MARIAFRANCESCA CATALANO, FABBRINI PAOLO, MANGINI SARAH, NICCHINIELLO ROBERTA,
PERICOLI CAMILLA, SANGUINETI ROBERTA, SCANAROTTI CHIARA
METODI ALTERNATIVI E INNOVATIVI: UN ALTRO MODO DI FARE
RICERCA A VANTAGGIO DELL’UOMO E NEL RISPETTO DEGLI ANIMALI
Questo opuscolo si propone di offrire uno spunto di riflessione e, soprattutto, un aiuto pratico a
coloro che vogliano cimentarsi in una delle grandi allettanti rivoluzioni dai tempi della pietra (che
l’Uomo, donna o uomo che sia, intraprende con se stesso): il cambiamento.
OPUSCOLO REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DELLA PROVINCIA DI GENOVA
CIRCOLI DI STUDIO 2006 -2007
E DISTRIBUITO GRATUITAMENTE DA SOCIETA’ VEGETARIANA
PREFAZIONE
Quando l’uomo ha abbastanza per sé, per sua natura si volge a guardarsi intorno. Insomma, se vede
che un suo simile soffre, lo aiuta, o quantomeno ci prova. Qualcuno addirittura si guarda indietro, e
si concede “il lusso” di non limitarsi allo specismo - ossia la difesa della propria specie - per
allargare i propri orizzonti e farsi commuovere da un altro qualcuno che è apparentemente “lontano,
o diverso”: l’animale!
Ciò accade fin dai tempi più remoti: i primi fautori della necessità e, addirittura, della naturale
propensione a non rimanere insensibili e indifferenti ai nostri compagni di viaggio sul pianeta, cioè
agli animali, appartenevano davvero a civiltà antichissime. Anzi, molto probabilmente anche
l’antica alleanza tra l’uomo e il cane non era solo utilitaristica: in fondo non è così difficile
immaginare l’uomo delle caverne (magari “cucciolo”) che allunga una mano per accarezzare il cane
che si è avvicinato un po’ troppo a lui… e il cane che, dopo una breve “latenza per acquisizione di
fiducia”, si offre a ventre in su, scodinzolante e uggiolante, ansante e sorridente.
Questa premessa vorrebbe, in una estrema sintesi, affrontare la realtà, peraltro godibile, della
constatazione che sempre più rappresentanti della categoria “homo sapiens sapiens” si creano dei
problemi di coscienza nei confronti degli animali… anziché pelle e capelli…. peli o piume, becchi,
code, squame, sensi diversamente evoluti, svariate modalità di manifestazioni affettive, assenza del
linguaggio inteso come comunicazione umana (che non sempre è uno svantaggio…si evitano
fraintendimenti, ma l’essenza del messaggio oggetto della comunicazione resta, ed è, molto
efficace).
Infatti le manifestazioni di simpatia/empatia verso queste creature, così offese, sfruttate, minacciate,
tradite, maltrattate, torturate, diffamate, ma anche così celebrate dalle grandi menti del passato
antico e recente (chi non crede, vada a curiosare…storia, letteratura, filosofia, medicina, arte,
musica…tra i più degni uomini, artefici delle grandi opere umane, quanti “animalisti ante litteram”
incontrerete…), per fortuna si sciorinano sotto i nostri occhi….
Ebbene, sempre più persone scelgono di non mangiare animali (a innegabile vantaggio della salute
umana…l’utile e il dilettevole, insomma), di non indossare pelli e goffe pellicce (ormai solo
anacronistiche, poiché soppiantate da tessuti e materiali decisamente più duttili, comodi, protettivi,
come il goretex e l’alcantara, solo per citare qualche esempio), di accoglierli nelle proprie abitazioni
per avere, al rientro a casa, la perpetua emozione di essere indispensabili a qualcuno (Raoul
Follerau diceva che “non c’è cosa peggiore per un essere umano che non riuscire ad essere utili per
qualcuno), di soccorrerli quando la brutalità di altri umani si scatena come un uragano, di alleviare
le loro pene di reclusi senza colpa alcuna, come è il caso dei volontari di canili e gattili che non
conoscono pause natalizie, né pasquali, né estive. Il volontariato, a qualunque causa sia esso rivolto,
eleva il senso della nostra compartecipazione alla vita.
Considerare i numeri riguardanti gli animali sacrificati per l’alimentazione e per la scienza, fermarsi
a riflettere sull’entità di tali fenomeni, ci farebbe allibire.
Nel caso della sperimentazione animale, alcuni ricercatori avvertono, da molti anni, la necessità di
convergere le proprie idee e le proprie forze in qualcosa di alternativo che potrebbe essere, ed è in
molti casi, innovativo. Un po’ per una sorta di tradizione-abitudine scientifica, un po’ perché è assai
più agevole, tecnicamente, sperimentare su un animale rispetto alla difficoltà e alle competenze che
occorrono per lavorare con metodi alternativi, ad esempio le tecniche di sterilità per le colture
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cellulari, un po’ perché , in limitati settori, non vi è alternativa ancora di comprovata efficacia,
ammesso che il dato estrapolato da una specie lontana dalla nostra sia attendibile, e molti scienziati
(documenti alla mano, e la bibliografia scientifica in tal senso è sempre più vasta) dubitano proprio
di questo…; fatto sta che ancora i metodi “in vitro “ non sono diffusi come dovrebbero. Questa
carenza è dovuta, probabilmente, anche allo scarso interesse al cambiamento ideologico, alla
propensione, presumibilmente in buona fede, di alcuni scienziati a perlustrare strade già battute e
note, al giro di denaro che gravita intorno ai progetti di ricerca, ditte produttrici di farmaci, ecc.
Certo è che, sostenendo quasi unicamente dal punto di vista economico la sperimentazione animale,
si precludono i preziosi sviluppi e le grandi potenzialità dei metodi innovativi, e la scoperta di
metodi sostitutivi che possono costituire una grande rivoluzione nella progressione della scienza e
della conoscenza.
