ALFREDO PIERANTOZZI VITTIMA DEL FASCISMO Rivalutazione storica della figura del Maresciallo dei Carabinieri ucciso a Valibona il 3 gennaio 1944 Un dato però si può affermare con certezza: il Maresciallo Pierantozzi è stato un martire del fascismo. Si è trovato suo malgrado e forzatamente a dover partecipare alla battaglia di Valibona perchè le forze Repubblichine avevano bisogno di una legittimazione militare, ma in realtà il Maresciallo di Calenzano, personaggio scomodo ai fascisti, morì a Valibona per una propria forma di opposizione alla barbarie e in questa veste deve essere ricordato. Il Comune di Calenzano sta lavorando da diversi anni alla ricostruzione della storia della nostra comunità. Dal dopoguerra a oggi ma anche durante il fascismo e la lotta di Liberazione. La memoria è un esercizio che fa bene alle comunità, non soltanto per quanto riguarda la ricerca della verità storica rafforzando così le nostre radici, ma anche per far partecipare le nuove generazioni alle esperienze che hanno edificato i valori su cui si fonda la nostra società mettendole al riparo dal ripetersi degli errori fatti nel passato e valorizzando gli esempi morali a cui ispirare l’azione quotidiana. A settant’anni da questo evento ci è sembrato opportuno chiarire anche aspetti più oscuri o dimenticati, come la vicenda che riguarda il Maresciallo dei Carabinieri di Calenzano Alfredo Pierantozzi ucciso il 3 Gennaio 1944 a Valibona, dove si scontrarono italiani contro italiani, fascisti contro partigiani. E’ in questo contesto che si inserisce il ruolo del Maresciallo Pierantozzi. Da diverse testimonianze è emerso un profilo di uomo che dava priorità ai cittadini di Calenzano prima che al rispetto delle leggi della Repubblica Sociale. Un carabiniere fedele ai propri giuramenti nel rispetto del popolo italiano. Testimonianze affermano infatti che abbia volutamente ignorato la presenza di molti renitenti alla leva nascosti, risparmiandoli dall’arresto, così come aiutato persone ad uscire dal carcere, dove erano finite per aver offeso i fascisti o per non aver obbedito ai loro ordini. Abbiamo anche svolto ricerche documentali più precise su Pierantozzi sia attraverso l’archivio comunale che in altri ambiti: abbiamo così ritrovato l’originale del certificato di morte, nel quale si parla di un colpo di arma da fuoco alla testa. Questo aspetto può avvalorare l’ipotesi di un’esecuzione sommaria da parte degli stessi fascisti dopo la battaglia, perché con ogni probabilità si era opposto alle rappresaglie sui civili che avevano ospitato i partigiani. L’attenta analisi di documenti inediti e non, faceva emergere numerose incongruenze e sorgere tanti interrogativi su come si svolsero effettivamente i fatti i quali nei vari resoconti che seguirono all’azione militare, furono sicuramente deformati. Manca tuttavia una prova certa, testimoniale o documentale, sulla vera responsabilità dell’uccisione. Per questo, a fine settembre sono stati presentati al Comitato Comunale Antifascista gli esiti delle ricerche sulla morte del Maresciallo dei Carabinieri e in accordo con il Comitato stesso è stato deciso di iniziare un percorso istituzionale per la rivalutazione del Pierantozzi come martire del fascismo. La questione è stata esaminata dalla Commissione consiliare competente e infine il Consiglio comunale il 28 novembre 2014, ha approvato all’unanimità l’Ordine del Giorno, che trovate a chiusura di questa pubblicazione, che rende definitivamente giustizia alla memoria del maresciallo ucciso. Siamo arrivati quindi alla conclusione del percorso istituzionale iniziato con l’approfondimento delle ricerche storiche che ritrovate tutte pubblicate in questo opuscolo accompagnate da documenti e testimonianze sulla figura del Maresciallo e sulle vicende che ne causarono la morte. Un atto dovuto a una figura che tanti testimoni ricordano come uomo giusto. Le fonti ufficiali dell’epoca hanno inserito Pierantozzi tra le vittime fasciste della battaglia di Valibona, ma tanti cittadini di Calenzano, compresi alcuni contadini di Valibona, lo ricordano per i suoi atti di generosità. Questo è quello che ci ha spinto ad approfondire le ricerche e trovare una conferma storica al ricordo popolare. Ringrazio sentitamente quanti hanno lavorato per raggiungere questo esito e quanti negli anni si sono spesi affinchè si arrivasse alla riabilitazione di una persona per bene che ha pagato con la vita l’essere stato dalla parte dei cittadini nel rispetto dei valori in cui credeva. Il Sindaco Alessio Biagioli Dal foglio matricolare di Alfredo Pierantozzi. Arruolamento, servizi, promozioni e altre variazioni matricolari dal 1911 al 1935 Nato a Norcia il 4 febbraio 1892 Statura: mt. 1,67 - torace m.0,86 Capelli: castani ricciuti Occhi: castani Colorito: bruno Dentatura: buona Professione: fantino Istruzione: sa leggere e scrivere. • Arruolato nel 1911 come allievo Carabiniere a piedi volontario nella legione di Ancona. • Nel 1917 diventa Vicebrigadiere nella legione provinciale del Trentino. • Nel 1919 svolge servizio nella Venezia tridentina mobilitata in territorio dichiarato in stato di guerra. • Nel 1920 diviene Brigadiere. • Nel 1923 Maresciallo d’alloggio e nel 1925 Maresciallo d’alloggio capo. • Nel 1932 è nella Legione di Firenze e il primo dicembre 1935 viene collocato a riposo a sua domanda per anzianità di servizio. Riportò contusioni in seguito a colluttazione per ridurre all’impotenza un alienato onde impedirgli di causare gravi danni alla persona di una quattordicenne da lui trascinata pei capelli lungo una pubblica via. (Calliano 25 febbraio 1925). Contrasse pleurite secca sinistra per servizio di linea eseguito in condizioni atmosferiche eccezionalmente avverse (Firenze 18 maggio 1933). Riconoscimenti: • • • • • 4 Croce al merito di guerra Medaglia commemorativa nazionale della guerra 1915 - 1918 Medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia Medaglia della Vittoria