LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina II Il giornalismo racconta o sfida la realtà? Cresce il numero dei mezzi, si moltiplicano i “giornalismi”, l’informazione diviene intrattenimento, la legge dei numeri pare governare lo stile della comunicazione… La tentazione di chi fa comunicazione è di scaricare le responsabilità: «È questo quanto il lettore vuole». Sabato 29 gennaio 2011 Istituto dei ciechi Sala Barozzi Viviamo una situazione simile a quella descritta dal profeta Isaia che sferza il suo popolo accusandolo di non voler la verità ma solo illusioni? Questo è un popolo ribelle, sono figli bugiardi, figli che non vogliono ascoltare la legge del Signore. Essi dicono ai veggenti: «Non abbiate visioni». E ai profeti: «Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni! Scostatevi dalla retta via, uscite dal sentiero, toglieteci dalla vista il Santo di Israele» (Isaia 30, 9-11). Oppure «moltiplicando gli occhi siamo rimasti al buio», come ha scritto Eugenio Montale. La moltiplicazione degli occhi, degli obiettivi, dei riflettori, dei punti di visuale è a discapito del vero? ... o forse il nuovo dio ha messo in pensione l’Altro e non ci ha neppure avvertiti. Non so, non oso credere che il nuovo sia stato così scaltro da insinuarsi alla furtiva. Noi fummo ciechi, non lui. Moltiplicando gli occhi siamo rimasti al buio. (Eugenio Montale, Poesie Disperse, Parte Terza) Il coraggio e la responsabilità della verità nelle forme quotidiane, contingenti, apparentemente irrilevanti, in cui l’autenticità è chiamata a declinarsi, si impone come via per una comunicazione viva che può dare futuro alla professione, attrarre e dare spazio alla passione e alla professionalità dei giovani. La verità, via per la vita e il futuro del giornalismo L’Arcivescovo di Milano card. Dionigi Tettamanzi incontra i giornalisti in occasione del Patrono san Francesco di Sales ARCIDIOCESI DI MILANO COMUNICAZIONI SOCIALI IN COLLABORAZIONE CON UCSI LOMBARDIA LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina IV Per la realizzazione di questo opuscolo si ringraziano Agenzia di pubblicità e pubbliche relazioni c.so di Porta Romana, 128 - 20122 Milano tel. 02.58.32.05.09 - [email protected] www.imaginapubblicita.com Duomo Viaggi e Turismo via Baracchini, 9 - 20123 Milano tel. 02.72.59.93.70 - [email protected] www.duomoviaggi.it Stampa: Nuova Effea srl - Brugherio (MB) LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina VI La verità, via per la vita e il futuro del giornalismo L’Arcivescovo di Milano card. Dionigi Tettamanzi dialoga sul tema con Chiara Pelizzoni Agenzia televisiva H24 Enrico Mentana Direttore TG La7 Mario Calabresi Direttore La Stampa Marco Tarquinio Direttore Avvenire Antonio Sciortino Direttore Famiglia Cristiana Contributi di Letizia Gonzales Presidente Ordine dei giornalisti Lombardia Giovanni Negri Presidente Associazione lombarda dei giornalisti Giorgio Acquaviva Presidente Ucsi Lombardia Rodolfo Masto Commissario straordinario dell’Istituto dei Ciechi di Milano Diocesi di Milano - Ufficio per le comunicazioni sociali telefono: 02.85.56.240 - mail:[email protected] www.chiesadimilano.it/comunicazionisociali LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 2 LETIZIA GONZALES* Giornalismo: etica e qualità le sfide per l’informazione È una bella domanda quella posta come titolo a questo convegno, se cioè i giornalismi continueranno a fare ancora notizia e se il rispetto della verità nella comunicazione sia la via per salvare un giornalismo consapevole. Effettivamente ci si interroga molto sul modo di fare informazione nel variegato universo dei giornali e come affrontare in tempi di globalizzazione i temi etici legati alla professione. 2 Nella nostra categoria è in atto una trasformazione tempestosa e irruente del nostro mestiere che ha messo in discussione il vero ruolo del giornalista. Non è tanto la tecnologia che ha impresso un’accelerazione vorticosa verso forme nuove di comunicazione che richiedono figure professionali diverse da quelle tradizionali ma è il mediatore di informazioni che sta cambiando pelle nella società contemporanea. I giornali tradizionali, quelli cartacei sono in crisi e perdono copie e profitto a causa della diminuzione di pubblicità dovuta alla forte crisi economica in atto ma anche per l’avvento dei magazine on line, dei siti, dei blog che aumentano le fonti di informazione. Inoltre la recessione e la conseguente necessità di vendere o di fare audience ha accelerato un modo di fare informazione che si basa sempre di più sulla spettacolarità della notizia, sullo scandalo montato ad arte, sull’uso e l’abuso dei particolari scabrosi, sull’orgia dei dettagli personali a scapito della privacy. Bene ha descritto l’imbarbarimento dell’informazione Barbara Spinelli prima di lasciare La Stampa, metten- do in luce tutti gli aspetti più negativi della nostra professione. «Se apocalisse significa letteralmente ritiro del velo che copre le cose – scrive Spinelli - quella che viviamo in Italia è l’apocalisse del giornalismo perché è giornalismo denudato, svelato che si trova a un incrocio: se si fa forte rinasce, ritrova lettori, mentre se si compiace del proprio ruolo di golem della politica, perde i lettori, per il semplice motivo che non ha mai pensato a loro». Analisi amara che tuttavia esprime il disagio di molti giornalisti che sentono la necessità di interrogarsi sulla professione che hanno scelto e sugli interlocutori ai quali essere fedeli. La caduta del senso etico nella società ha contaminato anche e non soltanto il giornalismo e in un contesto così confuso dell’informazione è importante ritrovare la via dell’equilibrio, della pacatezza, della riflessione sui grandi temi che investono la società contemporanea, soffermandosi magari un po’ meno sugli squallidi gossip della politica. Il referendum a Mirafiori, ad esempio ha riportato in primo piano in tutti i media il ruolo del lavoro nell’era della globalizzazione, l’internazionalità dei grandi temi, della riconversione industriale, della competitività sul piano internazionale, delle relazioni con i sindacati e del futuro che si sta preparando per le nuove generazioni. Penso che se nei nostri media si ritrova lo spazio anche per la cronaca sociale che mette in luce la sofferenza, la fatica della diversità e per le mille storie che attraversano il mondo, politiche, economiche e appunto sociali forse troveremmo una risposta positiva alla bella domanda di questo convegno sul ruolo del giornalismo nel mondo contemporaneo. Certo, raccontare la morte e il dolore, la disperazione e il suicidio, l’odio razziale, la guerra, la mafia richiede un atteggiamento non cinico verso la professione perché occorrono parole giuste e misurate. E persino le cronache sportive richiederebbero la stessa accortezza e sensibilità ma sarebbe importante che nel caotico panorama