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LAVORO REALIZZATO DAGLI ALUNNI
DELLE CLASSI IV E V
DEL II CIRCOLO DIDATTICO DI
CAPACCIO
Curato da:
• il Dirigente scolastico: dr.ssa ENRICA PAOLINO
• la Responsabile del progetto “Laboratorio Beni
Culturali”: insegnante BIANCA DI RUOCCO.
In collaborazione con:
i docenti dei plessi scolastici del II Circolo Didattico
di Capaccio
• le esperte esterne:
dr.ssa FRANCESCA LIOTTI
dr.ssa SERENA FALCETANO
•
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Progetto
“Laboratorio dei Beni Culturali”
Capaccio - II Circolo Didattico
“IL NOSTRO TERRITORIO”
CAPACCIO - PAESTUM
Progetto
“Laboratorio dei Beni Culturali”
3
Indice
Prefazione ......................................................................... 5
Introduzione ..................................................................... 8
CENNI STORICI SU CAPACCIO ................................10
VISITA GUIDATA A CAPACCIO CAPOLUOGO .......13
IL SANTUARIO DELLA MADONNA DEL GRANATO22
CAPODIFIUME ...............................................................25
AREA ARCHEOLOGICA DI PAESTUM .......................27
Breve storia di Paestum .............................................27
Visita guidata a Paestum ............................................29
IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI
PAESTUM .........................................................................32
LA BASILICA PALEOCRISTIANA .............................35
VILLA SALATI: LE BUFALARE ...................................38
IL MUSEO NARRANTE DI HERA ARGIVA ALLA
FOCE DEL SELE ..............................................................41
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Prefazione
Nell’esplicitazione della sua opera educativa, la nostra
Istituzione Scolastica, già da diversi anni, con organicità
e sistematicità, ha focalizzato la propria attenzione
conoscitiva sull’ambiente territoriale eleggendolo “luogo
privilegiato” in cui innestare tutta una rete di percorsi
didattici ed educativi finalizzati ad arricchire e
qualificare la propria offerta formativa.
Il territorio si configura, allora, come dimensione in
cui riappropriarsi dell’identità culturale e come “luogo”
con il quale, per comprenderlo pienamente, bisogna
promuovere l’incontro, bisogna “fare amicizia” in un
continuo percorso esplorativo. Una riflessione più
approfondita sulla necessità che la scuola si apra al reale
ed entri in sinergia col territorio, ha permesso di mettere
a punto un modo diverso di affrontare l’ambiente come
laboratorio esterno alla scuola, momento di educazione e
valorizzazione della propria storia. Attraverso le attività
proposte nel Laboratorio Beni Culturali, gli alunni hanno
scoperto il gusto del “narrare l’ambiente”, per leggerlo,
osservarlo, esplorarlo, raccontarlo con tutta la sua
primitiva genuinità e in quella intrinseca vitalità che
gelosamente conserva e che silenziosamente tramanda di
generazione in generazione.
La ricerca d’ambiente è stata quindi finalizzata a
conoscere e scoprire le radici storiche ed il patrimonio
culturale ed archeologico dove i fanciulli vivono, giocano,
studiano, apprendono.
5
Il territorio ha rappresentato, pertanto, per loro, un
“testo” da leggere nella convinzione, maturata in questi
anni di esperienza, che la sua esplorazione e conoscenza
possa aprire alla comprensione di “territori più lontani” e
fornire concretezza agli apprendimenti.
Sul piano più squisitamente metodologico, il progetto
ha innovato il tradizionale modo di considerare l’ambiente:
non
un
contenitore
statico
per
l’osservazione
monodisciplinare di fenomeni di varia matrice, ma un
laboratorio aperto di esplorazione e di ricerca
pluridisciplinare. Il territorio è diventato così contenuto
didattico altamente significativo da cui poter attingere
materia prima necessaria alla formazione ed alla
evoluzione dei processi stessi d’apprendimento: esso è
stato un prezioso “archivio storico-naturale”, in cui i
linguaggi disciplinari si sono ricomposti in discorsi
organici. In quest’ottica l’ambiente circostante, concepito
come “luogo diffuso di scuola parallela”, cosi generoso di
storia, natura e cultura, si è offerto alla ricerca e alla
rivisitazione dei nostri alunni. Il solco progettualeoperativo, in cui essi hanno ricostruito la “sintassi storica”
della loro realtà territoriale, è stato tracciato dai docenti
attenti, autentici mediatori culturali, e da esperti del
settore che, con paziente lavoro di ricerca e di
approfondimento di gruppo, esercitazioni pratiche, visite
guidate, lezioni frontali, ricerche sul campo, hanno saputo
creare un ambiente scuola più motivante, guidando gli
alunni in modalità rielaborative multidisciplinari fino
all’esplicazione conoscitiva di importanti nuclei tematici
che hanno preso forma e consistenza in questa piccola
6
“guida storico-ambientale”, semplice pubblicazione, sì, ma
frutto di un lavoro di collaborazione entusiasmante.
Viva gratitudine esprimo per questo ai docenti per il
diligente lavoro svolto con gli alunni, alle esperte Dott.sse
LIOTTI Francesca e FALCETANO Serena per la
competenza specifica di settore offerta alla nostra
scuola, alla docente referente, Ins. DI RUOCCO Bianca,
per l’opera di coordinamento compiuto e il contributo di
esperienza prestato in questo campo, in cui da tempo è
impegnata con passione e tenacia.