Croce d’argento per anzianità di servizio (1926) 5 6 Foglio matricolare Scheda anagrafica 7 Nota biografica dalle fonti comunali su Alfredo Pierantozzi di Antonietta Quarta Come la testimonianza di un dagherrotipo, apparecchio sulla cui superficie d’argento l’antica tecnica fotografica faceva emergere fra toni sfumati di bianco e di nero il contorno nitido di un ritratto del passato, così la testimonianza documentale e la descrizione storica cerca di ricostruire la verità sull’uomo Alfredo Pierantozzi, rimanendo attenta nel distinguere l’evento reale dalla narrazione. Senza addentrarsi nella interpretazione delle fonti, chi entra in un archivio sa di non poter trovare in un unico documento la storia di un uomo ma solo alcune delle diverse tracce da questo lasciate, le quali seppur a volte evanescenti e solo apparentemente inconsistenti, sono utili per imbastire nuove ipotesi di ricerca. I documenti dell’archivio di Calenzano sono stati inizialmente percorsi in senso inverso: dalla data di morte, ancora indietro per ritrovare la sua attività e infine la data di nascita, registrata nel registro degli atti di morte, nel cui luogo si trova sintetizzate le date di inizio e conclusione di un ciclo vitale. Dal contenuto di queste crude fonti (registri di stato civile, anagrafici e di emigrazione) furono rinvenuti alcuni dati della sua vita: Alfredo Pierantozzi, figlio di Gaspero e di Anna Bonacci, era nato a Norcia il 4 febbraio 1892 e nel 1944 era residente a Calenzano dove viveva con la famiglia (la moglie Caterina Moretti e le figlie Zaira e Lidia), in via S. Donato, 182. Maresciallo Maggiore a piedi fu nominato nel 1939 comandante della stazione di Calenzano (circoscrizione che dipendeva dalla tenenza di Prato e compresa nella legione dei Carabinieri di Firenze). Per il piccolo comune di Calenzano, in un momento drammatico per il Paese, Alfredo Pierantozzi svolgeva anche altri ruoli istituzionali. Come autorità militare periferica dello Stato egli fu membro della commissione per le liste di leva e della commissione per i soccorsi ai militari alle armi, dal 1939 al 1944, ruoli che gli consentirono di avere una conoscenza precisa non solo del territorio ma dei giovani in età di leva e di tutte le famiglie calenzanesi. Per la stessa ragione manteneva contatti diretti con le principali istituzioni politiche e amministrative dell’epoca, statali e comunali: il segretario del partito PNF, le autorità sanitarie, il podestà, gli ufficiali di stato civile e anagrafe. Ma l’andamento naturale di Pierantozzi si interrompe bruscamente, per alcuni forse non inaspettatamente, il 3 gennaio 1944, nella battaglia di Valibona: la certificazione rilasciata dal medico di Prato il 5 gennaio 1944 attestava che la sua morte era avvenuta per ferite di arma da fuoco al cranio, riscon8 trata due giorni dopo in seguito al suo ritrovamento. Se i documenti con la sua firma si interrompono, altra documentazione prosegue e continua a tracciare in senso orario gli eventi successivi alla sua morte: documenti di pubblica sicurezza, giudiziaria, sanitaria, la corrispondenza delle autorità militari (a vari gradi) che disposero le indagini subito dopo la sua scomparsa. Altre tracce altri contesti: le comunicazioni e le richieste di informazioni inviate al Comune dalle istituzioni statali incaricate delle indagini dopo il suo ritrovamento, per esempio le richieste del certificato di morte proveniente dall’intendenza di finanza di Perugia (15 gennaio 1945) e risposta dell’Ufficio di Stato Civile di Calenzano; dalla tenenza di Prato al Comune e infine la voce autoritaria dello Stato che decreta a favore della famiglia del Maresciallo Pierantozzi, l’assegnazione di un sussidio economico, quale riconoscimento del suo ruolo di fedele impiegato della patria, deceduto ufficialmente in servizio durante una battaglia contro i guerriglieri. Così sancisce anche nel libretto di presenza alla bandiera n.19928 a lui intestato e ancora ribadito nell’elenco dei beneficiari del 1945: morto per rappresaglia. Il silenzio della famiglia sull’assegnazione è eloquente di un timido ma convinto dissenso con tale affermazione. Solo a distanza di 71 anni, le testimonianze su Alfredo Pierantozzi, emerse dopo un’attenta e scrupolosa indagine sui documenti - che continuano ad essere la componente indispensabile, anche se non l’unica, a determinare l’orientamento su di una realtà - consentono di far emergere una verità storica e la memoria, offuscata dal tempo, ci potrà restituire un’immagine precisa e nitida, come quella di una foto digitale. Maresciallo Pierantozzi (primo da sinistra) in mezzo al grano. Valibona 3 gennaio 1944, ricostruzione dei fatti di Daniele Guglielmi 1 La piccola formazione comandata da Lanciotto Ballerini , composta da diciassette uomini – mentre altri si erano temporaneamente allontanati – e conosciuta come Gruppo d’Assalto Garibaldi “Lupi Neri”, era stata ospitata dalla popolazione all’interno di un fienile posto nell’abitato di Valibona, sui monti della Calvana ai confini tra Calenzano e Prato. I partigiani stavano attendendo di poter riprendere la marcia verso i gruppi di patrioti pistoiesi. La marcia della formazione non era passata inosservata e il comandante della Guardia Nazionale Repubblicana di Prato, il Seniore (grado equivalente a Maggiore dell’esercito) Duilio Sanesi, decise, in accordo con il comando tedesco di zona, di procedere con un’azione tesa a distruggere il gruppo di ribelli, autore di alcune azioni contro persone e proprietà della Repubblica Sociale Italiana. Tra gli attaccanti, i volontari del Battaglione “Muti” – da non confondere con la Legione “Muti” di Milano – erano giovanissimi con meno di tre mesi di addestramento e servizio; gli unici esperti erano i quattro ufficiali e alcuni sottufficiali. La partenza degli automezzi avvenne alle ore 00.30 del 3 gennaio 1944 da Scandicci e qualche ora dopo da Calenzano, passando da Secciano e arrivando a