue lezioni era talmente semplice e chiaro, da farsi comprendere
anche da coloro che non avevano alcuna conoscenza del diritto.
Nicola Coviello, parlando delle straordinarie doti del Maestro,
scrisse che egli, nelle sue lezioni, “cercava sempre di rendere facile
il difficile, chiaro ciò che è oscuro, dilettevole ciò che di per sé non
sarebbe…mostrando sempre il lato vivo del Diritto, la parte attuosa e
quindi più attraente”.
Il professor Gianturco non concepiva la norma giuridica, se
non in perfetta relazione con la realtà della vita.
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Per abituare i giovani ai dibattiti, era solito ricorrere alle famose
esercitazioni sui “casi giuridici” affinché nei giovani si formasse il
senso giuridico, ovvero “quell’abito della mente” come egli stesso
lo definiva, che “permette di veder sempre chiara la questione e il
principio che ad essa deve applicarsi”.
Fu proprio l’efficacia del suo insegnamento, secondo Nicola
Coviello, a spingere molti giovani ad abbandonare le lezioni dei
professori ufficiali per ascoltarlo ai tempi in cui era ancora un libero
docente. Dalla sua scuola privata uscirono, infatti, innumerevoli e
valorosi civilisti, fra cui Vincenzo Simoncelli, Nicola e Leonardo
Coviello, Vincenzo Ianfolla, Arnaldo Lucci, Francesco Degni,
Giuseppe e Tommaso Claps.
La carriera universitaria
Contemporaneamente all’esercizio della professione forense,
Gianturco, allievo in particolare di Giuseppe Polignani, si dedicò con
intensità allo studio del diritto.
Dal 1880 al 1886 il giurista lucano collaborò ininterrottamente
ad Il Filangieri, prestigiosa rivista giuridica napoletana pubblicando
recensioni, note a sentenza e saggi, tra cui nel 1881 quello su “Gli
studii di diritto civile e la questione del metodo in Italia”, che lo pose
subito alla ribalta della nuova civilistica nazionale.
Con la breve monografia sulle “fiducie” ottenne, nel 1882, a
Napoli, la libera docenza in Diritto civile. Tra il 1885 e il 1887 vinse,
ma rifiutò, le cattedre di Diritto civile nelle università di Perugia,
51
Macerata e Messina, preferendo continuare il suo insegnamento
privato a Napoli, città cui era ormai legato da sempre più importanti
impegni professionali.
I frutti più tangibili della sua esperienza d’insegnante privato
furono la pubblicazione, nel 1884, di un volumetto di esercitazioni
su casi pratici, intitolato Crestomazia di casi giuridici in uso
accademico e, nel 1886, le Istituzioni di diritto civile italiano che
inaugurarono la fortunata collana di manuali giuridici dell’editore
fiorentino Barbera.
Nel 1885 il Gianturco, aveva già pubblicato la parte generale
e quella relativa al diritto di famiglia delle Istituzioni di diritto
civile che, nel 1892, in occasione dell’uscita della seconda edizione
inalterata, cambiò titolo in Sistema di diritto civile italiano, per evitare
confusione con l’omonimo e più agile libro di Istituzioni pubblicato nel
1886 - opera che gli meritò il plauso dei più eminenti giuristi italiani
e stranieri.
Nel 1889 raggiunse il suo più alto traguardo accademico,
vincendo, dopo otto anni di insegnamento privato, la cattedra di
Diritto civile nella facoltà giuridica napoletana, rimasta vacante
dopo la morte di Diego Colamarino. A seguito di tale evento, il
deputato lucano Michele Torraca inviò al Ministro della Pubblica
Istruzione, Paolo Boselli, una premurosa raccomandazione, perché
la cattedra fosse assegnata a Gianturco, “libero insegnante, i cui
meriti erano stati provati in parecchi concorsi”.
Tuttavia, la speranza di un sollecito incarico d’insegnamento,
da affidarsi d’ufficio dal Ministro al privato docente, svanì di fronte
all’evidente ostilità manifestata dalla Facoltà giuridica napoletana. La
cattedra venne messa a concorso e fu vinta solo un anno più tardi da
52
Gianturco; ma la commissione giudicatrice assegnandogli un punto in
meno del necessario, si limitò a proporne la nomina a “straordinario”.
Con ricorso diretto al Ministro Boselli, il professore lucano non
esitò a replicare che fra i titoli presentati al concorso napoletano, ma
non menzionati dalla commissione giudicatrice, vi fosse il Manuale di
Istituzioni che, oltre ad aver già avuto tre edizioni in meno di due anni,
era adottato come libro di testo in varie atenei italiani e, addirittura, da
qualcuno tra gli stessi giudici.