Questo opuscolo si propone di offrire uno spunto di riflessione e, soprattutto, un aiuto pratico a
coloro che vogliano cimentarsi in una delle grandi allettanti rivoluzioni dai tempi della pietra (che
l’Uomo, donna o uomo che sia, intraprende con se stesso): il cambiamento.
Infine, forse il detto “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso” e la regola aurea
del “fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te stesso”, se applicati, al di là di retoriche e
sentimentalismi, “imporrebbero” un mondo migliore per tutti. Nessuno escluso.
INTRODUZIONE
L’adozione dei sistemi “in vitro”, o “sistemi alternativi alla sperimentazione animale” (Rowan,
1984), costituisce parte integrante della naturale evoluzione scientifica, che ha interessato la
biologia “in toto” durante il secolo scorso, permettendo l’allestimento di modelli sperimentali
cellulari e subcellulari ed indirizzando l’interesse della comunità scientifica verso il “sempre più
piccolo” e verso livelli di organizzazione (cellulare, molecolare, atomico) sempre più infinitesimali.
Nel caso dell’adozione dei modelli “in vitro” hanno avuto ruolo rilevante anche aspetti in qualche
modo estranei alla ricerca scientifica, quali quelli legislativi e protezionistici, riguardanti la
necessità, da parte degli organi competenti, di regolamentare l’immissione nell’ambiente di
sostanze inquinanti, quelli economici, importanti per le industrie costrette ad effettuare test di
tossicità “in vivo”, costosi e complessi, su animali di laboratorio e, non ultimi, anzi sempre più
sentiti, motivi etici riguardanti l’avversione per l’uso di animali nella ricerca da parte di movimenti
ecologisti ed antivivisezionisti, che hanno comportato la sensibilizzazione della società riguardo la
necessità di non infliggere ad esseri senzienti sofferenze notevoli e, spesso, inutili.
Per promuovere ed implementare in Italia i metodi alternativi, è nata, l’8 maggio 2003, l’IPAM
(Italian Platform on Alternative Methods) costituita da rappresentanti di istituzioni governative,
dell’industria, del mondo scientifico (Università ed Enti di ricerca) e delle associazioni animaliste
(Gianluca Felicetti e Roberta Bartocci per LAV e Paolo Manzi per l’ENPA).
L’istituzione dell’IPAM dà una concreta spinta all’affermazione alla sperimentazione senza animali
perché per la prima volta esiste un’Istituzione nazionale e condivisa per la quale incoraggiare
finanziamenti per la ricerca, alternativa a quella sostenuta da TeleThon, Airc, Aism ecc. che per
buona parte viene effettuata su animali.
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Ad oggi metodi sostitutivi, quali colture cellulari, colture di tessuti, test su microrganismi, chip al
DNA, organi bioartificiali, microcircuiti cellulari, analisi cliniche e genetiche su materiale
biologico, studi epidemiologici, modelli bioinformatici sono utilizzati per studi tossicologici,
ricerche su malattie, verifiche igienico sanitarie, ricerche sperimentali di base in biologia e
medicina, metabolismo dei farmaci.
Il Progetto IdMOD (Integrated Discrete Multiple Organ Co-culture) si basa sul fatto che i diversi
organi di un uomo sono interconnessi tra loro e hanno interazione attraverso il sistema circolatorio,
caratteristica che condiziona pesantemente la tossicità o l’innocuità di una sostanza chimica. In
questo progetto si possono fare colture tissutali di più organi contemporaneamente e simulare un
mezzo chimico per le loro interazioni. Questo potrebbe essere uno dei metodi più importanti per
sostituire definitivamente l’uso di animali nei test di tossicità.
1. DEFINIZIONE DI MODELLO SPERIMENTALE
Al fine di rendere comprensibile tale definizione, ci ispiriamo alla spiegazione della Dott.ssa
Roberta Bartocci, biologa: per “modello sperimentale” si intende un costrutto materiale o teorico, in
grado di semplificare l’oggetto di studio, così da eliminare delle variabili e isolare delle parti di esso
al fine di poterlo studiare più agevolmente. L’organismo biologico viene considerato come un
sistema costituito da molteplici unità di cui si tenta di riprodurne soltanto la parte di interesse
sperimentale concentrandosi sugli elementi preponderanti per poter raggiungere lo scopo perseguito
dal ricercatore, prelevando gli elementi determinanti per ottenere il risultato finale.
Ogni modello sperimentale presenta dei limiti intrinseci in quanto, per definizione, è un “qualcosa”
che approssima l’oggetto di studio, ma offre l’indiscutibile vantaggio di essere sia eticamente che
scientificamente sostenibile. Inoltre, un animale, è un organismo diverso dalla nostra specie (anzi,
esistono notevolissime differenze, ad esempio metaboliche, tra popolazioni diverse, e perfino tra
familiari, basti pensare alle allergie, alle intolleranze alimentari, alla sensibilità a certi farmaci,
ecc.). Certamente, nessun animale può rappresentare un uomo semplificato.
2. DEFINIZIONE DI METODO ALTERNATIVO
Si definisce metodo alternativo ogni metodo o procedura che conduca alla sostituzione di un
esperimento sull'animale o alla riduzione del numero di animali richiesti, nonché all'ottimizzazione
delle procedure sperimentali, allo scopo di limitare la sofferenza animale.
Questo concetto corrisponde alla
definizione delle "3R" di Russel e
Burch del 1959, i quali indicarono
l’alternativa come “ogni tecnica che
Rimpiazza l’uso di animali, che
Riduce la necessità di utilizzare
animali in un particolare saggio, che
Raffina una tecnica con lo scopo di
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ridurre le sofferenze sopportate dall’animale”. La definizione di Russel e Burch fu adottata negli
anni ’80 dalla CEE nella direttiva sulla sperimentazione animale del 1986, dalla legge inglese
(Animal Act) del 1986 e dall’OTA (Office of Technology Assessment, USA) nel 1988
Replacement identifica la sostituzione, ove possibile, degli animali superiori con materiali biologici
di minore complessità (batteri, colture cellulari, organi isolati, colture “in vitro”), oppure con
supporti di altro genere, per esempio bioingegneristici, informatici, ecc. Ad es. esistono e sono in
uso in alcune strutture modelli computerizzati, video, filmati, manichini o robot per simulazioni di
interventi chirurgici, ecc.
