Comune di
Capo di Ponte
Agenzia Turistico Culturale
BATTI STA
cercatore di graf f i ti
Le parole di quanti
lo hanno conosciuto e stim ato
Comune di
Capo di Ponte
Agenzia Turistico Culturale
BATTI STA
c e r c a t o re di graf f i ti
L e parole di quanti
lo hanno conosciuto e stim ato
BATTISTA, cercatore di graffiti
Introduzione
L’Amministrazione Comunale di Capo di Ponte, l’Agenzia Turistico Culturale e
l’Associazione Pro Loco presentano questo opuscolo per celebrare Battista Maffessoli, cittadino illustre ed importante, ad un anno dalla sua scomparsa.
Battista ha dedicato la sua esistenza alle incisioni rupestri, a cercare quei simboli
millenari che sono la testimonianza di un’importante ed antica civiltà.
È anche grazie al suo umile e silenzioso contributo che queste “tracce” hanno
potuto raggiungere la fama che meritano e diventare, nel 1979, patrimonio dell’Unesco.
Negli istanti immediatamente successivi alla sua scomparsa abbiamo creduto utile
chiedere - a coloro che lo hanno conosciuto e stimato - un ricordo spontaneo, che
venisse dal cuore e dall’anima e che non avesse in nessun modo il tono dell’ufficialità.
Crediamo che questi testi bene esprimano cosa abbia rappresentato Battista e cosa
possa continuare ad essere per noi anche nel futuro prossimo.
3 settembre 2007
Ideazione, organizzazione e coordinamento
Comune di Capo di Ponte
Agenzia turistico-culturale comunale
Pro Loco Capo di Ponte
L’Amministrazione Comunale
di Capo di Ponte
Fotografie
Fotostudio Effegi
Francesco Ferrati
Alberto Marretta
Leo Milani
Rilievi
Emilio Visconti
Progetto grafico
Lorenzo Caffi per la Cittadina
Stampa
La Cittadina, azienda grafica - Gianico
Alcuni materiali documentali presenti nell’opuscolo sono stati gentilmente concessi dalla famiglia Maffessoli
e dall’Associazione Morphosis, curatrice della mostra “Il bosco dei graffiti”, realizzata nel settembre 2005
in occasione dei festeggiamenti per il cinquantenario di fondazione del Parco di Naquane.
© Tutti i diritti riservati
Un ringraziamento particolare va alla moglie Maria Ruggeri per la disponibilità dimostrata.
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BATTISTA, cercatore di graffiti
A mio marito
Maria Ruggeri
Di mio marito posso solo dire che non ho conosciuto persona più buona, educata e prudente. Quando
Battista mi chiedeva qualcosa, diceva sempre “per
piacere”.
Se volevo farlo felice gli facevo raccontare il suo passato. Ha conosciuto tante persone di alta cultura nazionali, internazionali e Vescovi di chiesa cattolica e
protestante. Del Vescovo protestante di Coira (Canton Grigioni - Svizzera) Battista diceva: “È buono e
forse viene dalla nostra parte”.
Se venivano persone interessate ai graffiti diventava subito amico e li portava dove volevano senza voler in alcun modo essere ricompensato. E se riceveva qualche
compenso o regalo era felice di darmelo subito perché
Lui non teneva mai neanche il portafoglio in tasca.
Sulla fede non aveva nessun dubbio e ci teneva a testimoniarla, spiegando ai suoi amici il Vangelo e la Bibbia che professava conoscendoli approfonditamente.
Gli piaceva anche confrontarsi coi Testimoni di Geova, spiegando loro la nostra religione.
Io avevo la bella abitudine di andare alla Messa anche nei giorni feriali. Quando lui
era ammalato gli dicevo: “Non vado a Messa, ti faccio compagnia”, lui rispondeva:
“Vai, vai! Non lasciare il Signore per Battista. Vai e prega anche per me!” Prima di
andare a dormire voleva che recitassi il rosario e voleva la mia benedizione. Diceva:
“La tua vale più di quella del prete!”
Ha fatto un disegno con scritto “Battista nelle ginocchia di Gesù” e io lo penso in
cielo nelle ginocchia di Gesù e pregherà per me e per tutti.
Una testimonianza sulla bontà e carità.
Io avevo un fratello sacerdote, Don Silvio, nella parrocchia di San Filippo Neri a
Torino; durante la sua lunga malattia (costretto per più di vent’anni a dialisi), Battista si è prodigato per assisterlo, alternandosi con mia nipote Ilaria. Ilaria è stata
molto vicina anche a Battista e lui le era profondamente riconoscente.
Aveva solo 14 anni Ilaria quando, preparata da Battista, iniziò a fare la “guida” alle
incisioni. Quando mia nipote trovava il tempo di venire lo faceva davvero molto
felice. Alla fine lo ha molto assistito, facendo anche parecchie notti. Così come
mia nipote Libera, che aveva la maniera giusta per aiutarlo e mi ha sollevato con il
suo aiuto anche di notte. Le ringrazio di cuore, sicura che Battista nelle ginocchia
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BATTISTA, cercatore di graffiti
Ambasciatore della nostra terra
Francesco Manella
Sindaco di Capo di Ponte
di Gesù pregherà per tutti quelli che gli sono stati vicini. Battista aveva inoltre un
forte attaccamento anche ai sui fratelli: Margherita e Tommaso che gli sono stati
sempre vicini.
Il testo che segue è uno scritto di un suo biglietto:
“È la festa solenne del Corpo del Signore.
Abbiamo fatto le quaranta ore e l’ostia consacrata è stata esposta nell’altare come
tutte le volte. Io sono andato in chiesa a prendere l’ostia consacrata tre volte. Quella notte ho chiesto a Gesù lì presente di farmi tanti favori, quasi adesso mi sono
pentito, perché era la volontà sua da accettare, non pretendere che Dio facesse la
mia volontà.”
Battista aveva riconoscenza di grandi amici: Visconti, i guardiani di Naquane, specialmente Vittorio, Franco Ghetti e Alberto Marretta.
Era sensibile e soffriva per chi faceva promesse che poi non manteneva e si sentiva
profondamente tradito da coloro che non restituivano ciò che lui, credendo in un
loro autentico interesse, aveva prestato. Lui aspettava sempre e diceva: “Solo parole e non fatti, questi non sono amici onesti.”
È doveroso ringraziare, a nome dell’Amministrazione Comunale e della cittadinanza intera di Capo di Ponte, Battista, per quello che ha rappresentato in tutti questi
anni. È stato praticamente un ambasciatore della nostra terra per la sua capacità di
divulgare le ricchezze del nostro paese.
Questa pubblicazione è la testimonianza del valore di Battista.
Lui non ha inseguito il successo, ma ha permesso agli altri di mietere tanti successi
aiutandoli nelle grandi scoperte ed ha lasciato ad altri il merito di averle fatte.
Non ha scritto libri, ma ha permesso ad altri di farlo.
Battista era fatto così.
Ha cercato di vivere nel modo più discreto e anonimo possibile, ha fatto dell’umiltà
una sua filosofia di vita, ha sempre evitato i riflettori. Eppure... Quanti sentieri ha
aperto, di quante persone è stato maestro, quante cose ha scoperto, quanti ricordi
ha custodito fedelmente... Tutti noi gli dobbiamo dei grazie.
Ci ha testimoniato il valore della curiosità, della passione, della tenacia, senza le
quali nella vita non si ottiene nulla, ma anche della modestia, della discrezione e
dell’umiltà, senza le quali il successo diventa arroganza e la vittoria diventa sfrontatezza. Il nostro paese da oggi sarà più povero.
Eppure grazie a Battista è diventato più ricco: di storia, di racconti, di scoperte e
di generosità.
Per tutto questo grazie Battista.
Ciao Battista, tua Maria
Settembre 2005: inaugurazione della mostra “Il bosco dei graffiti”
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BATTISTA, cercatore di graffiti
Un folletto biondo scapigliato
Emmanuel Anati
Direttore Centro Camuno di Studi Preistorici
Incontrai nei boschi sopra Capo di Ponte un folletto biondo scapigliato con degli
scarponi da montagna di vecchio stampo. Mi seguiva e mi fermai per attenderlo.
“È venuto qui per le incisioni rupestri?”
Disse: “Io ne conosco tante che nessun altro conosce”. Era il lontano 1956. Studente della Sorbona di Parigi avevo ricevuto un incarico dal CNRS francese che
mi aveva appena concesso una borsa di studio, “Lo stato delle conoscenze sull’arte
rupestre dell’Europa occidentale”. Viaggiavo attraverso l’Europa per visitare i siti
menzionati dalla letteratura scientifica. Avevo con me gli articoli di Paolo Graziosi,
di Giovanni Marro, di Raffaello Battaglia e di altri autori.
Battista, già conosceva tutti questi articoli.
Programmavo di rimanere in Valcamonica alcuni giorni e Battista prese vacanza dal
falegname presso il quale lavorava per mostrarmi le sue scoperte, che erano tante.
Toglieva il muschio ed apparivano incisioni rupestri. Aveva una reale passione per
queste esplorazioni e ad ogni nuova incisione che appariva faceva salti di gioia.
Ci soffermammo su una roccia della quale si vedevano sì e no sei o sette metri quadri di superficie. Le incisioni proseguivano sotto il muschio e così cominciammo a
toglierlo. Per oltre una decina di metri le incisioni continuavano.