Valibona verso le ore 06.00; poco dopo arrivò il gruppo partito da Vaiano, località La Briglia. Dopo aver accerchiato la zona, alle ore 07.00 due ufficiali e quatto militari si avvicinarono alla costruzione principale, venendo fatti segno al fuoco dei partigiani, che non si fermarono alle intimazioni di resa e continuarono a sparare dall’interno della costruzione per circa tre ore e mezza, utilizzando una mitragliatrice leggera Breda 30, bombe a mano, pistole e moschetti. Approfittando di alcune indecisioni da parte degli attaccanti e dell’allentamento dell’accerchiamento, i partigiani ruppero l’assedio e fuggirono, lasciando però sul terreno i corpi del Comandante e del mitragliere Luigi Giuseppe Ventroni e alcuni feriti, uno dei quali, il russo Andrej Wladimiro, venne ucciso a sangue freddo. Da parte repubblicana si ebbero il grave ferimento di Sanesi, in seguito deceduto a Prato, la morte di tre militari e quella del Maresciallo Maggiore 2 dei Carabinieri Alfredo Pierantozzi , Comandante la stazione di Calenzano, forse ucciso da chi era insieme a lui. Ai reparti repubblicani coinvolti nello scontro e ad alcuni dei loro componenti furono assegnate onorificenze italiane e tedesche. La stampa del tempo dette molto risalto 10 al combattimento, ingigantendone la portata a fini di propaganda. Il fienile e le costruzioni poste attorno furono incendiati per punire chi aveva aiutato il gruppo di partigiani e gli abitanti vennero obbligati ad abbandonare la zona; la repressione continuò il 4 gennaio. Il nome “Lanciotto” venne dato a una divisione partigiana, che in seguito partecipò alla liberazione di Firenze. Nel 1946, alla memoria di Ballerini fu concessa la medaglia d’oro al valor militare. Il processo contro gli assalitori si tenne agli inizi del 1947, contro 26 imputati identificati e accusati anche di altre azioni. Al termine del processo risultarono 9 condanne a 30 anni di reclusione, una a 10 anni e 15 amnistiati. 1 Lanciotto Ballerini era nato a Campi Bisenzio il 15 agosto 1911; nel 1932 era stato congedato dopo il servizio di leva, in seguito fu richiamato e inviato in Africa orientale, da dove rientrò nel 1937. Dopo essersi sposato e avere avuto una figlia, nel 1940 fu di nuovo chiamato alle armi, venendo trasferito sul fronte greco-albanese e poi iugoslavo. Alla proclamazione dell’armistizio l’8 settembre 1943 aveva il grado di Sergente Maggiore di fanteria e si trovava ricoverato in ospedale a Firenze, da dove si diresse verso monte Morello per entrare a far parte del locale gruppo partigiano Garibaldi. Viste le convinzioni morali che lo animavano e la sua esperienza militare, fu subito messo a capo di una formazione. 2 In alcuni documenti il maresciallo Pierantozzi è citato con il nome di Antonio anziché Alfredo e con il cognome Pierantoni. Mentre andiamo in pubblicazione ci arriva dall’Istituto Storico della Resistenza in Toscana attraverso Daniele Guglielmi, il rapporto integrale inviato il 14 gennaio 1944 dal Comando Militare regionale tedesco di Firenze al Generale plenipotenziario dell’esercito tedesco in Italia di Verona. Questo a dimostrare che le ricerche non finiscono mai e aggiungono ancora pezzi a questa storia. Ha per oggetto “rapporti sulla situazione generale” e nella parte che riguarda la situazione politica e sociale dice “...Il fatto che nel comprensorio del Comando (toscano) si sia potuto finora mantenere l’ordine pubblico, non basta da solo, a consentire alcuna conclusione sugli sviluppi futuri. ...Le bande si sono mantenute finora in un atteggiamento piuttosto di attesa. Un gruppo di una banda è stato costretto ad accettare battaglia sul M.Morello (si tratta dello scontro di Valibona) ed è stato annientato. ...Questa azione ha peraltro fornito la prova che istruttori sovietici si sono uniti a queste bande...” Questo spiega da solo la paura che abbia potuto generare il gruppo di Valibona e ancor meglio il dispiegamento di forze utilizzato, la violenza dell’intervento, compreso quello su Pierantozzi, e il successivo sforzo per dimostrare il successo dell’operazione, che a dire il vero non era andata tanto bene. E’ anche la riprova della centralità che assume l’episodio, a prima vista marginale, della Battaglia di Valibona, che dimostra l’attivismo e la vitalità dei gruppi di partigiani che andavano formandosi nella provincia di Firenze che univano uomini provenienti da varie parti d’Italia e d’Europa. Solo nel gruppo dei 17 di Lanciotto erano presenti non solo due sovietici ma anche inglesi e iuguslavi, per non parlare dei provenienti dalle altre regione italiane quali veneti, campani, siciliani e perfino sardi come Ventrone. 11 Il quadro della vicenda come emerge dai documenti e dalle testimonianze di Maria Lazzerini Le circostanze della morte del Maresciallo Pierantozzi in esito al conflitto a fuoco denominato La Battaglia di Valibona sono rimaste oscure pur in presenza di un’opinione comune molto diffusa che la imputava ai repubblichini fascisti, che avevano deciso e organizzato lo scontro coi partigiani e le successive ritorsioni contro i contadini della zona rei di averli aiutati. Perciò si è avvertito il bisogno di tentare un approfondimento che potesse offrire un quadro più preciso dell’intera vicenda. Ci siamo avvalsi della collaborazione della dottoressa Antonietta Quarta per la consultazione dell’archivio storico comunale e dei consulenti del Museo del Figurino Storico per la ricerca presso altri archivi. In particolare si sono spesi nel non facile reperimento di ulteriore documentazione, Daniele Guglielmi e Claudio Biscarini dei quali riportiamo rispettivamente la Cronologia documentale con ricostruzione dei fatti redatta dal Guglielmi e la ricerca sul Maresciallo Pierantozzi ad opera del Biscarini. Numerose le informazioni pervenute anche da semplici cittadini e riportate su articoli di giornale. Al riguardo si sottolinea la pagina apparsa su Metropoli il 22 Aprile 2011 a firma della