Quello che ci eravamo proposti è stato realizzato:
poter offrire agli stessi alunni, anche nei prossimi anni
scolastici, uno spaccato della nostra realtà territoriale,
attraverso il loro originale e autentico disegno di una
sorta di geografia della identità locale, con le sue
peculiarità, le tante diversità, le sue pulsioni, le
testimonianze di un grande e glorioso passato, i segni di
un’operosità ancora intatta, i tesori dell’archeologia, il
senso complessivo della laboriosità e della creatività
umana.
Questo contributo degli alunni vuole essere quindi, e
diventare col tempo, una sorta di atlante delle bellezze
ambientali, culturali e storiche che possediamo, una
testimonianza di questo nostro tempo, intriso di passato,
con l’augurio che chi lo sfoglierà domani possa scoprire
come le “piccole storie” dei luoghi, del territorio, delle
comunità, intrecciandosi e fondendosi tra loro, portino
costruire la “STORIA” che troviamo sui libri.
IL DIRIGENTE SCOLASTICO
Dott.ssa Enrica Paolino
7
Introduzione
Gli alunni delle classi quarte e quinte, guidati dalle
loro insegnanti nelle attività del “Laboratorio Beni
Culturali”, hanno realizzato il presente opuscolo
informativo sulle principali evidenze storico-archeologiche
presenti sul territorio di Capaccio–Paestum, da sempre
meta di turismo internazionale.
L’obiettivo del lavoro è stato quello di favorire
un’attenta ed originale riscoperta dei monumenti e delle
strutture antiche, che i bambini hanno osservato nello
svolgimento del percorso formativo proposto.
Osservare un monumento con gli occhi di un bambino
significa restituirgli la stessa vitalità e freschezza che
caratterizza il loro modo di essere.
Lo dimostra il lavoro prodotto che, pur facendo tesoro
dei contenuti storico-informativi forniti dalle esperte
esterne o del materiale documentario consultato con le
insegnanti, esprime spontaneità ed immediatezza.
Ciò è vero soprattutto per i disegni, con i quali gli
alunni hanno provato a visualizzare i momenti cruciali della
storia di Capaccio o una scena di vita familiare di qualche
secolo fa, vissuta all’interno di una “bufalara”.
La lettura di tale lavoro, quindi, non potrà soddisfare
le aspettative di chi voglia conoscere a fondo la storia
della località o del sito archeologico visitati e studiati
dagli alunni.
Potrà, invece, far emergere alcuni aspetti legati a tale
storia, ricostruita anche in veste grafica dai bambini.
8
Sono stati proprio gli alunni a produrre i testi e ad
illustrare le bellezze storico – archeologiche di Paestum,
bellezze di valore inestimabile, da considerare quali
elementi di coesione, per rafforzare il legame di
appartenenza alla realtà in cui viviamo.
DOCENTE RESPONSABILE
DEL “LABORATORIO BENI CULTURALI”
Bianca Di Ruocco
9
CENNI STORICI SU CAPACCIO
Capaccio è un paese collinare, che sorge nella valle
formata dai monti Soprano e Sottano. È importante
distinguere Capaccio Vecchia da Capaccio Capoluogo detto
anche Capaccio Nuova.
Caput Aquae o Caput Aquarum indicava probabilmente
il nome della città da cui partiva l’acquedotto che, in epoca
romana, portava l’acqua a Paestum. Capaccio Vecchia
sorgeva sulla parte settentrionale del monte Calpazio e la
sua importanza fu determinante per gli abitanti di
Paestum i quali, a causa delle paludi e della malaria furono
costretti a rifugiarvisi, abbandonando la pianura malsana.
In seguito, nel IX secolo, le incursioni dei Saraceni
(Arabi di religione musulmana provenienti dall’Africa e
dalla Sicilia) contribuirono allo spopolamento della Piana
del Sele (fig. 1).
Fig.
1.
I
cittadini
di
Paestum
si
trasferirono sul
monte
Calpazio
per
difendersi
dai Saraceni e
per sfuggire alla
malaria..
10
Perciò gli abitanti di Paestum si rifugiarono in questa
cittadina, Capaccio Vecchia, che col tempo si trasformò in
Castellum dove il vescovo di Paestum si trasferì con la sua
diocesi.
Capaccio fu dominata dai Longobardi (640 - 1075) dai
Normanni con la famiglia Sanseverino (1075 - 1190) e
seguirono poi gli Svevi (1190 - 1266) con Federico II. La
cittadina di Capaccio Vecchia ebbe vita tranquilla fino al
1248, anno in cui i feudatari del Cilento, temendo che
Federico II potesse privarli dei loro antichi privilegi,
ordirono una congiura contro l’imperatore, che voleva
gestire il territorio in modo diverso dal loro.
I capi della congiura, i Sanseverino di Rocca Cilento, si
rifugiarono nel Castello di Capaccio Vecchia, ma Federico
II riuscì a conquistare dopo tre mesi la cittadina. Si
narra che ogni soldato catturato venne rinchiuso in un
sacco con un cane e una vipera e buttato giù dal colle (fig.
2).
Fig. 2. Federico
II
assediò
il
castello
di
Capaccio Vecchia
in cui si erano
rifugiati
i
feudatari
del
Cilento.
