Ancora a mia © Navarra Editore Via Calogero Isgrò, 6 - Marsala (TP) Tel/Fax 0923 719796 Via Francesco Crispi, 108 - Palermo (PA) Tel/Fax 091 6119342 www.navarraeditore.it - [email protected] Impaginazione e Grafica: Anna Lo Porto per Tundesign Illustrazione di copertina: Mauro Maraschi Edizione 2010 Tutti i diritti riservati. Nessuna perte di testo di questo libro può essere riprodotta o utilizzata in altre forme, elettroniche o meccaniche, inclusa la fotocopiatura o la ricerca, senza il permesso scritto dell’editore. Joan Viborg MARINEIDE Pax et bonum Epopea semiseria dell’ispettore Marineo dal bronzeo viso Tutto quanto raccontato nelle mie storie è frutto puramente della mia invenzione. Tutti i lettori che dovessero riconoscersi nei personaggi descritti se ne facciano una ragione. Quelli che dovessero riconoscersi nei panni del commissario Guccione riflettano sulla loro condizione. Quelli che si dovessero riconoscere negli autori dei delitti si costituiscano, se non sono già in galera. Se ci fosse qualche lettrice che si riconosca in Stella mi contatti. Qualora rispondesse mia moglie faccia finta di essere un’operatrice della Telecom. Nell’ipotesi che qualcuno si riconosca in due o più personaggi contemporaneamente pensi seriamente all’eventualità di contattare un bravo specialista. Prologo Marineo era temporaneamente assente dal proprio corpo. L’effetto che gli faceva ascoltare un brano di musica coinvolgente era quello di farlo accedere a dimensioni diverse da quelle alle quali, chiunque non avesse provato le medesime sensazioni, fosse solitamente abituato. Il suo inconscio stava viaggiando attraverso lo spazio siderale, verso una destinazione ignota a cavallo della sonda spaziale Pioneer, lanciata negli anni ‘70, per mettere in contatto la civiltà umana con un’altra ipotetica forma di vita che avrebbe potuto intercettarla durante il suo lungo viaggio. Alla suddetta sonda, gli scienziati che ne avevano curato la missione, avevano applicato un disco d’oro sul quale erano state incise alcune informazioni che avrebbero dovuto svelare, agli ipotetici abitanti di altre zone del cosmo, chi fosse a mettersi in contatto con loro. Il contenuto del disco, infatti, riportava registrate al proprio interno alcune immagini che illustravano le diverse forme di vita presenti sulla terra. Altre immagini, di natura più scientifica, mostravano la struttura e il funzionamento del DNA, il nostro sistema solare e altre informazioni di carattere generale atte ad approfondire la conoscenza del mittente. Ampia porzione del supporto era riservata ad informazioni sonore. Vi erano registrati suoni di origine naturale quali il rumore del mare, lo scroscio della pioggia, lo stormire di fronde al vento e, per ultimo, i suoni creati dall’uomo. Il brano di presentazione di quest’ultima sezione era rappresentato dal primo movimento del secondo dei sei concerti brandeburghesi composti da Johan Sebastian Bach. Forse quello con lo stile più italiano dell’intera sestina. 7 Era proprio quel frutto dell’ingegno del compositore tedesco che aveva permesso a Marineo l’accesso alla dimensione in cui si trovava. Lo scambio di frasi tra la chiarina, il flauto, l’oboe e il violino, limpido e perfetto, avveniva con matematica precisione, completandosi con l’accompagnamento dell’orchestra e del basso continuo. Similmente all’incastro di tanti tasselli di un puzzle che andavano agganciati in maniera univoca a quelli complementari per raggiungere il risultato finale, tutto l’insieme creava una melodia senza pari, resa ancora più gradita al fine palato musicale dell’ispettore dal timbro argentino della piccola tromba in fa che svettava su tutti gli altri strumenti. Marineo pensava che qualsiasi forma di vita avesse trovato quel messaggio musicale e avesse avuto i mezzi per ascoltarlo, avrebbe sicuramente affrontato un viaggio verso la terra solo per venirci a stringere la mano e farci i complimenti per i risultati. La musica era forse l’unico linguaggio veramente universale che