della stampa si ritrovi gusto per certa narrativa giornalistica 3 LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 4 che diventi davvero spinta etica di un lavoro culturale importante per una moderna società civile. È vero che c’è un’editoria specializzata che si dedica con attenzione e competenza al terzo settore quasi 9000 riviste in tutta Italia distribuite attraverso la diffusione militante, (solo l’1% è veicolata attraverso l’edicola) - ma è anche vero che tanti temi “caldi” del vivere quotidiano trovano poco ascolto nei nostri grandi media nazionali. Il desiderio però di essere informati in modo serio e professionale è elemento costante di tutte le ricerche che abbiamo effettuato in questi ultimi anni e forte è la richiesta che giornalisti competenti siano riferimento credibile per i lettori. I dati raccolti per le nostre statistiche ci incoraggiano quindi a pensare che malgrado tanti cattivi maestri in televisione o nella carta stampata sia in aumento nel Paese la presa di coscienza dei tanti problemi che investono la collettività e la voglia di sapere e di conoscere come segno di crescita per essere al passo di una società democratica, civile e moderna. * Presidente Ordine dei giornalisti Lombardia GIOVANNI NEGRI* La lezione di Tobagi: «Voler capire e poter spiegare» A nche al sindacato “sta a cuore” la verità. E, non è un paradosso, forse molto più di altri soggetti e protagonisti del mondo dell’informazione. Infatti il suo unico ed esclusivo interesse è la tutela dei suoi “soci” volontari, tutti i giornalisti che liberamente vi aderiscono. Nella difesa dei colleghi è elemento originario e insostituibile l’affermazione della “autonomia e indipendenza” non tanto della categoria (o della corporazione) quanto piuttosto del singolo giornalista che, nella solitudine della sua coscienza, compie il duro e affascinante compito civile di “essere tramite” tra la realtà e il cittadino: un cittadino, che ha il diritto di venire correttamente informato in modo da formarsi in pienezza il suo libero convincimento. È la lezione, da noi non dimenticata e che si rivela sempre più attuale, di Walter Tobagi che, pur stroncato dal piombo del terrorismo rosso, ci ha lasciato una intensa “memoria del futuro”. Per Walter, che associava l’impegno nel sindacato a una incalzante fatica di rigore professionale, la libertà interiore del giornalista e la sua inesausta ricerca della verità si condensavano in queste poche parole: «Voler capire e poter spiegare». 4 Ovvero la necessità di scrutare fino in fondo la realtà, cogliendone gli aspetti anche più ambigui e nascosti, e farne sintesi equilibrata e completa 5 LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 6 nella quotidiana narrazione scritta: ma potendolo fare, senza essere sottoposto a condizionamenti e vincoli di qualsiasi natura, fossero essi ideologici o economici o culturali. Perché riuscire a trasmettere tutti i giorni alla società quel “frammento di verità” che la fatica della ricerca portava a riconoscere era il senso ultimo di una professione insieme affascinante e terribile. Con una dote in più: quella cioè di conservare “lo stupore”, ossia la disponibilità a lasciarsi sorprendere da una realtà sempre mutevole e multiforme e ad essere semmai ancora più impegnati a comprenderla e a farla comprendere. Anche nei momenti più cupi e sconfortati, Walter coltivava la speranza e l’impegno a «cambiare in meglio le cose». Era il nocciolo reale della sua profonda ispirazione cristiana. Che tuttavia, sul terreno civile, diventava patrimonio collettivo e riconosciuto di colleghi di tutte le più diverse e lontane appartenenze. Sono passati più di trent’anni, l’informazione è completamente cambiata. Eppure per una società spesso smarrita nell’oceano di notizie e di sollecitazioni mediatiche questi criteri di metodo e di etica professionale sono ancora più decisivi. Sono forse la bussola più concreta per la ricerca paziente e umile di una verità tanto sfuggente quanto complessa, da coltivare con amore e con coscienza in quella democratica e sempre rinnovata “fatica della libertà”. * Presidente Associazione lombarda dei giornalisti 6 GIORGIO ACQUAVIVA* Il giornalismo ha sete di “verità” S pesso mi sento a disagio quando il termine giornalismo si trova associato a quello - impegnativo come non mai - di “verità”, soprattutto se essa viene presentata insieme ad altre due parole (via e vita) che i Vangeli riferiscono al Cristo Gesù. Il disagio non viene, ovviamente, da una ipotetica inconciliabilità dei termini e dei loro più profondi significati, ma dal senso di inadeguatezza che nella mia esperienza accompagna sempre il mestiere del comunicatore. «Cos’è la verità?» rimane infatti domanda che - pur “interna” a ogni esperienza comunicativa - la trascende. Guglielmo Zucconi - che ho avuto la fortuna di avere dapprima come docente in Università Cattolica e poi come direttore a Il Giorno - al massimo accettava di discutere della presunta “obiettività” della informazione, a proposito della quale escludeva che potesse essere raggiunta. Sosteneva infatti che si può parlare di obiettività per l’elenco telefonico e l’orario ferroviario, ma solo se accettiamo la convenzione di procedere in ordine alfabetico per il primo e da nord a sud per il secondo. E questo perché ogni “impaginazione” scritta o parlata o per immagini - è frutto di scelta e quindi non rispetta l’“obiettività” delle situazioni di cui è intessuta la realtà e anche la nostra personale esistenza. Spostiamo allora la trincea del giornalista su un terreno più realistico, attestandoci sul termine “completezza” della informazione, raggiungibile attra- 7 LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 8 verso lo sforzo di fornire al lettore o allo spettatore tutti gli elementi a disposizione perché egli possa farsi un’idea più vicina possibile alla realtà. Niente reticenza o nascondimento doloso di elementi essenziali. Niente dissimulazione della propria identità nel comunicare fatti e opinioni. Niente “nebbia” comunicativa che scende morbida sulle parole e ne offusca il significato. Già Tacito ammoniva: «Fecero un deserto e la chiamarono pace». È vero, l’articolo 2 della Legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti (n. 69 del 1963) riprende il termine “verità”, ma in una accezione meno ansiogena per l’operatore. Si afferma che «è obbligo inderogabile [del giornalista] il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede». Ritengo questa definizione decisamente accettabile, una posizione professionale, ma anche etica e deontologica, raggiungibile e praticabile, declinabile con i tempi accelerati della informazione informatizzata, e che oltretutto mette il lettore/spettatore al riparo da “eccessi” di realismo della informazione. Perché in definitiva il vero problema è “come” maneggiare i fatti, come presentarli e come procedere al loro montaggio, in quale quantità presentarli, come inserirli in un contesto - anche di valori - che ne forniscano una lettura di senso. Mi spiego. Alcune volte verità significa parlare di temi o fatti taciuti o negati: penso ai drammi del Terzo e Quarto Mondo, alle guerre dimenticate, alle persecuzioni a sfondo religioso che faticano a conquistare spazio nelle pagine della informazione scritta o nelle scalette delle tv. Verità, allora, come svelamento di realtà. 