Notiziario CAI n. 2 Estate 2009. Semestrale. Poste Italiane Spa. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DR PD IL NOTIZIARIO del C.A.I. Padova 2 • 2009 CLUB ALPINO ITALIANO Sezione di Padova sommario sommario Giovedì 16 luglio 2009 ore 21,00 Piazzetta Tito Livio - Teolo Il Club Alpino Italiano sezione di Padova presenta Comune di Teolo I MATI DE LE CORDE Club Alpino Italiano Immagini luci parole e gesti per cent’anni di alpinismo a Rocca Pendice (via Carugati - 1909) Interpretazione: Gabriele Fanti, recitazione Abracalam, danza A seguire salita in notturna della via originale da parte degli istruttori del CAI CLUBALPINOITALIANO SEZIONE DI PADOVA 2 • 2009 I M A T E D I R D O E C L E 4• Dalla Sede Consiglio Direttivo Anno 2009 5• Cronache ... sorgono isolati come scogli nel mare di Elena Turchetti ... da quanti anni... di Francesco Cappellari La rassegna in rassegna di Francesco Cappellari Outdoordays 2009 di Giuliano Bressan 14• Dialoghi È inutile guardare “massa in alto”, o “massa in basso”: guarda intorno a te a dove mettere le mani e i piedi di Massimo Galiazzo 25• La nostra storia La nascita della Sezione C.A.I. di Padova di Dante Colli Gino Carugati & C. di Leri Zilio Toni e Sergio due vite insieme. di Sergio Carpesio A Sergio di Elena Billoro 36• Diario Alpino BMC International Winter Climbing 2009 di Leri Zilio Polvere di carbone di Francesco Cappellari Ciaspolata al Rifugio Altissimo 50• Itinerari Alpini Traversata del Monte Rudo di Marco Di Tommaso 52• Scuola di Alpinismo 1° Corso di Perfezionamento Arrampicata Artificiale di Giuliano Bressan 54• Veterani Veterani in Argentina di Fiorenza Miotto Un grande ricordo di Maurizio Guglielmi Mens sana in corpore sano di Gabriella Rossignoli 62• In libreria 66• Ricordiamo Primo Stivanello Lo scrivo o non lo scrivo? Tributo a Tony Guerra SEMESTRALE SEGRETERIA REDAZIONALE c/o Sezione CAI 35121 Padova - Gall. S. Bernardino, 5/10 Tel. 049 8750842 - www.caipadova.it - [email protected] Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DR PD Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 401 del 5.5.06 DIRETTORE RESPONSABILE: Giovanni Piva VICE-DIRETTORE: Lucio De Franceschi COMITATO DI REDAZIONE: Francesco Cappellari, Leri Zilio IMPAGINAZIONE GRAFICA e STAMPA: Officina Creativa IN COPERTINA: la parete est di Rocca Pendice con il tracciato originale della via Carugati del 1909 (foto Marco Simionato) 3 dalladalla sede sede Consiglio Direttivo Anno 2009 Presidente Armando Ragana Vice Presidente Ferro Oddo Segretario Luigina Sartorati Tesoriere Angelo Soravia Consiglieri Baliello Giampaolo Baratella Valerio Beriotto Renato Bernardin Federico Cappellari Francesco De Franceschi Lucio Edifizi Stefano Feltrin Antonio Magro Paolo Montecchio Gianni Tognon Tonino Tosato Antonio Venturato Raffaello Zecchini Giorgio Revisore Dei Conti Bortolami Federico, Luzzato Valeria, Munari G.Franco, Delegati Ragana Armando Presidente Carrari Luciano, Fantin Stefano, Mastellaro Antonio, Sartorati Luigina, Tosato Antonio, Zecchini Giorgio Importante La scadenza per la presentazione degli articoli da inserire nel prossimo Notiziario è il 20 settembre 2009. Onde evitare spiacevoli equivoci il materiale deve essere depositato presso la sezione nell’apposita cartellina preferibilmente su CD accompagnato da una stampa. Si prega di fornire testi in “word” e foto a parte. Si può anche spedire via mail all’indirizzo: [email protected] 4 cronache cronache Celebrati i 100 anni di Rocca Pendice Ha registrato grande successo di pubblico la serata di presentazione della nuova guida “Rocca Pendice - arrampicate nei Colli Euganei” di Michele Chinello e Marco Simionato avvenuta il 18 giugno scorso in Sala Bazzi nel Comune di Teolo. Il ritrovo, organizzato dall’Associazione Idea Montagna, ha avuto il patrocinio, oltre della nostra sezione, anche del Comune di Teolo e del Parco Regionale dei Colli Euganei. L’occasione era certo la presentazione del volume ma l’idea degli organizzatori è stata quella di celebrare la montagna dei Padovani, la parete dove sono nate generazioni di alpinisti nostrani. Come possiamo leggere nelle prossime pagine di questo Notiziario Rocca Pendice, con la sua prima salita compiuta da Carugati e C., compie 100 anni. Belli gli interventi del Sindaco di Teolo prima, che ha decantato la bellezza dei Colli portati a simbolo di un immenso patrimonio naturale della Provincia di Padova e del Vice Presidente del Parco Colli Gianni Biasetto poi, che ha rimarcato lo stretto rapporto tra il Parco ed il Cai Padova per la fruizione dell’area. Sono seguiti gli interventi del Presidente Armando Ragana, del Direttore della Scuola F. Piovan Lucio De Franceschi e della Guida Alpina Davide Crescenzio, tutti interventi con un denominatore comune: l’amore per Rocca Pendice, per quello che ha rappresentato e rappresenta ancora oggi. È seguita una magnifica proiezione fotografica sapientemente montata dall’amico Maurizio Piacentin assieme a Michele Chinello. Con musica e belle immagini si sono percorsi la storia e l’arrampicata di tutti i settori dei Colli Euganei, dalla mitica parete est alle più piccole pareti del Pirio, della Busa dell’Oro e del Sasso delle Eriche. Nella seconda parte i due autori, intervistati da Francesco Cappellari, hanno commentato il lavoro appena compiuto, sicuramente uno dei più completi e significativi nella storia delle pubblicazioni sui Colli. 5 cronache cronache dei Colli Euganei e ponendo termine all’aggressione nei confronti del territorio. Infatti il Parco Colli fu istituito con legge regionale nell’ottobre del 1989, avvenimento di cui ricorre quest’anno il ventennale. Si tratta del primo parco del Veneto e di una tappa sicuramente importante per il nostro territorio e che ha portato, nel 1998, all’approvazione del Piano Ambientale. Un Piano che ha posto vincoli per tutta l’area e limiti allo sfruttamento, indirizzando la nuova politica di sviluppo locale. Il processo che ha portato alla creazione dell’ente Parco Colli è passato attraverso lunghi anni di sensibilizzazione degli abitanti e di dialogo con chi traeva profitto dalla zona, attraverso scontri e dibattiti che hanno tracciato la storia locale del secolo scorso, nel tentativo di comporre tutte le divergenze e gli interessi. ...sorgono isolati come scogli nel mare di Elena Turchetti Citazione da John Strange, geologo, 1770 John A. Cozens, Olmo maritato alla Vite, Paesaggio Colli Euganei, dipinto su acquerello nel ‘700 6 I Colli Euganei sono una vasta area che comprende bellezze storiche, paesaggistiche e naturali. Ci hanno tramandato nei secoli tracce di vita già dall’epoca preistorica, sono stati descritti da poeti e letterati, studiati da geologi, sono custodi di un affascinante patrimonio di flora e fauna. Gli Euganei sono parte del nostro paesaggio quotidiano e per chi li vede da lontano sembrano affiorare come isole perdute nel mare della pianura, spesso avvolti da una sottile nebbia che li rende ancora più distanti dal mondo circostante. Queste strane isole che spuntano improvvise sulla linea dell’orizzonte, solo nel secolo scorso, furono anche zona di disboscamento, di cave, di degrado di importanti monumenti come Praglia, La Rocca di Monselice, la casa del Petrarca. I Colli subirono abusi edilizi, la diffusione delle antenne, l’aggressione delle auto. Le idee di salvaguardia e di protezione ambientale, concetti ancora sconosciuti all’inizio del ‘900, presero piede solamente dopo i due conflitti mondiali, portando lentamente alla costituzione dell’area protetta della zona La sezione padovana del CAI, fondata nel 1908, ha contribuito alla sensibilizzazione ed alla conoscenza del territorio, sia con imprese epiche come l’apertura della via Carugati sulla parete est di Rocca Pendice (avventura di cui ricorre quest’anno il centenario), che con le ascensioni al Pirio, ma soprattutto con le escursioni organizzate lungo i sentieri della zona. Nel 1913, infatti, il CAI comincia ad organizzare le colazioni sociali agli Euganei, gite in cui si raggiungevano i Colli in tram per poi proseguire con un’escursione o un’arrampicata a Rocca Pendice. Nella primavera del 1914 il CAI accompagna, utilizzando il tram, diverse centinaia di studenti di Padova sul Venda, passando per Rocca Pendice. Questi, assieme alle iniziative del Touring Club, sono i primi tentativi di sensibilizzazione alla conoscenza dell’ambiente collinare in un’epoca in cui ancora non si parlava di tutela ambientale, ma in cui si intuivano già le problematiche che un eccessivo sfruttamento dell’area poteva portare. Oggi i Colli sono percorsi da una fitta rete di sentieri frequentati da varie associazioni e da escursionisti. Sono presenti varie sedi museali in cui poter riscoprire la storia locale, le importanti vicende geologiche ed ammirare la fauna. Molte sono le aziende agricole aperte al pubblico dove poter conoscere le tradizioni e degustare i prodotti locali. Vari manuali hanno descritto nel tempo la rete dei sentieri, dalla guida del Callegari edita nel 1931, alla guida del CAI del 1963, al lavoro di Aldo Pettenella, per citarne solo alcuni. Sono circa 200 i vari sentieri che si intrecciano nell’area dei Colli. L’ente Parco provvede alla manutenzione ed alla divulgazione dei 19 sentieri accatastati. Inoltre, recentemente, le opere di manutenzione sono state prese in carico direttamente dall’ente Parco e non più affidate a cooperative esterne, garantendo così un’opera più puntuale e diretta. Il direttore del Parco Colli, Dott. Modica, 7 cronache 8 prevede di accatastare presto nuovi sentieri, tra cui il sentiero del Giubileo. Tutto ciò solo dopo aver ottenuto il consenso dei proprietari del terreno e provvedendo alle necessarie opere di manutenzione. Attualmente è già cominciato il lavoro di rifacimento della segnaletica sui sentieri accatastati, sono stati sostituiti i cartelli in legno le cui indicazioni erano troppo spesso incerte e subivano manomissioni. La nuova segnaletica si comporrà di un solo cartello in legno ad indicazione dell’imbocco del sentiero e di segni in vernice rosso-bianco-rosso con numerazione, come in uso in ambiente alpino. Sono stati già completati in questo senso i sentieri del Monte Fasolo, del Monte Cecilia, del Monte Rosso ed il “Lorenzoni” sul Monte Venda. I lavori proseguiranno dando la preferenza ai sentieri accatastati ed a quelli maggiormente utilizzati. Altri progetti in corso prevedono la realizzazione di un sentiero geologico e di uno archeologico. Sarà segnalato inoltre un sentiero per appassionati della mountain bike ed un sentiero equestre. Le attuali guide tascabili dei sentieri saranno stampate e divulgate anche in inglese, francese e tedesco, favorendone la diffusione tra i turisti stranieri. Sarà inoltre possibile scaricare i tracciati dei sentieri con GPS. Un nodo ancora da risolvere resta la massiccia affluenza sui Colli da parte di escursionisti durante i fine settimana, soprattutto primaverili, che comporta eccessivo traffico, aree di sosta affollate e abbandono di rifiuti. Al momento si è provveduto ad affidare ad una cooperativa l’incarico della pulizia delle aree maggiormente frequentate. Per affrontare il problema in modo approfondito sarà a breve inaugurato un tavolo di studio sulla sostenibilità del turismo in area Parco. Lo scopo sarà quello di individuare soluzioni ed alternative al sovraffollamento soprattutto stimolando la frequentazione del Parco durante tutto l’arco dell’anno e durante la settimana. Il risultato della discussione confluirà in una relazione che sarà esposta ad ottobre durante il convegno organizzato in occasione del ventennale. Sarà infatti questa l’occasione per celebrare i primi venti anni di attività del Parco Colli, si partirà dallo studio dello stato di fatto attuale per progettare il futuro attraverso nuove proposte e nuovi stimoli per la tutela dell’ambiente e la valorizzazione del paesaggio. ... da quanti anni... Sono sincero, da molti anni sono iscritto al Cai Padova ma non so, e non posso sapere, da quanti anni la nostra Sezione compie il medesimo rito, organizza l’evento forse più tradizionale del Sodalizio. Trovarsi a Rocca Pendice per l’inizio dei corsi per molti padovani è diventato una prassi, un appuntamento al quale non mancare assolutamente. Ricordo da bambino e poi da ragazzo quando con mio padre non si poteva disertare anche se, molte volte, la pioggia sembrava anch’essa voler sempre essere presente. Negli anni che furono ci si trovava alla base della parete Est. Poi, per esigenze motorie di alcuni anziani, ci si fermava alla Forcella, più recentemente ci si dà appuntamento alla partenza del sentiero che porta alle pareti di Rocca Pendice. Anche quest’anno il 10 maggio la nebbia ed il fresco non hanno fermato la Messa celebrata, come cinaquant’anni fa, da Padre Ciman. E poi, anche quest’anno, con la partecipazione del Coro, ci si è portati all’adiacente cimitero per ricordare i nostri caduti in montagna, primo fra tutti Antonio Bettella, mitica figura dell’alpinismo padovano, caduto proprio sulla parete est di Rocca Pendice nel 1944. Sulla sua tomba vengono appoggiate corde, moschettoni, scarpe, tutto il materiale che allievi ed istruttori useranno durante i corsi. La benedizione delle corde è sicuramente il momento più toccante della cerimonia accompagata dalla canta proprio dedicata a Bettella “Toni nente a crozar”. Ci si saluta così, con grandi pacche sulle spalle e l’augurio per una buona attività, per un’estate radiosa e piena di soddisfazioni. Gli istruttori della Scuola di Alpinismo, gli Accompagnatori di Escursionismo e di Alpinismo Giovanile e tutti i soci ringraziano: arrampicheranno anche quest’anno sotto lo sguardo vigile di Antonio Bettella, il mitico scalatore del Pendice. di Francesco Cappellari Teolo con Rocca Pendice e il Monte Venda sullo sfondo cronache 9 cronache cronache di Francesco Cappellari La rassegna in rassegna Silvio “Gnaro” Mondinelli Francesco Cappellari presenta Davide Chiesa e Antonio Zavattarelli 10 Si è concluso con un buon successo di partecipazione ed interesse il consueto ciclo di conferenze e proiezioni organizzato dalla Commissione Culturale della nostra sezione. Grandi i nomi che hanno calcato il palco dell’Auditorium Modigliani, sede oramai da diversi anni delle immancabili “Serate” dedicate all’alpinismo e alla montagna. Anche quest’anno il programma ha riservato una buona dose di Himalaya e 8000. Ben tre infatti gli appuntamenti dedicati a questo tipo di interpretazione dell’alpinismo, quello che probabilmente suscita più interesse e curiosità nel pubblico, complice anche il fatto che le scene e le immagini che ne scaturiscono sono di quelle che fanno sognare lo spettatore. La prima, quella della montagna di Silvio “Gnaro” Mondinelli ha purtroppo un po’ deluso. Gli astanti si aspettavano le immagini dei 14 Ottomila da poco conclusi dal fuoriclasse di Alagna ma, a detta del protagonista, il film in preparazione non gli era stato consegnato. Chiara quindi la delusione di gran parte del pubblico che ha così dovuto digerire un vecchio, anche se simpatico, filmato che partiva dalla sua infanzia e delle sue origini. Senza nulla togliere quindi alle capacità alpinistiche di Mondinelli la serata è stata improntata ad un protagonismo a volte eccessivo e che non a tutti è piaciuto. È stata poi la volta, il 23 gennaio, di Davide Chiesa e Antonio Zavattarelli, due poco conosciuti alpinisti piacentini che hanno illustrato, con immagini e simpatici commenti, la loro