11
Da allora, Capaccio Vecchia non riuscì più a riprendersi
e la popolazione si trasferì a “Li Casali San Pietro”, un
borgo situato a est di Capaccio Vecchia, dove venne
trasferita la Curia episcopale, che vi rimase fino al 1851.
Il trasferimento della popolazione determinò anche il
nome del villaggio che li ospitava: Li Casali divenne
Capaccio Nuova. I ruderi del vecchio Castello e delle
fortificazioni si possono ancora scorgere sull’estremo
limite ovest del Calpazio. Poco più a valle l’unica
testimonianza della vecchia città è la cattedrale della
Madonna del Granato (XII sec.) (fig. 3).
Classi V A e V B di Capaccio Scalo
Fig. 3. Dopo la conquista di Capaccio Vecchia da parte di
Federico II, gli abitanti si trasferirono a “Li Casali San Pietro”
cui diedero il nome Capaccio, l’abitato da cui venne fuori
Capaccio Nuova..
12
VISITA GUIDATA A CAPACCIO CAPOLUOGO
Noi alunni della V B ci siamo recati a Capaccio
Capoluogo per visitare il centro storico.
Dal pulmino, prima di arrivare a Capaccio Capoluogo,
siamo riusciti ad osservare lo splendido panorama della
pianura del Sele, mentre salivamo su per la collina.
Arrivati a Capaccio Capoluogo, abbiamo potuto
osservare sulla nostra destra i giardini pubblici (fig. 1)
costruiti agli inizi del ‘900 con platani e lecci ormai quasi
secolari e la statua di Costabile Carducci, eroe
risorgimentale
della
nostra
terra.
I
giardini
rappresentano un importante centro di aggregazione per i
capaccesi che possono incontrarsi lì per manifestazioni
culturali e feste di piazza, soprattutto in estate.
Fig. 1
I giardinetti
pubblici.
13
Dai giardini si può ammirare anche la piana di Paestum,
la costiera amalfitana e a volte anche Capri.
Proseguendo oltre i giardini, abbiamo potuto osservare
il Palazzo Tanza, di cui abbiamo visto la facciata del ‘400,
con gli stucchi che risalgono al ‘600 (fig. 2).
Il portale è del 1700 e riporta uno stemma che,
raffigurando due stelle e dei cordoni a tre nodi
sormontati da un cappello vescovile, ci fa risalire al
proprietario del palazzo che era un abate, l’abate Tanza
appunto.
La signora Rubini, che ci ha fatto visitare il palazzo, ci
ha consentito di osservare con attenzione gli affreschi
floreali tendenti a dare luce e colore alla casa.
I mobili presenti nel palazzo sono del ‘700: peccato
che molti di essi siano stati rubati.
Questo rimane comunque uno dei palazzi più antichi di
Capaccio, risalente al XV secolo.
Fig. 2
Facciata
laterale di
Palazzo
Tanza.
14
Giunti a piazza Orologio,
abbiamo
osservato
con
attenzione il campanile della
chiesa, crollata nella seconda
metà dell’800. Questa era
collegata al Palazzo vescovile
(oggi
sede
della
scuola
primaria di Capaccio) da un bel
giardino.
Il campanile che crollò nel
1902, venne ricostruito ed
inaugurato nel 1905, ma ora è
solo un ex-campanile, o meglio
la cosiddetta Torre civica che
campeggia in piazza (fig. 3).
Da piazza Orologio,
osserviamo un arco o meglio
Fig. 3
quello che doveva essere l’Arco Zappulli, che
purtroppo oggi è completamente privo di decorazioni (fig.
4).
Fig. 4 Trasformazione nel
tempo dell’arco Zappulli.
15
Attraversando l’arco, ci ritroviamo in una piazzetta
ricca di bellezze architettoniche in parte cancellate dal
cemento, che copre la storia racchiusa in ogni reperto.
Lungo via S. Agostino si trova il portone d’ingresso con
uno stupendo portale, decorato con scene di caccia, della
casa dove nacque Costabile Carducci.
I capaccesi sono orgogliosi di lui, che fu uno dei capi
dei moti del 1848 del Cilento, moti che indussero il re a
concedere la costituzione.
Per questo, Capaccio gli ha dedicato una strada, un
monumento nei giardini pubblici e una lapide posta a lato
del portale della sua casa natale (fig. 5).
Fig. 5
16
Sempre in via S. Agostino, troviamo la chiesa di San
Pietro Apostolo (fig. 6) la cui facciata è di stile barocco,
con un bel portale del XVIII secolo; su di esso viene
riportato lo stemma, che sottolineava l’importanza di
Capaccio (fig. 7).
L’interno si compone di due navate: la principale
riservata ai nobili del paese e una laterale, nella quale
stavano le persone più umili e di ceto meno elevato.
Fig. 6
Fig. 7
L’altare barocco, molto ricco e sfarzoso, è decorato
con marmi di tipo diverso: marmo verde del Guatemala,
marmo rosso di Verona e onice di Carrara. A sinistra c’è
un bassorilievo di San Pietro. Accanto all’uscita è sepolto
il vescovo Agostino Odoardi, vissuto nel 1700 il quale
restaurò il palazzo vescovile. Chiusa dopo il terremoto del
1980, la chiesa è stata riaperta nel 1983.