La roccia aveva figure di stili diversi e molte sovrapposizioni di figure fatte le une
sulle altre. Gli chiesi se potevamo portare avanti questa scoperta l’anno seguente.
I suoi occhi si illuminarono. L’anno successivo, il 1957, fu il primo della “Missione
Anati”. La roccia venne interamente portata alla luce e rilevata.
Aveva circa cento metri quadrati d’incisioni rupestri con quasi mille grafemi e da
allora si chiama “La Grande Roccia di Naquane”.
Battista fu la guida dei primi anni di ricerca e divenne amico di tutti: degli studiosi
che venivano a trovarmi durante le ricerche e degli studenti italiani e francesi che
facevano il loro stage nel corso delle campagne di ricerca.
Ricordo la sua emozione in alcuni casi particolari. Un giorno andammo in montagna a vedere una località d’arte rupestre che appariva lungo un sentiero. Era stata
notificata da Piero Leonardi in un articolo.
Battista mi mostrò le incisioni che apparivano lungo il sentiero. Ci guardammo
attorno e scoprimmo quello che poi divenne, qualche anno più tardi, il logo del
Centro Camuno di Studi Preistorici fondato nel 1964. Era la roccia che denominammo, in base alla località, “Il Capitello dei Due Pini”, un luogo dove un’icona
della Madonna nascondeva, in parte, l’icona preistorica. Come sovente avviene
in Valcamonica, le persistenze di culto si ereditano da periodo a periodo. Vista
l’incisione Battista cominciò a saltare di gioia e quella sua felicità spontanea fu immediatamente trasmessa a tutto il gruppo. Altro caso analogo si verificò quando un
contadino di Boario ci segnalò di aver trovato delle incisioni rupestri. Andammo
a vederle e scoprimmo così la oggi celebre “Roccia dei Corni Freschi”. Anche lì
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Battista non nascose le sue emozioni e la sua felicità e il suo entusiasmo contagiarono tutti.
In quegli anni eravamo tutti più giovani e non era facile trovare un ventenne con
tale vero interesse per l’arte rupestre. Battista era carico di passione e nel suo modo
semplice e spontaneo sapeva trasmetterla agli altri. Aveva alcune doti che sono fondamentali per l’esistenza e la convivenza: la curiosità, la lealtà e la dedizione.
Quando gli feci visita alcuni giorni prima che ci lasciasse, ravvisai in quel volto
pallido la stessa espressione dei primi tempi. Nel corso degli anni per me Battista
è rimasto sempre quello: quel folletto scapigliato, pieno di passione e di curiosità,
che avevo incontrato nei boschi di Capo di Ponte nel 1956.
Tiziana Cittadini, Emmanuel Anati, Alberto Marretta e Battista
durante la scoperta della nuova Mappa di Bedolina.
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BATTISTA, cercatore di graffiti
Al grande amico di mio fratello Jack
Noemi Belfiore
Da molti anni a questa parte, il sabato pomeriggio, vado a fare la spesa a Capo di
Ponte. Fino al maggio scorso trovavo ad aspettarmi sulla soglia della sua bottega
Battista il quale, ogni volta, aveva qualche cosa di nuovo da mostrarmi o da raccontarmi.
Dalla vetrinetta del suo negozio, che sembrava inesauribile, estraeva documenti,
libri, articoli di vecchi giornali, la sua corrispondenza, fotografie in bianco e nero
che lo ritraevano in compagnia dei più illustri studiosi d’arte rupestre che si erano
avvicendati in Capo di Ponte e che lui, già dalla prima metà del secolo scorso,
accompagnava sulle rocce. Battista le rocce incise le conosceva tutte a memoria e,
sin da ragazzo, aveva intuito che i segni che vi erano impressi rappresentavano un
enorme e prezioso patrimonio da scoprire, studiare e proteggere.
Mi spiegava anche il significato di questa o di quella sua scultura cui spesso cambiava il posto a seconda della necessità, nel periodo natalizio ad esempio usava
le sue statuette ed i suoi quadretti per comporre un presepio un po’ strano ma
pieno di poesia. Così la bottega di tanto in tanto si rinnovava nel suo arredamento, mantenendo però sempre il suo simpatico disordine e la sua unicità. Nel caso
della grande pianta di edera che aveva recuperato nei campi fra Capo di Ponte e
Cemmo, e con infinita pazienza ripulito dalla corteccia, mi diceva di averla trattata
con estremo rispetto, trattandosi di una pianta secolare che aveva assistito (quasi
fosse una persona) a chissà quanti e quali eventi; senza alterarne la forma l’aveva
trasformata in una vera e propria scultura.
Era inevitabile che due persone come Battista e Jack, incontrandosi, dovessero
immediatamente comprendersi, e vicendevolmente stimarsi e ispirarsi. Ambedue
avevano la stessa idea panteistica del mondo, ambedue un animo predisposto a
comprendere la poesia, entrambi vivevano in una dimensione staccata dalla banalità e dalla normalità del vivere quotidiano; il modo di “sentire” e di percepire la
realtà di Battista e di Jack oltrepassava i confini del piccolo paese e faceva di loro
due soggetti al di fuori dello spazio e del tempo, le loro “geografie” non erano
tracciate dai confini materiali. Tutti e due, nonostante l’età adulta, conservavano
intatti la curiosità e lo stupore dei bambini e a volte veniva voglia di difenderli o
proteggerli dall’altrui arroganza e miopia.
Il dialogo fra loro non si era mai interrotto, neanche dopo la prematura scomparsa
di Jack avvenuta nella primavera del ’97; Battista mi diceva di sentire spesso la
necessità di recarsi in località Foppe di Nadro, alla capanna di Jack, perché lì, lui
ritrovava il suo grande amico e lì continuava il suo dialogo con lui. Considerava
il manufatto di Jack, non la semplice ricostruzione di un granaio preistorico, ma
un vero e proprio capolavoro. Secondo Battista, per realizzare quella struttura,
Jack si era trasferito mentalmente nel tempo preistorico, trasformandosi lui stesso
in uomo preistorico nell’uso rigoroso delle tecniche, conoscenze e strumenti di
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quell’età antica; mi riferiva che osservare la capanna, così come Jack
l’aveva orientata, il suo equilibrio
e le soluzioni architettoniche che
vi aveva introdotte, gli creava ogni
volta una grande emozione, in quel
luogo diceva di sentirsi più vicino
al Cielo.
Con lo stesso rispetto e quasi religiosità, penso che Battista si avvicinasse anche alle incisioni rupestri;
accompagnandomi sulle rocce, che
lui considerava il libro su cui avevano scritto i nostri progenitori, mi
spiegava che nulla era casuale nelle
figure incise. Il fatto che una figura
avesse un certo orientamento rispetto agli astri e ai punti cardinali
o alle montagne circostanti, le sue
dimensioni, la sua posizione e la
successione rispetto alle altre avevano un significato ben preciso; mi guidava a leggere e ad immedesimarmi nel pensiero dell’autore, un pensiero secondo lui sempre
ispirato da una forza superiore, tendente all’infinito e al divino.
“Vedi questa roccia, gli studiosi stanno cercando di capire cosa vi sia rappresentato; ma è semplice: qui c’è il sole, qui la luna, qui la terra, qui siamo noi; il tutto è
racchiuso in un cerchio. Su questa roccia il nostro progenitore ha voluto rappresentare l’Universo”.
A Battista era bastato sapere che ero sorella di Jack per regalarmi e onorarmi della
sua amicizia e fu veramente felice quando gli dissi che la mia famiglia intendeva
curare la pubblicazione di un piccolo volume sul lavoro di Jack, trovava fosse un
atto dovuto, un rendere giustizia a una persona che in vita non era stata capita appieno e purtroppo considerato da molti (forse un po’ come si sentiva considerato
lui - senza che la cosa lo turbasse più di tanto) solo e semplicisticamente un po’
stravagante, un po’ originale.
Sono andata a fargli visita un quindicina di giorni prima che ci lasciasse, si soffermò
poco sui suoi acciacchi, preferì condurmi ancora una volta sulle sue amate rocce
mostrandomi una recente videocassetta che lo riprende nella guida di un gruppo
di amici alle incisioni rupestri.
Mi manca Battista, mi mancano la sua saggezza, mitezza e tolleranza.
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BATTISTA, cercatore di graffiti
Un infaticabile conoscitore
Punto d’incontro tra diverse culture
Sr. Mariangiola Borghetti
Giuseppe Brunod
Studioso di arte rupestre e preistoria
Se penso agli inizi del mio insegnamento
nella scuola di Cemmo, non posso non ricordare i molti incontri, che poi si sono protratti nel tempo, con Battista Maffessoli.
Lui, uomo semplice, ma desideroso di conoscere e di sapere, ha dato un notevole e
intelligente contributo per la scoperta dei
così detti “pitoti” che poi, grazie proprio
anche al suo aiuto, sono diventati un patrimonio di interesse universale.
Questa ricchezza che l’uomo del passato
ha lasciato ai posteri, incidendo sulla pietra il suo modo di vivere, la sua vita quotidiana, il suo lavoro, le sue credenze religiose, è stata riportata alla luce, con fatica,
dal nostro Battista il quale non ha avuto paura a spendere molto del suo tempo
per ripulire dal terriccio e dal muschio le numerose pietre presenti soprattutto in
Naquane.
