USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
IDROGRAFICO DEL BREMBO – I SENTIERI DELL’ACQUA
USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI
DELLE RISORSE IDRICHE
DEL BACINO IDROGRAFICO DEL BREMBO
PROGETTO PROVINCIALE DI RISCOPERTA E VALORIZZAZIONE
CULTURALE E TURISTICA DELLE RISORSE IDRICHE DIFFUSE E
DELLA VEGETAZIONE SPONDALE DENOMINATO
“I SENTIERI DELL’ACQUA”
Giugno 2008
COD: AI 034A07
VERS: 01
DATA: giugno 2008
PAGINA: 1: 61
USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
IDROGRAFICO DEL BREMBO – I SENTIERI DELL’ACQUA
INDICE
1
Introduzione.....................................................................................................................3
I. QUADRO STORICO - ANTROPOLOGICO DEGLI USI DELLE RISORSE IDRICHE DEL
BACINO IDROGRAFICO DEL BREMBO ……………………………………………………..….6
2
Il Brembo: caratteri del fiume ........................................................................................3
3
Gli usi delle acque...........................................................................................................3
3.1
Miniere, fucine, magli e mulini ..................................................................................3
3.2
Il Brembo via d’acqua ...............................................................................................3
3.3
Le centrali idroelettriche ...........................................................................................3
3.4
Le acque da bere e le terme.....................................................................................3
3.5
I ponti........................................................................................................................3
II. VALUTAZIONE DEGLI USI COMPATIBILI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
IDROGRAFICO DEL BREMBO …………………………………………………………………..16
4
L’impatto delle derivazioni idriche sugli ecosistemi ...................................................3
4.1
Interruzione del “continuum fluviale”.........................................................................3
4.1.1 Impatti sulla fauna ittica ........................................................................................3
4.1.2 Altri impatti sull’ecosistema...................................................................................3
4.2
Alterazione dell’andamento idrologico naturale ........................................................3
4.2.1 Impatti sulla qualità dell’acqua..............................................................................3
4.2.2 Impatti sulla fauna ittica ........................................................................................3
4.2.3 Altri impatti sull’ecosistema...................................................................................3
5
Analisi della situazione delle portate dei corsi d’acqua della Valle Brembana.........3
5.1
Analisi delle portate e rispetto del DMV....................................................................3
5.2
Qualità delle acque...................................................................................................3
5.3
Conclusioni sulla situazione delle portate dei corsi d’acqua della valle....................3
6
Proposta preliminare di soluzioni e tecnologie appropriate.......................................3
6.1
Soluzioni di sistema: ricontrattare le concessioni di derivazione ..............................3
6.1.1 L’approccio dello studio sul DMV del PNDB.........................................................3
6.1.2 I risultati dello studio .............................................................................................3
6.1.3 Considerazioni sull’applicabilità in Valle Brembana..............................................3
6.2
Soluzioni per lo sfruttamento idroelettrico delle acque: impianti su acquedotti ........3
6.3
Soluzioni per la riduzione dei consumi idropotabili ...................................................3
6.3.1 Le tecnologie per il risparmio idrico nei settori domestico e turistico....................3
6.3.2 Le strategie per promuovere le tecniche di riduzione dei consumi civili ...............3
III. INTEGRAZIONE DI PIANI, PROGRAMMI E REGOLAMENTI PER LA GESTIONE
SOSTENIBILE E LA TUTELA DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO IDROGRAFICO
DEL BREMBO ……………………………………………………………………………………....47
7
Le politiche di gestione delle acque e la necessità dell’approccio integrato ...........3
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
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7.1
7.2
8
Pianificazione per le acque e il territorio in Italia.......................................................3
La necessità dell’approccio integrato nella pianificazione ........................................3
Schema della pianificazione a scala di dettaglio .........................................................3
8.1
La pianificazione delle acque sul bacino del Brembo: ruoli e competenze...............3
8.2
Lo strumento chiave: il PTUA e le sue opportunità...................................................3
8.2.1 Le novità del Piano di Tutela delle Acque.............................................................3
8.2.2 Il PTUA della Lombardia.......................................................................................3
9 Ipotesi di soluzioni di gestione sostenibile applicabili sul territorio della Valle
Brembana................................................................................................................................3
10 Integrazione dei risultati del progetto negli strumenti di pianificazione e
programmazione ....................................................................................................................3
10.1 Norme per la riduzione dell’impatto dovuto agli sfioratori delle reti miste.................3
10.2 Norme per l’incentivazione di sistemi di depurazione locale e riutilizzo acque.........3
10.3 Norme per promuovere il risparmio idrico e l’uso di acque non potabili per usi
compatibili.............................................................................................................................3
ALLEGATO I – IPOTESI DI SOLUZIONI DI GESTIONE SOSTENIBILE APPLICABILI SUL
TERRITORIO DELLA VALLE BREMBANA: SCHEDE DI SINTESI ………………………....61
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
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1
INTRODUZIONE
La presente relazione si colloca nell’ambito della documentazione prodotta con il progetto “I
sentieri dell’acqua”1.
Le azioni 1, 6 e 11 del sopra citato progetto riguardano sostanzialmente gli usi passati,
presenti e futuri di una stessa risorsa: le acque del bacino idrografico del Brembo. E’ per
questa continuità di contenuti che è apparso opportuno riportare in un’unica relazione, la
presente, i principali risultati delle tre attività che di seguito esplicitiamo.
1. Nell’ambito dell’azione 1 del progetto “I sentieri dell’acqua” sono stati raccolti dati,
informazioni, cartografie, studi e pubblicazioni concernenti il territorio della Valle Brembana
ed in particolare il suo reticolo idrico, in essere presso i vari soggetti locali istituzionali e non
(Provincia, Comunità montana Valle Brembana, Parco delle Orobie bergamasche, Comuni,
CAI di Bergamo e di Piazza Brembana, Centro Studi sul Territorio, Orto botanico di
Bergamo, Centro culturale Valle Brembana, esperti della valle, insegnanti presso le scuole
della valle e altri partecipanti al Forum tematico idrobotanica e al Forum itinerante – cfr.
azioni 2 e 3 dello stesso progetto). A tale scopo è stata creata la bibliografia del materiale
reperito, che consta di un centinaio di pubblicazioni. I dati censiti sono stati invece riportati e
organizzati nella banca dati su supporto informatico, che costituisce il prodotto dell’azione 7
dello stesso progetto. Sulla base delle informazioni e delle conoscenze raccolte, è stata
inoltre effettuata la ricostruzione del quadro storico – antropologico dell’utilizzo della risorsa
idrica, con l’intento di restituire il ruolo avuto dall’acqua nella modellazione del paesaggio e
nelle dinamiche sociali e nel tentativo di far emergere anche aspetti immateriali legati alla
memoria, alle percezioni, alle sensibilità. Tale quadro storico – antropologico è riportato nella
sezione I del presente documento.
6. Nell’ambito dell’azione 6 del progetto “I sentieri dell’acqua” è stata effettuata l’analisi della
situazione delle portate dei corsi d’acqua della valle, sia in relazione al Deflusso Minimo
Vitale previsto dal Programma di Tutela e Uso delle Acque regionale approvato nel 2006, sia
in relazione all’effettivo stato degli ecosistemi (qualità delle acque e condizioni generali
dell’ecosistema, valutata in base all’Indice di Funzionalità Fluviale). All’interno di questa
attività si è puntato non solo a verificare il rispetto della legge ma anche a far emergere
eventuali miglioramenti nella gestione delle acque, che permettano miglioramenti ambientali
con minime perdite da parte degli utilizzatori, seguendo l’approccio usato da Ambiente Italia
e CIRF nel Parco delle Dolomiti Bellunesi. Sempre nell’ambito di questa azione si è
formulato una proposta preliminare di soluzioni e tecnologie appropriate da adottare sul
territorio per ridurre il consumo di risorse e gli impatti dei prelievi idrici. In particolare, per
quanto riguarda le proposte riguardanti il settore turistico, si è fatto riferimento alle linee
guida prodotte da Ambiente Italia e partner nell’ambito del progetto “Gestione Sostenibile
delle Acque nelle Strutture Turistiche” (www.swamp-eu.org). Tali contenuti, riportati nella
sezione II del presente documento, sono stati anche oggetto di formazione e di dibattito in
occasione del Seminario formativo per operatori turistici “L’acqua: una risorsa preziosa per la
1
“I sentieri dell’acqua” è un progetto realizzato dalla Provincia di Bergamo, con il finanziamento della Regione Lombardia, con il
partenariato della Comunità Montana Valle Brembana e dei Comuni vallivi e con la consulenza tecnico scientifica di Ambiente
Italia e dell’Orto botanico di Bergamo. L’intervento, che si compone di un sistema integrato di azioni, ha come fine ultimo la
riscoperta e la valorizzazione del patrimonio idrico della Valle Brembana. Per ulteriori informazioni e materiali, cfr. il sito internet
della Provincia di Bergamo (www.provincia.bergamo.it) – Servizio Ambiente o contatta l’Ufficio Agenda 21 provinciale (Tel.:
035.387568; E-mail: [email protected]).
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Valle Brembana. Uso sostenibile e valorizzazione”, tenuto a San Pellegrino Terme in data 29
maggio 2008.
11. Nell’ambito dell’azione 11 del progetto “I sentieri dell’acqua” sono stati formulati approcci
e suggerimenti di cui tener conto nella pianificazione e programmazione locale e nelle
rispettive norme di attuazione, per una gestione integrata delle risorse idriche della valle. A
partire da un’analisi del quadro pianificatorio sovraordinato è stato ricostruito uno schema
della pianificazione in materia di tutela delle acque e degli ecosistemi acquatici e di uso della
risorsa e, tenuto conto di questo, sono state sviluppate alcune ipotesi di azioni riguardanti il
livello provinciale e sub provinciale: una raccolta di tali azioni è allegata al presente
documento. Infine sono state ipotizzate soluzioni normative applicabili negli strumenti di
pianificazione e programmazione, sia a livello sovracomunale (con particolare riferimento al
Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, al Piano Integrato di Sviluppo Locale, al
Piano Turistico, etc…), che a livello locale (nuovi Piani per il Governo del Territorio, ma
anche Regolamenti edilizi, piani settoriali, etc…).
Riassumendo, la presente relazione consta dunque di tre parti:
I. Quadro storico - antropologico degli usi delle risorse idriche del bacino idrografico del
Brembo (ex rapporto dell’azione 1 del sopra citato progetto);
II. Valutazione degli usi compatibili delle risorse idriche del bacino idrografico del Brembo (ex
rapporto dell’azione 6);
III. Integrazione di piani, programmi e regolamenti per la gestione sostenibile e la tutela delle
risorse idriche del bacino idrografico del Brembo (ex rapporto dell’azione 11).
Completa la relazione un allegato contenente alcune schede di sintesi che illustrano le
ipotesi di soluzioni di gestione sostenibile applicabili sul territorio della Valle Brembana, da
intendersi quale approfondimento della suddetta sezione III contenuta nel documento ivi
presentato.
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I.
QUADRO STORICO - ANTROPOLOGICO
DEGLI USI DELLE RISORSE IDRICHE
DEL BACINO IDROGRAFICO DEL BREMBO
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2
IL BREMBO: CARATTERI DEL FIUME
Secondo la leggenda il Fiume Brembo prende il suo nome da quello di Brenno, re dei Galli,
che proprio lungo il corso del fiume furono sconfitti dai romani guidati da Torquato. Una
rivisitazione di Celestino Colleoni, diede poi a Brenno una nota di valore ed eroismo: nel suo
racconto, infatti, il re sconfitto in battaglia preferì gettarsi nelle acque del Brembo piuttosto
che cadere nelle mani di Torquato. Un’altra possibile attribuzione dell’etimologia fa derivare il
nome Brembo dal termine preromano brem, che significa risuonare ed è associato allo
scorrere rumoroso delle acque tra le rocce. Un’ultima possibile origine risale alla parola latina
imber, acqua.
Già dal nome si può cogliere il carattere torrentizio del Fiume Brembo, da sempre
imprevedibile e poco adatto alla navigazione. Torquato Tasso così lo differenziava dall’altro
fiume di Bergamo, il Serio: “Terra bergamasca, che il Serio bagna e il Brembo inonda”. Sono
infatti molte le piene che ciclicamente e rovinosamente hanno colpito la Valle Brembana: alla
prima di cui si ha notizia, che risale al 17 ottobre 1230, ne seguirono numerose altre, tra cui
quelle del 1493, di cui ci ha lasciato testimonianza lo storico M.A. Michiel2, del 1523, del
1646, del 1793, del 1830, del 1882, fino alla più recente del 17 luglio 1987, il cui ricordo è
ancora vivo nella popolazione della Valle.
Il Brembo è considerato fiume bergamasco ed è stato a fine Ottocento oggetto di contesa tra
brembani e milanesi, in quella che viene definita la cosiddetta Iliade Brembana3. I milanesi
volevano infatti canalizzare le acque in modo da sfruttarle poi nella pianura, ma non vi
riuscirono mai del tutto. In realtà il problema che impediva alle genti brembane di concedere
la propria risorsa idrica agli stranieri era l’incostanza delle portate del Brembo, il cui
sfruttamento ne avrebbe determinato un eccessivo impoverimento nei periodi estivi ed
invernali. Nel Quattrocento si era già interessato allo sfruttamento del Brembo Bartolomeo
Colleoni, con due progetti: il primo prevedeva di creare nei pressi di Almenno un canale per
irrigare i territori dell’Isola bergamasca; il secondo invece mirava alla creazione di un naviglio
che collegasse il Brembo al Serio, all’Adda e al Po. Successivamente, a metà Cinquecento,
vennero riprese queste idee con un progetto di un tal Giovanni Rota che prevedeva la
creazione di uno sbarramento nei pressi di Zogno da cui dipartissero i due canali, quello per
l’Isola e quello verso il Serio, con l’obiettivo di rendere così il Brembo navigabile e di
connettere la Valle Brembana e le sue ricchezze alla pianura. Il senato di Venezia, che allora
dominava sulla bergamasca, pur prendendo in considerazione le proposte, non autorizzò
mai i lavori che rimasero così solo sulla carta. Altra testimonianza scritta dell’interesse per il
Brembo è quella lasciata dai disegni a rovescio di Leonardo da Vinci: è sua infatti la prima
rappresentazione della Valle Brembana, realizzata intorno al 1508-1510.
L’origine del Brembo, anche se non si può parlare di un’unica sorgente, è stata individuata
nella conca del rifugio Calvi, tra il Pizzo del Diavolo, il monte Aga, il Grabiasca e i loro piccoli
laghi alpini, dove una miriade di torrentelli si uniscono dando vita al fiume4. Lasciata la conca
del rifugio Calvi, il torrente prende corpo incontrando gli affluenti di Valleve a Branzi e della
Val Secca a Roncobello. Altri importanti rami scendono da Averara e Mezzoldo e si uniscono
ad Olmo al Brembo nel Brembo di Mezzoldo, che, poco dopo, riceve anche le acque del
torrente Stabina. A Lenna, paese cerniera, dove si uniscono i due principali rami dell’alto
2
M. SCALVINI E G.P. CALZA, Agri et urbis bergomatis descriptio, Bergamo, 1516. M.A. MICHIEL,Città e territorio nella “Descriptio”
di Marcantonio Michiel, Padova, 1983, p.48.
3
E’ questo il titolo di un libello dello scrittore e scienziato abate Antonio Stoppani, scritto nel 1882 a sostegno delle tesi milanesi.
4
Non riuscendo a rintracciare una sorgente vera e propria, è per convenzione che si fa nascere il Brembo tra le tante piccole
sorgenti della conca del Calvi, come riportato anche nel Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale della Provincia di
Bergamo, Relazione Generale, Provincia di Bergamo - Settore Politiche del Territorio, 2004, p. 33.
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
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bacino, il Brembo ha già le fattezze di un fiume vero e proprio e incomincia qui il suo
procedere sempre in direzione nord-sud. I numerosi piccoli affluenti che discendono da
entrambi i versanti della Valle Brembana (est e ovest), permettono alla gente dei piccoli
paesi che qui sorgono di avere un rapporto privilegiato con il “proprio” Brembo. Queste
acque laterali, nonostante il loro corso talvolta irregolare e turbolento, sono state nel tempo
sfruttate per alimentare i magli delle fucine, le segherie, i mulini per la produzione del grano,
etc.
A causa della sua storia e della sua conformazione geomorfologia, l’intera Valle Brembana è
stata più volte suddivisa in zone. Come evidenziato da Lelio Pagani5, la ripartizione
amministrativa più adeguata, perché rispecchia anche le caratteristiche degli insediamenti
antropici, è quella operata dalla dominazione veneziana: a nord esisteva la sezione della
Valle Brembana oltre la Goggia, il cui paese referente era Piazza Brembana; per Valle
Brembana Superiore s’intendeva invece il complesso centrale con sede amministrativa a
Serina, ma che vantava anche paesi importanti come San Giovanni Bianco e Cornello dei
Tasso; Zogno era infine il nodo centrale per il distretto della Valle Brembana Inferiore. I paesi
brembani si sono sviluppati proprio a causa del diretto contatto tra le attività dell’uomo e il
fiume stesso: Olmo al Brembo, Branzi e Piazza Brembana, in particolare, possono essere
accomunati in quanto paesi nati in posizione strategica. In questi luoghi gli affluenti del
Brembo incontrano il fiume maestro e sono rispettivamente il ramo della Valle Averara e
Stabina (nel Brembo della valle di Mezzoldo), quello di Foppolo che incontra a Branzi6 il ramo
di Valleve e infine a “Piazza” avviene l’incontro tra i due rami principali, quello di Mezzoldo e
quello di Carona. Discendendo in direzione nord-sud il fiume trova i paesi maggiori sorti
talvolta sulla sua sponda destra, talvolta su quella sinistra. Interessante è verificare come i
centri abitati siano sorti proprio sulle rive del Brembo, scegliendo aree più pianeggianti
(Lenna, Piazza Brembana) oppure declivi più dolci e soleggiati (Piazzatorre, Santa Brigida).
Molti sono i tratti in cui il fiume scorre in valli strette, inforrato tra le rocce, fattore che ha
determinato in passato un ostacolo ai trasporti: la ristretta valle presente nei pressi di
Sedrina ostacolava il transito delle carovane che per giungere in Valle Brembana passavano
dalla Val Seriana scollinando ad Oltre il Colle. La frazione Trabuchello deve invece il suo
nome proprio alla presenza di rupi e gole strette che costituivano un nascondiglio adatto per i
briganti in attesa delle carovane che risalivano il fondo valle.
3
GLI USI DELLE ACQUE
La vita e le attività degli abitanti della Valle Brembana sono state fortemente influenzate dalla
presenza dei numerosi corsi idrici e dalla disponibilità delle acque. Si riportano nei paragrafi
seguenti le principali attività, storiche e più recenti, legate all’uso di tali acque e l’influenza
che ciò ha comportato sul paesaggio e sugli insediamenti della valle stessa.
3.1 Miniere, fucine, magli e mulini
L’attività mineraria in Valle Brembana ha avuto origini molto antiche: recenti studi
sostengono che nei pressi di Dossena erano presenti cave già nel 1.000-1.500 a.C.
