Programma
“Messaggeri della Conoscenza”
L’Egitto faraonico e greco-romano:
interazioni e contatti con il mondo classico.
Un progetto didattico internazionale
tra Bari e Bonn
a cura di
Andrea Esposito, Martina Filosa e Chiara Palladino
Il Programma “Messaggeri della conoscenza”:
la nostra esperienza
Questo opuscolo fa parte delle iniziative di “disseminazione”
previste dal Progetto “L’Egitto faraonico e greco-romano: interazioni e contatti con il mondo classico” (Programma “Messaggeri
della conoscenza”, ID 370), a cui abbiamo partecipato con grande
curiosità e interesse. Il Progetto è stato proposto dalla prof.ssa Rita
Lucarelli della Rheinische Friedrich-Wilhelms-Universität di Bonn,
ed è stato finanziato e attivato presso il Dipartimento di Scienze
dell’antichità e del tardoantico dell’Università “Aldo Moro” di Bari.
Ciò ha permesso a molti studenti dell’Università di Bari di seguire
per la prima volta un corso di Egittologia e a noi, in particolare, di
essere selezionati per partecipare a un soggiorno di studio e ricerca
presso l’Università di Bonn.
Per quanto riguarda le varie fasi del progetto, si possono leggere
più oltre le note che la prof.ssa Lucarelli e i proff. Totaro e Pinto
hanno voluto gentilmente accludere alla nostra testimonianza. Ecco,
invece, il resoconto dell’esperienza a Bonn.
Fin dall’inizio del nostro soggiorno a Bonn siamo stati accolti
con grande disponibilità dai professori e collaboratori dell’Institut
für Archäologie und Kulturanthropologie dell’Università di Bonn e
in particolare della Abteilung für Ägyptologie. Attraverso colloqui
personali, il coinvolgimento nelle attività didattiche e la collaborazione attiva al lavoro di ricerca, sono riusciti a farci sentire parte
della struttura in pochissimi giorni, creando immediatamente le condizioni ideali, da un punto di vista pratico e culturale, per lo svolgimento del nostro soggiorno. La capacità d’integrazione è la logica
conseguenza dell’aspirazione all’internazionalità dell’Università di
Bonn, ed è tradizionalmente parte del background delle università
tedesche. La collaborazione fra studiosi di livello internazionale viene incentivata attraverso incontri e convegni, e favorita dalla spiccata
interdisciplinarità dei vari dipartimenti e dall’uso generalizzato della
lingua inglese anche a livello accademico. Si tratta di un elemento di
indubbia attrattiva agli occhi di uno studente straniero.
L’attività didattica all’Università di Bonn è caratterizzata da varie
tipologie di lezioni. I “corsi” in senso stretto presentano per lo più
un taglio seminariale e tendono a incentivare la partecipazione attiva degli studenti, la cui iniziativa di ricerca è incoraggiata dall’uso
di intervallare le lezioni con piccoli Referate, presentazioni di brevi
ricerche a carattere compilativo a cura degli studenti. Altre forme
di verifica scritta favoriscono invece il lavoro in piccoli gruppi. Non
vi sono, perciò, grosse differenze sostanziali rispetto alla didattica
italiana, semmai una maggiore sistematizzazione di determinati approcci disciplinari. L’iniziativa personale, comunque, resta preziosa,
e stimola la pur grande disponibilità dei professori al dibattito e al
confronto. La collaborazione e l’amicizia fra studenti, anche di diverse facoltà, viene incentivata anche in altri ambiti. È consuetudine
inserire nel curriculum studiorum un periodo di Praktikum, cioè di
attività pratiche o tirocini, che si rivela spesso altamente formativo
(molto popolari sono quelli svolti nei musei, come ad esempio il
Museo Egittologico). Queste esperienze consentono agli studenti
anche di sviluppare inclinazioni personali al di fuori dell’esperienza
strettamente universitaria, come le capacità informatiche, artistiche
o manageriali.
Per il suo carattere interdisciplinare, l’Università favorisce ricerche capaci di integrare i settori più diversi. I seminari e gli incontri
organizzati nell’ambito delle diverse discipline vengono ampiamente
resi noti anche all’interno delle altre facoltà, e alcuni studenti hanno
così modo di ampliare il loro raggio di esperienze e guadagnare nuovi stimoli. Alcuni progetti di ricerca di livello più elevato (dottorato e
postdottorato) promuovono esplicitamente questo tipo di “impresa
accademica”.
Una peculiarità che caratterizza le ricerche in ambito storicoarcheologico è la consuetudine di far entrare lo studente in contatto
con la “materialità” del documento antico. I due musei dell’area
umanistica, l’Akademisches Kunstmuseum della Facoltà di Archeologia, e il Museo Egittologico, si propongono in parte l’obiettivo di
formare gli studenti attraverso l’indagine diretta sui manufatti. Questa esperienza è stata possibile anche per noi studenti stranieri, che
abbiamo condotto le nostre ricerche proprio a partire dallo studio
diretto su alcuni manufatti contenuti nel Museo. Grazie alla preziosa
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guida e alla collaborazione del team di curatori, ci è stato consentito
di fotografare e studiare nel dettaglio ogni singolo oggetto, e di consultarne tutta la documentazione archeologica.
Il Dipartimento di Egittologia si caratterizza anche per la notevole capacità comunicativa all’esterno dell’ambiente universitario.
L’attiva divulgazione delle iniziative punta anche a catturare l’attenzione di un pubblico non specializzato di “appassionati”, grazie ai
quali il Museo ha sempre un certo flusso di visitatori, e i vari eventi si
aprono non solo alla consueta audience di studenti e accademici. Attraverso conferenze stampa, podcast, una newsletter di appassionati
e una rivista, la Abteilung für Ägyptologie rende pubblici i risultati
del suo lavoro, e attira l’attenzione del pubblico generalista. Questa
forma di pubblicità conferisce grande attrattiva all’università stessa,
e incentiva le iniziative culturali, attraendo l’attenzione sull’istituzione, che non si isola dal grande pubblico, al contrario punta alla diffusione del sapere. Tali iniziative certo non sacrificano né sminuiscono
la ricerca vera e propria, ma contribuiscono a una sensibilizzazione
generale sul valore “concreto” della cultura, un tema oggetto di ampio dibattito anche qui in Italia. Inoltre, questa opera di diffusione
contribuisce a tener vivo il “gusto per l’antico” anche al di fuori delle
istituzioni accademiche, forse troppo spesso chiuse in se stesse.
Durante il nostro soggiorno a Bonn, la prof.ssa Rita Lucarelli
è stata il nostro punto di riferimento. Dopo averci introdotto alle
strutture dell’Università e averci messo in contatto con i docenti e gli
studenti dell’Institut, ha individuato insieme con noi alcuni percorsi
di ricerca individuali, attorno ai quali abbiamo potuto organizzare
la nostra esperienza di ricerca autonoma. Grazie a questa modalità
empirica abbiamo potuto facilmente familiarizzarci con le risorse
bibliotecarie e museali dell’Università. Il nostro lavoro è stato regolarmente da lei monitorato attraverso una serie di incontri seminariali. (Un quadro analitico delle attività progettuali organizzate per
noi dalla prof.ssa Lucarelli si può avere leggendo il suo resoconto).
Particolarmente significativa è stata la nostra partecipazione al
convegno Neue Forschungen in NRW, una giornata di studio che si
è tenuta il 15 maggio presso l’Ägyptisches Museum di Bonn, in cui
sono state presentate ricerche in corso nel campo archeologico ed
egittologico nelle Università del Nordrhein-Westfalen. Qui abbiamo potuto non soltanto presentare il progetto “L’Egitto faraonico
e greco-romano: interazioni e contatti con il mondo classico” e il
Dipartimento di Scienze dell’antichità e del tardoantico di Bari, ma
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anche rendere conto del nostro lavoro in un contesto scientifico. Si
è trattato di un’occasione impegnativa, ma al tempo stesso molto
formativa.
I risultati delle nostre ricerche, nello forma in cui sono giunte al
momento, sono illustrati nei tre brevi articoli che seguono. Sono la
testimonianza di ciò che abbiamo imparato a fare durante questa
importante esperienza internazionale.
Andrea Esposito
[email protected]
Martina Filosa
[email protected]
Chiara Palladino
[email protected]
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Egittologia e studi classici
all’Università di Bari
Il Programma “Messaggeri della conoscenza”, bandito dal MIUR
con Decreto direttoriale n° 567 del 21 settembre 2012, ha permesso
«la realizzazione di iniziative sperimentali di didattica integrativa,
volte a mettere a disposizione degli studenti dei corsi di laurea triennale, specialistica e a ciclo unico attivati dagli atenei delle Regioni
Convergenza (Campania, Calabria, Sicilia e Puglia) metodi di insegnamento e ricerca tipici di altri sistemi educativi e contenuti scientifici di frontiera sviluppati da centri di eccellenza internazionale»
(art. 1).
In seguito alla selezione ministeriale, è stato assegnato al Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Tardoantico dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” il progetto L’Egitto faraonico e
greco-romano: interazioni e contatti con il mondo classico, proposto
dalla prof.ssa Rita Lucarelli, ricercatrice e docente della Rheinische
Friedrich-Wilhelms-Universität di Bonn.
Siamo stati molto felici di poter ospitare il progetto presentato da
Rita Lucarelli. In primo luogo perché il Programma ci ha dato la possibilità di avere nella nostra sede, come “messaggera” di ricerche e
metodi di insegnamento nuovi, una studiosa di reputazione internazionale. E poi perché, tra ottobre e dicembre 2013, abbiamo potuto
offrire un corso organico di Egittologia di 42 ore. Si tratta, infatti, di
un ambito di indagine non presente nella nostra offerta didattica e
non praticato all’interno della tradizione di studi sul mondo antico
dell’Università di Bari. La riposta dei nostri studenti delle Lauree
Triennali in Lettere e in Beni Culturali, e delle Lauree Magistrali in
“Archeologia” e in “Filologia, Letterature e Storia dell’Antichità” è
stata entusiastica, come abbiamo potuto constatare dall’alto numero
di iscrizioni, dall’interesse e dalla assiduità con cui molti di loro hanno seguito il corso, nonché dagli ottimi risultati della verifica finale
e dal consistente numero di domande per partecipare alle attività
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progettuali presso l’Università di Bonn. La presenza della prof.ssa
Lucarelli nella vita del nostro Dipartimento ha consentito, inoltre, a
diversi studenti di avere con lei momenti di scambio individuali, per
quanto riguarda, per esempio, le ricerche condotte per le tesi di laurea; ovvero, per quanto riguarda le possibilità di studio post-laurea
nelle Università tedesche. Si è trattato, pertanto, di una importante
occasione di apertura interdisciplinare e internazionale.
Come si ricava dai resoconti e dalle testimonianze presenti in
questo bell’opuscolo, ugualmente ottima è stata l’esperienza che i
nostri studenti Andrea Esposito, Martina Filosa e Chiara Palladino
hanno potuto fare a Bonn nella primavera del 2014. Grazie alla loro
preparazione e al loro impegno si sono fatti “messaggeri” all’estero della attività didattica e di ricerca che si svolge presso il nostro
Dipartimento, e a loro volta hanno riportato da Bonn e condiviso
con i colleghi e con i docenti di Bari gli esiti importanti di questo
soggiorno, in una serie di iniziative svoltesi nel mese di giugno 2014.
La felice gestione e gli ottimi risultati anche di questa seconda fase
del Progetto si devono alla costante presenza della prof.ssa Lucarelli come tutor nonché all’attenzione e all’accoglienza che i colleghi
dell’Institut für Archäologie und Kulturanthropologie dell’Università di Bonn hanno riservato ai nostri studenti.
In conclusione, anche a nome degli altri docenti del Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Tardoantico, non possiamo che
esprimere piena soddisfazione per lo svolgimento e la conclusione
del Progetto. Con l’augurio, per il futuro, che il nostro Dipartimento
possa ospitare nuovi progetti di scambio internazionale che, come
i “Messaggeri della conoscenza”, valorizzino la preparazione e le
aspirazioni dei nostri studenti.
Prof. Pietro Totaro
Referente scientifico-didattico del Progetto
Direttore del Dipartimento di Scienze dell’antichità e del tardoantico
dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
Prof. Massimo Pinto
Delegato alla gestione del Progetto e al coordinamento degli studenti
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Una “messaggera” dell’egittologia
dall’Università di Bonn all’Università di Bari
Molto volentieri ho accolto l’invito di Andrea Esposito, Martina
Filosa e Chiara Palladino, a presentare, in occasione delle loro iniziative di “disseminazione” dei risultati, una mia breve testimonianza
sul Progetto che li ha visti coinvolti.
Dopo la comunicazione che il progetto da me presentato era stato approvato e assegnato al Dipartimento di Scienze dell’antichità
e del tardoantico dell’Università di Bari “Aldo Moro”, la mia esperienza ha avuto inizio nel mese di settembre 2013. Grazie alla collaborazione del prof. Pietro Totaro, responsabile scientifico-didattico
del Progetto, e con l’aiuto del prof. Massimo Pinto, delegato a curarne gli aspetti organizzativi, ho potuto preliminarmente visitare le
strutture del Dipartimento. Ho trovato una realtà molto attrezzata,
dotata di una eccellente research library per lo studio del mondo
greco-romano e bizantino, non priva, però, anche di risorse di base
per lo studio dell’egittologia e del Vicino Oriente antico. Anche i
locali per lo svolgimento dell’attività didattica mi sono parsi subito
adeguati in considerazione delle modalità con cui il corso si sarebbe
svolto (ho avuto infatti la possibilità di proiettare immagini, power
point e video, e di allestire e diffondere facilmente testi in pdf).
La prima fase dell’attività didattica si è svolta dal 1° al 17
ottobre 2013. Mi hanno colpito molto positivamente il grande interesse per un corso di egittologia e l’alto numero di studenti che vi si
sono iscritti. In questo periodo, con cadenza giornaliera, gli studenti
interessati hanno partecipato ad incontri intensivi sulla storia, l’archeologia e la religione dell’Egitto faraonico e greco-romano, comprendenti anche nozioni fondamentali di lingua egizia. Si è trattato
di un corso specificamente formulato per studenti dei curricula di
cultura classica e tardoantica, archeologia classica e beni culturali, e
pertanto incentrato in particolare su temi quali le tradizioni testuali
e scribali dell’Egitto antico, le fonti papirologiche e archeologiche
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dell’antichità greca e latina in Egitto, il sincretismo religioso grecoegizio. La cultura religiosa, in particolare la letteratura funeraria
egizia, e i suoi sviluppi in epoca greco-romana hanno costituito la
prospettiva privilegiata per consentire agli studenti di esplorare confronti con il mondo classico (per esempio, sono state discusse le
modalità di diffusione dei culti egizi nel mondo ellenistico e in Italia
a partire da fonti greche e latine).
Durante il corso ho potuto constatare con soddisfazione come
gli studenti, in gran parte forniti di una solida preparazione storica,
filologica e archeologica, siano riusciti ad integrare proficuamente
le loro conoscenze con le informazioni relative a un ambito di studi
che non ha avuto tradizione nell’Università di Bari. Diversi partecipanti al corso si sono dimostrati capaci di approfondimenti mirati su
aspetti della storia dell’arte, della letteratura, della religione e cultura
funeraria egizia, tramite l’uso di bibliografia egittologica specifica:
grazie ai fondi del Progetto, è stato possibile acquistare, per le esigenze didattiche, una serie di risorse bibliografiche aggiornate in uso
presso le università tedesche ed europee di consolidata tradizione
egittologica. Le lezioni di lingua egizia sono state integrate da esercizi di grammatica, trascrizione e traduzione dall’egiziano antico. Durante il corso sono state presentate anche le attività egittologiche che
si svolgono all’Università di Bonn: la maggior parte degli studenti si
è mostrata interessata alla possibilità di partecipare alla selezione per
il soggiorno a Bonn e, a tal fine, diversi tra loro hanno intrapreso lo
studio della lingua tedesca o provveduto a rafforzarne la conoscenza.
Un’intensa partecipazione ha riscontrato anche la seconda fase delle attività didattiche, costituita da un laboratorio tenutosi il
18 e 19 dicembre 2013, incentrato su due temi fondamentali della
cultura religiosa dell’Egitto faraonico e greco-romano: la tradizione
funeraria del Libro dei Morti e la magia egizia. Il laboratorio ha
previsto la lettura, l’analisi e il commento di testi magici e funerari
di epoca faraonica e greco-romana, nonché l’esame dell’iconografia
magico-funeraria presente su papiri, sarcofagi, stele e altri artefatti
della cultura religiosa egizia. In questa occasione, alcuni studenti
hanno potuto trovare ulteriori spunti di ricerca (per esempio sulla
demonologia nel mondo antico o sulla papirologia in relazione ai
testi magici) e hanno manifestato il desiderio di continuare un percorso di ricerca personalizzato per la compilazione di tesi di laurea.
L’attività didattica presso l’università di Bari si è conclusa con
una verifica scritta, tenutasi il 20 dicembre 2013, che hanno soste­­­­­11
nuto tutti gli studenti intenzionati a conseguire dei crediti formativi
e a partecipare alla selezione per il soggiorno all’Università di Bonn.
Quest’ultima si è svolta all’inizio di febbraio.
Estremamente positiva e soddisfacente è stata anche la mia esperienza come tutor dei tre studenti selezionati per le attività progettuali presso l’Institut für Archäologie und Kulturanthropologie della
Rheinische Friedrich-Wilhelms-Universität di Bonn: Andrea Esposito,
Martina Filosa e Chiara Palladino. Il soggiorno si è svolto nel periodo
dal 21 marzo al 3 giugno 2014. I tre studenti selezionati hanno potuto
seguire un corso su “Religion und Ritual im alten Ägypten”, da me
tenuto, e hanno potuto usufruire dell’ampia offerta di corsi e seminari di storia e storia dell’arte dell’Egitto greco-romano all’Istituto. Il
soggiorno è stato anche caratterizzato da un’intensa attività di ricerca
su temi concordati che hanno incluso lo studio mirato di pezzi della
collezione del Museo Egizio dell’Università di Bonn. Insieme abbiamo avuto la possibilità di svolgere incontri seminariali regolari, con
discussioni sulle attività svolte in relazione al lavoro di ricerca assegnato. Inoltre, gli studenti hanno potuto usufruire di seminari e tutorials
personalizzati con il prof. Amr El Hawary, che li ha istruiti sullo studio
dell’egittologia a Bonn e in Germania e li ha aiutati a inserire le ricerche
egittologiche personali all’interno dei propri curricula, anche in vista
di possibili sviluppi di ricerca post-laurea in Germania; e con il Prof.
Ludwig Morenz, Ordinario di Egittologia a Bonn, che ha fornito a
ciascuno di loro nuovi spunti di ricerca e suggerimenti bibliografici da
inserire nei curricula individuali. Attività pratiche sono state svolte nel
Museo Egizio dell’Università di Bonn sotto la guida del dott. Martin
Fitzenreiter, curatore del Museo, che li ha introdotti alla conoscenza
della Collezione Egizia e alle metodologie di studio in uso nel Museo
Egizio; durante il lavoro nel Museo, gli studenti hanno anche potuto
seguire il lavoro del restauratore Oliver Tiezte.
Sotto la mia guida e individualmente, gli studenti hanno poi potuto visitare una serie di strutture museali della città di Bonn e di
Colonia, Aachen e Brühl. Un percorso storico della città di Bonn in
epoca romana è stato organizzato per loro dal dr. Andreas Blasius
del Dipartimento di Storia Antica.
Un’ottima accoglienza, in particolare, ha avuto la presentazione del
Progetto, accompagnata da relazioni dei tre studenti sui loro temi di
ricerca, al convegno Neue Forschungen in NRW, una giornata di studio
che si è tenuta il 15 maggio presso l’Ägyptisches Museum di Bonn. La
partecipazione, per la prima volta e in lingua straniera, come relatori a un
convegno scientifico, ha costituito una importante occasione formativa.
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Il soggiorno a Bonn è stato caratterizzato da un’intensa attività di
ricerca, durante la quale gli studenti hanno potuto confrontarsi direttamente con le risorse specialistiche delle biblioteche di Egittologia,
di Filologia e di Archeologia classica dell’Ateneo di Bonn. Questo ha
permesso di sperimentare l’innesto di un’apertura interdisciplinare sulla loro formazione antichistica. La presenza di una struttura museale
accademica come l’Ägyptisches Museum ha consentito di caratterizzare il lavoro di ricerca attraverso la forte interazione con l’osservazione
diretta di una collezione archeologica. Gli studenti hanno potuto essere
introdotti ai metodi di catalogazione, all’uso di banche dati, alla ricerca
bibliografica e storica delle collezioni private, alla fotografia degli oggetti e alla loro esposizione in vetrina, al restauro. L’organizzazione seminariale dell’attività di studio e ricerca propria dell’Istituto ha consentito,
inoltre, di progredire sulla strada dell’autonomia di ricerca grazie alla
possibilità di scambio continuo con gli altri docenti e studenti.
Durante tutta la durata del soggiorno, Andrea Esposito, Martina
Filosa e Chiara Palladino, già dotati di una solida e versatile formazione
antichistica, hanno dimostrato una grande capacità di integrazione e
di comprensione delle metodologie di studio e ricerca in uso presso
l’Università di Bonn, oltre a uno spiccato interesse verso lo studio di
tematiche e discipline nuove e a un’ottima padronanza della lingua
tedesca e della lingua inglese, sia scritta che orale, che ha permesso
loro di interagire al meglio con i docenti e gli studenti di Bonn (i quali,
a loro volta, hanno accolto con grande disponibilità i visitatori italiani).
Mi sembra di poter dire, in conclusione, che si è trattato per me
di una importante esperienza didattica e che gli obiettivi del Progetto sono stati felicemente raggiunti. Gli ottimi risultati didattici,
di ricerca e disseminazione, auspicati dal Programma “Messaggeri
della Conoscenza”, confermano l’utilità di questo tipo di azioni per
la crescita culturale e sociale, in una dimensione internazionale, di
quel grande patrimonio umano e intellettuale che è costituito della
popolazione studentesca dell’Italia meridionale.
Rita Lucarelli
Rheinische Friedrich-Wilhelms-Universität Bonn / Berkeley University
of California
Docente esperta del Progetto “L’Egitto faraonico e greco-romano: interazioni e contatti con il mondo classico”
[email protected]
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Andrea Esposito
Mummie di animali nell’Antico Egitto
Quando si pensa all’Antico Egitto il pensiero corre subito alle
mummie dei grandi faraoni e all’affascinante cultura funeraria di
questa millenaria civiltà; però non tutti sanno che gli antichi egizi
mummificavano tanto gli uomini quanto gli animali. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce in diverse zone dell’Egitto molti
cimiteri di animali, i quali erano associati alla divinità del luogo e
perciò mummificati e sepolti in massa. Da questi scavi sono derivate
migliaia di mummie di gatti, cani, uccelli, serpenti, coccodrilli, tori,
vacche, antilopi, babbuini, ecc. Esistono ben quattro tipi di mummie
di animali in base al ruolo da essi svolto nel corso della vita terrena:
mummie di amati animali domestici; mummie di parti di animali o
di animali interi, considerate come cibo per il defunto; mummie di
animali sacri; e, infine, mummie votive. I primi tre tipi ricorrono per
l’intera durata della storia egizia, il quarto tipo è caratteristico del
Periodo Tardo e Greco-romano.
Animali domestici
Fin dall’Antico Regno le pareti delle tombe erano dipinte con
raffigurazioni di animali domestici insieme ai loro padroni, e il potere magico di queste immagini serviva da garante per la loro sopravvivenza nell’Aldilà. Molto spesso gli animali venivano sepolti
insieme al loro padrone, oppure in una bara separata posta accanto
al sarcofago dell’uomo. Se l’animale moriva prima del suo padrone,
veniva mummificato e posto nella tomba in attesa che il padrone lo
raggiungesse, mentre, se moriva molto tempo dopo il suo padrone,
veniva posto davanti alla sua tomba. Tuttavia, i tempi di mummificazione di un animale domestico di piccola taglia erano relativamente
brevi rispetto a quello di animali di grossa taglia e di umani, e quindi
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Cane rinvenuto nella tomba 50 nella Valle dei Re. Museo Egizio del Cairo
(CG 29836).
poteva capitare che l’animale, morto poco tempo dopo il suo padrone, riuscisse ad essere sepolto insieme a lui.
I cani sono i più antichi animali dipinti nelle tombe e ne sono
stati trovati molti mummificati, come quello ritrovato nella tomba di
Amenhotep II, nella Valle dei Re, e perfettamente conservato.
La radiografia di una mummia di gazzella della specie Gazella
dorcas ha rivelato che l’animale morì di morte naturale e questo
dato confermerebbe il fatto che si tratta di una mummia di animale
domestico. L’animale risale all’epoca della XXI Dinastia, e probabilmente appartenne a Isitemkheb. Gli organi interni sembrano
mancare, ma è possibile che essi fossero stati ricollocati insieme al
cuore all’interno delle cavità del corpo, difficili, quindi, da vedere
con i raggi X.
Il sarcofago, forse in sicomoro, riproduce le fattezze dell’animale
ed è stato dipinto di nero sulla superficie esterna.
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La radiografia
mostra le corna
e la grandezza
dell’animale che
sembra essere di
sesso femminile
di età superiore ai
quattro anni.
Questa mummia di babbuino fu rinvenuta nella Valle dei Re, tomba 50,
XVIII-XIX Dinastia. Il babbuino (Papio hamadryas) fu trovato davanti
al cane di cui si è detto sopra. L’animale è seduto con gli arti superiori in
avanti. Per il fatto che le ossa degli arti non sono fuse, e il terzo molare
non è spuntato, è probabile che l’animale avesse circa due anni quando
morì. Poiché non ci sono segni di incisioni per lo svisceramento, possiamo
ipotizzare che sia stato attuato il metodo per anum.
La radiografia non mostra organi interni, ma pacchetti contenenti terra e
utilizzati per dare al babbuino un aspetto vitale. Il cervello non è visibile
nella radiografia, ma non è detto che sia stato rimosso. Tracce di resine,
natron e bende sono ancora visibili sulla mummia.
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Mummie di animali come cibo per l’Aldilà
Questa tipologia di mummie è la meno diffusa. Esse consistono
in parti di animali, o animali interi (soprattutto uccelli) pronti per essere arrostiti. Il loro scopo era quello di nutrire il defunto nell’Aldilà.
Nella tomba di Tutankhamon sono state rinvenute circa 40 di queste
mummie. Test recenti hanno dimostrato che in alcuni casi una grande quantità di oli vegetali veniva versata sulle bende della mummia,
forse come preludio della sua cottura. Alcune mummie hanno un
colorito marrone, ed è probabile che tale aspetto sia dovuto all’applicazione di resine molto calde o sulle bende o sulla mummia stessa,
come azione antibatterica.
Zampa di manzo
imbalsamata
(a sinistra) e radiografia
della stessa (a destra).
Volatile intero
imbalsamato (in basso)
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Mummie di animali sacri
Il culto di animali era molto diffuso nell’Antico Egitto, sebbene
raggiungesse il suo culmine nel Periodo Tardo e Greco-romano. I
culti erano focalizzati su animali specifici in cui risiedeva lo spirito
(ba) di una divinità specifica, ed era venerato come manifestazione
del potere divino per l’intera vita terrena dell’animale. Con la sua
morte, l’animale sacro è mummificato e sepolto in una tomba elaborata con gli onori riservati ad un re. L’essenza dello spirito del dio
potrebbe rinascere nel corpo di un altro animale riconoscibile dalle
sue caratteristiche e identificato dai sacerdoti.
Il più duraturo e noto culto di animale fu quello del toro, connesso col culto solare. C’erano diversi tipi di culto in Egitto, ma i più
importanti erano quelli del toro Apis, consacrato a Ptah e Osiris, a
Memphi; del toro Buchis consacrato a Montu e Ra, ad Armant; e del
toro Mnevis di Ra ad Eliopolis. Non è chiaro quando finì il culto di
Apis, tuttavia, l’ultima sepoltura certa risale al regno di Cleopatra
VII; quello di Mnevis finì probabilmente agli inizi del IV secolo d.C.,
mentre quello di Buchis sopravvisse sino al 362 circa.
Mummia di toro Apis, periodo romano, British Museum (a sinistra).
Ricostruzione di una mummia di Buchis (a destra).
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La più antica sepoltura di Apis ritrovata intatta si data al regno
di Horemheb (Nuovo Regno). Quando il sarcofago rettangolare fu
aperto, la mummia consisteva solo della testa del toro, priva di carne
e pelle, come una grande massa nera. Esaminata la massa si capì che
erano ossa di bovino frammiste a resine e lino.
Altri animali, ritenuti sacri, venivano imbalsamati: come il coccodrillo consacrato a Sobek, o l’ariete consacrato a Khnum.
Questa mummia appartenente ad un ariete (ovis aries) è stata rinvenuta ad
Elefantina. Consacrato al dio Khnum, questo ariete è stato mummificato e
sepolto alla sua morte. La testa e le parti frontali sono state ricoperte con
cartonnage dorato, ed una corona atef in legno gli è stata posta sul capo.
In alto a sinistra, la radiografia della mummia rivela un buono stato di
conservazione e la presenza di amuleti sparsi sulle zampe e sul corpo tra il
cartonnage e le bende di lino.
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Questi animali vivevano in stalle o recinti attigui ai templi, e
alla loro morte l’intera area era immersa nel lutto. Per il toro Apis
il periodo di lutto durava settanta giorni mentre l’animale veniva
mummificato. Nel museo del Cairo si conserva la mummia di una
cosiddetta ‘Madre di Apis’, una vacca sacra, mummificata e sepolta
con tutti gli onori. Quando fu rinvenuta nel febbraio del 1969, si
credette fosse una riproduzione della ‘Madre di Apis’ in legno e cartonnage. I raggi X hanno rivelato, invece, che al suo interno ci sono
resti di una vacca, compreso il cranio. Il corpo, tuttavia, è perlopiù
ligneo con alcuni resti dell’animale.
Mummia di mucca, Madre di Apis. Museo del
Cairo (in alto).
Iside, Madre di Apis. Brooklyn Museum (a
destra).
Il culto degli animali è esistito in Egitto sin dal Periodo Protodinastico, godendo di un interesse sempre maggiore nel corso della
storia. La ragione della proliferazione di questi culti tra il Periodo
Tardo e quello Greco-romano non è chiara. Forse questi cominciarono come una specie di mimesi religiosa arcaizzante, così come era
molto diffusa in questo periodo l’imitazione dell’arte arcaica. Gli
autori classici si sono interrogati molto sulla stranezza dell’ossessione degli Egizi per gli animali e la loro manifestazione divina. La
popolarità di questi culti aumentò significativamente nel Periodo
Tolemaico (332-30 a.C.) e Romano, sino al 379 quando l’imperatore
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Teodosio fece chiudere i templi. L’imperatore Onorio, invece, fece
radere al suolo il Serapeo.
Una caratteristica importante nel culto degli animali era il loro
potere oracolare: testi ritrovati nei templi indicano l’importanza della natura oracolare del culto. Il toro Buchis, noto come “il Toro che
è in Hermonthis, Signore di Medamud, che è in Tod”, era rinomato
come oracolo. Anche l’ariete di Mendes sembra avesse un ruolo importante come divinità oracolare, dalla XXV Dinastia in poi.
Anche Alessandro il Grande quando giunse in Egitto (332 a.C.)
consultò l’oracolo di Zeus-Ammone, forse a forma di ariete, nell’Oasi di Siwa. Il racconto che ci fa Curzio Rufo su questa vicenda, è
particolarmente interessante poiché ci informa su come si svolgesse
il rito quando veniva interrogato l’oracolo:
«Quando viene richiesto un responso, i sacerdoti lo recano (si
riferisce alla rappresentazione del dio sotto forma di ombelico) sopra
un’imbarcazione dorata, con un gran numero di patere argentee appese
a entrambe le fiancate: lo seguono matrone e fanciulle, salmodiando
una specie di rozzo inno tradizionale, con cui ritengono di propiziarsi
Giove (Zeus-Ammone) perché pronunci un oracolo inequivocabile».
Anche Diodoro (I sec. a.C.) riferisce questa pratica religiosa dicendo che ottanta sacerdoti sostenevano l’effige e, i loro movimenti
e l’ondeggiamento della portantina venivano interpretati come il
responso del dio (XVII, 50, 6). Come attestato dalle numerose raffigurazioni in bassorilievo sui monumenti in Egitto, trasportare l’immagine di una divinità sopra una carretta, che simulava un’imbarcazione dorata chiamata “barca del Sole”, era una pratica religiosa
molto diffusa nel culto egiziano.
Mummie votive
Questa tipologia di mummie animali è la più diffusa. Non è ancora chiaro quale fosse il loro ruolo nei culti egiziani. Tra le varie
ipotesi, alcuni studiosi pensano che essi servissero come offerte votive donate ad una divinità specifica, in modo che le preghiere raggiungessero il dio attraverso l’eternità. Una volta all’anno, durante
feste speciali, animali mummificati venivano portati in processione
e sepolti in massa in catacombe che sarebbero poi state sigillate con
muri di mattoni a secco sino alla successiva celebrazione.
­­­­­21
Queste mummie venivano acquistate dai pellegrini e poste in catacombe. Molte specie di animali furono imbalsamate: gatti, cani,
ibis, pesci, ratti, scarabei, serpenti, coccodrilli, babbuini, bestiame,
ecc. gli autori classici menzionano mummie di leoni a Saqqara; queste furono rinvenute da Alain Zivie nei suoi scavi a Bubasteion.
Un dato importante è che questi animali non ebbero una morte
naturale. Molti gatti, ritrovati mummificati in un recinto consacrato
alla divinità felina Bastet, dea dell’amore, della musica e di ogni piacere sensuale, furono deliberatamente uccisi per essere offerti. Le
radiografie mostrano che essi furono uccisi con la rottura del collo, o
con il fracassamento del cranio. Venivano poi sviscerati e ricoperti di
natron per l’essiccazione, e poi bendati, con l’applicazione di resine
o sulle bende, o, in alcuni casi, sulla mummia stessa. Ibis e babbuini,
sacri a Thot, dio della scrittura e della saggezza, e altri animali, come
i ratti, consacrati a divinità solari, come Horus, furono mummificati,
ma i raggi X non rivelano nulla sulla loro morte.
Sarcofago a forma di Ibis con mummia
al suo interno. Brooklyn Museum.
­­­­­22
Alcuni di questi animali furono posti in bare individuali, oppure in
giare ceramiche (molto comuni per gli ibis) che venivano poi interrate.
Molti ibis sono stati trovati con il collo piegato, e quindi uccisi,
forse, con la rottura delle vertebre. Oppure veniva utilizzato del veleno come metodo per uccidere gli animali da offrire alle divinità.
Sopra, radiografia di una mummia di Ibis.
destra,
mummia didiIbis
delmummia
periodo romano
InAalto,
radiografia
una
di
con
la
corona
atef,
Brooklyn
Museum.
Ibis.
A destra, sarcofago ligneo a forma di
Ibis del periodo romano con la corona
atef, Brooklyn Museum.
Dieter Kessler ha avanzato un’altra ipotesi su cosa fossero queste mummie. Secondo lo studioso non si tratta necessariamente di
offerte votive, ma di animali che avevano vissuto nei recinti sacri dei
templi, lì erano morti ed erano stati consacrati al dio; mummificati
e sepolti nelle catacombe. Ciò spiegherebbe per quale motivo anche
altri animali, che non erano ritenuti manifestazioni divine, fossero
stati mummificati e sepolti in queste catacombe. Tuttavia, molte
mummie votive sono mummie di animali volutamente uccisi.
­­­­­23
Il dio Sobek (in alto il nome
in geroglifico) il cui spirito
trovava sede nei coccodrilli.
In basso, due coccodrilli
mummificati, British Museum.
­­­­­24
Mummie di gatto e radiografia di una di esse
conservate nel British Museum.
Mummie di gatto e radiografia di una di esse
conservate nel British Museum.
Mummie di gatto e radiografia di
una di esse conservate nel British
Museum.
­­­­­25
La dea felina Bastet (a sinistra). In
alto e in basso, particolare di un
papiro satirico del 1150 a.C. circa,
British Museum.
­­­­­26
Martina Filosa
Beset, Baubo e la Gorgone: un confronto
Abstract
Il progetto di ricerca che sto sviluppando nell’ambito del Programma
‘Messaggeri della Conoscenza’ sintetizza il mio interesse per il mondo
greco-romano e per la civiltà egizia. La ricerca verte sul confronto tra
l’iconografia e le principali funzioni antropologiche ed eventualmente
pratiche di tre figure che, a mio avviso, risultano particolarmente interessanti; queste sono Beset, la cosiddetta Baubo e la gorgone Medusa.
Al fine di svolgere un lavoro il più accurato e specifico possibile mi
sono concentrata sull’analisi di una vasta gamma di reperti, cercando
di vagliare al meglio le abbondanti fonti iconografiche. Per quanto riguarda la figura di Beset mi sono concentrata su statuette in terracotta
risalenti all’età imperiale, soffermandomi anche su rappresentazioni di
Bes, suo compagno. Punto di partenza del lavoro di ricerca è l’analisi di
una statuetta presente nella collezione di Aegyptiaca della Università
di Bonn: tale statuetta in terracotta, incompleta, è riconducibile ad un
gruppo che presenta uno schema iconografico alquanto singolare in cui
Bes, plausibilmente, porta sul capo Beset. Per quanto concerne la figura di Baubo ho esaminato statuette in terracotta rinvenute in Egitto
risalenti ad un periodo di tempo che si estende dal III sec a.C. fino al III
d.C.. Per l’analisi della figura della gorgone Medusa, invece, mi sono
soffermata principalmente su rappresentazioni relative alla coroplastica ed alla pittura vascolare realizzate tra l’VIII ed il VII secolo a.C.
in ambiente greco, magno-greco e greco-orientale. Fulcro della ricerca
è la postura che assumono le tre figure femminili: si tratta, infatti, di
donne nude corpulente, sedute con gambe ampiamente divaricate e che
mostrano o si toccano i genitali.
Nel Museo Egizio dell’Università di Bonn è conservata una statuetta in terracotta raffigurante Beset nuda seduta a gambe divarica­­­­­27
te su un supporto che è stato da più studiosi identificato con la parte
terminale della testa di Bes (figg. 1-2). Questo schema iconografico
non è tra i più attestati in relazione alla coppia Bes-Beset, ma, come
vedremo più avanti, è comune nell’ambito delle rappresentazioni
relative ad altre divinità, demoni o figure votive egizie di derivazione greco-orientale. Non si posseggono notizie del percorso che
ha condotto la statuetta a far parte degli oltre tremila oggetti della
collezione di Aegyptiaca del Museo; anche la datazione ed il luogo di
provenienza non sono conosciuti ma, sulla scorta di esemplari simili,
sono convinta possa risalire ad un periodo di tempo compreso tra il
II ed il I sec. a.C. ed essere stata prodotta nell’area del Fayum1. Nello
stato di conservazione attuale – invero severamente compromesso,
in quanto mancante dell’intera sezione inferiore – la statuetta è alta
14,7 cm, larga 8,5 cm e spessa 3,8 cm. Nella sua interezza, secondo
la proposta di ricostruzione avanzata da Andreas Blasius, l’altezza
del gruppo non supererebbe i 32 cm (fig. 3). L’argilla utilizzata per
questo manufatto è molto fine, di colore bruno-rossastro. Il retro,
lavorato molto schematicamente, presenta delle incisioni volte ad
indicare sommariamente la capigliatura a boccoli della donna ed un
ampio foro rotondo per la cottura. Beset, come ricordato, siede nuda
e con le gambe ampiamente divaricate e flesse quasi perpendicolarmente rispetto al piano d’appoggio. Il suo corpo presenta forme
molto morbide e floride: il ventre è particolarmente rigonfio ed i seni
sono piccoli e pendenti. Sulle braccia, sotto i seni e sotto il ventre si
notano delle profonde pieghe. I genitali sono indicati chiaramente
da un solco profondo. Sui capelli, formati da ciocche di boccoli e
suddivisi al centro da una riga, è posta una corona tondeggiante dalla
quale fuoriesce un copricapo composto da cinque piume.
Divinità senza mito, Beset sembra essere stata creata appositamente per essere compagna di Bes. È un modello iconografico già
ben noto all’artigianato del tardo Medio Regno, il quale, tuttavia, si
diffonderà capillarmente solo a partire dal periodo greco-romano e
quasi unicamente nell’ambito della coroplastica. Come Bes, è nana,
corpulenta, ha il viso rotondo ed ampio con naso camuso, incorni-
1 Cfr. Bailey D.M., Catalogue of the Terracottas in the British Museum, Volume
IV, London, The British Museum Press, 2008 - Pl. 18; Perdrizet J., Les terres cuites
grecques d’Égypte de la Collection Fouquet, Nancy, Berger-Levrault, 1921 - Pl. 43,
44; Tran Tam Tinh V., in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae (LIMC),
vol. III (1), s.v. Beset, Zürich, Artemis, 1986 - pp. 112-114.
­­­­­28
ciato da capelli ricci suddivisi in ciocche ben distinte, sormontati
da una corona spessa e rigonfia dalla quale fuoriesce, nella maggior
parte delle rappresentazioni reperibili, un copricapo piumato. Può
serrare la bocca, carnosa, ovvero estrarre la lingua, al pari del suo
compagno. Per quanto concerne le prerogative di questa figura, anche Beset – come Bes – è in prima istanza una divinità benevola
impegnata nella protezione del focolare domestico, ma non esclusivamente. Le funzioni della sua sfera tutelare contemplano, infatti,
la protezione delle donne – nella fattispecie durante la gravidanza
ed il parto –, quella del sonno, delle vicende di guerra, dei morti e
della celebrazione di musica, danza e vino. Nella maggior parte dei
ruoli sopra descritti, i due demoni possono essere accostati a divinità votate alla famiglia quali Hathor e Taweret. Cionondimeno, pur
accertate le grandi affinità tra i due, Bes e Beset sono solo di rado
raffigurati insieme2 (figg. 4-5). Ben più spesso Beset è rappresentata
da sola, in nudità completa ovvero vestita: nel primo caso assumerà
una posa stante frontale, non di rado con le mani poggiate sulle cosce
e talvolta con degli spessi bracciali ad anello; nel secondo, invece,
indosserà il mantello isiaco ornato da un nodo tra i seni. Se vestita,
Beset balla, suona o allatta, solitamente adagiata su di una cesta, un
Bes neonato il quale compare con tutti i suoi peculiari attributi, ivi
compresa la folta barba, nonostante sia ancora, come ricordato, un
lattante3.
Uno schema iconografico in tutto simile a quello che si presume
appartenga al gruppo di Bonn è da segnalare in relazione ad una
terracotta appartenente alla collezione Fouquet (fig. 6). Un uomo
nudo, un pigmeo in questo caso o, più probabilmente, un nano,
regge sulle spalle una donna, nuda anch’essa, la quale assume una
posa paragonabile a quella della Beset di Bonn. La provenienza di
questo gruppo è ignota; risale ad un periodo di tempo compreso tra
il II ed il I secolo a.C. L’altezza complessiva della statuetta è di 38
cm; il suo stato di conservazione è discreto: il braccio sinistro della
donna è caduto e la sua corona è severamente danneggiata. L’uomo,
dotato di un membro evidentemente sovradimensionato, indossa un
panno attorno ai fianchi ed una ghirlanda al collo. Sorregge la donna
2 Cfr. Fjeldhagen M., Catalogue of graeco-roman terracottas from Egypt, Copenhagen, Ny Carlsberg Glyptothek, 1995 - Fig. 63, 64.
3 Cfr. Fischer J., Griechisch – römische Terrakotten aus Ägypten, Tübingen, Wasmuth, 1994; Perdrizet op. cit.
­­­­­29
con entrambe le braccia, spalancate e piegate quasi ad angolo retto.
La donna siede nuda a diretto contatto con la testa dell’uomo: le
sue gambe sono ampiamente divaricate e flesse, con la mano destra
si tocca i genitali, con la sinistra, invece, reggeva presumibilmente
un oggetto non meglio identificato. Le forme del suo corpo sono
floride, il ventre è abbondante ed i seni sodi. Sulla testa indossa una
corona molto spessa, verosimilmente ornata da fiori di loto. Questa
donna è stata da più d’uno studioso identificata con la cosiddetta
Baubo4.
Baubo è un personaggio del mito eleusino, sviluppato sulla scorta
dell’influenza dell’orfismo, che la sostituì a Iambé nell’episodio della
consolazione di Demetra, presente nell’Inno omerico dedicato alla
medesima divinità5. Secondo questo racconto Demetra, arrivata ad
Eleusi alla ricerca di Kore rapita da Ade, riceve l’ospitalità di Dysaule e di sua moglie Baubo. Quest’ultima, compreso lo stato di profonda afflizione in cui si trovava la divinità e cercando di alleviarle
la pena, si siede di fronte a lei, solleva la veste e le mostra i genitali.
L’iconografia di Baubo, tuttavia, è tra le più incerte ed è ancora lungi
dall’essere chiaramente determinata. Le immagini relative all’episodio di Eleusi sono interamente assenti: le rappresentazioni che si è
soliti ricondurre a questa figura mitologica non traducono se non
vagamente ciò che la tradizione letteraria lascia presumere sul mito.
La data recente della costruzione del mito, la sua origine orfica ed
il quadro forzatamente ristretto della sua espansione vanno di pari
passo con la ripartizione cronologica e geografica, ugualmente molto limitata, dei documenti iconografici, e con la loro circoscrizione
ad un solo ambito artistico, ovverosia quello del piccolo artigianato
locale del Fayum. La datazione di questi manufatti non è affatto
semplice da stabilire, fatto salvo il cosiddetto Tipo di Priene, già
costituito nelle sue forme essenziali tra il III ed il II secolo a.C., e che
sembra essere il più antico tra quelli attestati. Tutti gli altri schemi
iconografici si diffondono a partire dal II secolo a.C. fino all’età
imperiale, e si affermano senza sostanziali evoluzioni. Creature puramente locali, uniche nel loro genere e bizzarre, le figurine del tipo
di Priene possono essere ricondotte con un soddisfacente grado di
4 Cfr. Ewigleben C., Götter, Gräber und Grotesken: Tonfiguren aus dem Alltagsleben im römischen Ägypten, Hamburg, Museum für Kunst und Gewerbe Hamburg, 1991; Perdrizet J., op. cit.
5 Cfr. Hom. H. 2, 202.
­­­­­30
sicurezza a Baubo, sia a causa della loro intrinseca natura di rappresentazione antropomorfa degli organi genitali femminili, sia perché
rinvenuti quali ex-voto in un santuario consacrato a Demetra. Si
presume che queste immagini simboliche della sessualità femminile
e della maternità, analoghe a quelle dei phalloi provvisti di gambe e
di ali, possano essere ricondotte agli elementi legati alla sessualità peculiari del culto di Demetra. È in ragione della presenza della scrofa,
animale per eccellenza sacro a Demetra, in relazione ad alcune figurine in terracotta rinvenute in Egitto che è stata assegnata anche a
queste la denominazione di Baubo. D’altra parte, il comportamento
di queste, che riporta alla mente quello delle donne ateniesi alla festa
delle Tesmoforie, la nudità ed il gesto osceno dell’ostentazione dei
genitali possono essere interpretati come elementi narrativi relativi
all’episodio di Baubo all’interno della leggenda eleusina (figg. 8-9).
Questa interpretazione è, tuttavia, revocata in dubbio da più di uno
studioso. Il luogo di produzione di gran parte di questi manufatti,
così come alcuni tratti squisitamente egiziani degli stessi – si vedano
simboli isiaci quali la corona di fiori di loto, il sistro o ancora la stella
– inducono ad interpretare queste figurine come ex-voto dedicati ad
Iside stessa da parte di donne gravide nella speranza di affrontare
un parto tranquillo o di novelle spose desiderose di un matrimonio
fecondo. Ci si chiede, inoltre, se queste statuette non alludano alla
masturbazione femminile. Certo è che nella rappresentazione di una
donna nuda accovacciata a mo’ di rana è da ravvisare un modello
greco, dal momento che terrecotte di questo tipo sono state rinvenute in tombe attiche risalenti al V sec a.C. Si potrebbe trattare,
piuttosto, di una fusione di diversi elementi della vita religiosa dei
due popoli in un unico tipo iconografico creato, come, d’altronde,
l’episodio mitologico, dai Greci d’Egitto imbevuti verosimilmente
di dogmi orfici, come sembrerebbe indicare la presenza della cetra
in alcuni esemplari6, ed oggetto delle tendenze sincretistiche dell’età
tolemaica. Demetra, infatti, era identificata con Iside sin dall’epoca
di Erodoto7 e, nella teologia orfica, ritenuta equivalente alla Magna
Mater. Non è, pertanto, sorprendente che dei discepoli dell’orfismo
abbiano voluto creare una figura mitologica attingendo tratti propri
di Iside, Bastet, Hathor, Ecate e di ulteriori divinità. La questione,
Cfr. Fischer J. op. cit.
Cfr. Hdt. 2, 59. 156.
6
7
­­­­­31
tuttavia, rimane aperta ed è la seguente: al di là dell’Egitto alessandrino, rappresentano queste statuette la Baubo di derivazione orfica
ovvero solamente dei semplici grotteschi amuleti profilattici della
fertilità femminile?
La terza figura alla quale ho rivolto le mie attenzioni è quella che
Wilhelm Heinrich Roscher ha definito “Gorgone arcaica”8, ovverosia la Gorgone le cui rappresentazioni compaiono nell’arte greca tra
l’VIII ed il VI sec. a.C. Non disponiamo di numerose testimonianze
della Gorgone nella postura analizzata in questa sede. Tuttavia, le
poche raffigurazioni di questo tipo meritano una meticolosa analisi,
in quanto rivelano una diversa iconografia sviluppatasi in seno alla
tradizionalmente violenta divinità orientale. Le rappresentazioni di
nostro interesse provengono dalle estreme propaggini occidentali
del mondo greco, ossia dall’Etruria meridionale. Un bronzo di fattura ellenica proveniente dall’Etruria e databile al VII sec. a.C. ci
presenta una Gorgone aggressiva (fig. 9): non ancora assimilata nella
cultura greca, questa non si è spogliata se non in parte del suo abito
orientale, avvertito come minaccioso, a tratti bestiale. La gorgone
è qui affiancata, secondo lo schema della cosiddetta “Mistress of
Animals” (“Signora degli animali”), da due leoni. È accovacciata in
terra con gambe ampiamente divaricate, mostra il proprio sesso ed
ha un seno abbondante che pende morbido. Questa postura, priva di indizi relativi al parto, è evidentemente di origine orientale:
compare, infatti, per la prima volta in Mesopotamia su un sigillo
cilindrico databile al tardo IV millennio a.C. Vi è rappresentata una
figura femminile nuda accovacciata, con gambe divaricate e bocca
spalancata. Al suo fianco sono presenti felini, caprini, cavalli e serpenti9 (fig. 10). Figure di questo genere sono state interpretate da
più studiosi quali fonti di potere sessuale, collegato, verosimilmente,
con la proprietà, innegabilmente femminile, di donare la vita. Illuminante è, a tal proposito, la riflessione di Nanno Marinatos10: secondo l’opinione della studiosa, infatti, la “supersessualità” espressa
da queste figure sta ad indicare un illimitato potenziale femminile, il
quale si rivela, all’uomo che ne è lambito, minaccioso piuttosto che
attraente. Una minaccia, tuttavia, espressa in forma di un esplicito
Cfr. Roscher W.H., Die Gorgonen und Verwandtes, Leipzig, Teubner, 1883.
Si noti che questi animali, ad eccezione dei caprini, compaiono anche in
relazione alla gorgone.
10 Cfr. Marinatos N., The Goddess and the Warrior, London, Routledge, 2000.
8
9
­­­­­32
quanto grottesco invito sessuale. La sessualità espressa dalla gorgone
è, inoltre, ancora più pericolosa e disarmante, dal momento che le
sue fattezze sono spaventose. Queste conducono il nostro sguardo
ancora una volta sulla realtà egizia. Anche un osservatore distratto
potrà notare la sorprendente analogia tra l’iconografia della “Gorgone arcaica” e quella dell’egizio Bes, demone benefico dalle fattezze
terrificanti (figg. 11-12). Entrambi sono, infatti, sempre raffigurati
in posizione frontale: questa situazione, rara tanto nell’arte egizia
quanto in quella greca, sarà da interpretare quale chiaro indizio della
funzione apotropaica di entrambe le figure. Entrambi hanno occhi
sovradimensionati, spalancati e rivolti direttamente all’osservatore.
Il naso è piatto e largo e la lingua è protrusa; la loro bocca, eccezionalmente grande rispetto alle proporzioni del viso, è contratta in un
ghigno quasi animalesco, dal quale spunta una selva di denti e, per
quanto concerne la gorgone, anche quattro zanne. Particolare di non
secondaria importanza è, inoltre, la singolare presenza della barba
nell’iconografia della gorgone, benché questa sia una conclamata
figura femminile. Ancora un aspetto significativo che permette di
accostare la gorgone a Bes è che entrambi sono spesso rappresentati
solo in forma di testa: particolare, questo, estremamente interessante
dal momento che amuleti raffiguranti la testa di Bes si diffondono
in Egitto tra l’VII ed il VII sec. a.C., periodo in cui è segnalata la
presenza dei primi gorgoneia.
In attesa di più approfondite ricerche in merito a questo argomento, posso affermare di essere convinta che le tre figure di cui
finora si è discusso siano espressione di una femminilità atavica, di
certo caratterizzata da una funzione apotropaica, che si manifesta
all’osservatore nell’ostentazione da parte della donna dei propri genitali.
­­­­­33
Appendice iconografica
Figura 1-2: Bes che
sorregge Beset
Argilla bruno-rossastra
Ägyptisches Museum
Bonn, inv. 902
A: 14,7 cm S: 8,5 cm P:
3,8 cm
II-I sec. a.C. (?)
Figura 3: Proposta di ricostruzione
del gruppo di Bonn
Andreas Blasius
A: ca 32
Figura 4: Bes e Beset
Argilla bruno-rossastra
Ny Carlsberger Glyptothek,
Copenhagen, inv. 1688
A: 11,5 cm
­­­­­34
Figura 5: Bes e Beset in un tempio
Figura 6: Pigmeo o nano con
la cosiddetta Baubo sulle
spalle
Argilla bruno-rossastra
Ny Carlsberger Glyptothek,
Copenhagen, inv.1689
A: 9 cm
Argilla bruno-rossastra
Collezione Fouquet
A: 38 cm
II – I sec. a.C.
Figura 7: Cosiddetta Baubo
Figura 8: Cosiddetta Baubo
Argilla bruno-rossastra
Archäologisches Institut,
Tübingen
Tardo ellenismo - prima età
imperiale
A: 9,4 cm L: 9,0 cm S: 4,9 cm
Argilla bruno-rossastra
Albertinum Skulpturensammlung,
Dresden
I sec. a.C. – prima metà I sec. d.C.
A: 6,6 cm L: 6,3 cm S: 3,0 cm
­­­­­35
Figura 9: Gorgone
Rilievo bronzeo
Antikensammlung,
München
Ca. 530 a.C.
Figura 10: „Mistress of
Animals“
Sigillo cilindrico
(decorazione riprodotta
in piano)
Fine del IV millennio a.C.
Figura 11: Amuleto in forma di
testa di Bes
Museo Egizio, Il Cairo
VIII sec. a.C.
A: 7,8 cm
Figura 12: Gorgone
Piatto in argilla
Antikensammlung München, inv. 8760
Ca. 560 v. Chr.
­­­­­36
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Chiara Palladino
“Muovere i primi passi”:
una nuova terracotta nel Museo Egizio di Bonn
Le terrecotte dell’Egitto grecoromano sono un prodotto artistico estremamente peculiare: dotate tutte di caratteristiche comuni,
che ne fanno quasi un gruppo a sé, esse costituiscono “l’altro lato”
dell’arte egiziana, quello che, al di fuori dell’ufficialità e del fasto dei
templi e dei palazzi, si sviluppa nei piccoli centri provinciali, nelle
case delle persone comuni e nel così poco conosciuto (e spesso trascurato) spazio della vita quotidiana.
Determinate caratteristiche stilistiche e materiali rendono queste
statuine facilmente riconoscibili: piccole dimensioni, fattura grossolana, terracotta tendenzialmente rosso-scura, temi ispirati alla vita
quotidiana o alla religione popolare. Alcune di esse presentano tracce di policromia.
Queste figure provengono tutte, verosimilmente, da officine della “chora”, la provincia egiziana dell’età imperiale. Per una convenzione invalsa a inizio Novecento, vengono genericamente raggruppate sotto la denominazione di “Terrecotte del Fayum”, in quanto il
Fayum era meta privilegiata di antiquari e commercianti esteri che
intendevano acquistarvi oggetti di terracotta.
La maggior parte di quelle provenienti dalle collezioni più note
è frutto di scavi clandestini o del commercio antiquario, dunque
difficilmente è possibile ricavare dati sulla loro origine, e anche la
cronologia può essere indicata solo approssimativamente fra il I e
il III secolo d.C. Il contesto di provenienza, tuttavia, è prevalentemente domestico, da case, kôm, ovvero santuari, decisamente non
nelle tombe, come ebbe occasione di constatare di persona il grande
antiquario Fouquet, che nel corso della sua carriera mise insieme
una delle prime grandi collezioni di terrecotte greco-egizie.
È molto probabile che queste statuine fossero parte dell’arredamento domestico, con quale funzione non sappiamo. Le terrecotte greco egizie sono in gran parte un territorio inesplorato, fatta
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eccezione per i monumentali studi d’insieme scaturiti dalle grandi
collezioni nel secolo scorso. Eppure, la loro iconografia consente
di ricostruire interessanti particolari della vita quotidiana delle comunità greco-romane che abitavano le province dell’antico Egitto,
quelle più lontane dalle grandi capitali e più a diretto contatto, forse,
con la parte indigena. Il risultato di questa mescolanza è un prodotto artistico “ibrido”, in cui, se pure prevale decisamente lo stile
greco-romano o ellenistico (anche se in una rozza fattura), i temi
sentono l’influenza di un sincretismo culturale che tende ad assimilare, rielaborare e far proprie alcune caratteristiche del background
egiziano. Ne sono un esempio alcuni temi ricorrenti: le varie statuine
grottesche raffiguranti Bes ovvero Beset con funzione apotropaica,
la figura di Iside nelle sue diverse declinazioni, Arpocrate (una rielaborazione grecoromana di Horus bambino), e molto altro. Queste
figure ibride occupavano un posto nella vita quotidiana e nelle case
delle comunità provinciali, e molto dev’essere ancora chiarito sulla
loro funzione anche simbolica.
In mezzo ai vari temi ricorrenti delle terrecotte “del Fayum”,
anche Paul Perdrizet rimaneva colpito dalla notevole frequenza di
raffigurazioni della maternità e dell’infanzia, ivi compresi anche
gli amuleti specificamente dedicati alla loro protezione (fra cui, ad
esempio, la celebre Isis lactans). Un gran numero di bambini, rappresentati nelle pose e nelle situazioni più varie, dal gioco alla nascita dei denti da latte, esprimevano, secondo Perdrizet, l’importanza
fondamentale che aveva in Egitto la fertilità: l’attenzione e la preoccupazione per ogni stadio dello sviluppo del bambino si riflettono
in queste statue in terracotta, e affondano le radici in una tradizione
antica, le cui implicazioni simboliche non sono del tutto chiare, ma
che, in questo caso, unisce sincretisticamente caratteristiche tipiche
dell’antico Egitto e del mondo greco-romano.
Nel 2013, l’antiquaria e fotografa Annemarie Mueller-Feldmann
ha donato al Museo Egizio di Bonn un’ampia collezione di manufatti
egizi: vi sono inclusi oggetti della più varia estrazione e provenienza,
nonché un centinaio di amuleti in forma di scarabeo, e una piccola
collezione, quasi un gruppo a sé, di oggetti in terracotta, di chiaro
stile greco-romano e di origine, come sempre, ignota. Frau MuellerFeldmann e suo marito, l’egittologo Hellmut Mueller-Feldmann,
avevano messo insieme questo materiale nel corso della loro vita,
grazie alla gestione di un negozio di antiquariato a Bad Neuenhar e
ai numerosi viaggi in Egitto ed Israele.
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Nella collezione è inclusa, e tuttora esposta nel Museo Egizio, una
statuina in terracotta in condizione estremamente frammentaria, che
si può osservare esposta nella prima vetrina a destra all’entrata.
Il frammento misura all’incirca 5 cm. Il materiale è una terracotta
di colore bruno-rosato, con lievi tracce di colore chiaro (bianco o
rosa) sulla parte posteriore e inferiore. La provenienza è ignota.
Il frammento rappresenta un busto, vestito di una tunica e con
una medaglia rotonda pendente sul petto. La testa e tutta la parte
inferiore del corpo, dal bacino in giù, sono perdute. La spalla destra
è leggermente inclinata, entrambe le braccia si appoggiano a una
sbarra orizzontale. Sul retro, è possibile vedere che la tunica è raffigurata alzata sul bacino e legata in un nodo al di sopra delle natiche.
Il peso del corpo è quasi interamente appoggiato sulle braccia,
per cui la schiena è leggermente piegata in avanti.
La figura si trova in uno stato frammentario pressocché disperato, poiché mancano sia la testa sia la parte inferiore, e questo ne ha
finora impedito l’identificazione. A prima vista, potrebbe dirsi una
figura grottesca, forse un Satiro: la posizione e la tunica rialzata sulle
natiche sembrerebbero suggerire una figura comica. Tuttavia, un’accurata ricerca fra le terrecotte dell’Egitto greco-romano ha portato a
una soluzione dell’enigma davvero inaspettata.
La terracotta del Museo Egizio, Collezione Mueller-Feldmann
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L’indagine delle più famose collezioni ha fatto infatti emergere
l’esistenza di tre esemplari in terracotta inconfutabilmente
riconducibili allo stesso tipo di quella bonnense: si tratta di British
Museum n. 1996,0712.2, Perdrizet n. I 57, e Breccia n. 227. Le tre
statuine, in particolare quella del British Museum, sono fortunatamente ben conservate, e consentono di identificare la nostra figura.
La piccola terracotta rappresenta infatti un bambino di due o tre
anni che si appoggia a un rudimentale macchinario a tre ruote, nel
tentativo di compiere i primi passi.
La veste allacciata sulla schiena al di sopra delle natiche va intesa
come una misura di sicurezza per evitare che il bambino inciampi,
ed è comune a tutte queste figure.
British Museum,
online database,
1996,0712.2
Di nessuna delle terracotte è accertato il luogo di ritrovamento,
tranne per quella del Perdrizet, che sembrerebbe provenire proprio
dal Fayum. Il periodo, sulla base della pettinatura del bambino, è
probabilmente da circoscrivere fra il I e II secolo d.C. Nell’esemplare del British Museum sono ben visibili tracce di colore chiaro
(bianco o rosa) sulle pieghe della tunica e nella parte posteriore.
In due delle terrecotte superstiti (a eccezione di quella del Breccia che è priva della testa) è visibile il viso del bambino, che porta
una pettinatura intrecciata, una versione greco-romana della singola
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Breccia, Terrecotte figurate greche e greco-egizie del Museo di Alessandria,
Bergamo 1934, 227
treccia tipicamente egizia: ciò permette di identificarlo probabilmente come un maschio. La medaglia rotonda, inoltre, è certamente
una bulla, un vero e proprio amuleto con funzione protettiva e tipico
dei bambini maschi romani: esso segnalava, e insieme preservava,
lo stato infantile e la purezza del piccolo, fino al momento in cui,
raggiunta la maggiore età ed assunta la toga virilis, questi non lo
consacrava ai Lari.
Perdrizet, Les terres
cuites Grecques
d’Egypte de la
collection Fouquet,
1921, I 57
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Resta da compiere un’analisi in merito a questa iconografia specifica. Nel breve commento a questa terracotta, il Perdrizet annotava
che nell’Egitto contemporaneo persisteva ancora l’usanza di facilitare
i primi passi dei bambini con “girelli” a tre ruote molto simili a quello
della statuina, chiamati in arabo machayan (il commento contiene anche un disegno di questo rudimentale oggetto). Questo uso non è stato
ancora esaurientemente studiato, e non esiste ad oggi nemmeno un
modo univoco per definire questo attrezzo (“girello”, “walking machine”, “chariot d’enfant”, “Laufgitter”, ecc): per evitare confusione,
qui useremo il termine latino, comprensibile a tutti, “sustentaculum”.
La scena dei “primi passi” non è nota, però, soltanto da queste
statuette in terracotta. Essa appare infatti in qualche modo tipica
delle rappresentazioni a tema infantile nell’arte greca e romana: la
più antica nota è costituita addirittura da una chous di V secolo a.C.
rinvenuta in Magna Grecia e conservata al Louvre; qui è raffigurato
Dioniso bambino che compie i primi passi con un girello a tre ruote, affiancato da una donna (forse una menade) che lo assiste come
nutrice. Le Choes, piccole brocche da vino, erano in effetti caratteristiche dei festeggiamenti che avvenivano tipicamente nel secondo
giorno delle Antesterie (che da esse prendeva il nome): celebrato
intorno all’undici del mese Antesterion (fra Febbraio e Marzo), esso prevedeva anche un vero e proprio “rito di iniziazione” per i
bambini che avevano raggiunto l’età dei tre anni, che ricevevano il
loro primo assaggio del vino nuovo, e facevano così il loro ingresso
ufficiale nella comunità. In ricordo di questo evento, ai bambini venivano regalate piccole brocche decorate spesso con temi infantili,
ispirati alla vita di Dionisio.
Van Hoorn, Choes
and Anthesteria,
Leiden 1985, p.
173 n. 855
­­­­­45
Altri due importanti esempi di questa iconografia sono noti da
due sarcofagi di età flavia: qui, la scena dei “primi passi” entra a far
parte della sequenza in bassorilievo che illustra le varie fasi della vita
del defunto. Nel primo caso, si tratta proprio del sarcofago di un
bambino; nel secondo, invece, di un adulto di cui venivano illustrati
i momenti più salienti della vita, dall’educazione alla carriera politica. Occorre tuttavia desistere dalla tentazione di interpretare questa
sequenza come una vera e propria “biografia”: la rappresentazione
ha piuttosto funzione emblematica e topica, in quanto comprende le
scene tipiche dell’educazione e della vita quotidiana di un Romano
“cui premeva rivendicare il proprio status sociale collegato alla sua
ingenuitas” (L. Musso in Giuliano, p. 476).
Giuliano, Museo Nazionale Romano: Le sculture, 1981, I 55
Giuliano, 1985, IX 3
L’esistenza di raffigurazioni greco-romane di questa scena (fra cui
una addirittura del V secolo a.C.), ci consente di ipotizzare con una
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certa sicurezza che l’uso del “sustentaculum” fosse stato esportato
in Egitto dai suoi nuovi dominatori greci e romani.
Questo peculiare girello, d’altra parte, è anche attestato nei trattati di medicina e anatomia: nel mondo grecoromano vi era infatti
grande preoccupazione per le primissime fasi dello sviluppo infantile, e l’uso del “sustentaculum” sembrerebbe doversi ricollegare alla
prassi di stringere gli arti del bambino in fasce per i primi due anni
di vita, in modo da prevenire eventuali malformazioni. Per questo,
i primi passi dovevano avvenire in modo molto graduale, e a un’età
piuttosto avanzata, ossia dai tre anni in su. Sorano d’Efeso, che esercitò anche ad Alessandria d’Egitto, raccomanda esplicitamente l’uso di un “sustentaculum” (diphros hypotrochon), nonché di speciali
sedie per bambini, per favorire il corretto sviluppo (Gyn. 2, 45). Il
“girello”, dunque, faceva parte delle normali fasi della crescita – in
un certo senso, alla più decisiva. Conseguentemente, esso era ben
rappresentativo del tema dell’infanzia, ed è così facile spiegare la
sua presenza nelle sequenze biografiche dei sarcofagi romani. Può
ritenersi, dunque, da scartare l’ipotesi che queste raffigurazioni presentino bambini più grandi con malformazioni dovute a polio o a
paraplegia.
Una notevolissima – ed unica – rassegna dell’iconografia del “sustentaculum” si può trovare nel capitolo dedicato a questo tema da
Erika Langmuir nel libro Imagining Childhood (Yale 2006, cap. 5:
“The first steps and the baby-walker”). Qui viene proposto un percorso attraverso le rappresentazioni dei bambini con “sustentaculum” dall’antichità all’età moderna, e dimostra così come questa specifica iconografia dei “primi passi” abbia avuto un valore simbolico
profondo fin dall’antichità, e soprattutto durante il Medioevo: essa
infatti appare implicitamente collegata alla nozione simbolica delle
“età dell’uomo” (un concetto antichissimo, che si ricollega al famigerato enigma della Sfinge), e questa connessione diviene evidente
nelle rappresentazioni medievali a tema religioso cristiano, in cui il
“sustentaculum” diventa anche metafora della fragilità dell’uomo e
della sua necessità di un sostegno.
Altri esempi di arte a tema infantile hanno, nell’antichità, valore
simbolico: ad esempio, alcuni ex voto rappresentanti scarpine sono
stati trovati nel santuario del Divino Amore a Roma, ed è probabile che
esprimessero gratitudine proprio per i primi passi compiuti dal bambino; e si è già accennato, d’altra parte, alla simbologia che presentano le
raffigurazioni relative all’allattamento in tutto l’Egitto greco-romano.
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Alla luce di questi elementi, sarebbe impossibile definire con
certezza la funzione delle nostre terracotte: potrebbero essere semplicemente giocattoli, ovvero avere una funzione amuletica, apotropaica o votiva, proprio finalizzata alla buona riuscita di una fase così
delicata della crescita del bambino. È significativo, comunque, che
le quattro statuine che possediamo abbiano caratteristiche talmente
simili da far sospettare la stessa provenienza, e forse addirittura una
stessa produzione “standardizzata”.
Vi è di questo, d’altra parte, una conferma “indiretta”: è noto un
esemplare del Louvre che sembrerebbe rappresentare la stessa scena
(il “sustentaculum”, però, è perduto), ma l’iconografia del bambino
è notevolmente diversa: indossa una mantella che lascia scoperta la
parte davanti del corpo, ma sempre con il caratteristico “nodo” al di
sopra delle natiche, e un cappuccio che copre una parte della testa,
nascondendo i capelli e quindi celando la pettinatura. Ciò induce
a pensare all’esistenza di una diversa tipologia di rappresentazione
dello stesso tema, e forse con la stessa funzione, e fa pensare che
le statuette che hanno caratteristiche analoghe provengano da una
medesima area di fabbricazione.
Dunand,
Catalogue des
terres cuites
gréco-romaines
d’Egypte, Musée
du Louvre,
Paris 1990, 770
Comunque, è chiaro che queste terracotte offrono uno scorcio
unico sulla vita quotidiana dell’Egitto greco-romano, tanto più che
si tratta di scene ispirate all’infanzia e alle fasi della crescita infan­­­­­48
tile. Purtroppo non siamo in grado di decifrarne la funzione, né di
sapere l’importanza che queste figure avevano nell’antichità, tuttavia
si può trarre almeno una breve conclusione: il sustentaculum, come
elemento tipicamente greco-romano della cura infantile, è stato certamente esportato in Egitto dai suoi nuovi dominatori, e non solo
è rimasto in uso presso le comunità provinciali, ma sembrerebbe
essere stato assimilato in modo talmente profondo da perdurare,
stando al Perdrizet, addirittura fino all’età moderna.
Dunque, contrariamente a quanto riteneva il Breccia, che ascriveva a un’influenza egiziana la “rozzezza” di quest’arte provinciale,
queste statuine sono grecoromane in stile ed iconografia, e sono perfino uniche, nella loro capacità di offrire un elemento storico-sociale
in più allo studio delle interazioni culturali nell’Egitto dell’età imperiale.
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