Per non dimenticare “ Ora e sempre Resistenza “ Con l’Alto Patrocinio DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA Patrocinio DEL SENATO DELLA REPUBBLICA Patrocinio DELLA CAMERA DEI DEPUTATI Patrocinio DEL CONSIGLIO DELLA REGIONE LAZIO ROMA, 23 aprile 2007 – ore 9.00- Camera dei Deputati, Sala delle Conferenze Palazzo Marini –( Via del Pozzetto ) Presentazione Abbiamo voluto raccogliere e presentare alcuni aspetti significativi del contributo fornito dalle donne alla lotta di Liberazione, accompagnati da una parziale documentazione, ma in grado di fornire un quadro sufficientemente rappresentativo del contesto nel quale l’impegno delle donne si è sviluppato. Una sintesi per stimolare una migliore e maggiore conoscenza dello spaccato femminile, in quello che è stato il periodo fondamentale per il riscatto e la rinascita del nostro Paese, ripercorrendo vicende, nella stragrande maggioranza poco conosciute e ingiustamente relegate come apporto secondario fornito dalle donne durante il regime e nella lotta per abbatterlo. Il nostro è un tentativo volto anche a valorizzare e sostenere, condividendone le finalità e l’azione, la meritoria opera che le associazioni partigiane, quelle dei deportati, quelle dei perseguitati politici, dei mutilati ed invalidi dalla riconquistata libertà stanno continuamente portando avanti per non far dimenticare quanti hanno lottato, pagando caro il loro generoso sacrificio, per la libertà e la democrazia, consentendone a tutti noi oggi di poterne beneficiare. Vorremmo che la nostra ricerca basata sul loro materiale riuscisse ad essere d’esempio per attivarne molte altre, in modo da allargare l’area della conoscenza e come diceva spesso Sandro Pertini “gli anziani ricordino e i giovani sappiano” per divenire un inesauribile motore di trasmissione della memoria. Uniamo, quindi, alle situazioni e avvenimenti che hanno riguardato le persone, altre notizie di utilità di ricerca: una bibliografia riguardante quasi esclusivamente l’impegno delle donne e di quanti sono stati i difensori dei valori che hanno accompagnato tutto questo periodo storico e da questi protagonisti consegnato alla storia; una serie di fotografie che testimoniano il sacrificio e l’impegno che quella generazione ha dovuto affrontare per la lotta per la libertà. Per la nostra storia diviene di particolare importanza evidenziare il fatto come e quanto le donne non siano state protagoniste solo quando hanno combattuto in prima linea, ma anche quando come madri, mogli, figlie e nonne hanno dato il loro sostegno alla lotta antifascista e contro l’oppressore nazista. Basta leggere le toccanti lettere che i condannati a morte hanno scritto alle persone più care per rilevare che queste sono state, in prevalenza, destinate alle donne della famiglia, non solo per l’affetto che evidentemente li legava, ma soprattutto quale riconoscimento del ruolo e della forza che per i loro uomini esse rappresentavano. La donna nella vita quotidiana sotto il fascismo, e più ancora nel periodo bellico, ha combattuto le privazioni, con le difficoltà della gestione dei figli e della casa, il dover essere spesso contemporaneamente madre, moglie, sorella, compagna di lotta, il dover far fronte ai soprusi e ai tentativi di sfruttamento dei piccoli o grandi ras del regime. La donna a casa come in guerra, nella Resistenza o nella solitudine di una resistenza personale o familiare, sui posti di lavoro, affrontando i pericoli, dell’essere staffetta, infermiera, impegnata nei GAP, nelle SAP, nelle GDD o in montagna nella lotta armata, oppure organizzando scioperi contro la guerra e per il reperimento degli alimenti, vivendo le dure privazioni del carcere, delle torture, pagando con le deportazioni fino all’estremo sacrificio. A tutte loro, alle 35.000 partigiane riconosciute, alle 20.000 patriote, alle 70.000 facenti parte dei Gruppi di Difesa della Donna, alle 4653 arrestate e torturate, alle 2750 deportate, alle 2900 fucilate o cadute in combattimento, alle centinaia di migliaia che in silenzio hanno sofferto, pagato e contribuito alla vittoria sulla barbarie della dittatura fascista e dell’occupazione nazista, avremmo voluto dedicare uno spazio, ma purtroppo non è stato possibile; dunque, la testimonianza di poche valga per tutte, a cui dedichiamo - con profondo rispetto, riconoscimento e gratitudine - questo nostro lavoro, parte integrante del convegno che abbiamo contribuito a realizzare. Per le fotografie, i documenti e le informazioni contenute nel testo, essendo questa testimonianza una memoria condivisa, una memoria del Paese, che è patrimonio di tutti, si è deciso di non citare nello specifico le fonti. Roma 23 aprile 2007 L’Istituto di Studi Sindacali UIL La presente pubblicazione è stata curata da Paolo Saija Con l’Alto Patrocinio DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA Patrocinio DEL SENATO DELLA REPUBBLICA Patrocinio DELLA CAMERA DEI DEPUTATI Patrocinio DEL CONSIGLIO DELLA REGIONE LAZIO Ore 8,30 Registrazione partecipanti Ore 9,00 Apertura lavori Ore 10,45 Interventi di Presiede Giuliano VASSALLI Presidente Emerito della Corte Costituzionale Gianni SALVARANI Vice Presidente Istituto Studi Sindacali UIL Piero BONI Partigiano, Medaglia d’Argento al Valor Militare Ore 9,15 Interventi di saluto: Carlo LEONI Vice Presidente Camera dei Deputati Donatella LINGUITI Sottosegretaria al Ministero per i diritti e le pari opportunità Antonio LANDOLFI Storico, Vice Presidente dell’ANPPIA Cinzia DATO Deputata, componente dell’OSCE Vittoria FRANCO Senatrice, Presidente dell’Associazione Nazionale Gramsci Rosa RINALDI Sottosegretaria al Ministero del lavoro Ore 12,30 Testimonianze di: Massimo PINESCHI Presidente del Consiglio della Regione Lazio Tina ANSELMI Ex Ministra, staffetta partigiana Vera MICHELIN SALOMON Deportata, Vice Presidente ANED -Lazio Marisa OMBRA Staffetta partigiana Ore 13,00 Conclusioni di: Nirvana NISI Segretaria Confederale UIL Nel corso del convegno saranno lette dagli attori Marisa Solinas e Leandro Leandro Amato le motivazioni con le quali sono state insignite di medaglia d’oro le 19 donne che hanno eroicamente combattuto nella resistenza ROMA, 23 aprile 2007 – ore 9.00- Camera dei Deputati, Sala delle Conferenze Palazzo Marini –( Via del Pozzetto ) IL SACRIFICIO DELLE NONNE, DELLE MADRI, DELLE SORELLE, DELLE SPOSE E DELLE FIGLIE DURANTE IL FASCISMO, LA GUERRA E LA RESISTENZA E’ STATO QUELLO PAGATO PIU’ A CARO PREZZO, SPESSO SOFFERTO IN SILENZIO E SEMPRE DONANDO, CON LA GENEROSITA’ DI CUI SOLO UNA DONNA PUO’ ESSERE CAPACE, AI FAMILIARI E AGLI ALTRI, TUTTO L’AMORE E L’OPERA CHE, PER IL RUOLO RICOPERTO IN CASA E NELLA SOCIETA’, VENIVANO CHIAMATE AD ESERCITARE. UN SACRIFICIO CHE E’ STATO TROPPO SPESSO SOTTOVALUTATO, POSTO SEMPRE IN SECONDO PIANO RISPETTO A QUELLO DEGLI UOMINI E SOPRATTUTTO MAL RICOMPENSATO, COME SE LE RESPONSABILITA’ E I DOLORI PROVATI DALLE DONNE FOSSERO INFERIORI. NELL’ANNO EUROPEO DELLE PARI OPPORTUNITA’ E IN OCCASIONE DELL’ANNIVERSARIO DEL 25 APRILE LA UIL, L’ISTITUTO DI STUDI SINDACALI E IN PARTICOLARE IL COORDINAMENTO FEMMINILE DELL’ORGANIZZAZIONE HANNO VOLUTO CONTRIBUIRE A MANTENERE VIVA LA MEMORIA DEI TANTI SACRIFICI COMPIUTI DA MILIONI DI DONNE. PER RAGIONI DI SICUREZZA L’INGRESSO IN SALA SARA’ CONSENTITO SOLO ALLE PERSONE CHE AVRANNO ANTICIPATAMENTE CHIESTO DI ESSERE INSERITI NELL’ELENCO DEI PARTECIPANTI DEPOSITATO AL VARCO DI CONTROLLO. PER GLI UOMINI E’ OBBLIGATORIA GIACCA E CRAVATTA, LE OPERAZIONI DI REGISTRAZIONE AVRANNO INIZIO ALLE ORE 8,30 PREGASI CONFERMARE LA PARTECIPAZIONE ENTRO MERCOLEDI 18 APRILE P.V. ALLA SEGRETERIA DEL CONVEGNO UIL VIA LUCULLO 6 - 00187 ROMA - TELEFONI 064753279 - 064753398 FAX 064753376 e-mail: [email protected] 19 MEDAGLIE D’ORO AL VALOR MILITARE ALLE DONNE PARTIGIANE (motivazioni e profili biografici) Bandiera Irma, n. 1915 Bologna. Partigiana combattente. Prima fra le donne bolognesi a impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà, si batté sempre con leonino coraggio. Catturata in combattimento dalle SS. tedesche, sottoposta a feroci torture, non disse una parola che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata accecata fu barbaramente trucidata e il corpo lasciato sulla pubblica via. Eroina purissima degna delle virtù delle italiche donne, fu faro luminoso di tutti i patrioti bolognesi nella guerra di liberazione. Meloncello, 14 agosto 1944. Nata da famiglia benestante ed educata ad alti sentimenti patriottici, dopo l’8 settembre 1943 entrò a far parte delle organizzazioni clandestine della Div. Partigiani “Bologna”, VII Brig. G.A.P. “Gianni”, ove assunse lo pseudonimo di “Mimma” e il compito di staffetta. Il 4 agosto 1944 venne arrestata nello svolgimento di una missione che le era stata affidata. Dopo nove giorni di torture e sevizie per indurla a svelare i nomi dei compagni di lotta e gli scopi della azione venne fucilata proprio nei pressi della sua abitazione. Bedeschi Ines, n. 1914 Conselice (Ravenna). Partigiana combattente. Spinta da un ardente amor di Patria, entrava all'armistizio nelle formazioni partigiane operanti nella sua zona, subito distinguendosi per elevato spirito e intelligente iniziativa. Assunti i compiti di staffetta, portava a termine le delicate missioni affidatele incurante dei rischi e pericoli cui andava incontro e della assidua sorveglianza del nemico. Scoperta, arrestata e barbaramente torturata, preferiva il supremo sacrificio anziché tradire i suoi compagni di lotta. Nord Emilia (Parma) - Riva del Po (Parma), 1° ottobre 1943 - 28 marzo 1945. Nata da famiglia di agricoltori, si dedicò ai lavori dei campi al termine delle classi elementari. Dopo gli avvenimenti succeduti all’armistizio dell’8 settembre 1943, la sua casa ospitò i maggiori esponenti della Resistenza e ne divenne la staffetta, recando ordini, disposizioni ed armi alle formazioni partigiane operanti nella Romagna e nel parmense. Bianchi Livia, n. 1919 Melara (Rovigo). Partigiana combattente. Nel settembre 1943, accorreva con animo ardente nelle file dei partigiani, trasfondendo nei compagni di lotta il fuoco della sua fede purissima per la difesa del sacro suolo della Patria oppressa. Volontariamente si offriva per guidare in ardita ricognizione attraverso la impervia montagna una pattuglia che, scontratasi con un grosso reparto nemico impegnava dura lotta, cui essa, virilmente impugnando le armi, partecipava con leonino valore, fino ad esaurimento delle munizioni. Insieme ai compagni veniva catturata e sottoposta ad interrogatori e sevizie, che non piegarono la loro fede. Condannati alla fucilazione lei veniva graziata, ma fieramente rifiutava per essere unita ai compagni anche nel supremo sacrificio. Cadde sotto il piombo nemico unendo il suo olocausto alle luminose tradizioni di patriottismo nei secoli fornite dalle donne d'Italia. Cima Valsolda, settembre 1943 - gennaio 1945. Umile donna di casa, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 volle partecipare attivamente alla lotta clandestina. Nella formazione partigiana “Ugo Ricci”, operante sulle montagne della zona del Lario, col nome di battaglia “Franca” fu portaordini e combattente. Il 21 gennaio 1945, dopo un violento combattimento, rifugiatasi con altri compagni di lotta in una casa di Cima di Porlezza fu con essi costretta alla resa con la promessa di avere salva la vita. I prigionieri furono invece condotti al cimitero locale e schierati contro il muro di cinta vennero falciati dalle armi automatiche. La partigiana “Franca”, rifiutò la salvezza che le veniva offerta e si unì la gruppo dei condannati, nel supremo sacrificio della vita. Borellini Gina, n. 1919 San Possidonio (Modena). Partigiana combattente. Giovane sposa, fin dai primi giorni dedicava tutta se stessa alla causa della liberazione d'Italia, rifugiando militari sbandati e ricercati e aiutandoli nel sottrarsi al servizio con i tedeschi, staffetta instancabile ed audacissima, trasportava armi, diffondeva opuscoli di propaganda, comunicava ordini, sempre incurante del grave pericolo cui si esponeva. Arrestata col marito, resisteva alle più atroci torture senza dire una parola sui suoi compagni di lotta. Tre volte condotta davanti al plotone di esecuzione assieme al suo consorte, continuava a tacere. Inopinatamente rilasciata, rifiutava di nascondersi in montagna per essere più vicina al marito tuttora detenuto. Fucilato questo, arrestatole un fratello, raggiunse una formazione partigiana con la quale affrontava rischi e disagi inenarrabili e non esitava ad impugnare le armi dando frequenti e luminose prove di virile coraggio. Sorpresa la sua formazione dalle Brigate Nere, gravemente ferita ad una gamba nella disperata eroica