giornalista Adele Tasselli a cui va il merito di aver riportato all’attenzione l’intera vicenda e di aver sollecitato un suo approfondimento. Non manca tutto quanto reperito sull’argomento attraverso la bibliografia, a cominciare dal libro di Michele Di Sabato “In margine alla Battaglia di Valibona” Documenti e immagini. Siamo quindi partiti da una raccolta completa delle testimonianze e dei documenti ufficiali. Ne diamo di seguito conto offrendo alla Amministrazione Comunale e ai rappresentanti delle varie istituzioni calenzanesi un quadro delle informazioni fin qui acquisite. Il primo dato certo da cui vogliamo iniziare è il referto medico sulla morte. La dottoressa Quarta incaricata della tenuta dell’archivio storico comunale, ci riporta 12 quanto scritto nell’atto di morte avvenuta il 3 gennaio 1944 “nella mattinata durante un’azione di guerra contro ribelli in località Valibona”. Il 6 gennaio 1944, il podestà di Calenzano Carlo Morrocchi, aveva ricevuto dal Comandante della tenenza di Prato l’avviso di morte sulla base del quale viene stilato l’atto di morte. Il documento, sebbene registrato nel protocollo della corrispondenza non è presente nel fascicolo. E’ stato possibile rintracciarlo nell’archivio del Comune di Prato (anno 1944 N.d’ord. 2 – p.II 1.B): “Constatazione di morte: Il sottoscritto certifica di aver constatato che ore 17,30 del quattro gennaio 1944 è stato trasportato morto alla camera mortuaria dello Spedale per ferita d’arma da fuoco al cranio Pierantozzi Alfredo Maresciallo Carabinieri. Firmato Il medico Romeo”. Ciò smentisce quanto riportato dalla nota n.2/5 R.P. inviata alle ore 21,45 del 4-11944 al Ministero Interni Roma (Gab.segr. PS.) dal comandante Capitano CC.RR. di Prato Eriberto Papotti, superiore gerarchico di Alfredo Pierantozzi (che dipendeva dalla tenenza di Prato), che cita testualmente “stamani durante nuovo rastrellamento in forze est stato ritrovato cadavere Maresciallo Maggiore Carabinieri Alfredo Pierantozzi colpito ieri mattina raffica mitraglia parti vitali corpo”... mentre lo stesso Capitano Comandante il 7 gennaio nell’elencare i militari deceduti durante l’azione del 3 gennaio 1944 cita al n.2 “M. M. Pierantozzi Alfredo – Comandante la stazione Carabinieri di Calenzano. Deceduto in seguito a ferite d’arma da fuoco al fianco sinistro (sic!) e alla nuca”. Ecco ora una serie di ricostruzioni dei fatti di diversa provenienza circa la situazione locale, la preparazione dell’operazione militare, la morte e il ritrovamento del corpo del Maresciallo. 1. Dal libro Preti fiorentini “Giorni di guerra 1943-45 lettere al Vescovo” libreria editrice fiorentina. Relazione sulle vicende della guerra 1939-1944, di don Emanuele Grazzini, Pievano di S.Severo a Legri, Vicariato di Calenzano e Sesto Fiorentino, Comune di Calenzano 1945, pagg. 463-464. “...Frattanto nell’ottobre 1943 cominciarono a girare per questi monti i partigiani o ribelli, come venivano chiamati dai fascisti. Comincia ora la 13 storia più dolorosa e più pericolosa... Il crescere del loro numero, qualche voce che poteva circolare, fecero sì che il 1° dell’anno 1944 nel pomeriggio arrivarono improvvisamente due camion di camicie nere del famigerato Battaglione Muti. Armati fino ai denti, in assetto di guerra, si dettero a perlustrare entrando fino in diverse case, fecero capolino alcuni anche in chiesa nel tempo dei Vespri, e arrestarono tre giovani di quelli che non avevano obbedito all’ordine di presentarsi alle armi. Per l’intervento del Maresciallo dei Carabinieri di Calenzano (un padre di famiglia) vedendo che “ribelli” non ne trovavano, bevvero e mangiarono di quel che trovarono e poi se ne partirono, lasciandoci più sollevati. Dopo pochi giorni si ebbero dei fatti gravi a Vadibona, nella parrocchia di Secciano, ove trovò la morte anche il sunnominato Maresciallo: però non si sa se colpito dai partigiani o dai fascisti, che lui non voleva accompagnare a questa operazione, tanto più che aveva chiesto di essere esonerato dal servizio...” 2. Verbale di Istruzione sommaria del 13 luglio 1946 (art.389 e seg. cod. proc. penale) del Tenente Martorano Luigi della tenenza di Prato e quindi diretto superiore di Pierantozzi. Ricostruisce il flusso informativo circa i preparativi e l’organizzazione dell’operazione di rastrellamento ma offre anche una versione sulla responsabilità della morte del Maresciallo Pierantozzi “...La sera del 2 gennaio ‘44 mentre ero alle corse, un Carabiniere venne a portarmi una lettera a firma del Maresciallo Pierantoni con la quale si informava che il comando di Firenze della G.N.R. Ettore Muti avrebbe nella notte dal 2 al 3 effettuato un rastrellamento a Valibona contro i partigiani”... “il Cap. Papotti mi ordinò categoricamente di andarvi... il Cap. Papotti mi aveva detto che le colonne partivano una da Vaiano e una da Calenzano, io fui assegnato alla colonna di Calenzano, la mattina mi recai a Calenzano e alle 5 eravamo a distanza di un chilometro dal posto dove avvenne il conflitto. La Muti da Calenzano partì per conto suo prima di noi, io con venti uomini si partì dopo ma giunti a un chilometro si intesero le prime fucilate tra i partigiani e la Muti, tornai indietro e alle 8,30 ero già a Prato. Dei miei Carabinieri nessuno sparò una fucilata, perchè avevo fatto 14 capire loro che non bisognava prendere parte all’azione. Da Vaiano avevo telefonato al Cap.Papotti che avevo abbandonato l’operazione con i miei uomini, Egli mi impose di tornare subito a Prato. Presentandomi a lui mi trovai il Ten.Col. Longo dei Carabinieri (di Firenze) riferii che ero scappato con i miei uomini,... tanto il Papotti che il Col. Longo si arrabbiarono e mi fecero capire che ero un vigliacco e mi ordinò di andare a Calenzano, dove mi recai con la mia macchina seguito dal Papotti e dal Longo che vi si recarono con la loro macchina e dove rimasi in caserma un giorno e mezzo aspettando il ritorno del Maresciallo Pierantoni del quale si