Successivamente con l’arrivo dei Romani si diffusero le strade che, facilitando le
comunicazioni al di fuori della valle, accrebbero il commercio del materiale estratto e
lavorato.
5
6
L. PAGANI (a cura di), Il Fiume Brembo. Beni culturali e ambientali nell’area brembana, Torre Boldone (BG) 1994, pp.17-42.
Il cui nome pare derivi dal latino branca, ad indicare proprio la confluenza dei due rami del Fiume Brembo.
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
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In Valle Stabina, territorio a lungo assoggettato al governo milanese7, le maggiori
concentrazioni di ferro si trovavano soprattutto nel massiccio del Pizzo dei Tre Signori e il
materiale, una volta estratto, veniva inviato a valle e quindi lavorato nelle fucine di Valtorta e
di Olmo al Brembo. Nella Valle di Fondra le attività minerarie si svolgevano nei siti di Fondra,
Cambrembo, Carisole e sul monte Sasso presso Carona. Il paese di Fondra deve il suo
nome ai forni che vi sorgevano e che lavoravano rame e ferro, estratti dalle sue miniere
poste in località Pizzo, Costa e Vandul. Carona offriva più località di estrazione dei minerali:
a Carisole, nella Valgussera, alle Vignole, nel Monte Sasso, alla Cabianca e all’Acquabianca.
Dal Medioevo fino a tutto il Settecento l’attività estrattiva fu una delle maggiori risorse
economiche per le famiglie della valle e, seppur solo in parte, sarebbe rimasta tale fino a
quando nell’Ottocento, chiusa la maggior parte delle cave tra le montagne brembane, i
minatori espatriarono all’estero.
L’attività mineraria riguardava per lo più l’estrazione del ferro che veniva poi lavorato nelle
fucine e nelle “chiodarole” che si giovavano anche della copiosa presenza di corsi d’acqua.
Queste attività erano presenti numerose nel territorio della Valle Brembana: Branzi, Lenna,
Averara, Piazza Brembana, Valtorta e Oltre il Colle possedevano molti forni e fucine per la
lavorazione del ferro. Questa diffusa presenza di attività e di corsi d’acqua ha prodotto anche
un’importante innovazione tecnologica: risale al XIII e XIV secolo e con elevata probabilità
proprio al territorio della Valle Brembana l’invenzione dell’altoforno alla bergamasca. In
questo forno veniva sfruttata l’energia delle acque per far ruotare pale che, a loro volta,
attivavano i mantici per attizzare il fuoco, garantendo così un’elevata e costante temperatura.
Nei forni il combustibile utilizzato era il carbone (esso veniva spesso prodotto dai carbonai
facendo bruciare cataste di legna8) e il prodotto risultante era la ghisa, materiale che però
non era ancora adatto ad essere lavorato. La ghisa veniva quindi trasportata alle fucine
(dapprima quelle denominate fucine grosse) dove era ridotta a ferro dolce o acciaio in barre.
Il prodotto così ottenuto poteva essere venduto, oppure essere lavorato in piccole officine
(fucine sotiladore), dove avrebbe assunto la forma di chiodi o di altri piccoli utensili. Le fucine
brembane erano attrezzate per produrre chiodi, ferri di cavallo, chiavi e piccoli utensili da
lavoro, prodotti non particolarmente elaborati, oltre a saper affinare ghisa e trasformarla in
semilavorati9. Quando non lavorata, la ghisa passava alle fucine della Valsassina attraverso
la Via del Ferro oppure raggiungeva la pianura dove, in passato, erano numerose le fucine
che producevano armi.
Nella toponomastica attuale sono rimaste numerose testimonianze di questo passato
dedicato all’arte della ferrarezza10. A Mezzoldo, si trova ad esempio la località Fusina,
ubicata dove un tempo sorgevano le fucine per il trattamento del ferro appena estratto. Il
nome della frazione Scaluggio (sempre in comune di Mezzoldo) ricorda la forma che
assumeva il terreno in prossimità dei forni di fusione. Vi erano infatti numerose terrazze per il
deposito del materiale prima e dopo la lavorazione, sulle quali scorrevano canali d’acqua per
raffreddare il materiale incandescente appena lavorato. Un tempo a Carona, in prossimità di
un forno di fusione, esisteva la contrada Fiume Nero: venne però poi cancellata dalla
costruzione della diga per la produzione di energia elettrica. Da fraino, soprannome
bergamasco dato al minatore, sarebbero poi derivati toponimi differenti come Fraccia,
località a monte dell'abitato di Mezzoldo11.
7
Cfr. G. PESENTI F. CARMINATI, Valle Brembana antica terra di frontiera, Museo Etnografico “Alta Valle Brembana” - Comune di
Valtorta, Corponove, Bergamo, 1999 e T. BOTTANI – G.F. RICEPUTI, Valtorta i luoghi della storia, Museo Etnografico “Alta Valle
Brembana”, Comune di Valtorta, Corponove, Bergamo, 1996.
8 E' il poiàt; per un quadro generale si veda in seguito capitolo sui carbonai.
9 Per un quadro generale, cfr. M.TIZZONI, op. cit. p.27.
10 Così era chiamata l’attività metallurgica in Valle Brembana.
11
Cfr. M. TIZZONI, Il comprensorio minerario e metallurgico delle valli Brembana, Torta e Averara dal XV al XVII secolo, Fonti
per lo studio del territorio Bergamasco XIV, Provincia di Bergamo, Bergamo, 1997, pp. 12-59.
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
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Da studi recenti condotti analizzando catasti del XIX secolo si è compreso quanto la
presenza di mulini, fucine, forni fusori e piccoli laboratori artigianali fosse una realtà
fondamentale all'interno delle piccole comunità brembane e quanto la loro presenza fosse
strettamente legata alla disponibilità d’acqua superficiale12. Ogni contrada nella maggior
parte dei casi possedeva un mulino a una pala, talvolta mosso da una roggia artificiale da cui
prendeva il nome; spesso erano presenti un maglio e alcune fucine per la lavorazione di
chiodi (solo nella località di Valtorta se ne contavano 24, oltre a 8 mulini da grano).
I laboratori erano posti lungo corsi d'acqua di portata costante e con un dislivello non
eccessivo: il torrentello azionava la ruota idraulica che dava avvio a tutti gli altri meccanismi;
un ingranaggio muoveva i mantici, il moto dei quali teneva vivo il fuoco. Sempre dalla stessa
ruota idraulica prendeva energia il maglio, il cui movimento costantemente ripetuto
permetteva ai fabbri di battere senza sforzo e modellare i metalli.
In un documento del 167313 si menziona un meccanismo nuovo per le fucine della Valle
Brembana: è la tromba idroeolica, (in bergamasco era chiamata ora). L'acqua era ancora la
protagonista: in un tronco d'albero cavo cerchiato di ferro al suo interno e provvisto di quattro
finestrelle, essa cadeva dall'alto vorticosamente, aspirando così aria dalle valvole. Il legno
era infilato in un tino con il fondo ricoperto da una lastra di pietra e qui l'acqua si infrangeva
per poi defluire da un canale di scolo. L'aria raccolta nella parte superiore del recipiente
veniva convogliata in una canna al fucinale e serviva ad alimentare dal basso il fuoco della
forgia14.
Alcune volte lo stesso edificio del maglio ospitava anche meccanismi per la macinazione di
noci, grano o altri cereali. La stessa roggia azionava infatti sia l'albero del maglio che quello
della macina, posta in un locale attiguo; l’acqua era così il motore principale di due attività
fondamentali per la vita economica dei piccoli paesi di montagna. La macina serviva per
produrre farina bianca e di mais e per una prima spremitura di noci (che passate al torchio
davano il prezioso olio di noci) o castagne. Il meccanismo, sempre con lo sfruttamento
dell'energia dell'albero motore, faceva inoltre muovere il setaccio che automaticamente
scremava le farine più fini da quelle di scarto.
Spesso i campi limitrofi al mulino erano coltivati a cereali, tra i quali spiccavano la segale e il
granoturco (chiamato granoss, il nostro grano): dalla macinazione del primo si ricavava
farina per il pane nero (pà de mistura), dal secondo farina gialla per la polenta, alimento che
non mancava mai sulle tavole valligiane di ricchi e poveri. Prima dell'utilizzo della macina a
ruota, per produrre farine si utilizzava sempre la forza idraulica ma in modo diverso: le pale
azionavano infatti i più semplici meccanismi della pesta, sasso cavo in cui si pestavano
cereali o noci con un movimento a caduta simile a quello del maglio. Questa tecnica venne
soppiantata nel corso dei secoli dalla macinazione a ruota e, dove ancora presente, la pesta
fu trasformata per la sola polverizzazione di orzo, cereale più grossolano, o di noci. Ad oggi
restano pochi esempi ancora visibili di questi mulini, che un tempo erano invece parte
integrante del panorama, tra cui si segnala il mulino di Baresi, oggetto di un recente restauro
da parte del FAI.
3.2 Il Brembo via d’acqua
La crescita demografica che si registra in pianura padana dal XIII secolo porta ad un
incremento della domanda di legname, non più facilmente disponibile in loco. Per soddisfare
queste richieste gli imprenditori si rivolgono alle aree di montagna (Valle Brembana in
primis), sfruttando i fiumi come via economica e rapida per il trasporto del legname a valle.
Nasce così una nuova figura professionale: il traghettatore. Il suo lavoro, difficile e rischioso,
12
Per un quadro completo sull’argomento cfr. G. MOLINARI, Il Brembo e il suo bacino in Alta Valle.
Archivio Statale di Milano Atto notarile 32173. Notaio Francesco Maria Arrigoni q. Giuseppe di Castello di Lecco; cfr. C.
CUCINI TIZZONI , Le fucine da ferro e i magli da rame delle Alpi lombarde in M. TIZZONI , op. cit. p.513
14
C. CUCINI TIZZONI, op. cit. p. 433.
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ma profondamente redditizio, consiste nel rifornire le segherie di partite di bore15,
accordandosi con le squadre di borellai16 della valle per il taglio e trasportando poi il legname,
attraverso il fiume, fino alla pianura. Le acque del Brembo e dei suoi numerosi affluenti, che
capillarmente raggiungevano l’intero territorio vallare, furono presenza indispensabile per lo
sviluppo di questa florida attività.
Altro fattore indispensabile fu la cospicua e variegata disponibilità di legname, differenziata
grazie alle molteplici tipologie di terreni presenti che risultano, quindi, adatti alla crescita di
diverse tipologie di alberi. In Valle Stabina, per esempio, su terreno calcareo e ben
soleggiato crescono faggeti, mentre il terreno più umido e meno esposto al sole della Valle
dell'Olmo è più adatto agli abeti bianco e rosso, al pino e al larice.
Il traghettatore, ricevuta la commessa, prendeva accordi con squadre di borellai e con i
17
Comuni possessori delle zone boschive . I primi, nel periodo più opportuno per ciascuna
specie arborea18, tagliavano il legname, lo marchiavano per renderlo identificabile e quindi lo
conducevano verso il fiume. La discesa delle bore dal luogo di taglio fino al letto del fiume
19
avveniva con la tecnica della enda e söenda : sfruttando le pendenze dei prati, veniva
costruita una pista in alcuni tratti rinforzata con ulteriori bore, lungo la quale venivano fatti
scendere, in linea retta, i tronchi tagliati in direzione del porto, luogo di raccolta delle bore
prima della fluitazione verso valle. Per costruire queste discese spesso si disboscavano parti
del versante oppure si sfruttavano vallette laterali, purché caratterizzate da un letto privo di
massi di dimensioni eccessive, che avrebbero impedito una discesa fluida. In alcuni casi si
faceva anche ricorso a vie innevate e ghiacciate lungo le quali i fusti di albero scendevano
senza alcun ostacolo. Spesso lungo le söende troppo ripide si costruivano sbarramenti
verticali, gli archi, che fermando il transito dei tronchi in alcuni punti, impedivano agli stessi di
raggiungere velocità eccessive. La söenda è rimasta in uso fino all'invenzione della teleferica
ed è stata del tutto abbandonata con l'introduzione del motore negli anni del secondo
dopoguerra. In passato in ogni paese esisteva la casa comune, un'abitazione adibita ad
alloggio per le squadre di boscaioli (dieci, sedici al massimo) spesso membri della stessa
famiglia. Qui dormivano e venivano distribuiti i pasti principali, ma soprattutto si sancivano i
contratti per le partite di legname con i traghettatori. Se il luogo da cui prelevare le bore si
trovava troppo distante dal paese, si costruivano con tronchi e assi piccole capanne nel
bosco, le baite: un giovane apprendista si occupava della loro gestione, di preparare il cibo,
di scendere al villaggio a fare la spesa. I borellai raggiungevano le famiglie in paese solo la
domenica per partecipare alla messa.
Accatastate le bore in grandi pile presso il porto, terminava il lavoro del borellaio ed erano
allora gli operai del traghettatore a guidare i tronchi verso valle. La fluitazione doveva
avvenire, secondo tempi stabiliti, nel periodo tra febbraio e maggio, quando, grazie allo
scioglimento nivale, le portate del Brembo risultavano maggiori. Le partite di bore
navigavano così il fiume una dopo l'altra, senza mescolarsi con quelle di altri traghettatori,
percorrendo in media pochi chilometri al giorno per non sfuggire al controllo degli addetti che
si posizionavano strategicamente lungo le rive e le fermavano in punti di sosta predisposti
lungo il Brembo. Dopo alcuni giorni raggiungevano la prima vera fermata intermedia, al porto
di Almè, dove una parte veniva venduta all'asta e imboccava la strada di Bergamo
15
Il termine dialettale bora si riferisce ai tronchi di alberi di aghifoglie.
Erano chiamati borelér (borellai) coloro che erano specializzati nel taglio di alberi di alto fusto; i tèa legna si dedicavano
invece al taglio del bosco ceduo.
17
In Alta Valle Brembana fino all'arrivo di Napoleone intere montagne erano possedute dagli Antichi Originari, famiglie indigene;
dopo l'esproprio di Napoleone divennero tutti territori comunali, la gestione dei quali doveva essere discussa da rappresentanze
dell'intera popolazione. Cfr. T. BOTTANI, E. ARRIGONI E G.F. RICEPUTI, Gente di Piazzatorre, pp. 43-54.
18
Per i boschi di latifoglie esso avveniva soprattutto in inverno, quando la vegetazione riposa. Per le aghifoglie il taglio non
doveva avvenire mai prima della primavera, pena l'impossibilità di sfrondare la corteccia
19
Enda e Söenda sono tecniche analoghe; il dialetto chiama però enda la pista principale che talvolta passava anche su ponti
costruiti sopra corsi d'acqua, söenda la pista laterale che convogliava i tronchi nello stesso punto da cui partiva la enda. Alcuni
paesi come Piazzatorre possedevano una enda che non veniva mai smontata.
16
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viaggiando su carretti. La parte rimanente proseguiva il percorso fino a Ponte San Pietro Brembate, altro importante punto di sosta da cui potevano ripartire via acqua per Treviglio
per poi prendere la direzione dell'Adda e, attraverso i Navigli, arrivare anche fino a Milano20.
Un pericolo per la fluitazione era costituito dalle improvvise piene che erano in grado di
scagliare le bore verso le rive distruggendo porti di sosta, mulini ed altri edifici presenti lungo
le sponde del fiume.
Il tramonto della fluitazione del legname avvenne verso la fine dell’Ottocento. I motivi
dell’interruzione di questa attività che indusse un lento declino economico nei paesi della
valle, sono molteplici. La responsabilità principale va imputata allo sviluppo industriale e al
bisogno sempre maggiore di energia elettrica: in Valle Brembana nel ventennio successivo
vennero insediati vari sistemi idroelettrici con significativi sbarramenti all'acqua del Brembo in
più punti che impedivano la fluitazione regolare. A ciò va ad aggiungersi anche il
depauperamento delle risorse idriche operato in alta quota dalle imponenti dighe che,
trattenendo l'acqua, impoverivano la portata circolante in alveo. L'autostrada delle bore
cessò di funzionare nel 1890 circa, quando la Regia Amministrazione Provinciale impedì la
fluitazione del legname lungo il corso del Brembo. Il tentativo di continuare in ogni caso
l’attività di taglio del legname brembano, ormai privata della sua via di trasporto privilegiata,
non si rivelò più molto fruttuoso. Il trasporto delle partite di legname su strada fu infatti presto
abbandonato, a causa dell’impossibilità di percorrere le strade strette e tortuose della valle in
sicurezza e con un ritorno economico accettabile.
3.3 Le centrali idroelettriche
La Rivoluzione industriale italiana di fine Ottocento portò con sé una crescente domanda di
energia per alimentare le manifatture che trovò una risposta nella produzione di energia
elettrica dalla forza idraulica di caduta. La Valle Brembana fu individuata come realtà molto
promettente in questo senso, in quanto grande era la disponibilità di acqua e di salti idrici tali
da alimentare le turbine.
Fu Clanezzo che vide sul proprio territorio la nascita della prima centrale idroelettrica
brembana, costruita nel 1901 da un gruppo di industriali tedeschi originari di Norimberga
(società Schuckert). La centrale fu costruita in modo da produrre energia che potesse essere
poi esportata, ripagando con gli introiti di tale vendita gli investimenti impiegati per la
costruzione dell’impianto. A distanza di pochi anni, sorsero anche le centrali di Zogno e di
San Giovanni Bianco: la prima, appartenente alla società Edison, fu realizzata nel 1903 in
perfetto stile Liberty ed è ad oggi visibile dalla strada provinciale per Bergamo; la seconda
sorse nel 1906 con l’intento di fornire energia alla ferrovia che proprio in quell'anno veniva
costruita arrivando fino a San Giovanni Bianco.
Dopo la costruzione di queste prime centrali fu sviluppata l’idea di riuscire ad
immagazzinare, in bacini artificiali in alta valle, le acque in modo da poterne disporne
all’occorrenza e con maggiore regolarità. Da questa intuizione venne sviluppato un progetto
di costruzione di invasi artificiali, centrali e condotte nella zona di Carona e Branzi che,
rinviato a causa degli eventi della prima guerra mondiale, prese avvio solo in seguito, nel
1919. Il progetto vide la creazione di dieci serbatoi, di cui cinque sulle montagne in territorio
di Carona (Laghi del Diavolo, Rotondo, Fregabolgia, Valdifrati e Sardegnana) e i rimanenti in
quello di Branzi (Laghi Colombo, Gemelli, Marcio, Piano delle Casere e Piano del Becco).
L’acqua raccolta in questi invasi artificiali veniva fatta confluire in un unico grande bacino (il
Lago di Sardegnana) in modo tale da disporre ogni anno di milioni di metri cubi di acqua per
far ruotare le turbine di una nuova centrale, progettata nel paese di Carona. La costruzione
20
Dall’intervista allo storico Gianni Molinari, Mezzoldo, luglio 2007. Cfr AA.VV., Annuario CAI Alta Valle Brembana, pp. 51-55.
