Questo opuscolo è stato realizzato nell’ambito delle attività di divulgazione previste dal progetto META - Monitoraggio Estensivo dei boschi della Toscana a scopi fitosanitari e dal sottoprogetto Alta Versilia DiBA Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale via Pietrapiana, 30 - 50121 Firenze tel. 055 27551 - fax 055 2755216/231 e-mail: [email protected] www.arsia.toscana.it Informazioni sullo stato sanitario delle foreste sono consultabili su www.arsia.toscana.it /meta LE PRINCIPALI MALATTIE FUNGINE DEL CASTAGNO Il progetto è finanziato dalla Comunità Europea Regolamento (CE) n. 1257/99 - Piano di Sviluppo Rurale della Regione Toscana 2000/2006 - Misura 8 - Selvicoltura difesa delle foreste Le principali malattie fungine del castagno colorazione scura, si disidrata, si deprime e si fessura fino a mettere a nudo il legno causando la morte della parte epigea. In Toscana il castagno copre una buona parte del territorio forestale e grazie alla possibilità di essere coltivato a ceduo o a fustaia ha ben servito per secoli le esigenze del mondo rurale e montano, estendendosi sia dalle aree meditterranee dell’isola d’Elba e della Maremma, fino alle quote più alte dell’Appennino e dell’Amiata. Nonostante la sua robustezza il castagno ha subito negli ultimi 100 anni gravi attacchi da parte di alcuni parassiti fungini, per lo più introdotti da altri continenti, che hanno inciso in modo notevole sulla sua vitalità riducendone in modo visibile l’areale di coltivazione. Attorno alla parte necrotizzata si sviluppano le fruttificazioni del fungo riconoscibili come piccoli cuscinetti (circa 1 mm) micelici giallo-rossastri emergenti dalla corteccia morta. Tali strutture si sviluppano specialmente durante i periodi umidi con temperatura mite. All’interno dei cuscinetti si differenziano i picnidi, da cui vengono emessi all’esterno i conidio-spore fusiformi (di 3,5 µm di lunghezza), immerse in una goccia mucillaginosa o riuniti in cirri. In condizioni favorevoli di temperatura e umidità il fungo può continuare il suo ciclo sopra fusti e rami morti, anche tagliati ma ancora con corteccia, accumulati in cataste. Le principali malattie fungine di rami e fusti Alla dispersione dei conidi e delle ascospore concorrono vari agenti, soprattutto insetti, ma anche acari, lumache e uccelli che si imbrattano e trascinano con il loro corpo la mucillaggine. Cancro corticale La malattia più pericolosa per il castagno è costituita dal cancro della corteccia provocato dal fungo ascomicete Cryphonectria parasitica (Murr.) Barr. conosciuto un tempo come Endothia parasitica (Anderson & Anderson). Questo patogeno, che è di origine asiatica, ma è giunto in Europa negli anni trenta dal nord America con il trasporto di materiale infetto, è responsabile di una grave patologia che per molti anni ha fatto temere per le sorti del castagno nel nostro ambiente. L’azione del fungo sulla corteccia dei giovani fusti e dei rami provoca delle necrosi (cancri) che si estendono fino a circondare i rami. La corteccia degli organi colpiti assume una Castagneto invernale Anche l’acqua piovana contribuisce alla diffusione dell’inoculo disperdendolo, in minutissime goccioline o trascinandolo verso il basso, sulle piante infette. Persino l’uomo, trasportando da un luogo ad un altro porzioni di piante infette, o utilizzando utensili contaminati, può diventare vettore della malattia. Fortunatamente da oltre mezzo secolo (anni cinquanta) la malattia, dopo un periodo altamente epidemico, ha cominciato un lento regresso e in alcune zone non è più considerata un pericolo così devastante. Alcuni ceppi di Cryphonectria, infatti, sono risultati a loro volta infettati da particelle virali (un particolare dsRNA invade il citoplasma del micelio) che ne hanno attenuato la virulenza. Il fenomeno, studiato in Italia e poi in Francia (BIRAGHI, 1956; GRENTE, BONFACIO e TURCHETTI), riguarda ormai in modo più o meno esteso tutti i castagneti della penisola. La contemporanea presenza in bosco di ceppi aggressivi e di ceppi ipo-virulenti