storia di amicizia e di montagna soprattutto all’insegna di un gruppo alpino che poco viene valorizzato quale quello dell’Ortles-Cevedale. Davide Chiesa, vero protagonista della serata, ha fatto vivere, con scene e aneddoti, le sue esperienze alpinistiche fatte soprattutto di ghiaccio e neve. Scrittore di montagna e componente del GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna) sta per uscire con il suo primo libro “Montagne da raccontare” che avrà la presentazione del mitico Kurt Diemberger. Il 6 febbraio ha visto la sala riempirsi per l’evento clou dell’anno con la presentazione di due alpinisti tanto forti quanto umili. Nives Meroi e Romano Benet già erano stati ospiti della sala Modigliani un po’ di anni fa ma da allora molto è cambiato, ancora molte sono state le montagne da loro conquistate. Nives e Romano, seppur con dolcezza, non hanno nascosto il loro principale obiettivo: quello della conquista di tutti i 14 Ottomila della terra continuando con l’etica ferrea che impone il non uso di ossigeno e di portatori d’alta quota. Tre sono ancora le montagne che mancano da scalare, il Kanchenjunga, il Makalu e l’Annapurna, tre bestie nere. Nel momento in cui scriviamo sappiamo della fallita impresa al Kanch della scorsa primavera che fa comunque onore soprattutto a Nives che, a fronte di una crisi fisica del marito, ha deciso, poco sotto la vetta, essa stessa di rinunciare e di scendere a valle con lui. Il video “La lunga notte”, protagonsita della serata dedicata al mondo speleo, ha suscitato notevole curiosità raccontando il salvataggio in grotta di uno speleologo croato che ha movimentato, per oltre cinque interminabili giorni, gli speleologi di tutta Italia del Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico. Tale avventura conclusasi con lieto fine, è rimbalzata su tutti i telegiornali nazionali ma, dato che la speleologia non è considerata alla stregua dell’alpinismo (e lo dimostra il fatto che, come sempre negli anni passati, il pubblico in sala era molto scarso) non ha avuto gli stessi strascichi mediatici della terribile esperienza di Confortola al K2 …. Eh già! Quando non ci scappa il morto !!! A presentare il video c’era Andrea Gobetti, scrittore, realizzatore di altri due video (“L’Uomo di Legno” e “La strada di Olmolunreing” per la televisione Svizzera Italiana), curatore per alcuni anni di Roc per la Rivista della Montagna e collaboratore della Rivista Alp. La sua figura “schiva” alla notorietà ha fatto risaltare l’esperienza dell’attività svolta dal Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico attraverso le molte domande del pubblico presente. Altra serata di cartello, quella del 6 marzo ci ha visti ammirare e assecondare la voglia di montagna di Marco Confortola, il reduce del K2. L’esperienza della guida alpina valtellinese ha toccato i vertici (o il fondo) proprio in quest’ultima conquista dove dopo la conquista della “montagna degli italiani” è stato protagonista di una delle più drammatiche vicende dell’alpinismo himalayano. I media durante la scorsa estate hanno fatto da grande cassa di risonanza e quindi la rappresentazione di Marco era attesissima dal pubblico padovano che bramava conoscere i particolari della vicenda e delle motivazioni che lo hanno spinto a certe scelte. Alla fine della serata però il pubblico si è continuato a chiedere: “Ma cosa è veramente avvenuto quel giorno e quella notte sul seracco del K2?”. L’ultimo appuntamento ha avuto un tono più culturale e meno spettacolare. Ma il Coro Monti Pallidi di Laives ha incantato il numeroso pubblico presente rappresentando al meglio, con canti e parole, le voci di guerra e di montagna di Mario Rigoni Stern, ricordato scrittore dell’Altopiano e della guerra, testimonianza di un uomo dai grandi esempi umani. Nives Meroi e Romano Benet 11 cronache di Giuliano Bressan OutdoorDays 2009 Sulle sponde trentine del Lago di Garda, da venerdì 22 a domenica 24 maggio, si è svolta la seconda edizione degli OutdoorDays, evento dal formato innovativo che riunisce momenti di esposizione, test, attività guidate e competizione, in un grande contenitore internazionale per le attività all’aria aperta: arrampicata, escursionismo e nordic walking, mountain-bike e cicloturismo, canoa, canjoning e volo libero... L’evento organizzato da Riva del Garda Fierecongressi Spa, polo fieristico e congressuale del Trentino ha visto la partecipazione nelle tre intense giornate, tutte dedicate agli sport open air, di oltre 1000 persone che “sul campo” sono state protagoniste delle emozioni offerte dalla splendida natura del Lago di Garda e della Valle del Sarca. Più di 10000 invece i visitatori del Villaggio Outdoor e delle Aree Test - i “laboratori” che consentivano a tutti di sperimentare l’outdoor di “Terra” ad Arco e di “Acqua” alla Spiaggia Sabbioni di Riva del Garda. OutdoorDays rappresenta quindi un momento di incontro non solo commerciale ma anche tecnico - culturale, dove gli addetti ai lavori hanno modo di scambiare informazioni ed esperienze. In questa direzione, in collaborazione con la Commissione Materiali e Tecniche - rappresentata da Giuliano Bressan, Giovanni Duca, Claudio Melchiorri, Carlo Zanantoni e dal tecnico Sandro Bavaresco -, la Commissione Centrale Scuole di Alpinismo Sci Alpinismo e Arrampicata Libera del CAI, la Commissione Tecnica delle Guide Alpine - rappresentata da Nicola Tondini -, e la Scuola Nazionale Tecnici del CNSAS - rappresentata da Oskar Piazza -, sono stati organizzati, nelle giornate di sabato e domenica, due momenti di incontro: cronache I meeting rivolti a tutti gli addetti ai lavori - direttori ed istruttori delle Scuole di Alpinismo e di Arrampicata Libera del CAI, Guide Alpine, Istruttori FASI, Istruttori UISP - hanno rappresentato l’occasione per mettere in comune non solo studi e esperienze ma anche prove sul terreno. Ambedue le giornate si sono articolate in momenti in sala e in ambiente. Al mattino, presso l’OutdoorVillage, sono stati presentate le relazioni della Commissione Materiali e Tecniche del CAI, della Commissione Tecnica della Guide Alpine e della Scuola Nazionale Tecnici del CNSAS, a cui sono seguiti contributi liberi. Nel pomeriggio, presso l’Area Test “Terra” ai piedi della parete dei Colodri ad Arco, la Commissione Materiali e Tecniche ha svolto oltre 50 test confrontando le varie tipologie di sosta ed il loro comportamento nel caso di fuoriuscita o rottura di un ancoraggio; il confronto fra le varie tipologie di freni semiautomatici ed il loro corretto impiego ha richiesto invece oltre 30 prove di assicurazione. Un’opportuna attrezzatura ha consentito la misurazione dei carichi sui componenti della catena di assicurazione nelle diverse situazioni; brevi incontri di valutazione dei risultati hanno completato le interessanti dimostrazioni. • SENZA SOSTA SULLE SOSTE - confronti tra le varie tipologie di sosta in parete 12 • I FRENI SEMIAUTOMATICI IN ARRAMPICATA confronto tra varie tipologie di freno semiautomatico e corrette modalità di uso 13 dialoghi dialoghi di Massimo Galiazzo Inutile guardare “troppo in alto”, o “troppo in basso”: guarda intorno a te, a dove mettere le mani e i piedi 14 Parlare di montagna-terapia porterebbe a parlare dell’annoso problema di quanto si può definire terapia e quanto no, ma anziché tornare sulla teoria con le parole del convegno “I sentieri di salute- I saperi della montagna che aiuta” (14-16 novembre 2008) vorrei, questa volta, solo raccontare un’esperienza che penso possa rientrare all’interno di questo ambito, o forse semplicemente della montagna che cura. Sto parlando di “Legato ma libero”, un progetto realizzato dall’associazione Equilibero di Padova in collaborazione con il CAI di Montecchio (in particolare nella figura di Franco Brunello) e di Chioggia (in particolare nella figura di Domenico Arena) presso la comunità terapeutica per le tossicodipendenze di Monselice, “S. Francesco”. “Legato ma libero” è un progetto educativo, che ha ottenuto finanziamenti dalla regione Veneto e ha previsto 12 uscite di arrampicata ma non solo tra marzo e settembre 2008, rivolto a 15 ragazzi della comunità tra i 18 e i 38 anni. L’arrampicata diviene strumento non fine di questo corso che si dota anche di strumenti dell’ambito psico-pedagogico; anche se, con il patrocinio del CAI di Montecchio e rispettando i requisiti minimi è stato riconosciuta dal Cai equivalente ad un AL1 e A1. Illustrerò in questa prefazione solo alcuni dati per inquadrare il progetto e l’associazione, ma lascerei velocemente la parola ad una intervista ad uno dei protagonisti di questa esperienza. Questo mi obbliga ad un gravoso torto quello di non poter citare ad uno ad uno i numerosi volontari del Cai di Montecchio, del CAI di Chioggia e alcuni del CAI di Padova, nonché due guide alpine delle X-Mountain di Padova che hanno contributo in modo sostanziale a questo progetto. Equilibero è un’associazione nata a febbraio del 2008 con la mission di costruire progetti che si propongono di usare la montagna come luogo educativo e terapeutico per il sociale. I suoi soci attuali (Galiazzo Massimo, Chiara Baretta, Massimo Padoan, Roberta Sabbion, Alberto Rainer, Luca Fellin e Alessandro Balzan) sono tutte persone che hanno una passione per la montagna anche con funzioni all’interno del Cai e svolgono professioni psicologiche, educative, operative, psichiatriche nel sociale. Essenziale per la realizzazione e ideazione del progetto è Roberta Sabbion che lo ha fortemente voluto e ne ha ottenuto i finanziamenti e io stesso per l’ideazione e la rete dei contatti del progetto stesso. dialoghi Tutti questi nomi mi servivano per dare una cornice a questo dialogo tra me e Paolo M., un ospite ormai al termine del programma della comunità S. Francesco e quindi di riportare occasioni per riflettere che la montagna può parlare anche in modo inconsueto. Monselice, Comunità S. Francesco febbraio 2009 Massimo: Partiamo dalla cosa più semplice… “Legato ma libero” cosa ti dice, cosa ti viene in mente, di tutte le cose che abbiamo fatto insieme l’anno scorso? Paolo: Mah … ! Mi viene in mente un’esperienza grandiosa direi … Io non ne sapevo niente della roccia, come tutti gli altri. E…boh forse all’inizio la versione terapeutica della cosa non era stata assimilata … nel senso sì, si va ad arrampicare poi man mano non solo con l’andare avanti del corso ma anche con l’andare avanti del programma abbiamo coniugato le due cose. Massimo: Cioè all’inizio era “usciamo” …”Andiamo a fare una cosa nuova”? Paolo: Non era solo un gruppo che esce, ma c’era qualcosa in più, la voglia di imparare: poi ti dirò non in tutti… come si vede anche adesso non tutti stanno continuando. Ma comunque un’esperienza sicuramente piacevole e interessante perché si è proposta qua e non so se sia mai stata proposta altrove. Anche se uno va a fare un corso di roccia o di arrampicata non saprà mai come quello che abbiamo fatto noi. Massimo: No, questo no. Paolo: Al di là di quello che abbiamo imparato, anche il legame che c’era tra di noi, che si è creato comunque uscendo, tra di noi, con noi e voi che comunque… c’è stata la possibilità di conoscere persone sane, che non facevano uso di sostanze. Da parte nostra, c’è anche l’interesse di continuare questi rapporti che sono nati con questa esperienza. Massimo: Abbiamo fatto 12 uscite, ma qual’è quella che ti è piaciuta di più? Quel posto che senti che ti ha dato tanto? Anche per la giornata nel suo complesso, la situazione che si è creata anche tra le persone? Paolo: Ma di sicuro l’ultima uscita. Massimo: Quella di due giorni in Moiazza. Paolo: L’ultimo giorno. Massimo: Quando hai fatto la via lunga? Paolo: Sì. Massimo: Perché? Paolo: Perché ho fatto una cosa più grande di me, cioè non mi sarei mai pensato capace di fare una cosa del genere. 16 dialoghi Massimo: Cioè una via di roccia lunga a più tiri, per te è una cosa… Paolo: Per carità, se io penso ad un anno fa che non ne sapevo niente. L’unica cosa che sapevo fare era quella di farmi. Pensare di aver fatto 400 metri di dislivello su, su e sostare su… Massimo: su una cengia? Paolo: È stato scioccante come esperienza. Ma tutto!… cioè il legame che si è creato sulla via con … tra di noi. Poi con te un po’ meno, perché sai io ed I. eravamo molto più a contatto. Tu come noi arrivavamo, tu partivi. Perciò tra me ed I. si è creato, c’era già un legame però in via, finché scali … Ti ricordi il primo tiro? Massimo: Sì. Paolo: Avevamo una paura da matti. Massimo: Perché la via andava in traverso… e se pendoli? Paolo: …e poi avevamo altri 400 metri da fare sopra la testa. Massimo: Eravamo solo all’inizio. Paolo: …e invece sai poi è passato. Massimo: che cosa vi dicevate in cengia? Paolo: ma ti dirò… il primo tiro ci siamo fermati in cengia e la paura era già tantissima da parte mia. “Oh I., Io mi sono cagato addosso”. E lui mi fa: “Anche io”. E da I. sentirsi dire una cosa del genere! Massimo: Effettivamente prima che lui te lo dica… Paolo: Boh mi sono fatto forza, ci siamo fatti forza. Poi abbiamo riso e scherzato un po’ su sta cosa. Eh via …È passato da solo. Massimo: E poi alla fine a me ha colpito una cosa quel giorno là, quando siamo arrivati alla cengia finale e mancavano due tiri alla fine e non riuscivamo ad uscirne, sentirmi dire da I. “va bene anche così”; sono rimasto molto colpito perché lui deve sempre finire, per I. è strano. Poi voi siete scesi per la ferrata. Comunque anche a me è piaciuta molto quella giornata. Anch’io mi sono sempre chiesto quando faccio una via come è possibile che saliamo su cose così grandi. Paolo: Sì perché sai Massimo, sono cose che vedi in TV, oppure quando vai dai piccolo con i genitori vedi questi omini blu, rossi verdi attaccati alle montagne. Ti sembra impossibile : i s’è matti Massimo: Però quando ci sei dentro? Paolo: E poi ero io uno di quegli omini verdi, blu… attaccati alla roccia e magari passava qualcuno laggiù. Massimo: E delle serate ce n’è qualcuna che ti è piaciuta? Paolo: Sono stato affascinato tantissimo da Pierino Dal Prà … Mi dava qualcosa a pelle, poi sentire quello che ha fatto, come viveva la montagna, non gli interessava l’aspetto sportivo e poi sentire quello che sa fare... 17 dialoghi Massimo: E di Maurizio Castellan …? Paolo: L’ho sentito molto più vicino a me con il fatto del suo passato legato alla tossicodipendenza. Poi Mino ci ha scherzato anche un po’ su: “ Sì adesso che non venite fuori che la comunità non serve più a nulla e che basta il tai chi per smettere di farvi le pere”. Sì, comunque è stato bellissimo, come si è posto a noi. Ma anche quella serata che abbiamo fatto lì al Moiazza. Massimo: Con Spanio ? Perché? Paolo: L’atmosfera che c’era mi ha colpito. Io che vengo dalla provincia di Venezia, sono affascinato dall’acqua e dal mare… Massimo: Sì perché lui ci ha parlato in modo poetico di questo viaggio dal mare alla montagna. Paolo: La montagna non la conosco… sto iniziando con questo corso. Lui mi ha affascinato come ha proposto questa cosa e poi l’atmosfera che c’era: siamo usciti dalla comunità, abbiamo dormito fuori, eravamo tutti insieme, abbiamo dormito sui sacchi a pelo. Poi per tutte le uscite ero io che organizzavo il cibo, il bere… Massimo: Forse sarebbe stato bello farne altre di uscite lunghe. Paolo: Certo ma è stato tanto per noi e bisogna sapersi accontentare. Massimo: In effetti sono 12 uscite sparse tra marzo e settembre… Ma di tutte le attività che abbiamo fatto insieme quale ti ha lasciato qualcosa? Nel senso che ti è servita anche nel tuo percorso in comunità… Insomma quale hai detto questa mi interessava?