Nel suo lavoro, l’infaticabile Battista ha coinvolto intelligentemente anche altre persone e io sono stata una di queste fortunate che ha avuto la possibilità di conoscere
e apprezzare, fin dai primi tempi, il valore e la bellezza di questo patrimonio.
Come non ricordare le visite fatte al luogo delle incisioni, in compagnia di Battista,
con le mie studenti quando ancora le pietre di Capo di Ponte, che oggi hanno fatto
il giro del mondo, non avevano raggiunto un così alto livello di conoscenza? E
come poter dimenticare i vari calchi eseguiti in loco per rendere più viva la consapevolezza di tale ricchezza tra le mie alunne?
Io serbo una grande riconoscenza per questo uomo onesto e intelligente che ha saputo circondarsi di persone competenti, tanto che oggi archeologi vicini e lontani
hanno studiato e approfondiscono sempre di più la grandezza di questo patrimonio che si trova sui pendii della destra e della sinistra del fiume Oglio.
Battista ci ha lasciati, ma resta nel cuore di chi l’ha conosciuto il suo ricordo vivo e
indelebile per quello che lui è stato e per quello che lui ha fatto ed è molto.
Io lo immagino accolto in paradiso con grande festa, soprattutto da quegli antenati che hanno lasciato la loro storia sulle pietre. Lui li ha fatti rivivere attraverso
la sua amicizia proprio con queste pietre che da Capo di Ponte hanno raggiunto
le località più lontane per narrare a tutti le vicende di quella storia millenaria che
vede l’uomo come protagonista attraverso il suo lavoro la sua religiosità e la vita di
ogni giorno.
Grazie Battista, il tuo lavoro continui a rendere grande il nome di Capo di Ponte
ovunque.
Ho incontrato Battista per la prima volta sul ponte che attraversa il paese di Capo
di Ponte e dalla farmacia conduce al Centro Camuno di Studi Preistorici. Era una
giornata luminosa e piena di sole, con quel cielo blu senza nuvole, dove le cose
brillano nella loro essenza, quasi come entità geometriche. Ho chiesto la strada a
questo simpatico signore che passava di lì. Non sapevo chi fosse. Il suo sguardo si
illuminò, come fece poi in un’altra occasione.
Mi chiese se mi occupavo di “pitoti”. Io non sapevo ancora cosa fossero i “pitoti”
ed ero solo in vacanza. Su sua indicazione arrivai al Centro e da quel momento
cominciò una lunga storia. Lo rividi poi, alcuni anni più tardi, quando, in occasione della pubblicazione su Giovanni Marro, gliene recapitai una copia. Mi portò,
tutto contento, nella sua bottega dove teneva, in allegra confusione, pezzi di legno,
calchi ed altro che faticavo a capire cosa fosse.
Quasi gli scendevano le lacrime agli occhi. Ormai io lo conoscevo, il simpatico
Battista. E lui mi ricambiava con affetto. Mi donò un suo calco di una rosa camuna
appena seppe che mi occupavo della cosa. Era commosso Battista che avessi composto un libro su Marro. Era stata Mila Simoes de Abreu, portoghese, a mettermi
sulle tracce dell’illustre studioso piemontese di Limone Piemonte.
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BATTISTA, cercatore di graffiti
Battista non mi era certo estraneo nei modi e nella
sua semplice, gentile e schiva partecipazione ai miei
lavori.
Mi fu grato per il regalo. Apprezzò molto che si parlasse della storia delle ricerche. Anche lui ne faceva
parte, per aver accompagnato sulle rocce tanti studiosi
di tutto il mondo. Quasi tutte le mie pubblicazioni arrivarono in qualche modo nelle mani di Battista. Mi accompagnò anche in Comune dove ancora adesso il busto e la targa di
Marro sono posti all’ingresso, a ricordo del lavoro compiuto da
Giovanni Marro e da Squinabol.
Vorrei ricordare la figura di Battista come uno che trovavi
spesso silenzioso sulle rocce di Naquane, quasi in disparte, a contemplare i suoi
graffiti. Scendendo con lui dalla strada a piedi, a volte, capitava di fare due chiacchiere. Ed allora lui accendeva i sui occhi vispi e curiosi parlando a ruota libera
del segreto dei camuni custoditi nelle rocce incise. Chissà cosa pensavano? Chi era
colui che aveva inciso tali opere? Lui, da bravo artigiano abituato ad usare la mano
ed il pensiero senza slegarli, sentiva che l’opera incisa aveva travalicato il tempo ed
era ancora lì, muta testimone, scavalcando i secoli, a dirci della mano e della mente
che l’aveva incisa tanti secoli or sono.
Ecco, l’aspetto bello solare del Battista: stupirsi ancora del miracolo che si accende sotto gli occhi di chi guarda. L’opera incisa restituiva un fare, lui artigiano del
legno, falegname intelligente e pensante.
Ho conosciuto ortolani e falegnami che sapevano fare vere opere d’arte con la
mano e l’intelligenza. Lui amava le forme, trascinava tronchi contorti che facevano
bella vista in bottega, al naturale, oppure li portava in bottega per essere scolpiti
con il gusto di appoggiare lo scalpello sulla materia e sentire, alla fine del lavoro,
il profumo delle schegge. Ecco, Battista era un entusiasta, si sentiva partecipe con
i Camuni antichi, di un fare e di un pensare. Gli regalai anche il libro sulla rosa di
Sellero e quello sui massi incisi.
Dopo qualche mese lo trovai a Pescarzo ad esporre durante la Mostra Mercato. Gli
chiesi che cosa ne pensava. Ci tenevo al suo parere. Con i suoi occhi lucidissimi
controllò che non ci fosse nessuno nelle vicinanze e mi disse franco che non gli era
piaciuto, che non era d’accordo, che trovava troppo complessa la cosa. Mi piacque
la sua sincerità discreta ed affettuosa, quel gesto di dirmi, quasi in privato, sussurrando che aveva dei forti dubbi; poi tacque, come se all’improvviso, gli fosse sorto
il dubbio di avermi offeso, con quella schiettezza troppo tranciante.
Ecco Battista era così. Semplice e sereno nel dire e nel pensare.
Schiettezza come farebbe piacere trovare in tanti paludati professoroni.
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Avevo intenzione di regalare a Battista il mio lavoro su Bedolina. Lo consegnai alla
sua parente ed amica carissima Ilaria, che per tanti anni ha fatto la guida alle incisioni ed ora si occupa con competenza e passione della locale Pro Loco. Non so se
Battista abbia mai letto il mio libro su Bedolina, ma spero di sì. Ora che non è più
tra noi, dopo aver accompagnato per cinquanta anni quasi tutti gli studiosi in Valle,
spero che la sua bottega diventi ancora un posto che trovi studiosi ed appassionati
di “pitoti” a discutere in libertà e schiettezza i temi che appassionavano Battista.
Battista Maffessoli è stato il punto di raccordo tra la gente del posto, i camuni, e gli
studiosi che da tutte le parti del mondo hanno affollato la valle per studi e ricerche,
ma anche per una affettuosa forma di amicizia che lega molti studiosi di ogni parte
della terra, alla Valcamonica.
Vorrei che tutti quelli che hanno conosciuto Battista si trovassero ancora insieme
nella sua bottega-laboratorio: all’insegna dell’amicizia e della gioia di comunicare
nuove scoperte ed interpretazioni. E vorrei che la sua bottega, dove Battista passava tanto tempo a scolpire, fare calchi, parlare di incisioni con la gente che passava
per Capo di Ponte, fosse ancora un punto di amore per la cultura.
Non abbandoniamo il Maestro Battista al silenzio e alla polvere dei ricordi.
Facciamo della sua vicenda e della sua memoria un punto sempre vivo di incontro
culturale e di amicizia tra studiosi.
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BATTISTA, cercatore di graffiti
Il funerale dei vivi
Ascanio Celestini
Attore
Una volta eravamo saggi e il funerale ce lo facevamo da vivi. Ci andavamo con lo
stomaco pieno di maccheroni. Ci coprivamo la testa e camminavamo sulla strada
del camposanto. Scalzi per sentire le pietre, per intendere il peso dei nostri peccati.
Ci accompagnavano i compari e le comari in silenzio e piangevamo davvero perché
la morte è una cosa seria pure quando si fa per scherzo.
Una volta credevamo a tutto perché ci sembrava che era tutto segreto. La natura non
era un patrimonio da salvare come uno che si sta affogando e bisogna raggiungerlo
col salvagente prima che si beva troppa acqua.
La natura era un marasma e noi ci stavamo dentro come il passeggero di una nave
nel mare in tempesta che spera nelle capacità di un comandate che manco conosce.
Lo prega come si prega un santo.
Magari poi è un pilota automatico, una macchina che fa tutto da sola. Magari
manco è una tempesta, ma il mal di mare che ha trasformato le piccole onde in
una grande agonia. Una volta credevamo a tutto perché ci sembrava che era tutto
segreto. Adesso abbiamo dovuto perdere la fede per non rischiare di affogare
davvero nel mare grosso. Adesso al funerale ci andiamo solo da morti.
Ma io il funerale di un vivo l’ho visto davvero. Emilio mi ha portato in Val Camonica
da Battista Maffessoli che mezzo secolo fa ha riscoperto le incisioni rupestri degli
antichi Camuni. Ha inciampato in un cervo, cioè in un graffito che lo raffigura.