Il Consiglio superiore della pubblica istruzione, tuttavia,
respinse il ricorso. Per poter continuare il suo insegnamento
universitario senza decadere dal mandato parlamentare, conquistato
da appena un anno, Gianturco comunicò al Ministro di non
accettare la cattedra da “straordinario”. Egli chiese di continuare
l’insegnamento del Diritto civile nell’Università di Napoli come
“privato docente” purché al suo corso venissero attribuiti gli “effetti
di corso ufficiale”.
Presa conoscenza della disposizione ministeriale, conforme
alla richiesta del professore lucano, la Facoltà giuridica napoletana,
riconoscendo nel nuovo professore la sola qualità di “privato docente”,
gli impedì di presiedere la commissione d’esame di Diritto civile e di
prendere parte agli esami di laurea, quando la tesi verteva su tale materia.
Il contenzioso tra il professore lucano e la Facoltà, iniziato
nel 1890, si concluse con l’assegnazione a Gianturco del titolo
assai singolare in quei tempi, di “incaricato ufficiale gratuito”
dell’insegnamento di Diritto civile nell’Università di Napoli. Mantenne
tale titolo sino alla nomina ad “ordinario” avvenuta, per impulso del
nuovo Ministro della Pubblica Istruzione, Ferdinando Martini, con
regio decreto del 25 settembre 1892.
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Il civilista
Emanuele Gianturco, oltre che insigne uomo politico, avvocato
e professore di diritto, è stato uno dei maggiori civilisti italiani degli
anni tra l’‘800 e il ‘900.
Fu tra i primi giuristi in Italia ad esprimere con il saggio “Gli
studii di diritto civile e la quistione del metodo in Italia”, pubblicato
su Il Filangieri nel 1881, la necessità di una svolta negli studi di diritto
civile, in decadenza all’epoca, e a sottolineare il valore del nuovo
metodo sistematico elaborato dalla scienza giuridica tedesca.
Con il suo saggio, lo studioso lucano affrontò i temi più originali
della cultura giuridica di fine secolo, affermando, al tempo stesso, la
necessità di nuove forme espositive, capaci di esprimere una rinnovata
funzione ed orientamento della civilistica.
Questa nuova produzione letteraria trovò, i suoi primi testi
significativi proprio nel Sistema e nelle Istituzioni da lui pubblicati
rispettivamente nel 1885 e nel 1886. L’autore scrisse che il libro delle
Istituzioni si proponeva di delineare, con la maggiore precisione e
concisione possibile, l’intima struttura, lo scheletro, per così dire,
degli istituti giuridici, mentre l’esame della loro funzione e delle loro
relazioni era compito proprio del Sistema.
Tuttavia, se da un lato Gianturco sottolineò i pregi del metodo
sistematico, dall’altro, non rinunciò a quello esegetico che, giunto
dalla Francia, aveva dominato incontrastato in Italia dal 1865 al 1881.
Riconobbe esplicitamente “l’utilità di entrambi”. Insieme alla consegna
all’editore dei primi manoscritti delle Istituzioni, pubblicò, infatti,
anche la Crestomazia dei casi giuridici in uso accademico, dedicata a
Rudolf von Jhering, quando l’insigne giurista tedesco si era allontanato
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dal sapere tutto astratto, rivelando interesse alla concretezza della vita
giuridica.
In verità, nel panorama più familiare a Gianturco, quel modello
venuto da lontano neppure doveva apparire tanto isolato, visto che a
Napoli, l’attività delle scuole private di diritto e le iniziative dei vari
“Circoli” si erano da tempo caratterizzate per una particolare attenzione
a superare il carattere teorico dell’insegnamento universitario,
tentando piuttosto di coniugarlo con le più pragmatiche esigenze della
formazione professionale.
Con il suo volumetto sui casi pratici, il giurista aviglianese
voleva favorire, nei giovani, l’assimilazione dei principi teorici,
sviluppare il “senso giuridico” e ridurre lo scarto esistente tra lo studio
universitario e la professione legale.
Gianturco partecipò, inoltre, ai primi dibattiti sui “problemi del
lavoro” quando una disciplina “giuslavoristica” vera e propria non era
ancora nata.
Non per questo, indubbiamente, può essere considerato un
giuslavorista, ossia un fondatore del diritto del lavoro. Si occupò dei
cosiddetti “problemi del lavoro” in solo due interventi: nella Prolusione
su “L’individualismo e il socialismo nel diritto contrattuale”, nel 1891,
e nella Conferenza sul contratto di lavoro, tenuta al Circolo giuridico
di Napoli, nel 1902, che occuparono uno spazio minore nell’opera
complessiva del civilista.