In questa categoria rientrano tutti quei metodi che consentono di ottenere una determinata
informazione sperimentale senza ricorrere all'utilizzazione di animali; è distinta tra "metodi
sostitutivi biologici" e "metodi sostitutivi non biologici", dove i primi si riferiscono ai cosiddetti
"metodi in vitro", ed utilizzano materiale biologico di diverso tipo (di origine animale o umana),
mentre i secondi si avvalgono, come già accennato, dei contributi di scienze quali la matematica,
l'informatica, la statistica, ecc.
Reduction implica la maggiore riduzione possibile del numero di animali usati per un particolare
esperimento, pur conseguendo risultati di studio altrettanto precisi. Occorre sottolineare, tuttavia,
che il termine “precisione”, in campo sperimentale, sia riferito alla medicina, sia alla biologia sia
alla veterinaria, deve essere usato con parsimonia, poiché non ci muoviamo nei settori delle scienze
esatte, come possono intendersi le scienze fisiche o matematiche. Anche quando si utilizza un
modello animale, non si è affatto certi che i dati ottenuti siano applicabili alla specie umana, proprio
perché ogni specie ha caratteristiche specifiche e peculiarità proprie e, addirittura, nell’ambito di
una stessa specie, ogni individuo differisce dall’altro, fatta eccezione per i gemelli monozigoti (ma
anche in questo caso diversi fattori ambientali possono comportare notevolissime differenze di
reazioni psicofisiche).
La riduzione può essere ottenuta standardizzando la popolazione animale, al fine di ridurre la
variabilità dovuta al numero ridotto degli animali.
Appartengono a questa classe i metodi idonei ad ottenere livelli comparabili di informazione
utilizzando un minor numero di animali, nonché quelli che consentono di ricavare il massimo
numero di informazioni con un solo saggio su animali.
Refinement si riferisce alla ricerca di procedure sperimentali sempre più specifiche, in grado di
ridurre al minimo la sofferenza e lo stress causato agli animali, comunque impiegati, e di tutte le
metodologie idonee ad alleviare le sofferenze (che sono certamente fisiche, ma anche psichiche) e i
danni imputabili alle pratiche sperimentali.
Un nuovo approccio sperimentale, per essere considerato alternativo, e addirittura innovativo,
rispetto alla sperimentazione animale tradizionale, deve essere riproducibile, affidabile, rapido e
non più costoso di quello che si vuole sostituire. Il centro europeo preposto alla verifica del rispetto
dei suddetti parametri da parte del nuovo metodo (cosiddetta "validazione") è l'ECVAM (European
Centre for Validation of Alternative Methods), istituito dalla Commissione Europea nel 1991 su
proposta del Parlamento dell'Unione, nell'ambito del "Joint Research Centre" di Ispra in provincia
di Varese. Tra i compiti attribuiti ad ECVAM c’è quello di coordinare la validazione dei metodi
alternativi a livello comunitario, nonché di costituire un punto di riferimento per lo scambio di
informazioni sullo sviluppo dei metodi medesimi, attraverso una banca dati dei metodi disponibili
(già validati o in corso di validazione) impostata e gestita dal centro stesso. Entrando nel merito del
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processo di validazione si precisa che attraverso esso viene stabilita e riconosciuta l'affidabilità e la
rilevanza di un metodo. L'affidabilità descrive la riproducibilità dei risultati nel tempo e nello
spazio, cioè, nello stesso laboratorio e tra laboratori diversi (cosiddetta "standardizzazione"); la
rilevanza, viceversa, descrive la misura dell'utilità e della significatività del metodo per un
determinato scopo. I test di validazione sono molto lunghi (possono durare anche anni) ed hanno lo
scopo di verificare se un nuovo metodo fornisce, per determinate sostanze, risultati simili a quelli in
precedenza ottenuti attraverso la sperimentazione sugli animali. Il processo di validazione di un
metodo alternativo è diviso in 5 stadi: sviluppo del test; fase di prevalidazione, con l’obiettivo di
assicurare che ogni metodo possegga i requisiti minimi per il passaggio alla fase successiva; fase
della vera e propria validazione che comporta uno studio effettuato da vari laboratori che devono
stabilire la riproducibilità e la capacità del metodo; valutazioni indipendenti del metodo; fase finale
di accettazione a livello giuridico del metodo. Dal 1992 al 2002 il centro Ecvam ha validato i
seguenti metodi alternativi: Test Elisa per la produzione di vaccini; Tre Test per lo studio
dell’embriotossicità; Test Corrositex, Test EpiSkin, Test Rat Transcutaneous Electrical Resistance
(TER) e Test EpiDerm per la valutazione della corrosione della pelle; Test Toxin Binding Inhibition
(ToBI) per la produzione di vaccini per il tetano; Test LLNA per le reazioni cutanee; Test di
fototossicità 3T3 Neutral Red Uptake (NRU); produzione “in vitro” di anticorpi monoclonali.
2.1 I "METODI NON BIOLOGICI"
Sono quei modelli che si basano su modelli matematico-informatici o sulla correlazione tra l’attività
biologica di una sostanza e la sua struttura chimica.
Esempi di questi modelli sono il SAR e QSAR, acronomi rispettivamente di
“relazione struttura-attività” e “relazione quantitativa strutture-attività”.
Questi modelli sono in grado di predire i possibili effetti di una sostanza
sull’organismo confrontandola con sostanze strutturalmente simili di cui sono
già noti gli effetti.