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di quest'ultima mutò radicalmente la geografia del paese: il suo originario centro abitato fu
sommerso da un lago artificiale creato dallo sbarramento artificiale che raccoglieva le acque
appena turbinate dalla centrale. La diga di questo lago fu realizzata solo in seguito, nel 1931,
21
anno in cui entrò in funzione una nuova centrale, la centrale di Bordogna . Il sistema
idroelettrico si componeva anche di una serie di canali sotterranei, mettendo in
comunicazione le acque dei diversi laghi, che assicuravano all'invaso di Sardegnana una
quantità d’acqua sufficiente a mantenere costante la portata turbinata nella centrale di
Carona. Grazie alla creazione, avvenuta in contemporanea alle dighe, di due canali
sotterranei, il Canal del Diavolo e quello dei Pian Casere, tutti i laghi inviavano le proprie
acque, in quantità regolata, al lago di Sardegnana. Il primo canale sotterraneo raccoglieva
l'acqua dei Laghi del Diavolo, di Fregabolgia e di Valdifrati per una lunghezza complessiva di
circa 4,5 chilometri. Il secondo canale, lungo circa la metà, attingeva ai Laghi Colombo,
Gemelli, di Pian Casere, Marcio e del Becco. Un altro canale collettore portava poi l'acqua
del Brembo di Foppolo al Lago di Carona. Da qui una quarta galleria sotterranea, la più
lunga (ben 8,9 chilometri) conduceva le acque di quest'ultimo invaso a Baresi, località dalla
quale partivano le condotte forzate per la centrale di Bordogna. Un grande affresco ritraente
il sistema idroelettrico dell'alta Valle Brembana è posto all'interno della centrale di Carona,
costruita tra l'altro rispettando i gusti estetici e artistici del Liberty bergamasco22.
Da sottolineare è il fatto che queste centrali, così come quelle pioniere costruite nella media
Valle, non potevano produrre energia in modo costante, cioè durante tutto il giorno. Quella di
Carona, per esempio, funzionava a pieno regime solo otto ore al giorno nei giorni feriali,
mentre di notte e negli altri giorni l'invaso del Sardegnana era lasciato libero di riempirsi.
In Valle Brembana vennero poi concepiti da altre società nuovi sistemi per la creazione di
energia elettrica. Nell'allora Comune di San Pietro d'Orzio (oggi Camerata Cornello) nel
biennio 1922-1924 venne costruita una piccola centrale dalla Società Elettrica Bergamasca,
che sbarrò anche il Brembo all'altezza di Lenna (oggi ancora visibile). Altre centrali di
modeste dimensioni sorsero a Lenna (alimentata dal Lago di Moio), in località Ponte
dell'Acqua a Mezzoldo e una all'altezza del bivio per Piazzolo (entrambe alimentate dalla
diga di Alta Mora in Valmoresca) e ad Olmo al Brembo, la quale attingeva acqua dal Lago di
Cassiglio e dal Torrente Stabina. Altre piccole centrali furono costruite da privati per dar forza
ai macchinari dei propri opifici e segherie: tutte queste prendono posto lungo il corso del
Brembo e, viste le piccole dimensione dei bacini, avevano un ciclo di produzione pressoché
ininterrotto. Alcuni Comuni hanno poi sfruttato piccoli salti del fiume per produrre energia
elettrica per l’illuminazione pubblica: il primo Comune fu Olmo al Brembo, nel 1914, con
l’installazione di due turbine a valle di una piccola derivazione sul ramo del Brembo che
scende da Mezzoldo. La forza motrice, un tempo fornita dal continuo ruotare delle pale dei
mulini, venne così sostituita dalla più comoda energia elettrica.
La progettazione di laghi artificiali e di centrali elettriche portò con sé notevoli cambiamenti,
non solo nell’ambiente della valle ma anche nelle abitudini e nella vita degli abitanti stessi. La
gente della valle fu inizialmente favorevole alla trasformazione del proprio territorio in quanto
riponeva nel progresso, che queste opere portavano con sé, la speranza di un miglioramento
delle loro condizioni di vita. Le attività principali che si svolgevano in alta Valle all’inizio del
Novecento erano ancora agricoltura e pastorizia, con ritmi di vita basati sul ciclo giorno –
notte e nell’ambito di un’economia per lo più di sussistenza. Le persone furono quindi
entusiaste di poter prendere parte ai lavori di costruzione, lavori che rappresentavano la
possibilità di accrescere i magri guadagni. La realtà dei fatti fu molto più dura: la costruzione
di queste opere fu un'impresa carica di difficoltà e fatiche, realizzata con gli strumenti di
lavoro dell'epoca e con scarse misure di sicurezza. Numerosi furono i morti sui cantieri e
21
La centrale prende questo nome dal paese di Bordogna, ora frazione di Roncobello, in quanto le condotte forzate transitano
su questo territorio. In realtà la centrale si trova a valle di questo paese, in territorio di Moio de' Calvi.
22
Vedi anche A. CARMINATI, Il sistema idroelettrico dell’Alto Brembo-Carona, tesina di maturità, a. scol. 2003/2004.
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molti operai contrassero malattie disabilitanti, senza essere ricompensati da alcun tipo di
indennizzo. Il progresso che l’idroelettrico portò in Valle Brembana è ben riassunto dalle
parole di Giuseppe Pesenti:
“Le condizioni di lavoro per tutte le attività riguardanti sia le centrali che le
aziende private manifatturiere erano assai gravose. Era un fatto comune, da
tutti accettato, che si lavorasse almeno 12 ore al giorno per 6 giorni la
settimana ma di frequente con gli straordinari si potevano toccare anche le 14
ore. Dopo l'arrivo dell'illuminazione elettrica nelle aziende più avanzate,
attorno al 1905, si cominciò a lavorare anche di notte con ritmi sempre più
serrati per sfruttare al massimo le macchine. La maggior parte dei dipendenti
negli stabilimenti tessili erano donne e ragazzine anche solo di 12 o 13 anni,
altro fatto da tutti accettato normalmente. I ragazzi della stessa età erano
destinati invece ad aiutare gli uomini che svolgevano i lavori più pesanti quali i
manovali, i muratori e i carpentieri nelle numerose costruzioni edili connesse
al grande sviluppo di strade, ponti, canali, dighe, gallerie, stabilimenti, centrali
e vari alberghi che si registrarono nel ventennio in esame (anni 1900-1920,
ndr)23”.
3.4 Le acque da bere e le terme
La costruzione di opere pubbliche per la gestione delle acque potabili nei paesi della Valle
Brembana risale all’Ottocento: fu in quegli anni che le amministrazioni comunali costruirono
acquedotti per portare l’acqua alle fontane pubbliche disposte su tutto il territorio del paese,
anche e soprattutto nelle frazioni. La presenza diffusa di queste fontane era un elemento di
vanto per i Comuni. Le vasche di queste fonti, oggi spesso vuote e irriconoscibili all’occhio
del passante, un tempo si trasformavano in lavatoi presso cui le donne lavavano panni e i
bambini venivano a raccogliere acqua per la casa. Acqua miracolosa si pensava sgorgasse
anche dal fontanì de la Aghèta a Santa Brigida: vi arrivavano i malati che avevano contratto
la silicosi in miniera, molti dei quali testimoniavano guarigioni miracolose24. Molte fontane
dell’alta Valle Brembana hanno però diversi secoli alle spalle: sono i fontanoni costruiti lungo
le principali vie di comunicazione (Via Mercatorum, Via del Ferro e Via Priula), che un tempo
offrivano ristoro al viandante e dissetavano le mandrie che salivano ai pascoli in alta quota.
In molte di queste fontane, ancora visibili e conservate dai fitti boschi, oggi l’acqua è solo un
lontano ricordo.
Degna di nota è anche l’acqua termale di San Pellegrino, le cui proprietà salutari contro
calcolosi e scorbuto sembravano già conosciute nel 1220, anche se è solo nel 1452 che si
ha la prima testimonianza scritta: come scrive Gianfelice Riceputi, risale a questa data, il
verbale che ordina il divieto assoluto di piantare piante nei pressi della fonte.25 Quest’acqua,
che sgorga ad una temperatura di circa 26° dopo aver attraversato rocce gessose e
calcareo-dolomitche, fu poi oggetto di numerosi trattati che ne elogiarono le proprietà
curative: dalle Dissertazioni sull’acqua di San Pellegrino di Alberto Astori (risalenti al 1748,
ancor prima che esistessero le analisi chimiche) ai trattati scientifici di Lussana e Taramelli.
Famoso è poi l’elogio dell’abate Mazzoleni, nel suo Zibaldone del 1780:
“Ci sono acque termali ottime per calcoli e scorbuto. Sono caldette, senza
sapore, se non che lasciano sul labbro un non so che di saponaceo. Vannovi
a berle non pur quei del paese, ma Milanesi, Cremaschi, Cremonesi, Lodigiani
23
G. PESENTI, Lo sviluppo industriale ed idroelettrico in Valle Brembana tra il XIX e il XX secolo in AA.VV. Il sogno brembano,
cit., p. 189.
24
Ibid, p. 59.
25
G.F. RICEPUTI, Storia della Valle Brembana, cit., p. 59.
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in buon numero; e chi non può andarci se le fa portare in città e giovano
tuttavia”.
Queste acque, il cui acceso era inizialmente libero, furono poi sfruttate dai proprietari delle
fonti che, se dapprima si limitarono a chiedere un tributo per usufruire delle strutture create,
successivamente imposero un balzello anche sul diritto della comunità all’uso delle acque.
Da qui si aprì una vertenza tra i proprietari delle fonti ed il Comune che è durata per decenni.
Nel frattempo, fu scoperta una seconda fonte, nei pressi della prima, che fu sfruttata con la
creazione di uno stabilimento termale. La città di San Pellegrino, grazie alla capacità curativa
delle sue acque, diventa così negli anni un rinomato centro termale: dopo la costruzione
delle prime terme nel periodo di dominio austriaco (1820), si assistette ad un flusso
crescente di turisti attratti nei primi anni del Novecento, in piena Belle Époque, anche dalla
presenza del Grand Hotel e del Casinò.
Ad oggi sono tre i marchi di acque minerali che imbottigliano acque da fonti della Valle
Brembana: l’azienda San Pellegrino, l’azienda fonte Bracca, con sede nell’omonima località
che imbottiglia acqua per i marchi Bracca, Flavia e Nuova Fonte, e l’azienda Stella Alpina di
Moio de’ Calvi con due acque, Stella Alpina e Pioda.
3.5 I ponti
Le comunicazioni tra le diverse valli laterali che gettano le loro acque nel Brembo sono rese
da sempre difficoltose dalle cime alte e strette che caratterizzano le prealpi Orobie; le
anguste valli laterali che, a volte offrono alla vista i propri strapiombi, altre volte discese più
dolci, raccolgono bacini d’acqua molto ampi, ma non danno la possibilità di passaggi
intervallivi e quindi di facili passi naturali. Collegamenti più agibili si hanno solo nella parte
occidentale dell’alto bacino del Brembo.
In questo contesto geografico, è quindi sempre stato fondamentale il ruolo dei ponti, che in
passato non costituivano solo una semplice infrastruttura di collegamento e transito. Essi
avevano anche funzioni più articolate: univano o separavano abitati amici e nemici; spesso
sui ponti si firmavano paci e si disegnavano i confini territoriali, purtroppo altrettanto
frequentemente sui ponti, insicuri e erodibili dalle piene torrentizie del Brembo, si moriva. Le
alluvioni erano infatti frequenti e mettevano a dura prova le costruzioni degli uomini. Nato su
tracciato di strada romana, era ad esempio il ponte del Lemine, rinominato della Regina,
anch’esso crollato con l’alluvione del 1493 e mai più ripristinato. In alta Valle invece fu
ripristinato, in data incerta, il ponte che attraversava il Brembo e portava a Piazzatorre.
Dove oggi sorge un lungo viadotto che non lascia intravedere segni del passato, un tempo
sorgevano le Chiavi di Botta e i ponti di Sedrina, passaggi tanto importanti per il commercio
quanto pericolosi se percorsi con carretti e animali. I ponti costruiti a strapiombo sul Brembo,
per la loro conformazione presero il nome di Chiavi di Botta, nella frazione di Sedrina.
Importante anche il ponte di Olmo al Brembo, unico punto di passaggio attraverso il Brembo
di Mezzoldo per risalire la Valle Stabina e quindi la provincia lecchese lungo la via del Ferro
o per dirigersi verso Averara, seguendo la via Priula che conduceva in territorio svizzero.
Attorno ai ponti sono sorti interi paesi, comunità generate dal commercio e grazie al traffico
dei viandanti che, attraversando il Brembo, potevano giungere in territorio milanese.
Una leggenda vuole che proprio da uno di questi ponti si sia lanciato il bandito Pacì Paciana,
che sempre la leggenda ricorda come un Robin Hood orobico, riuscendo così a sfuggire alla
cattura.
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II.
VALUTAZIONE DEGLI USI COMPATIBILI
DELLE RISORSE IDRICHE
DEL BACINO IDROGRAFICO DEL BREMBO
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4
L’IMPATTO DELLE DERIVAZIONI IDRICHE SUGLI ECOSISTEMI
Le conseguenze delle derivazioni idriche sugli ecosistemi sono riconducibili a due principali
“categorie” di impatti. La prima categoria concerne gli impatti derivanti dalla presenza dello
sbarramento in alveo – sia esso una traversa o una diga - che costituisce una interruzione
del “continuum fluviale”: tali impatti si manifestano per la semplice esistenza dell’opera,
anche qualora non avvenga derivazione di acqua. La seconda famiglia di impatti è
riconducibile alla alterazione dell’andamento idrologico naturale e dipende dalla portata
derivata in relazione alla portata naturale e dalle modalità con cui avviene la derivazione.
4.1
4.1.1
Interruzione del “continuum fluviale”
Impatti sulla fauna ittica
L’impatto sulla fauna ittica degli sbarramenti possono riguardare sia le comunità ittiche locali
che i pesci migratori.
Per le comunità ittiche locali l’impatto è dovuto principalmente all’instaurarsi, a monte dello
sbarramento, di condizioni di acque ferme (ecosistema lentico) con la conseguente modifica
della struttura della comunità ittica: le specie tipiche delle acque correnti (ecosistema lotico)
tendono a scomparire, sostituite da specie degli ambienti lentici. Ovviamente, l’intensità
dell’impatto è funzione delle dimensioni del nuovo ecosistema creato. Va rilevato che la
creazione di piccoli invasi artificiali ad acque ferme può avere anche effetti positivi per altre
componenti degli ecosistemi, quali la vegetazione acquatica e l’avifauna, che trovano in
questi “neoecosistemi” habitat favorevole (come dimostra il fatto che diversi invasi sono ora
oasi o aree protette26).
Per i pesci migratori, che risalgono i fiumi per riprodursi, l’impatto è riconducibile
principalmente all’interruzione fisica che impedisce la risalita. Dell’ittiofauna italiana fanno
parte 6 specie che risalgono il fiume per riprodursi (migratori anadromi): tre specie di
Storione (Acipenser sturio, Acipenser naccarii, Huso huso), due di Lampreda (Petromyzon
marinus, Lampetra fluviatilis) e l’Alosa (Alosa fallax), ma altre specie, come la Trota Fario o
Macrostigma la Savetta e la Lasca compiono piccole migrazioni riproduttive per individuare
le zone più adatte alla frega e alla ovodeposizione. Tale impatto è sempre più spesso
mitigato attraverso la realizzazione di opportune scale di risalita.
4.1.2
Altri impatti sull’ecosistema
Un altro fondamentale impatto degli sbarramenti è la riduzione del trasporto solido, che viene
bloccato a monte degli sbarramenti: la carenza di trasporto solido bloccato dagli invasi è la
principale causa dell’erosione costiera. Tale impatto riguarda però principalmente le dighe e
in misura molto minore le traverse, in quanto la gran parte del trasporto solido ha luogo con
le piene, che vengono trattenute dalle dighe ma non dalle traverse.
4.2
Alterazione dell’andamento idrologico naturale
Si ritiene spesso, a torto, che l’impatto delle derivazioni idriche sia legato esclusivamente alla
riduzione delle portate in alveo nel periodo di magra (nei mesi estivi per i corsi d’acqua). Da
qui il concetto di Deflusso Minimo Vitale (DMV), come portata minima da lasciare in alveo
per garantire la “vita” nel corso d’acqua a valle della derivazione. Il concetto di “portata
minima vitale” di un corso d’acqua è stato introdotto nel quadro legislativo italiano dalla L.
26
Si veda il caso delle Riserve Naturali di Alviano e Nazzano, sul Tevere.
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
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183/89 e ripreso in seguito fino al recente D. Lgs. 152/2006. L’Autorità di bacino del Fiume
Po definisce in particolare il DMV come “la portata che, in un corso d’acqua, deve essere
presente a valle delle captazioni idriche al fine di mantenere vitali le condizioni di funzionalità
e di qualità degli ecosistemi interessati”.
Un recente convegno organizzato dal Museo Tridentino di Scienze Naturali, Centro Italiano
per la Riqualificazione Fluviale e Autorità di Bacino dell'Adige ("Deflusso minimo vitale o
regime sostenibile?" 13 maggio 2005 – Trento) ha messo in luce come l’impatto delle
derivazioni idriche può riguardare non solo la sottrazione di portate, ma anche:
la mancanza della naturale oscillazione delle portate (eccessiva regolarità della
portata garantita dal DMV);
la restituzione di acque a temperature diverse da quelle riceventi;
la sottrazione di portate in periodi diversi dalla magra (in corrispondenza dei periodi
riproduttivi di alcune specie sensibili).
Per questo il concetto di DMV sta andando incontro a profonde revisioni e articolazioni. Di
seguito si riportano i principali impatti dovuti alla sottrazione di portate.
4.2.1
Impatti sulla qualità dell’acqua
E’ l’impatto più evidente della riduzione delle portate: la sottrazione di acqua alla circolazione
naturale, riducendo la capacità di diluizione, rende i corpi idrici più vulnerabili
all’inquinamento. Per questo motivo il D. Lgs. 152/99 prevede che il Piano di Tutela delle
Acque abbia la possibilità di rivedere le concessioni, qualora le portate sottratte siano così
elevate da impedire il raggiungimento dell’obiettivo di qualità.
4.2.2
Impatti sulla fauna ittica
La riduzione delle portate in alveo può avere conseguenze negative sulla fauna ittica, sia
direttamente, con la riduzione della disponibilità di habitat per le funzioni vitali, sia
indirettamente, per il peggioramento della qualità di cui s’è detto sopra o per l’alterazione
della temperatura (che tende ad innalzarsi al ridursi della portata o può diminuire
drasticamente in caso di restituzione di acque fredde prelevate a quote più elevate).
L’impatto diretto è legato alla riduzione degli habitat a disposizione delle specie ittiche per le
proprie attività vitali: tali impatti possono essere rilevati non solo in magra ma anche in altri
periodi. Per i salmonidi, che costituiscono spesso specie di riferimento per valutare il
deflusso vitale, il periodo più critico è quello riproduttivo, che avviene in genere nei mesi
invernali.
4.2.3
Altri impatti sull’ecosistema
Quando gli sbarramenti sono dighe, in grado di invasare le piene, vi è una serie di impatti
molto consistenti sui corsi d’acqua a valle: l’eliminazione delle piene, infatti, può modificare
radicalmente la tipologia morfologica dell’alveo a valle. Tali modifiche radicali non avvengono
di norma con sbarramenti “ad acqua fluente” come le traverse; ciononostante la sottrazione
costante di portate consistenti, in particolare negli alvei ampi, può modificare la struttura della
vegetazione riparia, riducendo la fascia di vegetazione pioniera dei greti (costituita
prevalentemente da salici arbustivi) e facilitando la crescita di bosco ripario maturo (costituito
da salice bianco, ontano, pioppo nero e bianco, frassino, etc.) all’interno dell’alveo. Tale
presenza può modificare il comportamento idraulico, in quanto tende a far crescere la
scabrezza dell’alveo e ad aumentare la probabilità di sradicare alberi di dimensioni medio
grandi durante le piene.