e la possibilità che un ceppo perda nel tempo la sua aggressività, ha fatto sì che l’aspetto sintomatologico della malattia appaia alquanto articolato. Tipologie di cancri Allo stato attuale, nei castagneti della Toscana si possono trovare tre aspetti sintomatologici: 1 - Cancro normale Viene così definito quello causato da ceppi virulenti del patogeno. Si caratterizza per arrossamento della corteccia infetta, imbrunimenti e depressioni della zona colpita, evidenti fessurazioni e abbondante produzione di picnidi rossastri. Scortecciando con un coltello la corteccia risulterà necrotizzata anche in profondità, fino al legno, si potrà osservare inoltre un micelio feltroso color crema con le estremità che formano dei “ventagli”. Il cancro talvolta è coperto Le piante colpite dai ceppi ipo-virulenti subiscono danni attenuati e hanno tempo di reagire all’infezione fungina producendo calli e barriere di sughero che, nel caso di infezioni da ceppi virulenti, la pianta non aveva il tempo di sviluppare. I ceppi ipo-virulenti sono generalmente poco attivi, oltre ad una minore aggressività sviluppano colonie meno appariscenti e producono un minor numero di fruttificazioni. Fortunatamente però sono in grado di trasmettere il carattere dell’ipovirulenza (ds-RNA) come un “contagio” attraverso la formazione di anastomosi tra ife di miceli compatibili, allorché vengono in contatto con ceppi normalmente aggressivi. Cancro normale su polloni di castagno: in evidenza l’area uccisa dal fungo da un ciuffo di rametti epicormici che si sviluppano, attorno all’area necrotizzata, per la spinta della linfa ascendente dalla zona ancora viva della corteccia. Se il danno circonda il fusto o il ramo, la zona al di sopra dell’infezione può mostrare il cimale morto. 2 - Cancro anormale (causato da ceppi di virulenza ridotta) Si differenzia dal precedente per un evidente ingrossamento dell’area infetta. In questo caso l’andamento superficiale del micelio fungino e la sua ridotta aggressività consentono alla pianta una reazione, il cambio produce nuovo tessuto corticale spingendo lo strato di corteccia morta verso l’esterno. A seconda del grado di cicatrizzazione, la corteccia apparirà più o meno scura e sottilmente screpolata. Scortecciando con un coltello la zona del cancro risulterà necrotizzata solo superficialmente, difficilmente si potrà individuare il feltro micelico e il legno Cancro anormale: il fusto mostra danni superficiali apparirà coperto da tessuti sani. La presenza di rametti epicormici risulta per lo più occasionale e anche quando il cancro circonda il fusto o il ramo la zona al di sopra dell’infezione resta viva. 3 - Cancro intermedio Si sviluppa allorché un ceppo virulento ne incontra uno ipo-virulento. Infatti, presenta la stessa sintomatologia dei cancri normali accompagnata però dalla comparsa di processi di cicatrizzazione talora vistosi, che bloccano lo sviluppo delle infezioni. La parte di corteccia del ramo o del pollone colpita per prima muore mettendo a nudo, con l’andare del tempo, il legno sottostante, la zona invasa dal ceppo ipovirulento continua invece a vegetare producendo tessuti che riparano e isolano la zona danneggiata. La produzione di pustole picnidiche riguarda generalmente la zona invasa dal ceppo aggressivo così come la produzione di rametti epicormici. Cancro intermedio: fusto con parziale cicatrizzazione Lotta contro il cancro del castagno Il problema degli innesti Le osservazioni compiute ormai da decenni, in differenti comprensori forestali italiani ed europei, hanno messo in evidenza che la lotta contro il cancro del castagno può essere effettuata soltanto assecondando il processo naturale della diffusione dei ceppi ipo-virulenti a scapito di quelli aggressivi. La diffusione di questi isolati costituisce un meccanismo di lotta biologica “spontanea” apparentemente irreversibile, che può essere soltanto incoraggiato, per assicurare la sopravvivenza del castagno. Le vie di intervento possono essere varie, dalla diffusione artificiale degli isolati