seppe poi che era stato ucciso, non sul luogo del conflitto che si dice sia stato ucciso dai militi repubblichini secondo la voce che correva e la pubblicazione di un giornale comunista del 4 settembre 44. Nota: Da nessun documento traspare quando e con chi sia salito a Valibona Pierantozzi (sicuramente non con i Carabinieri : nè col Tenenete Martorano che tentò di raggiungerla da Calenzano tornandone subito indietro, nè con il Maresciallo Michelessi della stazione di Vaiano che la raggiunse dal versante di Prato e che prese parte attiva al conflitto - vedi relazione del Comandante della 1^ compagnia Cap.R.Niccolai – archivio SME e ancora il Verbale di Istruzione sommaria firmato dal Martorano). Non sappiamo neppure se sia effettivamente pervenuto sul luogo del conflitto e se vi abbia preso parte. Nell’elenco dei feriti durante l’azione del 2-4 gennaio 1944 in località Valibona il Capitano Comandante Eriberto Papotti dei Carabinieri di Prato riporta anche il Carabiniere Niccolai Guido – della stazione di Calenzano. Ferita d’arma da fuoco alla testa e stato di choc, guaribile in giorni 10”. (pag.47 libro “In margine alla Battaglia di Valibona) Con chi era pervenuto a Valibona il Carabiniere Niccolai di Calenzano se il Tenente Martorano esserisce di non esservi mai arrivato coi suoi uomini? E il terzo Carabiniere rientrato a Calenzano il giorno dopo e dato per ferito? 3. Dal libro “I nonni raccontano” la guerra il fascismo la resistenza – Pag.108 Dalla testimonianza di Bruno Faggi ex Sindaco di Calenzano. “Il giorno dopo iniziò il rastrellamento di Valibona e si sa per certo che il Maresciallo Pierantozzi non ci voleva andare e che fu messo di forza sul camion per partecipare a quella “festa” nella quale morì Lanciotto insieme a Wladimiro, il soldato russo, e il partigiano sardo Ventrone”... 4. Testimonianza di Dario Fusi. Dario Fusi abitava nei pressi di Valibona in una casa colonica distante un chilometro e mezzo circa e poco lontano dall’incrocio con la strada che porta nella Val Bisenzio. Dall’opuscolo gennaio 1944-gennaio 1974 30° della battaglia di Valibona, pag.21, pubblicato dal Comune di Campi Bisenzio. Nella parte in cui Fusi parla di quanto successe la mattina del 4 gennaio quando i Carabinieri di Calenzano arrivarono a casa sua alla ricerca del Maresciallo che non era rientrato e vollero essere guidati sul luogo del 15 combattimento. “...Si cercava il maresciallo e dopo tanto si trovò, molto distante dalle case, 400 metri boni. Stava morto dentro una fossa dilà da Valibona, era senza rivoltella. Fu subito portato via...”. 5. Dal libro di Michele di Sabato “In margine alla Battaglia di Valibona” Documenti e Immagini. Pag.38 “La sera dello stesso giorno (5 gennaio) si svolsero a Calenzano i funerali del Maresciallo Pierantozzi, la cui salma era giunta con un furgone da Prato. Il feretro preso in consegna dai Carabinieri, fu onorato dalla presenza del Battaglione Muti, arrivato apposta da Firenze, anche se parecchi asserivano che il Maresciallo a Valibona era andato controvoglia e la sua morte era fortemente sospetta. Il corpo del Pierantozzi, infatti era stato trovato in una buca piuttosto fuorimano e la sua pistola d’ordinanza era sparita, tanto che s’andava apertamente mormorando... che i fascisti l’avevano ucciso in casa dell’Arrighini, dove era stata trovata una pozza di sangue, e poi nascosto lontano da una parte perchè non intendeva tollerare i saccheggi a cui i militi si erano scatenati. E pure le ferite che ne avevano determinato la morte, alla nuca e al fianco sinistro, pareva dessero conferma alla voce pubblica”. Si può capire cosa possa aver provato a vedere cittadini inermi e loro povere cose trattati in quel modo e ci sta che si sia opposto accanitamente alle ritorsioni Pag. 26 idem c.s.: ...”La rappresaglia contro i contadini, rei qualcuno di averli aiutati (i partigiani), di aver simpatizzato con loro e forse addirittura di non aver fatto niente: semisvestiti, spesso scalzi, i vecchi, le donne, i bambini, catturati furono buttati fuori dalle loro case, legati e caricati sui propri carri: fu saccheggiato il saccheggiabile; piatti e masserizie furono rotti, fu preso o disperso il bestiame, poi il fuoco cominciò a distruggere il paesino adagiato sull’erto pendio.”... Di seguito ora una serie di testimonianze sulla figura umana di Pierantozzi, unanimente riconosciuto come uomo buono e brava persona. 1. Dall’articolo di Adele Tasselli apparso su Metropoli del 22 aprile 2011 Testimonianza di Carlo Buti “ Ero ragazzo quando il Maresciallo arrivò a Calenzano, la caserma allora era sopra quello che oggi è il Bar Italia. Mio padre era barbiere e tappezziere, faceva due lavori, come si usava una volta, Pierantozzi veniva spesso, tenendoci molto ai suoi baffi. Era un uomo buono ma c’era chi non lo poteva vedere Foto: Taiti Dino con la nonna Maria ed accanto Taiti Eda, contadini a Valibona nel 1944. (archvio fam. Taiti) perchè dicevano che aiutava i partigiani, dicevano anche che lassù a Valibona ci andò di controvoglia e che allora ce l’ammazzarono”. Testimonianza di Silvano Franchi partigiano con il nome di “Morino”:” il 27 luglio del 1943 mi arrestarono... Non ero ancora partigiano ma gli eventi e le ingiustizie mi fecero maturare la mia coscienza politica. Così dopo tre mesi alle Murate tornai a Calenzano e non risposi alla chiamata alla leva perchè non avevo intenzione di andare con i fascisti. Mio padre mi aveva segato le grate di una finestrina per favorire la fuga se mi fossero venuti a cercare. Seppure il maresciallo Pierantozzi evesse aderito alla Repubblica di Salò e sapesse che ero a casa renitente alla leva non venne mai a cercare nessuno. Finita la guerra avremmo voluto fargli riconoscere qualcosa ma fu rifiutata per quella sua adesione alla repubblica di Salò. Credo che lo avesse fatto solo per il pane perchè lui a Calenzano non ha mai dato fastidio a nessuno e a Valibona lo chiamarono