avrebbe potuto mettere in contatto simultaneo, senza diaframmi di sorta, un umano con un alieno. A patto ovviamente che quest’ultimo disponesse di organi appositi per la ricezione dei suoni. Un incontro simile avvenne dopo nemmeno cinque minuti, quando il commissario Guccione fece il suo ingresso nella stanza di Marineo. L’ispettore non si accorse del superiore per un duplice motivo.Questi non bussava mai, perché riteneva che la sua posizione lo esentasse dall’osservanza delle principali norme di buona educazione, e in secondo luogo perché Marineo era rapito dall’ascolto del brano. Guccione si avvicinò lentamente alla scrivania di Marineo, quindi la oltrepassò e si mise alle spalle del 8 subalterno che, tra l’altro, aveva pure gli occhi chiusi. Dopo averlo osservato in assoluto silenzio per un paio di minuti, staccò lo spinotto che alimentava il riproduttore di compact disc dell’ispettore e contemporaneamente emise un sonoro colpo di tosse. L’anima di Marineo tornò rapidamente dal luogo in cui si trovava all’interno del corpo che solitamente la ospitava e lo rimise in moto partendo dalla lingua. – Cu fu? – disse Marineo, preso alla sprovvista, reagendo con un sussulto che lo fece quasi cadere dalla sedia sulla quale stava sdraiato reclinato all’indietro. – Buongiorno ispettore, mi scusi se l’ho spaventata, sa... ho un po’ di tosse. Comunque, l’ho fatta chiamare più di mezz’ora fa e lei, invece di precipitarsi nella mia stanza, se ne sta qui beato a fare i suoi comodi, – esordì Guccione, venendo subito al dunque. – Ma non mi ha avvisato nessuno della sua chiamata. – Probabilmente è lei a non aver sentito niente dato che era addormentato. Era inutile spiegare ad uno come Guccione che non stava affatto dormendo e così abbandonò istantaneamente tale proposito. – Cosa è venuto a dirmi, commissario? – chiese Marineo, cercando di togliersi dalle scatole il superiore nel più breve lasso di tempo possibile. – Ero venuto a comunicarle... ma come fa a tenere il suo ufficio in tale disordine? Non sa che l’ordine è alla base dell’efficienza? – si interruppe il commissario, gettando lo sguardo sulla scrivania di Marineo. – Commissario, quello che a lei sembra semplicemente caos è in realtà un disordine funzionale. Vi sono studi che smentiscono categoricamente la sua affermazione. 9 Esiste, infatti, la possibilità che con l’ufficio in questo stato io riesca a svolgere gli incarichi affidatimi più velocemente e proficuamente che se tenessi tutto perfettamente in ordine. Partiamo da un dato di fatto. Per mantenere l’ordine è logico che occorra spendere del tempo. Tempo che va sottratto ad altre occupazioni. Quindi, se il tempo che io devo spendere per tenere tutto in ordine è superiore al tempo che mi occorre a muovermi nel mio “disordine”, è più vantaggioso per me, e quindi per chi mi paga, che io non riordini affatto. Viceversa, se non ho mai niente da fare e quel poco che ho non lo so fare, o lo faccio fare ad altri, tengo il mio ufficio perfettamente in ordine e con il tempo che mi avanza vado a scassare i passuluna a chi mi sta intorno. Guccione impiegò un po’ di tempo per seguire il ragionamento di Marineo. Quando riuscì ad afferrarlo, non fu sicuro di aver capito e non ribatté. Continuò semplicemente da dove aveva interrotto. – Bando alle ciance, ispettore. Torniamo a ciò che volevo dirle. Risulta, ad oggi, che lei abbia preso negli ultimi undici mesi solamente due giorni di ferie. Devo quindi chiederle di godere del suo periodo di riposo immediatamente, per essere in regola con il contratto sindacale. – E da quando partono queste ferie coatte? – Da subito, ne prenda almeno una decina di giorni. – Ma dove vado a novembre in ferie? – A me non interessa affatto. Per quello che mi riguarda può anche tapparsi in casa tutto il tempo. – Beh, se devo proprio, vuol dire che me ne andrò al mare. – Al mare? A novembre? Che ci va a fare al mare a novembre, che non c’è più nessuno? 