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DATA: giugno 2008
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
IDROGRAFICO DEL BREMBO – I SENTIERI DELL’ACQUA
5
5.1
ANALISI DELLA SITUAZIONE DELLE PORTATE DEI CORSI D’ACQUA DELLA
VALLE BREMBANA
Analisi delle portate e rispetto del DMV
La Regione Lombardia ha approvato, con Delibera di Giunta n. 2244 del 29 marzo 2006, il
Programma di Uso e Tutela delle Acque (PTUA), in ottemperanza alle disposizioni previste
dalla Direttiva Quadro 2000/60/CE e dal D. Lgs. 152/99 (poi inglobato senza sostanziali
modifiche nel D. Lgs. 152/2006). Il PTUA definisce, tra l’altro, le modalità di calcolo del DMV
per i corsi d’acqua della Lombardia attraverso una complessa equazione che prevede diversi
parametri. Non è questo il luogo per entrare nel merito del meccanismo di calcolo del DMV
che può essere, in ultima analisi, sintetizzato in una grandezza costituita da:
una componente idrologica pari al 10% della portata naturale media annua nella
sezione di derivazione;
eventuali fattori correttivi che tengono conto delle particolari condizioni locali, come la
qualità delle acque, la struttura degli alvei, la “naturalità”.
Ma il traguardo per giungere alla piena applicazione del DMV è posizionato al 2016: nel
frattempo, dal 01/01/2008, il DMV viene individuato nella sola componente idrologica (10%
della portata naturale media annua), con un eventuale “fattore naturalistico 2”, che raddoppia
il valore del DMV (al 20% della portata media annua) nel caso che il corso d’acqua ricada in
aree protette.
Il PTUA nell’Allegato 14 alla Relazione generale (“Criteri per la regolazione delle portate in
alveo”) fa alcune prime considerazioni sulle condizioni delle portate dei corsi d’acqua
“significativi” (ovvero i più importanti della Regione), sulla base di un confronto tra le portate
attuali e le portate naturali ricostruite attraverso una modellizzazione operata ad hoc
nell’ambito del PTUA stesso. Per il Brembo il PTUA ha ricostruito le portate naturali del tratto
compreso tra Lenna e la confluenza in Adda ed ha operato un confronto tra portate naturali e
portate antropizzate – quelle che fluiscono attualmente, considerati i prelievi in essere – su 5
sezioni rappresentative: Lenna (in località Scalvino), S. Giovanni Bianco, Zogno, Ponte
Briolo, Confluenza Brembo-Adda. Per il tratto di interesse dello studio – da Lenna a Zogno –
il PTUA fornisce le seguenti annotazioni: “considerando come indice di criticità la presenza in
alveo di portate tra il 10% e il 20% del valore medio della portata media annua naturale, si
osserva che questa situazione si verifica nei mesi di gennaio e febbraio nella sezione di
Zogno, con portate antropizzate [NdR: quindi quelle attuali] pari rispettivamente a 8% e
16%”. Sul tratto di Brembo di nostro interesse, quindi, il PTUA segnala una criticità nella sola
stazione di Zogno: nelle stazioni a monte non rileva criticità, anche se – come vedremo più
avanti – sottolinea che nel tratto intermedio tra Lenna e S. Giovanni Bianco le portate
derivate sono molto rilevanti.
Pur non potendo effettuare confronti tra la portata antropizzata e la portata naturale per i
tratti a monte di Lenna e per gli affluenti, il PTUA riporta alcune considerazioni anche per
queste porzioni di bacino, sostenendo che: “le portate naturali del bacino sono modificate da
impianti idroelettrici, da reti di acquedotto ad uso civile e industriale e da derivazioni irrigue.
Per quanto riguarda gli impianti idroelettrici essi sono a serbatoio in alta valle, a monte della
confluenza tra Brembo di Olmo e Brembo di Branzi, e ad acqua fluente più a valle. Il volume
complessivo degli invasi artificiali è complessivamente modesto rispetto ai deflussi medi
annui ed influenza significativamente l’andamento delle portate naturali durante l’anno solo
nei tratti più a monte. Gli impianti ad acqua fluente sono numerosi e influiscono sulle portate
naturali lungo tutto il corso del fiume da Carona a Clanezzo, con portate derivate che variano
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
IDROGRAFICO DEL BREMBO – I SENTIERI DELL’ACQUA
circa da 2 a 10 m3/s27. Secondo una valutazione di massima, in un ampio tratto del Brembo
di Branzi, dalla confluenza fino a Carona, questi prelievi possono arrivare a circa il 75% della
portata media naturale […]. Analogamente anche il tratto a valle della confluenza con il
Brembo di Olmo, fino allo scarico dell’impianto idroelettrico di S. Pietro d’Orzio dell’ENEL,
risulta significativamente influenzato, con portate derivate che sono in media dell’ordine del
60%, della media naturale.”
Occorre rilevare che, secondo quanto riportato dal PTUA, sebbene si registrino criticità in
diversi tratti dell’asta del Brembo, non è possibile evidenziare, ad oggi, il mancato rispetto del
DMV in nessun tratto, ad eccezione – forse – della stazione di Zogno28. La portata media
mensile antropizzata, infatti, non scende mai al di sotto del 10% della portata media annuale,
e – poiché il Parco delle Orobie non include le aste fluviali principali del Brembo – non è
possibile, fino al 2016, ipotizzare un DMV superiore al 10%.
Fin qui la situazione delle portate sull’asta principale del Brembo, secondo gli studi di
supporto al PTUA relativi al rispetto del DMV. Per avere un quadro della situazione delle
portate degli affluenti – tema di grande rilevanza per gli obiettivi del Progetto “I sentieri
dell’acqua” – il PTUA non fornisce informazioni utili: non è possibile quindi fare una
valutazione relativa al rispetto del DMV. È però possibile avere un’idea della criticità del
regime idrico facendo riferimento al “Progetto Acque” del Parco delle Orobie bergamasche.
Questo studio ha operato un’analisi analoga a quella fatta dal PTUA per l’asta principale del
Brembo, ricostruendo le portate naturali di gran parte degli affluenti, ricadenti nel territorio del
Parco stesso, e confrontandole poi con le portate attuali per verificare il livello di influenza
delle attività umane sul regime idrico.
Le analisi del Progetto Acque hanno classificato i corsi d’acqua in base al livello di
“antropizzazione” della portata (Qantr) rispetto alla portata naturale (Qnatu) che si avrebbe in
assenza di prelievi. I diversi corsi d’acqua sono quindi valutati come segue: naturali (se
Qantr>75%Qnatu),
parzialmente
antropizzati
(se
50%Qnatu<Qantr<75%Qnatu),
significativamente antropizzati ( se 25%Qnatu<Qantr<50%Qnatu) o eccessivamente
antropizzati (se Qantr<25%Qnatu).
Nella figura 1 si riporta la classificazione individuata dal Progetto Acque. In tale figura è
anche evidenziata l’entità della portata dei corpi idrici, se cioè questi abbiano una portata
superiore o inferiore ai 50 l/s (valore di soglia minima della portata prevista dall’art. 42 del
PTUA, al di sotto della quale non può essere realizzata alcuna derivazione) e se si sia in
presenza di fenomeni di carsismo che possono ridurre notevolmente le portate realmente
circolanti in alveo.
27
3
Ma ad esempio la centrale idroelettrica di S. Giovanni Bianco ha recentemente ottenuto la concessione per 19 m /s.
A Zogno, infatti, nel mese di gennaio, il PTUA registra una portata media mensile che è inferiore al 10% della portata media
annuale.
28
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
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Figura 1 – Caratteri idrologici (il tratteggio indica la presenza di fenomeni di carsismo, mentre il minor
spessore della linea caratterizza corsi d’acqua con portate inferiori a 50 l/s. Fonte: Progetto Acque
Le analisi del Progetto Acque evidenziano criticità di portata per il Brembo di Branzi, sia per il
ramo di Carona che per quello di Foppolo-Valleve e per il torrente Borleggia (affluente di
sinistra). Tali rami risentono infatti dei numerosi prelievi a scopi idroelettrici (che sfruttano
anche la presenza in alta Valle Brembana di numerosi bacini artificiali, dalla capacità
complessiva utile di circa 23,73 milioni di m3), le cui restituzioni in alveo avvengono per lo più
a valle di Lenna. I prelievi idropotabili ricoprono invece una quota marginale, inferiore al 10%
dell’idroelettrico. In particolare, il prelievo idroelettrico realizzato a Valleve è stimato essere di
circa 1.200 l/s a fronte dei 100 l/s a scopo potabile (cui si aggiungono 45 l/s addotti dalla
confinante Val Carisole). Per quanto riguarda il ramo di Carona invece viene stimata, a valle
del lago di Carona, una sottrazione di portata pari a circa 1.568 l/s (utilizzata per alimentare
la centrale di Bordogna), a fronte di un prelievo per fini potabili di circa 56 l/s.
Si individuano inoltre ulteriori criticità:
sul tratto medio alto del Brembo di Mezzoldo, a valle del bacino di carico del Ponte
dell’Acqua (dalla capacità utile di 50.000 m3), si ha una sottrazione di portata a scopi
idroelettrici di circa 565 l/s, che adduce acqua alla centrale di Piazzatorre – Piazzolo
da cui poi viene integrata e condotta fino alla Centrale di Olmo, riducendo così la
portata naturale alla chiusura del bacino di circa il 63%;
su alcuni tratti del torrente Mora, con portata eccessivamente antropizzata a valle
dell’invaso di Val Mora (dalla capacità utile di circa 850.000 m3, le cui acque sono
però addotte fuori bacino) ma che alla chiusura di Olmo risulta invece inferiore a
quella naturale del solo 20%;
sul tratto terminale del torrente Stabina, dove la portata risulta eccessivamente
antropizzata con valori inferiori o pari al 20% di quella naturale, a seguito delle
captazioni idroelettriche;
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sul torrente Valsecca di Roncobello, immediatamente a valle della derivazione
idroelettrica che adduce acqua alla centrale Bordogna e che determina, alla chiusura
del bacino, una riduzione delle portate pari a circa il 45% del deflusso (pur rilevando
una criticità ulteriore dovuta al verificarsi di fenomeni di carsismo);
sul tratto medio alto della Val Parina, dove i prelievi idropotabili riguardano una
portata paragonabile a quella per scopi idroelettrici (40 l/s per i primi, 7,5-15 l/s per i
secondi con utilizzo entro il bacino, a cui si aggiungono 15-30 l/s per gli usi fuori
bacino).
Le analisi del Progetto Acque, riguardano corsi d’acqua che ricadono in gran parte nel
territorio del Parco delle Orobie, per cui da normativa si dovrebbe già oggi prevedere un
DMV pari ad almeno il 20% della portata media annua. Lo studio stesso inoltre è finalizzato a
definire, in accordo con i contenuti della L. 36/94, art 25, le acque che non possono essere
captate oltre ad occuparsi di verificare le captazioni e le derivazioni già assentite al fine di
richiedere la modifica del rilascio qualora si riconoscano alterazione degli equilibri biologici e
a fornire pareri motivati per il riconoscimento e la concessione preferenziale delle acque
superficiali e sorgentizie che hanno assunto natura pubblica, nonché le concessioni in
sanatoria. In particolare, viene aumentato il valore minimo della portata antropizzata al di
sotto del quale non possono essere autorizzati prelievi, fissandolo pari al 25% della portata
naturale e viene individuato nella Valle Asinina un ambito di particolare pregio dove, a tutela
della sua naturalità, non possono essere autorizzati prelievi.
Figura 2 – Punti di prelievo per grandi e piccole derivazioni (GD, PD), condotte e centrali idroelettriche.
Fonte: Progetto Acque
Si rileva inoltre che alle derivazioni considerate nel Progetto Acque andrebbero sommati gli
effetti di ulteriori derivazioni idroelettriche, avviate successivamente alla raccolta dati dello
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
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studio stesso. Si segnalano in particolare nuovi impianti di mini-idroelettrico29 ad acqua
fluente realizzati a Moio de’ Calvi30, Valtorta, Ornica e Valleve aventi rispettivamente portate
di concessione pari a 3.196 l/s, 725 l/s, 325 l/s e 375 l/s31. A differenza dei grandi impianti
idroelettrici, che quasi sempre richiedono la realizzazione di dighe e laghi artificiali, i miniimpianti idroelettrici funzionano con una tecnologia più simile a quella dei vecchi mulini,
utilizzando direttamente parte della portata del corso d’acqua. Questi riescono quindi ad
integrarsi in misura maggiore nell’ecosistema naturale, sia in virtù dei prelievi ridotti che per
la mancanza di opere infrastrutturali notevoli e la conseguente semplicità di collocazione,
limitatezza degli impatti ambientali e ristrettezza dei tempi di cantiere32. Gli impianti così
realizzati sottraggono però comunque portate ai corpi idrici che, soprattutto in situazioni già
critiche, sarebbero importanti, contribuendo così ad accrescere ulteriormente il livello di
antropizzazione dei fiumi stessi.
Una soluzione diversa, adottata nel comune di Roncobello, riguarda la realizzazione di un
impianto idroelettrico che utilizza l’acqua dell’acquedotto. In questo caso si sfrutta il
considerevole salto (500 m.) esistente tra il punto di prelievo e di raccolta delle acqua e la
rete di distribuzione che per gli acquedotti montani che è in grado di supplire, in termini di
producibilità elettrica, alla ridotta portata. Nell’ambito di un intervento di sostituzione della
conduttura dell’acquedotto è stato inserito anche l’impianto idroelettrico con una turbina che
consente il recupero di energia, precedentemente dissipata meccanicamente per evitare il
generarsi di sovrapressioni. Così facendo si riducono gli impatti sull’ambiente, non
intaccando la quantità delle portate circolanti in alveo e il regime idrologico naturale e
neppure introducendo opere di presa che diventano poi barriere per l’ittiofauna.
Sulla base dei dati disponibili non è invece possibile fare considerazioni riguardanti gli
affluenti del Brembo che fanno parte della Comunità montana, ma che non rientrano nel
territorio del Parco delle Orobie (ad es. i torrenti Enna, Brembilla, Ambria, Imagna, etc.). Per
questi cercheremo di fornire alcune indicazioni nel prossimo paragrafo, a partire dalle
condizioni di qualità delle acque.
5.2
Qualità delle acque
Uno degli impatti più rilevanti causati dalla riduzione delle portate in alveo – anche se non
l’unico – è il peggioramento della qualità delle acque, legato alla ridotta capacità di diluizione
degli scarichi. Sia la Direttiva quadro sulle Acque (CE 2000/60) che la normativa nazionale
(D. Lgs. 152/99 prima e 152/06 poi) indicano tra le misure da attivare per raggiungere il
“buono stato” delle acque, anche misure di “tutela quantitativa”, ovvero il rilascio di maggiori
portate in alveo.
Al fine di una valutazione completa delle risorse idriche del bacino idrografico (come previsto
dall’attività 6 del presente progetto) è necessario verificare le condizioni di qualità delle
acque: è evidente infatti che, se emergessero problemi di qualità, le possibili criticità dovute
ad eccesso di prelievo evidenziate nel paragrafo precedente assumerebbero maggiore
importanza. E’ inoltre evidente la rilevanza della qualità delle acque nell’ambito di un
“Progetto Provinciale di riscoperta e valorizzazione culturale e turistica delle risorse idriche
diffuse e della vegetazione spondale”: la presenza di inquinamento, con il conseguente
29
Caratterizzati da potenze inferiori a 1.000 kW
Questo impianto occupa un salto residuo (6m) del fiume Brembo per una lunghezza complessiva di circa 300 m
31
Nel caso dell’impianto di Valleve sono due le opere di presa realizzate, le cui portate di concessione sono rispettivamente di
185 l/s per la presa posta sul ramo che scende da Cambrembo e 190 l/s per quella posta sul ramo che scende da Foppolo.
32
Un impatto molto minore si può ottenere con impianti di micro-idroelettrico, posizionabile direttamente in alveo, che non
necessitano di opere di derivazione.
30
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degrado visivo e olfattivo, oltre al rischio sanitario, pregiudicherebbero gravemente il valore
turistico della risorsa.
Le stazioni di monitoraggio della qualità del Brembo fissate dalla Regione e da ARPA ai
sensi della normativa nazionale, ed inserite nel PTUA – per le quali si prevede di
raggiungere l’Obiettivo Buono al 2016 –, sono situate a valle dell’area di interesse del
presente progetto: non è possibile quindi utilizzare i monitoraggi “ufficiali” operati da ARPA.
E’ possibile però utilizzare due fonti di dati alternative:
la campagna di monitoraggio della qualità operata per la redazione della carta ittica
del 2001, i cui dati di qualità sono riferiti al periodo 1999-2000: si tratta di dati non
recentissimi ma piuttosto completi riguardanti gran parte del territorio di interesse del
presente progetto;
la campagna di monitoraggio autunnale operata nell’ambito del presente progetto: si
tratta di dati recentissimi (autunno 2007) anche se limitati ad alcuni corsi d’acqua.
Peraltro entrambe le indagini hanno previsto anche il monitoraggio dell’Indice di Funzionalità
Fluviale (IFF)33, per cui permettono, accanto alla valutazione della qualità delle acque, anche
di attribuire un giudizio sulle condizioni complessive dell’ecosistema fluviale e della
vegetazione spondale.
Nelle tabella 1 e nella figura 3 che seguono sono riportati i dati relativi alle due fonti
sopracitate.
33
Misura lo stato complessivo dell’ecosistema fluviale. Cfr.: www.cisba.it/pubblicazioni.htm
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Figura 3 – Risultati della campagna di monitoraggio dell'autunno 2007 per l'Indice Biotico Esteso (IBE).
Fonte: I sentieri dell’acqua
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Tabella 1 - Risultati della campagna di monitoraggio della qualità delle acque svolta per la redazione della carta ittica della Provincia di Bergamo (anno 2001)
Corpo idrico
Brembo di Carona
e Foppolo
Brembo di Carona
e Foppolo
Punto di
monitoraggio
BR-1: Branzi loc.
cave di ardesia
BR-2: Branzi loc.
Gardata
Portata
mc/sec
IFF
sponda dx
IFF
sponda sx
IBE
Inquinamento
chimico
7,20 ottima
ottima
8-7
Ambiente non
inquinato
7,20 buona
buona
nd
Nd
Inquinamento
microbiologico
Indice IBE
Periodo
Ambiente
moderatamente
inquinato
Ambiente
moderatamente
inquinato
Agosto 1999
nd
nd
nd
Ambiente non
inquinato
Settembre
1999
nd
nd
Settembre
1999
Brembo di Carona
e Foppolo
BR-3: Isola di
Fondra loc. Fondra
7,20 ottima
ottima
Ambiente non
10-11 inquinato
Ambiente
inquinato
(coliformi fecali)
Brembo di
Mezzoldo
BR-4: Olmo al
Brembo loc.