Dopo la visita alla chiesa, che è stata piuttosto breve
per mancanza di tempo, siamo andati a visitare uno dei
palazzi più belli di Capaccio, cioè Palazzo Rubini, ancora
abitato, tanto che la signora Rubini ci ha fatto da
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“Cicerone” insieme ad un suo amico, nipote del
proprietario di Palazzo Vecchio, che però non abbiamo
potuto visitare.
Entrando in casa, ci è sembrato per un attimo di
rivivere nel passato; infatti dalla cucina arrivava un buon
profumino che ci ha
condotti davanti ad
un antico camino
coperto di fuliggine,
in cui guizzava un
allegro fuocherello
(fig. 8).
Fig. 8
Fig. 9
C’era poi una cristalliera con
stoviglie antiche bellissime, usate
ancora abitualmente (fig. 9).
Salendo, abbiamo visto una ricca
libreria
ed
uno
studio
appartenente a Vincenzo Rubini,
uomo di cultura ed amante delle
arti.
Continuando,
abbiamo
visitato
un
soggiorno
tappezzato di parati dipinti
prima di essere attaccati
alle pareti. Uno di noi,
bravo
in
disegno,
ha
18
Fig. 10
cercato di riprodurre una parete (fig. 10).
Ha poi attratto la nostra attenzione un tavolino
circolare sotto al quale c’è un grande disco di legno,
contenente un braciere, usato ancora per riscaldarsi (fig.
11).
Abbiamo poi visitato una
stanza da letto con letti
riccamente decorati in cui si
sentiva il profumo di ricordi
di famiglia (fig. 12).
E per finire abbiamo visitato
una sala con le pareti
raffiguranti scene di guerra,
probabilmente combattuta
da guerrieri saraceni.
Subito dopo la visita a
Palazzo Rubini, ci siamo
recati al Convento di
Fig. 11
Sant’Antonio o dei frati minori (fig. 13).
Fu costruito nel 1500 dai frati del convento che vi
abitarono fino al 1652, quando venne chiuso per
disposizioni di un papa che ordinò la chiusura di tutti i
conventi con un numero
di monaci inferiore a
dodici.
Col terremoto del
1652, fu ridotto in
macerie e fu ricostruito
nel 1770.
19
Successivamente, venne affidato ai frati francescani
dal 1723.
Essi riuscivano ad aiutare le persone bisognose anche
grazie alla generosità della popolazione capaccese,
che
Fig. 12
donava ai frati tutto ciò con cui potevano sfamare i poveri
del paese.
Tutto l’edificio gira intorno al chiostro delimitato dai
pilastri di pietra locale, su cui si appoggiano degli archi
che definiscono un ampio spazio (fig. 14).
Fig. 13
Le pareti sono affrescate con episodi della vita di
Sant’Antonio e San Francesco, eseguiti da un pittore
locale del ‘700, Giuseppe Rubini. E sono proprio affreschi
del Rubini a decorare il coro settecentesco presente in
chiesa.
20
Sulle pareti di fondo del transetto, si scorgono le
nicchie delle statue dell’Immacolata e di San Francesco.
In fondo, sono collocati gli altari dedicati a Sant’Anna,
San Giuseppe, San Rocco e Sant’Antonio.
E a questo punto si conclude la nostra visita a Capaccio
Capoluogo: sarebbe stato bello continuare ad osservare le
bellezze di questo paese, spesso nascoste dalla celebrità
dei templi di Paestum, ma il pulmino ci aspetta e, se
facciamo altro ritardo, rischiamo di rimanere là.
Fig. 14
Classi V A e V B di Capaccio Scalo
21
IL SANTUARIO DELLA MADONNA DEL
GRANATO
Il 22 Aprile siamo andati alla Madonna del Granato.
Siamo partiti da scuola verso le 9,30 e siamo arrivati
circa alle 10,00. Una volta arrivati, Padre Domenico ci ha
fatto entrare nella chiesa e ci ha detto che nel piazzale
antistante la chiesa è sepolta una Basilica Paleocristiana.
Poi il Padre ha raccontato la storia del Santuario. Il
monte Calpazio, sul quale sorge il Santuario della Madonna
del Granato, presenta tracce di civiltà antichissime.
Quando la città di Paestum fu distrutta dai Saraceni
nell’877 d.C., i suoi abitanti si rifugiarono sul monte
Calpazio e fondarono Capaccio Vecchia (dal latino Caput
Aquae). Nel IX secolo Capaccio diventò la dimora del
Vescovo. La chiesa della Madonna del Granato fu costruita
tra il 915 e il 930, con tre navate corrispondenti a tre
absidi
(fig.
1).
Fig. 1 La Cattedrale della Madonna
del Granato.
22
Nel 954 fu ritrovato il corpo di San Matteo e il
Vescovo lo portò nella sua Cattedrale a Capaccio. Le
reliquie ora sono conservate nel Duomo di Salerno. La
Madonna del Granato e la statua di Hera Argiva hanno una
forte somiglianza perché tutte e due mostrano la
melagrana, simbolo di fertilità (fig. 2). Il 18 Aprile 1248,
Capaccio Vecchia fu incendiata da Federico II, che era
entrato in conflitto con il Papa, accanto al quale si era
schierata Capaccio. Dall’incendio si salvarono solo il
Castello e il Santuario. Questo venne considerato un
miracolo dalla gente, tanto che la chiesa, da allora,
divenne un simbolo. La popolazione si spostò nei pressi del
villaggio di San Pietro e fondò Capaccio Nuova. Il Papa
Sisto V elevò la chiesa a Cattedrale e San Vito fu
proclamato protettore di Capaccio, ma tutti continuavano
a venerare la Madonna del Granato. Dietro l’altare si trova
la tomba di Monsignor Barone, che era il Vescovo di
Capaccio e costruì le due strade di accesso al Santuario.