I modelli QSAR sono descrizioni matematiche delle relazioni interconnesse
fra le proprietà fisico-chimiche delle molecole e la loro attività biologica.
Esiste anche un programma sviluppato all'Università di Leeds (Leeds – Regno Unito) il cui
database contiene molte informazioni sulle reazioni allergiche, chiamato "DEREK".
2.2 I "METODI BIOLOGICI"
Questi metodi prevedono l’uso di sistemi, sempre di complessità crescente, quali le frazioni
subcellulari, le colture di cellule disperse, le colture di tessuto e le colture d’organo.
In questa categoria sono compresi i metodi “in vitro”.
La coltura d’organo è un sistema che permette lo sviluppo “in vitro” di un abbozzo o di un
frammento di organo isolato, offrendo la possibilità di ottenere informazioni interessanti sulla
tossicità di alcune sostanze, sul differenziamento di tessuti embrionali o sulle funzioni dell’organo
già svolte nell’organismo.
La coltura di tessuto è un sistema di transizione tra la coltura di organo e la coltura di cellule
disperse. Può dare informazioni dell’effetto di una sostanza sui contatti intercellulari all’interno di
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un tessuto, ma non sull’organizzazione cellulare, in quanto la struttura caratteristica dell’organo si
va progressivamente perdendo dal centro dell’espianto verso la periferia.
Le colture di cellule disperse rappresentano un sistema più omogeneo rispetto ai due modelli
precedenti in quanto le singole cellule non sono condizionate dalla posizione che occupano nella
massa del tessuto, ma il rapporto con il mezzo di
coltura, e con le sostanze presenti in esso, è uguale per
tutte.
Le colture cellulari interessano svariati campi di
ricerca: dalla biologia cellulare e molecolare, alla
virologia, all’immunologia, al recente impiego di
cellule staminali umane multipotenti (da follicolo ombelicale o individuo adulto).
Le colture cellulari possono essere utilizzate per diversi scopi:
1) le cellule coltivate in vitro possono fungere da materiale di partenza per l’estrazione di acidi
nucleici o proteine;
2) le cellule possono essere utilizzate per studi funzionali o di regolazione;
3) per rigenerare “in vitro” tessuti o organi
Le colture preparate direttamente da un tessuto si dicono colture primarie; le cellule isolate da un
qualsiasi tessuto animale sono in grado di compiere un numero finito di divisioni cellulari “in
vitro”, dopodiché vanno incontro a degenerazione e morte.
Tale fenomeno, che avviene indipendentemente dalla presenza di metaboliti necessari per la
crescita, si indica come senescenza.
In genere il numero di “cicli” che una cellula è in grado di effettuare “in vitro” dipende dall’età
dell’animale.
Le linee cellulari continue derivano da singole cellule in cui mutazioni spontanee o indotte hanno
annullato il programma genetico della senescenza. Si dicono perciò immortali: proliferano in modo
continuo in presenza degli opportuni metaboliti. Molte linee cellulari continue sono state ottenute a
partire da tessuti tumorali (es HeLa).
DIVERSI TIPI DI COLTURE CELLULARI
1)
in cui le cellule, rispettivamente, vanno incontro
ad un basso numero di cicli cellulari prima di morire o si dividono molte volte o
illimitatamente (linee stabilizzate)
2) COLTURE IN MONOSTRATO la definizione significa che la maggior parte delle cellule con
corredo cromosomico normale e sotto la legge biologica dell’inibizione da contatto,
crescono e vanno a costituire dei “tappeti” detti monostrati formati da un singolo strato di
cellule.
3) COLTURE IN SOSPENSIONE in cui le cellule possono vivere e proliferare senza una superficie
di adesione. Sono utili per riprodurre ad esempio tessuti particolari, quali il sangue, in cui le
cellule vivono in sospensione “fisiologicamente”. La capacità di crescere senza un supporto
è considerato un indice di tumorigenicità e viene utilizzata “in vitro” per il riconoscimento
di sostanze cancerogene.
COLTURE A BREVE ED A LUNGO TERMINE
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utilizzate per ottenere una grande quantità di cellule (>109), ad esempio
per la produzione di vaccini.
5) COLTURE CLONALI in cui le cellule sono così diluite che si comportano come se fossero da
sole nel recipiente, e tendono a formare colonie di cellule identiche.
6) CO-COLTURE sono un modello nel quale, all’interno dello stesso recipiente, vengono
coltivate cellule di tipo diverso, ad esempio fibroblasti e cheratinociti. Queste colture
permettono di ricreare “in vitro”, in forma semplificata, le interazione complesse che si
verificano “in vivo” tra i diversi tessuti.
7) COLTURE ISTIOTIPICHE in cui si cerca di formare aggregati tridimensionali di cellule
(micromasse o sferoidi). Questo tipo di coltura potrebbe consentire la riproduzione “in
vitro” di un organo, con possibilità di simularne parte delle funzioni.
4)
COLTURE MASSIVE
VANTAGGI
- Utilizzo di cellule umane. adulte o staminali, per studiare l’essere umano
- Sistemi semplificati altamente riproducibili
- Analisi dei meccanismi cellulari e molecolari della tossicità
- Identificazione di danni precoci
- Riconoscimento di effetti reversibili
- Uso di piccole quantità di sostanza (anche i prodotti intermedi e secondari del metabolismo
dei componenti originali)
- Tecniche relativamente semplici
- Costi contenuti e risposte rapide rispetto alla sperimentazione animale
- Possibilità di allestire il numero di repliche necessario per ottenere significatività statistica
- Riduzione dell’uso di animali da esperimento
SVANTAGGI
-
Sistemi semplificati rispetto ad un organo pluricellulare
Condizioni di esposizione diverse da quello “in vivo”
Possibili interazioni tra sostanze e componenti del mezzo di coltura
Non permettono di studiare effetti tossici mediati (per esempio, da ormoni o dal sistema
nervoso centrale)
Non tutti i meccanismi di tossicità possono essere rilevati in un unico sistema sperimentale
Analisi di tossicità acuta più che cronica
Difficoltà di correlazione tra le concentrazioni attive “in vitro” e quelle “in vivo”
Caratteristiche delle cellule variabili nel tempo
Le colture cellulari presentano caratteristiche molto interessanti che permettono il loro utilizzo nella
ricerca biomedica in generale e nella ricerca tossicologica in particolare.