resistenza, non permetteva ai suoi compagni di soccorrer/a, sola riusciva a frenare la copiosa emorragia e, traendo coraggio dal pensiero dei propri figli, si sottraeva alle ricerche nemiche. Nell’ospedale di Carpi, individuata dalla polizia fascista subisce, sebbene già in gravissime condizioni, estenuanti interrogatori, ma tace incrollabile nella decisione eroica. Amputatale la gamba, l'insurrezione la sottrae alla vendetta del nemico fuggente. Fulgido esempio di sacrificio e di eroismo. Modenese, 8 settembre 1943 - aprile 1945. Modesta e laboriosa donna di casa, dopo l’8 settembre 1943 si dedicò col marito e con i fratelli alla lotta partigiana. Svolse in un primo tempo la pericolosa missione di staffetta; poi fu una delle più capaci organizzatrici dei “Gruppi di difesa della donna” incaricati di rifornire le formazioni partigiane di viveri, medicinali e vestiario. Arrestata col marito e torturata, assieme a lui resisteva senza dire una parola sui suoi compagni di lotta. Dopo la fucilazione del marito avvenuta il 19 marzo 1945 non esitò ad impugnare le armi entrando coraggiosamente nelle formazioni gappiste. Appartenente alla Brig. “Remo” come ispettrice e con la qualifica gerarchica di capitano, fu ferita nel combattimento di S. Possidonio da pallottola esplosiva il 12 aprile 1945 e subì l'amputazione della gamba sinistra. La mutilazione e la perdita del compagno non intaccarono il suo forte animo. Subito dopo la liberazione organizzò il movimento democratico femminile (VDI) a Concordia e fu animatrice di ogni azione per il miglioramento delle condizioni economiche e per la emancipazione della donna. Eletta Deputato al Parlamento per la I, II e III legislatura della Repubblica, la sua attività parlamentare fu rivolta particolarmente, alla soluzione dei problemi dei combattenti, fra cui quelli dei mutilati ed invalidi di guerra, partigiani e congiunti dei Caduti in guerra o per causa di guerra. Ha ricoperto la carica di Consigliere ai Comuni di Concordia e di Sassuolo, nonché quella di Consigliere alla Provincia di Modena. È stata Presidente della Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi di guerra della Sezione di Modena e Membro del Comitato Centrale della stessa. Risiedeva a Modena. Capponi Carla, n. 1921 Roma. Partigiana combattente. Partigiana volontaria ascriveva a sé l’onore delle più eroiche imprese nella caccia senza quartiere che il suo gruppo d’avanguardia dava al nemico annidato nella cerchia dell’abitato della città di Roma. Con le armi in pugno, prima fra le prime, partecipava a diecine di azioni distinguendosi in modo superbo per la fredda decisione contro l’avversario e per spirito di sacrificio verso i compagni in pericolo. Nominata vice comandante di una formazione partigiana guidava audacemente i compagni nella lotta cruenta, sgominando ovunque il nemico e destando attonito stupore nel popolo ammirato da tanto ardimento. Ammalatasi di grave morbo contratto nella dura vita partigiana non volle desistere nella sua azione fino a fondo impegnata per il riscatto delle concusse libertà. Mirabile esempio di civili e militari virtù del tutto degna delle tradizioni di eroismo femminile del Risorgimento italiano. Roma, 8 settembre 1943 - 6 giugno 1944. Iscritta alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 si dedicò attivamente alla lotta clandestina di resistenza. Nelle formazioni “G.A.P.”, col nome di battaglia “Elena”, fu vicecomandante di una formazione partigiana operante in Roma e nella provincia, a Valmontone, a Zagarolo e a Palestrina. Organizzatrice di numerosi atti di sabotaggio, fra i quali l’incendio nell’interno della città di un autotreno carico di carburante destinato a Cassino, partecipò il 23 marzo 1944 all’attentato di via Rasella contro una formazione militare tedesca. Fu eletta nel 1953 deputato al Parlamento per la 2ª legislatura repubblicana per la circoscrizione di Roma, Viterbo, Latina, Frosinone. Risiedeva a Roma. Deganutti Cecilia, n. 1914 Udine. Infermiera volontaria della C.R.I., partigiana combattente. Valorosa crocerossina, consapevole e cosciente delle tragiche ore attraversate dalla Patria invasa prendeva immediatamente la via del dovere e dava, in terra Friulana, la sua entusiastica attività al movimento della liberazione contro l’oppressione nemica.In lunghissimi mesi di lotta senza quartiere, nella volontaria diuturna feconda ed appassionata fatica metteva in luce tutta la sua purissima fede e dava ripetute prove dei sentimenti più nobili e delle virtù militari più salde. Individuata dal nemico ed esortata a porsi in salvo preferiva continuare a svolgere la sua multiforme attività patriottica finché veniva arrestata. Sottoposta a numerosi snervanti interrogatori e a ripetute torture per costringerla a svelare le fila dell’organizzazione clandestina che l’avversario sapeva a lei ben note, opponeva sempre un netto e deciso rifiuto anche quando i maltrattamenti superarono ogni limite di umana sopportazione. Non una parola usciva così dalle sue labbra. Condotta al supremo sacrificio, l’affrontava con la calma dei forti dando mirabile esempio del come la gente Friulana sa servire la Patria e per Essa morire. Zona d’operazione, giugno 1944 - aprile 1945. Insegnante elementare a Castione di Strada dal 194, frequentò i corsi di infermiera volontaria della C.R.I. presso il Comitato provinciale di Udine e prestò per qualche tempo servizio nell’ospedale civile e in quello militare di Udine. Trasferita al posto di soccorso ferroviario, ivi si trovava nel settembre 1943 quando militari e civili italiani venivano caricati nei carri bestiame e deportati in Germania. Le dolorose scene alle quali assistette la spinsero a partecipare alla lotta di resistenza e divenne partigiana. Affiancatasi al gruppo di assistenza ai feriti, disimpegnò anche opera di collegamento collaborando attivamente con i radiotelegrafisti della Missione alleata. Arrestata il 6 gennaio 1945 ad Udine sotto l’accusa di spionaggio e favoreggiamento del nemico, fu fucilata a Trieste il 4 aprile successivo. Degli Esposti Gabriella in Reverberi, n. 1912 Crespellano (Bologna). Partigiana combattente. Due tenere figliolette, l’attesa di una terza, non le impedirono di dedicarsi con tutto lo slancio della sua bella anima alla guerra di liberazione. In quindici mesi di lotta senza quartiere si dimostrava instancabile ed audacissima combattente, facendo della sua casa una base avanzata delle formazioni partigiane, eseguendo personalmente numerosi atti di sabotaggio e contribuendo alacremente alla diffusione della stampa clandestina. Accortasi di un rastrellamento, riusciva ad allontanare gli sgherri dalla propria casa per breve tempo e, incurante della propria salvezza, metteva al sicuro le figliole ed occultava armi e documenti compromettenti. Catturata, fu sottoposta alle torture più atroci per indurla a parlare, le furono strappati i seni e cavati gli occhi, ma ella resistette imperterrita allo strazio atroce senza dir motto. Dopo dura prigionia, con le carni straziate, ma non piegata nello spirito fiero, dopo aver assistito all’esecuzione di dieci suoi compagni, affrontava il plotone di esecuzione con il sorriso sulle labbra e cadeva invocando un‘ultima volta l’Italia adorata. Leggendaria figura di eroina e di martire. Castelfranco Emilia, 17 dicembre 1944. Appartenente a modesta famiglia di lavoratori, originaria della frazione di Calcara del comune di Crespellano, dopo l’8 settembre 1943 diede ogni sua attività alla lotta clandestina. Staffetta partigiana con la qualifica di tenente, prestò servizio in una formazione facente capo alla Div. “Walter Trabucchi Modena”. Del Din Paola, n. 1923 Pieve di Cadore (Belluno). Partigiana combattente. Dopo aver svolto intensa attività partigiana nel Friuli nella formazione comandata dal fratello, ad avvenuta morte di questi in combattimento, viene prescelta per portare al Sud importanti documenti operativi interessanti il Comando alleato. Oltrepassate a piedi le linee di combattimento dopo non poche peripezie e con continuo rischio della propria vita ed ultimata la sua missione, chiedeva di frequentare un corso di paracadutisti. Dopo aver compiuto ben undici voli di guerra in circostanze fortunose, riusciva finalmente, unica donna in Italia, a lanciarsi col paracadute nel cielo del Friuli alla vigilia della liberazione. Nel corso dell'atterraggio riportava una frattura alla caviglia ed una torsione alla spina dorsale, ma nonostante il dolore lancinante, la sua unica preoccupazione era di prendere subito contatto con la Missione alleata nella zona per consegnarle i documenti che aveva portato con sé. Negli ultimi giorni di guerra, benché claudicante, passava ancora ripetutamente le linee di combattimento per recapitare informazioni ai reparti alleati avanzanti. Bellissima figura di partigiana seppe in ogni circostanza assolvere con rara capacità e virile ardimento i compiti affidatile, dimostrando sempre elevato spirito di sacrificio e sconfinata dedizione alla causa della libertà. Zona di operazione, settembre 1943 - aprile 1945. Figlia di ufficiale degli alpini combattente della prima e della seconda guerra mondiale e sorella di Renato caduto a Tolmezzo il 25 aprile 1944 e decorato della M.O. al V.M. alla memoria, consegui la maturità classica nel Liceo di Udine e si laureò in lettere presso l'Università di Padova nel 1945. Dopo l'8 settembre 1943 dedicò la sua attività alla lotta partigiana. Alle dipendenze del fratello comandante della “Prima banda di montagna” del Gruppo Divisioni d'assalto “Osoppo-Friuli”, allora in formazione, disimpegnò le funzioni di staffetta rendendo preziosi servizi anche nel campo informativo. Vincitrice di una borsa di studio, frequentò dal 1951 al 1953 l'Università di Pennsylvania in America conseguendo il titolo di “Master of Arts”. Insegnante di lettere ad Udine nelle scuole medie. Risiede a Udine. Enriques Anna Maria, n. 1907 Bologna. Partigiana combattente. Immemore dei propri dolori, ricordò solo quelli della Patria; e nei pericoli e nelle ansie della lotta clandestina ricercò senza tregua i fratelli da confortare con la tenerezza degli affetti e da fortificare con la fermezza di un eroico apostolato. Imprigionata dagli sgherri tedeschi per lunghi giorni, superò con la invitta forza dell’animo la furia dei suoi torturatori che non ottennero da quel giovane corpo straziato una sola parola rivelatrice. Tratta dopo un mese dal carcere delle Murale, il giorno 12 giugno 1944, sul greto del Mugnone, in mezzo ad un gruppo di patrioti, cadeva uccisa da una raffica di mitragliatrice: indimenticabile esempio di valore e di sacrificio. Firenze, 15 maggio - 12 giugno 1944. Laureata in lettere nel 1930, ed assunta come archivista negli Archivi di Stato fu a Firenze dal 1932 al 1939. Allontanata dall’ufficio per ragioni razziali, trovò rifugio in Vaticano dove venne impiegata nell’archivio di quella Biblioteca. Propagandista animosa, organizzò i primi gruppi di resistenza politica del Partito Democratico Cristiano, a Roma e poi a Firenze, quando nel 1943 raggiunse la famiglia colà residente. A lei fecero capo, dopo l’armistizio, le organizzazioni partigiane del livornese, della Lucchesia, della Val d’Orcia e della Val di Chiana e servì di tramite per la trasmissione di notizie politiche e militari ai comandi alleati. Si prodigò, inoltre, a favore di ebrei e ricercati politici. Pubblicò vari saggi sulla paleografia e su argomenti di storia medioevale. Lorenzoni Maria Assunta (Tina), n. 1918 Macerata. Crocerossina, partigiana combattente. Purissima patriota della Brigata "V", martire della fede italiana, compì sempre più del suo dovere. Crocerossina e intelligente informatrice, angelo consolatore fra i feriti, esempio e sprone ai combattenti, prestò sempre preziosi servizi alla causa della liberazione d'Italia. Allo scopo di alleviare le perdite della Brigata, già duramente provata ed assottigliata nel corso delle precedenti azioni, onde rendere possibile una difficile avanzata, volle recarsi al di là della linea del fuoco per scoprire e rilevare le posizioni nemiche. Il compito volontariamente ed entusiasticamente assuntosi, già altre volte portato felicemente a termine, la condusse verso la cattura e verso la morte. Gloriosa eroina d'Italia, sicura garanzia della rinascita nazionale. Firenze, Via Bolognese, 21 agosto 1944. Figlia del Segretario generale dell'Istituto internazionale di agricoltura e Ordinario di economia politica nella Università di Firenze, alla dichiarazione della seconda guerra mondiale era laureanda nella facoltà di Magistero. Crocerossina durante la guerra, dopo l’8 settembre 1943 entrò a far parte di uno dei gruppi della resistenza operanti