Fig. 2 La venerazione della Madonna del
23
Nel 1815 Capaccio cessò di essere sede episcopale e
Monsignor Giampaolo decise di mettere come custode alla
chiesa un eremita. Nel 1912 la statua della Madonna del
Granato fu incoronata dal Vescovo. Il 29 Aprile iniziò il
triduo in preparazione della celebrazione. Durante queste
tre
giornate
le
messe
vennero
celebrate
ininterrottamente. Sul monte Calpazio si recarono la
scuola civica di Salerno e la schola cantorum di
Pontecagnano. Nel pomeriggio giunsero le due corone d’oro
donate dalla signora Maria dei Baroni Bellelli e da suo
figlio Pasqualino Pinto. Ogni sera, dopo le messe, si
tenevano concerti, films ed altro.
Ancora oggi il due Maggio si celebra una piccola
processione nella piazza antistante il Santuario. Il 15
Agosto la festa è più importante. C’è un’altra processione
con a capo la Madonna del Granato portata da sei fedeli;
dietro di questi ci sono delle donne che portano sul capo
le cente, ceri con basi a forma di barca o di cerchio. Si
raggiunge Tempa San Paolo, si celebra la messa e alla luce
di una fiaccolata si torna sul monte Calpazio.
Classi IV e V
Ponte Barizzo
Fig. 3 Similitudine
tra la statua della
Madonna del Granato
e quella di Hera.
24
di
CAPODIFIUME
10 maggio 2006
Fig. 1 I nostri pulmini.
Siamo pronti a raggiungere
Capodifiume,
ansiosi
di
conoscere le origini di questo
luogo speciale, ricco di storia.
Due pullmini sono pronti a
trasportarci (fig. 1).
Ad
attenderci
c’è
Francesca, una simpatica e bella
ragazza che, immediatamente
comincia a spiegare…
…Nel IX secolo a.C., alcuni
pastori si accamparono presso
una
sorgente che, in fretta, si allargava e
dava origine ad un fiume ricco di
acque cristalline.
Ben presto le acque risultarono
così
benefiche
da
crederle
miracolose, soprattutto per le donne
che stavano per sposarsi e propiziarsi
la possibilità di avere figli. Fu
costruito un tempio in onore di
Persefone, dea della fertilità (fig. 2).
Fig. 2 Il tempietto.
25
Qui, uomini e donne si raccoglievano a pregare e le
donne si bagnavano nelle acque ritenute miracolose.
Il tempo dei pastori è passato e del tempio rimane una
sola traccia di robusta colonna (fig. 3).
Intorno alle acque del fiume sono stati creati ampi
spazi verdi. Ne approfittiamo per giocare a rincorrerci e
siamo felici.
Mentre noi parliamo e giochiamo, nelle limpide acque
del fiume si muovono tranquille papere e paperotti, alla
ricerca del quotidiano cibo.
Classi IV e V di
Licinella
Fig. 3 La colonna del tempietto.
26
AREA ARCHEOLOGICA DI PAESTUM
Breve storia di Paestum
L’insieme delle città fondate dai Greci sulle coste
dell’Italia meridionale costituiscono la Magna Grecia, cioè
la grande Grecia, chiamata così poiché in tali città si
sviluppò una civiltà così importante da emulare quella della
Grecia.
Poseidonia, fondata verso il 600 a.C. da un gruppo di
famiglie greche provenienti da Sibari fu, senza dubbio,
una delle città più belle ed importanti della Magna Grecia.
Infatti, i resti della città, i tre templi che si innalzavano
maestosi, costruiti con la pietra locale e le opere d’arte
esposte nel Museo Archeologico Nazionale, le danno un
fascino che la rende famosa in tutto il mondo (fig. 1).
Nel 540 a.C. fu costruita la cosiddetta Basilica; verso
il 500 a.C. il tempio di Cerere ed infine, nel 450 a.C. il
tempio di Poseidone o di Nettuno.
I Lucani, popolazione italica dell’Italia Meridionale,
l’hanno occupata nel 410 a.C., imitando molte delle
tradizioni greche, fra cui il rito funebre. Anche i Lucani,
come i Greci, erano soliti onorare la memoria dei loro
morti affrescando le pareti interne delle tombe.
Nell’anno 273 a.C., i Romani riuscirono a mandare via i
Lucani da Poseidonia che da quel momento assunse il nome
latino di Paestum e fecero un’alleanza politica e militare
con la città.
Purtroppo, verso la fine dell’impero romano iniziò la
decadenza della città, lenta e graduale.
27
Tra i motivi che provocarono il declino di una città
magnifica come Paestum, possiamo parlare della malaria,
che si sviluppò a causa delle paludi nella zona e delle
incursioni dei Saraceni.
Fig. 1 Area archeologica di Paestum.