forzatamente” Testimonianza di Alfio Gigli: “Il Maresciallo era una gran brava persona salvò mio padre. Nell’estate del 1943 vivevo con la mia famiglia in una casa della Fogliaia: lo ricordo come fossi ora. Erano le 14, io ero in cucina e mio padre, Curazi Arturo Gigli al piano superiore. Bussarono alla porta e in casa entrarono un dottore di cui non ricordo il nome, il Maresciallo Pierantozzi e il tenente di Carraia. Pierantozzi non aprì mai bocca, disse tutto questo tenente che non era del paese ma qui comandava tutto lui. Era a capo della polveriere di Carraia, ma teneva le fila di tutto. Era quello del partigiano ucciso a Baroncoli (Settembre 1944). Entrò e chiese di mio padre che scese. Il Tenente gli disse “venga con noi” E mio padre disse: “prendo la giacca” e quello: “La se ne è accorto è?” intendendo dire che mio padre aveva capito che lo arrestavano. Lo portarono alle Murate in quanto sovversivo. ...Quando la moglie tornò a casa e apprese dell’accaduto si precipitò in caserma dal Maresciallo dicendogli “Sarà anche un comunista mio marito ma un figliolo lo abbiamo in marina e uno in Russia”. Allora il Maresciallo andò subito alle Murate e usò l’informazione per far scarcerare mio padre. Il maresciallo era una persona buona. A Calenzano dicevano che era di sinistra e che quegli altri erano dei briganti. Se fosse stato fascista il Maresciallo non si sarebbe attivato per salvare mio padre e non l’avrebbero ucciso a Valibona”... 2. Dal libro di Maria Luigia Guaita che riporta un colloquio con la moglie di Lanciotto Ballerini: “Il Magni di Prato, il corridore (Fiorenzo NdA) si vantava di aver ucciso mio marito. A tradirlo era stato un fattore che avvertì il Maresciallo dei Carabinieri di Calenzano è quello che era buono e tutte le volte che poteva aiutava questi poveri ragazzi, dovette in presenza al fattore telefonare ai fascisti di Vaiano. Quelli scellerati chiesero rinforzi a Prato e andarono su in 600 e vollero con loro anche il Maresciallo e i Carabinieri. Al tornare da quella bell’azione, siccome non erano contenti di come si era 17 comportato il Maresciallo lo ammazzarono a tradimento”. Le contraddizioni nei documenti ufficiali e d’archivio Carabinieri, del Prefetto, del Capo Provincia o del Questore non si parlerà mai di ferimento, riferito al Maresciallo di Calenzano, ma solo di rinvenimento del cadavere. Ultima annotazione riguarda le contraddizioni evidenti dei documenti ufficiali. Dice Di Sabato “...mistificanti furono pertanto le informazioni e i resoconti diffusi in quei giorni per cui non si potè sapere quanti erano stati esattamente i feriti e i morti dei fascisti, mentre le perdite dei partigiani furono subito portate a conoscenza...” Emblematico il notiziario della GNR del 16 gennaio in cui si parla di 13 partigiani uccisi, 7 catturati , 3 feriti, 7 favoreggiatori fermati e un ostaggio preso. Come sappiamo in realtà i partigiani uccisi a Valibona furono 3, 3 furono feriti, e 3 catturati. Ancora maggiore dovette essere l’intento di falsificare i fatti per il caso del Maresciallo Pierantozzi, da parte anche delle varie istituzioni che si ritrovarono a gestire una bella patata bollente. Ci hanno colpito in particolare due resoconti: da un lato quello del Comandante del Battaglione volontari “Ettore Muti” che capeggiò in prima persona l’azione per ordine del Comando Militare Germanico, e dall’altra quello del Comando Militare Tedesco stesso: 1. Il Comandante Cap. R.Niccolai in lettera del 4 gennaio indirizzata al Comando (Germanico) annovera fra le perdite “3 Carabinieri feriti” (non ben precisati). 2.”Vernichtung einer Rebellengruppe bei den Gehoeften C. Vallibona” (Il rendiconto sulla distruzione di un gruppo di ribelli presso l’abitato di Case Vallibona) del Comando tedesco di Firenze firmato dal Colonnello von Kunowski, molto più precisamente parla del combattimento “...sulle colline poste a nord di Callinzona (sic)...”, con la presenza “...dei Carabinieri giunti in seguito da Prato” ...(confermando la testimonianza del Tenente Martorano di Prato partito da Calenzano che dichiara di non aver partecipato al conflitto) “...Tra i Carabinieri risultarono feriti un maggiore (il Pierantozzi NdA) e due carabinieri”. E anche il quotidiano La Nazione di sabato 8 gennaio 1944 (quando il Maresciallo Pierantozzi giaceva già in cimitero) scriveva, su ispirazione delle veline del Comando militare: “...dei Carabinieri furono feriti un Maggiore e due Carabinieri...”. Quindi la corrispondenza ufficiale ignora volutamente quanto realmente accaduto e al Comando Supremo per altra via giungono informazioni più precise (il ferimento del Maggiore), dimostrando con ciò che pur non essendo ancora stato ritrovato il corpo senza vita (rinvenuto nella tarda mattinata del 4 gennaio dai Carabinieri), qualcuno sapeva con certezza che era stato colpito (il Comandante del battaglione Muti). Infatti nelle stesse ore il Colonnello dei Carabinieri Longo di Firenze in una nota indirizzata al Ministero dell’Interno dichiara: “ ignorasi sorte toccata Maresciallo Pierantozzi Luigi (sic) e a un Carabiniere non essendo ancora rientrati”, e anche nelle note successive (la prima è delle ore 21,30 del 4 gennaio) siano esse del comando dei 18 Rendiconto tedesco sulla distruzione di un gruppo di ribelli presso C. Valibona. 19 20 Pagina a fianco e sopra: resoconto del comandante della 1a compagnia del battaglione “Muti”. 21 In margine al combattimento a Valibona di Daniele Guglielmi Cronologia documentale 4.01.1944 – Scandicci, Comando 1ª Compagnia del I Battaglione Volontari Italiani di Combattimento “Ettore Muti”: relazione in merito ad azione militare contro ribelli a Valibuona, dalla quale risultano l’azione a fuoco durata dalle ore 07.00 alle 10.30 circa del 3 gennaio 1944 e la partecipazione di 4 ufficiali e 48 militari del battaglione, un ufficiale e 18 militari dei Carabinieri di Calenzano, 28 militari della Guardia Repubblicana di Prato. Al termine risultano uccisi 13 ribelli, feriti 2 (ricoverati nell’ospedale di Prato), prigionieri 4 (tradotti alla Fortezza da Basso di Firenze). Tra le file dei repubblicani: feriti un ufficiale e 6 uomini del battaglione, uccisi un ufficiale e feriti un ufficiale e 10 (quattro dei quali gravissimi) militari della Guardia Repubblicana di Prato, feriti 3 carabinieri. 