Centrale elettrica
6,41 ottima
ottima
nd
Nd
nd
Brembo di Averara
BR-5: Averara loc.
Val Moresca
10
Ambiente
Ambiente
moderatamente moderatamente
inquinato
inquinato
Ambiente non
inquinato
9
Ambiente non
inquinato
Ambiente non
inquinato
Ambiente
moderatamente Settembre
inquinato
1999
Ambiente
inquinato
(coliformi fecali)
Ambiente
moderatamente Settembre
inquinato
1999
1,07 ottima
Torrente Stabina
BR-6: Cassiglio
Brembo da Lenna
a Zogno
BR-7: Camerata
Cornello loc. Piani
di Scalvino
25,77 buona
buona
8-9
Ambiente non
inquinato
Brembo da Lenna
a Zogno
BR-8: S.Giovanni
Bianco loc. ex
centrale edison
25,77 ottima
ottima
nd
Nd
nd
nd
Brembo da Lenna
a Zogno
BR-11: S.
Pellegrino loc. Pra
Castello
8-9
Ambiente non
inquinato
Ambiente
inquinato
(coliformi fecali)
Ambiente
moderatamente Settembre
inquinato
1999
COD: AI 034A07
VERS: 01
3,22 buona
ottima
25,77 mediocre
mediocre
ottima
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PAGINA: 26: 61
nd
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IDROGRAFICO DEL BREMBO – I SENTIERI DELL’ACQUA
Torrente Asinina
BR-12: S.
Pellegrino loc.
Azienda San
Pellegrino
BR-9: Taleggio loc.
centrale ENEL
Torrente Enna
BR-10: S.
Giovanni Bianco
loc. Incubatoio
Torrente Ambria
BR-13: Bracca loc.
Ponte Merlo
Torrente Brembilla
BR-14: Gerosa loc.
Foppa Calda
1,47 ottima
ottima
10
Ambiente non
inquinato
Torrente Brembilla
BR-15: Brembilla
loc. Foce
1,47 mediocre
mediocre
nd
Ambiente non
inquinato
Brembo da Lenna
a Zogno
COD: AI 034A07
VERS: 01
25,77 mediocre
1,41 buona
ottima/buon
3,87 a
2,43 buona
Ambiente non
inquinato
Ambiente non
inquinato
Ambiente molto
inquinato
(coliformi fecali)
Ambiente non
inquinato
Ambiente
moderatamente Settembre
inquinato
1999
Ambiente non
inquinato
Marzo 2000
10-9
Ambiente non
inquinato
Ambiente
moderatamente
inquinato (coli
fecali)
Ambiente non
inquinato/moder
atamente
inquinato
Marzo 2000
nd
Ambiente non
inquinato
Ambiente
moderatamente
inquinato
Ambiente
moderatamente Settembre
inquinato
1999
Ambiente molto
inquinato
(coliformi fecali)
Ambiente non
inquinato
Ambiente
inquinato
Ambiente molto Settembre
inquinato
1999
ottima/buon
a
8-7
buona
10
buona
ottima
DATA: giugno 2008
PAGINA: 27: 61
Settembre
1999
USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
IDROGRAFICO DEL BREMBO – I SENTIERI DELL’ACQUA
Osservando i dati di entrambe le analisi ne emerge una situazione della qualità delle acque
complessivamente molto buona su tutti i bacini di monte: il Brembo di Branzi/Carona e di
Valleve Foppolo, l’Asinina, la Stabina e la Valsecca: sembrerebbe quindi che le pur
importanti derivazioni che insistono su questi corsi d’acqua non abbiano conseguenze sulla
qualità delle acque. Leggermente inferiore, anche se ancora buona – seconda classe di IBE
– la situazione del sistema Brembo di Mezzoldo-Mora, dell’Ambria e del torrente Enna.
Anche la situazione complessiva degli ecosistemi fluviali appare, dall’analisi del IFF,
sostanzialmente buona su tutti i bacini citati, con le sole eccezioni della stazione di Cartiglio
sulla Stabina, che mostra una situazione mediocre.
Passando agli affluenti di valle, si rilevano alcuni aspetti di maggior criticità, in particolare nel
tratto termina del torrente Brembilla, prima della confluenza in Brembo: in questo tratto, tra
l’altro si registra anche il peggior valore dell’IFF con una valutazione mediocre per entrambe
le sponde. Altri dati forniti dalla Provincia, provenienti dagli studi a supporto del PTCP e da
altre fonti, confermano i valori negativi per la Brembilla, che raggiunge alla fine delgi anni ’90
valori di IBE anche molto bassi (4 corrispondente a qualità scadente).
Passando agli affluenti di valle, si rilevano alcuni aspetti di maggior criticità, in particolare nel
tratto terminale del torrente Brembilla, prima della confluenza in Brembo: in questo tratto si
registra, tra l’altro, anche il peggior valore dell’IFF, con una valutazione mediocre per
entrambe le sponde. Altri dati forniti dalla Provincia, provenienti dagli studi a supporto del
PTCP e da altre fonti, confermano i valori negativi per il torrente Brembilla, che raggiunge
alla fine degli anni ’90 valori di IBE anche molto bassi (4 corrisponde a qualità scadente).
Considerati gli obiettivi del Progetto “I sentieri dell’acqua” è opportuno fare alcune
considerazioni sul rischio sanitario di eventuali incrementi della fruizione dei corsi d’acqua
dell’alta Valle Brembana. Infatti la situazione complessivamente buona evidenziata sopra
emerge soprattutto dai valori dell’IBE, che è certamente l’indicatore sintetico più efficace per
avere un’idea complessiva della qualità delle acque. Per avere un’idea del rischio sanitario è
invece opportuno riferirsi alla concentrazione dei coliformi fecali, indicatore di
contaminazione da liquami fognari. Purtroppo per questi aspetti non disponiamo di dati certi:
il monitoraggio realizzato per la carta ittica fornisce solo dei giudizi, ma non i valori di
concentrazioni rilevate. I giudizi – vedi tabella 1 – indicano come “inquinate o molto
inquinate” le stazioni di Isola Fonda, Camerata Cornello e S. Pellegrino sul Brembo ed
entrambe le stazioni monitorate sul torrente Brembilla. Da altri dati disponibili, riferiti agli anni
’90 emerge che le concentrazioni dei coliformi fecali sono generalmente a livelli (dell’ordine
di grandezza dei 1000 ufc/100 ml) assolutamente cautelativi per quel che riguarda il rischio
sanitario “per contatto”. E’ possibile quindi ipotizzare la sostanziale assenza di rischio
sanitario per le normali attività ricreative che si svolgono lungo i corsi d’acqua;
approfondimenti sarebbero però necessari – e sarebbero tra l’altro obbligatori per legge –
qualora si intendesse praticare la balneazione.
5.3
Conclusioni sulla situazione delle portate dei corsi d’acqua della valle
Sulla base di quanto riportato ai precedenti paragrafi è possibile tracciare un quadro della
situazione dei corsi d’acqua della valle del Brembo.
Il sistema idrografico dell’alta valle del Brembo è oggi interessato da un gran numero di
derivazioni che alterano profondamente il regime delle portate naturali, con le sole eccezioni
delle porzioni alte della Val Asinina e della Val Parina. Tali porzioni di bacini non interessate
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da derivazioni sono certamente quelle che dovrebbero essere soggette a maggior tutela,
evitando di intervenire su di esse con nuove derivazioni, in quanto contribuiscono ad
approssimare verso condizioni idrologiche naturali il regime delle acque di tutto il bacino a
valle. Esistono tuttavia diversi tratti di corsi d’acqua interessati da derivazioni – e di
conseguenza interessati dagli impatti descritti a paragrafo 4.1 – dove le portate derivate sono
relativamente modeste e comunque inferiori al 50% della media annua della portata naturale:
è in queste aree, non in quelle caratterizzate ancora da un’elevata naturalità, che dovrebbero
– eventualmente – essere localizzate eventuali nuove derivazioni necessarie per far fronte a
specifiche esigenze che, secondo quanto previsto dalla Provincia di Bergamo nell’ambito del
Progetto “I sentieri dell’acqua”, potrebbero riguardare “un sistema per potenziare le riserve
idriche in funzione dei momenti di emergenza (incendio boschivo, siccità) e per la produzione
idroelettrica per autoconsumo”. L’analisi dei dati mostra una situazione della qualità delle
acque complessivamente molto buona su tutti i bacini di monte: il Brembo di Branzi/Carona e
di Valleve Foppolo, l’Asinina, la Stabina e la Valsecca: sembrerebbe quindi che le pur
importanti derivazioni che insistono su questi corsi d’acqua non abbiano conseguenze sulla
qualità delle acque. Leggermente inferiore, anche se ancora buona – seconda classe di IBE
– la situazione del sistema Brembo di Mezzoldo-Mora, dell’AMbria e del torrente Enna.
Anche la situazione complessiva degli ecosistemi fluviali appare, dall’analisi del IFF,
sostanzialmente buona su tutti i bacini citati, con le sole eccezioni della stazione di Cartiglio
sulla stabina, che mostra una situazione mediocre.
Passando agli affluenti di valle, si rilevano alcuni aspetti di maggior criticità, in particolare nel
tratto termina del torrente Brembilla, prima della confluenza in Brembo: in questo tratto, tra
l’altro si registra anche il peggior valore dell’IFF con una valutazione mediocre per entrambe
le sponde. Altri dati forniti dalla Provincia, provenienti dagli studi a supporto del PTCP e da
altre fonti, confermano i valori negativi per la Brembilla, che raggiunge alla fine delgi anni ’90
valori di IBE anche molto bassi (4 corrispondente a qualità scadente).
Sulla base delle informazioni disponibili, per gran parte del reticolo idrografico non è
possibile verificare se le derivazioni in essere sono tali da pregiudicare il rispetto del DMV
previsto dal PTUA: ad oggi l’unica situazione dove il DMV potrebbe non essere rispettato nei
mesi invernali è quella di Zogno, sull’asta principale del Brembo.
Sotto il profilo della qualità delle acque, in base ai dati disponibili, non si registrano situazioni
di particolare gravità: in gran parte del reticolo idrografico monitorato ci sono valori di IBE che
permettono di classificare i corsi d’acqua in stato buono o elevato. Anche le condizioni degli
ecosistemi e della vegetazione spondale appaiono, dai valori di IFF, generalmente buone
seppur con qualche eccezione. Nell’insieme, quindi, l’alterazione delle portate non
sembrerebbe avere gravi conseguenze sullo stato di qualità dei corpi idrici: situazione
positiva che però sembrerebbe in contrasto con la percezione della popolazione locale che,
in occasione degli incontri avuti (Forum tematico idrobotanica), ha evidenziato problemi di
qualità dei corsi d’acqua. L’unica probabile eccezione ad una condizione generalmente
positiva sembrerebbe essere l’asta del Brembilla, dove si registrano problemi di qualità
biologica e microbiologica, dovuta presumibilmente alla presenza di scarichi non trattati e a
scarsa capacità di diluizione.
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6
PROPOSTA PRELIMINARE DI SOLUZIONI E TECNOLOGIE APPROPRIATE
Nei paragrafi che seguono si forniscono alcune prime idee – che potranno essere
successivamente sviluppate dagli attori che partecipano al progetto “I sentieri dell’acqua” –
per ridurre le criticità dovute all’eccesso di prelievi. Esse si ispirano a studi e progetti
realizzati da Ambiente Italia in contesti analoghi o ad esperienze e “Best Practice” facilmente
trasferibili sul territorio della Valle Brembana.
6.1
Soluzioni di sistema: ricontrattare le concessioni di derivazione
Nel paragrafo precedente abbiamo evidenziato come – sulla base delle informazioni esistenti
– non è possibile stabilire se il DMV sia o meno rispettato su tutti i tratti dei corsi d’acqua, ma
comunque in molti tratti esso viene certamente rispettato. Nel corso degli incontri con gli
attori locali che vivono la valle è invece emersa la diffusa “percezione” che le portate dei
corsi d’acqua sono state esageratamente ridotte a causa delle derivazioni.
Queste due osservazioni – il rispetto del DMV e la percezione di una portata artificialmente
ridotta – non sono necessariamente in contrasto: infatti il DMV, così come definito dal PTUA
Lombardia, è comunque una frazione minima della portata naturale; il suo rispetto, quindi,
non garantisce che la fisionomia del corso d’acqua non venga profondamente alterata.
Dobbiamo quindi chiederci: è possibile ipotizzare una strategia che, indipendentemente dal
rispetto del DMV, permetta di ridurre i prelievi e di lasciare più acqua in alveo? Un problema
analogo è stato affrontato da Ambiente Italia e dal Centro Italiano per la Riqualificazione
Fluviale (CIRF) su incarico del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi (PNDB)34, ed è utile
riassumerne i principali contenuti.
6.1.1
L’approccio dello studio sul DMV del PNDB
Lo studio svolto nasceva dalla necessità di confrontare diversi algoritmi di calcolo del DMV
per fornire indicazioni in merito a quale scegliere, valutandone gli effetti sull’ecosistema.
A questa prima esigenza se ne è però affiancata immediatamente un’altra: valutare le
conseguenze dell’eventuale adozione di ognuno di tali possibili algoritmi di DMV anche sugli
altri utenti della risorsa idrica (produzione idroelettrica, approvvigionamento idrico, fruizione
turistico-ricreativa dei corsi d’acqua, etc.). Lo studio intendeva pertanto fornire al PNDB gli
strumenti per poter sostenere un confronto concettualmente robusto e integrato con gli altri
attori coinvolti.
Va subito notato che, in realtà, il problema non si riduce a un confronto tra algoritmi di DMV
perché l’effettivo regime di portate nel sistema, e i relativi effetti sugli attori in gioco (o
portatori di interesse)35, dipendono non solo dal vincolo DMV, ma anche dalla situazione
idrologica considerata e dalla modalità di gestione del sistema (rilasci dagli invasi,
derivazioni, trasferimenti tra bacini, etc.); infatti a parità di vincolo (DMV) imposto, possono
esistere diverse politiche di gestione36 che lo rispettino, caratterizzate da impatti differenti sui
34
Una sintesi dello studio è tra l’altro stato pubblicato tra i casi studio riportati dal testo a cura di Nardini e Sansoni La
riqualificazione fluviale in Itlalia, Mozzanti Editore, 2006. Reperibile su: www.cirf.org
35
Si definiscono qui attori (o portatori di interesse) quei soggetti o gruppi che, relativamente a una situazione conflittuale, hanno
obiettivi o interessi caratteristici e, all'interno dello stesso gruppo, omogenei: tra questi attori viene compreso anche
l’ecosistema.
36
Una politica gestionale è, in sostanza, costituita da una regola, eventualmente variante in funzione dell’istante temporale t
(nel nostro caso il giorno), che fornisce la decisione, o un insieme di possibili decisioni equivalenti, in funzione delle informazioni
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singoli utenti. Assumere che le portate effettivamente transitanti nei corsi d’acqua coincidano
con i valori di DMV prefissati risulta essere una semplificazione troppo radicale. E’
decisamente più corretto valutare nel suo insieme l’intero regime idrico corrispondente a un
dato algoritmo DMV.
Una seconda considerazione preliminare riguarda l’idea stessa di DMV: esso intende
rappresentare la minima portata (o regime idrico, negli algoritmi più evoluti) necessaria per
sostenere un ecosistema fluviale “in vita”. Introduce quindi un concetto dicotomico (“sì/no”):
al di sopra è accettabile, al di sotto inaccettabile. Tuttavia, come è noto, non esiste a rigore
un metodo univoco e soddisfacente per determinare un tale DMV assoluto e, d’altra parte,
modifiche nel suo valore possono implicare impatti anche significativi sugli altri attori.
L’approccio adottato nello studio per far fronte a questo problema è stato quindi radicalmente
diverso: esso non tratta la problematica “salute dell’ecosistema” come un vincolo (DMV da
rispettare), bensì come uno dei molteplici obiettivi in gioco e cerca di valutare il grado di
soddisfazione di tale obiettivo e degli altri, ponendo il massimo sforzo per arrivare a
determinare il grado di conflitto esistente tra tali obiettivi.
Si tratta di un approccio multiobiettivo. In tale impostazione si considerano e valutano
alternative di politica di gestione del sistema. E’ poi necessario definire degli indicatori che
permettano di tradurre gli effetti di ogni “alternativa” (ogni possibile diversa regola d’uso della
risorsa) in termini di soddisfazione per i diversi utenti (in senso ampio, ecosistema incluso).
Per poter poi arrivare a determinare il valore di tali indicatori e quindi il grado di
soddisfazione degli attori, è necessario “modellizzare” il sistema idrico, formalizzare
matematicamente le politiche gestionali da confrontare e simulare il comportamento
dell’intero sistema per ogni alternativa ipotizzata. In un certo senso, si sperimentano “a
tavolino” anni e anni di vita del sistema, vagliando zone d’ombra e aree di sinergia con la
massima libertà, senza provocare inconvenienti sul sistema reale, visto che tutto è appunto
simulato.
6.1.2
I risultati dello studio
Il confronto tra diversi metodi di calcolo dei DMV ha mostrato chiaramente che essi
differiscono largamente uno dall’altro e che “non esiste un DMV giusto”; esistono invece
diverse alternative di “regole d’uso” dell’acqua, che favoriscono più gli utilizzatori o più il
corso d’acqua. Giunti a questa conclusione si è cercato di confrontare diverse “regole d’uso”
per cercare quella che riuscisse ad ottimizzare le esigenze del corso d’acqua con quelle
degli utilizzatori. Si sono cercate quindi delle “politiche di compromesso”.
Le prime politiche di compromesso valutate sono state costruite considerando la politica
estrema per l’idroelettrico integrata con il vincolo di rispetto di un DMV, in modo da migliorare
la soddisfazione dell’ecosistema che risultava decisamente insufficiente nella politica
estrema. Con questo criterio sono state generate quattro politiche, ciascuna considerando
uno dei diversi DMV che erano stati calcolati nella fase preliminare.
La figura 5 mostra come, passando dalla politica estrema dell’obiettivo idroelettrico alla
politica di compromesso che impone il rispetto del DMV definito dall’Autorità di Bacino Alto
Adriatico, aumenti notevolmente la soddisfazione dell’ecosistema, mentre diminuisca
proporzionalmente meno quella del produttore idroelettrico. Tuttavia si può notare che,
disponibili (ad esempio portate in ingresso nel sistema, volume di invaso lacuale presente in quell’istante ed eventuali altre
variabili).
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anche nella politica di compromesso, l’ecosistema si trova comunque molto più distante dal
proprio livello massimo di quanto non sia l’idroelettrico.
IDROEL
1,0
Idroel-DMV AA
0,9
0,8
indicatori
0,7
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
0,0
Ecosistema
Idroelettrico
Turisti lago
Canoisti
Utenti irrigui
Figura 4 – Confronto tra la politica estrema per la produzione idroelettrica (tinta unita) e la politica di
compromesso (righe) generata imponendo il rispetto del DMV dell’Autorità di Bacino Alto Adriatico
Altre politiche di compromesso sono state generate considerando i seguenti aspetti:
per migliorare la soddisfazione correlata alla produzione idroelettrica senza
aumentare la portata derivata e pertanto ridurre la soddisfazione dell’ecosistema, è
necessario considerare la variazione del valore dell’energia corrispondente ai diversi
periodi tariffari37. Si deve quindi massimizzare la produzione nei giorni a tariffa
elevata, riducendola invece nei giorni a tariffa bassa;
alcuni periodi critici per l’ecosistema pesano molto sulla valutazione complessiva del
suo indicatore: un aumento della portata in alveo in tali periodi può migliorare
notevolmente la soddisfazione dell’ecosistema, danneggiando molto meno, in
proporzione, la produzione idroelettrica. Inoltre, per compensare la perdita di
produzione di energia, si può sacrificare parte della portata in alveo nei periodi nei
quali l’indicatore dell’ecosistema assume valori prossimi al massimo, in modo da “non
pesare” sulla soddisfazione dell’ecosistema.