… Era legato alla sicurezza nell’uso dei nodi e delle manovre, oppure a Caruso e al metodo di arrampicata, oppure a Ilgner sulle paure o non paure in arrampicata, oppure quando all’inizio siamo stati in palestra a giocare ad arrampicare invece che essere fuori. Qual’è la cosa che ti ha detto di più? Se c’è stata?! Paolo: Ma, ti dirò, vedevo le spiegazioni da un punto di vista teorico, tecnico perciò si limitava a quello. Massimo: Quindi mi stai dicendo che hai imparato delle tecniche e non ti è capitato di chiederti se questo c’entra qualcosa con la tua vita, se l’arrampicata parlava con te? Paolo: Sì tante cose, adesso che ci penso, sì: per esempio sul fatto che ci avete insegnato a guardare a tre metri da noi, attorno a te nel cercare le prese e non guardare troppo in alto e non guardare in basso perché se no ti vengono le vertigini… è anche quello che ho imparato a fare qui in comunità. Se mi guardo indietro, al mio passato, le catastrofi che ho fatto mi vengono le vertigini. Se guardo troppo avanti, adesso che sono alla fine del programma, mi vengono le vertigini. Se guardo attorno a me, agli obiettivi di ogni giorno posso costruire qualcosa. Massimo: Effettivamente questi sono degli ingredienti dell’arrampicata. 18 dialoghi Paolo: È inutile guardare “massa in alto”, Massimo, o “massa in basso”: guarda intorno a te e dove mettere le mani e i piedi. Un’altra cosa è la fiducia: una cosa è se tu vai ad arrampicare con uno che ti fa sicura di cui non ti fidi rispetto a uno di cui ti fidi. Se andassi ad arrampicare con P. sarei terrorizzato. Non ha attenzione per lui, pensa per un altro. Se invece vado con I., sarei tranquillissimo. Sarà che hanno una diversa età, P. ha 19 anni, non è cattiveria ma quando ti sei fatto male, ti sei fatto male. Massimo: Parlando invece delle foto, il diario, i video fatti su ognuno di voi. Ti piacciono, sono servite a qualcosa? Paolo: Bellissime! Proprio stamattina mi sono guardato le foto. Massimo: Le foto le avete fatte voi, ognuno reporter di un’uscita e sono tantissime, oltre 400. Paolo: Non ce l’ho fatta, ho visto le 50 che abbiamo selezionato. Le ho fatte vedere a B., sai il viverti queste cose, raccontarle agli altri. Gli ho detto che forse quest’anno fanno un altro corso. Anche questa cosa che alcuni di noi, che hanno già fatto il corso, possano fare da volontari e insegnare ad altri, a me fa piacere da morire, spererei che ci fosse quest’altra possibilità. Per mettermi a disposizione della comunità, per aiutare i ragazzi… Per esempio A., W. sono come dei miei fratelli. Massimo: Quindi mi stai dicendo che ti piacerebbe trasmettere queste cose… Paolo: Sì, perché a me è servita un sacco. Massimo: Il video che poi è stato proiettato la serata finale di restituzione. Tra l’altro in gran parte organizzato da te e con l’aggiunta divertentissima del video “Grazie a Filippo”, che avete inventato voi. Il video l’hai più rivisto? Paolo: Sì , ce l’ho a casa, ogni tanto lo riguardo. Massimo: Il video su ognuno di voi è venuto fuori per scherzo, non era in programma. Paolo: Ricordo che Luca veniva con la telecamera ma non si era detto niente a riguardo. Massimo: La telecamera doveva servire solo per riguardarsi e migliorare la tecnica di arrampicata. Paolo: Che poi abbiamo rivisto nell’agriturismo vicino a Rocca Pendice. Massimo: Metterci la musica, ognuno la propria colonna sonora è stata un’idea successiva. I video sono risultati molto belli; frutto di un lungo lavoro di montaggio di Luca. … Ma Paolo, perché arrampicare? Si possono fare infinite cose, ma perché arrampicare? Tu ci stavi provando ad andare anche dopo il corso, vorresti andare in palestra, in falesia. Ma perché? Cosa ti spinge? Cos’è che la rende irrinunciabile per te? Paolo: Ti dà qualcosa arrampicare! Vedere comunque che tu con le tue mani e i tuoi piedi riesci ad arrivare chis- 19 dialoghi 20 sà dove. Che ti ripeto per me è una cosa impensabile! O lo era comunque, ho provato ci son riuscito, ho visto che. È avvincente questa cosa. Comunque siamo stati scelti per partecipare a questo corso, per delle caratteristiche legate al nostro passato, in particolare persone che hanno fatto uso di sostanze eccitanti come la cocaina. Perché dal momento in cui smetti di usare alcune sostanze, hai provato delle emozioni così forti che niente altro riesce a darti tanto. Neanche l’arrampicata riesce a darti tanto, ma almeno comporta adrenalina e comunque è salutare. Ho avuto una grandissima soddisfazione a vedere quello che riesco a fare e poi comunque ha rafforzato lo spirito di gruppo. Ci ha messi in competizione ma anche per scherzo… Massimo: Sfottendosi in modo giocoso…? Paolo: Sì. Tornando a casa e dicendo guarda che ho aperto “ Il Pianto” ( = liberato il “ Muro del pianto “) Che poi si fa per dire, ho azzerato. Posso farti io delle domande? tu non so, ma voi, quando vi è stata proposta questa cosa di lavorare con una comunità di tossicodipendenti… soprattutto i più vecchi che possono avere dei pregiudizi. Come l’hanno vissuta questa cosa? “ ‘ndemo ad arrampicare con dei tossici?” Massimo: Ti dico, non tutti i volontari so cosa pensano. So che il CAI di Chioggia e Mimmo vi ha scritto una lettera, ma darti esattamente una risposta non saprei. Quindi in qualche modo ci tenevano. Paolo: Sì ma ci siamo conosciuti, ci siamo visti, ma prima? quando un mondo non lo conosci ti fai un film dentro la testa. Un tossicodipendente è la feccia della società perché ruba, perché spaccia, perché si fa del male e fa del male agli altri Massimo: Per il CAI di Chioggia non so molto su come risponderti a questa domanda, Franco (del Cai di Montecchio) è una persona che parla poco ma è anche quello che insieme a me e a Roberta ci ha creduto di più. Penso che lui si sia concentrato sul corso, come un qualsiasi altro corso di arrampicata libera del Cai (non a caso siamo riusciti a qualificarlo come AL1 e A1). Ho la sensazione che sia molto determinato e quando si mette in testa una cosa, poi lui va avanti. Però mi ha detto una cosa che mi ha colpito molto che nella serata finale con i video si è commosso ed è da tanti anni che non lo faceva. Si è accorto di quante cose sono cambiate lungo il corso senza essercene accorti: è una cosa che ho sentito anche io, Luca e i ragazzi dell’associazione. Noi dell’associazione ci eravamo fatti delle idee su cosa fare insieme: però non ci siamo accorti quanti aspetti sono cambiati al di là dell’arrampicare. Solo a rivedere quello che emerso nei gruppi che facevamo insieme, è emerso di tutto non solo di arrampicata. Per quanto mi riguarda, tutto è successo tanto tempo fa: dialoghi eravamo al passo Pordoi io e Roberta Sabbion , ci siamo conosciuti per caso. Io lavoravo nel sociale già da molto. Da quell’incontro è nato il primo spunto per “Legato ma libero”. Paolo: Ma avevi avuto esperienze con tossicodipendenti? Massimo: Solo sei mesi di servizio civile con il Ceis di Padova, in particolare ad Anguillara Veneta e avevo all’epoca già tentato un’esperienza simile con un alpinista di Padova (Stefano Rossi), in particolare con la comunità minori. Ma lì non mi hanno mai dato seguito. Paolo: La comunità o i ragazzi? Massimo: La comunità. I ragazzi erano sempre entusiasti: davanti alla parete si esaltano. Di fronte a qualcosa di bello come la montagna ho sempre sentito le sue risorse, più che le mie come fonte di aiuto. Il problema è che bisogna crederci anche a livello istituzionale. Un’uscita isolata non consente alla montagna di parlare e se la comunità non ci crede non risuonerà mai nella vita quotidiana. La comunità S. Francesco e Mino in particolare, la Roberta da fuori hanno fatto in modo che questo avvenisse. Non sapevamo se “Legato ma libero” poteva funzionare: anche perché non è solo un corso di arrampicata, è un misto di competenze e di dispositivi. È la prima volta che si fa una cosa simile, almeno che io sappia. Paolo: Ma proprio con dei soggetti così complicati dovevate cominciare? Massimo: La Roberta ci ha proposto questo, ci ha proposto il problema, io ho scritto il progetto ed eccoci qui: penso che un po’ abbia funzionato. Io, Chiara, Luca, Alberto e Alessandro lavoravamo nel sociale (in ambiti diversi e alcuni di noi anche da tempo) ma non nell’ambito delle tossicodipendenze: per cui per noi era un tentativo. I timori ci hanno accompagnato per tutto lo svolgimento del progetto. Paolo: Quali paure? Massimo: Per esempio, l’arrampicata è un’attività che comporta rischio anzi dà appuntamento al rischio. E trovo che questo rischio piace a noi come piace a voi. Che sta dentro alle cose, come ha detto una volta A.: “nella vita c’è rischio”, ribadendolo come un elemento difficile da gestire ma vero e che nessuna sicurezza può spuntare. Ha ragione! È anche quello che rende la vita entusiasmante, ma allo stesso tempo ci mette in pericolo. Senza quel pericolo noi non viviamo, un po’ di audacia ci vuole. L’arrampicata rinnova sempre questo appuntamento ed esporci con voi, di cui per storia e vostre problematiche non sappiamo quanto si può contare sulla responsabilità, ci ha aperto numerosi dubbi. Legarvi ad una corda e farvi andare da primi e se succede qualcosa? Arrampicare è bello, è vero che è abitata dal rischio ma deve dare passione non deve uccidere. Se qualcuno si espone troppo al pericolo non 22 dialoghi ha capito niente di quello che vogliamo vivere con questo progetto e mi preoccupa. Paolo: Lo dovevi mettere in conto. Massimo: L’avevamo messo in conto così come la necessità di variare la proposta per ognuno di voi, a seconda del vostro modo di vivere le cose. Sapevamo che le sostanze comportano eccessi ma lo scopo dell’arrampicata è di visitare l’eccesso per gestirlo, non viverci e caderci dentro. Andarlo a trovare, sentire l’energia che ti può dare è inutile negarlo è prezioso. Anche le sostanze, come mi insegnate voi, danno piacere e il piacere è bello. Non si tratta di negarlo, il problema è la misura. Sentendo le vostre descrizioni, mi raccontate che l’esperienza delle sostanze è così forte e così intensa che assorbe e spegne qualsiasi altra emozione. Paolo: Sì, guarda per esempio S., lo vedi che niente lo appaga di quello che fa perché ancora è molto legato a quello e non lo abbandona, ne è carcerato. Di sicuro la roccia e una via non ti danno quello che ti può dare una pera in termini di piacere, però c’è tutto il contorno. La pera è negativa, la roccia è salutare. C’è stato lo stare assieme, la soddisfazione di arrivare su, anche la delusione di non farcela però sai che lì c’è una cosa in sospeso. Io a Stallavena ho ancora “Sofia” che mi aspetta. Massimo: La cosa che mi colpisce è che ci sono alcune cose che possiamo dire assieme. Anch’io quando arrampico, non posso guardare troppo su né troppo giù. Questo vale per tutti a prescindere delle sostanze. Paolo: Esatto. Massimo: Io sono innamorato di quanto le montagne sono grandi e mi pare impossibile andarci su, però ci sono due fantasmi che non voglio vedere: i nani che stanno sotto e dicono “io non ce la farò mai”, i giganti che dicono “ah ma io ce la faccio comunque”, però tanto non provano. Stare in mezzo è quello che mi piace dell’arrampicata. Con voi ho sentito che su questo c’era qualcosa che potevamo trovare in comune. Per questo ho creduto in questo progetto. Paolo: Oltre a questo, secondo me questo corso ci ha dato la possibilità di aprire i nostri orizzonti. Ora posso arrampicare anche dopo il corso: ora posso trovare gente diversa, “sana”, che per noi è importantissimo specie alla fine del programma. Perché io al di fuori di qua, a parte i miei parenti e i miei genitori, le persone che conosco sono legate al mio vecchio stile di vita. Conoscere gente sana, non è poco per noi. Massimo: Era uno degli obiettivi del progetto. Non a caso sono stati coinvolti due CAI e adesso speriamo sia coinvolto anche quello di Padova. Per vedere altre persone. Paolo: Per esempio siamo usciti una volta io, T. e I. a Rocca Pendice e abbiamo conosciuto un tipo che ci ha 23 la nostra storia la nostra storia dialoghi Chi non avesse ancora provveduto a rinnovare l’iscrizione al CAI per il 2009 può rivolgersi in Segreteria dal lunedì al venerdì dalle ore 17,30 alle ore 19,30. Le quote sono: Socio Ordinario € 47,00 Socio Familiare € 25,00 Socio Giovane (nato dal 1992 in poi)€ 13,00 24 La Nascita della Sezione C.A.I. di Padova Pubblichiamo, di seguito, l’importante contributo offertoci da Dante Colli, Presidente della Commissione Pubblicazioni del CAI nonché membro del G.I.S.M. Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, che ricostruisce, con dovizia di particolari, i fatti antecedenti alla costituzione della nostra Sezione. Da parte della Redazione del Notiziario un particolare ringraziamento all’illustre ospite di queste pagine. È sempre importante capire quando tutto è cominciato. Una meravigliosa costruzione architettonica inizia dalla prima pietra, un incantevole affresco murale inizia dalla prima pennellata e così via mettendo così davanti ai nostri occhi l’avvio delle tappe fondamentali di una storia e il suo logico sviluppo, inserendo l’evento nei concomitanti avvenimenti e sottolineandone il loro contributo. Nell’aria infatti non mancano umori e sollecitazioni nel 1907. Antonio Berti relazionava sulle prime salite senza guida delle pareti Est e Sud del Bacchettone e Ugo De Amicis scriveva di tutta una serie di prime salite italiane, dalla traversata del Campanile di Val Montanaia alla punta Emma, compiute con Tita Piaz, quel “Diavolo” che animava le pagine, non solo alpinistiche dei giornali traversando a corda alla Guglia De Amicis. Come si sente la primavera nell’aria quando ci si lascia accarezzare dal vento e cambiano i colori, così tutta la passione alpinistica prorompeva in quelle giornate di bel tempo dalla cima del Campanile di Fontana d’Oro e invadeva la pianura veneta sollecitando volontà, desideri e ardenti inclinazioni. Poi qualcosa fece scattare la molla giusta avviando una storia che oggi è densa di ricordi ancora di prima mano. Per i padovani fu l’Esposizione Turistica Veneta organizzata dal 19 maggio al 16 giugno 1907 per festeggiare il quinquennio di fondazione della Società Sportiva Padovana di Dante Colli lasciato il suo cellulare e ci ha detto che se non abbiamo nessuno con cui andare, è disponibile. Comunque alcuni di noi non hanno capito nulla dell’importanza della sicurezza. Ricordo benissimo la mia prima manovra del pollo, ho controllato mille volte il nodo prima di appendermi. Gli spericolati come P. no. Massimo: In molte situazioni difficili le riguardi più volte per vedere se sono giuste. Paolo: Vero, lo scegliere ti obbliga a riguardare più volte… Massimo: Anche in arrampicata, ci sono dei passaggi in cui ti chiedi se era giusto A o B e poi devi andare avanti lo stesso. È più evidente nelle vie di roccia con le protezioni aleatorie. Lo stesso itinerario non è così evidente, lì. Il fascino in quei casi è la capacità di gestirlo. Ci interrompiamo qua?! Ciao Paolo. Paolo: Ciao Massimo. La fiera e le giostre in Prato della Valle 25 la nostra storia La vecchia fiera di Padova 26 “Pro Touring”. L’iniziativa prevede una Mostra dello Sport, gare podistiche, ciclistiche, concorsi di fanfara, di fotografia, di cartoline illustrate, ecc. Una delle sezioni dell’Esposizione comprende servizi di segnalazioni, guide alpine; un’altra i rifugi alpini, mentre fra i reparti della Mostra dello