Al paese dicevano che quei “pitoti” li aveva fatti un capraio, ma poi in valle sono
arrivati gli studiosi e Battista ha continuato a scoprire le rocce. Toglieva la terra e
il muschio, faceva i calchi di gesso e accompagnava i dottori di mezzo mondo tra i
guerrieri e le danze grattate nella roccia.
Al tramonto, prima di tornare dalla sua donna vera che lo aspettava a casa, si
metteva vicino all’incisione di una piccola donna antica. Le braccia chiuse in un
cerchio e le gambe a specchio. Si guardavano la valle insieme pure se erano un
uomo e una pietra divisi da migliaia di anni.
Battista dice che una volta all’alba ha sentito un violino, è arrivata un’astronave
con tutti gli scienziati che erano passati nella valle e nel frattempo erano morti. Gli
hanno detto “ce ne andiamo dai Camuni. Ci sveleranno il mistero delle incisioni”.
Io che non sono pratico né di astronauti, né di archeologia gli ho chiesto se era una
storia che si era inventato lui, un sogno o una cosa vera.
Lui non ha risposto perché era saggio e credeva ai segreti.
Poi siamo andati a mangiare e io non conoscevo quasi nessuno.
C’era Emilio che avevo sentito al telefono un paio di volte, c’era Battista col quale
avevo passeggiato per le rocce, che mi aveva mostrato un omino corridore con i
capelli dritti e lui lo chiamava “il bersagliere”, che mi aveva illustrato la roccia
grande, la sua cappella Sistina.
Abbiamo mangiato e eravamo molto contenti.
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Ora è passato un anno e sono tornato in Val Camonica.
Emilio mi dice che quel giorno di maggio è stata l’ultima volta che Battista è salito
alle rocce.
È morto dopo qualche settimana, a settembre.
E io non l’avevo capito che quello era il suo funerale da vivo.
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BATTISTA, cercatore di graffiti
Interprete dell’anima
Cercatore di graffiti
Tiziana Cittadini
Direttore Riserva Naturale Incisioni Rupestri di Ceto, Cimbergo, Paspardo
Francesco Ferrati
Consigliere Comunale di Capo di Ponte
Battista, nel campo dell’arte rupestre, rappresentava l’interpretazione animistica,
istintiva e popolare dell’arte rupestre, dava voce a quelle motivazioni profonde ed
ancestrali che sicuramente hanno mosso e motivato l’uomo preistorico nell’esecuzione di questi segni graffiati sulla roccia.
Il suo raccontar conciso “... di spiriti racchiusi nella roccia che venivano liberati dall’atto dell’incidere...”, facevano percepire una dimensione parallela dell’atto istoriativo che la scienza archeologica difficilmente coglie e trasmette nella sua
asetticità di dati e categorie, ma che pure doveva essere presente nell’uomo preistorico per indurlo a realizzare tante figurazioni sulle dure rocce.
Questo, di lui, colpiva: incontrarlo nei boschi intento a seguir pensieri antichi che
trovavano espressione nelle figure immobili incise sulle pietre. Così, raccontava
non tanto di epoche e forme ceramiche o collegamenti archeologici, quanto di
sentimenti e sensazioni che dovevano, a suo parere, motivare gli antichi antenati
all’atto dell’istoriazione.
Come dire: i sentimenti, i bisogni di relazionarsi con gli antenati, gli affetti, sono le
cose concrete e senza tempo, che hanno portato gli uomini preistorici ad incidere
e che ancora ci accompagnano.
Un pomeriggio in visita a Zurla, in compagnia di alcune guide della Pro Loco, è uno
dei ricordi più significativi della mia amicizia con Battista.
L’anno scorso, dalle ultime rocce a sud del Parco di Naquane, siamo scesi a strapiombo sulla statale, per vedere, finalmente dal vivo, quel “mondo” che è sempre stata
l’incisione a lui più cara.
Nonostante l’età e la malattia già avanzata, Battista, con una rapidità impressionante
e con il rischio di finire sui binari del treno, guidava il gruppo in discesa.
Qualche occhiata per orientarsi ed eccole lì le raffigurazioni più misteriose, da pulire
con la mano per togliere la patina nera e schiarire la roccia.
E poi, naturalmente, il suo commento e le interpretazioni più belle, per capire la
scena e cercare di dargli un significato.
«Altro che artisti! Sono anche degli studiosi veri e propri! Degli scienziati!» ripeteva
con enfasi, cercando il consenso di Ilaria ed invitando me, Celestina, Renata e Sergio
a non sminuire quello che avevamo sotto gli occhi.
La piastrella artistica - ideata dalla Pro Loco per rimarcare le celebrazioni del Cinquantenario di Fondazione del Parco di Naquane - è ancora appesa fuori dalla sua
bottega di via Italia.
Raffigura, non a caso, il mondo di Zurla e recita semplicemente: “Battista, cercatore
di graffiti”.
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BATTISTA, cercatore di graffiti
Radice vitale nella terra dei Camuni
Lo zio Giò Batta
Franca Ghitti
Artista
Mina Maffessoli
Credo che il mio interesse per
le mappe che vedevo nelle incisioni rupestri di Capo di Ponte
sia nato anche dal mio incontro
con Battista Maffessoli. Erano
gli anni sessanta passavo molto
tempo con Manuel e Ariela e
con altri amici e mi entusiasmavo con loro al grande progetto
della fondazione del centro studi. Di quegli anni ricordo che si
camminava tanto, e Battista ci
guidava. Segugio straordinario
annusava e alzava lembi di muschi combattuto tra l’orgoglio di mostrarli e la gelosia di dividere con altri qualcosa che sentiva propria; e si leggevano e interpretavano segni, e si seguivano tracce che Battista indicava e che spesso lo portavano a
vere e proprie scoperte. Maffessoli era provvisto di un fiuto particolare che aveva
coltivato sin dall’infanzia. Sino a poco tempo fa non era difficile che venisse a trovarmi in studio mostrandomi calchi e disegni o le radici che lavorava chiedendo
pareri e esponendo progetti; e sempre coltivavamo l’idea di una futura edizione da
curare assieme e che come tante altre cose non abbiamo mai realizzato.
Non è un caso che Battista avesse individuato nei miei affreschi di Breno le mappe,
i muretti, i confini dei campi; se ne parlava e lui aveva un modo di comunicare le
sue impressioni primitivo e pieno di intuizioni, era un creativo e il suo modo di
esprimersi gesticolando riusciva a comunicare questa sua qualità.
Certo Il mondo delle incisioni rupestri è stato importante nel mio lavoro, ma al di
la questo vorrei ricordare un certo modo di vedere il paesaggio e le modificazioni
del paesaggio stesso, o anche il mio interesse per gli attrezzi agricoli,come qualcosa
che io ho riscoperto con lui, non solo dunque le incisioni, ma quella conoscenza
naturale che aveva delle cose.
I frisei disegnati in gesso sui portoni di Pescarzo sono un ricordo di scoperte fatte
assieme. Le pagine di pietra è una edizione che ho realizzato anche grazie al suo
aiuto e grazie a quei calchi delle incisioni che guardavamo e che lui mi aiutava ad
analizzare.
Tra i miei ricordi che affollano un piccolo tavolo c’è quello che Battista mi ha
lasciato tempo fa dicendomi: è una radice lavorata, ma che non ho mai portato
a termine, voglio che tu la tenga. E la radice più la guardo e più mi pare simile a
un certo modo di essere di Battista, anche lui radice vitale piantata nella terra dei
Camuni.
Guerrieri, palette, palafitte, dischi, cerchi, temi sempre presenti nelle conversazioni dello zio Giò Batta, tanto vitali per lui da doverli condividere con tutti... e questo
da sempre.
I primi ricordi dello zio risalgono ai miei tre anni, allora mi portava spesso nel parco di Naquane. Passando per la località Ronchi di Zir, lui si fermava a chiacchierare
con il suo amico Giovanni Bona mentre io giocavo con le figlie di Giovanni che
mio zio definiva “le bambine buone”. Proseguivamo poi per il Parco e ricordo benissimo come, su una roccia grande immersa nella più totale tranquillità, iniziava a
raccontarmi la storia degli antichi Camuni.
Storia “... disegnata su un grande libro, al quale un forte vento strappò le pagine
disperdendole disordinatamente per tutta la Valle e trasformandole in pietra...”
Aggiungeva poi che queste pagine andavano ora riordinate per poter capire i segreti che ancora custodivano.
Qualche anno più tardi la nostra zona preferita divenne Zurla. Ci andavamo spesso
e su questa roccia scoscesa, interrotta nella sua corsa al fiume Oglio dalla strada
statale, ci trovavamo sospesi tra presente e passato.
La modernità dell’oggi si manifestava con la strada, frequentatissima, con i suoi rumori. La silenziosità del passato si palesava solo ad uno sguardo attento attraverso
le figure incise nella liscia pietra.
“Roccia piena di mistero...” diceva lo zio Giò Batta e continuava: “Molto più misteriosa di tutte le altre...qui c’è la nascita del mondo....” e accarezzando piano il
grande cerchio inciso proseguiva con le sue considerazioni.
Ed è sempre a Zurla che un pomeriggio
d’estate l’ho informato di essermi iscritta
alla scuola per operatori turistici, non voleva mostrare soddisfazione ma io lo sapevo
contento per la mia scelta.