Le colture cellulari sono più uniformi rispetto a campioni prelevati da tessuti, in quanto la coltura
tende a selezionare i tipi cellulari più forti, consentendo di ottenere campioni riproducibili, con
risposte statisticamente significative.
Inoltre, consentono una valutazione molto rapida, anche ore, dell’effetto della sostanza da indagare
sulle attività cellulari in quanto vi è un’interazione diretta tra la cellula e la sostanza, e permettono
anche di verificare la reversibilità della risposta.
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Vi è in commercio un’ampia disponibilità di linee cellulari, testate per l’assenza di contaminazioni e
ben caratterizzate. E’ inoltre possibile ottenere cellule direttamente da biopsie, lipoaspirati, cordoni
ombelicali, ecc.
Le colture cellulari hanno anche dei limiti, quali la differenza con la situazione “in vivo”, in quanto
si ha la perdita della struttura tridimensionale, perdita dei componenti coinvolti nella regolazione
omeostatica “in vivo”, alterazioni metaboliche o variazioni dei cicli metabolici, perdita delle
proprietà differenzianti per la selezione a favore delle cellule più proliferanti. Le tecniche di coltura
richiedono condizioni di massima sterilità, necessitano di terreni di coltura ed attrezzature
appropriate, un buon livello di abilità e di conoscenza del sistema per poter diagnosticare eventuali
problemi, e operatori scelti, che abbiano le necessarie competenze per poter ottimizzare le
procedure e la corretta manipolazione.
3. Studio MEIC
Lo studio MEIC (Multi Evaluation of in vitro Cytotoxicity) fu condotto tra gli anni 80 e 90 e fu
realizzato per verificare la capacità predittiva delle colture cellulari rispetto agli animali nei test di
citotossicità, in base ad alcuni dati di tossicità di alcune sostanze note sull’uomo. Si dimostrò che tre
saggi su colture cellulari umane era più predittive, economiche e pratiche degli studi su animali.
L’indice di predittività era dell’83% per le colture cellulari umane e del 65% per gli esperimenti
eseguiti su ratti e topi.
Oggi è in corso un progetto europeo, AcuteTox, partito nel gennaio 2005, il cui scopo è quello di
identificare i fattori che possono aumentare la correlazione tra i dati “in vivo” e “in vitro” per test di
tossicità orale sistemica acuta.
4. DIDATTICA
Sono stati presentati diversi metodi per evitare l’uso di animali nella didattica. E’ stata inviata a
tutte le facoltà scientifiche la lettera della Commissione Nazionale Indiana dell’Università che
evidenzia che l’uso di animali nella didattica non serve per imparare la zoologia, produce un danno
alla sensibilità degli studenti abituandoli alla violenza su esseri viventi, crea un danno a popolazioni
e specie animali spesso in via di estinzione, non serve per la carriera dei ricercatori.
Sia nell’addestramento degli apprendisti che nell’aggiornamento dei medici esperti, recentemente si
è fatta strada la tendenza ad usare simulatori, apparecchiature artificiali che mimano con precisione
le caratteristiche dell’organismo umano. Queste simulazioni in medicina stanno dando impulso a un
effettivo rinnovamento nella didattica.
Per simulatore, oltre al classico manichino, molto utile in fase iniziale, si hanno a disposizione
anche strumenti molto più raffinati, che permettono di interagire con le strutture anatomiche.
Vi sono diversi vantaggi nell’usare dei simulatori rispetto agli animali, come la riproduzione delle
caratteristiche anatomiche e fisiologiche dell’essere umano, lo studio prima dell’anatomia e della
fisiologia di un organismo sano e quindi allo stato patologico, diversi livelli di difficoltà, la
possibilità di ripetere l’esperimento un numero indefinito di volte, di eseguire test di valutazione
dell’apprendimento, ecc.
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Lo svantaggio più limitante è la non simulazione del sanguinamento, ma l’alternativa sarebbe
l’utilizzo di cadaveri perfusi per esercitazione chirurgica. La perfusione consiste nel far circolare del
liquido pulsante all’interno dei vasi del cadavere, simulando così la circolazione sanguigna. In Italia
questo non è possibile per motivi culturali e normativi; ciò è possibile invece in Francia.
Certamente, le indagini condotte su cadaveri potrebbero rivelarsi di estrema utilità.
5. ASPETTO LEGISLATIVO:
In base al decreto legislativo italiano (n. 116, del 1992) lo svolgimento degli esperimenti animali è
regolato, anche in base ad altri aspetti legislativi:
1. la legge sull’obiezione di coscienza alla vivisezione;
2. la questione della sperimentazione didattica, direttamente collegata alla legge di cui
al punto 1;
3. le direttive CEE che obbligano ad eseguire sugli animali i “test di tossicità”;
4. le direttive CEE in materia di test per i prodotti cosmetici;
5. la direttiva CEE relativa all’immissione sul mercato dei biocidi (disinfettati,
insetticidi, acaricidi, etc.), che prevede ancora altri test su animali.
Nel 1931 era consentita la vivisezione “per il progresso della biologia e della
medicina sperimentale”. Nel 1992, in base al Decreto Legislativo n. 116, sono
state abrogate tutte le disposizioni della vecchia legge, tranne l’articolo 1 che
recita: “la vivisezione e tutti gli altri esperimenti sugli animali a sangue caldo
(mammiferi ed uccelli) sono vietati quando non abbiamo lo scopo di
promuovere il progresso della biologia e della medicina sperimentale e si
eseguano negli istituti e laboratori scientifici della Repubblica sotto la diretta
responsabilità dei rispettivi direttori (…). Gli esperimenti che richiedono la vivisezione a semplice
scopo didattico sono consentiti soltanto in caso di inderogabile necessità, quando cioè, non sia
possibile ricorrere ad altri metodi dimostrativi”.
