opuscolo
letterario
#
16
alessandro romeo:editoriale
arturo fabra:jazz
“By and large, jazz has always been like the kind of a man you wouldn’t want your daughter to associate with.” {Duke
Ellington}
“Basta giocare!” ce l’hanno detto in tanti, e magari l’abbiamo anche detto noi. L’attività ludica
(l’otium che sostituisce il negotium) ha sempre portato con sé un giudizio negativo quando a svolgerla
non sono più i bambini ma gli adulti. Questo vuol dire che quando sei grande, ormai, giocare è
inutile, perché non può che istillarti dubbi sul fatto che la tua vita così com’è deve bastarti, che non
hai bisogno di (parola terribile ed esecrabile) “evasione”.
Eppure dovremmo imparare dalla gestione che il nostro corpo ha delle sue funzioni più complesse e
superiori. Senza dormire e sognare impazziremmo, e cosa sono i sogni se non giochi con il nostro
inconscio? E cosa è scrivere un racconto, una poesia, un romanzo se non proseguire questo gioco di
immaginazione invitando altri a condividerlo?
In realtà chi gioca fa paura, perché l’homo ludens, quello che non ha vergogna di divertirsi togliendosi
la maschera dell’ufficialità di ogni giorno, dimostra che sotto siamo tutti (oddio!) uguali come
bambini all’asilo. Un pensiero pericoloso.
Io vi consiglio di giocare, e se volete sperimentare qualche gioco nuovo, dal 30 ottobre al 2 novembre,
c’è Lucca Comics and Games nella città omonima. Mi trovate lì.
Con mezza redazione in fuga dai rispettivi paesi
natii potreste pensare che sia venuto meno l’amore
tra di noi. Eh eh... ingenui! L’amore in redazione
c’è (amor de loin per dirlo in salsa trobadorica). E a
badilate, anche!
Sempre più versatili su tutti i fronti, dopo
Facebook ci siamo infilati anche in YouTube. E la
domanda che sorge spontanea è: quello di inutile è
il primo magazine-trailer della storia? Sicuramente
sì. O quantomento è il primo magazine trailer
della storia convinto di essere il primo magazine
trailer della storia, e questo ci basta. E se siete stufi
di non riuscire a scrivere “youtube” al primo colpo
(ma perché non l’hanno chiamato “youutbe” o
“youtueb”?) lo potete trovare sul nostro sito nel
post di ieri, martedì 14.
L’associazione nel frattempo sta muovendo i primi
passi. Sull’onda dell’entusiasmo per quella piccola,
determinata e coraggiosissima realtà che è la casa
editrice I Sognatori, e per quella piccola
determinata e biondissima ragazza che è Lucilla
Galanti, INUTILE » ASSOCIAZIONE è orgogliosa di
annunciare un incontro con Lucilla al Café Au
Livre di Padova il 25 Ottobre prossimo. Segnàtelo
sulle vostre agende, oppure no: tanto vi arriverà
una newsletter con tutti i dettagli del caso.
Tra una cazzata e l’altra siamo arrivati al numero
16. Che, sommato alla cifra 1996 (anno in cui nessun
membro della redazione è nato), fa 2012. Che sia un
caso? Oppure anche inutile contribuisce con una
svettanza di ottimismo all’inversione dei poli
terrestri? Non possiamo saperlo. Ma di sicuro
siamo la prima rivista a ipotizzarlo. E fanno due
primati nel giro di un mese. Poca roba!
Per l’occasione, dopo la sbornia di racconti,
torniamo ad un numero normale: un racconto di
Lucilla, un Falsomontaliano, e una jazzata di
Arturo.
E adesso ognuno di voi stringa a mo’ di gancio la
mano destra con la mano sinistra e urli: sinergia!
lucilla galanti:appunti sulla comunicazione non verbale
Succedeva spesso ultimamente che mi trovassi rinchiusa all’interno di discorsi
nei quali assolutamente non avrei voluto inoltrarmi e verso i quali certamente
non avevo condotto io la discussione. Ed a chiedermi chi mi ci aveva portato.
E mi capitava di accorgermi di come la discussione spontaneamente sviasse
dai suoi contenuti, quasi fosse una presenza dotata di vita propria, ma di una
vita piuttosto elementare, che la rendeva impossibilitata a mantenere alcuna
aderenza con se stessa ed affatto propensa al fraintendimento.
Così succedeva spesso ultimamente che io e il mio ragazzo litigassimo.
Non certo che fosse una cosa strana, o che non fosse mai successo prima.
Ma diciamo che era cambiata la natura, dei litigi.
Perché ora si sviluppavano su una generica incomprensione di base che
sapeva tanto di incomunicabilità. E quella no, che prima non c’era mai stata.
