Notiziario CAI n. 2 Estate 2009. Semestrale. Poste Italiane Spa. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DR PD
IL NOTIZIARIO
del C.A.I. Padova
2 • 2009
CLUB ALPINO ITALIANO
Sezione di Padova
sommario
sommario
Giovedì 16 luglio 2009 ore 21,00
Piazzetta Tito Livio - Teolo
Il Club Alpino Italiano
sezione di Padova
presenta
Comune di Teolo
I MATI DE LE CORDE
Club Alpino Italiano
Immagini luci parole e gesti per cent’anni di alpinismo a Rocca Pendice
(via Carugati - 1909)
Interpretazione:
Gabriele Fanti, recitazione
Abracalam, danza
A seguire salita in notturna della via originale
da parte degli istruttori del CAI
CLUBALPINOITALIANO
SEZIONE DI PADOVA
2 • 2009
I
M
A
T
E
D
I
R
D
O
E
C
L
E
4• Dalla Sede
Consiglio Direttivo Anno 2009
5• Cronache
... sorgono isolati come scogli nel mare di Elena Turchetti
... da quanti anni... di Francesco Cappellari
La rassegna in rassegna di Francesco Cappellari
Outdoordays 2009 di Giuliano Bressan
14• Dialoghi
È inutile guardare “massa in alto”, o “massa in basso”: guarda intorno
a te a dove mettere le mani e i piedi di Massimo Galiazzo
25• La nostra storia
La nascita della Sezione C.A.I. di Padova di Dante Colli
Gino Carugati & C. di Leri Zilio
Toni e Sergio due vite insieme. di Sergio Carpesio
A Sergio di Elena Billoro
36• Diario Alpino
BMC International Winter Climbing 2009 di Leri Zilio
Polvere di carbone di Francesco Cappellari
Ciaspolata al Rifugio Altissimo
50• Itinerari Alpini
Traversata del Monte Rudo di Marco Di Tommaso
52• Scuola di Alpinismo
1° Corso di Perfezionamento Arrampicata Artificiale
di Giuliano Bressan
54• Veterani
Veterani in Argentina di Fiorenza Miotto
Un grande ricordo di Maurizio Guglielmi
Mens sana in corpore sano di Gabriella Rossignoli
62• In libreria
66• Ricordiamo
Primo Stivanello
Lo scrivo o non lo scrivo? Tributo a Tony Guerra
SEMESTRALE
SEGRETERIA REDAZIONALE c/o Sezione CAI
35121 Padova - Gall. S. Bernardino, 5/10
Tel. 049 8750842 - www.caipadova.it - [email protected]
Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DR PD
Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 401 del 5.5.06
DIRETTORE RESPONSABILE: Giovanni Piva
VICE-DIRETTORE: Lucio De Franceschi
COMITATO DI REDAZIONE: Francesco Cappellari, Leri Zilio
IMPAGINAZIONE GRAFICA e STAMPA: Officina Creativa
IN COPERTINA: la parete est di Rocca Pendice con il tracciato originale della via
Carugati del 1909 (foto Marco Simionato)
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dalladalla
sede
sede
Consiglio Direttivo
Anno 2009
Presidente
Armando Ragana
Vice Presidente
Ferro Oddo
Segretario
Luigina Sartorati
Tesoriere
Angelo Soravia
Consiglieri
Baliello Giampaolo
Baratella Valerio
Beriotto Renato
Bernardin Federico
Cappellari Francesco
De Franceschi Lucio
Edifizi Stefano
Feltrin Antonio
Magro Paolo
Montecchio Gianni
Tognon Tonino
Tosato Antonio
Venturato Raffaello
Zecchini Giorgio
Revisore Dei Conti
Bortolami Federico, Luzzato Valeria, Munari G.Franco,
Delegati
Ragana Armando Presidente
Carrari Luciano, Fantin Stefano, Mastellaro Antonio,
Sartorati Luigina, Tosato Antonio, Zecchini Giorgio
Importante
La scadenza per la presentazione degli articoli da inserire
nel prossimo Notiziario è il 20 settembre 2009.
Onde evitare spiacevoli equivoci il materiale deve essere
depositato presso la sezione nell’apposita cartellina preferibilmente su CD accompagnato da una stampa.
Si prega di fornire testi in “word” e foto a parte.
Si può anche spedire via mail all’indirizzo: [email protected]
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cronache
cronache
Celebrati i 100 anni
di Rocca Pendice
Ha registrato grande successo di pubblico la serata di
presentazione della nuova guida “Rocca Pendice - arrampicate nei Colli Euganei” di Michele Chinello e Marco Simionato avvenuta il 18 giugno scorso in Sala Bazzi nel
Comune di Teolo.
Il ritrovo, organizzato dall’Associazione Idea Montagna,
ha avuto il patrocinio, oltre della nostra sezione, anche del
Comune di Teolo e del Parco Regionale dei Colli Euganei.
L’occasione era certo la presentazione
del volume ma l’idea degli organizzatori è
stata quella di celebrare la montagna dei
Padovani, la parete dove sono nate generazioni di alpinisti nostrani.
Come possiamo leggere nelle prossime
pagine di questo Notiziario Rocca Pendice,
con la sua prima salita compiuta da Carugati e C., compie 100 anni.
Belli gli interventi del Sindaco di Teolo prima, che ha decantato la bellezza dei Colli
portati a simbolo di un immenso patrimonio naturale della Provincia di Padova e
del Vice Presidente del Parco Colli Gianni
Biasetto poi, che ha rimarcato lo stretto
rapporto tra il Parco ed il Cai Padova per la
fruizione dell’area.
Sono seguiti gli interventi del Presidente Armando Ragana, del Direttore della
Scuola F. Piovan Lucio De Franceschi e
della Guida Alpina Davide Crescenzio, tutti
interventi con un denominatore comune:
l’amore per Rocca Pendice, per quello che
ha rappresentato e rappresenta ancora
oggi.
È seguita una magnifica proiezione fotografica sapientemente montata dall’amico
Maurizio Piacentin assieme a Michele Chinello. Con musica e belle immagini si sono percorsi la
storia e l’arrampicata di tutti i settori dei Colli Euganei,
dalla mitica parete est alle più piccole pareti del Pirio, della Busa dell’Oro e del Sasso delle Eriche.
Nella seconda parte i due autori, intervistati da Francesco
Cappellari, hanno commentato il lavoro appena compiuto,
sicuramente uno dei più completi e significativi nella storia delle pubblicazioni sui Colli.
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cronache
cronache
dei Colli Euganei e ponendo termine all’aggressione nei
confronti del territorio. Infatti il Parco Colli fu istituito con
legge regionale nell’ottobre del 1989, avvenimento di
cui ricorre quest’anno il ventennale. Si tratta del primo
parco del Veneto e di una tappa sicuramente importante
per il nostro territorio e che ha portato, nel 1998,
all’approvazione del Piano Ambientale. Un Piano che ha
posto vincoli per tutta l’area e limiti allo sfruttamento,
indirizzando la nuova politica di sviluppo locale.
Il processo che ha portato alla creazione dell’ente Parco
Colli è passato attraverso lunghi anni di sensibilizzazione
degli abitanti e di dialogo con chi traeva profitto dalla
zona, attraverso scontri e dibattiti che hanno tracciato la
storia locale del secolo scorso, nel tentativo di comporre
tutte le divergenze e gli interessi.
...sorgono isolati
come scogli nel mare
di Elena Turchetti
Citazione da John Strange, geologo, 1770
John A. Cozens, Olmo maritato
alla Vite, Paesaggio Colli Euganei,
dipinto su acquerello nel ‘700
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I Colli Euganei sono una vasta area che comprende bellezze
storiche, paesaggistiche e naturali. Ci hanno tramandato
nei secoli tracce di vita già dall’epoca preistorica, sono
stati descritti da poeti e letterati, studiati da geologi, sono
custodi di un affascinante patrimonio di flora e fauna.
Gli Euganei sono parte del nostro paesaggio quotidiano e
per chi li vede da lontano sembrano affiorare come isole
perdute nel mare della pianura, spesso avvolti da una
sottile nebbia che li rende ancora più distanti dal mondo
circostante.
Queste strane isole che spuntano improvvise sulla linea
dell’orizzonte, solo nel secolo scorso, furono anche zona
di disboscamento, di cave, di degrado di importanti
monumenti come Praglia, La Rocca di Monselice, la casa
del Petrarca. I Colli subirono abusi edilizi, la diffusione
delle antenne, l’aggressione delle auto.
Le idee di salvaguardia e di protezione ambientale,
concetti ancora sconosciuti all’inizio del ‘900, presero
piede solamente dopo i due conflitti mondiali, portando
lentamente alla costituzione dell’area protetta della zona
La sezione padovana del CAI, fondata nel 1908, ha
contribuito alla sensibilizzazione ed alla conoscenza del
territorio, sia con imprese epiche come l’apertura della via
Carugati sulla parete est di Rocca Pendice (avventura di
cui ricorre quest’anno il centenario), che con le ascensioni
al Pirio, ma soprattutto con le escursioni organizzate lungo
i sentieri della zona. Nel 1913, infatti, il CAI comincia ad
organizzare le colazioni sociali agli Euganei, gite in cui
si raggiungevano i Colli in tram per poi proseguire con
un’escursione o un’arrampicata a Rocca Pendice. Nella
primavera del 1914 il CAI accompagna, utilizzando il
tram, diverse centinaia di studenti di Padova sul Venda,
passando per Rocca Pendice. Questi, assieme alle iniziative
del Touring Club, sono i primi tentativi di sensibilizzazione
alla conoscenza dell’ambiente collinare in un’epoca in
cui ancora non si parlava di tutela ambientale, ma in
cui si intuivano già le problematiche che un eccessivo
sfruttamento dell’area poteva portare.
Oggi i Colli sono percorsi da una fitta rete di sentieri
frequentati da varie associazioni e da escursionisti. Sono
presenti varie sedi museali in cui poter riscoprire la storia
locale, le importanti vicende geologiche ed ammirare la
fauna. Molte sono le aziende agricole aperte al pubblico
dove poter conoscere le tradizioni e degustare i prodotti
locali.
Vari manuali hanno descritto nel tempo la rete dei sentieri,
dalla guida del Callegari edita nel 1931, alla guida del CAI
del 1963, al lavoro di Aldo Pettenella, per citarne solo
alcuni. Sono circa 200 i vari sentieri che si intrecciano
nell’area dei Colli. L’ente Parco provvede alla manutenzione
ed alla divulgazione dei 19 sentieri accatastati. Inoltre,
recentemente, le opere di manutenzione sono state prese
in carico direttamente dall’ente Parco e non più affidate
a cooperative esterne, garantendo così un’opera più
puntuale e diretta. Il direttore del Parco Colli, Dott. Modica,
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cronache
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prevede di accatastare presto nuovi sentieri, tra cui il
sentiero del Giubileo. Tutto ciò solo dopo aver ottenuto
il consenso dei proprietari del terreno e provvedendo
alle necessarie opere di manutenzione. Attualmente è
già cominciato il lavoro di rifacimento della segnaletica
sui sentieri accatastati, sono stati sostituiti i cartelli in
legno le cui indicazioni erano troppo spesso incerte e
subivano manomissioni. La nuova segnaletica si comporrà
di un solo cartello in legno ad indicazione dell’imbocco
del sentiero e di segni in vernice rosso-bianco-rosso con
numerazione, come in uso in ambiente alpino. Sono stati
già completati in questo senso i sentieri del Monte Fasolo,
del Monte Cecilia, del Monte Rosso ed il “Lorenzoni” sul
Monte Venda. I lavori proseguiranno dando la preferenza
ai sentieri accatastati ed a quelli maggiormente utilizzati.
Altri progetti in corso prevedono la realizzazione di un
sentiero geologico e di uno archeologico. Sarà segnalato
inoltre un sentiero per appassionati della mountain bike
ed un sentiero equestre. Le attuali guide tascabili dei
sentieri saranno stampate e divulgate anche in inglese,
francese e tedesco, favorendone la diffusione tra i turisti
stranieri. Sarà inoltre possibile scaricare i tracciati dei
sentieri con GPS.
Un nodo ancora da risolvere resta la massiccia affluenza
sui Colli da parte di escursionisti durante i fine settimana,
soprattutto primaverili, che comporta eccessivo traffico,
aree di sosta affollate e abbandono di rifiuti. Al momento
si è provveduto ad affidare ad una cooperativa l’incarico
della pulizia delle aree maggiormente frequentate. Per
affrontare il problema in modo approfondito sarà a breve
inaugurato un tavolo di studio sulla sostenibilità del
turismo in area Parco. Lo scopo sarà quello di individuare
soluzioni ed alternative al sovraffollamento soprattutto
stimolando la frequentazione del Parco durante tutto
l’arco dell’anno e durante la
settimana. Il risultato della
discussione confluirà in una
relazione che sarà esposta ad
ottobre durante il convegno
organizzato in occasione
del ventennale. Sarà infatti
questa
l’occasione
per
celebrare i primi venti anni
di attività del Parco Colli, si
partirà dallo studio dello stato
di fatto attuale per progettare
il futuro attraverso nuove
proposte e nuovi stimoli
per la tutela dell’ambiente
e la valorizzazione del
paesaggio.
... da quanti anni...
Sono sincero, da molti anni sono iscritto al Cai Padova
ma non so, e non posso sapere, da quanti anni la nostra
Sezione compie il medesimo rito, organizza l’evento forse
più tradizionale del Sodalizio.
Trovarsi a Rocca Pendice per l’inizio dei corsi per molti
padovani è diventato una prassi, un appuntamento al
quale non mancare assolutamente.
Ricordo da bambino e poi da ragazzo quando con mio
padre non si poteva disertare anche se, molte volte, la
pioggia sembrava anch’essa voler
sempre essere presente.
Negli anni che furono ci si trovava alla
base della parete Est. Poi, per esigenze
motorie di alcuni anziani, ci si fermava
alla Forcella, più recentemente ci si
dà appuntamento alla partenza del
sentiero che porta alle pareti di Rocca
Pendice.
Anche quest’anno il 10 maggio
la nebbia ed il fresco non hanno
fermato la Messa celebrata, come
cinaquant’anni fa, da Padre Ciman.
E poi, anche quest’anno, con la
partecipazione del Coro, ci si è portati
all’adiacente cimitero per ricordare
i nostri caduti in montagna, primo
fra tutti Antonio Bettella, mitica
figura
dell’alpinismo
padovano,
caduto proprio sulla parete est di
Rocca Pendice nel 1944. Sulla sua
tomba vengono appoggiate corde,
moschettoni, scarpe, tutto il materiale
che allievi ed istruttori useranno
durante i corsi. La benedizione delle
corde è sicuramente il momento più
toccante della cerimonia accompagata
dalla canta proprio dedicata a Bettella
“Toni nente a crozar”.
Ci si saluta così, con grandi pacche
sulle spalle e l’augurio per una buona
attività, per un’estate radiosa e piena di soddisfazioni.
Gli istruttori della Scuola di Alpinismo, gli Accompagnatori
di Escursionismo e di Alpinismo Giovanile e tutti i soci
ringraziano: arrampicheranno anche quest’anno sotto lo
sguardo vigile di Antonio Bettella, il mitico scalatore del
Pendice.
di Francesco Cappellari
Teolo con Rocca Pendice e il Monte Venda sullo sfondo
cronache
9
cronache
cronache
di Francesco Cappellari
La rassegna
in rassegna
Silvio “Gnaro” Mondinelli
Francesco Cappellari presenta
Davide Chiesa e Antonio Zavattarelli
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Si è concluso con un buon successo di partecipazione
ed interesse il consueto ciclo di conferenze e proiezioni
organizzato dalla Commissione Culturale della nostra
sezione.
Grandi i nomi che hanno calcato il palco dell’Auditorium
Modigliani, sede oramai da diversi anni delle immancabili
“Serate” dedicate all’alpinismo e alla montagna.
Anche quest’anno il programma ha riservato una buona
dose di Himalaya e 8000. Ben tre infatti gli appuntamenti
dedicati a questo tipo di interpretazione dell’alpinismo,
quello che probabilmente suscita più interesse e curiosità
nel pubblico, complice anche il fatto che le scene e le
immagini che ne scaturiscono sono di quelle che fanno
sognare lo spettatore.
La prima, quella della montagna di Silvio “Gnaro”
Mondinelli ha purtroppo un po’ deluso. Gli astanti si
aspettavano le immagini dei 14 Ottomila da poco conclusi
dal fuoriclasse di Alagna ma, a detta del protagonista, il
film in preparazione non gli era stato consegnato. Chiara
quindi la delusione di gran parte del pubblico che ha così
dovuto digerire un vecchio, anche se simpatico, filmato
che partiva dalla sua infanzia e delle sue origini. Senza
nulla togliere quindi alle capacità alpinistiche di Mondinelli
la serata è stata improntata ad un protagonismo a volte
eccessivo e che non a tutti è piaciuto.