4.01.1944 – Scandicci, Comando del I Battaglione Volontari Italiani di Combattimento “Ettore Muti”: ordine del giorno numero 137, azione contro partigiani a Valibuona, elogio ai partecipanti del battaglione. 6.01.1944 – Firenze, quotidiano “La Nazione”, all’interno di un articolo risulta che: “...dei ribelli alcuni riuscirono a fuggire, ma sul terreno rimasero uccisi tredici e sei si arresero e furono catturati. Fra i morti, i ribelli lasciarono il capobanda che risultò di nazionalità russa...”. 8.01.1944 – RSI: notizie riguardanti l’attività delle bande armate in alcune provincie d’Italia; Firenze, Calenzano, località Vallebona, 3 gennaio, rastrellamento operato da due formazioni di Carabinieri e di militi, durante il combattimento venivano uccisi sette ribelli e catturati sei; cadeva il capo manipolo Pietro Incalza e rimanevano feriti il Seniore Duilio Sanesi, un Carabiniere e sette militi. politica ed economica inviata al capo della polizia; fra il 3 e il 4 gennaio forze legionarie di polizia del presidio di Prato, coadiuvate da nuclei di Carabinieri e da undici elementi del Fascio Repubblicano di Prato, si portavano verso l’abitato di Borgo di Valibona, accerchiandolo; ne seguì un conflitto con perdite da ambo le parti; al termine dell’azione, e cioè nel pomeriggio del 4, le perdite delle forze operanti ammontavano a 4 morti e 12 feriti, mentre dall’altra parte i ribelli avevano 13 morti oltre a 7 prigionieri, dei quali 3 feriti venivano ricoverati all’ospedale civile di Prato. 14.01.1944 – Dal Comando Militare tedesco di Firenze al Generale Plenipotenziario dell’esercito tedesco in Italia, rapporti sulla situazione generale, (traduzione) “... le bande si sono finora mantenute in un atteggiamento piuttosto d’attesa. Un gruppo di una banda è stato costretto ad accettare battaglia sul monte Morello ed è stato annientato...”; l’allegato numero 2 a tale rapporto dettaglia i fatti. 16.01.1944 – Il Notiziario della “Guardia Nazionale Repubblicana”: durante un rastrellamento eseguito dalla 92ª Legione nella zona di Calenzano sono stati uccisi 13 partigiani tra cui il capobanda Ballerini, ne sono stati catturati 7 di cui 3 feriti, fermati 7 favoreggiatori e preso un ostaggio; da parte dei legionari si sono avuti 4 morti e 10 feriti. 7.02.1944 – Stato Maggiore Esercito, Ufficio Operazioni e Servizi: elogio al I Battaglione Volontari Italiani di Combattimento “Ettore Muti” per l’azione di Valibona. Febbraio 1944 – Stato Maggiore Esercito, Ufficio Operazioni e Servizi: elogio al I Battaglione Volontari Italiani di Combattimento “Ettore Muti” per l’azione di Valibona. Senza data – Istituto Storico della Resistenza in Toscana, relazioni in merito all’attività clandestina e operativa svolta dai partigiani toscani: nello scontro avvenuto in località Valibona durante il rastrellamento contro la formazione guidata da Lanciotto Ballerini, tre patrioti rimangono uccisi, tra cui il comandante, tre feriti e catturati, due fatti prigionieri; i rastrellatori subiscono la perdita di cinque uomini, tra cui due ufficiali e un sottufficiale della GNR, e almeno dieci feriti. 11.01.1944 – Questura di Firenze: relazione settimanale in merito alla situazione 22 23 La ricerca in merito al Maresciallo Pierantozzi di Claudio Biscarini É nel contesto del dissolvimento delle forze armate italiane successivo alla proclamazione l’8 settembre 1943 dell’armistizio con gli angloamericani e alla nascita della Repubblica Sociale Italiana (RSI) che si pone la figura del maresciallo maggiore a piedi Alfredo Pierantozzi, nato a Norcia il 4 febbraio 1892, figlio di Gaspero e Anna Bonacci, comandante la Stazione dei Carabinieri di Calenzano (dipendente dalla tenenza di Prato della Legione di Firenze), dal tardo 1943 Distaccamento della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR). Le ricerche si sono dimostrate difficili; la documentazione è scarsa, pur se interessante. Lo scopo è quello di chiarire la sua morte, avvenuta il 3 gennaio 1944 durante lo scontro a Valibona tra forze della RSI e i partigiani guidati da Lanciotto Ballerini, e la sua precedente opera in favore della popolazione e della Resistenza. Per il momento è stato reperito il suo Foglio Matricolare presso l’Archivio di Stato di Spoleto, città nel cui circondario si trova Norcia; il certificato redatto dal medico condotto di Prato il 5 gennaio 1944 riporta che al Maresciallo venne riscontrata una “ferita d’arma da fuoco al cranio”. Il corpo del sottufficiale venne ritrovato a circa 400 metri dal borgo di Valibona, senza la pistola Beretta d’ordinanza. Il funerale di Pierantozzi si svolse il 5 gennaio a Calenzano; la salma era arrivata in auto da Prato. Possiamo anche contare su alcuni articoli pubblicati dal giornale “Metropoli”, in data 22 aprile 2011 e 12 aprile 2013, gentilmente forniti in copia dal brigadiere Giuseppe Quinci, il primo a cercare di fare chiarezza sulla vicenda, che riportano alcune testimonianze attestanti l’umanità, la correttezza e l’onestà del Maresciallo nell’esercizio delle sue funzioni e come cercasse in tutti i modi di alleviare le ansie e paure della popolazione. Da subito il sospetto principale, che in tempi recenti è diventato quasi certezza, fu che a uccidere il Maresciallo siano stati elementi del Battaglione Volontari “Ettore Muti” di Firenze, del quale disponiamo un rapporto sull’azione a Valibona redatto dal Capitano Niccolai, Comandante della 1ª Compagnia del “Muti”, e un rapporto del tenente dei Carabinieri Luigi Martorano, Comandante della Tenenza di Prato. Le più recenti ricerche hanno portato a visitare