Una serie di politiche di compromesso è stata quindi generata nel seguente modo: in primo
luogo sono stati applicati alla politica estrema per l'idroelettrico vincoli di rispetto parziale
della portata di riferimento, variabili in funzione del periodo tariffario per l'energia elettrica; i
valori dei coefficienti sono stati ottimizzati in modo da massimizzare il valore degli indici di
soddisfazione. Quindi si è fissato un intervallo accettabile di valori dell’indicatore parziale
giornaliero dell’ecosistema: nei giorni nei quali l’indicatore ecosistema risultava inferiore al
valore prefissato, si è imposto di rilasciare maggior portata in alveo in modo da raggiungere
l'estremo inferiore dell’indicatore; per compensare la corrispondente perdita di produzione
idroelettrica, si è imposto di ridurre il rilascio di portata in alveo nei giorni in cui il valore
dell'indicatore è più elevato dell'estremo superiore, mandando alla centrale la portata
eccedente tale livello. Adottando questa politica l’indice generale dell’ecosistema migliora,
mentre non peggiora il valore dell’indicatore idroelettrico. I valori minimo e massimo
“accettabili” dell’indicatore ecosistema sono stata attribuiti tramite ottimizzazione, in modo da
massimizzare la soddisfazione dell’ecosistema senza peggiorare quella dell’idroelettrico.
37
Si ricorda che in questo studio il valore dell’energia prodotta è stato calcolato considerando tre periodi tariffari distinti.
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Con questo criterio è stato possibile generare politiche che migliorano il livello di
soddisfazione di tutti i portatori di interesse rispetto alle politiche generate imponendo il
rispetto di un DMV (Cfr. fig. 5).
Tabella 2 - Confronto tra i risultati ottenuti dalle simulazioni di diverse politiche di compromesso
Politica
Idroel-DMV AA
Idroel-DMV Magra noL
Idroel-DMV Magra con L
Idroel-DMV PNDB
Ecosistema
0,564
0,616
0,748
0,760
Valore indicatori
Idroelettrico Turisti lago
Canoisti
0.823
1.000
0,819
0.773
1.000
0,902
0.649
1.000
0,947
0.594
1.000
0,945
Utenti irrigui
0,912
0,926
0,972
0,957
Idroel+Qcrit+Qrif (pesata
su periodi tariffari)
k1=0.10, k2=0.35 ,
k3=0.61
0,571
0.831
1.000
0,887
0,889
Idroel+Qrif (pesata su
periodi tariffari) k1=0.12,
k2=0.42, k3=0.61
0,352
0.823
1.000
0,904
0,880
Idroel+Qrif+controllo su
min e max Q rilasciate;
k1=0.10, k2=0.45,
k2=0.65
0,606
0.828
1.000
0,933
0,928
Idroel+Qrif+controllo su
min e max Q rilasciate;
k1=0.18, k2=0.48,
k2=0.75
0,625
0.795
1.000
0,935
0,935
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1,0
ATTUALE
0,9
?
Idroelettrico
0,8
€?
0,7
0,6
0,5
0,4
0,3
Politiche estreme
0,2
?
Idroel-DMV
0,1
Politiche compromesso
0,0
0,0
0,1 0,2
0,3 0,4
0,5
0,6 0,7
0,8 0,9
1,0
Ecosistema
Figura 5 – Indicazione della differenza di soddisfazione per due diversi obiettivi nel passaggio da una
politica ad un’altra
6.1.3
Considerazioni sull’applicabilità in Valle Brembana
L’esempio riportato mostra che è teoricamente possibile – nell’ambito di un processo
partecipato che coinvolga i diversi attori interessati – individuare una “regola d’uso” della
risorsa idrica di un bacino che permetta, se non di far contenti tutti, certamente di aumentare
la soddisfazione dei diversi “utilizzatori” (incluso l’ecosistema fluviale). Naturalmente per
mettere in pratica un simile approccio devono essere soddisfatte alcune condizioni:
innanzitutto devono essere disponibili i dati idrologici necessari a realizzare le
simulazioni: ma tali informazioni sembra che siano già disponibili, almeno per i corsi
d’acqua compresi nel Parco delle Orobie, e sarebbero probabilmente ottenibili anche
per gli altri corsi d’acqua;
in secondo luogo, ma non per importanza, è necessaria una reale disponibilità di tutti
gli attori a “mettersi in gioco”, cosa che nei fatti non è avvenuta nell’esempio citato.
Infatti il lavoro svolto per il PNDB è uno studio ed un modello teorico interessante, ma
non è nei fatti mai stato avviato un reale processo partecipato volto a prendere
decisioni migliorative della situazione dei corsi d’acqua dell’area.
Sotto quest’ultimo aspetto, il coinvolgimento degli attori locali attivato con “I sentieri
dell’acqua” potrebbe essere utile per un successivo progetto che miri alla realizzazione di un
processo decisionale partecipato che, andando oltre il mero rispetto del DMV stabilito dalla
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legge, punti ad individuare il miglior compromesso possibile tra le diverse esigenze nella
gestione delle acque del bacino.
6.2
Soluzioni per lo sfruttamento idroelettrico delle acque: impianti su acquedotti
Sebbene, ad oggi, solo poco più del 20% della produzione elettrica nazionale (da
idroelettrico) risulti legata ad impianti di taglia inferiore ai 10 MW di potenza38, tuttavia, il
ricorso a sistemi di produzione idroelettrica di piccola taglia presenta svariate opportunità di
incremento, sia in virtù dei percorsi autorizzativi semplificati sia soprattutto grazie al
significativo valore aggiunto connesso al ridotto impatto ambientale. Gli impianti di piccola
taglia, infatti, sono poco ingombrati e poco visibili, spesso utilmente integrati in sistemi idrici
già esistenti e conseguentemente di grande valenza in termini di sostenibilità della
generazione elettrica.
Per i territori montani un particolare interesse in quest’ottica, che vuole coniugare la
sostenibilità ambientale dell’opera alla produzione di energia elettrica “ad emissioni zero”,
riguarda le potenzialità produttive delle infrastrutture acquedottistiche39. Questa soluzione
riesce infatti a sfruttare l’energia di acque che devono necessariamente essere derivate per
fini idropotabili. Non va invece ad incidere ulteriormente sulle portate transitanti nell’alveo
fluviale, cosa che accade, seppur nel migliore dei casi solo per brevi tratti, con altre tipologie
di impianti di mini-micro idroelettrico. In montagna la naturale presenza di dislivelli notevoli
(spesso superiori ai 300 metri) tra punto di prelievo dalle sorgenti e il punto di distribuzione
dell’acquedotto, consente di avere buone produzioni pur in presenza di ridotte portate, quali
sono quelle che caratterizzano gli acquedotti degli spesso piccoli paesi montani. La
produzione idroelettrica dipende infatti da entrambi i valori di portata e di salto idraulico
disponibile oltre a considerare anche fattori di rendimento e il periodo di funzionamento
dell’impianto stesso.
Ambiente Italia nell’ambito di un progetto commissionato da UNCEM-Delegazione
piemontese si è occupata di realizzare un’indagine sulle potenzialità di produzione
idroelettrica nelle aree montane delle province di Biella, Cuneo e Torino. Per quanto riguarda
gli impianti su acquedotto, in particolare, sono stati inizialmente analizzati i dati delle strutture
esistenti. La caratterizzazione del singolo impianto, costruita con ausilio cartografico ed al
seguito degli incontri tecnici svoltisi in ambito locale, ha permesso di ricostruire con maggiore
precisione le caratteristiche tecniche del singolo impianto acquedottistico e le necessarie
opere di adeguamento, informazioni che sono indispensabili per potervi poi abbinare la
produzione energetica. In questa fase si è definito con precisione il posizionamento della
centralina e il salto utile all’impianto formulando diverse possibili ipotesi impiantistiche. Le
diverse ipotesi impiantistiche hanno riguardato anche la scelta di parametri molto significativi,
di cui occorre tener conto per valutare l’efficienza energetica della condotta, quali il materiale
di cui le stesse sono composte, il diametro e la lunghezza dei tratti di interesse per
l’impianto. Sono stati quindi valutati i costi di ciascuna ipotesi progettuale considerata che
dipendono da diversi fattori: il materiale utilizzato per le condotte, i lavori di scavo e di posa
in opera delle condotte stesse e l’installazione delle opere elettromeccaniche e di
allacciamento alla rete. La valutazione dei benefici è stata realizzata facendo ricorso a due
possibili scenari di riferimento: il primo derivante dall’applicazione della nuova “Tariffa
onnicomprensiva”40 per impianti di potenza inferiore ad 1 MW; il secondo derivante dalla
38
Di cui il 4% circa prodotto da impianti di taglia inferiore ad 1 MW ed il 17% circa da impianti di potenza compresa fra 1 e 10
MW.
39
Nei territori di pianura al contrario potrebbero essere sfruttati salti d’acqua esistenti nei canali agricoli.
40
La produzione di energia elettrica mediante impianti alimentati da fonti rinnovabili e di potenza elettrica non superiore ad 1
MW, immessa nel sistema elettrico, ha diritto, in alternativa ai certificati verdi e su richiesta del produttore, ad una tariffa
onnicomprensiva di entità variabile a seconda della fonte utilizzata, per un periodo di 15 anni. Si specifica che detta tariffa
onnicomprensiva risulta pari a 0,22 €/kWh prodotto ed include vendita dell’energia e dei certificati verdi ad essa connessi. La
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vendita di energia prodotta e Certificati Verdi41. Si sono quindi individuati, suddividendoli per
comunità montana di appartenenza, gli impianti più significativi in termini di maggior
producibilità relativamente a costi contenuti, evidenziando al tempo stesso anche di quanto
la produzione dell’acquedotto stessa superi o sia invece inferiore rispetto ai consumi elettrici
domestici degli abitanti del singolo comune (stimati in base alla popolazione).
Figura 6 - Producibilità degli impianti su acquedotto selezionati in rapporto ai consumi comunali.
Elaborazione Ambiente Italia su dati Studio Ferrari & Giraudo, Green Research & Design, Maira, Istat e
Terna
L’analisi costi-benefici si è conclusa osservando per ciascun impianto ipotizzato il guadagno
realizzato a 15 anni dall’investimento, relativamente alle due ipotesi di scenari dei prezzi, e i
relativi tempi di ammortamento dell’intervento.
Figura 7 - Elaborazione Ambiente Italia su base dati Studio Ferrari & Giraudo, Green Research & Design,
Hydrodata
tariffa potrà inoltre variare ogni tre anni, con Decreto del Ministero dello sviluppo economico, “assicurando tuttavia, la congruità
della remunerazione ai fini dell’incentivazione dello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili”.
41
Delineato attraverso le trasformazioni al sistema introdotte dalla Legge Finanziaria 2008 e dall’introduzione del Regime di
Ritiro dedicato dell’energia elettrica previsto dalla Deliberazione AEEG n° 280/2007 a decorrere dal 1° gennaio 2008: detta
delibera individua nel Gestore dei Servizi Elettrici – GSE S.p.a. il soggetto preposto al ritiro commerciale dell’energia,
eliminando l’intermediazione commerciale di Terna S.p.a. All’articolo 7 della Delibera AEEG n° 280/2007, viene definito il
regime di ritiro dell’energia con prezzi minimi garantiti, per impianti di potenza nominale inferiore ad 1 MW.
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6.3
Soluzioni per la riduzione dei consumi idropotabili
Dai dati disponibili sui prelievi idrici in Valle Brembana emerge che la gran parte delle portate
derivate è destinata ad uso idroelettrico, mentre una quota più contenuta, ma non irrilevante,
viene prelevata per usi idropotabili: su gran parte dei sottobacini, infatti, vi sono diverse
concessioni di derivazione da sorgenti, ciascuna per diversi litri al secondo.
Per le derivazioni ad uso idroelettrico non è possibile ipotizzare interventi per ottimizzare
l’uso delle acque: una riduzione dei prelievi comporta inevitabilmente una riduzione della
produzione idroelettrica42. Per quanto riguarda gli usi idropotabili è invece possibile ipotizzare
strategie che permettano di soddisfare pienamente gli utenti (facendo fronte alle esigenze di
igiene e comfort domestico) riducendo notevolmente i consumi e, di conseguenza, i prelievi.
Tali strategie riguardano sia le utenze civili che quelle turistiche e sono tra l’altro prescritte da
uno dei regolamenti attuativi del PTUA Lombardia (Regolamento Regionale n. 2 del 24
marzo 2006, in particolare l’art.6 “Disposizioni finalizzate al risparmio e al riutilizzo della
risorsa idrica”).
L’adozione di strategie per la riduzione dei consumi per usi civili e turistici rappresenta inoltre
un importante segnale per la comunità della valle in merito alla necessità di risparmiare le
risorse idriche, segnale che potrebbe facilitare il risparmio in altri settori attraverso un
percorso concertato come quello descritto in precedenza.
Per questi motivi si ritiene opportuno che il percorso avviato dal Progetto “I sentieri
dell’acqua” includa anche una proposta tecnica riguardante il risparmio idrico nei settori
domestico e turistico.
6.3.1
Le tecnologie per il risparmio idrico nei settori domestico e turistico
In un’ottica di utilizzo efficiente della risorsa idrica, un primo intervento realizzabile in maniera
semplice ed economica consiste nell’installazione sulle singole utenze (rubinetti, WC, docce,
lavatrici, lavastoviglie, etc.) di dispositivi atti a garantire una diminuzione dei consumi di
acqua. Numerosi sono gli interventi praticabili che consentono un notevole risparmio idrico e
verso i quali si è avuto recentemente una crescita di interesse da parte del mondo scientifico
che delle autorità competenti. Esistono apparecchiature molto semplici che consentono di
risparmiare fino al 50% sul consumo di acqua fredda e calda: a tal proposito, è da
sottolineare che dimezzare i consumi consente di risparmiare non solo acqua potabile, ma
anche il combustibile per riscaldarla, con un conseguente risparmio energetico (ed
economico) e una diminuzione dell’inquinamento dell’aria e dell’effetto serra.
In questo paragrafo si procede con una breve descrizione dei dispositivi di risparmio idrico
normalmente utilizzati e facilmente reperibili in commercio, evidenziandone i principi di
funzionamento e le caratteristiche di installazione.
6.3.1.1
Sistemi per rubinetteria
Nel mercato esiste un’ampia offerta di rubinetteria e di dispositivi adattabili che
razionalizzano il consumo dell’acqua. Fra i sistemi di rubinetteria si trovano i rubinetti
monocomando, i rubinetti con temporizzatore, con chiusura elettronica, etc. Ci sono anche
dispositivi che possono essere adattati a differenti sistemi di rubinetteria: diffusori, riduttori di
42
Ipotizzando che l’efficienza dei generatori sia la migliore possibile.
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flusso e interruttori di flusso. Molti modelli nuovi di rubinetteria hanno già incorporati questi
dispositivi.
Anche se le diverse marche commerciali utilizzano spesso terminologie differenti, il
funzionamento è lo stesso. Inoltre, questi dispositivi sono quasi sempre compatibili fra loro;
ad esempio è possibile trovare modelli che possiedono, allo stesso tempo, un sistema a
monocomando con riduttore di flusso e con diffusore incorporato.
Tabella 3 – Risparmi conseguibili con dispositivi applicabili alla rubinetteria
Risparmi da sistemi di rubinetteria
Limitatori di flusso
Diffusori/ aeratori
Interruttori meccanici di flusso
Rubinetti monocomando
Rubinetti con temporizzatore
Rubinetti elettronici
Rubinetti termostatici
30-40%
30-70%
10-40%
30-40%
30-40%
40-50%
50%
Limitatori di flusso
Sono dispositivi che permettono di regolare il flusso dell’acqua in funzione delle necessità e
della pressione. Alcune marche commerciali li chiamano anche “regolatori d’apertura”. Si
tratta di dispositivi meccanici che limitano il passaggio massimo dell’acqua. I modelli più
moderni di rubinetteria possono averlo incorporato all’interno della cartuccia, così che
possono essere regolati solamente dopo aver smontato la parte superiore. La loro
manipolazione per la regolazione del flusso è semplice: basta girare una vite con un
cacciavite, regolando l’apertura secondo le necessità in funzione del tipo di rubinetto
(lavandino, doccia, etc.). Il risparmio d’acqua che si può ottenere dipende dalla modificazione
del flusso; generalmente questi dispositivi permettono di modificare il flusso massimo fino a
un 50%.
Figura 8 – Limitatore di flusso
Diffusori
Sono dispositivi che miscelano aria con l’acqua, anche quando il flusso dell’acqua presenta
una pressione bassa. Hanno una forma cilindrica e si collocano all’estremità del rubinetto.
Oltre all’aeratore, sono forniti anche di un limitatore di flusso. L’effetto di miscelazione acquaaria produce un aumento di volume dell’acqua, in modo che, con un flusso minore, si
ottengono lo stesso effetto e la stessa comodità. Sul mercato esistono molte marche di
modelli adattabili ai diversi tipi di rubinetteria (per lavandini, docce, cucina, etc.) e s’installano
mediante una vite interna o esterna. Alcuni di questi dispositivi sono stati concepiti anche per
evitare i blocchi causati dall’accumulazione del calcare, e ciò aiuta a mantenere in buono
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stato la rubinetteria e ne allunga la sua vita utile. Il loro prezzo sul mercato è basso e
s’installano facilmente. Consentono di ridurre il consumo d’acqua dal 30 al 70%, per cui
l’installazione viene raccomandata su tutti i rubinetti, dato che aumentano la loro efficacia. I
sistemi di rubinetteria più moderni li hanno incorporati dalla fabbricazione.
Limitatori di pressione
Consistono in valvole che riducono la pressione dell’acqua e possono essere collocati nella
tubazione d’entrata di tutto un piano o anche di un singolo bagno. Queste valvole possono
essere regolate secondo le necessità di ogni piano o di ogni bagno, limitando la pressione
massima d’entrata dell’acqua. Anche se non consentono un risparmio netto d’acqua, tali
dispositivi sono utili in quanto evitano i bruschi cambi di pressione della rete, prodotti dall’uso
massiccio di docce e di lavandini in determinate ore della giornata. La loro installazione è
raccomandabile non soltanto nelle strutture alberghiere, dove si consuma molta acqua in
determinate ore del giorno, ma anche in eventuali aree separate (es. palestre) dove sono
presenti docce collettive, per evitare le differenze di pressione che si producono quando la
doccia è utilizzata contemporaneamente da più persone.