È stata poi la volta, il 23 gennaio, di Davide Chiesa e
Antonio Zavattarelli, due poco conosciuti alpinisti piacentini
che hanno illustrato, con immagini e simpatici commenti,
la loro storia di amicizia e di montagna soprattutto
all’insegna di un gruppo alpino che poco viene valorizzato
quale quello dell’Ortles-Cevedale. Davide Chiesa, vero
protagonista della serata, ha fatto vivere, con scene e
aneddoti, le sue esperienze alpinistiche fatte soprattutto
di ghiaccio e neve. Scrittore di montagna e componente
del GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna) sta per
uscire con il suo primo libro “Montagne da raccontare”
che avrà la presentazione del mitico Kurt Diemberger.
Il 6 febbraio ha visto la sala riempirsi per l’evento clou
dell’anno con la presentazione di due alpinisti tanto forti
quanto umili. Nives Meroi e Romano Benet già erano stati
ospiti della sala Modigliani un po’ di anni fa ma da allora
molto è cambiato, ancora molte sono state le montagne
da loro conquistate. Nives e Romano, seppur con
dolcezza, non hanno nascosto il loro principale obiettivo:
quello della conquista di tutti i 14 Ottomila della terra
continuando con l’etica ferrea che impone il non uso di
ossigeno e di portatori d’alta quota. Tre sono ancora le
montagne che mancano da scalare, il Kanchenjunga, il
Makalu e l’Annapurna, tre bestie nere. Nel momento in
cui scriviamo sappiamo della fallita impresa al Kanch della
scorsa primavera che fa comunque onore soprattutto a
Nives che, a fronte di una crisi fisica del marito, ha deciso,
poco sotto la vetta, essa stessa di rinunciare e di scendere
a valle con lui.
Il video “La lunga notte”, protagonsita della serata
dedicata al mondo speleo, ha suscitato notevole curiosità
raccontando il salvataggio in grotta di uno speleologo
croato che ha movimentato, per oltre cinque interminabili
giorni, gli speleologi di tutta Italia del Corpo Nazionale di
Soccorso Alpino e Speleologico. Tale avventura conclusasi
con lieto fine, è rimbalzata su tutti i telegiornali nazionali
ma, dato che la speleologia non è considerata alla stregua
dell’alpinismo (e lo dimostra il fatto che, come sempre
negli anni passati, il pubblico in sala era molto scarso)
non ha avuto gli stessi strascichi mediatici della terribile
esperienza di Confortola al K2 …. Eh già! Quando non ci
scappa il morto !!!
A presentare il video c’era Andrea Gobetti, scrittore,
realizzatore di altri due video (“L’Uomo di Legno” e
“La strada di Olmolunreing” per la televisione Svizzera
Italiana), curatore per alcuni anni di Roc per la Rivista
della Montagna e collaboratore della Rivista Alp. La sua
figura “schiva” alla notorietà ha fatto risaltare l’esperienza
dell’attività svolta dal Corpo Nazionale di Soccorso Alpino
e Speleologico attraverso le molte domande del pubblico
presente.
Altra serata di cartello, quella del 6 marzo ci ha visti
ammirare e assecondare la voglia di montagna di Marco
Confortola, il reduce del K2. L’esperienza della guida
alpina valtellinese ha toccato i vertici (o il fondo) proprio
in quest’ultima conquista dove dopo la conquista della
“montagna degli italiani” è stato protagonista di una delle
più drammatiche vicende dell’alpinismo himalayano. I
media durante la scorsa estate hanno fatto da grande
cassa di risonanza e quindi la rappresentazione di Marco
era attesissima dal pubblico padovano che bramava
conoscere i particolari della vicenda e delle motivazioni
che lo hanno spinto a certe scelte. Alla fine della serata
però il pubblico si è continuato a chiedere: “Ma cosa è
veramente avvenuto quel giorno e quella notte sul seracco
del K2?”.
L’ultimo appuntamento ha avuto un tono più culturale e
meno spettacolare. Ma il Coro Monti Pallidi di Laives ha
incantato il numeroso pubblico presente rappresentando al
meglio, con canti e parole, le voci di guerra e di montagna
di Mario Rigoni Stern, ricordato scrittore dell’Altopiano e
della guerra, testimonianza di un uomo dai grandi esempi
umani.
Nives Meroi e Romano Benet
11
cronache
di Giuliano Bressan
OutdoorDays 2009
Sulle sponde trentine del Lago di Garda, da venerdì 22
a domenica 24 maggio, si è svolta la seconda edizione
degli OutdoorDays, evento dal formato innovativo che
riunisce momenti di esposizione, test, attività guidate e
competizione, in un grande contenitore internazionale
per le attività all’aria aperta: arrampicata, escursionismo
e nordic walking, mountain-bike e cicloturismo, canoa,
canjoning e volo libero...
L’evento organizzato da Riva del Garda Fierecongressi
Spa, polo fieristico e congressuale del Trentino ha visto
la partecipazione nelle tre intense giornate, tutte dedicate
agli sport open air, di oltre 1000 persone che “sul campo”
sono state protagoniste delle emozioni offerte dalla
splendida natura del Lago di Garda e della Valle del
Sarca.
Più di 10000 invece i visitatori del
Villaggio Outdoor e delle Aree Test - i
“laboratori” che consentivano a tutti
di sperimentare l’outdoor di “Terra”
ad Arco e di “Acqua” alla Spiaggia
Sabbioni di Riva del Garda.
OutdoorDays rappresenta quindi
un momento di incontro non solo
commerciale ma anche tecnico
- culturale, dove gli addetti ai
lavori hanno modo di scambiare
informazioni ed esperienze.
In questa direzione, in collaborazione
con la Commissione Materiali
e Tecniche - rappresentata da
Giuliano Bressan, Giovanni Duca,
Claudio Melchiorri, Carlo Zanantoni
e dal tecnico Sandro Bavaresco -,
la Commissione Centrale Scuole di
Alpinismo Sci Alpinismo e Arrampicata Libera del CAI, la
Commissione Tecnica delle Guide Alpine - rappresentata
da Nicola Tondini -, e la Scuola Nazionale Tecnici del
CNSAS - rappresentata da Oskar Piazza -, sono stati
organizzati, nelle giornate di sabato e domenica, due
momenti di incontro:
cronache
I meeting rivolti a tutti gli
addetti ai lavori - direttori
ed istruttori delle Scuole di
Alpinismo e di Arrampicata
Libera del CAI, Guide
Alpine, Istruttori FASI,
Istruttori UISP - hanno
rappresentato l’occasione
per mettere in comune non
solo studi e esperienze ma
anche prove sul terreno.
Ambedue le giornate si sono
articolate in momenti in sala
e in ambiente. Al mattino,
presso
l’OutdoorVillage,
sono stati presentate le
relazioni della Commissione
Materiali e Tecniche del CAI,
della Commissione Tecnica
della Guide Alpine e della
Scuola Nazionale Tecnici del
CNSAS, a cui sono seguiti
contributi liberi.
Nel pomeriggio, presso
l’Area Test “Terra” ai piedi
della parete dei Colodri
ad Arco, la Commissione
Materiali
e
Tecniche
ha svolto oltre 50 test
confrontando
le
varie
tipologie di sosta ed il loro
comportamento nel caso
di fuoriuscita o rottura di
un ancoraggio; il confronto
fra le varie tipologie di freni
semiautomatici ed il loro corretto impiego ha richiesto
invece oltre 30 prove di assicurazione. Un’opportuna
attrezzatura ha consentito la misurazione dei carichi sui
componenti della catena di assicurazione nelle diverse
situazioni; brevi incontri di valutazione dei risultati hanno
completato le interessanti dimostrazioni.
• SENZA SOSTA SULLE SOSTE - confronti tra le varie
tipologie di sosta in parete
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• I FRENI SEMIAUTOMATICI IN ARRAMPICATA confronto tra varie tipologie di freno semiautomatico e
corrette modalità di uso
13
dialoghi
dialoghi
di Massimo Galiazzo
Inutile guardare “troppo in
alto”, o “troppo in basso”:
guarda intorno a te, a dove
mettere le mani e i piedi
14
Parlare di montagna-terapia porterebbe a parlare dell’annoso problema di quanto si può definire terapia e quanto no, ma anziché tornare sulla teoria con le parole del
convegno “I sentieri di salute- I saperi della montagna
che aiuta” (14-16 novembre 2008) vorrei, questa volta,
solo raccontare un’esperienza che penso possa rientrare
all’interno di questo ambito, o forse semplicemente della
montagna che cura.
Sto parlando di “Legato ma libero”, un progetto realizzato dall’associazione Equilibero di Padova in collaborazione con il CAI di Montecchio (in particolare nella figura di
Franco Brunello) e di Chioggia (in particolare nella figura
di Domenico Arena) presso la comunità terapeutica per le
tossicodipendenze di Monselice, “S. Francesco”. “Legato
ma libero” è un progetto educativo, che ha ottenuto finanziamenti dalla regione Veneto e ha previsto 12 uscite
di arrampicata ma non solo tra marzo e settembre 2008,
rivolto a 15 ragazzi della comunità tra i 18 e i 38 anni. L’arrampicata diviene strumento non fine di questo corso che
si dota anche di strumenti dell’ambito psico-pedagogico;
anche se, con il patrocinio del CAI di Montecchio e rispettando i requisiti minimi è stato riconosciuta dal Cai equivalente ad un AL1 e A1. Illustrerò in questa prefazione
solo alcuni dati per inquadrare il progetto e l’associazione,
ma lascerei velocemente la parola ad una intervista ad
uno dei protagonisti di questa esperienza. Questo mi obbliga ad un gravoso torto quello di non poter citare ad uno
ad uno i numerosi volontari del Cai di Montecchio, del CAI
di Chioggia e alcuni del CAI di Padova, nonché due guide
alpine delle X-Mountain di Padova che hanno contributo in
modo sostanziale a questo progetto.
Equilibero è un’associazione nata a febbraio del 2008 con
la mission di costruire progetti che si propongono di usare
la montagna come luogo educativo e terapeutico per il
sociale. I suoi soci attuali (Galiazzo Massimo, Chiara Baretta, Massimo Padoan, Roberta Sabbion, Alberto Rainer,
Luca Fellin e Alessandro Balzan) sono tutte persone che
hanno una passione per la montagna anche con funzioni all’interno del Cai e svolgono professioni psicologiche,
educative, operative, psichiatriche nel sociale. Essenziale
per la realizzazione e ideazione del progetto è Roberta
Sabbion che lo ha fortemente voluto e ne ha ottenuto i
finanziamenti e io stesso per l’ideazione e la rete dei contatti del progetto stesso.
dialoghi
Tutti questi nomi mi servivano per dare una cornice a questo dialogo tra me e Paolo M., un ospite ormai al termine
del programma della comunità S. Francesco e quindi di
riportare occasioni per riflettere che la montagna può parlare anche in modo inconsueto.
Monselice,
Comunità S. Francesco
febbraio 2009
Massimo: Partiamo dalla cosa più semplice… “Legato ma
libero” cosa ti dice, cosa ti viene in mente, di tutte le cose
che abbiamo fatto insieme l’anno scorso?
Paolo: Mah … ! Mi viene in mente un’esperienza grandiosa direi … Io non ne sapevo niente della roccia, come
tutti gli altri. E…boh forse all’inizio la versione terapeutica
della cosa non era stata assimilata … nel senso sì, si va ad
arrampicare poi man mano non solo con l’andare avanti
del corso ma anche con l’andare avanti del programma
abbiamo coniugato le due cose.
Massimo: Cioè all’inizio era “usciamo” …”Andiamo a fare
una cosa nuova”?
Paolo: Non era solo un gruppo che esce, ma c’era qualcosa in più, la voglia di imparare: poi ti dirò non in tutti…
come si vede anche adesso non tutti stanno continuando.
Ma comunque un’esperienza sicuramente piacevole e interessante perché si è proposta qua e non so se sia mai
stata proposta altrove. Anche se uno va a fare un corso
di roccia o di arrampicata non saprà mai come quello che
abbiamo fatto noi.
Massimo: No, questo no.
Paolo: Al di là di quello che abbiamo imparato, anche
il legame che c’era tra di noi, che si è creato comunque
uscendo, tra di noi, con noi e voi che comunque… c’è
stata la possibilità di conoscere persone sane, che non
facevano uso di sostanze. Da parte nostra, c’è anche l’interesse di continuare questi rapporti che sono nati con
questa esperienza.
Massimo: Abbiamo fatto 12 uscite, ma qual’è quella che
ti è piaciuta di più? Quel posto che senti che ti ha dato
tanto? Anche per la giornata nel suo complesso, la situazione che si è creata anche tra le persone?
Paolo: Ma di sicuro l’ultima uscita.
Massimo: Quella di due giorni in Moiazza.
Paolo: L’ultimo giorno.
Massimo: Quando hai fatto la via lunga?
Paolo: Sì.
Massimo: Perché?
Paolo: Perché ho fatto una cosa più grande di me, cioè
non mi sarei mai pensato capace di fare una cosa del
genere.
16
dialoghi
Massimo: Cioè una via di roccia lunga a più tiri, per te
è una cosa…
Paolo: Per carità, se io penso ad un anno fa che non ne
sapevo niente. L’unica cosa che sapevo fare era quella di
farmi. Pensare di aver fatto 400 metri di dislivello su, su
e sostare su…
Massimo: su una cengia?
Paolo: È stato scioccante come esperienza. Ma tutto!…
cioè il legame che si è creato sulla via con … tra di noi. Poi
con te un po’ meno, perché sai io ed I. eravamo molto
più a contatto. Tu come noi arrivavamo, tu partivi. Perciò
tra me ed I. si è creato, c’era già un legame però in via,
finché scali … Ti ricordi il primo tiro?
Massimo: Sì.
Paolo: Avevamo una paura da matti.
Massimo: Perché la via andava in traverso… e se pendoli?
Paolo: …e poi avevamo altri 400 metri da fare sopra la
testa.
Massimo: Eravamo solo all’inizio.
Paolo: …e invece sai poi è passato.
Massimo: che cosa vi dicevate in cengia?
Paolo: ma ti dirò… il primo tiro ci siamo fermati in cengia
e la paura era già tantissima da parte mia. “Oh I., Io mi
sono cagato addosso”. E lui mi fa: “Anche io”. E da I. sentirsi dire una cosa del genere!
Massimo: Effettivamente prima che lui te lo dica…
Paolo: Boh mi sono fatto forza, ci siamo fatti forza. Poi
abbiamo riso e scherzato un po’ su sta cosa. Eh via …È
passato da solo.
Massimo: E poi alla fine a me ha colpito una cosa quel
giorno là, quando siamo arrivati alla cengia finale e mancavano due tiri alla fine e non riuscivamo ad uscirne, sentirmi dire da I. “va bene anche così”; sono rimasto molto
colpito perché lui deve sempre finire, per I. è strano. Poi
voi siete scesi per la ferrata. Comunque anche a me è
piaciuta molto quella giornata. Anch’io mi sono sempre
chiesto quando faccio una via come è possibile che saliamo su cose così grandi.
Paolo: Sì perché sai Massimo, sono cose che vedi in TV,
oppure quando vai dai piccolo con i genitori vedi questi
omini blu, rossi verdi attaccati alle montagne. Ti sembra
impossibile : i s’è matti
Massimo: Però quando ci sei dentro?
Paolo: E poi ero io uno di quegli omini verdi, blu… attaccati alla roccia e magari passava qualcuno laggiù.
Massimo: E delle serate ce n’è qualcuna che ti è piaciuta?
Paolo: Sono stato affascinato tantissimo da Pierino Dal
Prà … Mi dava qualcosa a pelle, poi sentire quello che
ha fatto, come viveva la montagna, non gli interessava
l’aspetto sportivo e poi sentire quello che sa fare...
17
dialoghi
Massimo: E di Maurizio Castellan …?
Paolo: L’ho sentito molto più vicino a me con il fatto del
suo passato legato alla tossicodipendenza. Poi Mino ci
ha scherzato anche un po’ su: “ Sì adesso che non venite
fuori che la comunità non serve più a nulla e che basta il
tai chi per smettere di farvi le pere”. Sì, comunque è stato
bellissimo, come si è posto a noi.
Ma anche quella serata che abbiamo fatto lì al Moiazza.
Massimo: Con Spanio ? Perché?
Paolo: L’atmosfera che c’era mi ha colpito. Io che vengo
dalla provincia di Venezia, sono affascinato dall’acqua e
dal mare…
Massimo: Sì perché lui ci ha parlato in modo poetico di
questo viaggio dal mare alla montagna.
Paolo: La montagna non la conosco… sto iniziando con
questo corso. Lui mi ha affascinato come ha proposto
questa cosa e poi l’atmosfera che c’era: siamo usciti dalla
comunità, abbiamo dormito fuori, eravamo tutti insieme,
abbiamo dormito sui sacchi a pelo. Poi per tutte le uscite
ero io che organizzavo il cibo, il bere…
Massimo: Forse sarebbe stato bello farne altre di uscite
lunghe.
Paolo: Certo ma è stato tanto per noi e bisogna sapersi
accontentare.