10 – Proprio per questo ci vado ora, quando ci devo andare? Quando ci sono quaranta gradi, un milione di persone che fanno casino di giorno e di notte e ti vendono una granita dodici euro? Ci vado adesso e me lo godo tutto da solo. Tanto, io, il bagno non me lo faccio quasi mai. Me ne vado sempre a pescare. – Ci vediamo tra dieci giorni allora, ispettore. Marineo lasciò uscire Guccione dalla stanza e prese il telefono. Compose un numero e attese che gli rispondessero mentre contraffaceva il proprio timbro di voce: – Pronto? – rispose una voce all’altro capo. – Buongiorno, mi potrebbe passare, cortesemente, Concettina? – Come ha detto, prego? – Potrebbe passarmi Concettina che le devo parlare? – Ma quale Concettina, qui non c’è nessuna Concettina? – È già uscita? – No. Non c’è e non c’è mai stata, forse ha sbagliato numero. – Va bene grazie lo stesso. Chiuse la comunicazione e attese qualche minuto, poi rifece lo stesso numero. – Pronto? – Buongiorno, mi chiamo Concettina, per caso ha telefonato qualcuno che mi cercava? – Concettina? Ma quale Concettina? Ma poi chi sei che hai la voce da uomo? – ribadì l’interlocutore, cominciando a subodorare una presa per i fondelli. – Sono un uomo, Concettina è uno pseudonimo. – E il tuo vero nome qual è, Concettina, che ti vengo a rompere le corna? 11 – Santacroce, che villano che sei diventato. Ma così ci si esprime al telefono? – Marineo? Tu sei? Allora veramente le vuoi rotte le corna. Ma possibile che non hai mai niente da fare? Ma perché non lavori? – Sono in ferie. – Tu? In ferie? E da quando? – Da adesso. L’ho appena saputo. Che fa ci vieni a pescare con me? – Ora? – No. Domani. Ce ne andiamo una settimana nella casa a mare di Guzzo, a pescare per tutto il tempo. – Non posso Marineo, domenica prossima devo battezzare mio nipote. Ho anch’io un sacco di ferie arretrate ma questa settimana proprio non posso. Mi dispiace. – Devi battezzare tuo nipote? Quale nipote? – Il figlio di mia sorella Serafina, quella che ti vuole tanto bene, – precisò con sarcasmo Santacroce. – Mi ci devi fare andare da solo? Vedi che poi te ne penti. – Me ne sono già pentito ma, in questo momento, non posso. Ciao. – Se ci ripensi sai dove trovarmi, – concluse Marineo, con un tantino di disappunto. – Sì, sì. Va bene, adesso lasciami lavorare. Marineo riagganciò, deluso. Raccolse alcune carabattole dalla scrivania e, prima di incamminarsi verso casa, andò in cerca di Guzzo. Lo trovò nella stanza dei computer intento a trafficare davanti al monitor assieme ad altri tre colleghi. Nessuno dei quattro si accorse del suo arrivo. Rimasero concentrati su quello che stavano facendo. Marineo si avvicinò alla postazione di Guzzo e chiese: 12 – Tanino, ti dovrei chiedere una cosa. Guzzo, sentendo dietro di sé la voce dell’ispettore, trasalì. Scattò in piedi e si mise col corpo davanti al monitor per impedire che Marineo vedesse la schermata. – Ispettore, che c’è? Che le serve? – Ti ricordi che mi avevi detto che potevo usare la tua casa al mare? – Sì, ma mi sembra un poco in ritardo, ispettore. – A me ora serve, se l’offerta è ancora valida. – Era valida d’estate e non lo deve essere a novembre? Le do la chiave. C’è l’ho qui, in tasca. Guzzo nell’estrarre dalla tasca la chiave si scostò leggermente, dando a Marineo la possibilità di leggere quello che si trovava sullo schermo alle sue spalle. Quindi porse la chiave all’ispettore. – Grazie Tanino, penso di starci una decina di giorni. – Ci può stare quanto vuole, a me per adesso non serve. – Va bene, ciao Mandingo, salutami anche la tua amica di chat, Candy. Gli voltò le spalle, lasciandolo ad arrossire da solo. Intascata la chiave di Guzzo, Marineo uscì dal commissariato e si diresse a piedi verso casa. L’aria di novembre era fresca ma un tiepido raggio di sole, che non era stato schermato dal massiccio roccioso che sovrasta il paese, gli sfiorava piacevolmente la faccia di bronzo. Si incamminò fra le stradine anguste e pressoché deserte, pregustando già i prossimi dieci giorni di solitudine. Si augurò che la pesca fosse proficua ma si disse che, anche