a Firenze che si fusero poi nella Brig. “V”, costituitasi e mantenutasi apolitica fino allo scioglimento, avvenuto nel settembre 1944. Conosciuta nell'ufficio informazioni della Brig. con 1ª sigla “S.C. 28”, prese parte alla organizzazione di altri gruppi di informazione a Milano e in altre località del Nord, facilitando l'espatrio a numerosi ebrei e perseguitati politici. Durante i combattimenti svoltisi per la liberazione di Firenze nell'estate del 1944, dopo avere più volte oltrepassate le linee nemiche al di là del Mugnone e dell'Arno, veniva arrestata in un ulteriore tentativo per raccogliere preziose notizie per gli alleati. Rinchiusa in una cantina della villa Cisterna, cadde l'indomani, sotto una raffica di mitra tedesco in un tentativo di fuga durante l'interrogatorio. Marchiani Irma, n. 1911 Firenze. Partigiana combattente. Valorosa partigiana animata da grande ardimento, dopo essersi distinta per coraggio e sprezzo del pericolo nella battaglia di Montefiorino, veniva catturata dal nemico nel generoso tentativo di far ricoverare in luogo di cura un compagno gravemente ferito. Condannata alla deportazione e riuscita audacemente ad evadere, riprendeva il suo posto di lotta e partecipava ai combattimenti di Benedello battendosi con indomito coraggio e prodigandosi nella amorosa assistenza ai feriti. Caduta nuovamente nelle mani del nemico, affrontava impavida la morte, offrendo fieramente il petto al piombo che troncava la sua balda esistenza. Pavullo nel Frignano, 26 novembre 1944. Ricamatrice e modista si interessò anche di pittura, lasciando buone prove come ritrattista e miniaturista. L’8 settembre 1943 trovavasi nella zona del Frignano per motivi di salute, tuttavia partecipò alla lotta clandestina di resistenza nelle formazioni partigiane come staffetta ed informatrice, dai primi mesi del 1944. Dal maggio successivo entrò a far parte definitivamente della Brig. “Roveda” della Div. “Modena”. Le sue capacità di infermiera e di organizzatrice, nonché le sue eccezionali doti di combattente, le ottennero la nomina a vice comandante del btg. “Matteotti” dove militò col nome di battaglia “Anty”. Marighetto Ancilla, n. 1927 Castel Tesino (Trento). Partigiana combattente. Generosa figlia del Trentino abbandonò la propria casa e la famiglia per rispondere all’appello della Patria a cui già il padre aveva sacrificata la vita. Unitamente al fratello maggiore divise i gravi rischi e i grandi sacrifici della lotta partigiana nella stagione più rigida e in zona impervia e pericolosa. Durante un rastrellamento, con uno sci spezzato da raffiche nemiche, si rifugiò sopra un albero. Individuata, scaricò la pistola sul nemico fino ad esaurimento delle munizioni. Catturata e sottoposta a sevizie e torture non si piegò. Offertale salva la vita purché denunciasse i propri compagni, rifiutava sdegnosamente sputando in faccia ai carnefici e gridando: «Ammazzatemi, ma non tradirò mai i miei fratelli ».Il piombo nemico stroncò la sua eroica esistenza. Col del Tocco - Passo Broccone - Comune di Castel Tesino (Trento), 19 febbraio 1945. Di modesta famiglia di contadini e di casari, alla dichiarazione dell’armistizio, seguendo l’esempio del fratello maggiore, raggiunse sulle montagne del Trentino una formazione partigiana del Gruppo Brigate “Gramsci” e precisamente il btg. “G. Gherlenda” della Brig. “E. De Bortoli”. Fu fucilata in località Coazzo, appena diciottenne. Menguzzato Clorinda, n. 1924 Castel Tesino (Trento). Partigiana combattente. Valorosa donna trentina, fu audace staffetta, preziosa informatrice, eroica combattente, infermiera amorosa. Catturata dai tedeschi oppressori, sottoposta ad atroci sevizie, violentata dalla soldataglia, lacerate le carni da cani inferociti, con sublime fierezza opponeva il silenzio alle torture più strazianti, e nell'ultimo anelito gridava agli aguzzini: « Quando non potrò più sopportare le vostre torture mi mozzerò la lingua con i denti per non parlare ». La brutalità teutone poté violarne il corpo, ma non piegarne l'anima ardente e l'invitto coraggio. La leonessa dei partigiani rimane fulgido esempio delle più nobili tradizioni di eroismo e di fede delle donne italiane. Castel Tesino, 10 ottobre 1944. Appartenente a modesta famiglia di contadini, esercitava il mestiere di venditrice ambulante. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, fu testimone un giorno, nella stazione di Trento, della triste scena presentata da un convoglio ferroviario carico di soldati italiani diretti ai campi di concentramento in Germania. Impressionata dalle umiliazioni inflitte ai nostri soldati, non esitò a scegliere quella strada che doveva poi costarle la vita a soli 19 anni. Raggiunte in montagna le prime formazioni partigiane, cui si aggregò in seguito anche il fratello, fu coraggiosa staffetta nel btg. “Gherlenda” della Div. “Gramsci”, nota come la “Garibaldina Veglia”. Pratelli Parenti Norma, n. 1921 Massa Marittima (Grosseto). Partigiana combattente. Giovane sposa e madre, fra le stragi e le persecuzioni, mentre nel litorale maremmano infieriva la rabbia tedesca e fascista, non accordò riposo al suo corpo né piegò la sua volontà di soccorritrice, di animatrice, dì combattente e di martire. Diede alle vittime la sepoltura vietata, provvide ospitalità ai fuggiaschi, libertà e salvezza ai prigionieri, munizioni e viveri ai partigiani e nei giorni del terrore, quando la paura chiudeva tutte le porte e faceva deserte le strade, con lo esempio di una intrepida pietà donò coraggio ai timorosi e accrebbe la fiducia ai forti. Nella notte del 22 giugno, tratta fuori dalla sua casa, martoriata dalla feroce bestialità dei suoi carnefici, spirò, sublime offerta alla Patria, l’anima generosa. Massa Marittima, giugno 1944. Ispirata da sentimenti cristiani, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, seguendo l’esempio del marito, partecipò alla lotta clandestina di resistenza con l’entusiasmo dei suoi giovani anni. Militò nel rgpt. “Amiata” della III Brig. “Garibaldi” operante nella zona di Massa Marittima. Nella piccola trattoria gestita dalla madre ebbe occasione di avvicinare ed indurre a disertare, per raggiungere le formazioni partigiane, numerosi prigionieri di nazionalità straniera al seguito delle truppe tedesche. Tradita da uno di questi, un mongolo emissario del nemico, la sera del 22 giugno 1944, quando già le unità germaniche erano in ritirata, fu arrestata in casa insieme con la madre. La mattina successiva fu rinvenuto il suo corpo straziato dalle fucilate. Rosani Rita, n. 1920 Trieste. Partigiana combattente. Perseguitata politica, entrava a far parte di una banda armata partigiana vivendo la dura vita di combattente. Fu compagna, sorella, animatrice di indomito valore e di ardente fede. Mai arretrò innanzi al sicuro pericolo ed alle sofferenze della rude esistenza, pur di portare a compimento le delicate e rischiosissime missioni a lei affidate. Circondata la sua banda da preponderanti forze nazifasciste, impugnava le armi e, ultima a ritirarsi, combatteva strenuamente finché cadeva da valorosa sul campo, immolando alla Patria la sua giovane ed eroica esistenza. Monte Comune, 17 settembre 1944. Di origine cecoslovacca, insegnante nella scuola elementare ebraica a Trieste, per sfuggire alle persecuzioni razziali, fu costretta ad abbandonare la città dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Rifugiatasi a Portogruaro, partecipò attivamente alla lotta clandestina di resistenza, quindi, nel febbraio 1944, si portò a Verona dove costituì, insieme a pochi altri, la formazione “Aquila” della Brig. “Pasubio”. Combatte in Valpolicella e nella zona di Zevio fino al giorno del suo cosciente sacrificio. Per il suo virile comportamento fu assunta dalla comunità ebraica quale simbolo della virtù e della forza d’animo del popolo d’Israele. Rossi Modesta in Polletti, n. 1914 Bucine (Arezzo). Partigiana combattente. Seguiva il marito nelle impervie montagne dell’Appennino Tosco-emiliano e con lui divideva i rischi, i pericoli e i disagi della vita partigiana, animata e sorretta dalla fede e dall’amore per la Patria. Incaricata di umili mansioni assistenziali, chiedeva ed otteneva di prendere parte attiva alla lotta rifulgendo con le armi in pugno per coraggio e sprezzo del pericolo. Arrestata dai tedeschi resisteva eroicamente a torture e lusinghe e, senza proferire parola che potesse essere rivelazione, affrontava il plotone di esecuzione che spietatamente stroncò, insieme alla sua, l’esistenza di un figlioletto di appena un anno che, quale giovane virgulto, era avvinto al seno materno. Zona di Solaia (Arezzo), 11 settembre 1943 - 29 giugno 1944. Appartenente a numerosa famiglia di modestissimi agricoltori, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, per quanto giovane madre, volle seguire il marito impegnato nella lotta clandestina di resistenza sulle montagne dell’Aretino. Tonelli Ve(i)rginia, n. 1903 Castelnuovo del Friuli (Pordenone). Partigiana combattente. Partigiana animata da profonda fede e dotata di elevate doti intellettive ed organizzative, svolgeva a lungo importanti rischiosi incarichi di collegamento fra varie formazioni partigiane e gli organi direzionali del movimento di resistenza del Veneto e della Lombardia. Ricercata attivamente, veniva catturata a Trieste e sottoposta per venti giorni ad atroci, inumane sevizie allo scopo di conoscere le preziose notizie in suo possesso. Vista l'impossibilità, grazie all'eroico spirito di sacrificio della martire, di trarre le informazioni richieste, gli aguzzini, esasperati, la bruciavano viva. Sublime esempio di cosciente sacrificio in nome della libertà della Patria. Trieste, 29 settembre 1944. Appartenente a famiglia numerosa di lavoratori, frequentò la Scuola per Infermiere. Donna coraggiosa e dotata di alto spirito di sacrificio, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 entrò a far parte del Movimento di Resistenza disimpegnando con abilità e audacia le più difficili missioni. Il 17 settembre 1944, incaricata dal Capo della Delegazione Provinciale del Comando Generale Brigate “Garibaldi” di Udine di una nuova importante missione, partì per Trieste, in treno, ove appena giunta fu arrestata dalla polizia tedesca. Vassalle Vera, n. 1920 Viareggio (Lucca). Partigiana combattente. Ventiquattrenne, di eccezionali doti di mente, d'animo e di carattere, all'atto dell'armistizio, incurante di ogni pericolo, attraversava le linee tedesche e si presentava ad un comando alleato per essere impiegata contro il nemico. Seguito un breve corso d'istruzione presso un ufficio informazioni alleato, volontariamente si faceva sbarcare da un Mas italiano, in territorio occupato dai tedeschi. Con altro compagno R. T. portava con sé una radio e carte topografiche, organizzava e faceva funzionare un servizio di collegamento fra tutti i gruppi di patrioti dislocati nell'appennino toscano, trasmettendo più di 300 messaggi, dando con precisione importanti informazioni di carattere militare. La sua intelligenza e coraggiosa attività rendeva possibile sessantacinque lanci da aerei a patrioti. Sorpresa dalle SS tedesche mentre trasmetteva messaggi radio riusciva a fuggire portando con sé codici e documenti segreti e riprendeva la coraggiosa azione clandestina. Pochi giorni prima dell'arrivo degli alleati passava nuovamente le linee tedesche portando preziose notizie sul nemico e sui campi minati. Animata da elevati sentimenti, dimostrava in ogni circostanza spiccato sprezzo del pericolo. Degna rappresentante delle nobili virtù delle donne italiane. Italia occupata, settembre 1943 - luglio 1944. Diplomatasi nell'Istituto magistrale di Pisa ed abilitata all'insegnamento, era impiegata presso la Cassa di Risparmio di Lucca. Dopo l'8 settembre 1943, in seguito alla dichiarazione dell'armistizio, aderendo alla proposta del cognato Manfredo Bertini, decorato poi di M.O. al V.M. alla memoria, di collaborare con gli anglo-americani, abbandonò impiego e famiglia. Raggiunta Montella dopo avventuroso viaggio attraverso le linee nemiche fu messa a disposizione dell'”Office of Strategic Service” (Ufficio Informazioni della 5ª Armata alleata) e incaricata di svolgere azione informativa e di collegamento con le formazioni partigiane in territorio occupato dai tedeschi. Dopo aver frequentato a Taranto un apposito corso di addestramento, il 18 gennaio 1944, munita di una radiotrasmittente, partiva da Bastia in Corsica con una motosilurante sbarcando qualche ora dopo nei pressi di Orbetello. Raggiunta Viareggio e presi contatti con esponenti del C.L.N. di Firenze, si prodigò in azioni di sabotaggio e d'informazione, facilitando aviolanci di armi alle formazioni