Massimo: In effetti sono 12 uscite sparse tra marzo e
settembre… Ma di tutte le attività che abbiamo fatto insieme quale ti ha lasciato qualcosa? Nel senso che ti è
servita anche nel tuo percorso in comunità… Insomma
quale hai detto questa mi interessava?… Era legato alla
sicurezza nell’uso dei nodi e delle manovre, oppure a Caruso e al metodo di arrampicata, oppure a Ilgner sulle
paure o non paure in arrampicata, oppure quando all’inizio siamo stati in palestra a giocare ad arrampicare invece
che essere fuori. Qual’è la cosa che ti ha detto di più? Se
c’è stata?!
Paolo: Ma, ti dirò, vedevo le spiegazioni da un punto di
vista teorico, tecnico perciò si limitava a quello.
Massimo: Quindi mi stai dicendo che hai imparato delle
tecniche e non ti è capitato di chiederti se questo c’entra
qualcosa con la tua vita, se l’arrampicata parlava con te?
Paolo: Sì tante cose, adesso che ci penso, sì: per esempio sul fatto che ci avete insegnato a guardare a tre metri
da noi, attorno a te nel cercare le prese e non guardare
troppo in alto e non guardare in basso perché se no ti
vengono le vertigini… è anche quello che ho imparato a
fare qui in comunità. Se mi guardo indietro, al mio passato, le catastrofi che ho fatto mi vengono le vertigini. Se
guardo troppo avanti, adesso che sono alla fine del programma, mi vengono le vertigini. Se guardo attorno a me,
agli obiettivi di ogni giorno posso costruire qualcosa.
Massimo: Effettivamente questi sono degli ingredienti
dell’arrampicata.
18
dialoghi
Paolo: È inutile guardare “massa in alto”, Massimo, o
“massa in basso”: guarda intorno a te e dove mettere le
mani e i piedi.
Un’altra cosa è la fiducia: una cosa è se tu vai ad arrampicare con uno che ti fa sicura di cui non ti fidi rispetto a
uno di cui ti fidi. Se andassi ad arrampicare con P. sarei
terrorizzato. Non ha attenzione per lui, pensa per un altro. Se invece vado con I., sarei tranquillissimo. Sarà che
hanno una diversa età, P. ha 19 anni, non è cattiveria ma
quando ti sei fatto male, ti sei fatto male.
Massimo: Parlando invece delle foto, il diario, i video fatti
su ognuno di voi. Ti piacciono, sono servite a qualcosa?
Paolo: Bellissime! Proprio stamattina mi sono guardato
le foto.
Massimo: Le foto le avete fatte voi, ognuno reporter di
un’uscita e sono tantissime, oltre 400.
Paolo: Non ce l’ho fatta, ho visto le 50 che abbiamo selezionato. Le ho fatte vedere a B., sai il viverti queste cose,
raccontarle agli altri. Gli ho detto che forse quest’anno
fanno un altro corso. Anche questa cosa che alcuni di noi,
che hanno già fatto il corso, possano fare da volontari e
insegnare ad altri, a me fa piacere da morire, spererei che
ci fosse quest’altra possibilità. Per mettermi a disposizione
della comunità, per aiutare i ragazzi… Per esempio A., W.
sono come dei miei fratelli.
Massimo: Quindi mi stai dicendo che ti piacerebbe trasmettere queste cose…
Paolo: Sì, perché a me è servita un sacco.
Massimo: Il video che poi è stato proiettato la serata
finale di restituzione. Tra l’altro in gran parte organizzato
da te e con l’aggiunta divertentissima del video “Grazie a
Filippo”, che avete inventato voi. Il video l’hai più rivisto?
Paolo: Sì , ce l’ho a casa, ogni tanto lo riguardo.
Massimo: Il video su ognuno di voi è venuto fuori per
scherzo, non era in programma.
Paolo: Ricordo che Luca veniva con la telecamera ma
non si era detto niente a riguardo.
Massimo: La telecamera doveva servire solo per riguardarsi e migliorare la tecnica di arrampicata.
Paolo: Che poi abbiamo rivisto nell’agriturismo vicino a
Rocca Pendice.
Massimo: Metterci la musica, ognuno la propria colonna
sonora è stata un’idea successiva. I video sono risultati molto belli; frutto di un lungo lavoro di montaggio di
Luca.
… Ma Paolo, perché arrampicare? Si possono fare infinite
cose, ma perché arrampicare? Tu ci stavi provando ad
andare anche dopo il corso, vorresti andare in palestra,
in falesia. Ma perché? Cosa ti spinge? Cos’è che la rende
irrinunciabile per te?
Paolo: Ti dà qualcosa arrampicare! Vedere comunque
che tu con le tue mani e i tuoi piedi riesci ad arrivare chis-
19
dialoghi
20
sà dove. Che ti ripeto per me è una cosa impensabile! O
lo era comunque, ho provato ci son riuscito, ho visto che.
È avvincente questa cosa.
Comunque siamo stati scelti per partecipare a questo corso, per delle caratteristiche legate al nostro passato, in
particolare persone che hanno fatto uso di sostanze eccitanti come la cocaina. Perché dal momento in cui smetti di usare alcune sostanze, hai provato delle emozioni
così forti che niente altro riesce a darti tanto. Neanche
l’arrampicata riesce a darti tanto, ma almeno comporta
adrenalina e comunque è salutare. Ho avuto una grandissima soddisfazione a vedere quello che riesco a fare e poi
comunque ha rafforzato lo spirito di gruppo. Ci ha messi
in competizione ma anche per scherzo…
Massimo: Sfottendosi in modo giocoso…?
Paolo: Sì. Tornando a casa e dicendo guarda che ho
aperto “ Il Pianto” ( = liberato il “ Muro del pianto “) Che
poi si fa per dire, ho azzerato.
Posso farti io delle domande? tu non so, ma voi, quando
vi è stata proposta questa cosa di lavorare con una comunità di tossicodipendenti… soprattutto i più vecchi che
possono avere dei pregiudizi. Come l’hanno vissuta questa cosa? “ ‘ndemo ad arrampicare con dei tossici?”
Massimo: Ti dico, non tutti i volontari so cosa pensano.
So che il CAI di Chioggia e Mimmo vi ha scritto una lettera, ma darti esattamente una risposta non saprei. Quindi
in qualche modo ci tenevano.
Paolo: Sì ma ci siamo conosciuti, ci siamo visti, ma prima? quando un mondo non lo conosci ti fai un film dentro
la testa. Un tossicodipendente è la feccia della società
perché ruba, perché spaccia, perché si fa del male e fa
del male agli altri
Massimo: Per il CAI di Chioggia non so molto su come
risponderti a questa domanda, Franco (del Cai di Montecchio) è una persona che parla poco ma è anche quello
che insieme a me e a Roberta ci ha creduto di più. Penso
che lui si sia concentrato sul corso, come un qualsiasi
altro corso di arrampicata libera del Cai (non a caso siamo
riusciti a qualificarlo come AL1 e A1). Ho la sensazione
che sia molto determinato e quando si mette in testa una
cosa, poi lui va avanti. Però mi ha detto una cosa che
mi ha colpito molto che nella serata finale con i video
si è commosso ed è da tanti anni che non lo faceva. Si
è accorto di quante cose sono cambiate lungo il corso
senza essercene accorti: è una cosa che ho sentito anche
io, Luca e i ragazzi dell’associazione. Noi dell’associazione ci eravamo fatti delle idee su cosa fare insieme: però
non ci siamo accorti quanti aspetti sono cambiati al di là
dell’arrampicare. Solo a rivedere quello che emerso nei
gruppi che facevamo insieme, è emerso di tutto non solo
di arrampicata.
Per quanto mi riguarda, tutto è successo tanto tempo fa:
dialoghi
eravamo al passo Pordoi io e Roberta Sabbion , ci siamo
conosciuti per caso. Io lavoravo nel sociale già da molto.
Da quell’incontro è nato il primo spunto per “Legato ma
libero”.
Paolo: Ma avevi avuto esperienze con tossicodipendenti?
Massimo: Solo sei mesi di servizio civile con il Ceis di Padova, in particolare ad Anguillara Veneta e avevo all’epoca
già tentato un’esperienza simile con un alpinista di Padova (Stefano Rossi), in particolare con la comunità minori.
Ma lì non mi hanno mai dato seguito.
Paolo: La comunità o i ragazzi?
Massimo: La comunità. I ragazzi erano sempre entusiasti: davanti alla parete si esaltano. Di fronte a qualcosa di
bello come la montagna ho sempre sentito le sue risorse,
più che le mie come fonte di aiuto. Il problema è che bisogna crederci anche a livello istituzionale. Un’uscita isolata
non consente alla montagna di parlare e se la comunità
non ci crede non risuonerà mai nella vita quotidiana. La
comunità S. Francesco e Mino in particolare, la Roberta da
fuori hanno fatto in modo che questo avvenisse.
Non sapevamo se “Legato ma libero” poteva funzionare:
anche perché non è solo un corso di arrampicata, è un
misto di competenze e di dispositivi. È la prima volta che
si fa una cosa simile, almeno che io sappia.
Paolo: Ma proprio con dei soggetti così complicati dovevate cominciare?
Massimo: La Roberta ci ha proposto questo, ci ha proposto il problema, io ho scritto il progetto ed eccoci qui:
penso che un po’ abbia funzionato. Io, Chiara, Luca, Alberto e Alessandro lavoravamo nel sociale (in ambiti diversi e alcuni di noi anche da tempo) ma non nell’ambito
delle tossicodipendenze: per cui per noi era un tentativo.
I timori ci hanno accompagnato per tutto lo svolgimento
del progetto.
Paolo: Quali paure?
Massimo: Per esempio, l’arrampicata è un’attività che
comporta rischio anzi dà appuntamento al rischio. E trovo
che questo rischio piace a noi come piace a voi. Che sta
dentro alle cose, come ha detto una volta A.: “nella vita c’è
rischio”, ribadendolo come un elemento difficile da gestire
ma vero e che nessuna sicurezza può spuntare. Ha ragione! È anche quello che rende la vita entusiasmante, ma
allo stesso tempo ci mette in pericolo. Senza quel pericolo
noi non viviamo, un po’ di audacia ci vuole. L’arrampicata
rinnova sempre questo appuntamento ed esporci con voi,
di cui per storia e vostre problematiche non sappiamo
quanto si può contare sulla responsabilità, ci ha aperto
numerosi dubbi. Legarvi ad una corda e farvi andare da
primi e se succede qualcosa? Arrampicare è bello, è vero
che è abitata dal rischio ma deve dare passione non deve
uccidere. Se qualcuno si espone troppo al pericolo non
22
dialoghi
ha capito niente di quello che vogliamo vivere con questo
progetto e mi preoccupa.
Paolo: Lo dovevi mettere in conto.
Massimo: L’avevamo messo in conto così come la necessità di variare la proposta per ognuno di voi, a seconda
del vostro modo di vivere le cose. Sapevamo che le sostanze comportano eccessi ma lo scopo dell’arrampicata
è di visitare l’eccesso per gestirlo, non viverci e caderci
dentro.
Andarlo a trovare, sentire l’energia che ti può dare è inutile negarlo è prezioso. Anche le sostanze, come mi insegnate voi, danno piacere e il piacere è bello. Non si tratta
di negarlo, il problema è la misura.
Sentendo le vostre descrizioni, mi raccontate che l’esperienza delle sostanze è così forte e così intensa che assorbe e spegne qualsiasi altra emozione.
Paolo: Sì, guarda per esempio S., lo vedi che niente lo
appaga di quello che fa perché ancora è molto legato a
quello e non lo abbandona, ne è carcerato. Di sicuro la
roccia e una via non ti danno quello che ti può dare una
pera in termini di piacere, però c’è tutto il contorno. La
pera è negativa, la roccia è salutare. C’è stato lo stare assieme, la soddisfazione di arrivare su, anche la delusione
di non farcela però sai che lì c’è una cosa in sospeso. Io a
Stallavena ho ancora “Sofia” che mi aspetta.
Massimo: La cosa che mi colpisce è che ci sono alcune
cose che possiamo dire assieme. Anch’io quando arrampico, non posso guardare troppo su né troppo giù. Questo
vale per tutti a prescindere delle sostanze.
Paolo: Esatto.
Massimo: Io sono innamorato di quanto le montagne
sono grandi e mi pare impossibile andarci su, però ci sono
due fantasmi che non voglio vedere: i nani che stanno
sotto e dicono “io non ce la farò mai”, i giganti che dicono
“ah ma io ce la faccio comunque”, però tanto non provano. Stare in mezzo è quello che mi piace dell’arrampicata.
Con voi ho sentito che su questo c’era qualcosa che potevamo trovare in comune. Per questo ho creduto in questo
progetto.
Paolo: Oltre a questo, secondo me questo corso ci ha
dato la possibilità di aprire i nostri orizzonti. Ora posso
arrampicare anche dopo il corso: ora posso trovare gente
diversa, “sana”, che per noi è importantissimo specie alla
fine del programma. Perché io al di fuori di qua, a parte i
miei parenti e i miei genitori, le persone che conosco sono
legate al mio vecchio stile di vita. Conoscere gente sana,
non è poco per noi.
Massimo: Era uno degli obiettivi del progetto. Non a caso
sono stati coinvolti due CAI e adesso speriamo sia coinvolto anche quello di Padova. Per vedere altre persone.
Paolo: Per esempio siamo usciti una volta io, T. e I. a
Rocca Pendice e abbiamo conosciuto un tipo che ci ha
23
la nostra
storia
la nostra storia
dialoghi
Chi non avesse ancora provveduto a rinnovare
l’iscrizione al CAI per il 2009 può rivolgersi in Segreteria dal lunedì al venerdì dalle ore 17,30 alle
ore 19,30.
Le quote sono:
Socio Ordinario
€ 47,00
Socio Familiare
€ 25,00
Socio Giovane (nato dal 1992 in poi)€ 13,00
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La Nascita della
Sezione C.A.I. di Padova
Pubblichiamo, di seguito, l’importante contributo offertoci
da Dante Colli, Presidente della Commissione Pubblicazioni del CAI nonché membro del G.I.S.M. Gruppo Italiano
Scrittori di Montagna, che ricostruisce, con dovizia di particolari, i fatti antecedenti alla costituzione della nostra
Sezione.
Da parte della Redazione del Notiziario un particolare ringraziamento all’illustre ospite di queste pagine.
È sempre importante capire
quando tutto è cominciato.
Una meravigliosa costruzione architettonica inizia dalla
prima pietra, un incantevole
affresco murale inizia dalla
prima pennellata e così via
mettendo così davanti ai nostri occhi l’avvio delle tappe
fondamentali di una storia e il
suo logico sviluppo, inserendo
l’evento nei concomitanti avvenimenti e sottolineandone il
loro contributo.
Nell’aria infatti non mancano umori e sollecitazioni nel
1907. Antonio Berti relazionava sulle prime salite senza guida delle pareti Est e Sud del
Bacchettone e Ugo De Amicis
scriveva di tutta una serie di
prime salite italiane, dalla traversata del Campanile di Val
Montanaia alla punta Emma,
compiute con Tita Piaz, quel
“Diavolo” che animava le pagine, non solo alpinistiche dei giornali traversando a corda
alla Guglia De Amicis. Come si sente la primavera nell’aria
quando ci si lascia accarezzare dal vento e cambiano i colori, così tutta la passione alpinistica prorompeva in quelle
giornate di bel tempo dalla cima del Campanile di Fontana
d’Oro e invadeva la pianura veneta sollecitando volontà,
desideri e ardenti inclinazioni.
Poi qualcosa fece scattare la molla giusta avviando una
storia che oggi è densa di ricordi ancora di prima mano.
Per i padovani fu l’Esposizione Turistica Veneta organizzata
dal 19 maggio al 16 giugno 1907 per festeggiare il quinquennio di fondazione della Società Sportiva Padovana
di Dante Colli
lasciato il suo cellulare e ci ha detto che se non abbiamo
nessuno con cui andare, è disponibile.
Comunque alcuni di noi non hanno capito nulla dell’importanza della sicurezza. Ricordo benissimo la mia prima
manovra del pollo, ho controllato mille volte il nodo prima
di appendermi. Gli spericolati come P. no.
Massimo: In molte situazioni difficili le riguardi più volte
per vedere se sono giuste.
Paolo: Vero, lo scegliere ti obbliga a riguardare più volte…
Massimo: Anche in arrampicata, ci sono dei passaggi in
cui ti chiedi se era giusto A o B e poi devi andare avanti lo
stesso. È più evidente nelle vie di roccia con le protezioni
aleatorie. Lo stesso itinerario non è così evidente, lì. Il
fascino in quei casi è la capacità di gestirlo.
Ci interrompiamo qua?!
Ciao Paolo.
Paolo: Ciao Massimo.