8 Ma verità può essere anche riportare elementi che completano scenari di cui pure si parla ma in maniera monca e, spesso, non appieno comprensibili (penso alle valutazioni sulla popolazione mondiale e i limiti dello sviluppo; alle questio- ni riguardanti la famiglia, o “le” famiglie; al rispetto dei diritti umani...). Epperò non possiamo fermarci a questo, perché in un certo modo “verità” potrebbe essere anche la realtà senza filtro del Grande Fratello, o il talk show in cui ci si racconta, si piange, ci si insulta... C’è poi la “verità” delle immagini, per cruda che sia: ricordate l’orrore che suscitò la pubblicazione delle fotografe del corpo di Aldo Moro sul tavolo del medico legale? È allora chiaro che “verità” nella informazione non può essere libertà di scrivere o pubblicare o mostrare qualunque cosa. Non è detto che “verità” sia identificabile sempre e comunque con la piatta realtà gettata in faccia al lettore o allo spettatore. C’è una mediazione alta e consapevole da compiere, c’è una prospettiva di sofferta testimonianza formativa che il giornalista è chiamato a svolgere. Che non significa né banale e arrogante censura, né indifferenza nei confronti delle conseguenze della comunicazione. Essere informati è un diritto, ma non basta; non è detto che il flusso crescente di informazioni e notizie accrescano la nostra conoscenza e la nostra saggezza nella comprensione del reale. È a questo livello - forse - che si pone la “verità” dei fatti, un mai raggiungibile ideale, che pure dobbiamo perseguire, imparando a leggere quella “verità” che è all’interno di ogni realtà, e che ci interpella sempre e dovunque. * Presidente Ucsi Lombardia 9 LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 10 RODOLFO MASTO* che, e prima di tutto, un’esigenza culturale della cittadinanza: un bisogno sociale di informazione e di conoscenza. Conoscere per riconoscersi In questi tempi in cui ci si interroga sulle identità e sui valori collettivi e individuali, infatti, un contributo prezioso alla riscoperta delle radici e del senso del vivere comune può venire proprio dall’esempio delle istituzioni assistenziali storiche di Milano, eredi della lunga tradizione della solidarietà ambrosiana. Esse offrono all’uomo d’oggi testimonianze concrete di attenzione al prossimo e di responsabilità sociale, nelle quali è possibile rispecchiarsi e immedesimarsi. L ’Istituto dei Ciechi di Milano, in occasione della ricorrenza di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, è lieto di ospitare il tradizionale incontro tra il cardinale Dionigi Tettamanzi e gli operatori dell’informazione. Il rapporto con la stampa che, nel suo significato più ampio, rimanda al valore della comunicazione, dell’informazione, è per noi particolarmente importante in quanto questo Istituto – fin dalla sua nascita nel 1840 – è sempre stato attento a far conoscere i problemi, le difficoltà, i successi e le speranze di chi pur non vedendo chiede di crescere e progredire uomo fra gli uomini. L’auspicio è quello che i media, accanto alla doverosa divulgazione dei tanti fatti negativi che interessano la comunità, non trascurino di pubblicare “le buone notizie”, suscitando nei lettori, soprattutto i più giovani, l’interesse al bene comune inteso come prezioso strumento educativo per la costruzione di una società migliore. * Commissario straordinario dell’Istituto dei Ciechi di Milano È anche per mezzo di una comunicazione consapevole curata dagli organi di stampa che è possibile salvaguardare quella straordinaria rete di solidarietà divenuta nel tempo valore indissolubile della nostra identità, da sempre ispirata alla dottrina di Sant’Ambrogio. La solidarietà trae linfa vitale dal ben operare, ma se riceve un aiuto concreto dal mondo dell’informazione può con maggiore incisività crescere e consolidarsi nel cuore delle persone esortandole alla fratellanza nei confronti dei cittadini più deboli. Non si tratta soltanto di divulgare la missione dei vari Enti e delle loro importanti iniziative, spesso poco note, in favore degli assistiti: in altre pa10 role, non è solo un’esigenza di visibilità e di comunicazione istituzionale, quella di cui parliamo. È an- 11 LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 12 PROGRAMMA Incontro con i giornalisti per la festa del patrono san Francesco di Sales La scelta della responsabilità Che cosa siete andati a vedere? Chiara Pelizzoni, agenzia televisiva H24 C’È POSTO PER ME? Inizio della discussione con la riflessione-provocazione di una “giovane” giornalista “multimediale” Enrico Mentana, direttore TG La7 Mario Calabresi, direttore La Stampa È IL LETTORE CHE LO VUOLE! Come sta la professione? Il giornalismo racconta la realtà o la costruisce? Quali le responsabilità dell’utente lettore e telespettatore? Marco Tarquinio, direttore Avvenire Antonio Sciortino, direttore Famiglia Cristiana BENEDETTA STAMPA! Gli strumenti di comunicazione ecclesiali non sono spazi protetti destinati solo ad alcuni fedeli bensì un contributo insostituibile alla professione giornalistica e al processo di formazione dell’opinione pubblica U n saluto fraterno e cordiale a ciascuno di voi presente a questo incontro che si rinnova ogni anno in occasione della festa di san Francesco di Sales, il vescovo proposto dalla Chiesa come patrono dei giornalisti. Oggi mi è offerta la possibilità di dialogare un poco con voi che svolgete un lavoro così carico di responsabilità e così influente sulla vita delle persone e del Paese. Ringrazio Rodolfo Masto e l’Istituto dei Ciechi che cordialmente oggi ci ospitano. Saluto i giovani, in particolare gli studenti dei master di giornalismo delle Università Cattolica, Statale e Iulm di Milano e i ragazzi dell’Istituto Maggiolini di Parabiago. Sono contento siate qui: l’informazione, la comunicazione sono attività che riguardano tutti e coinvolgono tutta la vita, sono pensiero prima che tecnica, sguardo sulla realtà prima che preoccupazione di ricavarne una cronaca. Il vostro interesse per le riflessioni sui temi della comunicazione lascia ben sperare per un futuro all’insegna di una più lucida consapevolezza e di una più forte responsabilità circa la comunicazione stessa. Card. Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano LA SCELTA DELLA RESPONSABILITÀ CHE COSA SIETE ANDATI A VEDERE? Intervento conclusivo 12 Ho ascoltato con interesse i giornalisti affermati, responsabili e stimati che hanno voluto condividere a voce alta la propria esperienza: mi hanno aiutato a comprendere meglio quanto sia impegnativo il vostro lavoro, quanto può influire sul bene delle persone, quanto sia possibile svolger- 13 lo bene. LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 14 Ringrazio anche Chiara per la passione, la competenza, il rigore e l’entusiasmo testimoniati: il futuro nel lavoro e nella vita non può che essere tuo e di giornalisti che condividono queste caratteristiche. Mi chiedo: può veramente avere futuro il giornalismo se non avrà come protagoniste persone animate da questo stile? za, non sarà mai emergenza, nemmeno nelle evenienze reali: la tensione non può essere sostenuta a lungo e finisce per generare assuefazione. Molti poi provano una specie di straniamento dalla realtà, una distanza scettica da ciò che non sperimentano direttamente, riducendo così il reale solo a ciò che materialmente è sottoposto ai propri sensi. Vorrei anch’io portare un contributo a questo dibattito a partire dalla mia personale esperienza di cittadino utente dei media, di cristiano e di vescovo. In particolare vorrei considerare con voi gli effetti che gli attuali stili della comunicazione hanno nella vita della gente. Vorrei inoltre riflettere su come è possibile proporre il racconto intelligente della vita reale delle persone, chiedermi cosa significhi narrarla secondo verità, e infine cercare con voi il contributo che dobbiamo offrire per sospingere il Paese fuori dalla situazione difficile e critica in cui si trova. Gli stili prevalenti della comunicazione tendono inoltre a causare rassegnazione. Sono tante le persone che si stanno rassegnando alla mediocrità. Assistiamo all’eccessiva esibizione del privato in pubblico. Troppi programmi sono fondati sull’esposizione oltre misura dell’intimità delle persone. Una tendenza che, andando oltre i reality, sta contagiando ogni campo della comunicazione generando nello spettatore mimetismo, rassicurazione, rinuncia a pensare a se stesso come a qualcosa di grande. Non sempre è un privato esemplare quello mostrato: spesso è stereotipato, caricaturale se non addirittura patologico e grottesco. Anzi, se fosse normale non sarebbe interessante mostrarlo. Pare si voglia diffondere l’idea che «così fan tutti». Confrontarsi con simili “modelli” non contribuisce al benessere personale e alla crescita collettiva, ma - riempiendo gli occhi di banalità e di mediocrità - spinge il pubblico a rassegnarsi alle proprie “debolezze”, non certo a uno scatto in avanti, a un moto di sano orgoglio. La realtà l’avete presentata voi stessi e su questa vorrei ora esprimere alcune mie impressioni. I media, il Paese e la vita della gente La prima impressione riguarda l’immagine del Paese offerta dai mezzi di comunicazione oggi. Non mi pare azzardato affermare che questi media vecchi e nuovi presentano un Paese che sembra preda di un litigio isterico permanente. Personalizzazione, esasperazione, drammatizzazione, contrapposizione sono il “sale” con il quale si tenta di dare sapore a una realtà che, altrimenti, si ritiene destinata alla inevidenza. Se ogni pioggia è un diluvio, se tutti gli immigrati sono delinquenti, se ogni politico è corrotto, se ogni influenza è pandemia, come potrà vivere sereno chi di tv e giornali è utente abituale e non ha mezzi e capacità per esperire personalmente la realtà presentata dai media con questo stile fuorviante? Come potrà non provare ansia nei confronti della vita quotidiana? Per la verità non manca chi sperimenta la sen14 sazione opposta, rimanendo quasi anestetizzato davanti a ciò che accade. Se è sempre emergen- Si è spinti alla rassegnazione anche dall’enfasi eccessiva che è data a ciò che nel Paese non funziona, a ciò che non è come dovrebbe essere. I processi di comunicazione tendono a dare evidenza agli episodi negativi, procedendo poi, per analogia, ad associarne altri: ecco, ad esempio, che, scoperto un episodio di grave malasanità, ne viene immediatamente mostrato un secondo e magari un terzo. È certo importante che i media svolgano anche questa funzione di denuncia, ma occorre porgere queste notizie con responsabilità, così che non appaia che nulla funziona, che tutto è corrotto, che la situazione è irreparabile. Quanto contribuiscono i media a creare e ad alimenta- 15 re il clima di rassegnazione che si respira? LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 16 Alcune realtà del nostro Paese non sono rassegnate ma costruttive, positive verso il futuro. Il clima dannoso prima descritto, però, tende a isolarle e, quel che forse è peggio, a renderle poco “notiziabili”. Siamo allora chiamati a essere vigilanti: non mancano quanti in questo clima di sfiducia e scoraggiamento trovano l’ambiente ideale per perseguire interessi legittimi ma privatistici, raggiunti senza far crescere il bene comune, o interessi ricercati a proprio vantaggio ma a danno di altri. Questo modo di agire è evidentemente inaccettabile, e lo è ancor più quando proviene da quanti del bene comune dovrebbero essere garanti e promotori. Un racconto intelligente della vita reale delle persone So bene che le notizie - di cronaca bianca o nera, di politica o economia, di cultura o sport - che hanno il sapore della normalità raramente troveranno posto: ma, mi domando, se viviamo in tempi in cui si possano definire “normali” alcuni stili che riscontriamo in diversi ambiti della vita sociale. In politica, ad esempio, da tempo non sono in discussione i temi che dovrebbero realizzare il bene comune adesso, in questo delicato frangente storico, dentro questa congiuntura economica segnata pesantemente dalla crisi. Dai mezzi di comunicazione emerge una classe politica che tende a mettere al centro della propria azione le vicende personali dei suoi più diversi protagonisti. Certo, nessuno chiede di tacere episodi, fatti, denunce, indagini che riguardano quanti sono chiamati ad animare e a guidare il Paese e dai quali tutti attendono esemplarità, nel pubblico e nel privato. Ma, mi domando: giornali e tv contribuiscono davvero a costruire e a promuovere la pubblica opinione quando si lasciano contagiare dal clima avvelenato e violento causato da una politica che dimentica o sottovaluta i bisogni reali e concreti delle persone? 