Sulle rocce di Bedolina, dove andavamo
spesso ultimamente, era affascinato dalla
rosa camuna. Supponeva fosse vessillo degli
antichi Camuni, stendardo che andava onorato e difeso anche con i guerrieri. Quegli
stessi guerrieri che nelle sue ultime settimane di vita immaginava “..intenti a lucidare
le corazze e le spade, pronti ad accogliermi
guidati dal dio Kernunnos...”.
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BATTISTA, cercatore di graffiti
Anima vivente dell’arte rupestre camuna
Alberto Marretta
Studioso di arte rupestre e preistoria
Ci incontrammo all’alba di una
mattina silenziosa d’estate. All’incrocio di due solitari sentieri
perduti fra i castagni, come lui
aveva voluto. “Ci vediamo là, io
salgo a piedi, così sto concentrato”, mi disse nel suo antico
dialetto.
Si muoveva agile ed enigmatico, con l’inimitabile equilibrio
di chi possiede la preveggenza
del terreno che ha sotto i piedi. Poche parole fra un passo e
l’altro, perché il labirinto si percorre con il cuore e con la mente e la vita che una
volta pulsava in quei luoghi è ancora tutta lì, forte e palpitante, ma impossibile
da scorgere per un occhio distratto. Rincorrendolo per bricchi e lisce pareti era
impossibile non sentirsi privilegiati. L’onore di accedere ai quei sentieri della memoria, alla irripetibile geografia dei luoghi perduti e ritrovati che popolavano i
suoi pensieri e che aveva raccolto con amore ma anche con amarezza, era per me
immenso, quasi mortificante.
Come molti prima di me, doveva condurmi in un luogo e mostrarmi qualcosa. Era
insieme ansioso e circospetto, come una madre che cerchi il miglior precettore per
i propri figli. Perché quasi di figli si trattava, per Battista.
Creature millenarie, nascoste e dormienti come draghi nelle pieghe della montagna, che venivano svegliate per poter essere interrogate sui loro misteriosi artefici
e sulle loro altrettanto misteriose conoscenze.
Egli aveva il potere di condurti nelle caverne di questi strani draghi, ma sapeva anche nasconderne nuovamente la tana se appena quel primo incontro non lo avesse
convinto del tutto.
Com’è doloroso a volte condividere l’oggetto del proprio amore, permettere ad
altri di avvicinarsi, addirittura di toccarlo! Com’è difficile trovare il coraggio necessario a comprendere i limiti della propria esaltante conquista e infine regalare
ciò che si è faticosamente guadagnato! Com’è difficile capire che si può anche
essere solo dei tramiti e che la propria opera permetterà il compimento del lavoro
di altri! Sempre lucido e umile sulla limitatezza delle proprie intuizioni, ricercava
continuamente e insieme temeva la parola dello studioso, non sempre interprete
ideale del suo pensiero.
Ma tant’è, quando l’uccello viene liberato dalla gabbia può volare verso la libertà
o verso il pericolo, senza che noi si possa più far niente per decidere il corso delle
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cose. Per fortuna ci rimarrà sempre l’emozione iniziale, quel tesoro ultimo e autentico dal quale, comunque vadano le cose, non ci si separerà più.
Mi guidava come si guida un cieco in una città sconosciuta. Capii allora la potenza
di quel vero e proprio sesto senso che era la conoscenza, la confidenza, l’amicizia
con i luoghi e con i suoi piccoli e misteriosi abitanti, il cui richiamo avvinghia come
l’incantesimo di una splendida ninfa avvistata nelle brume di una sorgente. Capii
cosa voleva dire pensare a quelle figure sparse ovunque come a cose vive, alla
maniera antica. Animali che si nascondono, guerrieri che si manifestano improvvisamente nel loro splendore, quando vogliono e a chi vogliono, e poi come sono
apparsi scompaiono di nuovo, nel silenzio immobile del bosco.
Quando il monte è tornato nelle mani della natura, dopo l’abbandono del territorio e la rescissione di un rapporto plurimillenario, gli unici abitanti rimasti erano
proprio questi suoi piccoli spiriti delle rocce. Siamo stati per un po’ gli strani pellegrini di questo reame, a volte insieme, più spesso soli.
Di rado ci si incontrava, quasi scontrava, con la testa bassa e gli occhi quasi rapaci
sempre chini alla continua ricerca dei nostri stravaganti tesori, non più adusi a
riconoscere gli uomini né il frastuono che essi fanno quando pietra, acqua e albero parlano fra loro. È difficile spiegare in che misura l’amore incondizionato per
qualcosa possa creare fra gli uomini sintonie profonde, così rare e preziose se si ha
la fortuna di sperimentarle almeno una volta nella vita. Non saprei nemmeno come
chiamare quella che di fatto non aveva i caratteri classici di un’amicizia ma che in
pratica ha saputo raggiungere quell’ apice di perfetto accordo degno delle migliori
e più fortunate relazioni umane.
Quasi agognava Battista che quell’ultimo velo infine si squarciasse, perché il desiderio e la curiosità lo avevano consumato e il suo spirito era quasi ormai sempre
sulle rocce e nelle rocce. A poco a poco, senza saperlo, stava per essere ammesso in
quel mondo meraviglioso che lo affascinava.
Presto sarebbe diventato una di quelle voci che non muoiono mai, come il soffio
del vento o il gorgoglìo dell’acqua, e che accompagnano
ogni passo del cuore di chi l’ha conosciuto.
È impossibile non sentirne oggi la presenza
e la voce in quei luoghi percorsi e amati,
è impossibile.
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BATTISTA, cercatore di graffiti
Il saluto dei custodi storici di Naquane
Lucia Morandini
Architetto
Ho avuto la fortuna di incontrare Battista Maffessoli grazie a mio marito Alberto,
che lo conosceva da sempre in quanto nato proprio a Naquane perché figlio del
primo custode del Parco. “Batista”, così ho sempre sentito chiamare Maffessoli
dalla famiglia Ruggeri, da Giovanni Battista e dalla moglie Marta Vaira, dai figli Elda e Alberto, da Vittorio Martinazzoli altro custode storico di Naquane e
marito di Elda. Mi sembra ancora di sentire “Batista” mentre parlava con loro
degli amici comuni legati al Parco, soprattutto dei pionieri e degli studiosi che
ritornavano periodicamente, molti anche dall’estero. In queste lunghe narrazioni
Naquane veniva descritta come un luogo al di là del tempo e della storia, un’area
internazionale dove si incontravano persone con provenienze diverse, ma con l’interesse comune della scoperta e dello studio delle origini.
Alberto ricorda che ogni domenica “Batista” trascorreva l’intera giornata al Parco
e per lui era veramente festa trascorrere quel giorno di riposo camminando in
quel territorio magico in cui tutto era sempre da scoprire. L’istinto di “Batista” era
quello di cercare, il gusto di scoprire nuove rocce incise, che avrebbe poi segnalato agli studiosi, ma su questo non sempre era d’accordo il proto custode Ruggeri,
“Batista de Naquane”, che rigoroso nel suo compito di controllo lo aveva denominato “La Talpa”. Mentre ricorda questi aneddoti, a distanza di tanti anni, Ruggeri
inizia a parlare del lato più comico di Maffessoli, quando scherzava pensando ai
loro due nomi uguali e allora la parola d’ordine con cui si identificava al telefono
era “Sono Battista di Maria” riferendosi alla moglie e alla sua appartenenza ad
essa. Ma certamente il lato più goliardico era quello riferito alla caccia, infatti i
due custodi (Giovanni Battista Ruggeri e Vittorio Martinazzoli) sono appassionati
cacciatori, ma spesso la presa era poco fruttifera e allora “Batista” si dilettava a
disegnare vignette comiche, che poi faceva trovare ai due in posti strategici.
“Batista” non negava un legame più intenso con Vittorio Martinazzoli, per impressioni condivise, per passioni comuni, proprio Vittorio gli procurava spesso
la materia prima per i suoi manufatti artistici, fra tutti voglio ricordare uno degli
ultimi lavori, quello con le radici delle edere. Guardo “Il Pastorale”, che ha voluto
consegnare ad Alberto e a me perché era una delle più belle radici di edera che gli
aveva recuperato Vittorio, così complessa, così ritorta, così carica di simbologia,
ma questo era sicuramente il lato più poetico di “Batista”.
L’ultimo ricordo è di Marta, a lei è toccato il saluto da parte di tutta la famiglia,
Maffessoli era suo coetaneo e a questo entrambi tenevano particolarmente, grazie
all’invito di Maria, ha incontrato “Batista” poco prima che riprendesse il cammino verso nuove scoperte..., il pensiero è stato per un amico comune, che da
lontano periodicamente ritornava a Naquane e di cui entrambi avevano avuto
buone notizie...
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I pionieri dei “pitoti” e la prima mappa del Parco di Naquane
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BATTISTA, cercatore di graffiti
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BATTISTA, cercatore di graffiti
L’esposizione di Battista durante la Mostra Mercato di Pescarzo
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BATTISTA, cercatore di graffiti
Frottage e calchi tra le rocce incise
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Battista al lavoro con la moglie Maria
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BATTISTA, cercatore di graffiti
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BATTISTA, cercatore di graffiti
L’atelier di Via Italia
Vanna Pasquali
È facile ricordarsi di Battista, perché a chiunque passi dalla strada di via Italia, nel
cuore del paese, manca quella figura particolare e riservata che si stagliava dietro la
vetrata della sua stanza laboratorio.