La fiera e le giostre
in Prato della Valle
25
la nostra storia
La vecchia fiera di Padova
26
“Pro Touring”. L’iniziativa prevede una Mostra dello Sport,
gare podistiche, ciclistiche, concorsi di fanfara, di fotografia, di cartoline illustrate, ecc. Una delle sezioni dell’Esposizione comprende servizi di segnalazioni, guide alpine;
un’altra i rifugi alpini, mentre fra i reparti della Mostra
dello Sport, uno comprende articoli per alpinisti, materiali
per escursioni e ascensioni. Si dirà che questo appartiene
alla vocazione alpina del Veneto e in specie al carattere
turistico-sportivo della sua gente ma credo di poter dire
che ciò che più coinvolse i padovani fu che la mostra ebbe
sede in Prato della Valle, una vastissima
spianata, un tempo, paludosa, cinta da
un canale ellittico, percorsa da ombrosi
viali alberati, e guardata tutto attorno da
78 statue di cittadini illustri, insegnanti e
allievi dello Studio che mentre si allestiva
il grande padiglione sembravano interrogare nel merito i padovani. Come si poteva non essere sollecitati ad organizzarsi
e ad agire?
Il giorno dell’inaugurazione, domenica 19
maggio, la folla è immensa. Negli stands
della corsia laterale destra si susseguono
le mostre delle Società Alpine Venete e
del “Concorso Fotografico” con stile austero ed essenziale. Sebbene modesta a confronto della
Galleria, riccamente addobbata del Ciclo e dell’Automobile, la Mostra Alpinistica “nella sua semplicità fa rievocare
all’appassionato i bei ricordi della montagna e gli fa rinascere nell’animo più vivo il desiderio di nuove vette e di
nuove vittorie” (Rivista Mensile, 1907, pag. 228).
Da precisare che questa Divisione riguarda tutti gli articoli
personali del turista: vestiti ed arredamenti, articoli per
alpinisti, materiali utili, cassette farmaceutiche, macchine fotografiche, cannocchiali, bussole, barometri, ecc.,
una grande novità per la sua completezza che meriterà la
Medaglia d’Oro della Sede Centrale del C.A.I. assegnata
alle categorie riguardanti l’alpinismo. Il riscontro è molto
alto. Ben quattro Sezioni venete del C.A.I. organizzano un
padiglione che manifesta l’azione promozionale esercitata
dal sodalizio nelle Alpi Venete. La Sezione di Venezia (di
cui Antonio Berti è socio) invia il progetto del Rifugio San
Marco, due tabelle in tricromia con gli altri suoi rifugi, un
trofeo formato da attrezzi di alta montagna. Tutta la parete è costellata di fotografie illustranti gruppi dolomitici,
varie gite sociali... Sul tavolo sono esposti alcuni numeri
della Rivista Mensile e del Bollettino, varie pubblicazioni
uscite in occasione del XXXVI Congresso Alpino, il biglietto d’invito alle gite sociali, gli Statuti e i Regolamenti.
Ci diffondiamo su questi particolari perché se ne ricava
un progetto documentato, un pronunciamento positivo da
sottoporre all’attuazione e alle osservazioni dei visitatori
la nostra storia
che ne testimoniano la ricezione e l’attualità. La Sezione
di Agordo, a sua volta, manda un completo equipaggiamento per alpinista e numerose fotografie della Valle del
Cordevole. La Sezione di Auronzo espone la pianta del
costruendo Rifugio Giralba, una raccolta di minerali, molte
fotografie. La Sezione di Vicenza è presente con alcune
copie della “Carta e Bibliografia geologica della provincia
di Vicenza”, i resoconti della colonia alpina “Umberto I°”
per gli anni 1899 - 1905, varie fotografie della casa della
colonia a Tonezza. La Sezione Universitaria del C.A.I. contribuisce con alcune foto.
Tutto questo chiama direttamente in causa i Padovani,
ma un colpo al cuore decisivo ai frequentatori del Caffè
Pedrocchi, è quell’area vuota intestata con le scritte: “Mostra del Trentino” mentre, più sotto, un telegramma avverte che le casse ferme alla dogana tedesca, aspettano
l’imperiale permesso di libero transito. E molti si chiedono
“Fino a quando?”.
Quasi in risposta a questo interrogativo l’associazione
“Pro Cadore” espone un’interessante mostra di materiali
geologici, quadri con saggi di arborizzazione alpina ma
anche una raccolta di opere e di opuscoli italiani e stranieri relativi alla storia del Cadore, i numeri pubblicati della
rivista “Cadore”, organo dell’associazione, esemplari dei
principali prodotti cadorini, costumi antichi e numerose
fotografie. Fortissimo è quindi il richiamo patriottico che
si aggiunge ed esalta la speranza che l’esempio diffonda
anche a Padova “un po’ più che ora non sia l’amore per le
Alpi, meravigliosa fonte di diletto e di forza”. Seguiranno
diploma e medaglie per tutti distribuiti dalla giuria di cui fa
parte Antonio Berti (già gli si riconosce un’autorevolezza
personale e speciale) coadiuvato dal dott. D. Meneghini e
dal cav. De Giuli.
Il contesto è questo. Una piattaforma che tutto comprende: ragioni e sentimenti che chiamano all’appello i padovani, ma, per la verità, l’impulso finale è dato da alcuni
soci di altre Sezioni del Veneto che risiedono a Padova e
la cui iniziativa è accolta “con viva simpatia”. A fine 1907 si
riuniscono con slancio una settantina di futuri soci provenienti dall’ambiente universitario e liberale, aristocratico e
borghese. Il 26 gennaio 1908 la Sede Centrale del C.A.I.
ratifica con plauso la costituzione della nuova sezione. Il
4 febbraio i novanta associati si riuniscono in Assemblea
generale ed eleggono l’avv. Conte cav. Antonio Cattaneo,
presidente, e il dott. Antonio Berti, vicepresidente.
Cattaneo fu un buon presidente tanto da meritarsi che
gli titolassero la Punta Cattaneo, una cima ben visibile
dal Rifugio Padova, che si leva in forma di cuspide fra la
Cima Both e la Cima di Forcella Montanaia, salita da lui
stesso con Luigi Tarra socio del C.A.A.I. e pittore delicato
e sensibile, il 16 settembre 1910. Cattaneo si farà valere
con l’invernale della Punta di Monte Moro, la traversata di
27
la nostra storia
Cadin di Toro e della Cridola con una prima salita (segnata
sulla R.M., 1911, pag. 54) per versante SE e per una bella
ascensione al Campanile Toro nell’anno di inaugurazione
del Rifugio Padova (1910) da cui il campanile si segnala per quella sagoma ingobbita e appuntita che prevale
come ago della bilancia su tutte le altre.
Di Antonio Berti non è il caso di parlare, essendo figura
troppo nota. Basti sottolineare il grande carisma che possedeva e sottolineare la calorosa empatia e il reciproco
affiatamento che legava tra loro questo irripetibile gruppo
di alpinisti. Armando Scandellari sottolinea questa fase
individuando “due aspetti del dinamismo patavino” che
si regge, scevro di prevenzioni di sorta, sulla politica di
Cattaneo e Berti che “si esplica verso la realizzazione di
progetti di condivisioni che con preveggente fermezza di
analisi, intendono concretizzare ad ampio respiro”. (C.A.I.
Padova Cent’anni sui monti e tra la gente, a cura di Angelo Soravia, 2008). Questi punti sono il coordinamento programmatico tra le Sezioni venete e la costituzione dello
Ski Club Veneto nel 1909, quinto a costituirsi in Italia. Ma
siamo già nella prolifica e feconda storia di una Sezione
che non ha mai interrotto la propria crescita per un intero
secolo con prodiga adesione agli ideali del C.A.I. e che è
stata raccontata in un volume celebrativo. La lezione che
se ne trae è quella della dignità e del decoro dell’alpinismo veneto, della sua ampia e sicura coscienza di sé, di
un riconoscimento e di una estimazione che travalica i
confini nazionali.
di Leri Zilio
Gino Carugati & C.
28
Arguto e cocciuto. Così veniva definito Gino Carugati. E
del resto mai aggettivi furono più appropriati per disegnare la figura di uno scavezzacollo che si intestardì a salire e
vincere l’”inaccessibile” parete est di Rocca Pendice.
Tutto comincia per sfida, quasi per capriccio oserei dire.
Antonio Fogazzaro, sì proprio lui, lo scrittore, che osserva
sornione il giovanotto che racconta entusiasta dell’impresa del Baffelan. Gino gesticola, si sbraccia, mima passaggi
acrobatici, è un torrente in piena tracimando energia ed
entusiasmo.
Seduta lì accanto la moglie Maria lo osserva tranquilla. A
tratti sorride, la mano a tenere quella di lui quando la voce
sale e non è il caso, perché il luogo, il Giardino, esigono
toni soffusi ed il bon-ton impone pacatezza e contegno.
Siamo in Villa “Roi-Fogazzaro” a Montegalda, paese del
vicentino adagiato nella piana tra le costole rocciose degli
Euganei e dei Berici.
L’autore di “Piccolo mondo antico” lascia sfogare il giovanotto e nel mentre un sorriso fugace gli increspa le
la nostra storia
labbra, così, con nonchalance, quasi per caso, lancia il
guanto, infila il classico, antipatico sassolino nella scarpa.
“Ottimo, ottimo signor Carugati, mi complimento, ma
questo Baffelan?! Beh, insomma. Perché poi andare così
lontano? Proprio alle sue spalle ci sono questi colli così
ridenti, e Dio benedica questa terra per il delizioso vino
che ci dona. Ma ridenti e paciosi solo all’apparenza. A
guardare bene, mio caro, ci sono asprezze e verticalità di
non poco conto, e quel Pendice presenta a levante una
lavagna sicuramente insuperabile”.
Ecco, un pomeriggio di autunno caldo ed assolato, una
chiacchierata oziosa, una battuta, uno sberleffo, una puntina di noia e l’ora di cena che non arriva mai.
Gli ingredienti ci sono tutti e la
storia alpinistica degli Euganei
ha inizio.
Passa il lungo, maledettissimo
inverno. Se ne va il 1908, e
non è un anno qualsiasi, perché finalmente anche Padova
ha una sua sezione del C.A.I.
Il 4 febbraio nasce il sodalizio
e tra i fondatori c’è proprio
quell’Antonio Berti che con i
coniugi Carugati ha partecipato all’apertura della prima via
sul Monte Baffelan nelle Piccole Dolomiti vicentine.
Con la primavera il seme piantato da Fogazzaro comincia a
germogliare e Gino non dorme, anzi.
Il 7 marzo, di buon mattino, arranca ed impreca tra i rovi
alla base della parete est di Rocca Pendice. Come per il
Baffelan, e qui si capisce quell’”arguto” affibbiatogli da
Berti, egli comprende che il punto più accessibile della
parete è il camino che sta alla base, quasi al centro della
stessa.
Naturalmente con lui c’è Maria, e sono sue le orecchie
delicate che debbono sorbirsi moccoli ed improperi che
il nostro elargisce a più non posso mentre si inerpica tra
rovi, muschio ed erbe di ogni tipo.
Ma il camino è vinto e così, piantato un bel chiodo, ci
si cala alla base con l’intento di tornare al più presto e
vincere.
La settimana dopo ai due coniugi si sono uniti il solito
Berti e lo studente Mariano Rossi. La giornata non è un
granché. Minaccia pioggia, e tra una casa e l’altra i quattro iniziano ad arrampicare nel primo pomeriggio.
Ma poco importa, sono giovani, hanno entusiasmo da
vendere, e quel diavolo scatenato di Carugati ha già salito
il camino iniziale.
Maria e Gino Carugati sulla cengia del Baffelan, durante la prima
salita, fotografati da Antonio Berti
1908
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la nostra storia
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Toni e Sergio,
due vite insieme
Sono passati rispettivamente 30 e 10 anni dalla scomparsa di Toni Gianese e Sergio Billoro, due tra i più “carismatici” Istruttori che la Scuola di Alpinismo F. Piovan abbia
avuto. Molti di noi hanno avuto la fortuna di conoscerli e
frequentarli, di salire con loro in montagna oppure dilungarsi in appassionate discussioni. Due caratteri diversi ma
ugualmente tesi a infondere a tutti i frequentatori dei corsi della Sezione quella passione genuina per i monti che
li ha accompagnati fino alla loro ultima salita. Mi sembra
doveroso quindi in occasione di questa ricorrenza esprimere un sincero ringraziamento a queste due straordinarie persone per quanto hanno saputo costruire all’interno
della Scuola dando a noi l’occasione di proseguire sulle
loro tracce.
Lucio De Franceschi
“Il tetto rosso del bivacco (1) brucia in fondo al Cadinot
nella luce intensa del giorno…”
Avrei voluto iniziare cosi il diario di quella salita, che però
non scrissi mai.
Rimase nella penna, più per un problema di tempo che
di voglia.
Toni invece, molto più puntuale di me, descrisse quella
ascensione dello Spigolo del Velo, fatta nell’agosto del ’74
assieme a me e a Sergio Billoro, nel suo libro “Il Cimon
della Pala, diario di un alpinista cieco”, con una dovizia di
particolari tali che a rileggerla oggi, a distanza di molti
anni, mi sembra quasi di rivivere tutti i momenti e le forti
emozioni di allora.
Quella salita, più di altre fatte assieme, rappresentò un
momento molto importante.
Non solo perché ci trovavamo ad arrampicare per la prima volta tutti e tre assieme, legati alle stesse corde, e su
una via impegnativa, ma soprattutto perché consacrò per
sempre quella profonda amicizia e stima reciproca nata
sotto il segno della Scuola.
Chi erano Toni e Sergio e quale fu l’importanza della loro
presenza nella Scuola di Alpinismo?
Erano due Istruttori Nazionali di indole forte, schietti e
leali.
Dei due sicuramente più pragmatico Toni e più impulsivo
Sergio.
Toni divenne cieco in pochi anni a causa di una strana
malattia quando era già sposato con Luciana, alias “Cicci”,
come amava chiamarla.
Forte alpinista, aveva già conseguito il titolo di Istruttore
di Sergio Crapesio
Antonio Berti
“Se le difficoltà sono queste saremo in cima prima di
sera”.
Le ultime parole famose, perché la sera, anzi la notte,
arriva veloce, e quello che li aspetta è un duro bivacco,
bagnati ed infreddoliti, perché intanto è sopraggiunta la
pioggia.
Li ha fermati uno strapiombo insuperabile e adesso non
c’è che aspettare l’alba.
Intanto però gli amici hanno allertato i valligiani e così il
mattino dopo nasce la prima sezione padovana del Soccorso Alpino. Capogruppo è Beppe, il contadino che abita
tra i ruderi del vecchio castello di vetta. È lui che guida
altri volonterosi lungo la via della gola e della forcelletta
sud con una lunga traversata tra i cespugli. Conosce quei
luoghi come le sue tasche, ed in men che non si dica i
quattro malcapitati sono tratti in salvo.
I soccorritori non hanno seguito nessun corso particolare
di recupero, ma sono dotati di braccia robuste, e le corde
non mancano.
I “quattro matti” vengono rifocillati, forse vien fatto bere
loro del buon vino caldo, sicuramente li si invita a desistere. La donna poi… Proprio non riescono a capacitarsi. Una
così bella signora conciata come uno spaventapasseri. I
capelli pieni di foglie e pagliuzze, il viso incrostato di fango, le mani tagliuzzate e piene di spine, i vestiti laceri e
sbrindellati. Ma le signore di città non sono sempre belle
ed eleganti?
Il buon senso non alberga nella mente degli alpinisti, ma
la furbizia sì. Così una settimana dopo Carugati e Berti si
calano a corda doppia dalla cima e raggiungono il luogo
del bivacco. Studiano la parete ed individuano il percorso
da seguire.
Finalmente il 28 marzo 1909 si effettua il tentativo decisivo. Questa volta il tempo è ottimo e si è fatta provvista di
chiodi e cunei di legno.
Come al solito Gino è in testa, coadiuvato da Berti che lo
assicura dal basso e gli passa il materiale. Poi segue Maria
che viene aiutata sia dall’alto che da sotto, dove chiude la
cordata il buon Mariano Rossi.
Da una lettera scritta anni dopo da Berti al socio Rinaldi
si evince che la preoccupazione maggiore di Toni non era
tanto raggiungere la vetta ma evitare “di farsi legare e
condurre al manicomio per pazzi”.
Immaginiamo così che la banda dei quattro, appena calcata la cima, abbia raccolto in fretta e furia le corde e gli
zaini e poi si sia data alla fuga a gambe levate. È facile
supporre che il buon Beppe avesse cambiato mestiere. Da
soccorritore si è ora trasformato in infermiere del Nesocomio di via dei Colli, e sulla strada di Teolo è parcheggiata
una carrozzella a più posti guardata da robusti contadini
pronti a caricare i matti per portarli nel luogo a loro più
consono.
la nostra storia
31
la nostra storia
Nazionale per la notevole attività alpinistica svolta.
Toni Gianese mi parlava spesso della sua vita, prima e
dopo la cecità - c’era molta confidenza tra noi - e di come
questa nuova condizione gli avesse permesso di pensare
e di ragionare molto di più su di ogni cosa, problema o decisione da prendere semplicemente perché il fatto di essere cieco non gli “permetteva” distrazioni provenienti dal
mondo esterno che poteva solo immaginare o ricordare.
“Io penso cento volte più di te, zuccone!” - mi diceva
scherzando.