l’Archivio di Stato di Firenze, presso il quale è stata reperita copia della sentenza per i fatti di Valibona dopo che tale ricerca si era dimostrata infruttuosa presso l’Archivio di Stato di Perugia, e l’Istituto della Resistenza di Firenze. Il tentativo di prendere contatto con una delle due figlie del 24 Maresciallo, la signora Lidia di Livorno, non è riuscito. Lo spirito è stato quello di rendere finalmente omaggio a questo militare, nel 200° anniversario della fondazione dell’Arma e nel 70° anniversario dei fatti di Valibona. Da rimarcare il fatto che la Sezione dell’Associazione Nazionale Carabinieri di Norcia è stata intitolata nel 2007 al Maresciallo Alfredo Pierantozzi. Fonti: - Archivio di Stato di Firenze - Istituto Storico della Resistenza in Toscana - Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito - Archivio Claudio Biscarini - Archivio Daniele Guglielmi - Archivio Storico del Comune di Calenzano Ringraziamenti: Walter Bernardi, Tommaso Marradini, Antonietta Quarta, Alessandro Querci, Giuseppe Quinci, Fabrizio Trallori. A tavola per la festa della battitura 25 Ordine del giorno per la rivalutazione storica della figura del Maresciallo Pierantozzi. Votato all’unanimità dal Consiglio Comunale di Calenzano il 28 novembre 2014 in maniera diversa da come era veramente andata. È stato infatti ritrovato l’originale del certificato di morte di Pierantozzi, nel quale si parla di un colpo di arma da fuoco alla testa, cosa che avvalora l’ipotesi di un’esecuzione sommaria e che contrasta con i documenti ufficiali che parlano di colpi di mitragliatrice. Queste ed altre incongruenze, insieme alle testimonianze sul carattere del Maresciallo, fanno pensare che nel gennaio 1944 Pierantozzi si sia trovato, suo malgrado, a dover accompagnare le forze Repubblichine a Valibona ma che in realtà non abbia mai partecipato alla battaglia e che sia stato da loro ucciso perché si opponeva alle violenze sui civili; Ritenuto pertanto, a 70 anni dalla sua morte, di poter compiere un chiaro atto che riporti alla luce la più reale vicenda storica e umana del Maresciallo ucciso, che ci consenta di annoverarlo tra i martiri del fascismo e di poterlo ricordare al pari degli altri, unendosi a quanti negli anni si sono adoperati affinché gli fosse resa giustizia; Stabilisce Il Consiglio Comunale Premesso che a fine settembre sono stati presentati al Comitato Comunale Antifascista gli esiti delle ricerche sulla morte in circostanze mai chiarite, del Maresciallo dei Carabinieri Alfredo Pierantozzi, ucciso il 3 gennaio 1944, durante lo scontro a Valibona tra le forze della RSI e i partigiani guidati dal Lanciotto Ballerini. Ricerche avviate a cura del Comune per rispondere ad un’esigenza ancora sentita a Calenzano, che di Pierantozzi ricorda soprattutto le buone azioni nei confronti della popolazione civile in anni violenti e difficili, ricordi che mal si conciliano con le versioni ufficiali delle autorità del tempo fatte circolare all’indomani della sua morte secondo le quali sarebbe avvenuta nel corso della battaglia di Valibona; Considerato che varie testimonianze popolari infatti ricordano il Maresciallo come un uomo giusto e vicino alla gente che mise le esigenze dei cittadini di Calenzano davanti a tutto, adoperandosi per evitare ingiuste persecuzioni come il carcere o la deportazione a renitenti alla leva o a persone che avevano solo osato offendere i fascisti; Considerato altresì che grazie a tali testimonianze, al contributo e alle ricerche documentali di una pluralità di soggetti, la segreteria degli organi istituzionali ha cercato di ricostruire la sua vicenda storica, allegata al presente ordine del giorno, raccontata 26 Di rivalutare la vicenda storica e umana della vita e della morte del Maresciallo della Stazione dei Carabinieri di Calenzano Alfredo Pierantozzi ucciso a Valibona il 3 gennaio 1944 in esito al conflitto a fuoco denominato Battaglia di Valibona seguito all’azione di rastrellamento dei militi repubblichini contro il gruppo di partigiani comandati da Lanciotto Ballerini; Di rilevare le numerose incongruenze che emergono dai vari resoconti che seguirono all’azione militare che mascherano una vera e propria deformazione dei fatti ad iniziare dalle cause della morte, riportate nel certificato medico di recente ritrovato, al fine di imputarla ai partigiani; Di riconoscere alla sua attività di Maresciallo dei Carabinieri di Calenzano un ruolo di protezione della cittadinanza, piuttosto che di mera difesa delle istituzioni repubblichine, come riportano alcune testimonianze attestanti l’umanità, la correttezza e l’onestà del maresciallo nell’esercizio delle sue funzioni e nel prodigarsi per cercare di alleviare le ansie e le paure della popolazione in quegli anni violenti e difficili; Di annoverare a tutti gli effetti Alfredo Pierantozzi tra i martiri del fascismo con lo scopo di rendere finalmente omaggio a questa figura di uomo e di militare in occasione del 70° anniversario dei fatti di Valibona e nel 200° anniversario della fondazione dell’Arma. 27 Negli otto mesi dell’occupazione tedesca in Italia, 141 Carabinieri sono caduti, falciati direttamente dal piombo nazista, fedeli al giuramento prestato alla bandiera, fedeli soprattutto al loro credo di onestà, di abnegazione e di sacrificio. Complessivamente i Carabinieri caduti durante la lotta partigiana furono 2.735 e 6.521 risultarono i feriti, oltre 10.000 furono deportati nei campi di concentramento. Salvo d’Acquisto è ormai diventato il simbolo che non sarà mai dimenticato, ma accanto a lui, fra le fila della legione di eroi che sfila nel cielo dei più puri martiri del dovere, altri Carabinieri sono schierati e tra questi noi pensiamo possa essere annoverato anche Alfredo Pierantozzi. Coordinamento Editoriale - Segreteria Organi Istituzionali Foto di Copertina - Carlo Berni Progetto Grafico - Alessandro Casini Stampa - Baroni & Gori Finito di stampare il 31 dicembre 2014