se non lo fosse stata, avrebbe trascorso ugualmente un periodo rilassante. Arrivato a casa aprì il ripostiglio e cominciò a cercare l’attrezzatura da pesca. Muovendosi come un 13 furetto dentro la tana di un coniglio, trovò in poco tempo la sua vecchia canna, malconcia ma ancora utilizzabile, seppellita sotto alcuni grossi scatoloni sul ripiano più alto di un mobile. Il resto dell’attrezzatura fu rinvenuto poco distante, racchiuso in una cassetta per gli attrezzi riadattata a cassetta per le minuterie da pesca. Per controllare se vi fosse ciò di cui avrebbe potuto avere bisogno, portò tutto sul tavolo della cucina. Esaminò attentamente il contenuto della cassetta e, ritenutosi soddisfatto, mise tutto da parte. Pregustando già le scorpacciate di pesce che lo attendevano nei giorni a venire, si apprestò a cenare. Decise di cucinare le poche cose già presenti nel frigorifero, in maniera da non lasciare nulla di deteriorabile durante l’assenza. Finito che ebbe di mangiare il poco che aveva, si ricordò che il giorno prima aveva acquistato al mercato una ventina di fichi d’India scuzzulati. Erano i primi che si procurava quell’anno ed erano la sua passione. Andò sul terrazzino adiacente alla cucina e su un cartone steso a terra giaceva l’oggetto dei suoi desideri. Si armò di secchio e coltello. Riempì il secchio d’acqua e vi immerse i frutti, così da allontanarne le spine. Indossò un guanto e li sbucciò ponendoli con cura, tutti in piedi sulla base maggiore, su un capiente vassoio. A lui non piaceva mangiarli ad uno ad uno mentre li sbucciava ma piuttosto sedersi comodo, con davanti un piatto colmo di frutti di ogni colore: bianchi, gialli e rossi, e mangiarne quanti poteva a pieni bocconi, senza soste. Quando fu sazio si alzò, mettendo i pochi rimanenti in frigorifero per mangiarli a colazione l’indomani mattina, quindi decide di andare a letto. 14 Aveva già indossato un consunto pigiama quando si rammentò che in dispensa doveva trovarsi ancora mezza bottiglia di Marsala e una ventina di biscotti di san Martino acquistati qualche giorno prima, in occasione dell’omonima festività religiosa. Così come avevano fatto i suoi nonni e i suoi genitori fin quando non avevano tirato le cuoia, anche Marineo si sforzava di mantenere vive le tradizioni religiose, soprattutto quelle legate alla sfera gastronomica. In tale maniera, era uso festeggiare Carnevale con dolci di ogni sorta; san Giuseppe con la pasta con le sarde e con sfinci alla ricotta da mezzo chilo l’una; della Quaresima se ne stracatafotteva e passava direttamente a Pasqua, con un agnello di pasta di mandorle da tre chili e mezzo e una colomba che sembrava un’aquila. Il lunedì dell’Angelo, o Pasquetta che dir si voglia, lo festeggiava in campagna con un agnello vero sulla brace. Si passava al Corpus Domini, con un chilo di pane benedetto, condito con olio e sarde salate; per l’ascensione si sbafava una cassa di sarde appena scottate sulla brace; si arrivava così all’8 di settembre con una scampagnata che prevedeva sette metri di salsiccia arrostita su una pira di tralci di vite secchi; per santa Lucia si strafogava di arancine, cuccìa, panelle e ceci, e arrivava così a Natale per il gran cenone. Da qualche anno era uso festeggiare anche il giorno del Ringraziamento, come gli americani, con l’unico movente di sbafarsi un tacchino ripieno da diciotto chili. Stava studiando, inoltre, come sfruttare il Ramadan a proprio favore ma gli riusciva difficile rimanere tutto il giorno digiuno, anche se, al calare del sole, avrebbe potuto trasformarsi in un licantropo e fare incetta di ogni cosa commestibile gli capitasse a tiro. 15 Ritornando al momento attuale, reputando inopportuno gravare il suo scarno bagaglio anche dei due articoli di cui sopra, decise di depennarli subito dalla lista di cose da portare con sé l’indomani. Andò in cucina e si fece una zabbinata di Marsala e biscotti di san Martino, che solo l’intervento divino gli consentì di digerire. Andò a letto mezzo sbronzo ma pago. 16