Io Battista lo conoscevo da tanti anni e lo ricordo con affetto perchè uomo semplice, anche se di grande originalità e sensibilità.
Sicuramente a lui va il plauso per aver creduto sin dall’inizio in quegli strani segni
sulle rocce e di averli sentiti appartenenti al nostro dna.
Ora mi capita di passare sul marciapiede e, quando sono all’altezza del suo “atelier”, getto inconsciamente uno sguardo alla ricerca del suo viso familiare che sbucava improvviso e si mescolava fra le sue figure di legno, confondendosi e fondendosi con loro, in uno strano apparire e scomparire, come si conveniva ad un vero
artista e maestro del semplice.
Un arrivederci ed un grazie, Battista.
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BATTISTA, cercatore di graffiti
Un vigile “custode”
Raffaella Poggiani Keller
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia
Ho avuto poche occasioni di incontro con Battista Maffessoli e solo negli ultimi anni.
L’ho conosciuto più attraverso le carte dell’Archivio della Soprintendenza, dove
Egli compariva come vigile “custode” (nel senso più alto del termine) delle incisioni, di cui conosceva minutamente localizzazione, studi e studiosi; di questi sovente
si era fatto guida preziosa in un rapporto tra pari, chi da un lato aveva dalla sua la
conoscenza scientifica e chi, come lui, custodiva il sapere antico dei luoghi e delle
tradizioni e, fors’anche, un sentimento partecipe e ininterrotto con il passato.
A volte - come si è osservato nelle lettere e nelle foto presentate nella bella mostra
“Il bosco dei graffiti” che il Comune di Capo di Ponte gli dedicò nel 2005, in occasione delle celebrazioni per il Cinquantenario di fondazione del Parco Nazionale
delle Incisioni Rupestri - si aveva l’impressione che accompagnando gli studiosi
italiani ed esteri alla scoperta delle rocce incise, scrutasse come essi si avvicinavano
al passato, come lo cogliessero e capissero.
Per parte sua li aiutò, certo, a comprendere il sentire di chi incise per una interpretazione che riuscisse a superare gli
schematismi tipologici; li aiutò, anche,
a comprendere lo stretto rapporto intercorrente tra luoghi, paesaggi ed incisioni.
Tutto ciò Battista Maffessoli fece con
l’affetto che si prova per i propri antenati, il desiderio di farli conoscere,
ma al tempo stesso con la vigile difesa
di un passato sentito come proprio, da
condividere - ma non troppo - con gli
estranei. Emerge anche dalle carte un
aspetto che, con la benevolenza del
dopo, definirei “birichino”, quello di
un vecchietto incorreggibile, una sorta
di folletto, che ancora in anni recenti
inseguivamo dietro le tracce lasciate
dai suoi calchi, proibitissimi.
Di certo la curiosità era un tratto distintivo del suo carattere. Me ne resi
conto quando lo conobbi di persona
in occasione della fortunata ripresa
degli scavi a Cemmo, dove intorno agli
storici Massi si veniva discoprendo un
Battista e il Soprintendente Mario Mirabella Roberti
esteso santuario perdurato pressoché
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ininterrottamente dal III millennio a.C. ad epoca romana tardo-antica, quando fu
smantellato dai cristiani. Volle vedere allora la nuova situazione, osservò con attenzione le scoperte e ne fu colpito, lui avvezzo più ad interpretare i segni incisi che
non il contesto archeologico con la sua complessa sequenza stratifigrafica.
Infine, lo vedo ancora quando con aria assorta, seduto accanto al fratello e a Battista Ruggeri, antico proprietario e primo custode del Parco Nazionale, seguì per tre
interi giorni, con attenzione e, direi, affetto, il Convegno che nel 2005 dedicammo
alla storia delle incisioni (“Arte rupestre della Valle Camonica. Storia delle ricerche: protagonisti, tendenze, prospettive attraverso un secolo”).
Era - me ne resi conto in quei giorni - anche la Sua storia.
Così lo ricordo e con me lo ricordano e rimpiangono i custodi del Parco che egli
volle, per testamento, a reggere il feretro nel suo ultimo viaggio a testimonianza di
come amasse, in particolare, Naquane, che tanto aveva contribuito a scoprire e far
conoscere: un luogo in cui ancora echeggiavano, per lui, le vicende di chi qui nei
millenni incise la sua storia. Una storia che, per chi la sapesse intendere, era ancora
viva e tangibile, come la nuvola di coppelle della Roccia 1 in cui Battista vedeva, e
sentiva, lo starnuto del camuno…
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BATTISTA, cercatore di graffiti
Bambino, poeta... puro di cuore
Federica Porteri
Studentessa Universitaria
Ciao Battista, come stai?
Sono certa che ora passi tutto il tempo a parlare con gli autori dei massi di Cemmo, o
con quelli della Roccia Grande, i tuoi primi calchi e rilievi, o della tua Zurla. Oppure
a discutere con chi incise al Dos del Mirichì: furono quelli i primi “omasì” (tu non li
chiamavi mai “pitoti”) che vedesti, no?
E sono sicura che ora le vedi tutte, proprio tutte tutte le rocce che ci sono, le più
nascoste e inaccessibili, quelle che hai scoperto quarant’anni fa e magari non hai più
rivisto e le più strane e ricche e belle...
Per noi però, sai, è davvero doloroso poterti incontrare solo nel ricordo, o nella
preghiera, e impossibile scrivere di te senza farti torto.
Di studenti come me ne hai aiutati tanti, ma la cosa assurda è che ti ci impegnavi con
lo stesso slancio con cui avevi collaborato con un Süss, un Laeng, un Bertogg...
Battista contro corrente, Battista generosità a fondo perduto.
Dalla roccia 14 in poi per me sei stato una sorpresa via l’altra; le rocce sì, ma poi i
ricordi e i racconti a rendere palpitante la stantia storia degli studi, e soprattutto la tua
spiazzante visione del mondo, i lampi di genialità e le perle di folgorante saggezza.
Battista bambino, Battista poeta, Battista puro di cuore.
E poi era uno spettacolo vederti raspare nel fogliame (meglio, nel “patüs”, perché
nel tuo fiero dialetto eri formidabile) e nel giro di pochi minuti grazie al tuo fiuto
ricompariva quella roccia vista vent’anni prima e man mano, al passaggio delle tue
mani, svelava incisioni: parevano prodursi al momento, come per magia. Per non
parlare di quando con le mani le leggevi, le picchiettature, quasi in un braille ante
litteram.
Sono certa che le rocce solo a te le dicevano certe cose e adesso manchi anche a loro.
È tanta la rabbia sai, per tutto il tempo che mi è mancato e perché l’avventura di
cercare una roccia o la gioia di trovarla, senza di te non sarà più la stessa.
Battista entusiasmo e passione, Battista energia pura, Battista istinto inarrivabile.
C’erano anche ombre: la fiducia tradita in quel calco che non ti venne restituito,
l’amarezza delle incomprensioni, l’irrisione fuori luogo da parte del tal professore,
quando con la tua umiltà, in superiorità morale davi dei punti a tutti.
E, stringi stringi, chi c’era con me quel giorno? La roccia assolutamente da
rintracciare nella bellezza di qualche chilometro quadrato, l’acqua alla gola per
le scadenze universitarie, il morale a terra e il cielo che non prometteva niente di
buono...impensabile andar per boschi...a quell’ora poi...
“Pina, cerchi quella roccia? Perché domani? Andiamo! Solo devo avvisare la
Maria”.
Già la Maria... straordinario Battista anche perché straordinaria è la Maria...
“Se l ‘piöf... an me la ciàpa!” E quel giorno l’abbiam presa davvero. Affondavamo
fin oltre le ginocchia nelle foglie di castagno (il “patüs” di cui sopra) ormai fradice
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e dopo un paio d’ore, pronta ad arrendermi, ho capito che tu non l’avresti mai fatto
perché non potevi credere che quella roccia ti avesse tradito...
Prima che fosse buio, avevi il GPS incorporato, la roccia era presa (sì, ecco il verbo
che usavi sempre..) e la lezione su tenacia, coraggio e fiducia incassata.
Battista semplicità disarmante, Battista senza por tempo in mezzo, Battista senza farlo
mai pesare, Battista che quella volta tu mi hai telefonato, Battista uomo di parola,
Battista senza chieder mai nulla se non una copia degli scritti e la sincerità, Battista.
Tu c’eri sempre... tu ci sei sempre.
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BATTISTA, cercatore di graffiti
La memoria della ricerca
Il “Diritto di Guida”
Ausilio Priuli
Studioso di arte rupestre e preistoria
Angelo Rampinelli
Direttore Ateneo di Brescia
Battista, al di là delle parole di convenienza, lascia a Capo di Ponte un vuoto
incolmabile.
Ricordare Battista attraverso poche righe è per me impresa ardua per la certezza
di non essere in grado di farlo come vorrei, per l’impossibilità di esprimere i
molteplici sentimenti che si accavallano, memore dello spessore del “Personaggio”
che ha segnato la storia della ricerca di incisioni rupestri e conseguentemente dello
studio delle stesse.