partigiane. Individuata il 2 luglio dai tedeschi la stazione trasmittente, riuscì col radiotelegrafista che l'accompagnava a sfuggire alla cattura. Si aggregò alla formazione partigiana “Marcello Garosi” ed ottenuta altra radio operò fino alla liberazione di Lucca, passando poi a Siena. Nominata insegnante elementare, risiedeva a Cavi di Lavagna (Genova) dove è deceduta nel novembre 1985. Versari Iris, n. 1922 Portico S. Benedetto (Forlì). Partigiana combattente. Giovane di modeste origini, poco più che ventenne, fedele alle tradizioni delle coraggiose genti di Romagna, non esitò a scegliere il suo posto di rischio e di sacrificio per opporsi alla tracotante oppressione dell'invasore, unendosi ad una combattiva formazione autonoma partigiana locale. Ardimentosa ed intrepida prese parte attiva a numerose azioni di guerriglia distinguendosi come trascinatrice e valida combattente. Durante l'ultimo combattimento, circondata con altri partigiani in una casa colonica isolata, ferita ed impossibilitata a muoversi, esortò ed indusse i compagni a rompere l'accerchiamento e, impegnando gli avversari con intenso e nutrito fuoco, agevolò la loro sortita. Dopo aver abbattuto l'ufficiale nemico che per primo entrò nella casa colonica, consapevole della sorte che l'attendeva cadendo viva nelle mani del crudele nemico, si diede la morte. Immolava così la sua giovane vita a quegli ideali che aveva nutrito iella sua breve ma gloriosa esistenza. Terra di Romagna, 9 settembre 1943 - 18 agosto 1944. Nata da famiglia di modesti contadini, frequentò le scuole elementari. Dopo la dichiarazione dell’armistizio dell’8 settembre 1943, entrò a far parte della formazione partigiana “Battaglione Corbari” e si distinse nella rischiosa attività di portaordini per assicurare i collegamenti fra i nuclei partigiani operanti sui monti della Romagna. Arrestata dai tedeschi riuscì a fuggire ma, per rappresaglia, i suoi genitori furono presi e deportati in Germania e del padre non ebbe più notizie. Durante un combattimento fu gravemente ferita alle gambe e per non cadere nuovamente in mani tedesche preferì darsi la morte. MEDAGLIE D’ARGENTO AL VALOR MILITARE ALLE DONNE PARTIGIANE CHIARINI SCAPPINI RINA (Operaia) Nata ad Empoli (Firenze) il 16 dicembre 1909, morta a Empoli il 20 ottobre 1995. A 11 anni aveva dovuto smettere di frequentare la scuola, per contribuire, dopo l’arresto del padre antifascista, alle necessità della sua famiglia. Era poi stata assunta, come operaia, in una vetreria e già qui aveva preso a collaborare col "Soccorso Rosso". Nel 1926 la giovane si era iscritta al Partito comunista clandestino. Nell’aprile del 1943, quando Remo Scappini uscì dal carcere, Rina poté sposarlo. I coniugi si spostarono a Milano e qui Rina visse i rischi della lotta clandestina, come anche quando andarono a Genova, dove la donna fu valida collaboratrice (con il nome di battaglia di "Clara"), del Comando regionale delle Brigate Garibaldi. Il 6 luglio del 1944, Rina cadde nelle mani della polizia fascista. Portata nella famigerata Casa dello studente di Genova, la donna fu sottoposta a pesanti interrogatori e sevizie, nonostante fosse in avanzato stato di gravidanza. Perse dolorosamente il suo bambino, ma non si lasciò sfuggire la minima ammissione. Il Tribunale militare fascista il 29 luglio del 1944 la condannò alla pena capitale insieme ad altri cinque coimputati. La donna si salvò, ma di lì a poco fu di nuovo condotta, con altri trenta patrioti genovesi, davanti ai giudici, che la condannarono a 24 anni di reclusione. Tradotta nel lager di Bolzano, nel marzo del 1945 riuscì ad evadere con una compagna di prigionia. Raggiunse fortunosamente Milano e di qui, la sera del 26 aprile, raggiunse Genova, dove le truppe tedesche si erano arrese. Rina si è sempre impegnata per la pace e la giustizia sociale. Oltre che della Medaglia d’argento al valor militare, "Clara" è stata decorata della Stella d’oro al valore partigiano, conferitale dal Comando generale delle Brigate Garibaldi. LUSSU JOYCE (Intellettuale) (SALVADORI GIOCONDA) Nata a Firenze l’8 maggio 1912, morta a Roma il 4 novembre 1998 Joyce Lussu nacque come Gioconda Salvadori da genitori marchigiani, entrambi con ascendenze inglesi. Il padre Guglielmo, docente universitario e primo traduttore del filosofo Herbert Spencer, malmenato e più volte minacciato dalle camicie nere, fu costretto all’esilio. Si trasferì in Svizzera nel 1924 con la moglie Giacinta e i tre figli. Joyce visse così all’estero gli anni dell’adolescenza, in collegi ed ambienti cosmopoliti, maturando un’educazione non formale. Con i fratelli, comunque, continuò gli studi conseguendo la licenza di Liceo Classico con esami da privatista nelle Marche, tra Macerata e Fermo. Studiò filosofia a Heidelberg e si laureò prima in lettere alla Sorbona, poi in filologia a Lisbona. Dal 1933 al ’38, intraprese rischiosi viaggi in Africa e compose le sue prime poesie, apprezzate anche da Benedetto Croce. Insieme al fratello Max, Joyce entrò a far parte del movimento "Giustizia e Libertà" e nel 1938 incontrò Emilio Lussu - mister Mill – con cui si sposò e con lui visse la drammatica e spericolata vicenda della clandestinità, nella lotta antifascista. La Francia occupata dai nazisti, la Spagna, il Portogallo, la Svizzera, l’Inghilterra, furono il teatro di rischiose missioni come staffetta partigiana, passaggi oltre confine, falsificazioni di documenti, corsi di guerriglia. Raggiunse, in questa militanza nelle formazioni di G.L., il grado di Capitano. Il suo impegno intellettuale e politico continuò dal dopoguerra fino agli ultimi anni della sua vita, occupandosi dei diritti civili delle culture più emarginate. Cercò di diffondere, soprattutto tra i giovani, la memoria storica, base della consapevolezza e responsabilità morale. Ha lasciato oltre 20 opere scritte sui temi che più l’hanno coinvolta e interessata. MUSU MARISA (Giornalista) Nata a Roma il 18 aprile 1925, morta a Roma il 3 novembre 2002. All’inizio del 1942 la liceale del "Mamiani" era entrata nell’organizzazione clandestina del PCI, insieme alla sua compagna Adele Maria Jemolo. L’anno dopo, a settembre, Marisa era stata tra i protagonisti della battaglia per la difesa di Roma. Con l’occupazione nazista iniziò la sua attività nella Resistenza. Con il nome di "Rosa" era entrata nella formazione dei GAP, guidata da Franco Calamandrei. Tra le tante azioni portate a termine da questo gruppo ci fu l’attacco del 23 marzo del ’44 ad una colonna di nazisti in via Rasella, durante il quale "Rosa" ebbe il compito di assistente armata degli altri partigiani. Trascorse due settimane, dopo altre azioni portate a termine, "Rosa" ed altri gappisti caddero nelle mani della polizia. Per loro fortuna, ad arrestarli furono dei commissari che erano in contatto col CLN. Facendoli passare per comuni rapinatori, i due funzionari fecero rinchiudere gli uomini e la ragazza nel carcere giudiziario. La ragazza, che era già stata condannata a morte dal Tribunale di guerra nazista, riuscì, prima che la sua vera identità fosse scoperta, a farsi trasferire, fingendosi malata, all’Ospedale San Camillo. Di qui evase grazie all’aiuto di alcuni medici antifascisti. Dopo la Liberazione Musu ha lavorato nel partito comunista italiano. Si è occupata di problemi della scuola ed è stata giornalista. TERRADURA WALKIRIA Nata a Gubbio, dopo ripetuti tentativi, da parte dell’OVRA, di arrestare il padre avvocato, Walkiria si ritrovò con lui in fuga nella zona tra i monti del Burano. In questa zona tra gli Appennini dell’alta Umbria e delle Marche si costituirono molte bande di partigiani. Il padre di Walkiria si unì insieme a Samuele Panichi, formando una banda insieme ad altri fuggitivi. Di questo nucleo di partigiani Panichi divenne comandante (e la banda prese il suo nome) ed il padre divenne commissario politico. Ben presto si aggiunsero altri elementi ed altre donne, tra cui la sorella Lionella, liberata dal carcere di Perugia. Walkiria, si addestrò alle armi e cominciò a combattere. L’attività non conobbe tregua: sabotaggi, incursioni, combattimenti, turni di guardia, raccolta di informazioni e soprattutto dover vincere il pregiudizio e la discriminazione da parte degli altri partigiani per essere una giovane donna combattente. Successivamente la banda confluì nel 5° Brigata Garibaldi “Pesaro”, che contava 5 battaglioni. Walkiria venne assegnata al 5°. Quando il distaccamento divenne numeroso, fu necessario creare delle squadre e Walkiria divenne la capo squadra (a 18 anni) della sua. Questa fu chiamata “il Settebello”. Un giorno, ad Apecchio, attaccò ed annientò, con un altro partigiano, un convoglio militare tedesco di passaggio. Quest’azione le valse la decorazione con la medaglia d’argento al valor militare. L’IMPEGNO E LA LOTTA BREVE ELENCO DI DONNE CHE SI SONO DISTINTE NELLA RESISTENZA ABBA’ GIUSTINA Nata a Rovigno (Istria) nel 1903. Morta a Rovigno il 24 settembre 1974, operaia. Occupata alla Manifattura Tabacchi di Rovigno, nel 1942 la Abbà, che proprio quell’anno si era iscritta al Partito comunista clandestino, organizzò con altre sue compagne di lavoro un riuscito sciopero "contro la fame e la guerra". La Milizia fascista e i carabinieri intervennero, repressero la manifestazione ed arrestarono Giustina e le compagne che più si erano esposte. Rilasciata, la tabacchina fu presto tra i fondatori del Movimento popolare di liberazione di Rovigno. Giustina Abbà fu anche la prima donna italiana ad entrare nel movimento partigiano dell’Istria, a fianco del padre e del figlio. ALESSI MARIA LUISA Nata a Falicetto (Cuneo) il 17 maggio 1911, impiegata. Nella Resistenza cuneese la conoscevano come Marialuisa. Il suo nome completo si apprese soltanto il 26 novembre del 1944, quando i fascisti la fucilarono sul piazzale della stazione di Cuneo insieme ai partigiani Pietro Fantone, Ettore Garelli, Rocco Repice e Antonio Tramontano. Maria Luisa Alessi, l’impiegata, era diventata un’antifascista attiva sin dal 1935, quando si era iscritta al Partito comunista. Dall’8 settembre 1943 divenne un’animatrice della Resistenza. Fu staffetta partigiana della 181a Brigata "Morbiducci" operante in Val Varaita, dove assolse numerose e pericolose missioni. L’8 settembre del 1944, forse per una soffiata, fu catturata dai brigatisti neri della "Lidònnici". Condannata a morte, fu fucilata circa tre mesi dopo. ALLASON BARBARA Nata a Pecetto (Torino) il 12 ottobre 1877. Deceduta a Torino il 20 agosto 1968, scrittrice e critica letteraria. Dopo aver iniziato gli studi universitari a Napoli ed averli conclusi a Torino, con una laurea in letteratura tedesca, la Allason prese, attraverso Piero Gobetti, i primi contatti con l’antifascismo torinese. Nel 1929, avendo espresso con una lettera la sua solidarietà a Benedetto Croce, che aveva parlato al Senato contro i Patti Lateranensi, fu allontanata dall’insegnamento. Entrate in vigore le leggi eccezionali fasciste, partecipò all’attività clandestina del gruppo torinese di "Giustizia e Libertà" e, tra il 1930 e il 1934. In quel periodo assolse anche delicati incarichi cospirativi, tra i quali il collegamento tra le organizzazioni antifasciste di Torino e Milano e il tentativo, fallito, di far evadere Ernesto Rossi dal carcere. Nel 1934, in occasione del processo a Leone Ginzburg e Sion Segre fu arrestata dalla polizia e incarcerata per alcuni mesi. Negli anni del fascismo trionfante non venne mai meno il suo impegno contro il regime. ALTOBELLI ARGENTINA Nata ad Imola nel 1866. Morta nel 1942. Nacque, mentre il padre combatteva per l’unità d’Italia. Affidata a degli zii paterni crebbe con l’ideale della libertà alimentato da un’ininterrotta lettura dei testi che formarono la sua, non comune per l’epoca, passione politica. Argentina fu l’espressione compiuta del movimento d’emancipazione femminile che si confrontava con le disperanti esistenze delle mondariso, delle braccianti, delle contadine. Mazziniana, aderì successivamente al socialismo, grazie agli scritti di Andrea Costa. Amica di Anna Kuliscioff e Rosa Luxemburg, viaggiò per tutta l’Italia del centro nord per organizzare conferenze e tenere comizi nella stagione delle lotte contadine. Il matrimonio con Abdon Altobelli nel 1899 e due figli non interferirono nella sua luminosa opera di elevazione delle masse rurali e delle donne in particolare. Frutto del suo lavoro fu il rinnovo del patto agrario imposto a Val Cornia e preso a modello per il contratto nazionale. Nel 1900 venne eletta segretaria nazionale della Federterra e nel 1912 fu chiamata a far parte del Consiglio Superiore del Lavoro. Antifascista, dopo l’avvento del regime s’impiegò presso l’Istituto di previdenza sociale e, dal