E a pensarci bene non aveva tutti i torti.
Ed è incredibile come solo dal suono della mia voce riuscisse ad immaginarmi e a scoprire un po’ alla volta dentro di sé un viso che non vide mai.
Questa sensibilità, unita alla naturale introspezione che
aveva su di sé e verso gli altri, fu in qualche modo complice e motore di quel particolare attaccamento che egli
ebbe sempre nei confronti della Scuola.
Queste sue doti, unite ad un carattere forte e deciso, gli
permisero di dare sempre a chi glielo chiedeva, dentro e
fuori della Scuola, consigli per scelte giuste e ponderate.
E se la cattiva sorte non avesse un giorno messo il
suo zampino ne sarebbe diventato prima o poi il suo
Direttore.
Scalò assieme a molti amici Istruttori, i “magna sassi”,
32
la nostra storia
come lui ci chiamava, le più belle montagne: il Cimon della Pala, il Cervino, il Monte Bianco, il Monte Rosa, il Sassolungo, lo Spigolo del Sass d’Ortiga, la Cima Pradidali,
la Cima d’Ambiez, lo Spigolo del Velo, tanto per citarne
alcune.
Viaggiò molto, fu in Ladakh e nella catena andina, spesso
assieme a Sergio.
Amava sciare, anche sulle onde del mare.
Non ebbe mai bisogno di un bastone bianco o di un cane
che gli facesse da guida.
Né imparò a suonare il pianoforte.
“Ma tu Sergio - mi disse una sera mentre lo riportavo a
casa non so da dove - pensi davvero che un cieco come
me debba necessariamente saper suonare un pianoforte?!”.
Bloccai la mia Renault 5 color amaranto, scesi dall’auto,
lo feci sedere al mio posto, gli misi il volante in mano e
girammo come pazzi per ore intorno al Prato della Valle.
Per fortuna non ci vide e non ci arrestò nessuno.
Morì nel ’79, in circostanze inspiegabili, cadendo giù dalla
terrazza del Rifugio Boccalatte, sotto le Grandes Jorasses,
che tentava per la terza volta di salire - una volta anche
con me - assieme ad un altro caro amico.
Sergio Billoro, abbiamo detto, un po’ più spigoloso e meno
pragmatico di Toni.
Di certo faceva pochi sconti, ti puntava dritto negli occhi e
capivi subito dove voleva arrivare.
Atleta mezzofondista con una particolare passione per il
basket, approdò all’alpinismo in età matura bruciandone
presto le tappe e scalando le più belle pareti delle Dolomiti.
Partecipò a più di una spedizione extraeuropea, con la
Scuola od organizzate da amici.
Non fu mai un grande sciatore da pista.
Memorabile la sua caduta sulle “gobbe” di Porta Vescovo
durante un aggiornamento di sci alpinismo.
Ricordo ancora le grida del figlio Luigi, terrorizzato, che
mi stava a fianco:
“Papàààà…….assa perdere!!!”.
Preferiva lo sci di fondo e accompagnò Toni in una delle
Marcialonghe di Fiemme e Fassa.
Famosissima la scena di Toni che si ferma per un bisogno
impellente e Sergio che lo sollecita, con i modi che sappiamo, a fare presto.
Arrivarono a Cavalese stremati entrambi, con le lampade
frontali quasi accese, ma entro il tempo massimo, tra un
tripudio generale di folla che li stava aspettando.
Passò nella Scuola in maniera trasversale cercando di capirne sino in fondo gli umori, le aspirazioni, le innovazioni
e i modi diversi di interpretarla di ogni singolo gruppo cha
la costituiva.
Come Direttore gestì con capacità e intelligenza tutte le
33
la nostra storia
risorse disponibili, unificando le tecniche e le didattiche di
insegnamento.
Credette nell’Arrampicata Libera come strumento indispensabile per quel nuovo alpinismo classico/moderno
che stava ormai emergendo.
Trasmise questa sua passione anche al figlio Luigi (avevate qualche dubbio?) che in seguito superò, e di gran
lunga, il buon padre/maestro.
Questo per la verità succede frequentemente, ma sempre
e solo per merito del maestro!
Ideò e persegui con tenacia la costruzione della Struttura
di Arrampicata di via Pelosa che gli venne dedicata dopo
la sua scomparsa con una toccante cerimonia, come pure
la palestra del Pirio.
Formò con la sua tenacia e il suo esempio almeno due
generazioni di Istruttori.
Fu fiero di appartenere alla nostra Scuola che considerava, scherzando ma non troppo con quella sua famosa
battuta… la migliore del mondo!
Fu certamente autoritario, ma generoso con tutti.
Memorabili le sue serate post/corsi, tra vino, canti, salame
e baccalà e bicchieri rotti al “sanflorian”.
Fu in estrema sintesi un vero trascinatore e la sua mancanza, per certi aspetti, si fa ancora sentire. Morì arrampicando sulla Torre di Vallaccia nel ’99 in un drammatico
quanto inspiegabile incidente.
Era fermo in sosta, da secondo di cordata.
Cosa è rimasto di tutto questo?
Cosa è rimasto nella Scuola di Toni e Sergio?
A mio avviso molto poco, rispetto a quello che hanno
dato!
Ma questa è un’altra storia.
“Lucio mi ha chiesto di scrivere qualcosa su Toni e Sergio
con i quali condivisi momenti intensi, talvolta di pura
follia.
L’ho fatto volentieri.
Avrei potuto scrivere di più, molto di più, ma ho scritto
poco perché molto possa ancora rimanere dentro di me.
Nel posto più segreto del mio cuore.”
la nostra storia
A Sergio
Sono passati dieci anni!... Lo so che può sembrare banale ma non mi sembra possibile... certo sento molto la
sua mancanza e forse è per questo che spesso sogno
il suo ritorno, come rientrasse da un lungo viaggio, mi
pervade una felicità così profonda che nel momento in
cui mi sveglio fatico a prendere contatto con la realtà e
mi rimane quella sensazione di stupore nell’averlo rivisto
e riabbracciato.
Quell’abbraccio che non ci siamo scambiati quella mattina
di dieci anni fa, perché era una normalissima arrampicata
con un amico in una bella giornata di sole.
Mio papà torna spesso nei discorsi di famiglia e le mie
bambine mi riempiono di domande perché per loro è un
nonno speciale: chi ha un nonno che arrampica ed è stato
anche istruttore d’alpinismo e ha fatto spedizioni, trekking, ecc?... credo pochi bimbi perciò loro lo vedono come
un mito!!! Forse un po’ lo era realmente, soprattutto per
quei “bociasse”, come li chiamava lui che si avvicinavano
all’arrampicata libera e lo cercavano: “ Sean vieni a fare
due tiri?”.
Quando penso a lui ancora oggi mi sale un senso di sicurezza e protezione che mi ha regalato durante la sua
vita ed era una persona con una grande forza oltre che
morale anche fisica... avevo circa 10 anni e non posso
dimenticare quelle cinque dita stampate sulla mia coscia;
sono rimaste lì come un tatuaggio durante tutta la lezione
di ginnastica artistica! Però non ricordo cosa avessi combinato per meritarmi quello schiaffo.
Sergio aveva dei valori molto profondi, era coerente e cercava il dialogo come forma di confronto... anche se a volte la sua focosità nel portare avanti le sue idee prendeva
il sopravvento e diventava poco gestibile!!!
Io lo ringrazio perché è stato un papà che mi ha dato e lasciato molto... anche se vorrei ancora sentirmi dire “Ciao
bagigia come stai?”
Elena Billoro
Sergio Carpesio
(1) - si tratta del Bivacco del Velo che sorgeva in quel
tempo là ove ora è stato costruito il Rifugio del Velo e che
serviva da punto di appoggio per gli alpinisti che volevano
scalare la Cima della Madonna.
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diariodiario
alpino
alpino
di Leri Zilio
BMC International
Winter Climbing 2009
Dave Amos sul 2° tiro di Oesophagus sul Coire an Lochain nel gruppo
dei Cairngorms. 70 m IV
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Due paia di piccozze ben affilate sono sempre utili. Mordono efficacemente il ghiaccio, e semplificano una condizione di costante vigilanza ed operatività.
È con una di esse che ho metaforicamente “agganciato” la
splendida opportunità offertami dal Club Alpino Accademico Italiano. Una settimana in Scozia come partecipante
al “BMC International Winter Climbing 2009”.
Il caso vuole che mi trovi ad essere l’unico ospite italiano su quaranta partecipanti. Ci sono indiani, giapponesi,
argentini, sudafricani, statunitensi, tutti motivatissimi e
super attrezzati.
Io arrivo entusiasta e felice, ma maledettamente nudo
come mamma mi ha fatto, perché il mio bagaglio si perde
nel ventre polveroso di qualche aereo. Poco importa, perché l’accoglienza degli amici scozzesi è calda e calorosa.
Veniamo alloggiati al “GLENMORELODGE” nei pressi di
INVERNESS. È un centro sportivo polivalente dotato di
camerette a due letti, cucina, mensa, bar, palestra, muro
diario alpino
d’arrampicata, piscina, sala riunioni ed
altro ancora. Cibo e
comfort sono ottimi,
e i bravi Becky Mc
Govern e Nick Colton hanno organizzato per noi prussiane
ascensioni quotidiane
con compagni sempre
diversi.
Ho quindi il mio bel
daffare a seguire gli
affabili accompagnatori scozzesi su e giù
per i “colonair” ed i
pendii ghiacciati del
“BEN NEVIS” e dei
“CAIRGORMS”. Si parte rigorosamente ogni
mattina con qualsiasi
condizione climatica, e poco importa che si cammini quasi
sempre sotto un diluvio universale. L’importante è che ci
si alzi di quota, e che arrivi come una benedizione il tramutarsi dell’acqua in neve. Gli abiti bagnati si ghiacciano
addosso, e così duri e imbalsamati come mummie si armeggia con piccozze e ramponi. Si è quasi sempre avvolti dalla nebbia, immersi in un silenzio spettrale bianco e
ovattato, rotto ogni tanto da richiami e grida nelle lingue
più disparate.
Io sono disperatamente impegnato non
tanto e solo a rimanere appeso a quel poco
ghiaccio che questo
insolitamente
caldo
febbraio ci ha riservato. Le mie scarse
energie sono tutte rivolte alla sopravvivenza linguistica. Brancolo come un folle nella
stanza buia di un “inglese” che padroneggio malissimo, e che
mi vede paria negletto
tra nobili patrizi.
Qui non servono gli attrezzi che mi sono più
consoni. Con la motosega potrei al massimo squartare il confe-
Sul primo tiro del Comb Gully
Buttress sul Ben Nevis. 130 m IV 5
In uscita dal Comb Gully sul
Ben Nevis. 125 m IV 4
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diario alpino
Alessandro Baù su Raeburn’s Gully
al Lochnagar. 200 m II
renziere di turno che
ogni sera ci intrattiene
dopo cena con filmati
e diapositive inerenti la propria attività.
Disdetta vuole che
questo attrezzo rumoroso non possa essere
usato come traduttore. Anche martello e
chiodi sono banditi da
queste lande inospitali. I miei compagni più
fedeli rimangono ad
ammuffire nello zaino,
perché qui si usano
rigorosamente protezioni veloci.
Nuts e friends la fanno
da padroni, e l’etica è
pura e dura.
La lingua mi si scioglie
solamente quando la bagno con dell’ottimo whisky scozzese. Un bicchierino di “Lagavulin” o “Laphroig” mi rende
poliglotta e ciarliero, ed il “torbato” invecchiato di un decennio fa di me il virtuoso del “dry-tooling”.
L’ultima salita la faccio con Desmond Rubens e l’amico
padovano Alessandro Baù che è ad Aberdeen per lavoro.
Finalmente è una bella giornata, e nel gruppo del “LOCHNAGAR” possiamo rilassarci salendo il facile e panoramico
colonair “THE COMB”.
È un Leri un poco brillo ed alticcio quello che dopo una
settimana di “onesto lavoro” lascia il suolo scozzese. Un
ragazzotto avanti con gli anni ammirato e soggiogato da
questi straordinari alpinisti britannici, organizzati e disponibili, entusiasti e puri come ragazzini.
diario alpino
Coire an Lochain – Via The Vent
100 m II III
25 febbraio
Gruppo: Ben Nevis
Ben Nevis – Via Comb Gully Buttress
130 m IV 4
26 febbraio
Ben Nevis – Via The Comb
125 m IV 4
Ben Nevis – Via North Gully
120 m II
28 febbraio
Gruppo: Lochnagar
Lochnagar – Via Raeburn’s Gully
200 m II
Alessandro Baù e Leri Zilio all’uscita
del Raeburn’s Gully al Lochnagar
VIE SALITE
23 febbraio
Gruppo: The Cairncorms
Hell’s Lum Crag –Via Hell’s Lum
150 m II/III
Coire Ant-Sneachda – Via The Runnel
135 m III
24 febbraio
Coire an Lochain – Via Oesophagus
70 m IV
Coire an Lochain – Via Right Branch Y Gully
100 m II
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diario alpino
di Francesco Cappellari
Polvere di Carbone
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Il treno sbuffa polvere di carbone, sale da Durango verso Silverton, e nella pancia trasporta i minatori addetti
all’estrazione dell’oro che qui, nelle Rockies, sta facendo
la ricchezza di pochi proprietari terrieri. Le facce, magre e
smunte, sono quasi tutte nere, non solo per l’unto di terra
e minerali. Sanno di essere sfruttati per pochi dollari alla
settimana ma il padrone bianco li ha minacciati e a loro
non resta che obbedire.
“Scava, spacca di piccone, attento che può crollare tutto”.
In molti sono morti dentro quelle topaie, tutti accomunati
dalla speranza per un futuro migliore.
E il futuro è arrivato. Ora quei buchi sono deserti, all’uscita un cartello indica “Museum” e il treno a carbone che da
Durango sale a Silverton è una giostra che trasporta facce
bionde e sorridenti, volti bonari di un presente sicuro e di
un futuro senza bisogno di speranza.
A noi, uomini
del 21° secolo, girare per
i quartieri rettangolari
di
Silverton,
è
come tornare
indietro di più
di
cent’anni.
Ci
sentiamo
John
Wayne
all’ingresso del
saloon o Clint
Eastwood in difesa della banca. Solo che le nostre armi
non sono le Colt ma due strani arnesi a lama e la nostra
macchina da ripresa è una piccola scatoletta digitale.
L’oste ci serve birra e hamburger conditi da salse piccanti.
Pronuncia il nome del paese in modo incomprensibile e
vani sono i nostri sforzi per insegnargli a “dire come si
scrive”.
L’aria da mid-west è quasi scomparsa in Colorado, molto
è trasformato dalla omogeneizzazione turistica che ricerca qui, come altrove, caratteri ormai spariti e rispolverati
solo per dare un’ambigua illusione.
Ma la campagna no, quella sembra essere ferma e ancorata nel tempo remoto visto nei film.
Telluride, prima meta del nostro viaggio, ha conservato
poco e si è trasformata tanto. Vive all’ombra degli impianti
da sci che ne fanno uno dei poli di turismo invernale tra i
maggiori dello stato.
La banca di Silverton
A destra Bridalveil Falls
diario alpino
Ames Ice Hose
Giovanni Cesare su
Choppo’s Chimney
Roberta De Lorenzo
su Stairway to Heaven
e Barry Bona su Seventh Tentacle
Naturalmente non siamo venuti qui per lo sci alpino, anzi
in gran parte disdegnamo questo tipo di approccio alla
montagna. Telluride per noi si può tradurre in due nomi
tanto difficili da pronunciare quanto mitici: Bridalveil Falls
e Ames Ice Hose.
“Bridalveil prima di tutto è stato un segnalibro, poi è diventato sogno e quindi fantastica avventura”. Questo il
commento di Barry Bona, mio compagno di cordata, in
punta alla mitica cascata. “Ho un libro a casa ‘Scalare su
ghiaccio’ di Yvon Chouinnard dove, bianco su nero, Bridelveil è rappresentata come uno dei primi gradi 6 aperti al
mondo e quindi pietra miliare dell’arrampicata su ghiaccio
e per me essere qui ora con l’amico Francesco è il raggiungimento del grande sogno”. Il giovane Giacomo qui
con noi non sta nella pelle anche se non si rende veramente conto del posto in cui si trova.
Sempre noi tre su Ames contiamo i tiri. Alla prima sosta,
appesi a due spit, fatichiamo a cambiarci di turno. Il primo tiro, in parte verticale, lo conosciamo già. Lo abbiamo superato pochi giorni fa sotto una pioggia battente
che ci aveva costretto alla ritirata. Oggi il cielo è terso e
la temperatura ottimale. Il ghiaccio finalmente tiene ed
il secondo tiro si infila in un budello chiamato in gergo
“goulotte”.
“La più bella lunghezza del Colorado”. Non lo dice la nuova guida “Colorado Ice” di Jack Roberts. Lo dico io. Quando recupero i due compagni sono felice. E i due laggiù
pure, sento i commenti goliardici e i complimenti. L’ultima
placca non è una formalità ma la classe di Barry non si
discute.