Per la sua eclettica creatività che l’ha visto falegname, cercatore di incisioni, guida
ad appassionati, ricercatori, studiosi e scolaresche; artista versatile che ha saputo,
in maniera semplice e istintiva, trasformare una pietra qualsiasi in scultura, un
ceppo da focolare in una statuetta apparentemente rozza e appena sbozzata, con il
suo inseparabile coltello a serramanico, quasi in un autoritratto non tanto di forma
quanto di contenuti.
Per la sua sensibilità e profonda emotività che l’ha visto spesso raccogliersi in quasi
religioso silenzio davanti a quelle figure che via via andava scoprendo o davanti a
quelle che ha visto e rivisto centinaia di volte e che ogni volta lo facevano viaggiare
nel tempo e aprivano la porta della sua fantasia.
Per la sua semplicità, per il suo umorismo e la sua arguzia, per la sua disponibilità
in ogni momento a confrontarsi, ad ascoltare, per la sua capacità di recepire,
condividere o dissentire ipotesi, teorie, metodi, interpretazioni di quelle migliaia
di segni che conosceva a memoria.
Quante chiacchierate abbiamo fatto: lui aveva piacere che lo mettessi al corrente
delle ricerche, scoperte e studi che conducevo in giro per il mondo, ma soprattutto
era curioso di conoscere tutto ciò che accadeva in Valle Camonica e in cambio
mi svelava le sue teorie o il sito di sua più recente individuazione o mi mostrava
l’ultimo calco che aveva fatto o il frottage di una figura per conoscere il mio parere
sulla stessa.
Battista, lascia a Capodiponte un vuoto incolmabile anche perché con la sua
dipartita è mancato il depositario della memoria concreta della ricerca delle incisioni
rupestri; il primo vero appassionato di “Pitoti” che, nel tempo, ha suggerito a molti,
me compreso, luoghi, figure, scene e simboli da indagare e studiare.
Ho conosciuto Battista contemporaneamente ai suoi pitoti.
Anzi, per essere esatti, un momento prima.
Quando, negli anni cinquanta, mi sembra fosse il 1954, giunsi per la prima volta a
Capo di Ponte, curioso com’ ero di tutto quanto riguardasse la preistoria, Gualtiero
Laeng che mi faceva da amato e affascinante maestro, mi affidò subito a Battista.
Laeng conosceva bene l’ubicazione dei pitoti più importanti, sin da quando,
bambino, era stato a Capo di Ponte; ma, comunque, riconosceva a Battista, che già
era chiamato Pitoto, una sorta di “diritto di guida” .
E da allora, ogni volta che capitavo a Capo di Ponte - quante volte - fu sempre
Battista a svolgere il ruolo di generoso introduttore ai pitoti; ruolo che lo aveva
indotto a studiarli e ad approfondire seriamente tutto quanto si potesse sapere.
Con quanta cordialità - e quale gioia - esercitava questa sua funzione volontaria e
del tutto gratuita, che si accompagnava subito ad una cordiale scorbutica e sincera
amicizia. Che si mantenne sempre, spero, anche quando, disperso in altre cose,
finii col disertare Capo di Ponte.
Ma Battista mi mandava a salutare di tanto in tanto ed io facevo lo stesso; e in
questi saluti reciproci, da lontano, mi era facile riconoscere il perdurare in Battista
della passione per la ricerca, per la cultura, e l’attaccamento ai molti amici , alcuni
autorevolissimi in materia preistorica, che aveva in giro per il mondo.
L’inconscia convinzione che Battista e i pitoti fossero entrambi fatti della dura
pietra della Valle, era evidentemente fallace. Ma mi riesce difficile pensare, ora, che
i pitoti sono senza Battista. O forse no.
Battista sulle rocce con alcuni studiosi
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BATTISTA, cercatore di graffiti
Il grande cavallo di Campanine
Intensi e significativi incontri
Umberto Sansoni
Direttore Dipartimento Valcamonica e Lombardia del CCSP
Livio Testa
Direttore Artistico “Clusone Jazz Festival”
Quante volte, ovunque fossimo, a Campanine, Zurla o Foppe, abbiamo visto
Battista sbucare da un sentiero, da un cespuglio o semplicemente ce lo siamo
trovati di fronte? Appariva d’improvviso, salutava a suo modo, scrutava sempre
persone e terreno, un bastone in mano, guardava attento le “nostre” rocce. Poi
parlava col suo modo un po’ roco, e solo a chi riscuoteva la sua fiducia e stima o gli
era simpatico. Osservava le scoperte, i rilievi, spostandosi qui e là, commentava a
battute e poi, quel che più attendevamo, ci diceva, in dialetto volutamente temprato
“laggiù l’ghe na bela roccia e n’otra è sul dosso”.
Lusingandomi, Ilaria racconta che parlando di me, mi descriveva come “Sansoni
il forestiero, cauto e profondo” e con un certo “rammarico” riconosceva il mio
attaccamento ai “graffiti” ed era quasi infastidito che l’intimità dei Camuni potesse
essere svelata allo “straniero”.
Sbagliava di rado nelle indicazioni e anche lui lamentava che il bosco, senza più
cura, reinterrasse tutto, rocce e piccoli sentieri. Ci accompagnava, oppure, più
facilmente, spariva, d’improvviso, così come era comparso: ricordo una volta che
ancora gli parlavo, rilevando, quando mi accorsi che era già svanito.
Era così Battista e nessuno lo criticava, “un po’ mato” ma un “mato di rispetto”,
quel “mato” che ha indicato ad Anati decine di siti per tanti anni, a me ed altri
scene e luoghi, quello che magari ha fatto calchi audaci, da pirata, un po’ ovunque,
ma che ha sempre vigilato i suoi “pitutì”. Forse l’unico in certe aree. Credo che
anche noi siamo un po’ “mati” e un po’ “corsari” come lui e queste cose si sentono,
danno una sintonia istintiva e si arriva insieme a compiangere chi “mato” non è,
chi è troppo normale e non sa sentire né il bosco, né quei segni che vengono dalla
notte dei tempi.
Ecco un esempio per tutti: eravamo a Campanine, in campo estivo, con più di
quaranta ragazzi e Battista sbucava dove e quando meno l’aspettavi e ci disse che
eravamo vicini al “grande cavallo”, lo cercò e non lo trovò, mandai un’intera squadra
a cercarlo, quando tutti eravamo ormai eccitati all’idea (l’incanto infantile?), andai
anch’io, ma nulla.
Tornò l’anno dopo e ancora con la stessa idea: nulla, non si è mai trovato.
Ma io sono certo che c’è, che non è una sua visione, il “grande cavallo” è lì, a
Campanine bassa, interrato da qualche parte; lo cercheremo ancora e prima o poi
lo troveremo.
E sarà un bel giorno per lui e per noi; quella sarà la roccia di Battista. Certo non mi
meraviglierei troppo se, cercandola, in qualche forma, Battista sbucasse ancora da
qualche angolo, se non in corpore in quel modo che gli Antichi attribuiscono agli
spiriti del luogo, geni, ninfe, gane…
Lui era loro amico in vita terrena e credo che lo sia anche ora.
A farmi conoscere Battista è stato Emilio
Visconti nella primavera del 2005. Stavamo
valutando insieme il da farsi per arricchire di
contenuti la prima volta del “Clusone Jazz in
Valcamonica” ed Emilio volle portarmi nella
sua bottega per farmi conoscere colui che
avrebbe reso partecipe dei segreti delle incisioni
rupestri il pubblico che avrebbe presenziato al
concerto in programma alla Capanna di Jack.
Strada facendo mi parlò della persona, per
certi versi unica: una persona che si mostrò
subito straordinaria per la grande umanità
che trasmetteva unitamente all’amore per il
“suo mondo” - quello delle incisioni - che
traspariva da ogni sua parola, soppesata, e
forse anche per questa ragione sintomatica che
si trattasse di affermazioni mai banali, anche se
riferite a descrizioni e situazioni in cui anche
l’immaginazione, la fantasia, hanno la loro
importanza.
Mi colpì anche l’incedere della parlata, scandita come i passi lenti di un valligiano
abituato a poggiare i piedi dopo essersi assicurato della consistenza del terreno, e
la capacità di sapermi rendere parte da subito del suo mondo, del suo concetto di
esistenza.
Ci ritrovammo in estate alla Capanna di Jack. Era reduce dalla visita guidata
attraverso la quale aveva catturato l’interesse del pubblico del jazz ed aveva
saputo rendere magico (i bambini al seguito rimasero incantati ad ascoltarle il suo
racconto) un pomeriggio nel Parco di Naquane.
Poi, la sera, venne a San Siro per un altro concerto.
Non ebbi più occasione d’incontrarlo ma ho ancora ben presenti entrambe le
circostanze: impossibile dimenticarsi.
Ci sono persone che sanno ritagliarsi un ruolo ed accattivarsi la simpatia e la
benevolenza della comunità nella quale vivono attraverso la dedizione, la semplicità,
la curiosità che dimostrano di avere sempre; ed anche se l’età avanza non è mai
l’ora di tirarsi da parte, anzi...
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È stato sempre Emilio a comunicarmi la sua morte: la morte di un uomo mite,
appassionato della sua terra, del suo ambiente, delle sue passioni.
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BATTISTA, cercatore di graffiti
Colui ch e accende la luce
Emilio Visconti
In Valle Camonica ci sono venuto per la prima volta accompagnato da
un amico desideroso di farmi conoscere i segni che mi potevano aiutare
e nello stesso tempo rendere più ampio e armonioso l’interpretazione
del senso del vivere.