suo posto di lavoro, continuò a diffondere la sua fede socialista e ad alimentare la resistenza al regime. ANSELMI TINA Nata a Castelfranco Veneto nel 1927, insegnante La guerra partigiana determinò le scelte successive della Anselmi. Tina Anselmi, infatti, decise da che parte schierarsi quando, giovanissima, vide un gruppo di giovani partigiani portati al martirio dai fascisti. Divenne così staffetta della brigata autonoma "G. Battisti" e del Comando regionale del Corpo volontari della libertà. Nel 1944 si iscrisse alla DC e - non si era ancora laureata in lettere - partecipò attivamente alla vita del suo partito. Nel dopoguerra Tina Anselmi fu dirigente sindacale, vice presidente dell’Unione europea femminile. Parlamentare, fece parte di Commissioni, presiedette per due volte la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia P2, fu tre volte ministro e tre volte sottosegretaria. ARATA MARIA Nata a Massa Carrara il 14 dicembre 1912. Deceduta a Milano il 12 febbraio 1975, insegnante. Nel 1926 suo padre, Emilio, che era segretario generale della provincia di Massa e Carrara, fu obbligato, perché socialista, a rinunciare all’incarico. Si trasferì così con la famiglia a Milano, dove Maria si laureò e divenne assistente di Botanica all’Università. La giovane insegnante passò poi al Liceo “Carducci”, con l’incarico di professoressa di Scienze naturali. Fu in questo ambiente che Maria Arata entrò in un gruppo antifascista clandestino, del quale facevano parte studenti ed insegnanti. Dopo l’8 settembre 1943, Maria si dedicò alla diffusione di stampa clandestina, alla raccolta di fondi per sostenere le formazioni partigiane operanti nel Milanese, al procacciamento di documenti falsi per ebrei e per renitenti alla leva della RSI. Il 4 luglio del 1944, la professoressa fu arrestata dalla GNR e dopo un primo interrogatorio, fu rinchiusa nel carcere di San Vittore e poi passata nel “braccio” gestito direttamente dai tedeschi. Dopo due mesi la deportazione, prima nel campo di Bolzano e poi, in Germania, nel lager di Ravensbrück. Riuscita a sopravvivere, la Arata fu liberata il 30 aprile del 1945 dalle truppe sovietiche. Nell’agosto dello stesso anno il ritornò in patria. BERTANI BICE Nata a Reggio Emilia il 17 giugno 1921. Muore il 22 aprile del 2000. Partecipò attivamente alla Resistenza reggiana dal 10 luglio 1944 al 25 aprile 1945, con il nome di battaglia “Romilda”. Era inquadrata nella 77a Brigata SAP “Fratelli Manfredi”. Il lavoro di staffetta che le era stato affidato dalle formazioni SAP, consisteva nel portare ogni giorno i rapporti dei partigiani delle zone di S. Prospero, Mancasale, Pratofontana, Cavazzoli Nord al CNL di Sesso. Dopo l’eccidio a Villa Sesso le fu assegnato l’incarico di scrivere a macchina, in una casa di latitanza, il materiale per il Fronte della Gioventù. BRAMBILLA PESCE ONORINA Nata a Milano il 27 agosto 1923, impiegata. Gia tra il marzo 1943 ed il 1944, nel pieno della guerra, aveva contribuito all’organizzazione degli scioperi realizzati a Milano. Era il 12 settembre 1944, quando “Sandra” - una delle dirigenti milanesi dei “Gruppi di difesa della donna” - (questo il suo nome di battaglia) cadde nelle mani dei fascisti repubblichini. Per due mesi fu sottoposta a pesanti interrogatori in quella che era, allora, la “Casa del Balilla” di Monza, ma la ragazza non si lasciò sfuggire nulla di compromettente. L’11 di novembre “Sandra” fu prelevata dalla cella nella quale fu tenuta in isolamento e fatta salire su un autobus che la portò due giorni dopo al campo di concentramento di Bolzano-Gries. Nel campo, Onorina Brambilla (numero di matricola 6087), restò sino alla liberazione, avvenuta il 29 aprile del 1945. BUCARELLI TOSCA Nata a Firenze il 4 ottobre 1922. Morta a Firenze il 14 gennaio 2000. Era giovanissima, quando entrò a far parte dei Gruppi d’Azione Patriottica, ma si fece subito apprezzare per il suo coraggio. Fu scelta, quando i GAP decisero di compiere un attentato nel pieno centro di Firenze. Obiettivo era il bar "Paskowsky", ritrovo abituale dei comandanti tedeschi e dei caporioni fascisti. La ragazza quel giorno (era l’8 di febbraio del ‘44) era in compagnia di un gappista sperimentato (Antonio Ignesti). L’ attentato non riuscì e, mentre nel parapiglia, il ragazzo riuscì a fuggire la sua compagna restò nelle mani dei fascisti. La destinazione è, per "Toschina", "Villa Triste", base della "banda Carità". I fascisti la interrogarono, la picchiarono, la torturarono, le procurarono gravi lesioni, per le quali soffrì tutta la vita, ma la ragazza non parlò. Fu trasferita al carcere di Santa Verdiana. Mesi in snervante attesa dell’esecuzione o della deportazione. Poi, il colpo di mano dei GAP, che liberarono la "Toschina" e altre sedici antifasciste detenute. BUFFULINI ADA Nata a Trieste il 28 settembre 1912. Deceduta a Milano il 3 luglio 1991, medico radiologo. Cresciuta in una famiglia della borghesia irredentista triestina, Ada Buffulini fu una delle poche donne italiane, della sua generazione, laureate in Medicina. A Milano (dove, negli anni 30, si era trasferita per frequentarvi l’Università) venne in contatto con il movimento antifascista. Proprio mentre preparava la specializzazione, Ada conobbe Lelio Basso, segretario del Partito socialista e, quando fu annunciato l’armistizio, il suo impegno antifascista si fece totale. Progettò e organizzò un giornale socialista rivolto alle donne, “La Compagna”, che uscì per la prima volta nel luglio 1944, proprio all’indomani dell’arresto di Ada. La Buffulini rimane due mesi in una cella di San Vittore senza che, nei quotidiani interrogatori, i nazifascisti riuscissero a strapparle qualche utile informazione. Due mesi dopo, il trasferimento in autobus al “campo di transito” di Bolzano. Lei fu impiegata come medico, nell’infermeria del campo e ciò le consentì, oltre che a curare i malati, di organizzare un Comitato clandestino di resistenza, che provvide ad assistere i prigionieri ed a mantenere i contatti con le loro famiglie. Quando le SS sospettarono che Ada nel campo non si limitasse a fare il medico, la rinchiusero nelle “Celle”, dove fu trattenuta dalla metà di febbraio del 1945, sino alla fine della guerra. Per tre settimane restò a Bolzano, per soccorrere i malati rimasti nell’infermeria del campo, ma anche per contribuire all’organizzazione del Partito socialista nella città. Poi tornò a Milano. CABASSA ENRICHETTA Nata a Parma nel 1916. Morta a Palanzano (Parma) l’8 marzo 1945, sarta. Lavorò in una sartoria di Parma, in borgo del Carbone, che il titolare, Giovanni Cordani, trasformò in un centro di smistamento della stampa antifascista. La donna, che ebbe il marito disperso in guerra, decise di impegnarsi nella Resistenza, anche per contribuire alla conclusione del conflitto. Le fu così affidato il compito di staffetta, diventando punto di riferimento del Comando NordEmilia per mantenere i collegamenti con le varie formazioni partigiane. Quando i sospetti dei fascisti finirono per appuntarsi sulla Cabassa, la giovane sarta fu mandata in montagna ed inquadrata nella 143a Brigata Garibaldi "Aldo". "Silvia", così fu conosciuta nella Resistenza, si trovò a Palanzano, nei locali della Banca di risparmio di Parma, occupati dal Comando di raggruppamento, quando fu investita dallo scoppio accidentale di una bomba, morendo. CEVA BIANCA Nata a Pavia nel 1897. Deceduta a Milano nel 1982, insegnante e letterata. Sin dal 1930, nello stesso anno in cui morì in carcere il fratello minore Umberto, Bianca Ceva fu in contatto con esponenti dell’opposizione democratica al fascismo, da Benedetto Croce a Ferruccio Parri. Per le sue idee fu allontanata dall’insegnamento nel 1931 e poté tornare a scuola soltanto con la caduta di Mussolini. Pochi mesi dopo Bianca entrò subito nella Resistenza, militando nel Partito d’Azione. Nel dicembre del 1943 la professoressa fu arrestata e nell’agosto del 1944 comparve davanti al Tribunale militare di Milano, che la rinviò al Tribunale Speciale. Ma i giudici fascisti non riuscirono a condannarla. Bianca, infatti, nell’ottobre evase dal carcere e si unì ai partigiani dell’Oltrepo Pavese, collaborando alla lotta armata. CHERCHI ANNA Nata a Torino il 15 gennaio 1924,. Deceduta a Torino il 7 gennaio 2006. Già il 7 gennaio del 1944 i tedeschi, assistiti dai fascisti di Salò, avevano bruciato la casa dei Cherchi, che facevano i contadini nelle Langhe. Anna riuscì a fuggire e cominciò la sua lotta come partigiana combattente sino a che il 19 marzo 1944, la ragazza, durante un rastrellamento tra Carrù e Dogliani, fu catturata dai tedeschi. Una notte in una prigione improvvisata, poi, in treno, il trasferimento a Torino. Per un mese Anna Cherchi fece la spola tra l’albergo Nazionale, base delle SS, e le carceri Nuove. Per un mese, ogni giorno, fu torturata, ma nemmeno con le scariche elettriche l’ufficiale nazista che la interrogava riuscì a farla parlare. Poi il trasferimento, in carro bestiame, da Torino al lager di Ravensbrück, l’immatricolazione con il numero 44.145, i patimenti, le sevizie (i nazisti, nel gennaio del 1945, dopo averla portata per la bisogna nel lager di Sachsenhausen, le estrassero, senza anestesia, ben quindici denti sani), il lavoro coatto. Il trasferimento nel sottocampo di Berlin-Schonefeld con nuova immatricolazione (numero 1.721) e nuovi patimenti, sino alla liberazione da parte dell’Armata Rossa il 28 aprile 1945. Nell’estate del 1945, riuscì a rientrare in Italia, dopo una lunga, estenuante marcia, quasi sempre a piedi, da Ravensbrück a Bolzano. DE GIOVANNI EDERA FRANCESCA Nata a Monterenzio (Bologna) nel 1924. Fucilata a Bologna il 1° aprile 1944, domestica. Edera crebbe in una famiglia di antifascisti ed antifascista rimase, anche quando andò a servizio presso una facoltosa famiglia bolognese. Con il fascismo ancora imperante, non aveva esitato a polemizzare pubblicamente con un gerarca del suo paese di origine; ciò le valse venti giorni di carcere. Caduto Mussolini, prima ancora che la Resistenza si organizzasse, con altri giovani di Monterenzio impose alle autorità del paese che il grano ammassato nei depositi fosse distribuito alla popolazione. Dopo poco tempo, Edera divenne un’attiva organizzatrice dei gruppi di partigiani che, su suo impulso, avrebbero costituito la 36a Brigata Garibaldi. Il 30 marzo del 1944, durante un’azione di prelevamento di armi effettuata nel centro di Bologna con altri partigiani, Edera fu catturata dalla polizia che fu avvertita da un delatore. Torturata per un giorno intero, la ragazza non si lasciò sfuggire la più piccola informazione e all’alba del 1° aprile fu fucilata contro il muro di cinta del Cimitero in via della Certosa. Prima che i suoi carnefici sparassero, Edera gridò: "Tremate. Anche una ragazza vi fa paura!". D’ESTE IDA Nata a Venezia il 10 febbraio 1917. Morta a Venezia il 9 agosto 1976, insegnante. Laureatasi a Ca’ Foscari nel 1941, Ida D’Este insegnò regolarmente francese sino al 1943, anno in cui incontrò Giovanni Ponti che, dopo l’armistizio, era diventato un autorevole membro del CLN veneziano e, in quanto tale, introdusse Ida prima nella Resistenza e poi in politica. Alla giovane venne affidato il compito di fare la "staffetta" tra i comitati provinciali di Venezia, Padova, Vicenza e Rovigo e di mantenere i collegamenti tra Ponti e Alessandro Cancan. Nel gennaio del 1945, la staffetta partigiana cadde nelle mani della polizia. Arrestata con altri membri del CLN, Ida fu detenuta e torturata dalla banda Carità a Palazzo Giusti a Padova. Fu, quindi, deportata a Campo Tures, presso Bolzano. La Liberazione evitò alla giovane il trasferimento in Germania. Nel dopoguerra Ida D’Este, organizzò nella regione il movimento femminile della Democrazia cristiana DRADI BRUNA Nata ad Alfonsine (Ravenna) il 13 luglio 1927, partigiana. Fu la prima donna ad aver riconosciuto il grado di sergente dell’Esercito italiano. Seguendo gli insegnamenti del padre partecipò, a soli diciassette anni, alla Resistenza nel Ravennate, militando nella Brigata “A. Tarroni”. La Dradi si trasferì, poi, a Potenza e dal 1950 risiede in Basilicata, dove si è sempre impegnata sui temi del lavoro e della condizione femminile. FIBBI GIULIETTA LINA Nata a Fiesole (Firenze) il 4 agosto 1920, operaia tessile, dirigente sindacale e politica. La sua famiglia dovette lasciare Fiesole ed emigrare in Francia per sottrarsi (era il 1923), alle persecuzioni e alle violenze fasciste. Operaia tessile a Lione, la Fibbi aveva soltanto 15 anni quando decise di iscriversi alla Federazione giovanile comunista francese e a 17 anni fu dirigente dell’Unione delle ragazze francesi nella regione del Rodano. All’inizio della seconda