ipo-virulenti, operazione che richiede una certa dose di competenze tecniche e di conoscenza della situazione ambientale, alla semplice eliminazione dei cancri normali, riducendone la possibilità di diffusione accompagnata dal rilascio di polloni e fusti colonizzati da ceppi ipo-virulenti con cancri anormali, in modo da velocizzare la loro affermazione in natura. La ferita causata dall’innesto costituisce un punto particolarmente delicato e suscettibile alle infezioni fungine. È in questa sede che il cancro si dimostra particolarmente dannoso, C. parasitica, infatti, può far fallire l’innesto e infettare il pollone sia con l’isolato virulento che con quello ipo-virulento. Per questo motivo è molto importante che vengano scelti polloni sani, che si effettui il taglio con la massima precisione e con attrezzi puliti. L’innesto dovrà essere poi protetto con mastici cicatrizzanti (si consiglia l’uso di quelli biologici), si dovrà poi cercare di contenere lo sviluppo della marza per evitare scosciamenti e cretti che possono favorire le infezioni dell’agente di cancro. Di fondamentale importanza potrà essere la considerazione che il patogeno infetta con minore facilità innesti ben protetti e dove la porzione di corteccia ferita è limitata. Per questo sarebbero da preferire, compatibilmente con le esigenze colturali, innesti su soggetti di piccole dimen- Saggi di inoculazione artificiale con ceppi ipo-virulenti Innesto a zufolo Innesto ben riuscito messo a rischio dallo sviluppo di un cancro alla base sioni, che prevedono ferite di ampiezza modesta, o quelli a zufolo o a gemma. Malattie dell’apparato radicale certa quantità di umidità durante il periodo primaverile-estivo permettendo la diffusione di propaguli del microrganismo (zoospore flagellate). Fino agli anni trenta, periodo dell’inizio della diffusione del cancro corticale, questo patogeno è stato considerato la principale causa di danno dei castagneti. Attualmente danni da mal dell’inchiostro destano ancora una certa preoccupazione, specialmente se si tratta di recupero di castagneti trascurati per un certo numero di anni e nel caso del recupero dei cedui e dei castagneti da frutto. La presenza del mal dell’inchiostro, non è sempre facile da diagnosticare, si manifesta con necrosi sulla corteccia e fuoriuscita di liquido nerastro da alcune fessure che si formano alla base del fusto. Le piante attaccate mostrano imbrunimenti della corteccia quasi sempre a forma di fiamma. Nei casi più gravi, dalle piante ammalate, se sottoposte a scortecciamento, emana un forte odore tannico. Mal dell’inchiostro Il castagno, generalmente considerato pianta assai rustica, si mostra particolarmente suscettibile ad attacchi dell’apparato radicale dovuti ad agenti fungini. I danni più gravi sono causati da Oomiceti del genere Phytophthora (Phytophthora cambivora (Petri) Buism., P. cactorum (Leb. E Cohn) Schöeter, e dagli anni novanta P. cinnamomi Rand) che provocano il cosiddetto “mal dell’inchiostro”. Questa malattia diffusasi in Europa alla fine del ottocento, riguarda il capillizio radicale delle piante ed è presente nei luoghi in cui il terreno, per la giacitura, il contenuto di argilla o la presenza di acqua di ruscellamento, trattiene una Mal dell’inchiostro: necrosi radicale a fiamma Mal dell’inchiostro: microfillia, intristimento e seccume della chioma Sintomi secondari della malattia sono deperimento e riduzione di crescita e ingiallimento progressivo della chioma con disseccamento degli apici dei rami. Le foglie che appaiono di dimensioni ridotte, cadono precocemente anche un mese prima, i rami trattengono a lungo i ricci che non arrivano a maturità. La malattia è molto comune sui polloni, specialmente se questi si sviluppano attorno alle ceppaie di piante malate, che muoiono rapidamente prima della ripresa vegetativa primaverile. La progressione della malattia è in stretta dipendenza con la vigoria e l’età delle piante, ma può variare anche in relazione alla virulenza del patogeno. Nei casi peggiori le ceppaie muoiono in una