Sport, uno comprende articoli per alpinisti, materiali per escursioni e ascensioni. Si dirà che questo appartiene alla vocazione alpina del Veneto e in specie al carattere turistico-sportivo della sua gente ma credo di poter dire che ciò che più coinvolse i padovani fu che la mostra ebbe sede in Prato della Valle, una vastissima spianata, un tempo, paludosa, cinta da un canale ellittico, percorsa da ombrosi viali alberati, e guardata tutto attorno da 78 statue di cittadini illustri, insegnanti e allievi dello Studio che mentre si allestiva il grande padiglione sembravano interrogare nel merito i padovani. Come si poteva non essere sollecitati ad organizzarsi e ad agire? Il giorno dell’inaugurazione, domenica 19 maggio, la folla è immensa. Negli stands della corsia laterale destra si susseguono le mostre delle Società Alpine Venete e del “Concorso Fotografico” con stile austero ed essenziale. Sebbene modesta a confronto della Galleria, riccamente addobbata del Ciclo e dell’Automobile, la Mostra Alpinistica “nella sua semplicità fa rievocare all’appassionato i bei ricordi della montagna e gli fa rinascere nell’animo più vivo il desiderio di nuove vette e di nuove vittorie” (Rivista Mensile, 1907, pag. 228). Da precisare che questa Divisione riguarda tutti gli articoli personali del turista: vestiti ed arredamenti, articoli per alpinisti, materiali utili, cassette farmaceutiche, macchine fotografiche, cannocchiali, bussole, barometri, ecc., una grande novità per la sua completezza che meriterà la Medaglia d’Oro della Sede Centrale del C.A.I. assegnata alle categorie riguardanti l’alpinismo. Il riscontro è molto alto. Ben quattro Sezioni venete del C.A.I. organizzano un padiglione che manifesta l’azione promozionale esercitata dal sodalizio nelle Alpi Venete. La Sezione di Venezia (di cui Antonio Berti è socio) invia il progetto del Rifugio San Marco, due tabelle in tricromia con gli altri suoi rifugi, un trofeo formato da attrezzi di alta montagna. Tutta la parete è costellata di fotografie illustranti gruppi dolomitici, varie gite sociali... Sul tavolo sono esposti alcuni numeri della Rivista Mensile e del Bollettino, varie pubblicazioni uscite in occasione del XXXVI Congresso Alpino, il biglietto d’invito alle gite sociali, gli Statuti e i Regolamenti. Ci diffondiamo su questi particolari perché se ne ricava un progetto documentato, un pronunciamento positivo da sottoporre all’attuazione e alle osservazioni dei visitatori la nostra storia che ne testimoniano la ricezione e l’attualità. La Sezione di Agordo, a sua volta, manda un completo equipaggiamento per alpinista e numerose fotografie della Valle del Cordevole. La Sezione di Auronzo espone la pianta del costruendo Rifugio Giralba, una raccolta di minerali, molte fotografie. La Sezione di Vicenza è presente con alcune copie della “Carta e Bibliografia geologica della provincia di Vicenza”, i resoconti della colonia alpina “Umberto I°” per gli anni 1899 - 1905, varie fotografie della casa della colonia a Tonezza. La Sezione Universitaria del C.A.I. contribuisce con alcune foto. Tutto questo chiama direttamente in causa i Padovani, ma un colpo al cuore decisivo ai frequentatori del Caffè Pedrocchi, è quell’area vuota intestata con le scritte: “Mostra del Trentino” mentre, più sotto, un telegramma avverte che le casse ferme alla dogana tedesca, aspettano l’imperiale permesso di libero transito. E molti si chiedono “Fino a quando?”. Quasi in risposta a questo interrogativo l’associazione “Pro Cadore” espone un’interessante mostra di materiali geologici, quadri con saggi di arborizzazione alpina ma anche una raccolta di opere e di opuscoli italiani e stranieri relativi alla storia del Cadore, i numeri pubblicati della rivista “Cadore”, organo dell’associazione, esemplari dei principali prodotti cadorini, costumi antichi e numerose fotografie. Fortissimo è quindi il richiamo patriottico che si aggiunge ed esalta la speranza che l’esempio diffonda anche a Padova “un po’ più che ora non sia l’amore per le Alpi, meravigliosa fonte di diletto e di forza”. Seguiranno diploma e medaglie per tutti distribuiti dalla giuria di cui fa parte Antonio Berti (già gli si riconosce un’autorevolezza personale e speciale) coadiuvato dal dott. D. Meneghini e dal cav. De Giuli. Il contesto è questo. Una piattaforma che tutto comprende: ragioni e sentimenti che chiamano all’appello i padovani, ma, per la verità, l’impulso finale è dato da alcuni soci di altre Sezioni del Veneto che risiedono a Padova e la cui iniziativa è accolta “con viva simpatia”. A fine 1907 si riuniscono con slancio una settantina di futuri soci provenienti dall’ambiente universitario e liberale, aristocratico e borghese. Il 26 gennaio 1908 la Sede Centrale del C.A.I. ratifica con plauso la costituzione della nuova sezione. Il 4 febbraio i novanta associati si riuniscono in Assemblea generale ed eleggono l’avv. Conte cav. Antonio Cattaneo, presidente, e il dott. Antonio Berti, vicepresidente. Cattaneo fu un buon presidente tanto da meritarsi che gli titolassero la Punta Cattaneo, una cima ben visibile dal Rifugio Padova, che si leva in forma di cuspide fra la Cima Both e la Cima di Forcella Montanaia, salita da lui stesso con Luigi Tarra socio del C.A.A.I. e pittore delicato e sensibile, il 16 settembre 1910. Cattaneo si farà valere con l’invernale della Punta di Monte Moro, la traversata di 27 la nostra storia Cadin di Toro e della Cridola con una prima salita (segnata sulla R.M., 1911, pag. 54) per versante SE e per una bella ascensione al Campanile Toro nell’anno di inaugurazione del Rifugio Padova (1910) da cui il campanile si segnala per quella sagoma ingobbita e appuntita che prevale come ago della bilancia su tutte le altre. Di Antonio Berti non è il caso di parlare, essendo figura troppo nota. Basti sottolineare il grande carisma che possedeva e sottolineare la calorosa empatia e il reciproco affiatamento che legava tra loro questo irripetibile gruppo di alpinisti. Armando Scandellari sottolinea questa fase individuando “due aspetti del dinamismo patavino” che si regge, scevro di prevenzioni di sorta, sulla politica di Cattaneo e Berti che “si esplica verso la realizzazione di progetti di condivisioni che con preveggente fermezza di analisi, intendono concretizzare ad ampio respiro”. (C.A.I. Padova Cent’anni sui monti e tra la gente, a cura di Angelo Soravia, 2008). Questi punti sono il coordinamento programmatico tra le Sezioni venete e la costituzione dello Ski Club Veneto nel 1909, quinto a costituirsi in Italia. Ma siamo già nella prolifica e feconda storia di una Sezione che non ha mai interrotto la propria crescita per un intero secolo con prodiga adesione agli ideali del C.A.I. e che è stata raccontata in un volume celebrativo. La lezione che se ne trae è quella della dignità e del decoro dell’alpinismo veneto, della sua ampia e sicura coscienza di sé, di un riconoscimento e di una estimazione che travalica i confini nazionali. di Leri Zilio Gino Carugati & C. 28 Arguto e cocciuto. Così veniva definito Gino Carugati. E del resto mai aggettivi furono più appropriati per disegnare la figura di uno scavezzacollo che si intestardì a salire e vincere l’”inaccessibile” parete est di Rocca Pendice. Tutto comincia per sfida, quasi per capriccio oserei dire. Antonio Fogazzaro, sì proprio lui, lo scrittore, che osserva sornione il giovanotto che racconta entusiasta dell’impresa del Baffelan. Gino gesticola, si sbraccia, mima passaggi acrobatici, è un torrente in piena tracimando energia ed entusiasmo. Seduta lì accanto la moglie Maria lo osserva tranquilla. A tratti sorride, la mano a tenere quella di lui quando la voce sale e non è il caso, perché il luogo, il Giardino, esigono toni soffusi ed il bon-ton impone pacatezza e contegno. Siamo in Villa “Roi-Fogazzaro” a Montegalda, paese del vicentino adagiato nella piana tra le costole rocciose degli Euganei e dei Berici. L’autore di “Piccolo mondo antico” lascia sfogare il giovanotto e nel mentre un sorriso fugace gli increspa le la nostra storia labbra, così, con nonchalance, quasi per caso, lancia il guanto, infila il classico, antipatico sassolino nella scarpa. “Ottimo, ottimo signor Carugati, mi complimento, ma questo Baffelan?! Beh, insomma. Perché poi andare così lontano? Proprio alle sue spalle ci sono questi colli così ridenti, e Dio benedica questa terra per il delizioso vino che ci dona. Ma ridenti e paciosi solo all’apparenza. A guardare bene, mio caro, ci sono asprezze e verticalità di non poco conto, e quel Pendice presenta a levante una lavagna sicuramente insuperabile”. Ecco, un pomeriggio di autunno caldo ed assolato, una chiacchierata oziosa, una battuta, uno sberleffo, una puntina di noia e l’ora di cena che non arriva mai. Gli ingredienti ci sono tutti e la storia alpinistica degli Euganei ha inizio. Passa il lungo, maledettissimo inverno. Se ne va il 1908, e non è un anno qualsiasi, perché finalmente anche Padova ha una sua sezione del C.A.I. Il 4 febbraio nasce il sodalizio e tra i fondatori c’è proprio quell’Antonio Berti che con i coniugi Carugati ha partecipato all’apertura della prima via sul Monte Baffelan nelle Piccole Dolomiti vicentine. Con la primavera il seme piantato da Fogazzaro comincia a germogliare e Gino non dorme, anzi. Il 7 marzo, di buon mattino, arranca ed impreca tra i rovi alla base della parete est di Rocca Pendice. Come per il Baffelan, e qui si capisce quell’”arguto” affibbiatogli da Berti, egli comprende che il punto più accessibile della parete è il camino che sta alla base, quasi al centro della stessa. Naturalmente con lui c’è Maria, e sono sue le orecchie delicate che debbono sorbirsi moccoli ed improperi che il nostro elargisce a più non posso mentre si inerpica tra rovi, muschio ed erbe di ogni tipo. Ma il camino è vinto e così, piantato un bel chiodo, ci si cala alla base con l’intento di tornare al più presto e vincere. La settimana dopo ai due coniugi si sono uniti il solito Berti e lo studente Mariano Rossi. La giornata non è un granché. Minaccia pioggia, e tra una casa e l’altra i quattro iniziano ad arrampicare nel primo pomeriggio. Ma poco importa, sono giovani, hanno entusiasmo da vendere, e quel diavolo scatenato di Carugati ha già salito il camino iniziale. Maria e Gino Carugati sulla cengia del Baffelan, durante la prima salita, fotografati da Antonio Berti 1908 29 la nostra storia 30 Toni e Sergio, due vite insieme Sono passati rispettivamente 30 e 10 anni dalla scomparsa di Toni Gianese e Sergio Billoro, due tra i più “carismatici” Istruttori che la Scuola di Alpinismo F. Piovan abbia avuto. Molti di noi hanno avuto la fortuna di conoscerli e frequentarli, di salire con loro in montagna oppure dilungarsi in appassionate discussioni. Due caratteri diversi ma ugualmente tesi a infondere a tutti i frequentatori dei corsi della Sezione quella passione genuina per i monti che li ha accompagnati fino alla loro ultima salita. Mi sembra doveroso quindi in occasione di questa ricorrenza esprimere un sincero ringraziamento a queste due straordinarie persone per quanto hanno saputo costruire all’interno della Scuola dando a noi l’occasione di proseguire sulle loro tracce. Lucio De Franceschi “Il tetto rosso del bivacco (1) brucia in fondo al Cadinot nella luce intensa del giorno…” Avrei voluto iniziare cosi il diario di quella salita, che però non scrissi mai. Rimase nella penna, più per un problema di tempo che di voglia. Toni invece, molto più puntuale di me, descrisse quella ascensione dello Spigolo del Velo, fatta nell’agosto del ’74 assieme a me e a Sergio Billoro, nel suo libro “Il Cimon della Pala, diario di un alpinista cieco”, con una dovizia di particolari tali che a rileggerla oggi, a distanza di molti anni, mi sembra quasi di rivivere tutti i momenti e le forti emozioni di allora. Quella salita, più di altre fatte assieme, rappresentò un momento molto importante. Non solo perché ci trovavamo ad arrampicare per la prima volta tutti e tre assieme, legati alle stesse corde, e su una via impegnativa, ma soprattutto perché consacrò per sempre quella profonda amicizia e stima reciproca nata sotto il segno della Scuola. Chi erano Toni e Sergio e quale fu l’importanza della loro presenza nella Scuola di Alpinismo? Erano due Istruttori Nazionali di indole forte, schietti e leali. Dei due sicuramente più pragmatico Toni e più impulsivo Sergio. Toni divenne cieco in pochi anni a causa di una strana malattia quando era già sposato con Luciana, alias “Cicci”, come amava chiamarla. Forte alpinista, aveva già conseguito il titolo di Istruttore di Sergio Crapesio Antonio Berti “Se le difficoltà sono queste saremo in cima prima di sera”. Le ultime parole famose, perché la sera, anzi la notte, arriva veloce, e quello che li aspetta è un duro bivacco, bagnati ed infreddoliti, perché intanto è sopraggiunta la pioggia. Li ha fermati uno strapiombo insuperabile e adesso non c’è che aspettare l’alba. Intanto però gli amici hanno allertato i valligiani e così il mattino dopo nasce la prima sezione padovana del Soccorso Alpino. Capogruppo è Beppe, il contadino che abita tra i ruderi del vecchio castello di vetta. È lui che guida altri volonterosi lungo la via della gola e della forcelletta sud con una lunga traversata tra i cespugli. Conosce quei luoghi come le sue tasche, ed in men che non si dica i quattro malcapitati sono tratti in salvo. I soccorritori non hanno seguito nessun corso particolare di recupero, ma sono dotati di braccia robuste, e le corde non mancano. I “quattro matti” vengono rifocillati, forse vien fatto bere loro del buon vino caldo, sicuramente li si invita a desistere. La donna poi… Proprio non riescono a capacitarsi. Una così bella signora conciata come uno spaventapasseri. I capelli pieni di foglie e pagliuzze, il viso incrostato di fango, le mani tagliuzzate e piene di spine, i vestiti laceri e sbrindellati. Ma le signore di città non sono sempre belle ed eleganti? Il buon senso non alberga nella mente degli alpinisti, ma la furbizia sì. Così una settimana dopo Carugati e Berti si calano a corda doppia dalla cima e raggiungono il luogo del bivacco. Studiano la parete ed individuano il percorso da seguire. Finalmente il 28 marzo 1909 si effettua il tentativo decisivo. Questa volta il tempo è ottimo e si è fatta provvista di chiodi e cunei di legno. Come al solito Gino è in testa, coadiuvato da Berti che lo assicura dal basso e gli passa il materiale. Poi segue Maria che viene aiutata sia dall’alto che da sotto, dove chiude la cordata il buon Mariano Rossi. Da una lettera scritta anni dopo da Berti al socio Rinaldi si evince che la preoccupazione maggiore di Toni non era tanto raggiungere la vetta ma evitare “di farsi legare e condurre al manicomio per pazzi”. Immaginiamo così che la banda dei quattro, appena calcata la cima, abbia raccolto in fretta e furia le corde e gli zaini e poi si sia data alla fuga a gambe levate. È facile supporre che il buon Beppe avesse cambiato mestiere. Da soccorritore si è ora trasformato in infermiere del Nesocomio di via dei Colli, e sulla strada di Teolo è parcheggiata una carrozzella a più posti guardata da robusti contadini pronti a caricare i matti per portarli nel luogo a loro più consono. la nostra storia 31 la nostra storia Nazionale per la notevole attività alpinistica svolta. Toni Gianese mi parlava spesso della sua vita, prima e dopo la cecità - c’era molta confidenza tra noi - e di come questa nuova condizione gli avesse permesso di pensare e di ragionare molto di più su di ogni cosa, problema o decisione da prendere semplicemente perché il fatto di essere cieco non gli “permetteva” distrazioni provenienti dal mondo esterno che poteva solo immaginare o ricordare. “Io penso cento volte più di te, zuccone!” - mi diceva scherzando. E a pensarci bene non aveva tutti i torti. Ed è incredibile come solo dal suono della mia voce riuscisse ad immaginarmi e a scoprire un po’ alla volta dentro di sé un viso che non vide mai. Questa sensibilità, unita alla naturale introspezione che aveva su di sé e verso gli altri, fu in qualche modo complice e motore di quel particolare attaccamento che egli ebbe sempre nei confronti della Scuola. Queste sue doti, unite ad un carattere forte e deciso, gli permisero di dare sempre a chi glielo chiedeva, dentro e fuori della Scuola, consigli per scelte giuste e ponderate. E se la cattiva sorte non avesse un giorno messo il suo zampino ne sarebbe diventato prima o poi il suo Direttore. Scalò assieme a molti amici Istruttori, i “magna sassi”, 32 la nostra storia come lui ci chiamava, le più belle montagne: il Cimon della Pala, il Cervino, il Monte Bianco, il Monte Rosa, il Sassolungo, lo Spigolo del Sass d’Ortiga, la Cima Pradidali, la Cima d’Ambiez, lo Spigolo del Velo, tanto per citarne alcune. Viaggiò molto, fu in Ladakh e nella catena andina, spesso assieme a Sergio. Amava sciare, anche sulle onde del mare. Non ebbe mai bisogno di un bastone bianco o di un cane che gli facesse da guida. Né imparò a suonare il pianoforte. “Ma tu Sergio - mi disse una sera mentre lo riportavo a casa non so da dove - pensi davvero che un cieco come me debba necessariamente saper suonare un pianoforte?!”