16 I problemi veri del nostro Paese non sono cer- to quanto da mesi leggiamo nelle cronache politiche. Non si tacciano gli scandali (veri o presunti) ma l’informazione politica non può, non deve esaurirsi al racconto di scandali. Guardiamo con onestà e intelligenza al Paese reale che è sempre meno raccontato, guardiamo a chi è in difficoltà ed è sempre più solo, alle forze del bene così poco testimoniate dai media, all’esemplarità positiva così raramente mostrata. Il racconto presuppone la ricerca di un senso e incoraggia la valutazione: come scriveva Paul Ricoeur, è una vera «palestra etica». Solo il racconto dunque, e non una valanga di “fatti” bruti, esibiti in nome del diritto di informazione senza tener conto degli effetti che produrranno sulle persone, può costituire la condizione di quello “scambio di esperienze” che è alla base della comunicazione autentica. Una simile comunicazione non è pura “trasmissione” di notizie, bensì costruzione di un bene comune attraverso la testimonianza della verità. Dire la verità: è possibile? Ed eccomi ora a un punto che ritengo centrale per questo nostro incontro: riguarda il dire la verità e il testimoniarla. Testimoniare la verità non può ridursi al fedele racconto di un fatto. Troppo poco. Cosa significa «dire la verità» per un giornalista? Cerco la risposta in un testo antico e quanto mai attuale: il testo sacro della Bibbia. Questa fin dalle prime pagine ci dice che la verità (a-letheia) giunge all’uomo mediante un processo continuo di svelamento. La verità di Dio non si offre solo all’intelligenza, e quindi non è possibile scoprirla solo con la ricerca razionale, nella forma del possesso. La verità si offre a noi nella forma di un Dio che si china sull’uomo dentro un processo d’amore, di cura, di crescita. Lo stile è quello di un popolo che si lascia condurre verso la sua liberazione (Antico Testamento), è quello di un Dio che si fa Uomo offrendo a tutti il suo amore perché tutti lo vivano e ne diano testimonianza (Nuo- 17 vo Testamento). LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 18 Vorrei riascoltare con voi un breve brano del Vangelo di Luca (7,18-27): «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”». In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. […]». Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? […] Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui». Testimoniare la verità significa inserire i fatti della realtà in un più ampio contesto, gli episodi in un orizzonte di senso. Questo il procedimento che Gesù ci spiega nel brano evangelico. La domanda di Giovanni il Battista è alta: il figlio del falegname, quell’uomo di Nazareth, è il Messia o no? Gesù non risponde affermando la verità («sì, sono io») bensì offre a quanti lo interrogano fatti concreti, alcuni miracoli compiuti davanti ai loro occhi quali segni messianici da riconoscere, così come la Sacra Scrittura li aveva presentati: indicatori della venuta del Figlio di Dio. C’è poi un’ulteriore domanda che Gesù pone a tutti i suoi ascoltatori e a noi con loro: «Che cosa siete andati a vedere?». Egli si riferisce anzitutto all’esperienza di Giovanni impegnato a battezzare sulle rive del fiume Giordano, interrogando chi aveva vissuto quell’esperienza. Gesù con la sua do18 manda «che cosa siete andati a vedere?» interroga anche noi e ci propone un salto di qualità, nel- la vita, prima che nella professione. Qual è il senso complessivo dei fatti che quotidianamente viviamo, incontriamo, raccontiamo? In quale contesto complessivo dobbiamo inserirli? Ponendo la domanda, Gesù obbliga i suoi interlocutori a una riflessione: la verità non si esaurisce nei fatti puntuali, non è “sequestrata” da una serie frammentata di episodi. Quello di Gesù è un metodo per comunicare secondo verità. È nella realtà che si manifesta la verità, ma la realtà non può essere utilizzata come una “cava di pietre” da saccheggiare per costruire a nostro piacere un orizzonte di senso preordinato, aprioristico. Purtroppo pare proprio questo uno degli stili dominanti dell’informazione, specie in politica: usare gli episodi della realtà per dare forza a questo o a quello schieramento politico, per consolidare questa o quella costruzione artificiale della realtà. E a rimanere esclusa sono la preoccupazione e la responsabilità di contribuire al processo di scoperta della verità a beneficio degli utenti dei media: persone reali con bisogni reali. Rispetto ai fatti della cronaca c’è un “oltre” verso il quale dobbiamo aiutare lettori e spettatori ad alzare lo sguardo. Di questo abbiamo bisogno, di questo ha bisogno il Paese. La politica pare che stia abdicando a questa responsabilità: non lo deve fare chi vuole essere un comunicatore veramente libero, chi vuole restare fedele al proprio mestiere, chi vuole essere - in una parola - giornalista responsabile. Un “oltre” che per gli strumenti di comunicazione ecclesiali e di ispirazione cattolica dovrà condurre al confronto con la verità ultima di Gesù Cristo; un “oltre” che per i mezzi di comunicazione laici (di qualsiasi ispirazione politica o filosofica, di proprietà di qualsiasi imprenditore) sarà la consapevolezza dell’influenza che, con il proprio lavoro, i giornalisti esercitano sulla vita delle persone, sul loro giudizio sulla realtà, sulle loro decisioni e scelte… Un giornalista - sia cattolico che laico - testi- 19 monia la verità se non ostacola ma permette alle LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 20 persone di accedere alla verità complessiva, più grande: di quel determinato evento, della realtà che sta vivendo, del momento storico che si sta attraversando, della propria esistenza. Sto forse esagerando sull’istanza etica? È troppo etico questo compito per un “semplice” giornalista? Direi proprio di no! So bene però di prospettare una missione che è ritenuta pura utopia da chi pensa che il giornale sia un oggetto che il giorno dopo «è buono solo per incartare il pesce» e da chi pensa che un telegiornale debba servire solo per tenere alti gli indici di ascolto e per vendere pubblicità. Carissimi donne e uomini impegnati nel giornalismo: vi auguro di saper riconoscere ogni giorno le grandi responsabilità che esercitate nella professione, di essere consapevoli del contributo che potete dare o negare alla vera realizzazione delle persone e del bene del Paese. E lo stesso augurio lo estendo a tutti gli attori dei processi di comunicazione: gli editori, i lettori, il mondo della pubblicità... Il modo prevalente di fare comunicazione - cioè la rappresentazione isterica del reale - falsa la percezione della realtà e causa disagio concreto. E si realizza così un tragico paradosso: la comunicazione, quella facoltà che consente all’uomo di diventare e di essere ciò che veramente è, si sta invece volgendo contro di lui degradandone la caratteristica fondamentale: la sua umanità. Per scacciare questi sentimenti negativi che i processi di comunicazione generano, dobbiamo ripartire proprio dalla verità, dall’innestare il racconto fedele degli episodi della realtà dentro un orizzonte alto e autentico di senso complessivo. Dalla passione personale al benessere collettivo Il clima di scoraggiamento e di depressione di 20 cui abbiamo detto all’inizio, rischia di diventare cronico, intrappolando il Paese e i cittadini nei propri mali, bloccando o rallentando la crescita e lo sviluppo delle comunità e delle persone. Da dove ripartire? Quale scossa potrà