Inizialmente questi litigi degeneravano in insulti, ma ben presto erano passati
allo stadio successivo, ossia quello consistente nello scagliarsi addosso veri e
propri oggetti facenti parte del mobilio, neppure tanto assortito, della casa in
cui ci eravamo trasferiti da poco. E già la facevamo in pezzi. Normale
amministrazione, insomma.
Il vero problema era comunque proprio quella patina di lontananza mentale
che non ci aveva mai diviso tanto, prima di allora.
A dire il vero avevo smesso di credere da tempo nella comunicazione verbale,
e mi restava soltanto un barlume di fiducia piuttosto cieca nel potere
persuasivo della parola se utilizzato verso soggetti propensi a farsi ingannare
soprattutto all’interno di un ambito professionale, il che mi era indispensabile
data la mia professione, ma nell’ambito professionale la persuasione non
veniva tanto dalla comprensione, quanto dall’inganno, e già questo fatto che
l’unica possibilità di incontro con altre persone si realizzasse nella frode era
per me non poco significativo.
Tanto significativo appunto da portarmi ad esautorare la comunicazione
verbale.
Avevo deciso di ripudiarla.
Per lo meno in quei rapporti che ritenevo genuinamente veri. Privi di
intermediazioni, insomma.
In primo luogo quello con il mio ragazzo.
Era abituato alle mie stranezze, e quindi non ci fece più di tanto caso,
inizialmente.
Probabilmente c’era dalla mia parte il fatto che la vita insieme negli ultimi
tempi aveva lasciato un po’ desiderare, al punto da stentare a definirla
propriamente una vita insieme, poiché ad eccezione di quella condivisione
necessaria del letto per motivi puramente ricreativi (e nel senso di ricrearsi
mentalmente dormendo, non biologicamente procreando) succedeva in
maniera non propriamente casuale che l’uno rincasasse quando sapeva che
l’altro stava per andarsene.
Così decise di assecondarmi, penso più per il mutuo che pendeva sulla casa
che non per la sua fiducia nel nostro futuro insieme, in questo mio nuovo
bizzarro capriccio della comunicazione non verbale, ed iniziammo a cercare
quale tipologia di trasmissione potesse fare al caso nostro.
E fu così che un giorno fabbricò un simpatico telefono a filo di lunghezza tale
che permetteva di raggiungere le estremità della casa, cosicchè avremmo
potuto in maniera progressiva di nuovo assuefarci alle rispettive presenze
simultanee in casa, comunicando da stanze diverse tramite quell’affare. Senza
urlare perché urlare fa male alla comunicazione. E comunicando unicamente
nei momenti in cui realmente avevamo qualcosa da dire.
Ho sempre detestato tutto quel parlare parlare parlare per il solo gusto di
parlare, che non porta mai da nessuna parte.
Avremmo razionato i nostri interventi a poche parole, ma significative.
inutile:
opuscolo letterario
ottobre 2008
supplemento al n. 879 di
PressItalia.net
registrazione al tribunale di
Perugia n. 33 del 5 maggio 2006
la redazione
{responsabile editoriale}
alessandro romeo
{caporedattori}
ferdinando guadalupi
gabriele naia
daniele pirozzi
{ufficio stampa}
viviana capurso
{elena borghi
arturo fabra
virginia paparozzi
matteo scandolin}
impaginazione e grafica
matteo scandolin
ha collaborato
lucilla galanti
foto
giulio bassi
wild wild web
www.rivistainutile.it
www.associazioneinutile.org
www.myspace.com/rivistainutile
inutile su Facebook
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http://flickr.com/photos/jmbo82/
inutile è aperto alla
collaborazione di tutti. Siamo
interessati a qualsiasi elaborato
vogliate proporre: un racconto,
una poesia, un articolo, un
saggio, recensioni, foto, fumetti.
Spedite il vostro materiale
all’indirizzo
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. Se sull’opuscolo non c’è modo
di proporre i vostri pezzi,
verranno pubblicati sul nostro
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Il presente opuscolo è diffuso
sotto la disciplina della
licenza Creative Commons
Attribuzione–Non
commerciale–Non opere
derivate 2.5 Italia. La licenza
integrale è disponibile a
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legalcode.
Inizialmente fu triste vedere che questi interventi
significativi non solo erano sporadici, ma del tutto
inesistenti.
Nel senso che non avevamo nulla di significativo da
dirci.
Una volta deciso di abolire quelle frasi
convenzionali come Buon giorno, Come stai, Hai
fame, o necessarie come Cosa vuoi che ti prepari o
In bagno vado prima io, entrate ormai nell’uso
comune e proprio per queste spogliate di ogni
significato che avessero mai potuto avere come Ti
amo e simili
non c’era niente.