28
Visita guidata a Paestum
Noi di IV C proveremo a descrivere le cose che ci
hanno colpito di più dell’antica città di Paestum, chiamata
inizialmente Poseidonia. Questa città era difesa da mura
poderose, ancora oggi ben conservate, con quattro porte
ai punti cardinali. Grazie alla felice posizione geografica
aperta alle vie di traffico, ai corsi d’acqua e alla fertilità
del suolo, raggiunse in poco tempo un elevato livello di
ricchezza e di vitalità artistico – culturale che culminò
nella costruzione di tre splendidi templi dorici, preziose
eredità storico – archeologiche di tutta la civiltà greca.
l tempio di Poseidone o Nettuno è senza dubbio il più
spettacolare esempio di architettura religiosa greca (fig.
2). Ha sei colonne sui
lati corti e quattordici
sui lunghi. La cella è
divisa in tre navate da
due file di colonne ed è
quasi
interamente
conservato.
Molti
ritengono che questo
monumento possa essere
paragonato al Partenone
che si trova in Grecia,
poiché
possiede
la
stessa eleganza e la
stessa
armoniosa
solennità.
Fig. 2
29
Questo, come tutti i templi greci, rappresenta il
centro spirituale della città, il simbolo dell’amore verso gli
dei, che in tal modo proteggevano la collettività.
In onore degli dei venivano sacrificati agnelli, vitelli e
montoni. Ciò serviva per sperare di ottenere una grazia da
ricevere, oppure onorare gli dei della loro benevolenza e
generosità.
I Romani arricchirono la città di grandi edifici, tra cui
il portico del Foro, le Terme, il Tempio della Pace e
l’Anfiteatro che ha colpito in modo particolare la nostra
immaginazione. L’Anfiteatro di Paestum era l’edificio
pubblico all’interno del quale si svolgevano gli spettacoli
dei gladiatori. La cavea, cioè la gradinata per gli
spettatori, riusciva a contenere circa duemila persone. Il
tunnel permetteva il passaggio delle bestie. Abbiamo
provato ad immaginare come potesse essere nella realtà
uno spettacolo di brutale violenza come quello che si
verificava nell’anfiteatro (fig. 3). Certamente non ci
sarebbe piaciuto essere là quando si svolgevano quegli
spettacoli di morte.
Fig. 3 L’Anfiteatro.
30
Un altro reperto che abbiamo visto con piacere è
stato il sacello ipogeico. È una costruzione rettangolare
del VI secolo a.C. che ricorda la struttura di una tomba a
camera coperta con grandi tegole rettangolari (fig. 4).
Esso potrebbe essere un tempietto sotterraneo o ipogeo
dedicato a divinità della fecondità e della fertilità, forse
ad una Ninfa (le ninfe erano divinità secondarie che
animavano la natura). Più probabilmente potrebbe essere
una tomba simbolica (cenotafio = tomba vuota) consacrata
ad Is, fondatore di Sibari e costruita dai sibariti
fondatori di Poseidonia.All’interno del sacello sono stati
trovati otto vasi in bronzo che contenevano del miele,
ritrovato in un eccellente stato di conservazione al
momento della scoperta avvenuta nel 1954. I vasi, infatti,
erano sigillati con cera.
Classe IV C di
Capaccio Scalo
Fig. 4 Il Sacello Ipogeico.
31
IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI
PAESTUM
Noi della V C della scuola primaria di Capaccio Scalo
abbiamo visitato il Museo di Paestum, che custodisce i
reperti e gli oggetti di inestimabile valore venuti alla luce
in seguito agli scavi archeologici nel territorio di
Poseidonia – Paestum.
Costruito agli inizi degli anni cinquanta, il Museo venne
inaugurato nel 1952. Fu voluto soprattutto da Paola
Zancani Montuoro e Umberto Zanotti Bianco, che insieme
scoprirono l’Heraion alla foce del Sele, per esporvi le
preziose metope. Di queste, ben diciotto sono dedicate
alle imprese di Eracle. A noi è piaciuta in particolare la
metopa che racconta il mito di Sisifo che, per decisione di
Giove, venne costretto a spingere un masso sulla cima di
un monte. A fatica conclusa, il masso rotola a valle e
sempre così accade, per l’eternità (fig. 1).
Fig. 1 Il mito di Sisifo.
32
Siamo poi rimasti affascinati dalla Tomba del
Tuffatore, o meglio dalla lastra di copertura di tale
tomba. È chiamata così perché rappresenta l’immagine di
un giovane che da una specie di trampolino si tuffa in
acqua. Il tuffo non ha un valore reale, nel senso che non si
riferisce ad un giovane sportivo, ma ha un valore
simbolico, poiché sta ad indicare la fine della vita sulla
terra e l’inizio della vita dell’anima che va oltre la morte
(fig. 2). Rappresenta quindi il viaggio che l’anima compie
nel momento in cui si stacca dal corpo. Gli affreschi della
tomba, dipinta anche sulle quattro pareti interne,
costituiscono l’unico esempio di pittura greca giunta fino a
noi.
Le scene delle altre lastre raffigurano un simposio,
cioè un banchetto, che rappresentava un momento della
vita sociale greca, dove le discussioni venivano
accompagnate con cibo e vino.
Fig. 2 Raffigurazione della lastra di copertura della Tomba del Tuffatore.