All’art. 3, comma 4, viene concessa anche la ricerca “di base”, cioè ogni possibile sperimentazione
che non abbia un fine immediato, prevedibile, o predeterminato.
Tale decreto, pur ponendo restrizioni sull’utilizzo degli animali nella ricerca (divieto di utilizzo di
cani, gatti e scimmie, obbligo di usare anestetici e divieto di utilizzare animali a scopo didattico)
prevede una riammissione delle norme restrittive a seguito della raccomandazione che gli
esperimenti siano il meno dolorosi possibili, che l’anestesia venga praticata, quindi sarà lo stesso
sperimentatore che giudicherà se l’esperimento richieda di derogare tali disposizioni e avrà quindi
la liberta di agire come meglio ritenga (previa autorizzazione del Ministero della Sanità).
In aggiunta, le sanzioni previste dal decreto legislativo 116/92 hanno comunque soltanto carattere
amministrativo e non penale.
Ad oggi esistono due direttive europee sulla regolazione della sperimentazione animale:
- 86/609/CEE che sancisce l’utilizzo di metodi alternativi ai test sugli animali ogni volta che
siano disponibili
- 93/55/CEE e successive modifiche sui cosmetici che dal 2013 proibirà la
commercializzazione in Europa di prodotti sperimentati su animali.
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6. RAPPORTI TRA BIOETICA E SCIENZA
Un tempo si riteneva impensabile poter sostituire l’utilizzo degli animali con altre metodiche.
D'altra parte, da sempre, c'è chi sostiene che non si possa fare a meno di utilizzare animali, anche in
quegli ambiti in cui poi gli animali sono stati definitivamente sostituiti. Infatti attualmente molti
test, che venivano effettuati su animali, vengono eseguiti con metodi alternativi. Esempi sono il test
di gravidanza, effettuato in passato su animali, ad esempio topi, oggi eseguito tramite analisi
chimiche; test di mutagenesi, ad esempio il test di Ames, che consente di valutare se una sostanza
può indurre mutazioni su geni singoli utilizzando cellule batteriche; produzione di vaccini, prodotti
in passato utilizzando esclusivamente animali, mentre attualmente si utilizzano metodi “in vitro”,
anche se in alcuni casi si impiegano tessuti e cellule animali, piuttosto che umani (il passaggio con
cellule umane evita la contaminazione di eventuali batteri o virus animali ignoti).
Allo stato delle attuali conoscenze scientifiche e con l’avvento di tecniche di biologia molecolare
sempre più complesse e “audaci”, è noto che l’ingegneria genetica consentirebbe di cambiare la
struttura – e dunque la natura - umana (questo ci scandalizza; invece gli animali sono da sempre
oggetto anche di esperimenti assai “ fantasiosi” e, spesso, inutili). Nel Regno Unito sono nati polli e
galli con porzioni di genoma umano per produrre proteine che dovrebbero evitare il fenomeno del
rigetto. Il maiale è stato manipolato geneticamente al fine di usarne il fegato per i trapianti sulla
specie umana: peccato che, prima di iniziare gli esperimenti sugli animali, non si sia tenuto conto di
un fenomeno assolutamente prevedibile: l’enorme rischio biologico di contaminare i pazienti con
virus del maiale. Attualmente questo percorso è stato abbandonato, dopo l’inutile sacrificio di tanti
animali. Porre limiti allo scienziato è praticamente impossibile, lo si evince dal passato, egli si sente
sempre innocente e colpevolizza coloro che lo vogliono fermare o limitare.
Tuttavia, le biotecnologie, che comportano la capacità di intervenire su fenomeni naturali per
antonomasia come nascita e morte, sono andate un po’ oltre le umane capacità di comprendere quali
possano essere le conseguenze…..il lecito e il non lecito……..un confine sottilissimo. E sorgono,
nelle coscienze, le ovvie domande del cuore e della mente: possiamo? Agiamo secondo coscienza,
privilegiando il Bene? Dunque, queste domande si pongono anche quando l’oggetto dell’intervento
umano non è solo l’uomo, ma anche gli animali. E se l’uomo possiede, comunque, libero arbitrio e
responsabilità di scelta, ossia facoltà di decidere, per se stesso, cosa sia meglio, i bambini e gli
animali sono gli innocenti per definizione, in quanto incapaci e impossibilitati ad accettare o
rifiutare qualsiasi azione che decida della loro vita, morte e sofferenza psicofisica.
Poiché, appunto, la scienza sembra essere, per molti, in conflitto con la coscienza, è nata la
Bioetica, termine coniato intorno agli anni ’70. Filosofi e Giuristi la definiscono “un ponte verso il
futuro”. La Bioetica desidera aver cura di 3 grandi “soggetti”: uomo, animali, ambiente. A seguito,
è nato il Biodiritto, che intende codificare, sottoporre ad autorità, sanzionare. Il rapporto tra diritto e
morale è conflittuale, ovviamente: le “direttive morali” sono molteplici, quindi è difficile trovare
intesa e convivenza tra le coscienze individuali di tutti: c’è una ovvia pluralità di visione del mondo
e di ciò che esso contiene. Non esiste, dunque, solo l’etica “cognitivista”, che si propone, attraverso
il ragionamento, di dare “verità autoevidenti” sulla base di intuizioni razionali, secondo cui,
identificato il “fine”, si codificano i comportamenti da attuare. Per altri, la conoscenza dei valori
morali - l’etica, appunto - è soggettiva, e non contano solo visioni oggettive o razionali: l’impulso
emotivo grida. Insomma, Razionalità ed Emozione sono di fronte, non di fianco… un duello.