Nient’altro.
Insomma, niente da dirsi.
Così le giornate scorrevano inutili e sterili, vivendo
come due ombre che si muovevano nella casa senza
mai incrociarsi.
Ed era un vero peccato perché in fondo il telefono a
filo mi piaceva un mucchio.
Fu così che nacque quella cosa dei versi.
Fu un giorno per caso.
Stanca di rimirare la semisfera di cartone appesa
all’estremità del filo la presi tra le mani, tirai il filo
due volte in maniera secca, segnale che avevamo
deciso di darci per avvisare l’altro che stavamo per
parlare e che fino a quel momento non era ancora
stato esperito, e mugunai.
Fu un versetto poco felice.
Una cosa tipo un grugnito, a mezzo tra la noia e lo
sconforto, ma con un tono piuttosto affettuoso, e
quindi tutto sommato carino.
Mugugnai, poi aspettai per un po’. E dopo pochi
istanti, sentii il filo tirare dall’altra parte.
Due colpetti, secchi.
Così accostai la semisfera all’orecchio, e fu una gioia
immensa quando dall’altra parte sentii la sua voce
che emergeva in un bambinesco “yuuu”.
Yuuu.
Uno yuuu che valeva più di mille parole.
Da quel momento per me lo yuuu fu il segno della
riappacificazione.
Andammo avanti a scambiarci versi per un po’, poi
smettemmo, senza necessità di darci spiegazioni o
di girarci tanto intorno, era chiaro che avevamo
trovato la nostra via per la comunicazione.
Con il passare del tempo ci creammo una sorta di
nostro vocabolario. Ma era un vocabolario
mutevole, nel senso che non necessariamente ogni
verso aveva un significato preciso, il che ci avrebbe
costretti
a
ricadere
nuovamente
nella
comunicazione verbale.
Quel che vale nella comunicazione non verbale è
soprattutto il modo in cui ti esprimi. Un po’ come
gli animali, che ti capiscono a seconda del tono
della voce che usi, piuttosto che da quello che dici.
Una sorta di regresso allo stadio post natale.
E così ci capivamo benissimo.
Ovviamente riprendemmo anche a parlare, dopo
qualche tempo.
Ma la terapia dei versi era sensazionale. La
adottavamo ogni volta che si profilava un
periodo di crisi. Ci prendevamo un paio di
settimane di terapia non verbale. Era piuttosto
divertente.
Poi decidemmo anche di comprarci una scimmia.
In realtà non è che l’avessimo proprio comprata,
l’avevamo prelevata dal parco vicino a casa, e
quindi ad essere pignoli poteva anche dirsi che
l’avevamo rubata, ma tanto in ogni caso come
animale domestico sarebbe stato abusivo perché
avevamo sentito parlare di certi divieti sul fatto
di tenere scimmie in cattività. A parte poi che la
nostra scimmia non fosse affatto in cattività ma
libera di aggirarsi per la casa in maniera
totalitaria. Era una scimmia allo stato brado,
come dire.
Tanto che eravamo degenerati ad una sorta di
condizione animale, con conseguenze disastrose
per la casa che avevamo anche rinunciato a finire
di ammobiliare data la fatica inutile di comprare
oggetti che prima o poi ci saremmo di nuovo
scagliati addosso. Avevamo comprato un paio di
alberi invece, più che altro per la scimmia, per
darle una parvenza di naturalità e ricrearle una
sorta di ambiente che le fosse consono.
Anche con lei funzionava piuttosto bene la
comunicazione non verbale.
Così bene che iniziai anche a sperimentare
questa nuova tecnica basata sull’imitazione della
scimmia (sono fortemente motivata nella
credenza che scimmie eravamo e scimmie
ritorneremo).
E mi ero anche fatta questi appunti di passaggio
sulla comunicazione non verbale che pensavo di
utilizzare per la mia professione, per brevettarla
e mettermi in proprio.
Ma li ho persi per la casa che nel frattempo
assomiglia sempre meno ad una casa e sempre
più ad un serraglio per animali strani.
Magari se li è mangiati la scimmia ritenendoli
commestibili. D’altra parte, provenendo da lei,
ne aveva anche il diritto.
E chissà, magari è meglio così, poiché il fulcro
della comunicazione non verbale è che non ci
sono regole, ma deve nascere spontaneamente.
alessandro romeo:falsomontaliano
Sul corpo di Iole
la vecchiaia a maiuscole
lettere.
Cosa nasconde in quelle mutandine?
Le tette.
[E.Montale, Cadenza, Torino 1960]
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