svegliare il Paese dal suo torpore? Sono sicuro che i giornalisti possano fare davvero tanto. Ci sono modelli alternativi di vita da raccontare. Ci sono persone e comunità che attendono di essere narrate perché hanno intuizioni, progettano, studiano, lavorano, conseguono successi. Mostriamo il Paese che “ce la fa”, mostriamo l’azione di quanti operano per uscire dalla crisi morale, sociale, economica, politica. Mostriamo la loro volontà, la loro passione, la forza, la generosità, la lungimiranza: atteggiamenti quotidiani ma che diventano straordinari in un momento in cui l’ordinario pare essere sempre più l’egoismo, l’avidità, le scorciatoie, la corruzione, l’immoralità… Non serve creare ingenue rubriche di buone notizie, ma recuperare passione per la vita reale della gente, aiutarla a ripartire, sostenerla nel suo darsi da fare. La situazione pare speculare a quella che l’Italia ha sperimentato alla fine della seconda guerra mondiale: distruzioni, limitazioni delle libertà, macerie, povertà, frammentazioni, depressione… Noi però oggi non ne siamo tutti consapevoli. I nostri padri erano consci della gravità della situazione perché toccavano con mano quelle macerie, la povertà li privava del cibo quotidiano, la costrizione della libertà li limitava anche fisicamente. Noi invece rischiamo di essere vittime del benessere che ci rende ciechi e sordi, tanto da non accorgerci di quante disuguaglianze ancora affliggano il mondo e di quanto le nuove povertà, morali e spirituali anzitutto, le ferite del corpo e ancor più dell’anima impoveriscano e spengano la nostra stessa umanità. Raccontare la realtà aiuta a comprendere il reale per quello che è in profondità, a dare a ogni fenomeno il nome vero. La verità è l’unica via che possa condurci alla consapevolezza del momento presente, è l’unica via che possa spingere a quel 21 sussulto collettivo capace di toglierci dalle secche LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 22 in cui siamo arenati. Titolare giornali e telegiornali con i sintomi del male o con pretestuose ricostruzioni della realtà per nascondere la gravità della situazione non è la strada per uscire dalla crisi. Per recuperare un clima complessivo più sereno, nella comunicazione e soprattutto nel Paese, oltre a denunciare con forza i sintomi del male, proviamo - con maggiore decisione - a ricercarne onestamente le cause, proviamo a dare voce a chi è credibile e ha intuito una cura per la guarigione e magari già la sta sperimentando con successo. Le promesse di libertà generate in continuità dalla cultura dell’autonomia assoluta hanno prodotto un mondo sociale e culturale povero. Altra è la strada da percorrere: si tratta di ritrovare la passione per il lavoro, la famiglia, la città, i percorsi di crescita personali. Alziamo lo sguardo al mondo, spingiamolo fino al cielo: non lasciamoci rapire e imprigionare solo da quanto sta entro il giardino di casa. Torniamo a guardare al futuro, alla possibilità di un futuro migliore. Questa tensione ideale che permetterà al Paese di ripartire non è assente affatto dalle nostre comunità: solo non è oggetto di attenzione e di narrazione e non viene adeguatamente amplificata. A voi giornalisti auguro di vivere con passione la vostra professione, di avere a cuore il vostro futuro, quello della vostra famiglia e del vostro Paese: così riconoscerete e metterete in circolo le energie positive che già sono operanti tra noi. La passione riconosce la passione: vale per il giornalista che vuole raccontare la realtà secondo verità, vale anche per l’utente dei media che davanti alla passione rimane affascinato e ne è mosso interiormente. Lasciamoci contagiare dalla passione “sana”, sapendo che è sempre in agguato il rischio di scambiare la passione con il livore o l’accesa militanza di una parte, in contrapposizione con le altre. La vera passione - quella di Gesù ce lo insegna in mo22 do insuperabile - non è mai contro qualcuno ma sempre a beneficio di tutti. Parlandovi con il cuore e la responsabilità di un pastore d’anime mi sento di offrirvi ancora qualche suggerimento che so corrispondere ai vostri desideri più profondi. La passione vi sia da guida nel lavoro: sarete così immunizzati dalla tentazione di perdervi nel racconto delle banalità che altri potranno usare per distrarre il Paese dalla necessaria presa di consapevolezza dei propri mali. Siamo in una situazione di crisi: assumiamoci per primi il compito di fare qualcosa per uscirne, visto che in troppi stanno abdicando a questo dovere morale caratteristico dei buoni cittadini. Aiutiamo la gente a reagire alla depressione e all’immoralità, stimoliamola a desiderare un Paese migliore, mostrando che è possibile costruirlo ed evidenziando chi già lavora per un futuro migliore. O il giornalismo diverrà protagonista di un simile racconto oppure, se cederà completamente alle logiche di potere, si degraderà fino all’irrilevanza, come è stato per altre funzioni un tempo fondamentali della società. La passione positiva di tanti giovani, la loro competenza, la loro voglia di sperimentare, di giocarsi personalmente e di costruire futuro ci siano di esempio e ringiovaniscano anche la nostra stessa passione. Abbiamo bisogno di giornalisti responsabili, ne ha bisogno il Paese. Dunque, non rassegniamoci! Perché? Trovo la risposta in Dostoevskij: perché io ho visto la verità, perché io ho visto e io so che gli uomini possono essere belli e felici senza perdere la possibilità di vivere sulla terra. Io non posso e non voglio credere che il male sia la condizione normale degli uomini. (Il Sogno di un uomo ridicolo) Milano, 29 gennaio 2011 † Dionigi card. Tettamanzi Arcivescovo di Milano 23 LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 24 I RELATORI CHIARA PELIZZONI Diplomata Liceo Classico, laurea in Dams. Master in Ideazione e Produzione Audiovisivi. Entrambi in Cattolica (la laurea a Brescia, il master a Milano). Collaborazione con il Giornale di Brescia pagina Cultura e Spettacoli, Ufficio Stampa per l’Universtà Cattolica- BS; una volta a Roma, collaborazioni esterne ma continuative per Rai Tre e Rai Uno, conduttrice a Sat2000, ricercatore- autore e coordinamento ricerche per MtvNews, infine, Corriere.it, per il CorriereTv. ENRICO MENTANA Giornalista, ha esordito in Rai nel 1980 al TG1, di cui è stato anche inviato e conduttore per diventare successivamente vicedirettore del TG2. Dopo il passaggio a Fininvest ha fondato il TG5, andato in onda per la prima volta il 13 gennaio 1992 e che ha diretto per tredici anni. Dopo aver diretto anche TgCom (il primo telegiornale realizzato su internet), nel 2005 ha creato “Matrix”, il programma di approfondimento in onda su Canale 5 da lui creato e condotto fino al 2009. Nel febbraio dello stesso anno si è dimesso da Mediaset “per una scelta di dignità” in polemica con le decisioni dell’azienda. Dopo una collaborazione