In questo luogo c’è così tanto da osservare con mille possibili
reinterpretazioni, ognuna delle quali alimentata in diversi modi da
un’armoniosa atmosfera che lo circonda.
In queste situazioni è l’istinto che ti porta a conoscere e frequentare
persone.
Battista Maffessoli è stata la chiave che apre, colui che accende la
luce e accompagna. Nulla a che vedere con gli accompagnatori
scolastici o le definizioni accademiche.
Andar per boschi in mezzo alle rocce con Battista, l’assimilare il
sapere era solo una componente di un emozione complessiva che ti
creava un entusiasmo ed una carica inesauribile capace di proiettarti
nelle più svariate espressioni costruttive.
Ricordare Battista solo in quanto ha accompagnato sulle incisioni
rupestri i massimi studiosi mostrando loro di volta in volta le nuove
scoperte, mi sembra estremamente riduttivo. Lui aveva la capacità di
recepire istintivamente l’espressività emotiva di ogni autore facendola
trasparire attorno a se. In questo modo bastava stargli vicino per poter
condividere un emozione.
Ho un elenco infinito di persone che professano le più svariate attività
che hanno provato le mie stesse emozioni.
Per questo motivo ho sempre sentito l’esigenza di mantenere viva la sua
testimonianza.
Il fare però non basta, bisogna riuscire a trasmettere un’emozione.
E l’emozione se deve essere di tutti bisogna comunicarla con le
finestre aperte in un giorno limpido di primavera.
L’idea di ospitare Ascanio Celestini in Vallecamonica nasce da qui.
Egli percorre un’esperienza intensa con lo stesso piglio con cui
Battista visitava il suo regno.
Diversi come origini, cultura, età, fama, e così uguali nel desiderio
reciproco di percepire e trasmettere emozioni, con quegli occhi
attenti ed il passo delicato e spedito.
L’incontro avvenuto quel 14 maggio 2006 al Parco di Naquane è
stato casualmente l’ultima visita di Battista alle incisioni rupestri.
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BATTISTA, cercatore di graffiti
A lezione dal primo Capontino
che ci ha creduto
Ilaria Zonta
Presidente Pro Loco Capo di Ponte
Nel centro di Capo di Ponte la singolare bottega con “vetrina rassegna stampa” sui
grandi eventi culturali che caratterizzano la Valle ora, ha la porta chiusa. All’interno
fan bella mostra calchi in gesso, fotografie, sculture e pitture, elementi in legno
e pietra trasformati da Battista “abile artigiano” in originali statuine. Sagome,
scalette, cerchi... “niente fronzoli, le cose in più sono fatte per complicare, per
vanità… sono inutili ed inquinano la vista… guarda l’eleganza della Pieve...!”.
La bottega, un ritrovo in cui gli animatori culturali della Pro Loco e non, avevan
sempre da imparare, a “lezione” da Battista, prima guida alle incisioni nominata
dalla Soprintendenza.
Raccontava anni di vita dedicati con tenacia e passione a ricercare graffiti, a informare
attraverso un fitta rete di intima corrispondenza ed incontri gli accademici, per
sveltire ed agevolarne lo studio e la scoperta.
Con Anati nell’ultimo abbraccio, sintesi di un legame quasi fraterno, la promessa
di andare ancora a Naquane… insieme… come 50 anni prima.
Durante le ultime e frequenti visite di Marretta, seppur sfinito, si rinvigoriva: “Novità?
Hai rilevato la nuova roccia? Che regalo ci ha fatto il cinquantenario di Naquane!
Quella è tua, l’hai trovata tu, adesso la studi così la scoperta rimane tua!”
[…] “Battista non puoi faticare così. Devi riposare”. “Ricordati che ho
sempre svolto il mio lavoro con gioia e divertimento, anche se stanco
ho fatto il mio dovere con piacere, mai fatica nelle cose che si fanno
volentieri altrimenti il risultato viene sbagliato!”
Alla fine di una giornata di lavoro per rilassarsi, da buongustaio qual’era,
tritava veloce il prezzemolo per la salsa verde, sbatteva forte l’uovo per
la maionese, impastava al punto giusto la farina per le tagliatelle… e poi
amava i sapori forti le acciughe, peperlizia, senape…
Siamo in tanti a sentirci spaesati da quando Battista, oserei dire con serenità e molta
curiosità, è partito per l’aldilà per unirsi al gruppo di parenti, amici, studiosi di
graffiti e degli stessi antichi Camuni… “Ah! Sì che finalmente scoprirò la verità, me
lo devono. Li ho amati tutta la vita… mi diranno chi, quando e perché ha inciso le
rocce… la pagaia… il labirinto… le mappe… la Zurla… i cerchi… il mondo!?!”
Battista primo e unico camuno che ha veramente capito l’immenso patrimonio
culturale mondiale dell’archeologia rupestre. Lui, uomo semplice (aveva frequentato
la scuola media di Assisi).
aver lasciato i tre fratelli Margherita, Tommaso, Mario e la zia Beppa.
“Nel giorno di domenica dopo le 5 di sera avevo appuntamento con la
tristezza e la nostalgia. Ad Assisi sentivo da lontano mia mamma che
pestava il lardo ed i rumori abitudinari della mia casa, le voci della mia
famiglia…”. Per tutta la vita si portò questo ricordo. Fino all’ultima
domenica della sua vita, poco dopo le 5 di sera si è addormentato per
sempre.
Nella vivace bottega riceveva spesso lo stimato Visconti e nonostante l’apparente
disordine riusciva a far buona accoglienza mettendo in vista le novità. Insieme
i preparativi per l’incontro con Ascanio Celestini; palcoscenico… Naquane,
raccontarsi… ascoltarsi… come solo i grandi sanno fare.
L’automobile di Ascanio è come la bottega di Battista (con la differenza delle
ruote…).
L’amato zio Don Antonio cappellano militare, con dolcezza e saggezza direbbe
ad Ascanio ciò che diceva al nipote Battista: “Non dispiacerti se non sei ordinato,
ricco e potente, osserva gli uccelli, i loro nidi, dal più malmesso e disordinato ne
esce la colomba… simbolo dello Spirito Santo e simbolo di Pace”.
Avevo 9 anni quando Battista “uomo importante” sposò mia zia Maria diventando
così lo “Zio” Battista. Entrammo subito in confidenza, si divertiva alle nostre
domande soprattutto quando mia sorellina Gabriella gli diceva: “Ti abbiamo visto
in televisione ma come facevi a starci dentro con tutta la roccia e la gente che ti
ascoltava?”. Questa domanda Battista la ricordava spesso per rimarcare l’ingenuità
e spontaneità dei bambini nei quali si identificava.
Difficilmente lo chiamavo zio, non c’era nulla in lui che
caratterizzava gli zii tradizionali: niente dolci e giocattoli,
rimproveri e castighi ma… amicizia e complicità; sempre
silenziosamente presente nei momenti dolorosi,
brillante nei momenti gioiosi.
Un cristiano come pochi, profondo conoscitore delle
sacre scritture che spiegava con estrema chiarezza ed
osservava con coerenza.
Grazie Battista, un grande esempio per tutti.
[…] Rimasto orfano da fanciullo, trascorse l’adolescenza ad Assisi. La
felicità per la novità: l’ambiente, gli insegnanti e i compagni di scuola
mai dimenticati ed in contatto fino all’ultimo. Ma pure la malinconia di
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Indice
Introduzione ................................................................................................ pag.
3
A mio marito di Maria Ruggeri ................................................................... pag.
5
Ambasciatore della nostra terra di Francesco Manella ............................... pag.
7
Un folletto biondo scapigliato di Emmanuel Anati.................................... pag.
8
Al grande amico di mio fratello Jack di Noemi Belfiore ............................. pag.
10
Un infaticabile conoscitore di Suor Mariangiola Borghetti......................... pag.
12
Punto d’incontro tra diverse culture di Giuseppe Brunod ......................... pag.
13
Il funerale dei vivi di Ascanio Celestini ....................................................... pag.
16
Interprete dell’anima di Tiziana Cittadini................................................... pag.
18
Cercatore di graffiti di Francesco Ferrati ..................................................... pag.
19
Radice vitale nella terra dei Camuni di Franca Ghitti ................................ pag.
20
Lo zio Giò Batta di Mina Maffessoli ........................................................... pag.
21
Anima vivente dell’arte rupestre camuna di Alberto Marretta................... pag.
22
Il saluto dei custodi storici di Naquane di Lucia Morandini ...................... pag.
24
L’atelier di Via Italia di Vanna Pasquali ...................................................... pag.
35
Un vigile “custode” di Raffaella Poggiani Keller ........................................ pag.
36
Bambino, poeta... puro di cuore di Federica Porteri .................................. pag.
38
La memoria della ricerca di Ausilio Priuli .................................................. pag.
40
Il “diritto di guida” di Angelo Rampinelli .................................................. pag.
41
Il grande cavallo di Campanine di Umberto Sansoni ................................. pag.
42
Intensi e significativi incontri di Livio Testa ............................................... pag.
43
Colui che accende la luce di Emilio Visconti .............................................. pag.
44
A lezione dal primo Capontino che ci ha creduto di Ilaria Zonta ............. pag.
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Comune di
Capo di Ponte
Agenzia Turistico Culturale
BATTI STA
cercatore di graf f i ti
Le parole di quanti
lo hanno conosciuto e stim ato
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