guerra mondiale Lina fu arrestata dalla polizia francese e internata nel campo di Rieucros. Nel 1941 Fibbi, su indicazione del PCI, chiese di essere rimpatriata. La richiesta fu accolta, ma appena Lina arrivò a Ventimiglia fu arrestata dalla polizia italiana: sei mesi di carcere a Firenze, poi, in assenza di prove a suo carico, il provvedimento di due anni d’ammonizione e la sorveglianza speciale. Con la caduta del fascismo, fu chiamata ad operare nel servizio clandestino della direzione del PCI dell’Interno. Quando a Milano si costituì il Comando generale delle brigate Garibaldi entrò a farne parte e cominciò il lavoro di organizzazione dei Gruppi di difesa della donna, ma prevalentemente si occupò dei collegamenti e di delicate missioni per conto del Comando delle Garibaldi. Dopo la liberazione, la Fibbi assolse svariati compiti di direzione politica e sindacale. FILIPPINI-LERA ANNA ENRICA Nata a Roma il 27 luglio del 1914. Entrò in contatto con gli ambienti antifascisti nella seconda metà degli anni Trenta. Nel '37-'38 s'impegnò nella raccolta di fondi per le Brigate in Spagna. Nel '40 s'iscrisse all'Università di Roma, alla facoltà di scienze biologiche. Alla fine del '42 collaborò alla redazione e alla diffusione del giornale clandestino comunista "Pugno chiuso". Dopo l'8 settembre del '43, entrò nel comitato studentesco di agitazione, distribuendo volantini e svolgendo attività di propaganda, e successivamente aderì alla cellula del PCI di Piazza Vittorio, diventando responsabile del lavoro femminile del VI Settore. Fu arrestata il 14 febbraio del '44 dalla Gestapo, dietro denuncia, nella sua abitazione. Interrogata a via Tasso, fu poi rinchiusa nelle carceri di Regina Coeli, nel terzo braccio tedesco. Il 23 marzo del '44 fu processata dal Tribunale militare tedesco e condannata a tre anni di carcere duro, da scontare in Germania. Il 24 aprile del '44 fu portata a Firenze su un camion e lì caricata su un carro bestiame. Raggiunse Monaco il 1° maggio e fu detenuta nel carcere di Stadelheim. Da Monaco fu trasferita per un giorno a Dachau, ma riportata a Monaco perché "non ebrea" e perché "regolarmente processata e condannata da un Tribunale militare tedesco". Infine il 29 maggio fu destinata al carcere femminile di Aichach (Alta Baviera), dove si trovò tra prigioniere politiche provenienti da ogni parte d'Europa, e anche tra detenute per reati comuni. Fu liberata dalle truppe americane il 5 maggio del '45. Rientrò in Italia il 2 giugno. FISCHLI DREHER ELENA Nata a Milano il 28 giugno 1913, infermiera. Di famiglia valdese, Elena dovette interrompere gli studi perché non iscritta alla "gioventù fascista" e quando si mise a lavorare, appena le sue idee politiche venivano scoperte, perdeva il posto. Si avvicinò alla Resistenza e nel novembre del 1943, data di nascita dei "Gruppi di difesa della donna", si dedicò al movimento. Delle imprese compiute si ricordano: come riuscì a non farsi catturare dai fascisti che erano andati a cercarla in ospedale; come da Varese, dove si era rifugiata presso amici elvetici che le proposero il passaggio in Svizzera come rifugiata politica, tornò a Milano con i capelli tinti ed una nuova acconciatura; come fece a liberarsi, durante un rastrellamento, di un plico di documenti compromettenti, "dimenticati" nel cesto di una fioraia e poi recuperati; come riuscì a trovare un rifugio per Ferruccio Parri, presso amici genovesi a Milano, ai quali avrebbe poi mandato un comunicato ufficiale che diceva: "Sono molto lieta di annunciarvi che il vostro ospite di allora è l’attuale presidente del Consiglio". Dopo la Liberazione fu la prima donna in Italia ad aver ricoperto un incarico pubblico: assessore all’Assistenza e Beneficenza a Milano. FLOREANINI DELLA PORTA GISELLA Nata a Milano il 3 aprile 1906. Morta a Milano nel 1993, insegnante di pianoforte e storia della musica. Floreanini aderì nel 1934 al movimento Giustizia e Libertà e nel 1936 entrò nel Psi. Per un paio d’anni diffuse stampa clandestina e, soprattutto, raccolse aiuti per sostenere le famiglie dei perseguitati politici. Fu costretta ad emigrare clandestinamente in Svizzera perché finì nel mirino dell’Ovra. Nel 1942 Gisella passò nelle file dei comunisti italiani. L’anno successivo, subito dopo la caduta del fascismo, la Floreanini rientrò in Italia. Dopo l’8 settembre, prima cooperò con Eugenio Curiel e poi svolse compiti di collegamento tra le formazioni partigiane e la Svizzera. Qui fu arrestata nel giugno del 1944. Tre mesi dopo, scarcerata, rientrò in Italia e raggiunse subito la neonata Repubblica dell’Ossola. Vi organizzò i Gruppi di difesa della donna (Gdd) e venne nominata commissario aggiunto all’assistenza. Quando la Repubblica dell’Ossola cadde, fu Gisella che si preoccupò con successo dell’evacuazione dei bambini in Svizzera. Conclusa l’operazione, riattraversò il confine e in pieno rastrellamento, raggiunse il comando delle brigate valsesiane. Da lì diresse l’attività di assistenza ai combattenti del Cusio e del Verbano. All’insurrezione fu Gisella che, come presidente del CLN di Novara, trattò la resa del locale comando tedesco. Dopo la Liberazione la Floreanini è stata membro della Consulta nazionale e deputata alla Camera. FOA LISA Nata a Torino nel 1923, intellettuale. Figlia dell'antifascista socialista Michele Giua - professore di chimica ed esperto di esplosivi, che nel 1935 fu condannato, uscendo dal carcere nel 1943 - Lisa studiò al Liceo d'Azzeglio interrompendo l'università per la guerra. Nella Resistenza prese parte da Milano alla lotta partigiana occupandosi della diffusione della stampa e del trasporto delle armi. Nell'estate del 1944 a Milano, insieme a un'amica, tutte e due incinte, fu catturata dalla banda Koch. Riuscirono a farsi ricoverare in Ospedale e di lì a scappare grazie ad un gruppo di partigiani. Divisa, abbastanza spensieratamente, fra socialismo, azioniamo, e comunismo, nel dopoguerra si iscrisse al PCI. Andò a vivere a Roma ed ebbe tre figli, Anna, Renzo e Bettina, con Vittorio Foa di cui fu moglie per parecchi anni. GALEOTTI BIANCHI GINA Nata a Mantova il 4 aprile 1913. Caduta a Milano il 24 aprile 1945, ragioniera. Gina Galeotti Bianchi cominciò giovanissima – nel 1933 - la sua attività antifascista. Nel 1943 era stata arrestata e deferita al Tribunale Speciale per essere stata tra gli organizzatori a Milano degli scioperi del marzo contro la guerra. Incarcerata per quattro mesi, fu liberata con la caduta del fascismo il 25 luglio e dopo l’8 settembre entrò subito nelle organizzazioni della Resistenza. Fece parte, in particolare, del Comitato provinciale di Milano dei "Gruppi di difesa della donna", si impegno nel servizio informazioni e si dedicò all’assistenza delle famiglie degli antifascisti caduti. Lia, questo il "nome di battaglia" di Gina Galeotti Bianchi, morì proprio nei giorni della Liberazione di Milano. Pur incinta di otto mesi, "Lia" si stava recando all’ospedale di Niguarda, dove doveva incontrare alcuni partigiani feriti, lì ricoverati sotto false generalità. Fu falciata da una raffica di mitra, sparata da un camion carico di soldati tedeschi in fuga e incappati in un posto di blocco partigiano. GALLICO SPANO NADIA Nata a Tunisi il 2 giugno 1916. Deceduta a Roma il 19 gennaio 2006, parlamentare e dirigente comunista. Nacque in una famiglia d’emigrati in Tunisia (il padre Renato, avvocato, collaborò, alla stampa antifascista locale in lingua italiana). Nel 1938, aveva aderito al Partito comunista. Il suo impegno nella Resistenza al nazifascismo divenne totale con l’occupazione tedesca della Francia, tanto che, durante il regime collaborazionista di Petain, fu condannata per la sua attività politica. Nadia, così come il marito Velio Spano, riuscì a sottrarsi alla cattura e a raggiungere fortunosamente l’Italia liberata. Dalla Liberazione e sino alla morte si è impegnata sui problemi di politica internazionale, del Mezzogiorno e della questione femminile. Fu eletta all’Assemblea costituente e fu parlamentare. IOTTI NILDE Nata a Reggio Emilia il 10 aprile 1920. Morta a Roma il 3 dicembre 1999, insegnante, parlamentare. Il padre - un sindacalista socialista che faceva il deviatore alle Ferrovie e che, durante la dittatura, era stato perseguitato dai fascisti - aveva voluto che la figlia Leonilde - per tutti Nilde - studiasse. La ragazza si era così laureata (in Lettere e Filosofia, all’Università Cattolica di Milano) e, per alcuni anni, insegnò all’Istituto tecnico industriale di Reggio Emilia. Dopo l’8 settembre 1943 entrò nelle file della Resistenza, diventando organizzatrice dei "Gruppi di difesa della donna” nella provincia di Reggio. Dopo la Liberazione, la Iotti si iscrisse al PCI, entrando negli organismi dirigenti nazionali. Fin dalle prime libere elezioni fu eletta parlamentare. Presidente di Commissione, nel 1979 – prima donna - fu eletta Presidente della Camera dei deputati. MARTINI CARLA MARIA LILIANA Nata a Boara Polesine, Rovigo 7 agosto 1926. Croce al Merito di guerra. Fu arrestata il 14 marzo 1944. Fece parte, assieme alle sorelle Teresa, Lidia e Renata, dell'organizzazione di Armando Romani (ex ufficiale pilota) e padre Placido Cortese (frate francescano conventuale), che, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, aiutò prigionieri alleati evasi ed ebrei ad arrivare in Svizzera, dove c'era un comando alleato (si stima che l'organizzazione riuscì a salvare più di trecento persone). Assieme a lei fu arrestata la sorella Teresa ed entrambe furono condotte dapprima nel carcere di Venezia per poi essere portate nei lager di Mauthausen (dove Liliana compì i 18 anni), Linz e Grein. Rientrò ammalata a Padova nel 1945. MICHELIN SALOMON VERA Nata a Carema (Torino) il 4 novembre 1923 da famiglia protestante di ufficiali dell’Esercito della Salvezza, bibliotecaria. Alla maggiore età, Vera scelse di trasferirsi a Roma (1941) dove lavorò come segretaria economa nella scuola professionale "Colomba Antonietti". Dopo l’8 settembre 1943, entrò nella resistenza non armata e in particolare nell’organizzazione del Comitato studentesco di agitazione. Compito di questi gruppi ristretti di giovani fu quello di distribuire materiale di propaganda antifascista contro l’occupante nazista, davanti alle scuole superiori e all’università, finalizzato anche ad impedire lo svolgimento regolare delle lezioni e degli esami perché accessibili soltanto a quei giovani in grado di presentare l’autorizzazione del costituendo esercito della Repubblica di Salò. Vera aderì alla cellula del Partito comunista di piazza Vittorio. Il 14 febbraio 1944, dietro delazione, un commando di SS si presenta in via Buonarroti e arresta tutti i presenti. Tutto il gruppo è trasferito in Via Tasso. Soltanto Vera rimane nella cella femminile per gli interrogatori. Raggiungerà gli altri a Regina Coeli. Il 22 marzo si svolge il processo al gruppo, davanti al Tribunale Militare Tedesco: tutti assolti i ragazzi invece Vera fu condannata a tre anni di carcere duro, da scontarsi in Germania. Tornano comunque tutti a Regina Coeli, dove sono testimoni della selezione per la strage delle Fosse Ardeatine. Il 24 d’aprile Vera fu avviata in Germania, prima in camion e poi in carro bestiame. Arrivò a Monaco di Baviera dove, dopo una sosta nel KZ di Dachau, fu immatricolata nella prigione di Stadelheim (Monaco). Trascorso circa un mese, fu trasportata nella sede definitiva della detenzione: il Frauen Zuchthaus di Aichach (Alta Baviera) dove fu liberata dalle truppe americane il 29 aprile 1945. Tornò in Italia arrivando a Milano il 2 giugno. MILLU LIANA Nata a Pisa il 21 dicembre 1914. Deceduta a Genova il 6 febbraio 2005, maestra elementare, scrittrice. Liana Millu, nel 1937, era una maestrina di Livorno. Oltre che insegnare ai bambini delle Elementari, collaborò con il quotidiano Il Telegrafo, diretto da Giovanni Ansaldo. L’anno dopo, per le leggi razziali, perse l’impiego nella scuola e la collaborazione al giornale. Visse di lavoretti precari e mal pagati, sicché, nel giugno del 1940 decise di trasferirsi a Genova. Fu qui che, dopo l’8 settembre 1943, Liana diventò un membro attivo della Resistenza. Entrata nell’Organizzazione "Otto", l’insegnante ebbe il delicato compito di comunicare informazioni e codici operativi. Il suo impegno fu bloccato nel marzo del 1944, quando, a Venezia, venne arrestata e deportata ad Auschwitz. Liana Millu riuscì a sopravvivere e a tornare in Italia, ma la drammatica esperienza segnò la sua esistenza. Sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti, dedicò la vita alla memoria della Shoah. MORONI SAGAN GINETTA Nata a Milano nel 1925. Deceduta nell’agosto 2000 ad Atherton, in California. Era ancora