L’alpinismo è fatto di miti, almeno per qualche residuo
sognatore. Mitizzare un personaggio o una salita è però,
probabilmente, solo un sistema per porsi degli obiettivi
importanti. Non ne sono certo ma anche il viaggio in Colorado dello scorso inverno ha rappresentato l’inseguimento
alla realizzazione di vie e scalate lette sui libri ed appuntate sui nostri diari del futuro.
Gli altri tredici dei quindici giorni sono stati all’insegna di
questo spirito. Le quattordici persone che hanno preso
parte all’Ice & Snow Tour hanno dato sfogo ad ogni più
recondito istinto alpinistico disegnando curve su vergini
pendii o usando in successione le becche delle piccozze e
le punte dei ramponi.
Tutto questo però non bastava. Bisognava dare al viaggio qualcosa di più. Alla lunga anche l’alpinismo fine a se
stesso può stancare. Le due giornate dedicate al turismo
puro sono quelle che forse resteranno più impresse nella
mente di tutti.
Notevoli sono infatti le bellezze naturali dell’Arches Park
nel vicino stato dell’Utah. Archi, torri, canyon e pareti in
un tripudio di colori accesi dal sole e dallo sfondo bianco
delle nevi delle Montagne Rocciose.
diario alpino
E non ultimo il
meraviglioso sito
archeologico di
Mesa Verde dove,
fino a pochi secoli fa, vivevano gli
indiani d’America.
Le antiche costruzioni
realizzate
sotto impressionanti volte rocciose danno idea di
come, a volte, la
vita bisogna conquistarsela giorno per giorno e
la protezione e la
sicurezza comunitarie siano le priorità per ogni essere umano. Purtroppo
anche le grotte naturali e i canyon non hanno salvato una
civiltà che semplicemente abitava a casa sua.
Il viaggio ha questo nel suo essere, dà la possibilità, all’interno dei momenti di svago e per noi di realizzazione, di
mille occasioni per la riflessione, riflessione tesa a farci
uscire dal misero egoismo in cui viviamo.
Il sito archeologico di
Mesa Verde
APPUNTI DI VIAGGIO
Quello in Colorado è stato il 3° Ice & Snow Tour organizzato dall’Associazione Idea Montagna. Il primo, nel 2007,
ha visto 14 componenti scalare cascate e sciare in Canada, nelle regioni della British Columbia e dell’Alberta.
Il bel successo riscosso dal viaggio mi ha spinto ad organizzare il secondo Tour negli stessi luoghi ma con altre
persone. Il secondo viaggio ci ha visto in 15 percorrere
cascate famose ed ambite come Polar Circus, Weeping
Wall e Weeping Pillar. Tutti i componenti hanno anche
realizzato almeno due gite di sci alpinismo nei pressi di
Rogers Pass ed hanno così potuto gustare la powder canadese.
Il Colorado Ice & Snow Tour 2009 ha voluto ricalcare la
riuscita formula dei precedenti aggiungendo una nota turistica viste le bellezze della regione. Si è stanziato 3 giorni a Telluride, 8 giorni a Ouray e 2 giorni a Vail visitando
anche le zone di Silverton e Glenwood.
Contrariamente a quanto avvenuto sulle Alpi l’inverno in
Colorado non è stato particolarmente nevoso e freddo. La
pratica dello sci alpinismo purtroppo ne ha risentito tanto
che ci si doveva spostare parecchio per riuscire a trovare
neve sufficiente e di buona qualità. Non sono però mancate gite appaganti e remunerative. Le Montagne Roccio-
45
diario alpino
diario alpino
se in Colorado come in Canada sono molto selvagge, ci
sono pochissimi punti di appoggio e non esiste una guida
degli itinerari. Quindi il gruppo degli sci alpinisti si è mosso con il passaparola e cercando di interpretare al meglio
le carte e la vista sul posto.
E ora non resta che ritrovarci tutti il prossimo inverno. Destinazione Islanda. Il viaggio è aperto a tutti, dall’estremo
ghiacciatore al più tranquillo ciaspolatore.
Sono state effettuate 5 gite di sci alpinismo:
Ophir (Yellow Mountains), 2900 m MS
Red Mountain n° 3, 3930 m BS
Mc Millian Peak, 3905 m MS
Idea Peak, 4120 m MS
Crooked Creek Pass, 3047 m MS
Panorama dal Mc Millian Peak
Malgrado le quote elevate la temperatura non è stata mai
molto bassa. La maggior parte delle cascate di ghiaccio
comunque erano in buone condizioni. Solo tre obiettivi del
gruppo non erano realizzabili.
Sono state salite ben 13 cascate di ghiaccio:
Cracked Canyon Fall. 95 m – III 5
Bridalveil Falls. 150 m – III 5+/6
Ames Ice Hose. 200 m – III 5
Stairway to Heaven. 280 m – IV 4
Skylight. 100 m – II 5
Sleep Slidin’ Away. 90 m – II 3+
Chockstone Chimney. 100 m – II 3+
Choppo’s Chimney. 90 m – II 3+
Hidden Falls. 200 m – IV 4
Rigid Designator. 50 m II 5
Tourist Trap. 30 m II 6
The Ribbon. 200 m V 4
Seventh Tentacle, 40 m II 5 M6
Diversi monotiri all’Ouray Ice Park
Partecipanti:
Francesco Cappellari, Padova
Giacomo Benacchio, Padova
Stefania Tonello, Massanzago PD
Nicola Ferrarese, Massanzago PD
Barry Bona, Tambre d’Alpago BL
Eddi Serafin, Oderzo PN
Giovanni Cesare, Spilimbergo UD
Stefano Ferro, Quarto d’Altino VE
Roberta De Lorenzo,
Quarto d’Altino VE
Fabrizio Anselmi, Monte di Malo VI
Ivo Maistrello, Schio VI
Fabio Casarotto, Thiene VI
Pier Giorgio Rosa, Thiene VI
Alessandro Chemello, Thiene VI
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Ciaspolata al
Rifugio Altissimo
Martedì mattina. Sono passate già due notti di riposo ma
l’acido lattico non accenna ad andarsene. Sembrerà strano, ma ogni volta che sento i muscoli tirare mi viene in
mente un piacevole ricordo, fatto di neve, freddo, sole,
nebbia, sorrisi, fatica...Non immaginavo che due giorni
sulla neve potessero essere così appaganti.
Ho visto un posto finora a me sconosciuto e mi ha lasciato
meravigliato e stupito.
Lì al Rifugio Graziani,
i cartelli quasi completamente sommersi
dalla neve mi dicono
che d’estate passa
una strada, che si può
venire in macchina ai
piedi dell’Altissimo. Si
vede anche il cartello
del parcheggio ma il
parcheggio non c’è:
mi fido delle indicazioni. Intorno è tutto
bianco: davanti a noi
una lunghissima salita da attaccare con le
ciaspole per raggiungere la vetta.
Inizio il cammino...
calcio deciso sulla neve con la punta, per piantare il rampone. Ho il fiatone, mi fermo, riparto, faccio fatica. Il sole
picchia forte sulla distesa innevata e il manto bianco inizia
a squagliarsi e fa scivolare. Più si sale e più è difficile fare
presa sul terreno.
Ancora un po’, ancora qualche metro... Vedo Renato che
da lassù scruta col binocolo la colonna di persone che sale
faticando lungo il ripido pendio: si preoccupa che tutti arrivino alla meta, molla lo zaino, si lancia giù e affianca gli
ultimi, li incita a salire e tutti arrivano alla cima.
Siamo tutti arrivati: il rifugio Altissimo ci aspetta lì, ne
vediamo solo il tetto, il resto è sommerso da 4-5 metri
di neve. Finalmente si può riposare al caldo e scherzare
in compagnia. Ci raccontiamo della fatica, dei paesaggi
visti, del Garda che non si vede perchè giù c’è nebbia,
dell’impresa che abbiamo portato a termine, siamo tutti
affaticati ma soddisfatti.
Passano le ore, guardiamo il sole che colora il cielo di rosa
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diario alpino
e di mille tinte violacee, poi sparisce e ci lascia avvolti da
un paesaggio silenzioso, irreale, incantato.
Ancora niente con quello che verrà dopo...
Usciamo fuori. E’ calata la notte, il vento sferza la cima
del monte e il freddo è quasi insostenibile. Resistiamo
dieci minuti, con la testa piegata verso l’alto: centinaia,
migliaia, milioni di stelle punteggiano il cielo terso e noi
fatichiamo a riconoscere le costellazioni, completamente
diverse da quelle che di solito siamo abituati a vedere,
fatte di 7-8 stelle soltanto e qui sono migliaia!
Una stella cadente taglia la volta in verticale... ci penso un
secondo solo ma non esprimo alcun desiderio: il desiderio
era quello di vivere una giornata indimenticabile e questo
si è già avverato...
Rientriamo al caldo del rifugio a riposare. Non sappiamo
ancora cosa ci riserverà la natura domani: sarà uno spettacolo diverso, un nebbione e un freddo da paura, ma
sarà pur sempre un spettacolo di quelli che ti rimangono
nel cuore.
Lorenzo
48
Dopo una giornata incredibile di sole e neve, siamo arrivati al Rifugio Altissimo dove sono previsti la cena e il
pernotto. Distrutta dalla fatica ed estasiata dal panorama, resto fuori almeno un’ora per scattare le foto a prova
dell’incredibile impresa. Salire una cima dà sempre una
grande soddisfazione, ma salirla con la neve è un’altra
cosa. Sia per la fatica ( ogni passo richiede sforzo e concentrazione) sia per l’incredibile bianco scenario che si
presenta dall’alto.
La visione delle cornici di
neve modellate dal vento,
delle mensole sulle pareti
innevate da dove qualche
giorno prima si è staccata una valanga, del profilo
maestoso e luccicante del
Baldo resteranno a lungo
impressi nella mia mente.
Mentre sono in contemplazione del panorama, la
maggior parte della comitiva si fionda dentro il rifugio
in cerca di un posto caldo.
Così, quando entro, i letti al
piano terra e al primo piano
dove ci sono le stufe accese, sono già tutti occupati e
a me resta il secondo piano alias sottotetto dove fa
decisamente freddo tanto
diario alpino
che, respirando, dalla bocca esce fumo come se fossimo
all’aria aperta. Per fortuna ci sono tre coperte a testa e poi
nella stanzetta da quattro posti ci sono sei letti quindi si
potrà contare sull’effetto stalla per scaldarsi. C’è un bagno
anche al secondo piano, ma il cartello appeso sulla porta
d’ingresso “solo pipì” mi ricorda una cosa che sapevo già:
non c’è acqua corrente. Cerco di tirar fuori il mio spirito
d’adattamento, ma mi viene la nausea lo stesso. Respingo
il pensiero a quando ci sarà la necessità e più congelata
di quando sono entrata, scendo al piano terra per appropriarmi di un posto in pole position vicino alla stufa. C’è
sempre un qualcosa di magico nella sala pranzo dei rifugi,
quando sorseggiando una tazza di the o di vin brulè tenuta a piene mani per scaldarsi, si rivivono i momenti della
giornata. Chi racconta della salita che non finiva più, chi
della neve troppo soffice su cui non si faceva presa, chi
mostra le foto sullo schermo della digitale, chi si ricorda
di quando era stato qui d’estate, di quella volta che ... Tra
una chiacchiera e l’altra arriva l’ora della cena. Il rifugio
è accessibile solo a piedi o con gli sci, quindi tutto quello
che mangiamo è stato portato a spalle dai gestori. Nonostante questo, non manca niente: orzetto, canederli,
polenta, formaggio, salsiccia, funghi, crauti, fagioli, carne
salada, torta sbrisolona e non sono le possibilità di scelta
del menu, è tutto quello che abbiamo mangiato. Tutto
buonissimo. Quella degli alpinisti è una fame sincera.
In più, per conciliare il sonno e scaldare gli animi e i corpi,
ad un certo punto, sopra i tavoli sono comparsi dei vasi
da conserva pieni di grappa a tutti i gusti nel numero di
39. Da un classico pino mugo, genziana, mirtillo alle erbe
dai nomi più strani fino all’aglio e al peperoncino. Non
credo che qualcuno sia riuscito ad assaggiarle tutte anche
se molti ci sono andati vicino, ma la grappa era buona
perché il giorno successivo non c’era nessuno con il mal
di testa. La serata è stata davvero divertente e abbiamo
dovuto smentire la regola per cui in rifugio alle dieci si
spegne la luce e si va a dormire presto.
Poi, quando abbiamo appoggiato la testa sul cuscino,
qualcuno ha preso sonno subito, molti altri sono rimasti
ad ascoltare la dolce sinfonia di chi ronfava placidamente,
anche se chi ha dormito, giura di non aver mai russato in
vita sua.
Al mattino successivo, il Monte Altissimo era avvolto dalle
nuvole e noi eravamo nel mezzo. Aria umida e gelida, visibilità poco più di cinque metri, ma il nostro magico capo
gita e i nostri accompagnatori sono riusciti a riportarci a
valle ignari del fatto che avremo raccontato quello che
era successo.
Michela
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itinerari
alpini
itinerari alpini
di Marco Di Tommaso
Traversata del
Monte Rudo
La traversata del gruppo del Monte Rudo risulta essere
l’unione tra un itinerario storico e uno pionieristico. Storico perché il sentiero ripercorre le postazioni di artiglieria
e d’osservazione austriache che puntavano verso le Tre
Cime di Lavaredo e il Monte Piana. Pionieristico perché la
traversata e il ritorno per la Val Bulla si svolgono in ambienti selvaggi, isolati e di grande fascino paesaggistico.
Tempo di percorrenza: 8:00
Dislivello: 1300 m
Difficoltà: EE passaggi di I°
Attrezzatura: caschetto
Accesso
Da Dobbiaco si segue la SS51
in direzione Cortina fino ad
arrivare poco prima del Lago
di Landro. Si lascia l’auto nei
pressi di un vecchio forte militare con impressa su una
facciata lo stemma della Croce
Rossa.
Postazioni austriache sulla
spalla del Teston di Rudo.
Colle con garritta prima del
tratto chiave.
50
Salita da Landro 1400 m
alle postazioni Teston di
Rudo 2519 m (3:15)
Se si fa riferimento alla cartina Tabacco 010, si scorge
un sentiero segnato di nero che sale su a quota 2175 nei
pressi dell’arrivo della prima teleferica. Occorre seguire
questo.
Dal forte parte una stradina sterrata immersa tra gli alberi
che sale a sinistra. Seguirla fino ad incontrare poco dopo
un’altra che si distacca sulla destra e risale
trasformandosi più avanti nel sentiero militare. Lo si segue interamente fino ad arrivare
all’arrivo della teleferica. Fino a qui il sentiero
è stato facile e monotono (1:45).
Da qui sulla cartina non vi è più segnato alcun sentiero, ma giungendo sotto la montagna, si vede partire un secondo sentiero
segnato da ometti che risale ripido. Con il
caschetto in testa, lo si segue facendo attenzione al terreno friabile cercando di non farsi
distrarre dall’ambiente selvaggio.
Raggiunta la spalla (1:30), merita una visita
alle sue postazioni di guerra.
itinerari alpini
Traversata alla forcelletta dei Rondoi
2672 m (2:15)
Dalle postazioni austriache il sentiero prosegue perdendo quota lungo la valle che
scende nella Val Rinbon (eventuale percorso
alternativo di discesa). La traccia traversa la
parte superiore della valle e raggiunge una
forcella alla cui destra sorge un colle con in
cima una garitta d’osservazione (0:45). Da
qui comincia la parte più delicata della traversata. Dalla parte opposta della forcella il
sentiero prosegue per una cengia che apparentemente sembra esposta e franosa, ma
che in realtà è più comoda di quello che può
sembrare. Superata questa e la successiva
cengia agevolata anche da una scaletta, si
perviene ad una postazione con il libro del
sentiero. Si prosegue ora in ambiente più
aperto seguendo il sentierino che costeggia
le pareti e risale alla forcelletta dei Rondoi
(1:30).
Il Monte Rudo Grande lungo la
traversata.
Discesa per la Val Bulla (2:30)
Dalla forcelletta dei Rondoi, si scende seguendo delle tracce discontinue di sentiero
che si immettono nell’alta Val Bulla. Le ghiaie nella parte alta sono dure, mentre più in
basso si addolciscono rendendo comunque
i ghiaioni interminabili. Giunti al limite inferiore delle ghiaie (1:00), ci si tiene sulla destra e si riprende il sentiero (segni rossi) che
scende giù per la valle. Nella parte bassa, il
torrente ha cancellato parte del sentiero e
occorre quindi proseguire per il greto del torrente. Più in basso si incontra nuovamente il
sentiero; per questo e per altri tratti sul greto, si esce dalla Val Bulla. Usciti dalla valle,
si punta ad un enorme bunker della Seconda
Guerra Mondiale che sorge sulla sinistra del
greto (1:15). Da qui si segue un sentierino
che ripercorre la vecchia stradina d’accesso
al bunker e che riporta al punto di partenza
(0:15).
La parte alta della Val Bulla.