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Libertà, come accettazione del diritto dell’autonomia dell’individuo...finché non si danneggia il
prossimo. Ma cosa significa dare danno ad altri? Difficile stabilire cosa sia il Danno, darne i
limiti… Questo vale quando si considera l’esistenza del biodiritto che evidenzia responsabilità
giuridiche, oppure diritti “leggeri”, aperti alle opzioni, più flessibili. In altri casi, il Danno è
manifesto da sé. Uno di questi casi è, appunto, quello che deve o meno legittimare il diritto umano
di avere una sorta di strapotere su esseri senzienti che, seppur non umani, sono comunque capaci di
provare emozioni, sentimenti, dolore fisico e disagio psichico e dotati di capacità cognitive
paragonabili a quelle di un infante o di un essere umano mentalmente disabile.
Peraltro, i soggetti affetti da grave ritardo mentale o cerebrolesi, considerando le loro capacità
limitate, non sarebbero esseri senzienti come i normali sensibili umani. Né questi soggetti né gli
animali si sognano di saper costruire un’ arpa, ad esempio, oggetto per cui occorre infinita
conoscenza acquisita, acustica, chimica, arborea, matematica. Eppure non per questo deficit non
sono rispettati, né su di essi vengono effettuati esperimenti perché di minor valore sociale. E certo,
sono sempre esseri umani! - Così risponde la nostra coscienza a questa constatazione. Ma
l’osservazione non è affatto banale, infatti se esaminiamo con occhio critico l’evolversi della nostra
coscienza nella storia sociale scopriamo/ammettiamo che ci furono tempi, non tanto remoti, anzi
dietro le nostre spalle, in cui questa nostra coscienza riteneva fermamente impensabile concepire la
sensibilità di soggetti cerebrolesi, con ritardo mentale, e dei malformati in genere. Oppure,
soffermiamoci a pensare alle discriminazioni razziali.
L’esclamazione odierna “E certo, sono sempre esseri umani” un tempo sarebbe parsa una bizzarria
fuori luogo. Infatti la nostra coscienza etica nell’antica Roma lanciava i malformati, (ma anche gli
indesiderati) dalla Rupe Tarpea, la nostra coscienza etica nell’antica Grecia, li buttava dal Monte
Taigeto. All’epoca, la nostra coscienza riteneva impensabile che avessero diritti, che fossero
sensibili, come insensibili erano ritenuti gli handicappati, o “diversamente abili” incapaci di parlare.
Fu un medico francese, casualmente, ad accorgersi che costoro percepivano l’ambiente esterno e
cercavano di rivolgersi ad esso senza, fatto tragico, essere ascoltati, tremenda condanna alla
solitudine e all’immobilità. E parliamo di pochi secoli fa.
Questo ci serva per capire come frasi “è impensabile” e “è indispensabile” debbano essere
sostituite, se la nostra coscienza attuale vuole aprirsi alla evidenza dei fatti, con frasi come “un
tempo si riteneva impensabile” e/o “sembrava indispensabile”. Inoltre, ci illumini per comprendere
se propendiamo più all’onestà dell’azione che alla soddisfazione egotica, che la nostra coscienza
vive ancora all’alba del suo sviluppo. E ci sia utile poi praticamente, per agire abbandonando gli
errori e, nel caso specifico, il giudizio attuale prevalente “è impensabile che l’animale soffra come
noi” o “la sperimentazione animale è un male necessario”, ottenendo l’auspicabile conseguenza di
produrre, nel campo della sperimentazione, tecniche coerenti con questi nuovi giudizi.
Tutto facile, no? Certo, l’osservazione della storia ci mostra, sfacciatamente, due realtà: una è che
l’uomo è incorso sovente in errori di giudizio. E’ la scoperta dell’acqua calda, basterebbe un clic
quindi per cambiare direzione, non ricadere nell’errore, no? Se non ci fosse il macigno della
seconda realtà storica: che l’uomo fa di tutto per impedire alla coscienza di evolversi in
consapevolezza e sensibilità. Sta a noi scegliere tra queste due strade.
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La parola handicap deriva dall’espressione inglese hand in cap.
La giornalista Gabriella Meroni, nel libro scritto con Antonella Vandelli (“La mano nel cappello” Monti Editore, Saronno, Varese), spiega che il termine risale al 600, quando due uomini, che
intendevano effettuare una forma di baratto fra beni di valore diverso, mettevano la compensazione
monetaria proposta nel pugno chiuso all’interno del cappello. La mano nel cappello. Un secolo più
tardi il termine divenne di uso frequente nel mondo delle corse ippiche: ai cavalli migliori veniva
appesa una zavorra per metterli in condizione di parità con i meno dotati.
Pierre Larousse (Dictionnaire de la langue francàise, 1877) racconta di una corsa dove gli handicap
erano così ben calcolati che i cavalli corsero per ben quattro volte senza riuscire a distanziarsi.
Di fronte alla fatica dei cavalli, i proprietari si misero d’accordo per stabilire un vincitore e tale fu
dichiarato il concorrente più handicappato, cioè il più appesantito.
L’handicap aveva, quindi, come finalità quella di pareggiare le probabilità dei concorrenti,
equilibrando i pesi in modo che il cavallo peggiore avesse tante probabilità di vincere la corsa
quante ne aveva il migliore. Una parola pesante.