Interruttori meccanici di flusso
Sono dispositivi che si chiudono o si aprono semplicemente azionando una leva. È un
sistema raccomandato per le docce con due entrate d’acqua, dato che questi dispositivi
permettono d’interrompere il flusso dell’acqua al momento d’insaponarsi e di riattivare la
doccia senza necessità di regolare nuovamente la temperatura. In questo modo si evita il
corrispondente spreco d’acqua e di energia che si produce mentre si regolano di nuovo la
temperatura ed il flusso. Il risparmio che si può ottenere varia in funzione dell’utilizzo da
parte dell’utente, che interrompe il flusso azionando il dispositivo. Tuttavia è possibile
ipotizzare una riduzione del consumo d’acqua che varia dal 10 al 40%.
Rubinetti con temporizzatore
I temporizzatori sono dei meccanismi che chiudono il flusso automaticamente, dopo un
determinato periodo di tempo. Esistono rubinetti con temporizzatore sia per lavandini che per
docce e, usualmente, hanno incorporato un limitatore di flusso. I rubinetti con temporizzatore
possiedono un pulsante che, quando viene premuto, fa scendere un pistone interno dentro
un piccolo cilindro; questo cilindro si riempie poco a poco e fa salire nuovamente il pistone. Il
tempo che viene impiegato dal cilindro a riempirsi d’acqua costituisce la dimensione della
“temporizzazione”. Sul mercato ci sono marche di rubinetteria che commercializzano
rubinetti con temporizzatore sia per lavandini sia per docce, e che permettono di regolare il
tempo d’uscita dell’acqua da 5-7 secondi fino a 40-45 secondi. I risparmi d’acqua possono
costituire una quota pari al 30-40% per le docce e al 20-30% per i lavandini.
Figura 9 – Rubinetto e doccia con temporizzatore
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Rubinetti monocomando
I sistemi di rubinetteria monocomando offrono importanti vantaggi, non soltanto perché la
maggior parte dei modelli disponibili sul mercato possiede già dispositivi di risparmio
dell’acqua (come limitatori di flusso o diffusori), ma anche perché permettono di regolare
meglio e più velocemente il flusso dell’acqua e la sua temperatura evitando perdite
considerevoli. I risparmi che si ottengono dipendono dal limitatore di flusso e dal diffusore di
cui sono forniti; in generale, è ipotizzabile un risparmio pari al 50%.
Rubinetti elettronici
Nella rubinetteria convenzionale, quando ci si lava le mani, si apre un rubinetto all’inizio e
non lo si chiude fino alla fine; in un rubinetto elettronico il flusso s’interrompe
automaticamente ogni volta che si ritirano le mani dal lavandino. Il flusso e la temperatura
sono pre-regolati, anche se l’utente può modificarli con il comando apposito. Come sistema
di sicurezza, nel caso della presenza continua di un oggetto, il rubinetto si chiude
automaticamente dopo circa 30 secondi. È importante tener conto che, per la loro
collocazione, è necessario che l’installazione elettrica arrivi fino al rubinetto, a meno che
questo non funzioni a batterie (dipende dal modello). Il loro prezzo è più elevato rispetto ad
altri modelli; tuttavia, consentono di risparmiare circa un 40-50% del consumo di acqua.
Figura 10 – Due modelli di rubinetti elettronici in commercio
Rubinetti termostatici
I rubinetti termostatici possiedono un preselettore di temperatura che mantiene l’acqua alla
temperatura selezionata in modo che, quando si chiude e si riapre il rubinetto, l’acqua
mantiene la stessa temperatura. Questi rubinetti, utilizzati soprattutto nelle docce,
consentono di risparmiare non soltanto acqua ma anche energia, dato che non viene
consumata acqua al momento di regolare nuovamente la temperatura. Sono inoltre forniti di
limitatori di flusso e diffusori. Si possono ottenere risparmi nel consumo d’acqua fino a un
50%.
6.3.1.2
Sistemi per water
Esistono diversi sistemi per il risparmio dell’acqua nell’uso dei water. In generale, i moderni
sistemi di scarico regolano le quantità di scarico a 6 litri, con interruzione opzionale a 3 litri,
rispetto a una cisterna convenzionale di 9 litri. Questi dispositivi fanno in modo che il
risparmio d’acqua arrivi fino a un 60%, però la maggior parte ottengono un risparmio fra il 35
e il 50%, visto che non sempre vengono utilizzati adeguatamente. Alcuni di questi sistemi
per diminuire il consumo dell’acqua nell’uso dei water possono essere installati all’interno
della cisterna senza bisogno di cambiarla, come nel caso dell’introduzione di un oggetto (es.
bottiglie piene d’acqua) che, occupando un determinato volume, diminuiscono la quantità
d’acqua che entra. Tuttavia, alcuni dei water più moderni posseggono dei meccanismi più
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sofisticati, che permettono di economizzare acqua regolando il riempimento della cisterna e
limitando lo scarico con un doppio pulsante. I risparmi d’acqua che si ottengono variano in
funzione delle dimensioni della cisterna e del corretto uso che viene fatto del dispositivo
(pulsanti a doppio scarico).
Limitatori di scarico per WC
Sono dispositivi che possono essere collocati nelle cassette convenzionali; essi vengono
incorporati nel bacino di traboccamento o sopra la valvola di scarico del WC. Quando si
aziona normalmente la cisterna, il dispositivo fa in modo che si chiuda la valvola dopo uno
scarico di pochi litri. Se si ha bisogno di uno scarico maggiore, si deve azionare la cisterna
per tre o quattro secondi.
Limitatori di riempimento delle cassette dei WC
Determinati elementi che si possono adattare o introdurre nelle cisterne limitano il
riempimento e evitano uno scarico d’acqua eccessivo. Alcuni di questi dispositivi sono:
l’introduzione di una molla nella parte inferiore della catena della cisterna, in modo che
eserciti una pressione costante su questa e che, quando la catena viene rilasciata, blocchi
l’uscita dell’acqua (questa molla evita inoltre che le catene rimangano bloccate lasciando
aperto lo scarico dell’acqua); regolare il tubo del bacino di traboccamento, impedendo che la
cisterna si riempia al massimo della sua capacità e allo stesso tempo regolare il livello del
galleggiante della cisterna; introdurre all’interno della cisterna un oggetto (per esempio una
bottiglia piena d’acqua e chiusa) che occupi parte del volume dell’acqua in modo che quando
la cisterna viene azionata si possa risparmiare l’acqua equivalente al volume dell’oggetto
introdotto.
Cassette dei WC con interruzione di scarico
Sono cassette di risciacquo che possiedono un unico pulsante con un meccanismo che
interrompe lo scarico dell’acqua quando viene premuto una seconda volta, oppure quando si
smette di premerlo. Questo sistema è disponibile per quasi tutte le marche di sanitari
conosciute. Poiché la cisterna si svuota di meno, impiega anche meno tempo a riempirsi e,
ovviamente, diminuisce la quantità d’acqua utilizzata. Lo scarico breve può svuotare metà
della cisterna (da 4 a 6 litri); quello lungo la svuota completamente (da 9 a 12 litri, a seconda
della cisterna).
Cassette dei WC con doppio pulsante
Sono cassette di risciacquo che possiedono un doppio pulsante che permette due quantità di
scarico: uno scarico lungo che produce lo svuotamento completo della cisterna e uno breve
che produce uno svuotamento parziale. Le quantità di scarico possono essere regolate.
Cassetta WC a scarico “ultrabasso”
In questa soluzione si utilizzano dei sistemi di scarico “pressati”, ovvero che sfruttano la
pressione della pompa autoclave che distribuisce l’acqua prelevata dal pozzo nei servizi
igienici degli appartamenti, per pulire più efficacemente con meno acqua.
Il sistema è inoltre dotato di una valvola che permette di parzializzare il flusso per poter
scaricare solo ciò che serve, utilizzando ad esempio anche un solo litro.
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7 litri a pressione
con valola parzializzatrice
doppio pulsante
9 litri
12litri
Figura 11 – Rapporto tra i consumi annui di diversi apparecchi di scarico per WC
6.3.1.3
Dispositivi per strutture di accesso pubblico
In strutture ad accesso pubblico (come ad esempio bagni di ristoranti, spogliatoi, etc.) il
fenomeno principale da contrastare è quello della noncuranza degli utenti, che spesso
dimenticano o lasciano i rubinetti aperti causando notevoli sprechi (per la qual ragione sono
indicati in questi casi rubinetti elettronici (con fotocellula) o con interruttore meccanico del
flusso. Per quanto riguarda docce e lavelli in spogliatoi o esterni è preferibile anche in questo
installare sensori o meccanismi di azionamento meccanico (es. pulsante a pavimento per i
lavelli, a parete per le docce) per l’erogazione dell’acqua; in tale maniera viene consumata
solo l’acqua effettivamente richiesta. Per quanto riguarda i servizi igienici, assume notevole
importanza la scelta degli urinali, per i quali esistono in commercio modelli capaci di fornire
grandi diminuzioni dei consumi idrici.
Urinali a secco
Gli urinali a secco funzionano senza acqua. Il principio su cui si basa tale sistema è molto
semplice: l’urinale è realizzato con un materiale completamente liscio e non poroso, in cui
l’urina viene incanalata direttamente nel sifone, senza lasciare residui all’interno. Questo tipo
di sifone contiene un liquido d’arresto (totalmente biologico e biodegradabile) con un peso
specifico inferiore a quello dell’urina, come l’acqua, grazie al quale l’urina viene
completamente isolata e risulta totalmente inodore. La maggior parte dei componenti solidi
dell’urina vengono successivamente filtrati dal sifone e il resto del flusso viene convogliato
nello scarico. Se paragonato ad un sistema di urinale tradizionale ad acqua, un urinale a
secco comporta un risparmio di acqua che varia dai 50 ai 150 metri cubi l’anno per unità;
questo consente di avere un ritorno dell’investimento dopo appena 2-3 anni. Poiché il
sistema non utilizza acqua, non è più necessario installare le tradizionali cassette dell’acqua.
Nel caso di un’installazione ex novo, questo comporta un notevole risparmio rispetto
all’installazione di un urinale ad acqua. Nel caso in cui si voglia passare da un sistema
tradizionale ad acqua ad uno senz’acqua, si procede allo smontaggio delle cassette
dell’acqua e alla chiusura delle tubature di scarico. Gli urinali a secco sono particolarmente
interessanti in quanto permettono una separazione dell’urina dagli scarichi e un suo
eventuale recupero come fertilizzante (43).
43
Una persona in media produce circa 1.5 Kg di urina e 200 g di feci al giorno. Rispetto al totale delle escrezioni, l’urina
contiene l’85% dell’azoto, il 70% del fosforo e il 70% del potassio, mentre le feci contengono il 15% dell’azoto, il 30% del fosforo
e il 30 % del potassio. L’urina generalmente è sterile, la carica batterica è contenuta nelle feci. L’urina, raccolta separatamente,
può essere accumulata in serbatoi e successivamente utilizzata come fertilizzante a base di azoto, fosforo e potassio in
agricoltura; l’urina è un fertilizzante naturale: non contiene microrganismi e le concentrazioni di metalli pesanti sono
estremamente basse (Jonsson, 2001).
La distribuzione dell’urina sui campi coltivati viene effettuata con normali mezzi agricoli e senza richiesta di manodopera
specializzata; da alcuni studi (Johansson, Nykvist, 2001) è emerso fra l’altro che il fabbisogno energetico legato al trasporto e
all’applicazione dell’urina come fertilizzante è minore rispetto a quello legato al trattamento in impianti di depurazione e
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Figura 12 – Urinali a secco per WC di accesso pubblico installati presso il Taj Mahal (India) e particolare
di un urinale a cartuccia
6.3.1.4
Le soluzioni più ambiziose: il recupero delle acque grigie e meteoriche
Le soluzioni più innovative per l’igiene domestica (secondo l’approccio che a livello
internazionale viene chiamato “sustainable sanitation”44) sono quelle che prevedono la
raccolta delle acque meteoriche (disponendo così di un accumulo di risorse idriche “proprie”
da utilizzare per gli usi non potabili) e/o la separazione all’interno dell’edificio tra le acque
nere e le acque grigie. Queste soluzioni, oltre a permettere di riciclare l’acqua all’interno
dell’abitazione riducendo drasticamente i consumi, permettono anche di ottimizzare i sistemi
fognari e di depurazione.
Si riporta di seguito un esempio di un possibile schema di funzionamento ottimale di un
impianto di separazione delle acque grigie e di riciclo idrico.
all’utilizzo di fertilizzanti minerali. Il periodo maggiormente indicato per l’applicazione sui campi è quello di crescita
vegetazionale.
E’ consigliabile stoccare l’urina per un periodo di almeno sei mesi per permetterne la disinfezione prima dell’utilizzo. Il
dimensionamento del volume del serbatoio di accumulo dell’urina dipende dal tipo di toilette presente, dall’utenza (numero di
persone) e dalla durata del periodo di stoccaggio. Il tipo di toilette installato influenza il volume del serbatoio poiché variano i
volumi di acqua utilizzata per il risciacquo: il volume di accumulo richiesto può quindi variare da 350 litri per persona all’anno
(nel caso di utilizzo di sistemi a secco) fino a più di 1.000 litri per persona all’anno. Il periodo di stoccaggio necessario per la
disinfezione varia in funzione della temperatura e della destinazione del riutilizzo. La raccolta può essere effettuata in due
serbatoi distinti, funzionanti in maniera alternata: uno come accumulo e uno come stoccaggio per la disinfezione.
Per quanto riguarda le componenti impiantistiche del sistema di raccolta separata dell’urina, è consigliato seguire alcune
indicazioni:
tutto il sistema deve essere a tenuta stagna per evitare fuoriuscite o perdite;
non devono essere utilizzati componenti metallici, per evitare la contaminazione dell’urina;
il sistema non deve essere ventilato per impedire la volatilizzazione dei composti azotati, da mantenere in quanto
nutrienti;
tutte le componenti del sistema devono essere ispezionabili e lavabili;
il serbatoio di accumulo deve essere provvisto di troppo pieno collegato alla fognatura, in modo da evitare
sversamenti.
44
Sono ormai disponibili molti siti ricchi di informazioni sul tema della sustainable sanitation: si veda ad esempio la rivista
Sustainable water management, scaricabile gratuitamente dal sito www.zer0-m.org; qualche informazione in italiano è
disponibile anche sul sito di iridra srl ( www.iridra.com ).
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Figura 13 - Schema di riutilizzo delle acque grigie all’interno dell’abitazione
In questo schema l’acqua potabile alimenta la cucina, le docce-vasche, i lavabi e gli
elettrodomestici. Le acque grigie provenienti dagli scarichi di queste utenze vengono
immesse nel serbatoio di stoccaggio che alimenta le cassette dei WC e dei rubinetti di acqua
non potabile usati per l’innaffiamento.
Il recupero delle acque grigie è realizzato in questo caso tramite un apparecchio che
consiste in una scatola contenente una pompa e un “sensore di livello” che accende la
pompa quando si utilizza l’acqua: questo apparecchio (che si può facilmente inserire in un
mobiletto da bagno) deve essere collegato ai sifoni del lavandino e (pendenze permettendo)
a quello del bidet; i vecchi tubi di scarico nel muro rimangono inutilizzati, mentre l’acqua
espulsa dalla pompa è trasportata ad un serbatoio posto sopra il W.C., al posto della vecchia
cassetta.
Più spesso il sistema di riutilizzo prevede il trattamento delle acque grigie (attraverso sistemi
di fitodepurazione o, quando non ci sono gli spazi, da sistemi tecnologici: ve ne sono oggi in
commercio delle dimensioni di un frigorifero) prima di accumularle nei serbatoi di stoccaggio.
Il trattamento prima dello stoccaggio elimina alcuni problemi che possono verificarsi nel
serbatoio, quali l’accumulo di solidi sedimentabili e l’insorgere di processi anaerobici (e i
cattivi odori che ne derivano). Inoltre il trattamento permette di ampliare notevolmente i
possibili usi dell’acqua non potabile.
Nella figura 14, ripresa da una pubblicazione promozionale di una nota ditta tedesca di
rubinetteria e prodotti sanitari, è rappresentato lo schema ideale di un ciclo “sostenibile” di
gestione dell’acqua domestica. Nelle immediate vicinanze dell’edificio si trova il serbatoio
interrato per l’accumulo dell’acqua non potabile. Tale serbatoio si approvvigiona sia delle
acque meteoriche provenienti dai tetti – quelle che non vengono contaminate da oli e polveri
per il ruscellamento su superfici stradali – sia delle acque grigie depurate. La rete non
potabile serve gli sciacquoni dei WC, la lavatrice e due erogatori – uno interno e uno esterno
– da utilizzare per lavaggi di pavimenti e aree esterne e per l’irrigazione. La rete dell’acqua
potabile alimenta i rubinetti, le docce e la vasca da bagno.
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Figura 14 - Rappresentazione di un sistema domestico con raccolta acque meteoriche e recupero acque
grigie
6.3.2
Le strategie per promuovere le tecniche di riduzione dei consumi civili
Tutte le soluzioni descritte al capitolo precedente possono essere applicate sia nel settore
domestico/residenziale che in quello turistico: maggiore sarà la diffusione di tali soluzioni,
maggiore sarà il risparmio complessivo di risorsa idrica. E’ possibile fare alcune ipotesi
preliminari raggruppando le tecnologie descritte in “categorie” e ipotizzandone gli effetti in
termini di riduzione dei consumi.
Soluzioni relative agli erogatori d’acqua
Queste soluzioni permettono una riduzione di circa il 50% dei consumi ascrivibili alla voce
bagni e docce, e di circa il 20% sul consumo domestico totale45.
Cassette dotate di doppio pulsante
La percentuale di riduzione stimata è del 35% sul consumo del WC (circa 10% sui consumi
totali), calcolata immaginando di avere una cassetta da 12 litri che viene usata, in media, 4
volte al giorno. La cassetta priva del doppio pulsante, quindi, consumerebbe, 12x4=48l,
45
http://eboals.bologna.enea.it/ambtd/progetto.htm. A Ravenna l’installazione in un condominio di erogatori per docce e
rubinetti ha permesso un risparmio idrico del 20%. A Bologna, SEABO ha avviato un progetto sperimentale di risparmio idrico
ed energetico: il risparmio medio verificato è stato del 18%.
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dotata del doppio pulsante, invece, consumerebbe 6x3+12=30, cioè solo una volta su quattro
verrebbero usati 12 l; le altre tre volte, invece, solo 6l.
Riutilizzo delle acque grigie
Si tratta del riutilizzo delle acque grigie provenienti dagli scarichi di docce e lavandini, per le
cassette di flussaggio dei vasi. Si può ipotizzare che l'acqua grigia trattata possa alimentare
completamente le cassette dei wc ed inoltre sostituire l'acqua potabile anche per il "lavaggio"
ed altri usi. Ciò consentirebbe una riduzione, dei consumi totali, del 32%. L’eccesso d’acqua
grigia trattata può essere utilizzato per altri usi non potabili (ad esempio per innaffiare il
giardino).
Riutilizzo acque meteoriche
Le installazioni di sistemi per l'utilizzo delle acque meteoriche per usi civili non potabili può
consentire un risparmio idrico nell'ordine del 40%46 dei consumi giornalieri, ma è necessario
considerare che la possibilità di uso delle acque meteoriche, a causa della distribuzione
irregolare delle piogge, dipende dalle dimensioni dei volumi di accumulo.