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scuola scuola
alpinismo
alpinismo
di Giuliano Bressan
1° Corso di
Perfezionamento
Arrampicata Artificiale
Si è positivamente concluso il 1° Corso sulla tecnica
di Arrampicata Artificiale. Si è trattato di un corso
monotematico indirizzato a chi, avendo già frequentato
i corsi base o comunque già in possesso di una discreta
esperienza alpinistica, intendeva scoprire ed apprendere
le tecniche di progressione in arrampicata artificiale.
Il corso diretto dagli INA Giuliano Bressan e Massimo
Bazzolo, si è svolto nei mesi di marzo ed aprile.
Nelle nove uscite pratiche (due sessioni serali in struttura
artificiale), corredate da nozioni e lezioni teoriche, si sono
studiati e sviluppati i seguenti argomenti:
scuola alpinismo
• impiego, oltre al classico chiodo ad espansione, dei
moderni materiali (“rurp”, “copper-head”, “sky-hook”,
ecc.) utilizzati nella progressione in artificiale;
• gestione della cordata su vie di artificiale (manovre
corda, risalita corda fissa, recupero materiale, ecc.).
Al corso hanno partecipato nove allievi: Fontana Enzo,
Galeazzo Riccardo, Guerra Marta, Napolitani Enrico,
• tecniche relative al superamento in arrampicata artificiale
(uso di staffe) di tratti non superabili in arrampicata
“libera”, caratterizzati per esempio da grandi strapiombi
e tetti;
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Parodi Marina, Salarin Silvano, Schmidt Leonardo, Secco
Caterina, Turco Francesco.
Nelle sette uscite, svoltesi nelle falesie di Cismon, Brentino
e della Valle del Sarca, sono stati percorse, con notevole
soddisfazione da parte degli allievi, vie con difficoltà in
artificiale di A1 ed A2 e di V, V+ in arrampicata libera. Le
salite, scelte in base alle effettive capacità dei partecipanti,
hanno evidenziato il buon apprendimento raggiunto nella
padronanza delle tecniche di arrampicata relative al
superamento di tratti strapiombanti e tetti.
Ospiti graditissimi del corso Berto Marampon e Marco
Furlani, veri esperti ed artisti nella pratica di questa
tecnica, che nell’ambito di due simpatiche ed interessanti
serate hanno esposto la loro “filosofia”.
Un doveroso grazie infine agli istruttori che, con
competenza e professionalità, hanno permesso l’ottimale
svolgimento del programma previsto ed un augurio agli
ormai ex-allievi di continuare a salire con soddisfazione e
sicurezza “al di là della verticale”.
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veterani
veterani
di Fiorenza Miotto
Veterani
in Argentina
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Una serie di coincidenze favorevoli ha portato, nel novembre
scorso, una dozzina di soci del gruppo veterani nella
lontana Patagonia. Molto semplicemente, l’appuntamento
del mercoledì si è spostato nel sud del mondo; quasi un
gruppo B che per alcuni giorni ha attraversato ambienti
mitici per l’ immaginario di ogni amante della montagna.
Già all’arrivo all’ aeroporto di El Calafate siamo tutti
elettrizzati. E’ un tardo pomeriggio luminosissimo e,
prima ancora dell’ atterraggio, i laghi e le montagne
sembrano volerci accogliere nella loro veste migliore in un
luccichio abbagliante. L’ accoglienza calorosa di Gabriel,
l’albergatore, ci mette subito a nostro agio e l’ ambiente
naturale attorno al nostro alloggio subito soddisfa la
nostra sete di spazi infiniti. Bella e ancora incontaminata
la laguna di Nimez con i bandurrias che aprono le grandi
ali in brevi voli, con i fenicotteri che lenti esplorano le
acque basse del bordo del lago e con le cauquenes,
oche selvatiche dalla taglia maxi. E sullo sfondo, oltre lo
scintillio delle acque del lago Argentino, ghiacciai, tanti
ghiacciai, tanta wilderness che ci fa dimenticare come,
alle nostre spalle, El Calafate sotto la spinta turistica
si stia sviluppando in modo disordinato, non sempre
attento alla bellezza dell’ ambiente. Il mattino successivo
c’è molta euforia nel nostro pullmino. Tutti siamo pieni
di aspettative, ma soprattutto Giannino sta realizzando
uno dei suoi sogni, cullato da decenni e di cui tanto ci
aveva parlato durante le escursioni del mercoledì. E’ pieno
di entusiasmo nonchè di libri e cartine che ha a lungo
studiato prima di partire per l’ avventura patagonica.
Ecco il lago Viedma e il suo ghiacciaio, ecco l’ estancia
La Leona, ecco l’ indicazione per la Punta del Lago, posto
spettacolare dove Casimiro Ferrari ha scelto di passare gli
ultimi anni della sua vita dopo aver legato il suo nome al
Cerro Torre. Arriviamo a El Chalten e attraversiamo il Rio
de Las Vueltas su un anonimo ponte. Siamo ormai lontani
dai tempi del colono Madsen che lo guadava sul suo
carro da pioniere, ma il luogo, pur con le sue costruzioni
turistiche, conserva ancora un clima di isolamento e un
respiro naturale da farsi perdonare la modernità. Non
c’è tempo per un pellegrinaggio ai resti dell’ estancia di
Madsen, che tanti grandi alpinisti ha accolto nel passato e
ripartiamo costeggiando il rio de Las Vueltas. Finalmente
ci incamminiamo a piedi salendo lungo la valle del Rio
Blanco. Appena ci alziamo un pò, si svela ai nostri occhi
ampia e selvaggia la valle del Rio ELectrico. In fondo c’è la
Piedra del Fraile, il luogo dove si fermò padre De Agostini
nelle sue esplorazioni: quanto mi piacerebbe andarci....
veterani
Ho sempre prediletto l’ esplorazione della montaga agli
exploit alpinistici.Ma ora c’è da gustare l’ ambiente in cui
ci muoviamo, una foresta di lenga, battuta dal vento che
contorce i tronchi e crea fantasmi di legno dalle strane
forme. Nel sottobosco, una prima fioritura primaverile
attrae la mia attenzione: anemoni, calceolarie e cespugli
di eleganti fiorellini gialli delicatamente profumati. E’ El
Calafate e la tradizione vuole che chi mangia il suo frutto
ritorni sicuramente in Patagonia. Questi piccoli tesori
sono racchiusi in un ambiente di selvaggia bellezza su cui
incombono ghiacciai e cime possenti che fanno da corona
al Cerro Torre e al Fitz Roy. Il tempo ci assiste e gustiamo
appieno quegli attimi davanti a tanta magnificenza.
Al ritorno, pur ripercorrendo la stessa strada, la luce
del tardo pomeriggio ci regala suggestioni nuove e
riflessi scintillanti sulle acque del lago e sui ghiacciai. Un
provvidenziale temporale, durante la notte, ci offre una
nuova giornata sfolgorante sul lago Argentino. Un ottimo
servizio di catamarani ci consente un giorno di navigazione
indimenticabile fra i “brazi” del lago con immagini al di
là di ogni aspettativa. Upsala, Onelli, Spegazzini, Perito
Moreno, tutti abbiamo imparato i nomi dei ghiacciai che
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veterani
veterani
DIAPORAMA A VOLTABAROZZO
Mercoledì 30-09-2009 CILE – BOLIVIA
Viaggio tra deserto, cultura e vulcani
Mercoledì 07-10-2009 SCIALPINISMO SULLE ALPI
L’azzurro e il bianco nello scialpinismo sulle Alpi
Due serate di immagini in dissolvenza commentate, a
cura dei soci della nostra sezione Giovanna Galeazzo,
Federico Battaglin e Marco Di Tommaso, presso il Centro
Parrocchiale di Voltabarozzo (Piazza Santi Pietro e Paolo)
Ingresso libero - Inizio serate ore 21:15
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Per il programma dettagliato su queste e altre serate,
visitate i seguenti link:
www.diapo.marmolo.it o www.diapo.febat.com
Un grande ricordo
Quando penso all’Argentina, subito rivedo il Perito Moreno. Poi ricordo anche le Cascate di Iguazù, i pinguini,
le balene, Buenos Aires, il Tango, ma solo dopo il Perito
Moreno. Questo ghiacciaio mi ha emozionato più di ogni
altra cosa vista in Argentina, e più di ogni altra cosa vista
in Argentina continua ad emozionarmi nel ricordo.
Abbiamo ammirato la prima volta il Perito Moreno dal catamarano che porta i turisti in crociera sul Lago Argentino.
La giornata era magnifica. Molti ghiacciai sboccano nel
grande lago e lo cospargono di iceberg. La navigazione fra
gli iceberg che galleggiano sull’acqua verde-giada e che
quel giorno il sole colorava con tutte le sfumature dell’azzurro, con la vista intorno delle montagne e dei ghiacciai
è splendida. Ma nulla è splendido come lo spettacolo che
si offre quando il catamarano giunge al cospetto del Perito
Moreno. Dal lago il Perito Moreno appare come un’enorme
frastagliatissima parete di ghiaccio. Fra gli innumerevoli
crepacci penetrava la luce abbagliante del sole creando
un gioco svariatissimo di ombre e di colori. Di tanto in tanto dalla parete si staccavano blocchi di
ghiaccio con sordo fragore. La visione è di una solennità grandiosa. Non
trovo alte definizioni, e impone un
religioso silenzio. Ero profondamente
commosso da tanta bellezza e credo
che lo fossimo tutti. Credo che avremmo tutti desiderato essere assolutamente soli, senza il catamarano, senza i suoi motori, senza gli altri intorno,
soli ad ammirare quella stupefacente
parete con la quale il ghiacciaio muore
tuffandosi nelle acque verde-giada del
Lago Argentino.
Il giorno dopo, ancora con il sole, abbiamo di nuovo ammirato il Perito Moreno dal pendio di una collina che gli
sta di fronte e che consente di vedere
il ghiacciaio da un punto di vista diverso: non più soltanto
la sua parete finale, ma al di sopra e al di la di questa la
distesa dei ghiacci che si perdono fra i monti. Ero sempre
ammirato, ma meno commosso. In qualche modo il Perito
Moreno, visto dalla collina, pur essendo sempre magnifico, aveva perso in parte la sua magia.
Ed è la parete di ghiaccio che si tuffa nel lago, che sempre
vedo per prima pensando all’Argentina. Nulla che io ricordi le può essere paragonato. Da sola merita un viaggio in
Patagonia.
di Maurizio Guglielmi
ci abbagliano e tutti siamo incantati dalla navigazione fra
i “tempanos” al cospetto di una natura tanto primordiale
e tanto grandiosa. Persino un condor vola sopra di noi ad
ali spiegate quasi a darci il benvenuto. Alla sera, al rientro
tutti a cercare il gelato di calafate per assicurarci il ritorno
in Patagonia. I nostri visi sprizzano felicità, la nostra pelle
è bruciata dal vento e dal sole, ma all’ indomani siamo di
nuovo pronti per un altro bagno di bellezza al cospetto del
Perito Moreno. Da quest’ altro lato, il ghiacciaio si manifesta
in tutta la sua grandezza e la vegetazione lo circonda ai
lati formando un contrasto straordinario. Pur seguendo
un percorso turistico obbligatorio, siamo immersi in un
mondo incredibile pieno di colori forti. Il blu profondo del
lago, il bianco abbacinante del ghiacciaio, il rosso acceso
degli arbusti del notro resteranno impressi nei nostri
ricordi. Qua e là cespugli gialli di Calafate ci ricordano
la tradizione. Anche il ritorno in città, deviando verso il
lago Roca, è prodigo di emozioni e visioni indimenticabili.
Grandi spazi, grandi praterie, improvvisamente tappezzate
di macchie colorate per la fioritura seguita al temporale,
bestiame al pascolo, una lontana estancia circondata dagli
alberi che la proteggono dai venti, acqua che luccica sotto
il sole, e, in lontananza, sempre lo scintillio dei ghiacciai,
che grandi e possenti dominano e controllano i movimenti
di noi piccoli esseri in quegli spazi senza confine. Tutto
rende forte il senso della grandezza e perfezione della
Natura e ci saziamo della sua bellezza.
Ma ormai è tempo di ripartire. Altre emozioni ci attendono:
balene, pinguini, leoni marini, le mille sfaccettature di
Buenos Aires, le cascate di Iguazù, vero monumento
naturale. Tutto questo alimenta il nostro stupore, ma
torniamo a casa con tanta nostalgia della Patagonia, degli
spazi enormi, dei silenzi, della natura ancora sovrana.
Ma perchè tanti rimpianti? Non abbiamo forse mangiato
il gelato al EL Calafate? E allora chi dice che non vi
torneremo?
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veterani
di Gabriella Rossignoli
Mens Sana
in Corpore Sano
58
C’è qualcuno che con il passare degli anni comincia a
sentirsi stanco e demotivato e che invece vuole mantenere
il cervello sveglio e il fisico in forma? Si iscriva al Gruppo
Veterani.
Ecco il racconto di una giornata meravigliosa passata in
loro compagnia.
Insonnia per più di qualcuno nella notte precedente
l’escursione. Sveglia ad un’ora che è meglio non dire
per non spaventare gli eventuali futuri nuovi iscritti. Per
strada silenzio e poche macchine, ma almeno, essendo
settembre, non è proprio buio come succede d’inverno.
Arrivo al ritrovo alle 5,45. Qui c’è vita invece: saluti,
baci, abbracci, una frenesia incredibile, data l’ora e
vista l’età dei veterani. E’ tanto che non si vedono: una
settimana! Nei giorni precedenti si sono telefonati. Ieri
hanno fatto i preparativi. Adesso sono pronti a dare
il meglio di sé. Dopo l’assalto al pullman per prendere
i primi posti, si parte puntuali come sempre alle 6,00.
Chi vuole recuperare il sonno ha qualche difficoltà, tante
sono le cose che hanno da raccontarsi i più. La giornata
si preannuncia splendida: il cielo è azzurro e non c’è una
nuvola. Arriviamo a S.Martino di Castrozza e prendiamo
la funivia che ci porta sull’Altopiano delle Pale nei pressi
di Cima Rosetta. Il panorama che si apre davanti ai nostri
occhi è a dir poco emozionante. Il Cimon della Pala alla
nostra sinistra è davvero maestoso. Alle nostre spalle si
vedono benissimo il Latemar e il Catinaccio, mentre dietro
di loro si nota l’insieme delle Dolomiti del Brenta, tutte
bianche di neve. Davanti a noi si apre il grande altopiano
e in fondo in fondo si schierano come in parata molte
delle cime più importanti delle Dolomiti venete: Tofane,
Averau, Cristallo, Tre Cime, Sorapiss, Civetta, Antelao. A
destra, abbastanza vicina, spunta la cima della Pala vera
e propria. Chi ama la fotografia qui è nel suo regno. C’è
molto freddo per la stagione (0 gradi), del resto siamo
anche molto alti. Si temeva di scivolare a causa della
leggera nevicata di ieri, ma mezz’ora dopo la partenza già
non c’è più neve e comunque si cammina quasi sempre
in piano. Primo vorrebbe che affrettassimo il passo, ma
stavolta sono parecchi quelli che incantati dal paesaggio,
rallentano per ammirarlo e per chiedere informazioni a chi
ne sa di più (alla fine ci metteremo tre ore più del previsto,
ma per fortuna le giornate sono ancora abbastanza lunghe
e possiamo permetterci una velocità di cammino quasi da
passeggiata). Procediamo verso nord, vedendo a sinistra
veterani
anche Cima Vezzana un po’ imbiancata, il ghiacciaio
del Travignolo (che però è più grande dall’altra parte),
la Valle delle Comelle, che tanto ci ha tenuti impegnati
due anni fa… Poi, sempre da quella parte, si cominciano
ad intravvedere in lontananza anche le montagne della
Val Badia, il Lagazuoi e finché non appare più vicino il
gruppo della Marmolada (la regina). Allora tutti cercano
di individuare dove si trova il Passo delle Cirelle, che
abbiamo fatto un mese e mezzo fa. Bei ricordi! Il piacere
è moltiplicato. A destra invece contempliamo il ghiacciaio
della Fradusta (peccato che non ci andiamo più vicini…).
Passo dopo passo, percorrendo un sentiero a saliscendi,
immersi in una luce brillante, vediamo avvicinarsi le
montagne che prima ci sembravano piccole e che ora
ci si presentano in tutta la loro imponenza. Arrivati alla
Forcella del Miel, siamo come sospesi sull’orlo della Valle
di S.Lucano. A destra, tanto vicina che quasi la tocchiamo,
c’è la ripida ed impressionante parete dell’Agner, davanti
c’è il Civetta che mostra un lato inusuale rispetto alla
solita parete diritta, tanto che prima, quando si vedeva da
lontano, c’è stata un po’ di discussione su che montagna
fosse. Qualcuno si ricorda di aver passato una pericolosa
avventura proprio là durante un’escursione con il brutto
59
veterani
tempo. Proseguiamo fra scenari meravigliosi (anche
un laghetto in cui si specchiano le cime), finche non
arriviamo al Passo Canali, dove pranziamo, incerti però se
perdere tempo consumando i nostri panini o approfittare
per scattare una foto dietro l’altra alle alte pareti che ci
circondano. Quando ripartiamo, ci aspetta un punto un
po’ scosceso, ma chi è in difficoltà viene aiutato dai più
esperti. Bellissima anche la discesa in cui si rasentano
pareti di roccia altissime e si ha sempre davanti la verde
Val Canali. Là in fondo nascosto nel bosco dicono che
c’è il Rifugio Treviso, dove poi ci fermiamo per una sosta
tecnica. Ancora un po’ di cammino e siamo arrivati al Cant
del Gal dove ci aspetta il pullman. Siamo stanchissimi, ma
molto contenti.