Riprendendo il filo delle considerazioni scientifiche, il dottor Stefano Cagno (medico chirurgo,
psichiatra) a questo proposito, ci ricorda, con grande acutezza di pensiero, che la necessità di
reperire un’alternativa ad un metodo o una tecnica da tempo in uso dovrebbe implicare,
automaticamente, che la stessa tecnica o metodo da sostituire siano stati in precedenza dimostrati
come validi. Per i metodi sostitutivi la sperimentazione animale, viene, in effetti, richiesto un
rigoroso “iter” di validazione. L’elemento di forte contraddizione sta nel fatto che i “modelli
animali” non sono mai stati validati, ma si perpetuano da tempo non definibile più come una
tradizione, che per motivi scientificamente indiscutibili. Molte prestigiose riviste internazionali
cominciano a mettere in dubbio la reale efficacia e validità scientifica degli studi sugli animali,
dell’estrapolazione del dato dall’animale all’uomo. E, elemento ancor più contraddittorio, si chiede
che i metodi sostitutivi ai modelli animali siano validati confrontandoli con risultati ottenuti con la
sperimentazione animale che, appunto, non è mai stata validata. Avrebbe più senso scientifico, con
ogni probabilità, confrontare i dati ottenuti dai metodi sostitutivi con quelli presenti in letteratura
sulla specie umana. E, tornando alle osservazioni della dott.ssa Roberta Bartocci, “l’utilizzo di
animali non umani come modello dell’uomo significa procedere a tentativi, senza avere precisa
cognizione di ciò che avviene. Una coltura o un tessuto di cellule umane, un modello matematico,
uno studio epidemiologico o genetico sulle popolazioni umane, rappresentano invece un modello
sperimentale di una parte o funzione dell’organismo umano.” Insomma, sarebbe scientificamente
preferibile indagare cellule o tessuti umani al fine di conseguire risultati parziali ma attendibili,
rispetto a risultati ritenuti complessivi ma inattendibili, in quanto effettuati su specie diverse.
Inoltre, i dati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale ci informano che circa il 20% degli animali
sacrificati sono utilizzati per allestire colture di cellule: dunque sarebbero attendibili i dati ottenuti
da colture cellulari animali, ma non umane: sembra un fatto illogico. Infine, l’investimento di
ingenti risorse economiche quasi esclusivamente per la sperimentazione animale potrebbe
precludere importanti e addirittura fondamentali scoperte scientifiche ottenibili mediante l’utilizzo
di materiale umano. D’altronde, sappiamo quanto le convenzioni, le immobili e chiuse convinzioni,
la scarsa apertura alle novità abbiano portato a clamorosi errori nel passato. Vengono alla mente
Galileo, Giordano Bruno...ma gli esempi sarebbero moltissimi. Umiltà, apertura mentale,
disposizione al cambiamento, curiosità proficua e produttiva potranno, un giorno, attuare la
rivoluzione copernicana che molti ricercatori auspicano.
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Per ulteriori approfondimenti:
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www.novivisezione.org
www.infolav.org
www.ecvam.jrc.cec.eu.int
www.nca-nl.org
www.societavegetariana.org
www.scienzavegetariana.it
www.eurca.org ha lo scopo di promuovere l'uso di alternative nella sperimentazione
didattica nelle scuole superiori e università europee.
www.icare-worldwide.org
www.consumoconsapevole.org/07cosmetici-d.html sito in cui si trovano i prodotti non
testati su animali
http://www.lav.it/index.php?id=716 sito in cui si trova la lista continuamente aggiornata
dei cosmetici allo Standard Internazionale Non testato su Animali.
Bibliografia
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Introduzione alle Colture cellulari – metodiche relative– Penco, Mariottini et al. – Morgan
Edizioni Tecniche 2003
Un’altra ricerca è possibile “Metodi sostitutivi alla sperimentazione animale” LAV Settore
vivisezione 2007
Colture cellulari in tossicologia – Zucco e Bianchi – Lombardo editore – 1994
Editoriale Scienziati per gli animali – Massimo Tettamanti
Apriamo gli occhi sulla Vivisezione – Stefano Cagno e a cura di Marina Berati – Comitato
scientifico antivivisezionista – 2002
MEIC evaluation of acute systemic toxicity I. Methodology of 68 in vitro toxicity assays
used to test the first 30 reference chemicals. ATLA, 24, Suppl. 1, 249 – 272 - Clemedson, C.
et al. 1996
Toxicity of 39 MEIC chemicals to bioluminescent photobacteria (the BiotoxTM test):
correlation with other test systems. ATLA, 22, 147-160 - Kahru A., Borchardt B. 1994
Validation of in vitro cytotoxicity tests. In Vitro Allernatives to Animal Pharmacotoxicology (ed. J.V. Castell & M.J. Gómez-Lechón), pp. 361-390. Madrid: Farmaindustria Ekwall B. 1992
Principles for the validation of in vitro toxicology test methods. Toxicology in Vitro, 8, 807812 - Walum E., Clemedson C, Ekwall B. 1994
Multivariate quantitative structure-activity relationships (QSAR): conditions for their
applicability. Journal of Chemical Information and Computer Sciences, 23, 6-13 - Wold S.,
Dunn W.J. 1983
Gli animali e la ricerca. Viaggio nel mondo della vivisezione (2° ed.). Editore Riuniti 2002
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-
Quando l’uomo si crede Dio: gli animali e l’ingegneria genetica (2° ed.). Alberto Perdisa
Editore 2003
Sperimentazione animale e psiche: un’analisi critica. edizione Cosmopolis (2° ed.) 2007
From guinea pig to computer mouse. Alternative methods for a humane education - Jukes
Nick e Chiuia Mihnea - II ed. InterNICHE 2003
Zed Books Ltd - Fano Alix Lethal laws 1998
Greek C. Ray e Greek Jean Swingle Sacred cows and golden greese, Continuum 2000
Greek C. Ray e Greek Jean Swingle Specious Science, Continuum 2002
Shapiro Kenneth Animal models of human psychology, Hogrefe & Huber Publishers 1998
Sharpe Robert Science on trial. The human cost of animal experiments, Awareness Books
1994
Ringraziamenti
Roberta Bartocci
Anna Maria Bassi
Luciana Baroni
Marina Berati
Sergio Bormida
Stefano Cagno
Francesco Castorina
Antonella De Paola
Alessandro Parodi
Claudia Pastorino
Susanna Penco
Massimo Tettamanti
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opuscolo metodi alternati e innovativi 2007