. Bloccai la mia Renault 5 color amaranto, scesi dall’auto, lo feci sedere al mio posto, gli misi il volante in mano e girammo come pazzi per ore intorno al Prato della Valle. Per fortuna non ci vide e non ci arrestò nessuno. Morì nel ’79, in circostanze inspiegabili, cadendo giù dalla terrazza del Rifugio Boccalatte, sotto le Grandes Jorasses, che tentava per la terza volta di salire - una volta anche con me - assieme ad un altro caro amico. Sergio Billoro, abbiamo detto, un po’ più spigoloso e meno pragmatico di Toni. Di certo faceva pochi sconti, ti puntava dritto negli occhi e capivi subito dove voleva arrivare. Atleta mezzofondista con una particolare passione per il basket, approdò all’alpinismo in età matura bruciandone presto le tappe e scalando le più belle pareti delle Dolomiti. Partecipò a più di una spedizione extraeuropea, con la Scuola od organizzate da amici. Non fu mai un grande sciatore da pista. Memorabile la sua caduta sulle “gobbe” di Porta Vescovo durante un aggiornamento di sci alpinismo. Ricordo ancora le grida del figlio Luigi, terrorizzato, che mi stava a fianco: “Papàààà…….assa perdere!!!”. Preferiva lo sci di fondo e accompagnò Toni in una delle Marcialonghe di Fiemme e Fassa. Famosissima la scena di Toni che si ferma per un bisogno impellente e Sergio che lo sollecita, con i modi che sappiamo, a fare presto. Arrivarono a Cavalese stremati entrambi, con le lampade frontali quasi accese, ma entro il tempo massimo, tra un tripudio generale di folla che li stava aspettando. Passò nella Scuola in maniera trasversale cercando di capirne sino in fondo gli umori, le aspirazioni, le innovazioni e i modi diversi di interpretarla di ogni singolo gruppo cha la costituiva. Come Direttore gestì con capacità e intelligenza tutte le 33 la nostra storia risorse disponibili, unificando le tecniche e le didattiche di insegnamento. Credette nell’Arrampicata Libera come strumento indispensabile per quel nuovo alpinismo classico/moderno che stava ormai emergendo. Trasmise questa sua passione anche al figlio Luigi (avevate qualche dubbio?) che in seguito superò, e di gran lunga, il buon padre/maestro. Questo per la verità succede frequentemente, ma sempre e solo per merito del maestro! Ideò e persegui con tenacia la costruzione della Struttura di Arrampicata di via Pelosa che gli venne dedicata dopo la sua scomparsa con una toccante cerimonia, come pure la palestra del Pirio. Formò con la sua tenacia e il suo esempio almeno due generazioni di Istruttori. Fu fiero di appartenere alla nostra Scuola che considerava, scherzando ma non troppo con quella sua famosa battuta… la migliore del mondo! Fu certamente autoritario, ma generoso con tutti. Memorabili le sue serate post/corsi, tra vino, canti, salame e baccalà e bicchieri rotti al “sanflorian”. Fu in estrema sintesi un vero trascinatore e la sua mancanza, per certi aspetti, si fa ancora sentire. Morì arrampicando sulla Torre di Vallaccia nel ’99 in un drammatico quanto inspiegabile incidente. Era fermo in sosta, da secondo di cordata. Cosa è rimasto di tutto questo? Cosa è rimasto nella Scuola di Toni e Sergio? A mio avviso molto poco, rispetto a quello che hanno dato! Ma questa è un’altra storia. “Lucio mi ha chiesto di scrivere qualcosa su Toni e Sergio con i quali condivisi momenti intensi, talvolta di pura follia. L’ho fatto volentieri. Avrei potuto scrivere di più, molto di più, ma ho scritto poco perché molto possa ancora rimanere dentro di me. Nel posto più segreto del mio cuore.” la nostra storia A Sergio Sono passati dieci anni!... Lo so che può sembrare banale ma non mi sembra possibile... certo sento molto la sua mancanza e forse è per questo che spesso sogno il suo ritorno, come rientrasse da un lungo viaggio, mi pervade una felicità così profonda che nel momento in cui mi sveglio fatico a prendere contatto con la realtà e mi rimane quella sensazione di stupore nell’averlo rivisto e riabbracciato. Quell’abbraccio che non ci siamo scambiati quella mattina di dieci anni fa, perché era una normalissima arrampicata con un amico in una bella giornata di sole. Mio papà torna spesso nei discorsi di famiglia e le mie bambine mi riempiono di domande perché per loro è un nonno speciale: chi ha un nonno che arrampica ed è stato anche istruttore d’alpinismo e ha fatto spedizioni, trekking, ecc?... credo pochi bimbi perciò loro lo vedono come un mito!!! Forse un po’ lo era realmente, soprattutto per quei “bociasse”, come li chiamava lui che si avvicinavano all’arrampicata libera e lo cercavano: “ Sean vieni a fare due tiri?”. Quando penso a lui ancora oggi mi sale un senso di sicurezza e protezione che mi ha regalato durante la sua vita ed era una persona con una grande forza oltre che morale anche fisica... avevo circa 10 anni e non posso dimenticare quelle cinque dita stampate sulla mia coscia; sono rimaste lì come un tatuaggio durante tutta la lezione di ginnastica artistica! Però non ricordo cosa avessi combinato per meritarmi quello schiaffo. Sergio aveva dei valori molto profondi, era coerente e cercava il dialogo come forma di confronto... anche se a volte la sua focosità nel portare avanti le sue idee prendeva il sopravvento e diventava poco gestibile!!! Io lo ringrazio perché è stato un papà che mi ha dato e lasciato molto... anche se vorrei ancora sentirmi dire “Ciao bagigia come stai?” Elena Billoro Sergio Carpesio (1) - si tratta del Bivacco del Velo che sorgeva in quel tempo là ove ora è stato costruito il Rifugio del Velo e che serviva da punto di appoggio per gli alpinisti che volevano scalare la Cima della Madonna. 34 35 diariodiario alpino alpino di Leri Zilio BMC International Winter Climbing 2009 Dave Amos sul 2° tiro di Oesophagus sul Coire an Lochain nel gruppo dei Cairngorms. 70 m IV 38 Due paia di piccozze ben affilate sono sempre utili. Mordono efficacemente il ghiaccio, e semplificano una condizione di costante vigilanza ed operatività. È con una di esse che ho metaforicamente “agganciato” la splendida opportunità offertami dal Club Alpino Accademico Italiano. Una settimana in Scozia come partecipante al “BMC International Winter Climbing 2009”. Il caso vuole che mi trovi ad essere l’unico ospite italiano su quaranta partecipanti. Ci sono indiani, giapponesi, argentini, sudafricani, statunitensi, tutti motivatissimi e super attrezzati. Io arrivo entusiasta e felice, ma maledettamente nudo come mamma mi ha fatto, perché il mio bagaglio si perde nel ventre polveroso di qualche aereo. Poco importa, perché l’accoglienza degli amici scozzesi è calda e calorosa. Veniamo alloggiati al “GLENMORELODGE” nei pressi di INVERNESS. È un centro sportivo polivalente dotato di camerette a due letti, cucina, mensa, bar, palestra, muro diario alpino d’arrampicata, piscina, sala riunioni ed altro ancora. Cibo e comfort sono ottimi, e i bravi Becky Mc Govern e Nick Colton hanno organizzato per noi prussiane ascensioni quotidiane con compagni sempre diversi. Ho quindi il mio bel daffare a seguire gli affabili accompagnatori scozzesi su e giù per i “colonair” ed i pendii ghiacciati del “BEN NEVIS” e dei “CAIRGORMS”. Si parte rigorosamente ogni mattina con qualsiasi condizione climatica, e poco importa che si cammini quasi sempre sotto un diluvio universale. L’importante è che ci si alzi di quota, e che arrivi come una benedizione il tramutarsi dell’acqua in neve. Gli abiti bagnati si ghiacciano addosso, e così duri e imbalsamati come mummie si armeggia con piccozze e ramponi. Si è quasi sempre avvolti dalla nebbia, immersi in un silenzio spettrale bianco e ovattato, rotto ogni tanto da richiami e grida nelle lingue più disparate. Io sono disperatamente impegnato non tanto e solo a rimanere appeso a quel poco ghiaccio che questo insolitamente caldo febbraio ci ha riservato. Le mie scarse energie sono tutte rivolte alla sopravvivenza linguistica. Brancolo come un folle nella stanza buia di un “inglese” che padroneggio malissimo, e che mi vede paria negletto tra nobili patrizi. Qui non servono gli attrezzi che mi sono più consoni. Con la motosega potrei al massimo squartare il confe- Sul primo tiro del Comb Gully Buttress sul Ben Nevis. 130 m IV 5 In uscita dal Comb Gully sul Ben Nevis. 125 m IV 4 39 diario alpino Alessandro Baù su Raeburn’s Gully al Lochnagar. 200 m II renziere di turno che ogni sera ci intrattiene dopo cena con filmati e diapositive inerenti la propria attività. Disdetta vuole che questo attrezzo rumoroso non possa essere usato come traduttore. Anche martello e chiodi sono banditi da queste lande inospitali. I miei compagni più fedeli rimangono ad ammuffire nello zaino, perché qui si usano rigorosamente protezioni veloci. Nuts e friends la fanno da padroni, e l’etica è pura e dura. La lingua mi si scioglie solamente quando la bagno con dell’ottimo whisky scozzese. Un bicchierino di “Lagavulin” o “Laphroig” mi rende poliglotta e ciarliero, ed il “torbato” invecchiato di un decennio fa di me il virtuoso del “dry-tooling”. L’ultima salita la faccio con Desmond Rubens e l’amico padovano Alessandro Baù che è ad Aberdeen per lavoro. Finalmente è una bella giornata, e nel gruppo del “LOCHNAGAR” possiamo rilassarci salendo il facile e panoramico colonair “THE COMB”. È un Leri un poco brillo ed alticcio quello che dopo una settimana di “onesto lavoro” lascia il suolo scozzese. Un ragazzotto avanti con gli anni ammirato e soggiogato da questi straordinari alpinisti britannici, organizzati e disponibili, entusiasti e puri come ragazzini. diario alpino Coire an Lochain – Via The Vent 100 m II III 25 febbraio Gruppo: Ben Nevis Ben Nevis – Via Comb Gully Buttress 130 m IV 4 26 febbraio Ben Nevis – Via The Comb 125 m IV 4 Ben Nevis – Via North Gully 120 m II 28 febbraio Gruppo: Lochnagar Lochnagar – Via Raeburn’s Gully 200 m II Alessandro Baù e Leri Zilio all’uscita del Raeburn’s Gully al Lochnagar VIE SALITE 23 febbraio Gruppo: The Cairncorms Hell’s Lum Crag –Via Hell’s Lum 150 m II/III Coire Ant-Sneachda – Via The Runnel 135 m III 24 febbraio Coire an Lochain – Via Oesophagus 70 m IV Coire an Lochain – Via Right Branch Y Gully 100 m II 40 41 diario alpino di Francesco Cappellari Polvere di Carbone 42 Il treno sbuffa polvere di carbone, sale da Durango verso Silverton, e nella pancia trasporta i minatori addetti all’estrazione dell’oro che qui, nelle Rockies, sta facendo la ricchezza di pochi proprietari terrieri. Le facce, magre e smunte, sono quasi tutte nere, non solo per l’unto di terra e minerali. Sanno di essere sfruttati per pochi dollari alla settimana ma il padrone bianco li ha minacciati e a loro non resta che obbedire. “Scava, spacca di piccone, attento che può crollare tutto”. In molti sono morti dentro quelle topaie, tutti accomunati dalla speranza per un futuro migliore. E il futuro è arrivato. Ora quei buchi sono deserti, all’uscita un cartello indica “Museum” e il treno a carbone che da Durango sale a Silverton è una giostra che trasporta facce bionde e sorridenti, volti bonari di un presente sicuro e di un futuro senza bisogno di speranza. A noi, uomini del 21° secolo, girare per i quartieri rettangolari di Silverton, è come tornare indietro di più di cent’anni. Ci sentiamo John Wayne all’ingresso del saloon o Clint Eastwood in difesa della banca. Solo che le nostre armi non sono le Colt ma due strani arnesi a lama e la nostra macchina da ripresa è una piccola scatoletta digitale. L’oste ci serve birra e hamburger conditi da salse piccanti. Pronuncia il nome del paese in modo incomprensibile e vani sono i nostri sforzi per insegnargli a “dire come si scrive”. L’aria da mid-west è quasi scomparsa in Colorado, molto è trasformato dalla omogeneizzazione turistica che ricerca qui, come altrove, caratteri ormai spariti e rispolverati solo per dare un’ambigua illusione. Ma la campagna no, quella sembra essere ferma e ancorata nel tempo remoto visto nei film. Telluride, prima meta del nostro viaggio, ha conservato poco e si è trasformata tanto. Vive all’ombra degli impianti da sci che ne fanno uno dei poli di turismo invernale tra i maggiori dello stato. La banca di Silverton A destra Bridalveil Falls diario alpino Ames Ice Hose Giovanni Cesare su Choppo’s Chimney Roberta De Lorenzo su Stairway to Heaven e Barry Bona su Seventh Tentacle Naturalmente non siamo venuti qui per lo sci alpino, anzi in gran parte disdegnamo questo tipo di approccio alla montagna. Telluride per noi si può tradurre in due nomi tanto difficili da pronunciare quanto mitici: Bridalveil Falls e Ames Ice Hose. “Bridalveil prima di tutto è stato un segnalibro, poi è diventato sogno e quindi fantastica avventura”. Questo il commento di Barry Bona, mio compagno di cordata, in punta alla mitica cascata. “Ho un libro a casa ‘Scalare su ghiaccio’ di Yvon Chouinnard dove, bianco su nero, Bridelveil è rappresentata come uno dei primi gradi 6 aperti al mondo e quindi pietra miliare dell’arrampicata su ghiaccio e per me essere qui ora con l’amico Francesco è il raggiungimento del grande sogno”. Il giovane Giacomo qui con noi non sta nella pelle anche se non si rende veramente conto del posto in cui si trova. Sempre noi tre su Ames contiamo i tiri. Alla prima sosta, appesi a due spit, fatichiamo a cambiarci di turno. Il primo tiro, in parte verticale, lo conosciamo già. Lo abbiamo superato pochi giorni fa sotto una pioggia battente che ci aveva costretto alla ritirata. Oggi il cielo è terso e la temperatura ottimale. Il ghiaccio finalmente tiene ed il secondo tiro si infila in un budello chiamato in gergo “goulotte”. “La più bella lunghezza del Colorado”. Non lo dice la nuova guida “Colorado Ice” di Jack Roberts. Lo dico io. Quando recupero i due compagni sono felice. E i due laggiù pure, sento i commenti goliardici e i complimenti. L’ultima