con il 24 Corriere della Sera, testata per cui ha curato la trasmissione on line “Mentana condicio. Vietati in tv, liberi sul web”, dal 2 luglio 2010 dirige la testata giornalistica di LA7, di cui conduce l’edizione delle 20. Vincitori di molti premi giornalistici, Enrico Mentana ha pubblicato nel 2009 il libro “Passionaccia”. MARIO CALABRESI 40 anni, dalla fine di aprile 2009 è direttore de La Stampa. Dopo aver frequentato a Milano il corso di laurea in storia e la scuola di giornalismo, venne assunto all’ANSA nel 1996 come cronista parlamentare. Dall’Agenzia passò alla redazione politica del quotidiano la Repubblica e quindi a La Stampa. Per il quotidiano torinese, raccontò dagli Stati Uniti gli attentati dell’11 settembre 2001. Rientrato a La Repubblica nel 2002, assunse l’incarico di caporedattore centrale. Dal 2007, sempre per lo stesso quotidiano, ritornò in America per diventare corrispondente da New York. Nel 2007, ha pubblicato il libro autobiografico Spingendo la notte più in là. Storia della sua famiglia e di altre vittime del terrorismo (Mondadori), dedicato alle vicende del padre Luigi assassinato dal terrorismo a Milano nel 1972. Tradotto anche in Francia, Germania e Stati Uniti. Nel 2009 ha pubblicato sempre per Mondadori La fortuna non esiste storie americane di persone che sono cadute e hanno trovato la forza di rialzarsi e di ricominciare. Nel 2002 ha vinto il premio Angelo Rizzoli di giornalismo, nel 2003 quello intitolato a Carlo Casalegno e nel 2007 il Premiolino. Nel 2009 il premio Ischia. 25 LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 26 MARCO TARQUINIO è umbro, di Assisi. Ha 52 anni e da ventisei scrive di politica interna e internazionale. Dopo una brevissima esperienza da docente, ha iniziato la carriera giornalistica nella sua regione collaborando con il settimanale La Voce – che nel 1983 contribuì a rifondare – e come redattore del Corriere dell’Umbria, giornale dove è diventato professionista. È stato notista e capo del servizio politico del Tempo e, prima ancora, della catena di quotidiani locali La Gazzetta. Ad Avvenire ha guidato il desk centrale di Milano (1994-1996) e la redazione romana (1997-2007) per poi essere chiamato alla vicedirezione. È al timone di Avvenire dal 3 settembre 2009, prima come vicedirettore responsabile e quindi – dal 24 novembre di quello stesso anno – come ottavo direttore nella storia del quotidiano nazionale d’ispirazione cattolica. ANTONIO SCIORTINO Don Antonio Sciortino, nato il 28 luglio 1954 a Delia, in provincia di Caltanissetta, è stato ordinato sacerdote della Società San Paolo il 20 settembre 1980. Ha compiuto a Roma gli studi di filosofia presso la Pontificia Facoltà San Bonaventura e, quindi, presso l’Università Pontificia Gregoriana, quelli di teologia conseguendo anche la licenza in teologia morale. Durante gli anni di studio ha iniziato a lavorare presso le riviste interne della San Paolo 26 frequentando in seguito il corso di specializzazione in giornalismo presso la Scuola Superiore di Comunicazione Sociale dell’Università Cattolica di Milano. Nel 1984 è entrato nella redazione di Famiglia Cristiana per cui ha seguito i viaggi del Papa. Giornalista professionista dal 1986, è specializzato sui temi della famiglia e dell’informazione religiosa. Dal 1987 è direttore del mensile Famiglia Oggi (dedicato alle tematiche familiari) e membro del consiglio direttivo dell’Associazione don Giuseppe Zilli per la famiglia e le comunicazioni sociali – Onlus. Dal 1988 affianca l’allora direttore di Famiglia Cristiana don Leonardo Zega, diventando Condirettore della rivista. Don Sciortino firma il giornale in qualità di Direttore Responsabile a partire dal numero 31 di Famiglia Cristiana datata 8 agosto 1999. Il 9 giugno 2006, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, avvalendosi della facoltà concessagli dall’articolo 2 dello Statuto dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, gli ha conferito l’onorificenza di Grande Ufficiale. Il 7 dicembre 2008 è stato insignito dell’Ambrogino d’Oro del Comune di Milano. Nel maggio 2009 ha pubblicato per Mondadori il libro La famiglia cristiana – una risorsa ignorata. Nel maggio 2010 per l’editore Laterza il libro Anche voi foste stranieri. L’immigrazione, la Chiesa e la società italiana. 27 LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 28 Messaggio del Santo Padre per la XLV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 5 giugno 2011 le della persona e dell’umanità intera. Se usate saggiamente, esse possono contribuire a soddisfare il desiderio di senso, di verità e di unità che rimane l’aspirazione più profonda dell’essere umano. Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale Nel mondo digitale, trasmettere informazioni significa sempre più spesso immetterle in una rete sociale, dove la conoscenza viene condivisa nell’ambito di scambi personali. La chiara distinzione tra il produttore e il consumatore dell’informazione viene relativizzata e la comunicazione vorrebbe essere non solo uno scambio di dati, ma sempre più anche condivisione. Questa dinamica ha contribuito ad una rinnovata valutazione del comunicare, considerato anzitutto come dialogo, scambio, solidarietà e creazione di relazioni positive. D’altro canto, ciò si scontra con alcuni limiti tipici della comunicazione digitale: la parzialità dell’interazione, la tendenza a comunicare solo alcune parti del proprio mondo interiore, il rischio di cadere in una sorta di costruzione dell’immagine di sé, che può indulgere all’autocompiacimento. Cari fratelli e sorelle, in occasione della XLV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, desidero condividere alcune riflessioni, motivate da un fenomeno caratteristico del nostro tempo: il diffondersi della comunicazione attraverso la rete internet. È sempre più comune la convinzione che, come la rivoluzione industriale produsse un profondo cambiamento nella società attraverso le novità introdotte nel ciclo produttivo e nella vita dei lavoratori, così oggi la profonda trasformazione in atto nel campo delle comunicazioni guida il flusso di grandi mutamenti culturali e sociali. Le nuove tecnologie non stanno cambiando solo il modo di comunicare, ma la comunicazione in se stessa, per cui si può affermare che si è di fronte ad una vasta trasformazione culturale. Con tale modo di diffondere informazioni e conoscenze, sta nascendo un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e di costruire comunione. Si prospettano traguardi fino a qualche tempo fa impensabili, che suscitano stupore per le possibilità offerte dai nuovi mezzi e, al tempo stesso, impongono in modo sempre più pressante una seria riflessione sul senso della comunicazione nell’era digitale. Ciò è particolarmente evidente quando ci si confronta con le straordinarie potenzialità della rete internet e con la