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L’uso delle tombe dipinte si afferma a Paestum in
modo assai diffuso nel IV sec. a.C., durante il dominio
lucano. A quest’epoca risale la ricchissima raccolta di
pitture funerarie del museo. Sono lastre affrescate: le
più antiche sono decorate solo nella parte centrale con
fasce, corone, bende o rami; in seguito si afferma l’uso di
vere e proprie scene figurate per le tombe maschili
(prevalentemente guerrieri a cavallo con elmo e corazza)
e di elementi decorativi per quelle femminili.
Oltre ai reperti, che ci ricordano quanto fosse
importante il culto dei morti a Paestum, nel museo
possiamo ammirare tantissimi altri oggetti, vasi ed
elementi decorativi, come quelli presenti sul busto
femminile in terracotta, ornato
con svastiche (fig. 3), segni
tristemente noti che oggi ti fanno
pensare al nazismo di Hitler. In
realtà, anticamente le svastiche
erano un simbolo più volte adottato
nella storia da genti diverse in
differenti epoche. Avevano un
significato
religioso
o
semplicemente decorativo. Esse Fig. 3 Busto femminile
sono state ritrovate anche in una in terracotta.
tomba etrusca o su iscrizioni
buddiste.
Infine, abbiamo ammirato gli stupendi vasi, come
quello della nascita di Afrodite curato nei minimi
particolari e i vasi contenenti miele purissimo, definito il
“nettare degli dei”.
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Classe V C di Capaccio
Scalo
LA BASILICA PALEOCRISTIANA
La Basilica Paleocristiana è un monumento che si trova
a est dei maestosi templi di Paestum e presso il nord del
Museo. Al suo interno si venera la S.S. Annunziata (fig.
1).
Il due maggio 2006 noi di IV e V del plesso di Laura ci
siamo recati a Paestum per visitarla e conoscere meglio la
sua storia. La guida ci ha detto che gli abitanti di
Paestum, intorno al 344 d.C, sono stati i primi, nell’Italia
Meridionale, ad avvicinarsi alla fede cristiana (grazie
anche all’arrivo di San Vito alla foce del Sele).
All’inizio i cristiani si riunivano nel tempio di Cerere
per pregare. La Basilica fu costruita intorno al V secolo e
restaurata ad opera dei vescovi tra il XVI e il XVIII
secolo.
Nel V – VI secolo la colonia divenne anche sede
vescovile, ma con le invasioni barbariche e saracene la
piana del Sele fu abbandonata a sé stessa, diventando
selvaggia e paludosa e la popolazione cercò rifugio sulle
colline del
Calpazio.
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Fig. 1 Navata
centrale della
chiesa
Anche la sede vescovile fu trasferita e la Basilica
diventò stalla e rifugio dei predoni. La guida ci ha spiegato
che all’inizio la Basilica fu costruita come Basilica aperta e
dopo circa un secolo trasformata in “B” chiusa, con una
sola navata preceduta da un quadriportico.
Nel XII secolo fu ampliata e l’interno venne diviso in
tre navate con tre absidi e con due file di colonne di
“spoglio” (cioè colonne recuperate altrove).
Nella navata centrale, sopra all’altare, una finestra
illumina tutta la chiesa: la luce è il simbolo di Dio (fig. 2).
Fig. 2
L’altare della
Basilica
Paleocristiana.
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Nel 1700 accanto alla Basilica fu costruito un elegante
“palatiolum” (dove abitava il vescovo) e anche un campanile
a vela dotato di due campane.
Oggi possiamo ancora ammirare le campane: infatti
una si trova presso l’ingresso della Basilica e l’altra è
montata sulla cappella vicino la Basilica.
La Basilica ebbe bisogno di molti restauri nel corso dei
secoli: nel 1504 intervenne il vescovo Podocataro, che
sollevò il livello originario della pavimentazione della
chiesa di 1,10 m; nel 1729 il vescovo Odoardi la modificò,
rialzando il pavimento di 1,80 m ed in questo periodo
furono realizzati dei pilastri, fu rifatta la facciata e fu
innalzato un portale ed il campanile; un altro intervento di
restauro fu realizzato dal vescovo Bonito nel 1862.
La guida ci ha fatto notare che gli ultimi restauri
risalgono al 1968 (Realizzati dalla Soprintendenza ai
Monumenti di Napoli) e che grazie ad essi sono venute alla
luce molte delle antiche strutture della Basilica, come ad
esempio l’antica pavimentazione; infatti, per entrare nella
Basilica bisogna scendere una scala.
Ancora oggi la Basilica è un centro
religioso di grande importanza che
richiama migliaia di fedeli da ogni
parte del mondo, i quali scelgono di
celebrare
all’interno
dell’edificio
religioso i vari sacramenti, come i
matrimoni, i battesimi e le prime
comunioni (fig. 3).
Fig. 3 L’altare centrale.
Classe IV e V di Laura
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VILLA SALATI: LE BUFALARE
Di solito si va a Paestum per ammirare la bellezza e
l’importanza dei magnifici templi, testimonianza di civiltà
passate…
…Ma non bisogna dimenticare un’altra peculiarità della
zona, che potremmo definire “reperti di architettura
minore”: le Bufalare, abitazioni rustiche degli allevatori di
bufale del ‘700 e ‘800.
Nel territorio di Capaccio ce ne sono diverse: quella in
località Gromola, che è una delle più antiche, e quelle più
belle ed integre di Villa Salati, proprio di fronte ai templi
di Paestum, dichiarate Monumento Nazionale (fig. 1).
Fig. 1 Villa Salati.