placca non è una formalità ma la classe di Barry non si discute. L’alpinismo è fatto di miti, almeno per qualche residuo sognatore. Mitizzare un personaggio o una salita è però, probabilmente, solo un sistema per porsi degli obiettivi importanti. Non ne sono certo ma anche il viaggio in Colorado dello scorso inverno ha rappresentato l’inseguimento alla realizzazione di vie e scalate lette sui libri ed appuntate sui nostri diari del futuro. Gli altri tredici dei quindici giorni sono stati all’insegna di questo spirito. Le quattordici persone che hanno preso parte all’Ice & Snow Tour hanno dato sfogo ad ogni più recondito istinto alpinistico disegnando curve su vergini pendii o usando in successione le becche delle piccozze e le punte dei ramponi. Tutto questo però non bastava. Bisognava dare al viaggio qualcosa di più. Alla lunga anche l’alpinismo fine a se stesso può stancare. Le due giornate dedicate al turismo puro sono quelle che forse resteranno più impresse nella mente di tutti. Notevoli sono infatti le bellezze naturali dell’Arches Park nel vicino stato dell’Utah. Archi, torri, canyon e pareti in un tripudio di colori accesi dal sole e dallo sfondo bianco delle nevi delle Montagne Rocciose. diario alpino E non ultimo il meraviglioso sito archeologico di Mesa Verde dove, fino a pochi secoli fa, vivevano gli indiani d’America. Le antiche costruzioni realizzate sotto impressionanti volte rocciose danno idea di come, a volte, la vita bisogna conquistarsela giorno per giorno e la protezione e la sicurezza comunitarie siano le priorità per ogni essere umano. Purtroppo anche le grotte naturali e i canyon non hanno salvato una civiltà che semplicemente abitava a casa sua. Il viaggio ha questo nel suo essere, dà la possibilità, all’interno dei momenti di svago e per noi di realizzazione, di mille occasioni per la riflessione, riflessione tesa a farci uscire dal misero egoismo in cui viviamo. Il sito archeologico di Mesa Verde APPUNTI DI VIAGGIO Quello in Colorado è stato il 3° Ice & Snow Tour organizzato dall’Associazione Idea Montagna. Il primo, nel 2007, ha visto 14 componenti scalare cascate e sciare in Canada, nelle regioni della British Columbia e dell’Alberta. Il bel successo riscosso dal viaggio mi ha spinto ad organizzare il secondo Tour negli stessi luoghi ma con altre persone. Il secondo viaggio ci ha visto in 15 percorrere cascate famose ed ambite come Polar Circus, Weeping Wall e Weeping Pillar. Tutti i componenti hanno anche realizzato almeno due gite di sci alpinismo nei pressi di Rogers Pass ed hanno così potuto gustare la powder canadese. Il Colorado Ice & Snow Tour 2009 ha voluto ricalcare la riuscita formula dei precedenti aggiungendo una nota turistica viste le bellezze della regione. Si è stanziato 3 giorni a Telluride, 8 giorni a Ouray e 2 giorni a Vail visitando anche le zone di Silverton e Glenwood. Contrariamente a quanto avvenuto sulle Alpi l’inverno in Colorado non è stato particolarmente nevoso e freddo. La pratica dello sci alpinismo purtroppo ne ha risentito tanto che ci si doveva spostare parecchio per riuscire a trovare neve sufficiente e di buona qualità. Non sono però mancate gite appaganti e remunerative. Le Montagne Roccio- 45 diario alpino diario alpino se in Colorado come in Canada sono molto selvagge, ci sono pochissimi punti di appoggio e non esiste una guida degli itinerari. Quindi il gruppo degli sci alpinisti si è mosso con il passaparola e cercando di interpretare al meglio le carte e la vista sul posto. E ora non resta che ritrovarci tutti il prossimo inverno. Destinazione Islanda. Il viaggio è aperto a tutti, dall’estremo ghiacciatore al più tranquillo ciaspolatore. Sono state effettuate 5 gite di sci alpinismo: Ophir (Yellow Mountains), 2900 m MS Red Mountain n° 3, 3930 m BS Mc Millian Peak, 3905 m MS Idea Peak, 4120 m MS Crooked Creek Pass, 3047 m MS Panorama dal Mc Millian Peak Malgrado le quote elevate la temperatura non è stata mai molto bassa. La maggior parte delle cascate di ghiaccio comunque erano in buone condizioni. Solo tre obiettivi del gruppo non erano realizzabili. Sono state salite ben 13 cascate di ghiaccio: Cracked Canyon Fall. 95 m – III 5 Bridalveil Falls. 150 m – III 5+/6 Ames Ice Hose. 200 m – III 5 Stairway to Heaven. 280 m – IV 4 Skylight. 100 m – II 5 Sleep Slidin’ Away. 90 m – II 3+ Chockstone Chimney. 100 m – II 3+ Choppo’s Chimney. 90 m – II 3+ Hidden Falls. 200 m – IV 4 Rigid Designator. 50 m II 5 Tourist Trap. 30 m II 6 The Ribbon. 200 m V 4 Seventh Tentacle, 40 m II 5 M6 Diversi monotiri all’Ouray Ice Park Partecipanti: Francesco Cappellari, Padova Giacomo Benacchio, Padova Stefania Tonello, Massanzago PD Nicola Ferrarese, Massanzago PD Barry Bona, Tambre d’Alpago BL Eddi Serafin, Oderzo PN Giovanni Cesare, Spilimbergo UD Stefano Ferro, Quarto d’Altino VE Roberta De Lorenzo, Quarto d’Altino VE Fabrizio Anselmi, Monte di Malo VI Ivo Maistrello, Schio VI Fabio Casarotto, Thiene VI Pier Giorgio Rosa, Thiene VI Alessandro Chemello, Thiene VI 46 Ciaspolata al Rifugio Altissimo Martedì mattina. Sono passate già due notti di riposo ma l’acido lattico non accenna ad andarsene. Sembrerà strano, ma ogni volta che sento i muscoli tirare mi viene in mente un piacevole ricordo, fatto di neve, freddo, sole, nebbia, sorrisi, fatica...Non immaginavo che due giorni sulla neve potessero essere così appaganti. Ho visto un posto finora a me sconosciuto e mi ha lasciato meravigliato e stupito. Lì al Rifugio Graziani, i cartelli quasi completamente sommersi dalla neve mi dicono che d’estate passa una strada, che si può venire in macchina ai piedi dell’Altissimo. Si vede anche il cartello del parcheggio ma il parcheggio non c’è: mi fido delle indicazioni. Intorno è tutto bianco: davanti a noi una lunghissima salita da attaccare con le ciaspole per raggiungere la vetta. Inizio il cammino... calcio deciso sulla neve con la punta, per piantare il rampone. Ho il fiatone, mi fermo, riparto, faccio fatica. Il sole picchia forte sulla distesa innevata e il manto bianco inizia a squagliarsi e fa scivolare. Più si sale e più è difficile fare presa sul terreno. Ancora un po’, ancora qualche metro... Vedo Renato che da lassù scruta col binocolo la colonna di persone che sale faticando lungo il ripido pendio: si preoccupa che tutti arrivino alla meta, molla lo zaino, si lancia giù e affianca gli ultimi, li incita a salire e tutti arrivano alla cima. Siamo tutti arrivati: il rifugio Altissimo ci aspetta lì, ne vediamo solo il tetto, il resto è sommerso da 4-5 metri di neve. Finalmente si può riposare al caldo e scherzare in compagnia. Ci raccontiamo della fatica, dei paesaggi visti, del Garda che non si vede perchè giù c’è nebbia, dell’impresa che abbiamo portato a termine, siamo tutti affaticati ma soddisfatti. Passano le ore, guardiamo il sole che colora il cielo di rosa 47 diario alpino e di mille tinte violacee, poi sparisce e ci lascia avvolti da un paesaggio silenzioso, irreale, incantato. Ancora niente con quello che verrà dopo... Usciamo fuori. E’ calata la notte, il vento sferza la cima del monte e il freddo è quasi insostenibile. Resistiamo dieci minuti, con la testa piegata verso l’alto: centinaia, migliaia, milioni di stelle punteggiano il cielo terso e noi fatichiamo a riconoscere le costellazioni, completamente diverse da quelle che di solito siamo abituati a vedere, fatte di 7-8 stelle soltanto e qui sono migliaia! Una stella cadente taglia la volta in verticale... ci penso un secondo solo ma non esprimo alcun desiderio: il desiderio era quello di vivere una giornata indimenticabile e questo si è già avverato... Rientriamo al caldo del rifugio a riposare. Non sappiamo ancora cosa ci riserverà la natura domani: sarà uno spettacolo diverso, un nebbione e un freddo da paura, ma sarà pur sempre un spettacolo di quelli che ti rimangono nel cuore. Lorenzo 48 Dopo una giornata incredibile di sole e neve, siamo arrivati al Rifugio Altissimo dove sono previsti la cena e il pernotto. Distrutta dalla fatica ed estasiata dal panorama, resto fuori almeno un’ora per scattare le foto a prova dell’incredibile impresa. Salire una cima dà sempre una grande soddisfazione, ma salirla con la neve è un’altra cosa. Sia per la fatica ( ogni passo richiede sforzo e concentrazione) sia per l’incredibile bianco scenario che si presenta dall’alto. La visione delle cornici di neve modellate dal vento, delle mensole sulle pareti innevate da dove qualche giorno prima si è staccata una valanga, del profilo maestoso e luccicante del Baldo resteranno a lungo impressi nella mia mente. Mentre sono in contemplazione del panorama, la maggior parte della comitiva si fionda dentro il rifugio in cerca di un posto caldo. Così, quando entro, i letti al piano terra e al primo piano dove ci sono le stufe accese, sono già tutti occupati e a me resta il secondo piano alias sottotetto dove fa decisamente freddo tanto diario alpino che, respirando, dalla bocca esce fumo come se fossimo all’aria aperta. Per fortuna ci sono tre coperte a testa e poi nella stanzetta da quattro posti ci sono sei letti quindi si potrà contare sull’effetto stalla per scaldarsi. C’è un bagno anche al secondo piano, ma il cartello appeso sulla porta d’ingresso “solo pipì” mi ricorda una cosa che sapevo già: non c’è acqua corrente. Cerco di tirar fuori il mio spirito d’adattamento, ma mi viene la nausea lo stesso. Respingo il pensiero a quando ci sarà la necessità e più congelata di quando sono entrata, scendo al piano terra per appropriarmi di un posto in pole position vicino alla stufa. C’è sempre un qualcosa di magico nella sala pranzo dei rifugi, quando sorseggiando una tazza di the o di vin brulè tenuta a piene mani per scaldarsi, si rivivono i momenti della giornata. Chi racconta della salita che non finiva più, chi della neve troppo soffice su cui non si faceva presa, chi mostra le foto sullo schermo della digitale, chi si ricorda di quando era stato qui d’estate, di quella volta che ... Tra una chiacchiera e l’altra arriva l’ora della cena. Il rifugio è accessibile solo a piedi o con gli sci, quindi tutto quello che mangiamo è stato portato a spalle dai gestori. Nonostante questo, non manca niente: orzetto, canederli, polenta, formaggio, salsiccia, funghi, crauti, fagioli, carne salada, torta sbrisolona e non sono le possibilità di scelta del menu, è tutto quello che abbiamo mangiato. Tutto buonissimo. Quella degli alpinisti è una fame sincera. In più, per conciliare il sonno e scaldare gli animi e i corpi, ad un certo punto, sopra i tavoli sono comparsi dei vasi da conserva pieni di grappa a tutti i gusti nel numero di 39. Da un classico pino mugo, genziana, mirtillo alle erbe dai nomi più strani fino all’aglio e al peperoncino. Non credo che qualcuno sia riuscito ad assaggiarle tutte anche se molti ci sono andati vicino, ma la grappa era buona perché il giorno successivo non c’era nessuno con il mal di testa. La serata è stata davvero divertente e abbiamo dovuto smentire la regola per cui in rifugio alle dieci si spegne la luce e si va a dormire presto. Poi, quando abbiamo appoggiato la testa sul cuscino, qualcuno ha preso sonno subito, molti altri sono rimasti ad ascoltare la dolce sinfonia di chi ronfava placidamente, anche se chi ha dormito, giura di non aver mai russato in vita sua. Al mattino successivo, il Monte Altissimo era avvolto dalle nuvole e noi eravamo nel mezzo. Aria umida e gelida, visibilità poco più di cinque metri, ma il nostro magico capo gita e i nostri accompagnatori sono riusciti a riportarci a valle ignari del fatto che avremo raccontato quello che era successo. Michela 49 itinerari alpini itinerari alpini di Marco Di Tommaso Traversata del Monte Rudo La traversata del gruppo del Monte Rudo risulta essere l’unione tra un itinerario storico e uno pionieristico. Storico perché il sentiero ripercorre le postazioni di artiglieria e d’osservazione austriache che puntavano verso le Tre Cime di Lavaredo e il Monte Piana. Pionieristico perché la traversata e il ritorno per la Val Bulla si svolgono in ambienti selvaggi, isolati e di grande fascino paesaggistico. Tempo di percorrenza: 8:00 Dislivello: 1300 m Difficoltà: EE passaggi di I° Attrezzatura: caschetto Accesso Da Dobbiaco si segue la SS51 in direzione Cortina fino ad arrivare poco prima del Lago di Landro. Si lascia l’auto nei pressi di un vecchio forte militare con impressa su una facciata lo stemma della Croce Rossa. Postazioni austriache sulla spalla del Teston di Rudo. Colle con garritta prima del tratto chiave. 50 Salita da Landro 1400 m alle postazioni Teston di Rudo 2519 m (3:15) Se si fa riferimento alla cartina Tabacco 010, si scorge un sentiero segnato di nero che sale su a quota 2175 nei pressi dell’arrivo della prima teleferica. Occorre seguire questo. Dal forte parte una stradina sterrata immersa tra gli alberi che sale a sinistra. Seguirla fino ad incontrare poco dopo un’altra che si distacca sulla destra e risale trasformandosi più avanti nel sentiero militare. Lo si segue interamente fino ad arrivare all’arrivo della teleferica. Fino a qui il sentiero è stato facile e monotono (1:45). Da qui sulla cartina non vi è più segnato alcun sentiero, ma giungendo sotto la montagna, si vede partire un secondo sentiero segnato da ometti che risale ripido. Con il caschetto in testa, lo si segue facendo attenzione al terreno friabile cercando di non farsi distrarre dall’ambiente selvaggio. Raggiunta la spalla (1:30), merita una visita alle sue postazioni di guerra. itinerari alpini Traversata alla forcelletta dei Rondoi 2672 m (2:15) Dalle postazioni austriache il sentiero prosegue perdendo quota lungo la valle che scende nella Val Rinbon (eventuale percorso alternativo di discesa). La traccia traversa la parte superiore della valle e raggiunge una forcella alla cui destra sorge un colle con in cima una garitta d’osservazione (0:45). Da qui comincia la parte più delicata della traversata. Dalla parte opposta della forcella il sentiero prosegue per una cengia che apparentemente sembra esposta e franosa, ma che in realtà è più comoda di quello che può sembrare. Superata questa e la successiva cengia agevolata anche da una scaletta, si perviene ad una postazione con il libro del sentiero. Si prosegue ora in ambiente più aperto seguendo il sentierino che costeggia le pareti e risale alla forcelletta dei Rondoi (1:30). Il Monte Rudo Grande lungo la traversata. Discesa per la Val Bulla (2:30) Dalla forcelletta dei Rondoi, si scende seguendo delle tracce discontinue di sentiero che si immettono nell’alta Val Bulla. Le ghiaie nella parte alta sono dure, mentre più in basso si addolciscono rendendo comunque i ghiaioni interminabili. Giunti al limite inferiore delle ghiaie (1:00), ci si tiene sulla destra e si riprende il sentiero (segni rossi) che scende giù per la valle. Nella parte bassa, il torrente ha cancellato parte del sentiero e occorre quindi proseguire per il greto del torrente. Più in basso si incontra nuovamente il sentiero; per questo e per altri tratti sul greto, si esce dalla Val Bulla. Usciti dalla valle, si punta ad un enorme bunker della Seconda Guerra Mondiale che sorge sulla sinistra del greto (1:15). Da qui si segue un sentierino che ripercorre la vecchia stradina d’accesso al bunker e che riporta al punto di partenza (0:15). La parte alta della Val Bulla. 51 scuola scuola alpinismo alpinismo di Giuliano Bressan 1° Corso di Perfezionamento Arrampicata Artificiale Si è positivamente concluso il 1° Corso sulla tecnica di Arrampicata Artificiale. Si è trattato di un corso monotematico indirizzato a chi, avendo già frequentato i corsi base o comunque già in possesso di una discreta esperienza alpinistica, intendeva scoprire ed apprendere le tecniche di progressione in arrampicata artificiale. Il corso diretto dagli INA Giuliano Bressan e Massimo Bazzolo, si è svolto nei mesi di marzo ed aprile. Nelle nove uscite pratiche (due sessioni serali in struttura artificiale), corredate da nozioni e lezioni teoriche, si sono studiati e sviluppati i seguenti argomenti: scuola alpinismo • impiego, oltre al classico chiodo ad espansione, dei moderni materiali (“rurp”, “copper-head”, “sky-hook”, ecc.) utilizzati nella progressione in artificiale; • gestione della cordata su vie di artificiale (manovre corda, risalita corda fissa, recupero materiale, ecc.). Al corso hanno partecipato nove allievi: Fontana Enzo, Galeazzo Riccardo, Guerra Marta, Napolitani Enrico, • tecniche relative al superamento in arrampicata artificiale (uso di staffe) di tratti non superabili in arrampicata “libera”, caratterizzati per esempio da grandi strapiombi e tetti; 52 Parodi Marina, Salarin Silvano, Schmidt Leonardo, Secco Caterina, Turco Francesco. Nelle sette uscite, svoltesi nelle falesie di Cismon, Brentino e della Valle del Sarca, sono stati percorse, con notevole soddisfazione da parte degli allievi, vie con difficoltà in artificiale di A1 ed A2 e di V, V+ in arrampicata libera. Le salite, scelte in base alle effettive capacità dei partecipanti, hanno evidenziato il buon apprendimento raggiunto nella padronanza delle tecniche di arrampicata relative al superamento di tratti strapiombanti e tetti. Ospiti graditissimi del corso Berto Marampon e Marco Furlani, veri esperti ed artisti nella pratica di questa tecnica, che nell’ambito di due simpatiche ed interessanti serate hanno esposto la loro “filosofia”. Un doveroso grazie infine agli istruttori che, con competenza e professionalità, hanno permesso l’ottimale svolgimento del programma previsto ed un augurio agli ormai ex-allievi di continuare a salire con soddisfazione e sicurezza “al di là della verticale”. 53 veterani veterani di Fiorenza Miotto Veterani in Argentina 54 Una serie di coincidenze favorevoli ha portato, nel novembre scorso, una dozzina di soci del gruppo veterani nella lontana Patagonia. Molto semplicemente, l’appuntamento del mercoledì si è spostato nel sud del mondo; quasi un gruppo B che per alcuni giorni ha attraversato ambienti mitici per l’ immaginario di ogni amante della montagna. Già all’arrivo all’ aeroporto di El Calafate siamo tutti elettrizzati. E’ un tardo pomeriggio luminosissimo e, prima ancora dell’ atterraggio, i laghi e le montagne sembrano volerci accogliere nella loro veste migliore in un luccichio abbagliante. L’ accoglienza calorosa di Gabriel, l’albergatore, ci mette subito a nostro agio e l’ ambiente naturale attorno al nostro alloggio subito soddisfa la nostra sete di spazi infiniti. Bella e ancora incontaminata la laguna di Nimez con i bandurrias che aprono le grandi ali in brevi voli, con i fenicotteri che lenti esplorano le acque basse del bordo del lago e con le cauquenes, oche selvatiche dalla taglia maxi. E sullo sfondo, oltre lo scintillio delle acque del lago Argentino, ghiacciai, tanti ghiacciai, tanta wilderness che ci fa dimenticare come, alle nostre spalle, El Calafate sotto la spinta turistica si stia sviluppando in modo disordinato, non sempre attento alla bellezza dell’ ambiente. Il mattino successivo c’è molta euforia nel nostro pullmino. Tutti siamo pieni di aspettative, ma soprattutto Giannino sta realizzando uno dei suoi sogni, cullato da decenni e di cui tanto ci aveva parlato durante le escursioni del mercoledì. E’ pieno di entusiasmo nonchè di libri e cartine che ha a lungo studiato prima di partire per l’ avventura patagonica. Ecco il lago Viedma e il suo ghiacciaio, ecco l’ estancia La Leona, ecco l’ indicazione per la Punta del Lago, posto spettacolare dove Casimiro Ferrari ha scelto di passare gli ultimi anni della sua vita dopo aver legato il suo nome al Cerro Torre. Arriviamo a El Chalten e attraversiamo il Rio de Las Vueltas su un anonimo ponte. Siamo ormai lontani dai tempi del colono Madsen che lo guadava sul suo carro da pioniere, ma il luogo, pur con le sue costruzioni turistiche, conserva ancora un clima di isolamento e un respiro naturale da farsi perdonare la modernità. Non c’è tempo per un pellegrinaggio ai resti dell’ estancia di Madsen, che tanti grandi alpinisti ha accolto nel passato e ripartiamo costeggiando il rio de Las Vueltas. Finalmente ci incamminiamo a piedi salendo lungo la valle del Rio Blanco. Appena ci alziamo un pò, si svela ai nostri occhi ampia e selvaggia la valle del Rio ELectrico. In fondo c’è la Piedra del Fraile, il luogo dove si fermò padre De Agostini nelle sue esplorazioni: quanto mi piacerebbe andarci.... veterani Ho sempre prediletto l’ esplorazione della montaga agli exploit alpinistici.Ma ora c’è da gustare l’ ambiente in cui ci muoviamo, una foresta di lenga, battuta dal vento che contorce i tronchi e crea fantasmi di legno dalle strane forme. Nel sottobosco, una prima fioritura primaverile attrae la mia attenzione: anemoni, calceolarie e cespugli di eleganti fiorellini gialli delicatamente profumati. E’ El Calafate e la tradizione vuole che chi mangia il suo frutto ritorni sicuramente in Patagonia. Questi piccoli tesori sono racchiusi in un ambiente di selvaggia bellezza su cui incombono ghiacciai e cime possenti che fanno da corona al Cerro Torre e al Fitz Roy. Il tempo ci assiste e gustiamo appieno quegli attimi davanti a tanta magnificenza. Al ritorno, pur ripercorrendo la stessa strada, la luce del tardo pomeriggio ci regala suggestioni nuove e riflessi scintillanti sulle acque del lago e sui ghiacciai. Un provvidenziale temporale, durante la notte, ci offre una nuova giornata sfolgorante sul lago Argentino. Un ottimo servizio di catamarani ci consente un giorno di navigazione indimenticabile fra i “brazi” del lago con immagini al di là di ogni aspettativa. Upsala, Onelli, Spegazzini, Perito Moreno, tutti abbiamo imparato i nomi dei ghiacciai che 55 veterani veterani DIAPORAMA A VOLTABAROZZO Mercoledì 30-09-2009 CILE – BOLIVIA Viaggio tra deserto, cultura e vulcani Mercoledì 07-10-2009 SCIALPINISMO SULLE ALPI L’azzurro e il bianco nello scialpinismo sulle Alpi Due serate di immagini in dissolvenza commentate, a cura dei soci della nostra sezione Giovanna Galeazzo, Federico Battaglin e Marco Di Tommaso, presso il Centro Parrocchiale di Voltabarozzo (Piazza Santi Pietro e Paolo) Ingresso libero - Inizio serate ore 21:15 56 Per il programma dettagliato su queste e altre serate, visitate i seguenti link: www.diapo.marmolo.it o www.diapo.febat.com Un grande ricordo Quando penso all’Argentina, subito rivedo il Perito Moreno. Poi ricordo anche le Cascate di Iguazù, i pinguini, le balene, Buenos Aires, il Tango, ma solo dopo il Perito Moreno. Questo ghiacciaio mi ha emozionato più di ogni altra cosa vista in Argentina, e più di ogni altra cosa vista in Argentina continua ad emozionarmi nel ricordo. Abbiamo ammirato la prima volta il Perito Moreno dal catamarano che porta i turisti in crociera sul Lago Argentino. La giornata era magnifica. Molti ghiacciai sboccano nel grande lago e lo cospargono di iceberg. La navigazione fra gli iceberg che galleggiano sull’acqua verde-giada e che quel giorno il sole colorava con tutte le sfumature dell’azzurro, con la vista intorno delle montagne e dei ghiacciai è splendida. Ma nulla è splendido come lo spettacolo che si offre quando il catamarano giunge al cospetto del Perito Moreno. Dal lago il Perito Moreno appare come un’enorme frastagliatissima parete di ghiaccio. Fra gli innumerevoli crepacci penetrava la luce abbagliante del sole creando un gioco svariatissimo di ombre e di colori. Di tanto in tanto dalla parete si staccavano blocchi di ghiaccio con sordo fragore. La visione è di una solennità grandiosa. Non trovo alte definizioni, e impone un religioso silenzio. Ero profondamente commosso da tanta bellezza e credo che lo fossimo tutti. Credo che avremmo tutti desiderato essere assolutamente soli, senza il catamarano, senza i suoi motori, senza gli altri intorno, soli ad ammirare quella stupefacente parete con la quale il ghiacciaio muore tuffandosi nelle acque verde-giada del Lago Argentino. Il giorno dopo, ancora con il sole, abbiamo di nuovo ammirato il Perito Moreno dal pendio di una collina che gli sta di fronte e che consente di vedere il ghiacciaio da un punto di vista diverso: non più soltanto la sua parete finale, ma al di sopra e al di la di questa la distesa dei ghiacci che si perdono fra i monti. Ero sempre ammirato, ma meno commosso. In qualche modo il Perito Moreno, visto dalla collina, pur essendo sempre magnifico, aveva perso in parte la sua magia. Ed è la parete di ghiaccio che si tuffa nel lago, che sempre vedo per prima pensando all’Argentina. Nulla che io ricordi le può essere paragonato. Da sola merita un viaggio in Patagonia. di Maurizio Guglielmi ci abbagliano e tutti siamo incantati dalla navigazione fra i “tempanos” al cospetto di una natura tanto primordiale e tanto grandiosa. Persino un condor vola sopra di noi ad ali spiegate quasi a darci il benvenuto. Alla sera, al rientro tutti a cercare il gelato di calafate per assicurarci il ritorno in Patagonia. I nostri visi sprizzano felicità, la nostra pelle è bruciata dal vento e dal sole, ma all’ indomani siamo di nuovo pronti per un altro bagno di bellezza al cospetto del Perito Moreno. Da quest’ altro lato, il ghiacciaio si manifesta in tutta la sua grandezza e la vegetazione lo circonda ai lati formando un contrasto straordinario. Pur seguendo un percorso turistico obbligatorio, siamo immersi in un mondo incredibile pieno di colori forti. Il blu profondo del lago, il bianco abbacinante del ghiacciaio, il rosso acceso degli arbusti del notro resteranno impressi nei nostri ricordi. Qua e là cespugli gialli di Calafate ci ricordano la tradizione. Anche il ritorno in città, deviando verso il lago Roca, è prodigo di emozioni e visioni indimenticabili. Grandi spazi, grandi praterie, improvvisamente tappezzate di macchie colorate per la fioritura seguita al temporale, bestiame al pascolo, una lontana estancia circondata dagli alberi che la proteggono dai venti, acqua che luccica sotto il sole, e, in lontananza, sempre lo scintillio dei ghiacciai, che grandi e possenti dominano e controllano i movimenti di noi piccoli esseri in quegli spazi senza confine. Tutto rende forte il senso della grandezza e perfezione della Natura e ci saziamo della sua bellezza. Ma ormai è tempo di ripartire. Altre emozioni ci attendono: balene, pinguini, leoni marini, le mille sfaccettature di Buenos Aires, le cascate di Iguazù, vero monumento naturale. Tutto questo alimenta il nostro stupore, ma torniamo a casa con tanta nostalgia della Patagonia, degli spazi enormi, dei silenzi, della natura ancora sovrana. Ma perchè tanti rimpianti? Non abbiamo forse mangiato il gelato al EL Calafate? E allora chi dice che non vi torneremo? 57 veterani di Gabriella Rossignoli Mens Sana in Corpore Sano 58 C’è qualcuno che con il passare degli anni comincia a sentirsi stanco e demotivato e che invece vuole mantenere il cervello sveglio e il fisico in forma? Si iscriva al Gruppo Veterani. Ecco il racconto di una giornata meravigliosa passata in loro compagnia. Insonnia per più di qualcuno nella notte precedente l’escursione. Sveglia ad un’ora che è meglio non dire per non spaventare gli eventuali futuri nuovi iscritti. Per strada silenzio e poche macchine, ma almeno, essendo settembre, non è proprio buio come succede d’inverno. Arrivo al ritrovo alle 5,45. Qui c’è vita invece: saluti, baci, abbracci, una frenesia incredibile, data l’ora e vista l’età dei veterani. E’ tanto che non si vedono: una settimana! Nei giorni precedenti si sono telefonati. Ieri hanno fatto i preparativi. Adesso sono pronti a dare il meglio di sé. Dopo l’assalto al pullman per prendere i primi posti, si parte puntuali come sempre alle 6,00. Chi vuole recuperare il sonno ha qualche difficoltà, tante sono le cose che hanno da raccontarsi i più. La giornata si preannuncia splendida: il cielo è azzurro e non c’è una nuvola. Arriviamo a S.Martino di Castrozza e prendiamo la funivia che ci porta sull’Altopiano delle Pale nei pressi di Cima Rosetta. Il panorama che si apre davanti ai nostri occhi è a dir poco emozionante. Il Cimon della Pala alla nostra sinistra è davvero maestoso. Alle nostre spalle si vedono benissimo il Latemar e il Catinaccio, mentre dietro di loro si nota l’insieme delle Dolomiti del Brenta, tutte bianche di neve. Davanti a noi si apre il grande altopiano e in fondo in fondo si schierano come in parata molte delle cime più importanti delle Dolomiti venete: Tofane, Averau, Cristallo, Tre Cime, Sorapiss, Civetta, Antelao. A destra, abbastanza vicina, spunta la cima della Pala vera e propria. Chi ama la fotografia qui è nel suo regno. C’è molto freddo per la stagione (0 gradi), del resto siamo anche molto alti. Si temeva di scivolare a causa della leggera nevicata di ieri, ma mezz’ora dopo la partenza già non c’è più neve e comunque si cammina quasi sempre in piano. Primo vorrebbe che affrettassimo il passo, ma stavolta sono parecchi quelli che incantati dal paesaggio, rallentano per ammirarlo e per chiedere informazioni a chi ne sa di più (alla fine ci metteremo tre ore più del previsto, ma per fortuna le giornate sono ancora abbastanza lunghe e possiamo permetterci una velocità di cammino quasi da passeggiata). Procediamo verso nord, vedendo a sinistra veterani anche Cima Vezzana un po’ imbiancata, il ghiacciaio del Travignolo (che però è più grande dall’altra parte), la Valle delle Comelle, che tanto ci ha tenuti impegnati due anni fa… Poi, sempre da quella parte, si cominciano ad intravvedere in lontananza anche le montagne della Val Badia, il Lagazuoi e finché non appare più vicino il gruppo della Marmolada (la regina). Allora tutti cercano di individuare dove si trova il Passo delle Cirelle, che abbiamo fatto un mese e mezzo fa. Bei ricordi! Il piacere è moltiplicato. A destra invece contempliamo il ghiacciaio della Fradusta (peccato che non ci andiamo più vicini…). Passo dopo passo, percorrendo un sentiero a saliscendi, immersi in una luce brillante, vediamo avvicinarsi le montagne che prima ci sembravano piccole e che ora ci si presentano in tutta la loro imponenza. Arrivati alla Forcella del Miel, siamo come sospesi sull’orlo della Valle di S.Lucano. A destra, tanto vicina che quasi la tocchiamo, c’è la ripida ed impressionante parete dell’Agner, davanti c’è il Civetta che mostra un lato inusuale rispetto alla solita parete diritta, tanto che prima, quando si vedeva da lontano, c’è stata un po’ di discussione su che montagna fosse. Qualcuno si ricorda di aver passato una pericolosa avventura proprio là durante un’escursione con il brutto 59 veterani tempo. Proseguiamo fra scenari meravigliosi (anche un laghetto in cui si specchiano le cime), finche non arriviamo al Passo Canali, dove pranziamo, incerti però se perdere tempo consumando i nostri panini o approfittare per scattare una foto dietro l’altra alle alte pareti che ci circondano. Quando ripartiamo, ci aspetta un punto un po’ scosceso, ma chi è in difficoltà viene aiutato dai più esperti. Bellissima anche la discesa in cui si rasentano pareti di roccia altissime e si ha sempre davanti la verde Val Canali. Là in fondo nascosto nel bosco dicono che c’è il Rifugio Treviso, dove poi ci fermiamo per una sosta tecnica. Ancora un po’ di cammino e siamo arrivati al Cant del Gal dove ci aspetta il pullman. Siamo stanchissimi, ma molto contenti. Abbiamo visto dei posti straordinari grazie a Mario Stefani e Primo Gennaro. Speriamo che la soddisfazione da loro provata nel farci partecipi di queste belle esperienze li induca a perseverare nell’avere pazienza nei riguardi di “poveri pellegrini” come sono alcuni di noi, in modo che continuino a guidarci in posti dove da soli non potremmo andare. 