o due stagioni vegetative. Attualmente le segnalazioni sulla presenza della malattia sono in aumento (ANSELMI et al., 2000; TURCHETTI et al., 2000). Lotta contro il mal dell’inchiostro La lotta in pieno campo contro gli organismi del genere Phytophthora risulta molto difficile da realizzare, per poter avere qualche risultato bisognerà agire in modo integrato considerando interventi di tipo colturale e biologico. In generale questi funghi appaiono particolarmente sensibili alle basse temperature. A questo proposito è stato rilevato che la mitezza degli inverni non ostacola il patogeno, ma anzi se accompagnata da scarse cure o da parziale abbandono del castagneto, favorisce la diffusione del mal dell’inchiostro. Le metodiche di lotta in questo caso si basano su interventi colturali di tipo fisico che possono prevedere, insieme alla rimozione delle cause del ristagno di umidità, l’esposizione delle ceppaie al freddo invernale, scalzandone parzialmente i fusti alla base e sostituendo il terreno con pietre per favorire il passaggio dell’aria. Altra caratteristica delle Phytophthorae è che mal sopportano la concorrenza di altri miceti del suolo. In questo caso gli interventi di lotta, di tipo colturale-biologico, consistono per lo più nella ripresa di tradizioni colturali del passato dimostratesi ancora oggi estremamente attuali ed efficaci. Si è notato, infatti, che laddove i castagneti erano sottoposti a pascolo, l’apporto di sostanza organica favoriva la microflora non patogena del suolo, stimolava la concorrenza fra organismi e il contenimento della malattia. Da prove eseguite in varie località del Mugello, anche con il contributo tecnico di questa Agenzia, si è potuto rilevare che somministrando alle piante letame ben maturo, pollina o concimi biologici (NP + K pellettato), durante la ripresa vegetativa, si è ottenuta una buona risposta degli alberi trattati, anche di quelli con sintomi della malattia, che hanno cominciato a ricostituire le loro chiome, dimostrando così la ritrovata vitalità dovuta all’apporto di sostanze nutritive, all’effetto stimolante del concime sulla microflora e al miglioramento della struttura del terreno. L’impiego si concimi organici, in dosi variabili (da 100-150 kg/pianta di letame; 10-30 kg/pianta di pollina; 5-10 kg/pianta di concime biologico), sono compatibili con i protocolli di coltivazione per le aziende in regime biologico o integrato ed ammessi dal Disciplinare di produzione integrata di castagno da frutto della Toscana. di debolezza, consiste essenzialmente nel seguire le norme di buona pratica colturale, rimuovendo tutte le cause di sofferenza delle piante, come quelle dovute a concorrenza per la luce e per l’acqua, ed eliminando tutte le fonti di inoculo dovute a ramaglia, polloni, residui e vegetali morti eventualmente presenti nel castagneto (TURCHETTI et al., 2003). Interventi di tipo chimico sono realizzabili invece soltanto in vivaio con prodotti a base di rame o antiperonosporici. Il marciume radicale Occasionalmente su castagno possono intervenire anche altri patogeni responsabili di danno, fra tutti merita di essere ricordato il marciume radicale da Armillaria mellea (Vahl.) Quél. fungo basidiomicete che produce fruttificazioni eduli (chiodini, famigliole). Si tratta di un debole parassita che colonizza solitamente le piante debilitate da infezioni dovute ad altri patogeni come C. parasitica o P. cambivora. L’attacco si manifesta con intristimento e morte della pianta. La presenza del fungo si osserva scortecciando il fusto alla base e osservando la presenza di un feltro cotonoso che risale dal basso nel tessuto sottocorticale. Tale feltro con il tempo tende a scurire per lasciare il posto alla formazione di rizomorfe nerastre che si diffondono nel terreno. La lotta contro questo, come per altri parassiti Necrosi corticale a seguito di attacchi di Marciume radicale Lavoro a cura di Alessandro Guidotti, Gianni Boddi, Paolo Capretti e Letizia Zamponi. Le foto non possono essere riprodotte senza il permesso degli Autori.