Abbiamo visto dei posti straordinari grazie a Mario Stefani
e Primo Gennaro.
Speriamo che la soddisfazione da loro provata nel farci
partecipi di queste belle esperienze li induca a perseverare
nell’avere pazienza nei riguardi di “poveri pellegrini” come
sono alcuni di noi, in modo che continuino a guidarci in
posti dove da soli non potremmo andare.
60
veterani
I Veterani interpretano proprio bene il ruolo educativo che
si prefigge il Cai; ci consentono di progredire, anche ad
una certa età, sia nell’esercizio delle nostre forze fisiche
sia nelle nostre conoscenze, il tutto in un clima gioviale di
solidarietà ed amicizia, che spesso si concretizza in feste
di compleanno, a volte anche in pranzi e balli e addirittura
in una lotteria in cui sono molti quelli che vincono regali
utili e spiritosi.
Sono veramente organizzati bene questi Veterani e
lavorano parecchio per questo: il programma è molto
vario e accattivante, ti fa venire l’acquolina in bocca e,
leggendolo, a fatica riesci a tenere ferme le gambe; si
conosce con mesi di anticipo e propone escursioni molto
interessanti ma mai troppo difficili; la fatica di camminare
c’è, ma non è mai eccessiva, è quella giusta per mantenersi
al meglio.
Spesso i percorsi sono diversi per soddisfare anche le
esigenze di chi non può sforzarsi molto.
Le locandine sono molto precise e ti fanno pregustare
il piacere che proverai contemplando certi panorami,
ma se il tempo è proibitivo, anche all’ultimo momento,
c’è chi, data la grande esperienza, sa trovare sempre
un’alternativa valida.
A volte addirittura si fanno aprire dei rifugi apposta per
noi.
La sicurezza è un punto fondamentale, come pure il
divertimento che è assicurato.
C’è sempre chi in compagnia è spiritoso, ma è anche
interessante ascoltare e partecipare ai discorsi che si
tengono, perché ognuno porta l’esperienza di una vita
passata a fare i lavori più disparati: c’è il medico, il
giudice, il bancario, il pasticcere, il militare, l’insegnante,
il commerciante, l’operaio…
E’ meglio però evitare le discussioni sulla politica, perché
può darsi che gli animi si accendano troppo e che qualcuno
non riesca a mantenere il giusto distacco.
C’è chi viene perché vive solo e vuole stare in compagnia,
e chi invece desidera staccare dal solito ambiente familiare
o di lavoro oppure spera di dimenticare anche solo per un
giorno qualche pena segreta e respirare una boccata di
ossigeno.
Insomma i Veterani sono un punto di riferimento affidabile,
che a volte danno un senso alla vita di routine a cui siamo
costretti. Con loro si è sicuri che l’escursione si fa ed è
probabile che sia indimenticabile.
Comunque non hanno certo bisogno di pubblicità, ma
semmai di persone che si mettano a disposizione per
collaborare perché tutto riesca al meglio.
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in libreria
in libreria
in libreria
Michele Chinello - Marco Simionato
Rocca Pendice
Arrampicate nei Colli Euganei
Idea Montagna Edizioni, Teolo 2009
[email protected]
di Armando Scandellari
232 pag., form. 15 X 21 cm,
con 210 ill. a col., schizzi e piantine
€ 22,00
62
Con il patrocinio della Sezione di Padova, del Comune di
Teolo e del Parco Regionale dei Colli Euganei, dedicata
all’indimenticato alpinista e amico Sergio Billoro
(“L’importante è fare un bel movimento”), questa terza
versione della guida della storica Palestra dell’alpinismo
padovano/veneto (e non solo), esce in coincidenza con il
centenario della nota scalata di Antonio Berti e dei coniugi
Maria e Gino Carugati assieme a Mariano Rossi della Rocca
di Pendìce, prima da est.
Un evento ed una ricorrenza che verrà spettacolarmente
commemorata a Teolo il 16 luglio. È da dire che questa
guida (editorialmente raffinata ed accattivante) di
Chinello e Simionato segue un percorso multidisciplinare,
individuando perfettamente sia le molte correlazioni
naturalistiche della morfologia floridamente variegata
dei Colli Euganei, sia riproponendo una rilettura critica
dell’alpinismo esplorativo, classico, ludico, estetico e
didattico che è stato splendidamente espresso da cinque
generazioni di alpinisti non sulla sola Rocca, ma anche
sulle pareti dei suoi comprimari il Monte Pirio, il Monte
Grande, la Busa dell’Oro e via via.
Non si può non riconoscere l’amorevole corrispondenza
degli AA. tra la tecnica e lo spirito dell’alpinismo nello
stendere relazioni, fornire apprezzamenti, dettagli e
puntualizzazioni ove occorra, sempre all’interno di una
sobria, ma efficace resa letteraria. La ricchezza dei fattori
costitutivi dell’ambiente e la suggestione delle linee
aperte su queste strutture verticali sono rese dagli AA.
come veri e propri “ritratti” di un microuniverso alpestre
irrinunciabile per i cercatori di “avventura” (anche oggi,
anche oggi!) degli alpinisti patavini.
Ottimo il coordinamento editoriale di Francesco Cappellari,
che firma anche l’introduzione, mentre le prefazioni sono
a cura di Lucio De Franceschi, direttore della Scuola
d’alpinismo Piovan, della Presidente del Parco Colli
Euganei Chiara Matteazzi e del Sindaco di Teolo Lino
Ravazzolo.
Emanuele Zorzi
Roccia d’autore
IV grado
vol. 1
Idea Montagna Edizioni, Teolo 2009
[email protected]
264 pag., form. 15 X 21 cm,
con 120 ill. a col., 22 schizzi
€ 22,00
È in uscita, per le Edizioni Idea Montagna, un nuovo volume
di arrampicate scelte di media difficoltà in Dolomiti.
L’autore, di Monfalcone e appassionato di arrampicata
dolomitica, si definisce un villeggiante verticale, non
certo un fuoriclasse. Ma ha fin dall’inizio avuto anche la
passione di segnare tutto nel suo taccuino, a volte con
una precisione maniacale.
Fondato nel 2007 il sito www.quartogrado.com che ha
riscosso notevole successo e diventato per molti punto
di riferimento dove attingere informazioni e relazioni
attendibili, si propone ora con un’opera fisica e non
virtuale riportando quindi sulla carta il suo grande lavoro
informatico.
Questo primo volume della collana “Roccia d’autore”
contiene 59 relazioni accuratamente compendiate da foto
con tracciato della via, scheda tecnica con le informazioni
generali, commento e relazione di accesso, salita e discesa.
Non mancano, ove possibile, gli schizzi che consentono
una facile e veloce interpretazione degli itinerari.
L’area presa in considerazione in questo volume riguarda i
versanti occidentali e centrali delle Dolomiti con i gruppi di
Odle-Puez-Putia, Sassolungo, Sella, Catinaccio, Marmolada
e Pale di San Martino. Ogni zona è bene identificata con
relazioni riguardanti anche i numerosi punti d’appoggio
quali valichi, rifugi e bavacchi.
In attesa del secondo volume, previsto per la primavera
del prossimo anno e riguardante le Dolomiti Orientali e
le Alpi Carniche, godiamoci questa guida completa ed
esaustiva che non va a ripercorrere solo arrampicate
classiche ma, soprattutto, tende la mano alle vie a volte
ingiustamente dimenticate dagli alpinisti.
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ricordiamo
ricordiamo
di Raffaello Venturato
Primo Stivanello
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Primo non c’è più, ci ha lasciati dopo breve malattia.
Ognuno di noi, quando riceve una notizia drammatica,
reagisce in maniera istintiva, quasi meccanica:
incredulità, rabbia, senso di frustrazione e di impotenza
assoluta. Quando però la notizia drammatica la devi
comunicare perché vissuta nel tuo intimo, tutto diventa
irrimediabilmente irreale, quasi finto, impossibile.
Trent’anni di militanza nel club alpino, prima come
accompagnatore di alpinismo giovanile e poi come
accompagnatore titolato di escursionismo, hanno segnato
una serie infinita di momenti di vera amicizia fra noi
accompagnatori e fra quanti, soci del club e non, hanno
avuto la fortuna di percorrere i sentieri delle sue escursioni,
guidati dalla sua preparazione, esperienza, umani consigli,
frutto di una tecnica ma soprattutto: umana, religiosa,
morale preparazione alla vita.
Ci manchi caro Primo, manca a tutti noi quel modo di fare
schivo, quasi timido.
Ci sarebbe piaciuto poter continuare a frequentarti e ci
sembra incredibile e così irreale dover riconoscere di non
poterlo più fare, di non sentire ancora le tue domande
durante gli incontri
in sede, sempre
interessato
ai
molteplici
aspetti
della
nostra
attività.
Il destino, o meglio
l’ imperscrutabile
disegno divino, ha
riservato a Primo
una
conclusione
così prematura e
per noi così ingiusta,
immeritevole
e
incomprensibile.
La morte lascia
sempre un senso
acuto di sofferenza
e
cercare
di
superarlo
non
significa, secondo il
nostro sentimento,
in nessun modo
dimenticare un caro
amico.
Speriamo
che questo dolore
ricordiamo
con il tempo si trasformi in un dolce ricordo e ci permetta
di far tesoro dei valori dello spirito con cui Primo affrontava
la vita.
Orgogliosi della sua amicizia e del suo affetto sempre ci
rimarranno nel cuore la sua risata, gli scherzi che amava
fare e i tanti momenti di allegria nel tempo passato
assieme.
Sento il dovere di ringraziare, attraverso il Notiziario, tutte
le persone che hanno fatto visita a Primo nel doloroso
periodo della malattia e tutte quelle che hanno voluto
essere presenti alla celebrazione del Rito funebre.
Lo faccio con questo mezzo perché se cercassi di
raggiungere singolarmente ogni Amico, rischierei di lasciar
fuori qualcuno.
Ho usato la parola ‘’Amico’’ con la lettera maiuscola perché
durante le tante visite a Primo nel pur breve periodo della
malattia, ho fatto esperienza di come l’amicizia sia un
dono di Dio, una sponda che argina la corrente amara dei
giorni del dolore. L’ho colto dalle visite assidue, dai gesti,
dalla profondità, a volte, dei silenzi.
La gioia che gli portavate lo aiutava a sopportare la
sofferenza di vedersi impotente in un letto di ospedale.
Primo ha cercato di accogliere sempre tutti con serenità,
senza far mai pesare il suo stato di sofferenza, le sue
paure per un futuro che non riusciva più a intravedere.
Solo negli ultimi giorni, quando ormai le forze lo avevano
completamente abbandonato e le parole faticavano ad
uscire dalla sua bocca, mi aveva chiesto di salutare per lui
le persone perché ‘’non poteva più regalare un sorriso’’.
Per tutta la malattia si era sempre preoccupato che chi
andava via da lui se ne andasse più contento di come era
venuto: “Mi hai portato una ventata di freschezza…”, “Mi
hai fatto sentire il profumo della montagna…”, “Sono felice
di averti visto…”. Sono alcune delle espressioni con cui
voleva ringraziare chi con affetto gli faceva visita.
Come non ringraziare tutti quelli che hanno fatto parte
intimamente della sua storia e della sua vita e che gli
hanno donato dei momenti per lui così importanti ?
Ricordo anche qualche incontro commovente in cui Primo
e l’amico non sono riusciti a trattenere le lacrime. E ricordo
con angosciosa tenerezza il Segno di Croce tracciato sulla
fronte di un amico pochi giorni prima della sua entrata
nell’assemblea dei Santi, come a salutare in lui, nel nome
dell’Amico più alto, Cristo, per l’ultima volta tutti gli altri
Amici del CAI. Era stato un incontro silenzioso perché
ormai era diventato troppo faticoso per lui anche soltanto
parlare. Con quel gesto aveva voluto dirgli “Conto su di
te, continuate con amore quello che io non potrò più fare.
State uniti, portate avanti le nostre attività, fate amare
attraverso di esse il Creato ed il Suo Creatore”.
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ricordiamo
Per lui la montagna era l’espressione più bella di Dio,
quella che più di tutto faceva avvertire che solo un Essere
Onnipotente poteva aver creato tanta bellezza.
Grazie a tutti quelli che hanno voluto essere presenti alla
Celebrazione Eucaristica Esequiale e raccogliere il suo
testamento spirituale presentato attraverso le preghiere,
l’omelia del parroco e gli interventi di un altro sacerdote
e di un amico.
Grazie al gruppo degli Istruttori di Escursionismo a cui
Primo era legato in modo particolare. Per i corsi Primo era
disposto a tutto, qualsiasi sacrificio gli costasse. Sentiva
di poter dare, trasmettere ‘amore e passione’ per la
montagna e con essi il gusto per la vita e per le cose belle.
Era un’occasione per interessere rapporti umani, che sono
stati l’essenza della vita di Primo.
Grazie perché con la divisa vi siete resi più visibili. Grazie
per l’accoglienza che gli avete riservato all’arrivo sul
sagrato della chiesa, per averlo accompagnato davanti
all’altare, per averlo fatto sentire ai nostri occhi ‘’vivo’’.
Grazie ai componenti del Coro e al loro maestro. Grazie
per avergli regalato il canto ‘Signore delle Cime’, un
canto che Primo amava tantissimo e che ha dato avvio
in modo solenne, caloroso, commovente, al Rito di
commiato. Grazie per tutti gli altri canti che hanno aiutato
il raccoglimento e ad elevare le nostre anime al Signore.
Grazie ancora a tutti per avermi dato testimonianza di una
vera fraternità, quella fraterna amicizia che sa dare valore
all’Associazione del Club Alpino Italiano.
Ho voluto ringraziare ricordando gli ultimi momenti della
vita di Primo, ho voluto condividerli perché dentro il cuore
di tutti gli Associati zampilli, come Primo ci ha insegnato,
sempre fresca e cristallina la fontana della gioia, dell’amore
per la vita e per il prossimo.
Oriella Mason Stivanello
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ricordiamo
Lo scrivo
o non lo scrivo?
Tributo a Tony Guerra
“Chi era sto Tony?”sarà la domanda ovvia.
Uno come tanti, uno che amava la montagna a dismisura sin da quando era giovane; parecchi anni
hanno fruttato tanti bei bollini colorati e un’aquila
d’oro, tanta esperienza e conoscenza al limite del
pensabile.
Ti conoscevano in pochi alla sede padovana perché per anni hai abitato in giro con la fortuna per
te di scoprire le montagne dell’ Ovest e poi anche
all’Est, le Alpi friulane.
Tanta Montagna. Sempre. D’estate e d’inverno,
non c’erano periodi di pausa; una tua passione
giovanile che hai sempre coltivato, fino a che ce
l’hai fatta andare in disgrazia e per anni non ci
sono andata…e poi…vedi come va il mondo….mi hai trasmesso il virus in modo repentino e violento.
Tutti i racconti più interessanti e assurdi, purtroppo, me
li facevi solo ultimamente: da Baroni che ti ha disegnato
il letto, agli incontri con Gianese, alla folle caccia al gallo cedrone….. come potrò dimenticare l’arredamento del
Lagazuoi (anche se non l’ho mai visto!); tutti i rifugi, le
altitudini a memoria, le dritte…Mi hai straviziato con la tua
onniscienza: non so quasi neanche leggere una cartina,
né tanto meno ideare un itinerario, per forza! Facevi tutto
tu…e bene e di più e con le varianti da scegliere... E cosa
non c’era nello zaino?! altro che Eta Beta, lui non lo aveva
il siero antivipera!
Ora.
Chi mi indicherà tutti i nomi delle vette?
Chi mi dirà di andare più piano sciando?
Chi mi dirà di arrampicare con prudenza?
Tu, che non arrampicavi, ma, non si sa perché, ti eri costruito una staffetta! l’ho preso come un segno della Sorte: mi iscriverò di sicuro al corso di artificiale.
Caro Tony, mi sei scappato così, senza logica, e non ho
fatto in tempo a capire; tutto troppo in fretta, troppo assurdo; avevi ancora tanto da insegnarmi e io non imparerò mai i nomi di tutte le cime. In ogni gita ai monti, in ogni
arrampicata, mi dovrò accontentare di avere una tua cosa
e penserò che il tuo spirito fedele mi accompagnerà.
Felice di averlo scritto, si, sicuro, te lo meritavi certamente.
Grazie Annina.
Tua figlia Marta
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