studentessa quando i fascisti, nel 1943, arrestarono i suoi genitori, entrambi medici. Il padre, cattolico, fu fucilato; la madre, ebrea, internata morì ad Auschwitz. Ginetta Moroni entrò subito nella Resistenza come staffetta, la cui principale attività era quella di aiutare ebrei ed antifascisti a riparare in Svizzera. Catturata dalle Brigate Nere a Sondrio nel 1945, Ginetta restò nelle mani dei fascisti per 45 giorni. Sottoposta ad ogni sorta di violenze riuscì, nonostante le iniettassero anche sodio e pentothal, a non tradire i suoi compagni, che riuscirono a liberarla in modo rocambolesco, consentendole di tornare alla sua attività di corriere clandestino. Si calcola che Rosetta fosse riuscita, sino alla Liberazione, ad assicurare la salvezza ad oltre 300 persone. Nel 1945 si trasferì a Parigi e poi andò in America dopo aver sposato Leonard Sagan. MURATTI MASSONO LUCILLA Nata a Tricesimo (Udine) il 5 settembre 1988. Morta ad Udine il 4 aprile 1964. Figlia di un aristocratico patriota e cospiratore triestino che aveva partecipato alle campagne garibaldine, Lucilla sposò il generale Massone. Dopo l’8 settembre 1943 si rese utile nell’ospedale civile di Udine e alla stazione ferroviaria, assistendo i soldati italiani che venivano deportati in Germania. Prese quindi contatto con il locale CLN ed entrò nelle Brigate Osoppo, con il nome di copertura di “Giustina”. Incaricata del servizio di controspionaggio, si prodigò soprattutto nell’allestimento di ospedali da campo. Fu arrestata e rinchiusa nel carcere del Coroneo nel febbraio del 1945, mentre stava organizzando a Trieste i contatti con la Resistenza,. Vi restò dieci giorni. Quando fu rilasciata, ritornò a Udine. Il 23 aprile 1945 si arruolò nella Brigata “Miglioranza”. Dopo la Liberazione fu attivissima monarchica e si prodigò molto nella campagna referendaria del 1946. NEGRI INES Nata a Savona l’8 ottobre 1916. Uccisa dai fascisti a Savona il 19 agosto 1944. Ines fu una giovane antifascista che, subito dopo l’armistizio, entrò nei Gruppi di difesa della donna e divenne staffetta partigiana. Nell’agosto del 1944 in provincia di Savona arrivarono i primi contingenti della Divisione della fanteria di marina "San Marco", ma non tennero conto del fatto che non pochi degli arruolati accettarono l’ingaggio per sottrarsi alla prigionia in Germania. Lo compresero le organizzazioni della Resistenza e, in particolare, quelle delle donne. Fu così che anche tra quei soldati cominciarono le diserzioni. Il 16 agosto del 1944, ad Albisola Mare, nei pressi di Villa Faragiana, Ines Negri, che accompagnava in montagna militari della "San Marco", fu arrestata. Dopo tre giorni di feroci torture, la giovane donna fu condannata a morte e subito fucilata. La stessa sorte toccò, una settimana dopo, a Clelia Corradini. La risposta delle donne savonesi venne con un comunicato del bollettino "Noi Donne", nel quale si annunciò che, da quel momento, le donne sarebbero entrate nelle formazioni partigiane, partecipando direttamente alle azioni di guerriglia. Il nome di Ines fu dato ad una Brigata garibaldina NISSIM LUCIANA Nata a Torino nel 1919. Deceduta a Milano nel 1998, laureata in medicina. Nonostante le leggi antiebraiche, Luciana Nissim riuscì a conseguire, nel 1943, poco prima della caduta del fascismo, la laurea in medicina. Dopo l’armistizio, Luciana decise di raggiungere in Valle d’Aosta un piccolo gruppo di partigiani di Giustizia e Libertà. Dopo pochi mesi Nissim venne arrestata con i compagni di lotta. Il 13 dicembre del 1943 fu rinchiusa nel carcere di Aosta. Poco dopo fu trasferita nel campo di Fossoli, da dove, il 22 febbraio del 1944, partì con un convoglio di circa cinquecento persone con destinazione Auschwitz. Luciana grazie alla sua laurea venne assegnata per qualche tempo all’infermeria del campo. Sopravvisse al lager e tornò in Italia. OLIVA ELSA Nata a Piedimulera (Novara) l’11 aprile 1921. Deceduta a Domodossola l’11 aprile 1994. Nacque in una famiglia antifascista. Frequentata soltanto la quarta elementare, a otto anni, fu messa "a servizio". Ragazzina irrequieta, aveva solo 14 anni quando, con il fratello Renato, si allontanò di casa e se ne andò in Valsesia. Poi si trasferì ad Ortisei. Elsa non nascose le sue idee, tanto che fu presa di mira dalla polizia. Fu così che ritenne più conveniente andarsene in un centro più grande. A Bolzano riuscì a farsi assumere all’Anagrafe del Comune, dove rimase fin dopo l’armistizio. Fu quello il momento dell’impegno totale nella Resistenza. Elsa partecipò alla difesa della caserma di Bolzano contro i tedeschi, organizzò la fuga di militari internati dagli occupanti, procurò certificati falsi a molti soldati, perché potessero sottrarsi alla cattura, poi distrusse l’archivio dell’Anagrafe, perché non restassero tracce del suo operato. Sino al novembre del 1943, la ragazza partecipò coraggiosamente, con gli antifascisti locali, ad azioni di sabotaggio contro i tedeschi, ma finì per essere arrestata. Era in viaggio per Innsbruck, dove avrebbero dovuto processarla, quando riuscì a fuggire e a raggiungere, Domodossola dove i suoi si erano nel frattempo trasferiti. Ricercata dalle SS, nel maggio del 1944 la ragazza si unì, come infermiera, ai partigiani della 2a Brigata della Divisione "Beltrami", ma presto divenne partigiana combattente. Nell’ottobre lasciò la "Beltrami", raggiungendo un altro fratello, Aldo, che militava nella "Banda Libertà". Nuovamente cambiò formazione. Elsa entrò nella Brigata partigiana "Franco Abrami" della Divisione "Valtoce", che ebbe la sua base sul Mottarone. Le affidarono il comando di una squadra chiamata "Volante di polizia" e che presto, dal nome di battaglia di Elsa, sarà chiamata "Volante Elsinki”. L’8 dicembre 1944 fu catturata dai fascisti, che la portano in una loro caserma di Omegna. La ragazza era certa della fucilazione e decise quindi di simulare il suicidio, ingerendo del sonnifero. Portata in ospedale, dopo le cure, con l’aiuto di una suora e di un prete, riuscì a fuggire. Ritornata tra i partigiani della "Valtoce", continuò la lotta armata sino alla Liberazione. Per questo, alla smobilitazione, le fu riconosciuto il grado di tenente OMBRA MARISA Nata ad Asti nel 1925. Intellettuale. Di famiglia operaia, Marisa Ombra all’indomani del settembre 1943, fece la scelta di entrare nella Resistenza. Il padre, Celestino Ombra (Tino fu il suo nome di battaglia) fu organizzatore dei primi gruppi partigiani. Dopo il suo arresto e la sua liberazione ad opera dei partigiani, fu trasferito nelle Langhe. A 19 anni, nel 1944, Marisa insieme alla madre ed al resto della famiglia, si trasferirono nella zona dove operava il padre - commissario di brigata - tra le Langhe ed il Monferrato. Nel gruppo partigiano delle Brigate Garibaldi dove entrò, le diedero l’incarico di staffetta di collegamento (Lilia fu il suo nome di battaglia) tra gli altri gruppi sparsi nel territorio. Fece parte dei Gruppi di difesa della donna. Dopo la Liberazione fece parte dell’UDI. L’8 marzo 2007 è stata insignita del titolo di Grande Ufficiale della Repubblica. ORIANI MARCELLINA Nata a Cusano Milanino (Milano) il 26 marzo 1908. Deceduta a Cusano Milanino il 22 dicembre 2000, filatrice. Aveva soltanto undici anni quando cominciò a lavorare. Nel 1928, occupata come operaia nella azienda tessile S.A.S.A. di Cusano, organizzò uno sciopero che le valse l’immediato licenziamento. Da quel momento ebbe inizio il pieno impegno politico: con l’adesione al Partito Comunista d’Italia illegale, con l’attività di diffusione della stampa clandestina, con la raccolta di fondi per il "Soccorso Rosso" - che provvedeva ad aiutare le famiglie in difficoltà degli antifascisti perseguitati dal regime. Per sei anni la giovane operaia riuscì a svolgere la sua attività, poi – era il 1934 – Oriani fu arrestata. Il 20 maggio 1935 fu processata dinanzi al Tribunale speciale che la condannò a dieci anni per "costituzione di associazione comunista, appartenenza alla medesima e propaganda sovversiva". In carcere a Roma e a Perugia sino al 1938, quando uscì per amnistia, Marcellina diventò, per altri tre anni, una "sorvegliata speciale", ma riuscì a riprendere i contatti con il suo partito. Nel novembre del 1943, a Legnano, organizzò uno sciopero delle operaie delle fabbriche tessili e nel gennaio 1944 quello delle maestranze della "Franco Tosi". Nel 1944, Marcellina fu a Milano, dove dette un grande contributo alla riuscita degli scioperi del marzo. Ma dovette allontanarsi dalla città e si spostò in Liguria. Organizzò a Genova e a Savona i "Gruppi di Difesa delle Donne", che affiancarono le attività della Resistenza. Per farlo, Oriani assunse diverse identità e non si sottrasse da operazioni di guerriglia rischiose. PERON MARIA Nata Borgorico di Sant’Eufemia (Padova) nel 1915. Deceduta a San Bernardino Verbano (Novara) il 9 novembre 1976, infermiera. Nella prima infanzia rimase orfana del padre. Adolescente si trasferì con la famiglia a Ravenna, dove conseguì il diploma di infermiera. Si spostò in Lombardia, lavorando a Niguarda, l’Ospedale Maggiore di Milano, alle dirette dipendenze del primario chirurgo in sala operatoria. Cattolica praticante, Maria, dopo l’8 settembre 1943, entrò in contatto con la Resistenza milanese per il tramite dei prigionieri politici che, dall’infermeria del carcere di San Vittore, bombardata, furono trasferiti a Niguarda. Cominciò così la collaborazione dell’infermiera con i GAP e l’organizzazione della fuga dall’ospedale di ebrei e antifascisti, avviati all’espatrio clandestino o alle formazioni partigiane. Nel giugno del 1944, quando i fascisti scoprirono l’organizzazione, l’infermiera riuscì a sottrarsi alla cattura calandosi da una finestra dell’ospedale e si diede alla macchia in Val d’Ossola, aggregandosi alle formazioni combattenti. Per tutti i mesi della guerriglia Maria, girò con una sorta di divisa ricavata da equipaggiamento militare, sulla quale cucì una grande croce rossa. Organizzò infermerie, ospedali da campo, curò i partigiani feriti e anche i nazifascisti catturati, prodigandosi in ogni modo. Rimarrà nel Verbano dopo la Liberazione, esercitando la sua professione di infermiera. PETEANI ONDINA Nata a Trieste il 26 aprile 1925. Deceduta a Trieste il 3 gennaio 2003, ostetrica, libraia, sindacalista. Durante la Seconda guerra mondiale, la giovanissima Peteani lavorò nei Cantieri navali di Monfalcone. Qui prese i primi contatti col movimento antifascista clandestino. Prima ancora dell’armistizio dell'8 settembre 1943 Ondina, con conseguente coerenza, decise di aggregarsi come staffetta alle prime formazioni partigiane che si andavano costituendo nel Monfalconese e sul Carso triestino. Arrestata due volte dalla polizia fascista, la Peteani riuscì a fuggire. L’11 febbraio 1944 a Vermegliano (Gorizia), dov’era in missione, finì nelle mani dei nazifascisti, che la portarono a Trieste. Segregata nel Comando delle SS, la ragazza fu trasferita al carcere del Coroneo. Nel mese di marzo lasciò il carcere, per essere deportata ad Auschwitz (numero di matricola 81672). Successivamente, la trasferirono nel campo di Ravensbrück. Dei lager Ondina conobbe tutti gli orrori. Nell’ottobre del 1944, Ondina fu trasferita in una fabbrica di produzione bellica ad Eberswalde, presso Berlino. Nello stabilimento riuscì a far rallentare il ciclo produttivo. A metà aprile del 1945, nel corso di una marcia forzata di cinque giorni, che avrebbe dovuto riportarla a Ravensbrück, Ondina fuggì dalla colonna di prigionieri. Riuscì a rientrare in Italia a luglio, dopo aver percorso fortunosamente 1300 chilometri. PETRACCO NEGRELLI LAURA Nata a Trieste l’8 agosto 1917. Iimpiccata a Trieste il 23 aprile 1944, insegnante. Terminati gli studi al "Petrarca" di Trieste si iscrisse alla Facoltà di Lettere a Padova. Nel 1939 la giovane insegnante si sposò ed ebbe un figlio. Laura, animata da ideali di libertà e giustizia sociale, nonostante le cure del bambino, dal 1943 si impegnò nel movimento comunista clandestino triestino. La giovane insegnante non si limitò a svolgere lavoro politico tra gli studenti e gli operai triestini, ma organizzò anche il movimento che prese il nome di "Gioventù antifascista italiana". Il 19 aprile del 1944 l’insegnante fu arrestata dai tedeschi, di fronte ai quali la coraggiosa donna non esitò a riaffermare la sua fede democratica. Tre giorni dopo - Laura si trovava ancora in una cella del "Coroneo" - i partigiani del IX Korpus sloveno effettuarono un attentato contro la "Casa del soldato tedesco", che era ospitata nella sede del Conservatorio. I nazisti reagirono con una spaventosa esecuzione: cinquantuno detenuti italiani e sloveni, tra i quali Laura Petracco Negrelli, furono prelevati dal carcere, trasportati in via Ghega, impiccati alle balaustre delle scale e alle finestre del Conservatorio e lì lasciati appesi per giorni. PIPPAN NICOLETTO MARIA Nata a Lussak (Fiume) il 28 gennaio 1907, operaia tabacchina. Emigrata in Francia con la famiglia, Maria si iscrisse al Partito comunista che, nel 1931, la inviò in Italia per svolgervi clandestinamente attività antifascista. Individuata dalla polizia, l’anno dopo la ragazza fu arrestata. Confinata a Ponza, poi in Sardegna, alle Tremiti e, infine, a Ventotene, nel 1934 fu condannata a quattro mesi di carcere dal Tribunale di Napoli e, nel 1935, ad altri otto mesi per attività antifascista svolta mentre era al confino. Le condanne non riuscirono a fiaccare Maria, che nel 1936 aveva sposato, proprio a Ponza, l’antifascista Italo Nicoletto. Rilasciata dal confino, la giovane donna dovette espatriare per sfuggire a un nuovo mandato di cattura. Raggiunta la Francia, Maria vi riprese l’attività antifascista tra gli emigrati italiani. Nel 1942, per incarico del Centro estero del suo partito, rientrò in Italia per ricostituire, con altri compagni, la Federazione comunista di Brescia. Dopo l’8 settembre 1943, Maria prese parte alla guerra di Liberazione nelle file della Resistenza bresciana PISONI INES Nata a Trento nel 1913. Deceduta a Cognola (Trento) il 4 ottobre 2005, partigiana, scrittrice, dirigente sindacale e politica. Insegnante, cattolica, si impegnò nella lotta contro i nazifascisti, trasferendosi in Romagna. A Ravenna, con Valeria Vochenhausen (“Antonia”), fu una delle maggiori dirigenti provinciali del partito comunista clandestino e l’organizzatrice dei Gruppi di difesa della donna. Soltanto dopo la Liberazione “Serena” (questo il nome di battaglia che aveva scelto) tornò a Trento da Alfonsine. Nel dopoguerra Ines Pisoni si impegnò a Roma nel lavoro politico e sindacale. RAVERA CAMILLA Nata ad Acqui Terme (Alessandria) il 18 giugno 1889. Morta a Roma il 14 aprile 1988, insegnante. Nel 1927 fu eletta segretaria del Partito Comunista d’Italia, partito che aveva contribuito a fondare nel 1921 e nel quale aveva assunto la guida dell’organizzazione femminile, fondando anche il periodico La compagna. Camilla Ravera resse la segreteria del PCdI sino al 1930 quando, rientrata clandestinamente in Italia dalla Francia, fu arrestata e condannata a quindici anni e mezzo, trascorsi tra carcere e confino sino alla caduta del fascismo. Fu l’ultima dei confinati a lasciare Ventotene e con Terracini, fu espulsa dal suo partito per aver condannato il patto Ribbentrop-Molotov. Riacquistata la libertà, Camilla Ravera riuscì a raggiungere dopo molte peripezie i suoi famigliari, che erano sfollati a San Secondo di Pinerolo. Dopo l’8 settembre 1943, sapendo di essere di nuovo ricercata, riparò in un casolare sulle colline, che diventò presto luogo di incontri politici clandestini. Dovette abbandonarlo quando i fascisti cominciarono a dare alle fiamme tutti i casolari della zona. Rientrata a Torino dopo la Liberazione, fu riammessa nel PCI e divenne consigliera comunale. Camilla Ravera ha lasciato molte pubblicazioni ed è stata la prima donne italiane nominate senatore a vita. ROCHAT JERVIS LUCILLA Nata a Firenze il 22 dicembre 1907. Deceduta a Torre Pellice (Torino) il 23 febbraio 1988, insegnante. Il nonno Giovanni e il padre Luigi furono valdesi e socialisti. Lucilla, che si laureò in Letteratura inglese all’Università di Firenze, militò nel movimento giovanile valdese e quando sposò Guglielmo Jervis si trasferì ad Ivrea con il marito, dirigente tecnico dell’Olivetti. Dopo l’8 settembre 1943 i coniugi, che avevano due figli, si impegnarono nella Resistenza e, mentre “Willy” (che sarebbe stato ucciso dai tedeschi), si batteva come commissario politico delle formazioni Giustizia e Libertà operanti in Piemonte, Lucilla assolse a compiti di collegamento e di propaganda. ROLFI BECCARIA LIDIA Nata a Mondovì (Cuneo) l’8 aprile 1925. Deceduta a Mondovì il 17 gennaio 1996, maestra elementare. Al momento dell’annuncio dell’armistizio, insegnava in un paesino della Val Varaita. La “Maestrina Rosanna”, come l’avrebbero chiamata i suoi compagni, aderì subito al movimento partigiano, diventando staffetta della costituenda XV Brigata Garibaldi “Saluzzo”. Il 15 aprile 1944 Lidia Rolfi fu arrestata dai fascisti a Sampeyre (Cuneo). Rinchiusa prima nel carcere di Saluzzo, fu poi trasferita alle Carceri Nuove di Torino. Vi restò sino alla notte tra il 25 e 26 giugno, quando i nazifascisti ne decisero la deportazione in Germania. Rinchiusa nel lager di Ravensbrück, la giovane insegnante riuscì a sopravvivere, sino al sopraggiungere degli Alleati. Liberata rientrò in Italia il 1° settembre 1945. ROMANO GRAZIELLA (LALLA) Nata a Demonte (Cuneo) l’11 novembre 1906. Deceduta a Milano il 26 giugno 2001, scrittrice. Partecipò alla Resistenza entrando nel movimento Giustizia e Libertà. Quella che sarebbe poi stata una delle maggiori scrittrici e poetesse italiane del Novecento si trovava, durante la guerra, nel suo paese natale. Vi era riparata, con il figlio, da Torino dove insegnava storia dell’arte. A Demonte entrò nei “Gruppi di difesa della donna”. SCARAZZATI GIUNTOLI DIRCE Nata a Milano il 15 dicembre 1920. Deceduta a Empoli (Firenze) il 21 aprile 2002, domestica. Per sfuggire alle persecuzioni dei fascisti, la sua famiglia nel 1931, aveva dovuto riparare in Belgio. Si trasferirono in Francia e diventarono agricoltori. Nel 1936, la ragazza aveva preso i primi contatti con la cellula comunista clandestina del paesino dove abitava e dove era "andata a servizio". Due anni dopo, Dirce si trasferì a Parigi, entrando a tempo pieno nell’organizzazione del Centro estero del PcdI. Nella primavera del 1939 la ragazza fu incaricata di rientrare in Italia, per collegarsi con l’organizzazione clandestina di Ancona, ma cadde nelle mani dell’OVRA. Incarcerata, resistette agli interrogatori, poi fu trasferita al carcere di Marassi, a Genova, e deferita al Tribunale speciale. Processata con altri ventiquattro imputati di varie regioni, il 2 febbraio 1940 Dirce Scarazzati fu condannata a otto anni di reclusione per "associazione e propaganda sovversiva". Scontò la pena nel Carcere di Trani. Liberata il 23 agosto del 1943, la giovane raggiunse Milano e qui, dopo l’8 settembre, riprese la lotta antifascista. Organizzò la propaganda, mantenne i contatti tra il CLN e le fabbriche. Poi passò a Torino, dove diventò "staffetta" delle formazioni partigiane. Quando, finalmente, l’Italia fu liberata, la ragazza tornò nella sua città natale. SPIAZZI PIUBELLI ONILDA Fucilata a Cazzano di Tramigna (Verona) il 29 luglio 1944, contadina. Essere madre di un renitente alla leva fu la sola colpa di Nilde, come la chiamavano in paese. Il figlio Luigi, infatti, si diede alla macchia e quando i fascisti, la sera del 28 luglio, si presentarono nella povera casa degli Spiazzi Piubelli, non vi trovarono che la mamma. Con le percosse, tentarono di farsi dire dove si fosse rifugiato il ragazzo con altri suoi compagni, ma da Nilde non ottennero la minima indicazione. Trasferita nella sede del municipio, Onilda per tutta la notte fu torturata dai suoi aguzzini, che non riuscirono a cavarle una parola di bocca. L’indomani, l’eroica donna fu vista uscire, barcollante e sorretta dal parroco, dall’edificio del Comune. Era attorniata dai suoi torturatori, che la piazzarono contro un muro e la fucilarono per il suo silenzio. Contro quel muro resta ora una semplice lapide. TITONEL DAMINA Nata a Refrentolo (Treviso) il 1° luglio 1923, casalinga. Aveva soltanto due anni quando la sua famiglia di contadini socialisti furono costretti ad emigrare per trovare un lavoro e per sottrarsi alle aggressioni fasciste. Si trasferirono in Francia, a Monclair d’Agenais. Durante il regime di Vichy, Damina entrò nella Resistenza francese. Staffetta della 35a Brigata “Francs-Tireurs-Partisan Main d’ouvres Immigrées” intitolata a Marcel Langer, la giovane donna, nel maggio del 1944, cadde nelle mani dei tedeschi. Incarcerata a Tolosa, Damina vi fu a lungo interrogata e, inutilmente, percossa e torturata. Nel luglio del 1944 i tedeschi decisero di deportarla e la staffetta fu internata nel lager di Belsen. Liberata dalle truppe sovietiche nell’aprile del 1945, Damina Titonel tornò a Monclair VIGANO’ RENATA Nata a Bologna il 17 giugno 1900. Deceduta a Bologna il 23 aprile 1976, infermiera e scrittrice. Ebbe la passione della medicina e sognò di fare il medico, ma per le difficoltà economiche interruppe il liceo. Fu così che Renata, prese un "posto nella classe operaia", facendo prima l’inserviente e poi l’infermiera negli ospedali bolognesi. Ma questo suo lavoro al servizio di chi aveva bisogno, non le impediva di scrivere, l’altra sua passione. Sino all’8 settembre del 1943 Viganò continuò a lavorare in ospedale e a scrivere. Con l’armistizio scelse, insieme al marito ed al figlio, di partecipare alla lotta partigiana nelle valli di Comacchio e in Romagna, facendo, sino alla Liberazione, di volta in volta l’infermiera, la staffetta garibaldina, la collaboratrice della stampa clandestina. VIVODA ALMA Nata a Chiampore di Muggia (Trieste) il 23 gennaio 1911. Morta a Trieste il 28 giugno 1943, esercente. Prima Caduta della Resistenza italiana. Alma Vivoda, Maria nella clandestinità, iniziò presto l’attività antifascista, anche perché "La Tappa" – la trattoria di Muggia di proprietà del padre – era diventata punto di riferimento per gli antifascisti della zona. Dopo che le autorità fasciste imposero la chiusura dell’esercizio, Alma e il marito si dedicarono completamente alla lotta per la libertà. Affidato ad un collegio di Udine il figlio Sergio, Alma e Luciano scelsero la clandestinità. Maria divenne una delle dirigenti più attive dell’organizzazione "Donne Antifasciste", assicurando i collegamenti tra l’antifascismo triestino e le formazioni partigiane dell’Istria. Fu nella primavera del ’43, che il marito fu arrestato e, per le sue precarie condizioni di salute, ricoverato. Maria ne organizzò l’evasione. Attenta ai problemi dell’emancipazione femminile e dell’internazionalismo, Alma promosse la diffusione della stampa clandestina ed arrivò a curare di persona la redazione del foglio "La nuova donna". Anche per questo Alma fu braccata dalla polizia fascista, che aveva posto sulla sua testa una taglia di 10.000 lire dell’epoca. Il 28 giugno del '43, durante una missione alla Rotonda del Boschetto (Trieste), fu riconosciuta da un carabiniere. Nello scontro a fuoco che ne seguì, Alma fu ferita alla tempia. Trasportata all’ospedale, vi spirò dopo poche ore, assistita da Pierina Chinchio Postogna, che era stata catturata insieme a lei. All’indomani della morte di Alma Vivoda, il nome della prima donna italiana caduta nella Resistenza fu assunto da un battaglione autonomo della 14a Brigata Garibaldi "Trieste" (Divisione Garibaldi "Natisone"). VOLTOLINA CARLA Nata a Torino il 14 giugno 1921. Deceduta a Roma il 6 dicembre 2005, giornalista e psicologa. Figlia di un ufficiale dell’Esercito fu, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, una promettente sportiva, tanto che aveva vinto alcuni trofei di nuoto. Dopo l’annuncio dell’armistizio, la ragazza divenne un’attiva partigiana nelle formazioni "Matteotti", prima nella sua città natale e poi nelle Marche. Qui Carla fu arrestata dalle SS durante un rastrellamento. Riuscita ad evadere con la collaborazione di un medico, raggiunse Roma, dove collaborò nella redazione della stampa clandestina. Con la liberazione della Capitale, Carla raggiunse il Nord ancora occupato e a Torino incontrò Sandro Pertini, che sposò due anni dopo. Da Torino, nuovo spostamento a Milano, dove fu attiva sino alla Liberazione. Per il suo impegno nella Resistenza Carla Voltolina fu iscritta al Distretto militare di Roma come combattente, decorata con la Croce di guerra. ZANINETTI LIBANO ANDREINA Nata a Vercelli il 18 giugno 1904. Deceduta a Vercelli il 30 aprile 1982, ragioniera. Dopo il diploma, fu assunta come impiegata a Vercelli, nell’Ufficio provinciale dell’economia (oggi Camera di commercio). Col fascismo ancora imperante, la giovane impiegata aderì al neo costituito Partito d’Azione. Fu così che, subito dopo l’armistizio, entrò nella Resistenza. Col nome di copertura di “Anna”, Andreina Zaninetti s’impegnò nell’attività di appoggio ai prigionieri di guerra anglo-americani, collaborando con l’Ufficio informazioni e l’Ufficio falsi delle formazioni di “Giustizia e Libertà”. Rappresentò il PdA nell’Unione Donne Italiane. Dopo la Liberazione fu, sino al suo scioglimento nell’agosto del 1947, molto attiva nel Partito d’Azione