complessità delle sue applicazioni. Come ogni altro frutto dell’ingegno uma28 no, le nuove tecnologie della comunicazione chiedono di essere poste al servizio del bene integra- Soprattutto i giovani stanno vivendo questo cambiamento della comunicazione, con tutte le ansie, le contraddizioni e la creatività proprie di coloro che si aprono con entusiasmo e curiosità alle nuove esperienze della vita. Il coinvolgimento sempre maggiore nella pubblica arena digitale, quella creata dai cosiddetti social network, conduce a stabilire nuove forme di relazione interpersonale, influisce sulla percezione di sé e pone quindi, inevitabilmente, la questione non solo della correttezza del proprio agire, ma anche dell’autenticità del proprio essere. La presenza in questi spazi virtuali può essere il segno di una ricerca autentica di incontro personale con l’altro se si fa attenzione ad evitarne i pericoli, quali il rifugiarsi in una sorta di mondo parallelo, o l’eccessiva esposizione al mondo virtuale. Nella ricerca di condivisione, di “amicizie”, ci si trova di fronte alla sfida dell’essere autentici, fedeli a se stessi, senza cedere all’illusione di costruire artificialmente il proprio 29 “profilo” pubblico. LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 30 Le nuove tecnologie permettono alle persone di incontrarsi oltre i confini dello spazio e delle stesse culture, inaugurando così un intero nuovo mondo di potenziali amicizie. Questa è una grande opportunità, ma comporta anche una maggiore attenzione e una presa di coscienza rispetto ai possibili rischi. Chi è il mio “prossimo” in questo nuovo mondo? Esiste il pericolo di essere meno presenti verso chi incontriamo nella nostra vita quotidiana ordinaria? Esiste il rischio di essere più distratti, perché la nostra attenzione è frammentata e assorta in un mondo “differente” rispetto a quello in cui viviamo? Abbiamo tempo di riflettere criticamente sulle nostre scelte e di alimentare rapporti umani che siano veramente profondi e duraturi? È importante ricordare sempre che il contatto virtuale non può e non deve sostituire il contatto umano diretto con le persone a tutti i livelli della nostra vita. Anche nell’era digitale, ciascuno è posto di fronte alla necessità di essere persona autentica e riflessiva. Del resto, le dinamiche proprie dei social network mostrano che una persona è sempre coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali. Ne consegue che esiste uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale: esso si concretizza in una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro. Comunicare il Vangelo attraverso i nuovi media significa non solo inserire contenuti dichiaratamente religiosi sulle piattaforme dei diversi mezzi, ma anche testimoniare con coerenza, nel proprio profilo digitale e nel modo di comunicare, scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita. Del resto, anche nel mondo digitale non vi può essere annuncio di un messaggio senza una coerente testimonianza da parte di chi annuncia. Nei nuovi 30 contesti e con le nuove forme di espressione, il cristiano è ancora una volta chiamato ad offrire una risposta a chiunque domandi ragione della speranza che è in lui (cfr 1Pt 3,15). L’impegno per una testimonianza al Vangelo nell’era digitale richiede a tutti di essere particolarmente attenti agli aspetti di questo messaggio che possono sfidare alcune delle logiche tipiche del web. Anzitutto dobbiamo essere consapevoli che la verità che cerchiamo di condividere non trae il suo valore dalla sua “popolarità” o dalla quantità di attenzione che riceve. Dobbiamo farla conoscere nella sua integrità, piuttosto che cercare di renderla accettabile, magari “annacquandola”. Deve diventare alimento quotidiano e non attrazione di un momento. La verità del Vangelo non è qualcosa che possa essere oggetto di consumo, o di fruizione superficiale, ma è un dono che chiede una libera risposta. Essa, pur proclamata nello spazio virtuale della rete, esige sempre di incarnarsi nel mondo reale e in rapporto ai volti concreti dei fratelli e delle sorelle con cui condividiamo la vita quotidiana. Per questo rimangono sempre fondamentali le relazioni umane dirette nella trasmissione della fede! Vorrei invitare, comunque, i cristiani ad unirsi con fiducia e con consapevole e responsabile creatività nella rete di rapporti che l’era digitale ha reso possibile. Non semplicemente per soddisfare il desiderio di essere presenti, ma perché questa rete è parte integrante della vita umana. II web sta contribuendo allo sviluppo di nuove e più complesse forme di coscienza intellettuale e spirituale, di consapevolezza condivisa. Anche in questo campo siamo chiamati ad annunciare la nostra fede che Cristo è Dio, il Salvatore dell’uomo e della storia, Colui nel quale tutte le cose raggiungono il loro compimento (cfr Ef 1,10). La proclamazione del Vangelo richiede una forma rispettosa e discreta di comunicazione, che stimola il cuore e muove la coscienza; una forma che richiama lo stile di Gesù risorto quando si fece compagno nel cammino dei discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35), i quali 31 furono condotti gradualmente alla comprensione LIBRETTO_1.qxd 28/01/2011 16.41 Pagina 32 del mistero mediante il suo farsi vicino, il suo dialogare con loro, il far emergere con delicatezza ciò che c’era nel loro cuore. La verità che è Cristo, in ultima analisi, è la risposta piena e autentica a quel desiderio umano di relazione, di comunione e di senso che emerge anche nella partecipazione massiccia ai vari social network. I credenti, testimoniando le loro più profonde convinzioni, offrono un prezioso contributo affinché il web non diventi uno strumento che riduce le persone a categorie, che cerca di manipolarle emotivamente o che permette a chi è potente di monopolizzare le opinioni altrui. Al contrario, i credenti incoraggiano tutti a mantenere vive le eterne domande dell’uomo, che testimoniano il suo desiderio di trascendenza e la nostalgia per forme di vita autentica, degna di essere vissuta. È proprio questa tensione spirituale propriamente umana che sta dietro la nostra sete di verità e di comunione e che ci spinge a comunicare con integrità e onestà. Invito soprattutto i giovani a fare buon uso della loro presenza nell’arena digitale. Rinnovo loro il mio appuntamento alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid, la cui preparazione deve molto ai vantaggi delle nuove tecnologie. Per gli operatori della comunicazione invoco da Dio, per intercessione del Patrono san Francesco di Sales, la capacità di svolgere sempre il loro lavoro con grande coscienza e con scrupolosa professionalità, mentre a tutti invio la mia Apostolica Benedizione. Dal Vaticano, 24 gennaio 2011, Festa di san Francesco di Sales BENEDICTUS PP. XVI 32 © Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana