S AN
D OMENICO
Caleruega ca.1174
Bologna 6 agosto 1221
Domenico è un santo poco conosciuto.
La ragione è semplice: non è un convertito; la sua vita non presenta svolte
spettacolari; il suo itinerario verso la
santità è normale, all’ombra del suo
vescovo prima, di un altro vescovo poi,
in dialogo con la curia romana e due
papi.
Si ritrovò fondatore di un Ordine - i
Frati Predicatori o Domenicani - non
grazie a una folgorazione iniziale, ma
lasciandosi guidare dalle circostanze
che via via gli rivelarono la nuova situazione degli uomini e ciò che lo Spirito stava suscitando per un rinnovato
annuncio del Vangelo.
Addirittura «furono altri a prendere
quasi tutte le decisioni fondamentali
che segnarono la sua vita e ne determinarono l’influsso sul mondo» (Simon
Tugwell o.p.).
www.edizionistudiodomenicano.it
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ANONIMO sec. XIII,
San Domenico
(particolare;
l’intero alla pagina precedente).
Affresco aula capitolare.
Convento S. Domenico,
Bologna
DALL’INFANZIA
DAI
ALLA GIOVINEZZA
SOGNI DELLA MADRE ALLA VENDITA DEI LIBRI
Non conosciamo la data esatta di nascita di san Domenico. Gli studi più recenti la
collocano verso il 1174 a Caleruega (Castiglia, Spagna).
I genitori furono Felice e Giovanna. Ebbe un fratello prete e un altro, Mamès, che
lo seguì nell’Ordine. La madre era «tutta compassione verso i poveri e i sofferenti»
e trasmise al figlio questa «intensa misericordia / viscera pietatis» (Rodrigo Cerrato,
Vita S. Dominici, p. 778).
Prima della nascita, la madre sognò il figlio come un cagnolino con una fiaccola
ardente e «come se avesse in fronte una luna», immagini che lo prefiguravano come
«dato in luce alle genti» (Giordano 5.9).*
In ogni caso il piccolo Domenico era «di indole molto buona», giovane di età ma
anziano «per la maturità della vita e la saldezza dei costumi». Da subito cominciò a
«camminare per una via immacolata» e «conservò illibato sino alla fine lo splendore della sua verginità» (Giordano 8).
I genitori, quasi scegliendo per lui una formazione clericale a cui Domenico non
oppose resistenza, lo fecero istruire innanzitutto nelle discipline ecclesiastiche da
uno zio arciprete «perché già bambino si imbevesse del profumo di santità»
(Giordano 5).
Fu poi inviato all’università di Palencia. Qui abbreviò gli studi profani per dedicarsi alla teologia e in occasione di una carestia vendette i libri - erano di pergamena e
costavano cari - per aiutare i poveri «distribuendo così tutto il suo» (Giordano 10):
come gli aveva insegnato la madre!
* Giordano = “Libellus” sull’inizio dell’Ordine dei Frati Predicatori.
Manoscritto di Fra BARTOLOMEO DA MODENA, Vita de li Frati Predicatori (1470).
Preghiera di san Domenico dinanzi all’altare.
Archivio Convento di S. Domenico, Bologna
OSMA: LA
VITA COMUNE E LA PREGHIERA
Martino, vescovo di Osma, forse su segnalazione di Diego priore del capitolo
canonicale, verso il 1197/8 prese contatti con il giovane studente Domenico per
aggregarlo ai canonici regolari della cattedrale: era un modo di vivere intorno al
vescovo come gli apostoli intorno al Signore Gesù per favorire lo spirito sacerdotale e la riforma del clero.
Domenico svolse le funzioni di sacrista e di sottopriore, impensabili per un laico:
dunque con tutta probabilità fu ordinato sacerdote al momento della sua cooptazione tra i canonici regolari.
A Osma Domenico sperimentò per la prima volta una forma di vita comune clericale
e forse anche una moderata azione apostolica.
A Osma soprattutto Domenico «consumava la chiesa notte e giorno, attendendo
senza interruzione alla preghiera; aveva l’abitudine di passare la notte in orazione e,
a porte chiuse, di pregare il Padre (Mt 6,6)», abitudine che lo accompagnò per
tutta la vita. Poiché piangeva «per i peccatori, per gli infelici, per gli afflitti»
(Giordano 12-13), pregando chiedeva a Dio la carità per dedicarsi alla salvezza
degli uomini, come il Signore Gesù che per questo offrì tutto se stesso. In lui già si
formava l’apostolo.
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I CATARI: PREDICARE
CON LA POVERTÀ E CON LE DISPUTE
Il vescovo di Osma Martino morì e gli successe Diego, il priore del capitolo dei
canonici e grande estimatore di Domenico.
Nel 1203/4 il vescovo Diego si recò in Danimarca per concordare il matrimonio
del figlio del re di Castiglia, portando con sé Domenico.
Viaggiando in territorio francese, Domenico venne a contatto con l’eresia dei catari, i
quali sostenevano un duplice principio creatore del bene e del male. Il male poi era
la materia, per cui evitavano di cibarsi di quanto derivava dalla carne, sostenevano
che il corpo di Cristo era una apparenza, non riconoscevano il suo sacrificio e
costituivano una chiesa parallela.
Una notte nel territorio di Tolosa il corteo episcopale pernottò in una locanda
gestita da un oste eretico. Domenico dopo una lunga discussione «riuscì con
l’aiuto dello Spirito di Dio» a convertirlo: fu la prima fatica apostolica del santo,
mosso da «molta compassione del cuore per tante anime così miseramente illuse»
(Giordano 15).
Il vescovo Diego e Domenico con lui avrebbero voluto dedicarsi alla predicazione
apostolica per la conversione dei Cumani (pagani del nord), ma il papa Innocenzo III
ingiunse a Diego di tornare in diocesi.
Nel viaggio di ritorno, a Montpellier, Diego si incontrò con una legazione papale che
predicava la conversione degli eretici. Visto il ricco apparato, esclamò: «Non così, o
fratelli!» e, «come se fosse invasato dallo Spirito del Signore (1Re 10,10)», rimandò a
casa cavalcature e bagagli, trattenendo solo i libri necessari per la predicazione e la
preghiera. Gli altri fecero altrettanto e «a piedi, senza denaro, in povertà volontaria,
cominciarono ad annunziare la fede» (Giordano 20-22). Era nata la predicazione in
povertà, nella quale Domenico si inserì seguendo il suo vescovo.
Con il tempo il gruppo si sciolse e anche Diego dovette tornare a Osma, dove morì
il 30.12.1207.
A parte qualche viaggio a Osma, Domenico rimase poco meno di dieci anni «a predicare in quelle regioni quasi da solo» (Giordano 37).
È di questo periodo uno dei tre scritti di Domenico rimastici: la Riconciliazione dell’eretico Ponzio Rogerio, al quale impose l’astinenza da carni, uova e latticini per
tutto l’anno - era la dieta che praticava da eretico! -, con l’ingiunzione però di mangiarne a Natale, a Pasqua e a Pentecoste «a rinnegamento del primitivo errore».
Con questo provvedimento, Domenico lasciava trasparire la sua cura che l’esatta
dottrina orientasse la vita.
La predicazione comprendeva anche la disputa, un confronto con gli eretici organizzato dalle autorità locali, e Domenico vi partecipò a suo rischio.
ODOARDO FIALETTI († 1638), Miracolo del libro respinto
dalle fiamme. Basilica dei SS. Giovanni e Paolo, Venezia
Secondo Giordano 25 il miracolo avvenne a Fanjeaux nel 1207 in un pubblico dibattito.
Poiché i giudici erano perplessi, rinunciarono a ragionare e gettarono al fuoco gli scritti
degli eretici e di Domenico: il fuoco respinse lo scritto di Domenico, che risultò vincitore.
Data la spettacolarità della scena, narratori e pittori se ne impossessarono subito.
Da testimonianze più accurate sembra che invece si trattò di un tentativo degli eretici di
bruciare uno scritto consegnato loro da Domenico e che venne respinto dal fuoco: sempre un miracolo, ma più ragionevole che lasciare al fuoco la decisione!
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ANONIMO sec. XIV, Frati sotto il manto
della Madonna. Affresco.
Convento S. Domenico, Bologna
UN
GUIDO RENI († 1642), Gloria di san Domenico. Cappella S. Domenico, Bologna
DAL CARISMA DI DOMENICO A UNA COMUNITÀ DI PREDICATORI
La fedeltà e la perseveranza di Domenico che rimase a predicare “quasi da solo”
furono premiate e attorno a lui crebbe una comunità. Nel gennaio del 1215 i
tolosani Pietro Seilhan e Tommaso “si donarono” a lui con un voto, donandogli
anche la propria casa. Altri seguirono.
Qualche mese più tardi Folco, vescovo di Tolosa, assegnò al gruppo una chiesa
con l’abitazione, assicurò loro una piccola rendita e istituì «fra Domenico e i suoi
compagni predicatori nella nostra diocesi». Oltre che contrastare le eresie e i vizi, i
predicatori dovevano «insegnare la regola della fede (il Credo) e formare gli
uomini ai buoni costumi».
Papa Onorio III il 22.12.1216 “accolse sotto la sua protezione” la nuova comunità e alcuni vi vedono la prima approvazione dell’Ordine.
Anche a causa di eventi locali sfavorevoli, «dopo aver invocato lo Spirito Santo»
nel 1217 Domenico decise di «mandare i frati per il mondo (Spagna e Parigi)
nonostante fossero pochi» (Giordano 47). Fu l’inizio della crescita dell’Ordine.
A chi si opponeva e ai frati che non capivano, Domenico - l’unica volta in vita
sua - si impose con un: «Non contradditemi: so bene quello che faccio» (PB 26).*
*PB = Processo di Bologna per la canonizzazione di san Domenico.
ORDINE CHE SI ORGANIZZA : LE
COSTITUZIONI
PRIMITIVE
Domenico non fu un capo carismatico come si intende oggi. Piuttosto seppe valorizzare i frati, diede loro fiducia e si sottomise alle loro decisioni.
Così la sua figura emerge in filigrana nel “lavoro di squadra”, in particolare nelle
Costituzioni, delle quali i frati dovettero dotarsi lavorando su di esse nei Capitoli di
Bologna del 1220 e 1221 e nel Capitolo di Parigi del 1228. Anche se non tutti i
testi sono suoi, nelle Costituzioni primitive c’è tutto Domenico e il vero Domenico.
La dichiarazione fondante è che «il nostro Ordine è stato istituito fin dal suo
inizio per la predicazione e la salvezza delle anime» (Prologo).
In un quadro di osservanze tradizionali (digiuno, astinenza, silenzio, ufficio divino
ecc.), emergono elementi nuovi in vista dello studio e della predicazione: l’ufficiatura
corale è breve e svelta per non impedire lo studio (I,4), i novizi leggano e meditino
sempre qualcosa (I,13), si istituisce il nuovo incarico del maestro degli studenti
(II,28), per fondare un convento ci vuole un priore e un “dottore” o maestro
(II,23), vanno favoriti i frati che hanno la “grazia della predicazione” e si emanano
norme per i predicatori (II,20.31), nessuna legge è definitiva se non dopo essere
stata approvata da tre Capitoli nei quali i definitori hanno pieni poteri (II,6-8) ecc.
Soprattutto l’elezione dei superiori e le grandi decisioni “a maggioranza” sintonizzano l’Ordine sulla nascente democrazia dei Comuni.
Invano Domenico desiderava che l’amministrazione fosse affidata ai frati conversi
(non sacerdoti) per lasciare gli altri più liberi di studiare e predicare: i frati non
accettarono (PB 26) e Domenico lasciò perdere.
In compenso voleva che i frati «parlassero sempre con Dio o di Dio» e questo fu
inserito nelle Costituzioni proprio riguardo ai predicatori (II,31).
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Vero volto di S. Domenico.
Ricostruzione di Carlo Pini del 1946 dai
risultati di uno studio sul cranio del santo di
un gruppo di professori bolognesi.
Cappella di S. Domenico, Bologna
«Il beato Domenico aveva questo aspetto:
era di media statura ed esile di corpo;
aveva un bel viso e la carnagione
un tantino rosea;
i capelli e la barba tendevano al rosso;
gli occhi erano belli.
Dalla sua fronte e di fra le ciglia
irradiava un certo splendore
che a tutti ispirava rispetto e simpatia.
Si mostrava sempre sereno e sorridente,
tranne quando era addolorato
per qualche angustia del prossimo.
Aveva lunghe e belle mani
e una voce forte e armoniosa.
Non fu mai calvo, ma la corona dei suoi capelli era completa,
cosparsa soltanto di qualche filo bianco» (Cecilia, I miracoli del beato Domenico 15).
DOMENICO, LE
MONACHE E LE DONNE
La descrizione di san Domenico è di una giovanissima monaca. Suor Cecilia
Cesarini a Roma «aveva ricevuto l’abito religioso dalle mani dello stesso beato
Domenico» (Cecilia, Prologo): lei contava 17/20 anni e lui era sulla cinquantina.
Domenico dal 1219 al 1221 per incarico del papa Onorio III radunò a S. Sisto in
Roma le monache di monasteri in decadenza, dando loro una regola e un nuovo
impulso. Cecilia apparteneva a queste monache e dopo la morte del santo nel
1223 fu trasferita a Bologna per animare il nuovo monastero di S. Agnese, dove
morì nel 1290, non senza prima aver dettato a una consorella i suoi ricordi sul
ministero romano di san Domenico.
Oltre ai miracoli, dal suo racconto apprendiamo che Domenico, dopo aver lavorato tutto il giorno, alla sera veniva dalle monache «e alla presenza dei frati teneva un sermone istruendole sull’Ordine, poiché allora non avevano altro maestro
che lui» (Cecilia 6). Ed arrivava anche a impensabili gesti delicati come quando,
«tornando dalla Spagna, aveva portato quale pio regalo per ogni monaca un cucchiaio di legno di cipresso» (Cecilia 10).
Già è stato evocato il monastero di S. Agnese in Bologna, voluto da Diana di
Andalò, che nel 1219 nelle mani di san Domenico aveva fatto voto di monacarsi,
non senza aver prima favorito presso i parenti l’acquisto del terreno per il convento dei frati.
All’inizio del ministero nel tolosano, dal 1206 in avanti, a Prouilhe Domenico
convertì alcune donne catare “perfette” che continuarono la loro vita di ascesi
come monache sotto la sua direzione.
Nel 1218 fondò un monastero a Madrid, inviando nel 1220 una lettera alle
monache. Ecco alcune delle sue esortazioni:
«Molto ci rallegriamo, e ne rendiamo grazie a Dio, per il vostro impegno
a condurre una vita santa e per avervi Dio sottratte ai miasmi di questo
mondo. Combattete instancabilmente, o figlie, col digiuno e con le preghiere contro l’antico avversario, perché non conseguirà la corona della
vittoria se non chi avrà debitamente combattuto.
Voglio che d’ora in poi venga osservato il silenzio nei luoghi in cui è prescritto. Non risparmiatevi nelle penitenze e nelle veglie. Siate obbedienti
alla vostra priora. Non perdetevi in chiacchiere e il vostro tempo non
venga sciupato in pettegolezzi».
Nel ministero tolosano Domenico fu ospitato in varie case e alcune donne si presero
cura di lui, testimoniando più tardi ammirazione, simpatia e tenerezza. Guglielmina «lo credeva vergine» e gli tesseva «la stoffa del cilicio»; inoltre «avendolo
avuto commensale più di duecento volte, non lo vide mai mangiare più di un
quarto di pesce o più di due tuorli d’uovo». Stesse testimonianze in Nogueza e
Beceda, la quale aggiunge che Domenico non dormiva nel letto preparato, per
cui «spesso lo trovava addormentato per terra, tutto scoperto. Allora lei lo copriva, ma quando tornava lo trovava in preghiera» (PT 15-17).*
Sul letto di morte Domenico raccomandò di evitare «la familiarità sospetta con donne specialmente giovani», confidò di aver conservato sempre la castità, ma concluse: «tuttavia confesso di
non essere riuscito a liberarmi da questa imperfezione, che cioè mi toccano di più il cuore i colloqui con donne giovani che non l’intrattenermi
con donne anziane» (Giordano 92).
PROSPERO FONTANA († 1597), Professione di Diana
degli Andalò nelle mani di san Domenico.
Museo Basilica di S. Domenico, Bologna
*PT = Processo di Tolosa per la canonizzazione di san
Domenico.
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San Domenico
(con il giglio
e il libro).
Corale sec. XIII.
Convento
S. Domenico,
Bologna
Cella di san Domenico (restaurata nel dopoguerra).
Luogo dove presumibilmente morì san Domenico.
Convento S. Domenico, Bologna
DOMENICO
GLI
DAL VERO VOLTO AL RITRATTO SPIRITUALE
ULTIMI GIORNI
Al Capitolo del 1220 - il primo raduno dei rappresentanti dei frati per consolidare l’apostolato e la struttura dell’Ordine - Domenico implorò: «Merito di
essere deposto, perché sono inutile e negligente» (PB 33). Era stanco e malato,
ma i frati gli chiesero di continuare.
Dopo il Capitolo dell’anno seguente, Domenico andò a Venezia, dove il card.
Ugolino doveva organizzare una missione per contrastare gli eretici dell’Italia
settentrionale, ma «verso la fine del mese di luglio ritornò (a Bologna) sfinito per
il gran caldo» (PB 7) e si ammalò gravemente.
Durante l’agonia, dopo aver pregato con la preghiera sacerdotale di Gesù (Gv 17),
proseguì: «Vi sarò più utile e fruttuoso dopo morto, di quanto non sia stato in
vita» (PB 8) e alla domanda sul luogo del seppellimento, rispose: «Sotto i piedi
dei frati». Spirò mentre i frati pregavano invocando: «Soccorrete Santi di Dio,
accorrete Angeli del Signore, prendete la sua anima e offritela in cospetto dell’Altissimo» (PB 33).
Era il 6 agosto 1221. Il card. Ugolino presiedette le esequie.
Il 24.5.1233 il corpo fu traslato in una sede più dignitosa e, aperto il sepolcro,
«ne uscì un odore forte, soave e dilettevole, di qualità sconosciuta» (PB 34).
San Domenico non fu e non è un “santo dei miracoli”.
Certo, le fonti contemporanee e posteriori ci raccontano i suoi miracoli: la risurrezione di un giovane e di un bambino a Roma, una pioggia diluviante allontanata con un segno di croce, il suo giacere illeso in mezzo alle fiamme per respingere
una prostituta, la comparsa di personaggi celesti a sfamare i frati dopo la sua
preghiera, diverse guarigioni ecc.
Ma «più dei miracoli, c’era in lui qualcosa di più fulgido e magnifico» (Giordano 103)
e cioè il suo carisma, le sue virtù, la sua vita.
Il card. Ugolino di Anagni conobbe di persona
Francesco e Domenico e, divenuto papa con il nome
di Gregorio IX (1227-1241), li canonizzò entrambi.
La Bolla di canonizzazione di san Domenico (Rieti
3.7.1234) afferma che Dio gli diede «la fortezza della
fede e il fervore della divina predicazione». Egli,
«non allontanandosi mai dal ministero e dal magistero della Chiesa militante» e «divenuto un solo spirito
con Dio, generò molti con il Vangelo di Cristo, ottenendo già in terra il nome e l’ufficio di patriarca».
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Per chi lo conobbe, Domenico «aveva una volontà ferma
e sempre lineare e un cuore irremovibile nelle cose che
aveva giudicato secondo Dio ragionevoli a farsi» e
l’equilibrio dell’uomo interiore «si manifestava fuori
nella bontà e nella ilarità del volto» (Giordano 103).
«Di notte nessuno più di lui assiduo nelle veglie e
nelle preghiere, di giorno nessuno più socievole di lui
(nemo communior) con i fratelli, nessuno più allegro»
(Giordano 104-105).
San Domenico «estendeva la sua carità e compassione non solo ai fedeli ma anche
agli infedeli e ai pagani e perfino ai dannati dell’inferno e piangeva molto per essi»
(PB 11). Da qui nacquero l’apostolato e la preghiera notturna espressa nel grido:
«Signore, che ne sarà dei peccatori?» (PT 18).
Tutto questo mantenendo l’assiduità del contatto con le Scritture, l’adesione alla
sana dottrina (p. 4) e un buon rapporto con la Chiesa istituzionale.
San Domenico fu soprattutto un «umile ministro della predicazione / Predicationis
humilis minister», come si firmò all’inizio del 1215.
Il Vaticano II ha ricordato che «il popolo di Dio viene adunato innanzitutto per
mezzo della parola del Dio vivente» (Presbyterorum Ordinis 4). La predicazione si
era diradata e Domenico ebbe il dono di riportarla alla luce. Se iniziò a predicare
in funzione antieretica e desiderò evangelizzare popolazioni pagane (PB 12, 32),
di fatto il suo ministero si estese a tutto il popolo fedele, come a Bologna quando
predicava «agli studenti e alle altre persone buone» (PB 36).
In san Domenico la Parola maturò nei Sacramenti.
“Predicazione / Confessione” (PB 33): san Domenico si confessava e confessava
gli altri consolandoli e fortificandoli (PB 5, 39, 46, 48, 36-37).
San Domenico celebrava - cantava - la Messa tutti i giorni e quando poteva anche
in viaggio, versando abbondanti lacrime durante il canone e al Padre nostro
(Giordano 105; Cecilia 2; PB 3, 21, 38, 42, 46). Questo perché la Parola si compie ed è compresa nell’Eucaristia, come insegna il cammino dei due discepoli di
Emmaus (Lc 24,27-31).
Così oggi il sepolcro di
Domenico è un altare
e i frati vi celebrano
l’Eucaristia trovandovi
il santo patriarca, che
«apparve coronato
a un suo discepolo
durante il canone»
(Giordano 126).
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