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Accanto alla Villa padronale del piccolo borgo rurale
del ‘700, possiamo vedere le case coloniche, la chiesetta e
due bufalare.
Le bufalare non hanno un piano superiore ma poggiano
direttamente sul terreno. L’originalità della struttura
consiste nel focolare centrale fiancheggiato da quattro
pilastri che reggono, insieme con i muri perimetrali, il
tetto.
Al centro troviamo un camino che sporge col comignolo
sulla sommità del tetto a padiglione.
All’interno si disponevano, attorno al focolare, i giacigli
dove nelle lunghe serate d’inverno veniva cucinato e
consumato collettivamente il pancotto, o si attendeva alla
produzione casearia sotto l’occhio esperto di un mastro
casaro (fig. 2).
Fig. 2 Il mastro casaro e la sua famiglia.
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Questa particolare costruzione ha sulle pareti una
serie di cuccette in muratura, divise da pareti sottili:
tutte uguali destinate ai bufalari (“ualani”), tranne quello
in angolo per il capofamiglia e per le donne.
I “ualani” erano fortunati in quanto in molti casi la
dimora degli addetti alle bufale era fatta di canne
palustri, di forma tonda o quadrangolare, detta “pagliara”.
Le bufalare sono gli esempi più caratteristici di
architettura locale; gli edifici, cioè, dove i guardiani di
bufale producevano i formaggi, vivevano e dormivano (fig.
3).
Classi IV A e IV B
di Capaccio Scalo
Fig. 3 Le Bufalare e le Pagliare.
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IL MUSEO NARRANTE DI HERA ARGIVA ALLA
FOCE DEL SELE
Poco distante da casa nostra, a circa due chilometri
dalla foce del Sele, quasi contemporaneamente alla
nascita dell’antica città di Poseidonia, fu costruito il
santuario che i Greci dedicarono ad Hera, moglie-sorella
di Zeus (fig. 1).
La masseria Procurali ospita il Museo Narrante di
Hera Argiva, detto così perché attraverso filmati e
ricostruzioni tridimensionali, racconta ciò che avveniva in
questo luogo nell’antichità.
Siamo stati accompagnati dalle nostre maestre e,
giunti sul posto, abbiamo incontrato un’archeologa che ci
ha guidati durante la visita al Museo.
Prima abbiamo visto un video sul fiume Sele, su
com’era e su come poi si è trasformato.
Fig. 1 Hera protettrice:
•
della navigazione e
dei buoni approdi
•
del mondo animale
•
dei neonati
•
della terra che
dona i suoi frutti
•
del matrimonio e
della fertilità delle
coppie.
41
Poi abbiamo visto un altro filmato sugli archeologi che
iniziarono le ricerche del tempio di Hera (fig. 2).
La scoperta di questo santuario si deve a Paola Zancani
Montuoro e ad Umberto Zanotti Bianco, due dei più
prestigiosi archeologi italiani.
Gli studiosi condussero questa ricerca durante il
periodo fascista; fu un’impresa molto ardua perché la
zona era paludosa e malarica, ma essi riuscirono ad
individuare i resti di quello che fu uno dei santuari più
celebri che i Greci di Poseidonia avevano consacrato al
culto di Hera.
Il luogo di culto appare strutturato intorno al Tempio
Maggiore a cui si accedeva mediante una gradinata;
davanti al tempio c’erano due altari monumentali e
tutt’intorno, all’interno dell’area sacra, altri edifici laici
per l’accoglienza dei fedeli, strutture secondarie e fosse
per la custodia degli ex voto.
Fig. 2 Tempio di Hera.
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Dopo aver visto questo filmato siamo andati in una sala
a vedere alcuni resti archeologici che sono venuti alla luce
durante gli scavi, come vasi, statuette di terracotta e
busti femminili. Nella penultima stanza che abbiamo
visitato c’erano delle bellissime metope (fig. 3), ossia dei
blocchi di pietra scolpiti o lisci, che si alternavano ai
triglifi ed insieme costituivano il fregio del tempio.
Su di esse sono scolpiti miti e leggende riconducibili
alle imprese di Ercole, alla guerra di Troia, alle peripezie
di Ulisse.
Fig. 3 Le metope.
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Infine siamo saliti al piano superiore del museo e in un
salone abbiamo potuto ammirare alcune riproduzioni di
antichi telai verticali che le donne usavano per tessere le
vesti della statua della dea
(fig. 4).
In un angolo poi abbiamo
visto
una
magnifica
riproduzione di una statua di
Hera in marmo.
Hera è una delle divinità
greche più amate e adorate dai
Greci; è moglie e sorella di
Zeus, divide con lui la signoria
del mondo ed è regina degli
dei.
Hera, essendo la sposa di
Zeus, era considerata la
protettrice delle spose e delle
nascite ed è per questo che
viene rappresentata anche con
Fig. 4 Le filatrici del peplo.
un bimbo tra le braccia.
Essa era adorata come protettrice della giovinezza e
della crescita sia dell’uomo che del mondo animale e
vegetale. La dea sovrintendeva quindi alla fertilità umana
e naturale; era protettrice delle greggi e dei raccolti.
La dea veniva di solito raffigurata in trono, con un
copricapo, il polos, sul capo, un piatto per le offerte in una
mano (patera) ed il frutto del melograno nell’altra.
Classi IV e V di Gromola
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