Pur tuttavia, si dimostrò un osservatore attento ai problemi del
lavoro – anche come professionista e come politico – per cui diventa
interessante, ripercorrere con lui, la vicenda della mancata legificazione
del diritto del lavoro che segnò indelebilmente la materia, fino ai giorni
nostri.
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Nel 1891, a soli trentaquattro anni, il professore lucano individuò
e propugnò, come soluzione ai problemi del lavoro, un codice sociale.
Voleva che il codice civile, nella parte relativa alla locatio operarum,
venisse trasformato in un “codice privato sociale”, attento alla sorte
dei cittadini.
L’auspicio generico di un intervento integrativo del legislatore
sul capo “della locazione delle opere”, lasciò tuttavia il posto nel
1893 ad una iniziativa ben più circoscritta e concreta, forse anche più
realistica. Chiese, infatti, di eliminare la legislazione frammentaria e
disorganica esistente in materia e di intervenire con una legge generale
sul lavoro.
In quello stesso anno, Gianturco, quale sottosegretario al
Ministero di Grazia e Giustizia, si fece promotore dell’istituzione di
una Commissione governativa per la riforma dei contratti agrari e
del contratto di lavoro, con la finalità di raccogliere tutto il materiale
informativo utile alla stesura di un progetto di legge in materia.
Il lavoro della commissione ministeriale, che aveva così
fortemente voluto e incoraggiato, si rivelò, purtroppo, poco incisivo,
anzi deludente, e non trovò realizzazione.
Nel 1907, in una lettera al suo allievo Galizia, Gianturco
si dimostrò, ormai, rassegnato circa la realizzazione di una legge
generale e, si soffermò su una legislazione settoriale.
I tempi, insomma, si erano rivelati immaturi per una legge
generale, e il giurista lucano si era ripiegato sulla strada, già ampiamente
collaudata, degli interventi ad hoc.
Se, dunque, questi tentativi del giurista lucano non ci
restituiscono l’immagine di un giuslavorista, assumono, tuttavia, un
certo rilievo in quanto rendono evidenti i legami che saldavano la
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nascita del diritto del lavoro alla più ampia riflessione che, sul finire
dell’Ottocento, la civilistica italiana aveva avviato su sé stessa, sul
proprio metodo e sul proprio oggetto.
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IL MUSICISTA
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Il maestro compositore
Emanuele Gianturco scelse l’arte del diritto, ma non abbandonò
mai la musica, coltivata negli anni giovanili presso il Conservatorio
di San Pietro a Maiella, grazie ad una borsa di studio concessagli
dall’Amministrazione Provinciale di Potenza.
Francesco Nitti, nella più volte citata prefazione all’edizione
nazionale delle Opere giuridiche di Gianturco, ricorda che spesso
aveva trovato il giurista lucano impegnato, nell’intimità della sua casa,
in conversazioni artistiche o intento ad eseguire difficili composizioni
di Bach, di Beethoven, di Schubert, con la precisione e il calore di un
artista professionale.
Il giurista, non fu solo un esecutore bensì, un compositore,
titolo che aveva conseguito al termine degli studi musicali. Le sue
composizioni per orchestra, per strumenti, per piano e per canto
furono pubblicate a Firenze, nel 1912, in un volume, con prefazione
di Alessandro Longo, allora Direttore del menzionato Conservatorio
napoletano.
Gli rimase sempre vivo il ricordo del Conservatorio che aveva
frequentato; tant’è, nel testamento dispose un lascito di mille lire in suo
favore perché, con il ricavato delle rendite, si bandisse ogni quadriennio
un concorso a premi per il miglior elaborato in composizione.
Gabriele D’Annunzio, allorché sostò a Napoli, frequentò la casa
dello statista aviglianese e ne subì il fascino. Gli regalò due volumi
delle Laudi, con la seguente dedica: “Al giurista, la cui sapienza è
misurata dal ritmo dell’arte”.
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Bibliografia:
Coviello N., Emanuele Gianturco, in Studium, Anno II, dicembre
1907, n. 12.
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La libreria dello Stato, 1947.
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Guariglia Gianturco R., Per l’inaugurazione della scuola Emanuele
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Irti N., Scuole e figure del diritto civile, Milano, Giuffré editore,
1982.
Mazzacane A. (a cura di), L’esperienza giuridica di Emanuele
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tesi di laurea in giurisprudenza Nicola e Leonardo Coviello, Avigliano,
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Emanuele Gianturco: l`uomo dalle molte anime