60 veterani I Veterani interpretano proprio bene il ruolo educativo che si prefigge il Cai; ci consentono di progredire, anche ad una certa età, sia nell’esercizio delle nostre forze fisiche sia nelle nostre conoscenze, il tutto in un clima gioviale di solidarietà ed amicizia, che spesso si concretizza in feste di compleanno, a volte anche in pranzi e balli e addirittura in una lotteria in cui sono molti quelli che vincono regali utili e spiritosi. Sono veramente organizzati bene questi Veterani e lavorano parecchio per questo: il programma è molto vario e accattivante, ti fa venire l’acquolina in bocca e, leggendolo, a fatica riesci a tenere ferme le gambe; si conosce con mesi di anticipo e propone escursioni molto interessanti ma mai troppo difficili; la fatica di camminare c’è, ma non è mai eccessiva, è quella giusta per mantenersi al meglio. Spesso i percorsi sono diversi per soddisfare anche le esigenze di chi non può sforzarsi molto. Le locandine sono molto precise e ti fanno pregustare il piacere che proverai contemplando certi panorami, ma se il tempo è proibitivo, anche all’ultimo momento, c’è chi, data la grande esperienza, sa trovare sempre un’alternativa valida. A volte addirittura si fanno aprire dei rifugi apposta per noi. La sicurezza è un punto fondamentale, come pure il divertimento che è assicurato. C’è sempre chi in compagnia è spiritoso, ma è anche interessante ascoltare e partecipare ai discorsi che si tengono, perché ognuno porta l’esperienza di una vita passata a fare i lavori più disparati: c’è il medico, il giudice, il bancario, il pasticcere, il militare, l’insegnante, il commerciante, l’operaio… E’ meglio però evitare le discussioni sulla politica, perché può darsi che gli animi si accendano troppo e che qualcuno non riesca a mantenere il giusto distacco. C’è chi viene perché vive solo e vuole stare in compagnia, e chi invece desidera staccare dal solito ambiente familiare o di lavoro oppure spera di dimenticare anche solo per un giorno qualche pena segreta e respirare una boccata di ossigeno. Insomma i Veterani sono un punto di riferimento affidabile, che a volte danno un senso alla vita di routine a cui siamo costretti. Con loro si è sicuri che l’escursione si fa ed è probabile che sia indimenticabile. Comunque non hanno certo bisogno di pubblicità, ma semmai di persone che si mettano a disposizione per collaborare perché tutto riesca al meglio. 61 in libreria in libreria in libreria Michele Chinello - Marco Simionato Rocca Pendice Arrampicate nei Colli Euganei Idea Montagna Edizioni, Teolo 2009 [email protected] di Armando Scandellari 232 pag., form. 15 X 21 cm, con 210 ill. a col., schizzi e piantine € 22,00 62 Con il patrocinio della Sezione di Padova, del Comune di Teolo e del Parco Regionale dei Colli Euganei, dedicata all’indimenticato alpinista e amico Sergio Billoro (“L’importante è fare un bel movimento”), questa terza versione della guida della storica Palestra dell’alpinismo padovano/veneto (e non solo), esce in coincidenza con il centenario della nota scalata di Antonio Berti e dei coniugi Maria e Gino Carugati assieme a Mariano Rossi della Rocca di Pendìce, prima da est. Un evento ed una ricorrenza che verrà spettacolarmente commemorata a Teolo il 16 luglio. È da dire che questa guida (editorialmente raffinata ed accattivante) di Chinello e Simionato segue un percorso multidisciplinare, individuando perfettamente sia le molte correlazioni naturalistiche della morfologia floridamente variegata dei Colli Euganei, sia riproponendo una rilettura critica dell’alpinismo esplorativo, classico, ludico, estetico e didattico che è stato splendidamente espresso da cinque generazioni di alpinisti non sulla sola Rocca, ma anche sulle pareti dei suoi comprimari il Monte Pirio, il Monte Grande, la Busa dell’Oro e via via. Non si può non riconoscere l’amorevole corrispondenza degli AA. tra la tecnica e lo spirito dell’alpinismo nello stendere relazioni, fornire apprezzamenti, dettagli e puntualizzazioni ove occorra, sempre all’interno di una sobria, ma efficace resa letteraria. La ricchezza dei fattori costitutivi dell’ambiente e la suggestione delle linee aperte su queste strutture verticali sono rese dagli AA. come veri e propri “ritratti” di un microuniverso alpestre irrinunciabile per i cercatori di “avventura” (anche oggi, anche oggi!) degli alpinisti patavini. Ottimo il coordinamento editoriale di Francesco Cappellari, che firma anche l’introduzione, mentre le prefazioni sono a cura di Lucio De Franceschi, direttore della Scuola d’alpinismo Piovan, della Presidente del Parco Colli Euganei Chiara Matteazzi e del Sindaco di Teolo Lino Ravazzolo. Emanuele Zorzi Roccia d’autore IV grado vol. 1 Idea Montagna Edizioni, Teolo 2009 [email protected] 264 pag., form. 15 X 21 cm, con 120 ill. a col., 22 schizzi € 22,00 È in uscita, per le Edizioni Idea Montagna, un nuovo volume di arrampicate scelte di media difficoltà in Dolomiti. L’autore, di Monfalcone e appassionato di arrampicata dolomitica, si definisce un villeggiante verticale, non certo un fuoriclasse. Ma ha fin dall’inizio avuto anche la passione di segnare tutto nel suo taccuino, a volte con una precisione maniacale. Fondato nel 2007 il sito www.quartogrado.com che ha riscosso notevole successo e diventato per molti punto di riferimento dove attingere informazioni e relazioni attendibili, si propone ora con un’opera fisica e non virtuale riportando quindi sulla carta il suo grande lavoro informatico. Questo primo volume della collana “Roccia d’autore” contiene 59 relazioni accuratamente compendiate da foto con tracciato della via, scheda tecnica con le informazioni generali, commento e relazione di accesso, salita e discesa. Non mancano, ove possibile, gli schizzi che consentono una facile e veloce interpretazione degli itinerari. L’area presa in considerazione in questo volume riguarda i versanti occidentali e centrali delle Dolomiti con i gruppi di Odle-Puez-Putia, Sassolungo, Sella, Catinaccio, Marmolada e Pale di San Martino. Ogni zona è bene identificata con relazioni riguardanti anche i numerosi punti d’appoggio quali valichi, rifugi e bavacchi. In attesa del secondo volume, previsto per la primavera del prossimo anno e riguardante le Dolomiti Orientali e le Alpi Carniche, godiamoci questa guida completa ed esaustiva che non va a ripercorrere solo arrampicate classiche ma, soprattutto, tende la mano alle vie a volte ingiustamente dimenticate dagli alpinisti. 63 ricordiamo ricordiamo di Raffaello Venturato Primo Stivanello 66 Primo non c’è più, ci ha lasciati dopo breve malattia. Ognuno di noi, quando riceve una notizia drammatica, reagisce in maniera istintiva, quasi meccanica: incredulità, rabbia, senso di frustrazione e di impotenza assoluta. Quando però la notizia drammatica la devi comunicare perché vissuta nel tuo intimo, tutto diventa irrimediabilmente irreale, quasi finto, impossibile. Trent’anni di militanza nel club alpino, prima come accompagnatore di alpinismo giovanile e poi come accompagnatore titolato di escursionismo, hanno segnato una serie infinita di momenti di vera amicizia fra noi accompagnatori e fra quanti, soci del club e non, hanno avuto la fortuna di percorrere i sentieri delle sue escursioni, guidati dalla sua preparazione, esperienza, umani consigli, frutto di una tecnica ma soprattutto: umana, religiosa, morale preparazione alla vita. Ci manchi caro Primo, manca a tutti noi quel modo di fare schivo, quasi timido. Ci sarebbe piaciuto poter continuare a frequentarti e ci sembra incredibile e così irreale dover riconoscere di non poterlo più fare, di non sentire ancora le tue domande durante gli incontri in sede, sempre interessato ai molteplici aspetti della nostra attività. Il destino, o meglio l’ imperscrutabile disegno divino, ha riservato a Primo una conclusione così prematura e per noi così ingiusta, immeritevole e incomprensibile. La morte lascia sempre un senso acuto di sofferenza e cercare di superarlo non significa, secondo il nostro sentimento, in nessun modo dimenticare un caro amico. Speriamo che questo dolore ricordiamo con il tempo si trasformi in un dolce ricordo e ci permetta di far tesoro dei valori dello spirito con cui Primo affrontava la vita. Orgogliosi della sua amicizia e del suo affetto sempre ci rimarranno nel cuore la sua risata, gli scherzi che amava fare e i tanti momenti di allegria nel tempo passato assieme. Sento il dovere di ringraziare, attraverso il Notiziario, tutte le persone che hanno fatto visita a Primo nel doloroso periodo della malattia e tutte quelle che hanno voluto essere presenti alla celebrazione del Rito funebre. Lo faccio con questo mezzo perché se cercassi di raggiungere singolarmente ogni Amico, rischierei di lasciar fuori qualcuno. Ho usato la parola ‘’Amico’’ con la lettera maiuscola perché durante le tante visite a Primo nel pur breve periodo della malattia, ho fatto esperienza di come l’amicizia sia un dono di Dio, una sponda che argina la corrente amara dei giorni del dolore. L’ho colto dalle visite assidue, dai gesti, dalla profondità, a volte, dei silenzi. La gioia che gli portavate lo aiutava a sopportare la sofferenza di vedersi impotente in un letto di ospedale. Primo ha cercato di accogliere sempre tutti con serenità, senza far mai pesare il suo stato di sofferenza, le sue paure per un futuro che non riusciva più a intravedere. Solo negli ultimi giorni, quando ormai le forze lo avevano completamente abbandonato e le parole faticavano ad uscire dalla sua bocca, mi aveva chiesto di salutare per lui le persone perché ‘’non poteva più regalare un sorriso’’. Per tutta la malattia si era sempre preoccupato che chi andava via da lui se ne andasse più contento di come era venuto: “Mi hai portato una ventata di freschezza…”, “Mi hai fatto sentire il profumo della montagna…”, “Sono felice di averti visto…”. Sono alcune delle espressioni con cui voleva ringraziare chi con affetto gli faceva visita. Come non ringraziare tutti quelli che hanno fatto parte intimamente della sua storia e della sua vita e che gli hanno donato dei momenti per lui così importanti ? Ricordo anche qualche incontro commovente in cui Primo e l’amico non sono riusciti a trattenere le lacrime. E ricordo con angosciosa tenerezza il Segno di Croce tracciato sulla fronte di un amico pochi giorni prima della sua entrata nell’assemblea dei Santi, come a salutare in lui, nel nome dell’Amico più alto, Cristo, per l’ultima volta tutti gli altri Amici del CAI. Era stato un incontro silenzioso perché ormai era diventato troppo faticoso per lui anche soltanto parlare. Con quel gesto aveva voluto dirgli “Conto su di te, continuate con amore quello che io non potrò più fare. State uniti, portate avanti le nostre attività, fate amare attraverso di esse il Creato ed il Suo Creatore”. 67 ricordiamo Per lui la montagna era l’espressione più bella di Dio, quella che più di tutto faceva avvertire che solo un Essere Onnipotente poteva aver creato tanta bellezza. Grazie a tutti quelli che hanno voluto essere presenti alla Celebrazione Eucaristica Esequiale e raccogliere il suo testamento spirituale presentato attraverso le preghiere, l’omelia del parroco e gli interventi di un altro sacerdote e di un amico. Grazie al gruppo degli Istruttori di Escursionismo a cui Primo era legato in modo particolare. Per i corsi Primo era disposto a tutto, qualsiasi sacrificio gli costasse. Sentiva di poter dare, trasmettere ‘amore e passione’ per la montagna e con essi il gusto per la vita e per le cose belle. Era un’occasione per interessere rapporti umani, che sono stati l’essenza della vita di Primo. Grazie perché con la divisa vi siete resi più visibili. Grazie per l’accoglienza che gli avete riservato all’arrivo sul sagrato della chiesa, per averlo accompagnato davanti all’altare, per averlo fatto sentire ai nostri occhi ‘’vivo’’. Grazie ai componenti del Coro e al loro maestro. Grazie per avergli regalato il canto ‘Signore delle Cime’, un canto che Primo amava tantissimo e che ha dato avvio in modo solenne, caloroso, commovente, al Rito di commiato. Grazie per tutti gli altri canti che hanno aiutato il raccoglimento e ad elevare le nostre anime al Signore. Grazie ancora a tutti per avermi dato testimonianza di una vera fraternità, quella fraterna amicizia che sa dare valore all’Associazione del Club Alpino Italiano. Ho voluto ringraziare ricordando gli ultimi momenti della vita di Primo, ho voluto condividerli perché dentro il cuore di tutti gli Associati zampilli, come Primo ci ha insegnato, sempre fresca e cristallina la fontana della gioia, dell’amore per la vita e per il prossimo. Oriella Mason Stivanello 68 ricordiamo Lo scrivo o non lo scrivo? Tributo a Tony Guerra “Chi era sto Tony?”sarà la domanda ovvia. Uno come tanti, uno che amava la montagna a dismisura sin da quando era giovane; parecchi anni hanno fruttato tanti bei bollini colorati e un’aquila d’oro, tanta esperienza e conoscenza al limite del pensabile. Ti conoscevano in pochi alla sede padovana perché per anni hai abitato in giro con la fortuna per te di scoprire le montagne dell’ Ovest e poi anche all’Est, le Alpi friulane. Tanta Montagna. Sempre. D’estate e d’inverno, non c’erano periodi di pausa; una tua passione giovanile che hai sempre coltivato, fino a che ce l’hai fatta andare in disgrazia e per anni non ci sono andata…e poi…vedi come va il mondo….mi hai trasmesso il virus in modo repentino e violento. Tutti i racconti più interessanti e assurdi, purtroppo, me li facevi solo ultimamente: da Baroni che ti ha disegnato il letto, agli incontri con Gianese, alla folle caccia al gallo cedrone….. come potrò dimenticare l’arredamento del Lagazuoi (anche se non l’ho mai visto!); tutti i rifugi, le altitudini a memoria, le dritte…Mi hai straviziato con la tua onniscienza: non so quasi neanche leggere una cartina, né tanto meno ideare un itinerario, per forza! Facevi tutto tu…e bene e di più e con le varianti da scegliere... E cosa non c’era nello zaino?! altro che Eta Beta, lui non lo aveva il siero antivipera! Ora. Chi mi indicherà tutti i nomi delle vette? Chi mi dirà di andare più piano sciando? Chi mi dirà di arrampicare con prudenza? Tu, che non arrampicavi, ma, non si sa perché, ti eri costruito una staffetta! l’ho preso come un segno della Sorte: mi iscriverò di sicuro al corso di artificiale. Caro Tony, mi sei scappato così, senza logica, e non ho fatto in tempo a capire; tutto troppo in fretta, troppo assurdo; avevi ancora tanto da insegnarmi e io non imparerò mai i nomi di tutte le cime. In ogni gita ai monti, in ogni arrampicata, mi dovrò accontentare di avere una tua cosa e penserò che il tuo spirito fedele mi accompagnerà. Felice di averlo scritto, si, sicuro, te lo meritavi certamente. Grazie Annina. Tua figlia Marta 69