Per diffondere le soluzioni tecniche proposte è possibile prevedere diverse misure. Alcune
misure sono già previste dal PTUA Lombardia (si veda il Regolamento regionale n.2 del 24
marzo 2006), ma la loro applicazione dipende in larga misura da come gli Enti Locali le
recepiranno sul loro territorio.
Le strategie sono comunque di tipo volontario o di incentivazione economica. Quelle di tipo
volontario si basano su campagne di informazione per il risparmio idrico (riguardanti tutte le
misure adottabili dai consumatori citate nel precedente paragrafo). Auspicabilmente, tali
campagne dovrebbero prevedere la distribuzione gratuita agli utenti di semplici sistemi di
risparmio (riduttori di flusso per rubinetti) e accordi con produttori o distributori di apparecchi
sanitari ed elettrodomestici per facilitare l’acquisto di soffioni da doccia a basso consumo,
cassette WC a doppio pulsante, lavatrici e lavastoviglie a basso consumo (anche per grandi
comunità).
Lo strumento economico consiste invece nella rimodulazione della tariffa del servizio idrico,
finalizzata a disincentivare il consumo idrico adeguando gli scaglioni relativi alle tariffe
agevolata, base e di eccedenza come segue:
differenziando per le utenze domestiche residenti l’ammontare degli scaglioni
secondo il numero degli abitanti residenti;
adeguando gli scaglioni tariffari in modo che la tariffa agevolata e la tariffa base sia
applicata a consumi non superiori ai 150 l/ab/g;
prevedendo un progressivo aumento delle tariffe, in particolare per le tariffe base e di
eccedenza.
I Comuni e la Comunità montana potrebbero inoltre elaborare modalità di erogazione di
incentivi (contributi, esenzioni fiscali, riduzioni degli oneri, aumenti dell’edificabilità) per
promuovere:
a. l’adozione di sistemi di trattamento e riuso delle acque grigie depurate per usi non
potabili (irrigazione, lavaggio superfici esterne, scarico WC, etc.);
b. la realizzazione di sistemi di accumulo e riuso delle acque meteoriche.
46
http://www.premioinnovazione.legambiente.org/edizioni/2003/schede/3.html
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III.
INTEGRAZIONE DI PIANI, PROGRAMMI E REGOLAMENTI
PER LA GESTIONE SOSTENIBILE E LA TUTELA
DELLE RISORSE IDRICHE
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7
LE POLITICHE DI GESTIONE DELLE ACQUE E LA NECESSITÀ DELL’APPROCCIO
INTEGRATO
Gran parte dei problemi dei corsi d’acqua ha origine da un cattivo assetto e da una gestione
inadeguata del bacino: inquinamento diffuso dovuto a pratiche agricole o zootecniche,
deforestazione o riforestazione poco attenta alle esigenze ecologiche delle specie impiegate,
impermeabilizzazione dei suoli e, soprattutto, occupazione di spazio, urbanizzazione, etc.
Se non si ricostituisce l’equilibrio nel bilancio dei sedimenti a scala di bacino, è
assolutamente velleitario cercare ad esempio di consolidare una sponda: l’intervento durerà
quanto un battito di ciglia e gli ingenti finanziamenti impiegati saranno spazzati via dalla
prossima piena. Un depuratore, per quanto efficiente, ha poca speranza di riportare la qualità
dell’acqua allo “stato buono” entro il 2016 (richiesto dalla legge), se gran parte del carico
inquinante deriva da piccoli ma molteplici scarichi incontrollati (e incontrollabili, per una pura
questione di costi, con il normale approccio fognatura – depurazione), o da un uso
sconsiderato di fertilizzanti in agricoltura. I benefici di un costoso progetto che miri a ricreare
habitat e diversità saranno vanificati da un altro intervento di arginatura a protezione di un
centro abitato (fintantoché nei Piani Regolatori Generali (PRG), o nei nuovi Piani di Gestione
del Territorio (PGT) dei Comuni sarà prevista un’ulteriore espansione…); e così via.
In definitiva, appare inutile, o almeno inefficiente, agire sul corso d’acqua al di fuori di una
strategia coerente a scala di bacino. E per riqualificare occorre partire dal miglioramento
della gestione del territorio.
Gli obiettivi della gestione della rete idrografica (ai vari livelli di bacino, regionale e locale)
possono essere perseguiti attraverso una nuova concezione dei modi di affrontare una
varietà di tematiche: la messa in sicurezza del territorio (dagli interventi sul rischio idraulico
alla ricostituzione della permeabilità dei suoli); la raccolta, lo smaltimento e il trattamento
delle acque reflue; il risparmio della risorsa idrica in tutti i suoi campi d’impiego e la
razionalizzazione della sua distribuzione; etc.
Fondamentali sono le implicazioni territoriali di questa nuova concezione, con particolare
attenzione alla protezione e alla valorizzazione dei corpi idrici e degli ambiti territoriali
connessi, alla sopravvivenza dei biotopi, alle particolarità del paesaggio e alla crescita nella
popolazione insediata di nuove consapevolezze sull'uso delle risorse naturali.
Per questo è importante sviluppare una politica di tutela e corretta gestione dei corpi idrici (e
delle relative risorse idriche) attraverso la pianificazione territoriale ed ambientale.
Questa nuova sensibilità si sta già traducendo in atti concreti soprattutto a livello subregionale e locale, anche in Italia. Alcune amministrazioni pubbliche italiane stanno
introducendo queste tematiche sia negli strumenti urbanistici tradizionali, sia in una nuova e
molto interessante generazione di piani locali (Piani dell'acqua a livello locale, Piani
Regolatori Comunali delle Acque, etc.), già definiti da alcuni "nuova urbanistica" o
"urbanistica municipale".
Gestire in modo sostenibile le risorse idriche e tutelare gli ecosistemi fluviali implica una
inversione di tendenza nella gestione del territorio: è necessario infatti integrare tra loro
strumenti di pianificazione che nascono come piani settoriali.
7.1 Pianificazione per le acque e il territorio in Italia
Una molteplicità di soggetti ha parola sulla gestione del territorio in Italia. A livello “centrale”
troviamo: i Ministeri dell’Ambiente, delle Infrastrutture e delle Risorse agricole, alimentari e
forestali, le Autorità di bacino nazionali, nonché gli enti tecnici (che non decidono, ma
rilasciano pareri di grande importanza) quali l’APAT (Agenzia nazionale per la Protezione
dell’Ambiente e i servizi Tecnici, ex ANPA) e il CNR (es. Gruppo Grandi Catastrofi).
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DATA: giugno 2008
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
IDROGRAFICO DEL BREMBO – I SENTIERI DELL’ACQUA
A livello “locale”: Le Autorità di Bacino (AdB) interregionali, l’Agenzia interregionale per il
Fiume Po (ex ufficio del Magistrato per il Po, passato recentemente sotto il controllo
Regionale), le Regioni, le Province e i relativi uffici Difesa del suolo (ex Geni Civili), i Comuni
e le Comunità montane, i Consorzi di bonifica, gli Enti Parco; nonché gli enti tecnici preposti
al monitoraggio quali le ARPA (Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente).
In linea di principio è logico che esista un rapporto gerarchico tra questi soggetti, a
condizione di rispettare il principio di sussidiarietà che richiede, innanzitutto, l’esistenza di un
buon coordinamento, tale da evitare sovrapposizioni di competenze o, viceversa, scarico di
responsabilità.
In realtà le nostre istituzioni richiedono ancora profonde trasformazioni per adeguarsi a
questi requisiti. Un quadro più esplicito della situazione è mostrato nel box Livelli normativi
urbanistico-territoriali sotto riportato.
***********************************************BOX********************************************
Livelli normativi urbanistico-territoriali per il governo dei corsi d’acqua in Italia
(47)
(Erich Trevisiol)
Primo livello
Normativa nazionale, tesa innanzitutto all’attenuazione del rischio idrogeologico, in seguito
innovata dalle norme per il riassetto della difesa del suolo: il Piano di Bacino è strumento
sovraordinato ai principali strumenti di matrice urbanistico – territoriale (PTCP, Piani Sviluppo
Regionale, PRGC...).
Secondo livello
Si basa in primis sui provvedimenti legislativi regionali (o su quelli nazionali con ricaduta
regionale), tesi ad incorporare nella matrice urbanistico – territoriale la considerazione esplicita
degli aspetti legati alla gestione dei sistemi fluviali.
Si concreta introducendo il governo dei sistemi fluviali all’interno degli strumenti tipicamente
urbanistici generali o di settore (ad esempio: nel PRGC Strategico di Ferrara).
Terzo livello
Regola il rapporto tra pianificazione/progettazione e programmazione.
Tende ad assicurare operatività alle indicazioni discendenti dai primi due livelli. In questo livello si
decidono “le cose da fare”, avendo come primi referenti i numerosi soggetti abilitati a proporre ed
operare sui corpi idrici superficiali. Un tentativo è in corso a Padova dal 2005 attraverso il nuovo
Piano Regolatore delle Acque.
Quarto livello
Pur avendo alcuni tratti del terzo livello, sceglie la strada “pattizia” o dei “contratti di fiume”.
Come strumento operativo privilegia la promozione ed esecuzione di “buone pratiche”, basate
sulla costituzione di forme ad hoc di collaborazione che includono anche gli attori sociali.
A titolo di esempio, per quest’ultimo livello si possono citare alcune tipologie di esperienze
interessanti: i Piani delle Acque a livello comunale, collegati alle Varianti dei PRG; i progetti per la
reintroduzione di vaste zone a marcite come soluzione dei problemi di inquinamento nel territorio periurbano con residue macchie “agrarie”; i Prontuari di Linee Guida per la predisposizione di Piani
dell'Acqua in funzione della valorizzazione paesistica ed ambientale del reticolo idrografico minore;
alcuni Parchi ed Oasi Naturali hanno predisposto e realizzato Programmi specifici per la tutela e la
valorizzazione del reticolo idrografico e delle risorse idriche all’interno dei loro Piani Ambientali; molte
Agende 21 Locali, che puntano sulla valorizzazione del reticolo idrografico e su progetti di
paesaggismo d'acqua (è nata nel 2003 anche la prima Agenda 21 Locale sull’acqua); i Quartieri di
varie città che hanno predisposto Prontuari o Abachi per tutti gli interventi riguardanti il ciclo dell'acqua
all’interno dei Programmi di Riqualificazione Urbana/Contratti di Quartiere; alcuni Comuni stanno
47
Tratto da: A. NARDINI E G. SANSONI (a cura di), La riqualificazione fluviale in Italia, Mazzanti Editore, 2006.
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DATA: giugno 2008
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
IDROGRAFICO DEL BREMBO – I SENTIERI DELL’ACQUA
introducendo (spesso come finissaggio dei depuratori esistenti o per la soluzione dei problemi fognari
di zone isolate) varie tipologie di depurazione non convenzionale, soprattutto per la riqualificazione di
zone peri-urbane; altri Comuni introducono la fitodepurazione all'interno di progetti per la
rivitalizzazione di aree verdi “derelitte” (o abbandonate: derelict lands) o nel Piano per le fognature o
nel Regolamento Edilizio. Alcune Amministrazioni comunali stanno infine predisponendo piani/progetti
sul sistema acqua/verde/memoria storica, denominati Patti per le acque e Contratti di Fiume (peraltro
possibile oggetto di azioni anche di livello superiore).
*************************** fine BOX Livelli normativi urbanistico – territoriali ********************************
7.2
La necessità dell’approccio integrato nella pianificazione
Seppure in modo frammentario e disorganico, il sistema di governo dei fiumi e delle acque in
Italia è evoluto verso un quadro teorico che oggi si può definire in larga misura coerente con i
principi dello sviluppo sostenibile. La necessità di garantire l’integrità ecologica dei corsi
d’acqua, un approccio “sistemico” al governo delle acque basato sul concetto di bacino
idrografico, l’acquisizione al settore pubblico dei principali “diritti di proprietà” connessi con la
risorsa idrica, sono principi ormai patrimonio della nostra legislazione.
Maggiori difficoltà si incontrano quando si passa dai principi alle scelte operative della
pianificazione: sia i piani urbanistici e territoriali (Piani Comunali, Piani Provinciali di
Coordinamento, Piani Territoriali e Paesistici Regionali) che i piani di “settore” (Piano di
Bacino o i relativi stralci tra cui il Piano di Tutela della Acque previsto dal D. Lgs. 152/99,
Piano d’Ambito Territoriale Ottimale previsto dalla “Galli”, Piano di Sviluppo Rurale e la
programmazione in materia di uso irriguo delle acque) non sempre riescono a produrre
realmente gli effetti desiderati in campo ambientale, sociale ed economico. Ciascun piano
viene realizzato cercando di “tenere conto” di quanto dicono gli altri piani, ma nella pratica
non è facile metterlo in condizione di “comunicare” realmente con tutti gli strumenti di
pianificazione in essere. Affinché la “macchina” dei piani possa produrre gli effetti desiderati
(acque più pulite, minore rischio idraulico, fiumi più belli e fruibili, etc.) è invece
indispensabile che i piani “comunichino” in maniera fattiva tra loro e si servano l’uno dell’altro
in un’unica procedura codificata (cfr. fig. 1), le cui componenti possano essere rapidamente
aggiornate sulla base di una valutazione della loro efficacia48.
48
Ad esempio, il Piano di Tutela delle Acque dovrebbe integrarsi con il Piano d’Ambito e il Piano di Sviluppo Rurale (in quanto
“strumenti” per ridurre i carichi di origine civile e agricola e per regolare prelievi e restituzioni per uso civile) e agire allo stesso
modo con gli altri piani che possono influenzare carichi e portate.
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
IDROGRAFICO DEL BREMBO – I SENTIERI DELL’ACQUA
Programmi di interventi per la difesa del suolo e
la “regolazione”
Operati da Province, Comuni, Consorzi di Bonifica
(Piano generale di Bonifica), “Magistrati alle acque”
(Po e Venezia) sulla base di indirizzi di Regione e
AdB; in caso di emergenza, però, possono
intervenire “d’urgenza” su incarico (e fondi) della
Protezione Civile
Sono sostanzialmente programmi di opere
Piano di Bacino
Piano di Assetto Idrogeologico
Definisce opere e regole per tutela
rischio idraulico e geomorfologico.
Impone
vincoli
soprattutto
a
pianificazione territoriale e urbanistica
Bilancio idrico e DMV (Piano delle
utilizzazioni)
Impone vincoli a piani e programmi che
prevedono prelievi idrici
Procedure d’urgenza
Attivate dalla Protezione
Civile al di fuori della
pianificazione
Piani paesistici, territoriali, urbanistici
(Regionali, Provinciali, Comunali)
Definiscono l’assetto del territorio attraverso
un processo “a cascata” con i piani di livello
superiore (regionale e provinciale) che
individuano indirizzi generali, definiscono le
infrastrutture di interesse sovracomunale e
pongono vincoli alla trasformabilità; quelli
comunali pianificano lo sviluppo del territorio
Programmi di interventi per l’irrigazione
Operati da vari enti sulla base di indirizzi e
fondi “centrali” (Ministeri Agricoltura e
Territorio) o regionali;
Sono sostanzialmente programmi di opere
Piano di Tutela delle Acque (stralcio
del PdB “a cura” delle Regioni)
Definisce obiettivi di qualità delle acque e
definisce
azioni
per
raggiungerli,
intervenendo sui carichi (riduzione alla
fonte, depurazione) e su “capacità” di
riceverli del recettore (portate)
Piano
d’Ambito
Territoriale
Ottimale (L.36/94)
Definisce opere e regole per la
gestione del ciclo idrico integrato
(acque ad uso civile)
Piano di Sviluppo Rurale
Definisce
le
modalità
operative
per
l’erogazione dei fondi comunitari per le misure
“agroambientali” (finalizzate a migliorare
l’integrazione tra agricoltura e ambiente)
Figura 15 – Schema (semplificato) delle competenze per il governo dell’acqua e dei corsi d’acqua in Italia
e dei loro rapporti: è la situazione idealmente realizzabile nel contesto delle norme esistenti, se si
interpretassero “in modo intelligente” (non intende rappresentare la situazione migliore possibile e
prescinde dalla invece necessaria integrazione con il “piano di gestione” richiesto dalla Direttiva Quadro
sulle Acque).
Le frecce nere rappresentano le relazioni attualmente esistenti, mentre quelle tratteggiate rappresentano
le relazioni auspicabili.
È dunque ormai da tutti accettato che per gestire i corsi d’acqua occorrano una visione e una
azione a scala di bacino. La miglior istituzione capace di garantirla è l’Autorità di Bacino
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
IDROGRAFICO DEL BREMBO – I SENTIERI DELL’ACQUA
(istituita in Italia con la L. 183/89)49, che però non riesce sempre a “governare” l’enorme
massa di interventi che modificano i suoli e le acque.
Non è questo il luogo per entrare nel merito delle possibili riforme del sistema italiano di
governo della acque e dei fiumi50; ci preme però evidenziare alcune “idee” che potrebbero
essere attuate anche al livello provinciale, cui fa riferimento il presente lavoro.
La prima raccomandazione è che l’Autorità di Bacino51 acquisisca un maggior potere, non
necessariamente di attuazione e gestione – compiti che possono essere più utilmente svolti
a livelli inferiori (AATO, Servizi di difesa suolo, Consorzi di bonifica) – ma di controllo: troppo
spesso le procedure emergenziali o la debolezza tecnico - burocratica rendono le AdB
semplici notai di decisioni prese altrove.
Allo stesso tempo, per evitare derive “tecnocratiche”, l’AdB dovrebbe essere il riferimento per
lo sviluppo di migliori processi decisionali (avvalendosi anche, dove funzionanti, dei Forum di
Agenda 21 Locale) 52.
La seconda idea chiave, “raccomandata” anche da diversi documenti strategici dell’Unione
Europea, è l’integrazione tra istituzioni e strumenti di pianificazione e programmazione:
troppe istituzioni con troppi compiti molto vicini creano confusione e inefficienza.
Un esempio banale: chi fa il “bilancio idrico”? Spetta all’AdB per legge, ma diverse Autorità
d’Ambito, nell’elaborazione del proprio Piano, per individuare le fonti di risorsa idrica
necessaria, si sono fatte – più o meno esplicitamente – il proprio “bilancio” (che naturalmente
dovrebbe rispettare quello allocativo generale dell’AdB che spesso però... non c’è ancora); e
le Regioni, con il Piano di Tutela, di fatto lo rifanno con indirizzi omogenei per tutto il territorio
regionale, quindi – almeno potenzialmente – diversi o contrastanti con quello delle Autorità di
Bacino.
Un terzo aspetto in molti casi da migliorare riguarda l’acquisizione di informazioni: ogni volta
che si avvia un nuovo piano, si realizza una nuova campagna di raccolta dati e informazioni,
che spesso sono la duplicazione di dati già esistenti o che non richiedevano aggiornamento
(perché cambiano con tempi molto lunghi). Si dovrebbe assicurare il coordinamento degli
uffici preposti alla gestione dell’informazione, magari limitandone il numero: oltre allo spreco
di risorse economiche, aumentano le difficoltà di scambio di informazione.
In sintesi, alcuni principi chiave per un modello di “governo” del territorio e delle acque in
linea con i principi della riqualificazione fluviale (ma anche con molte altre esigenze) sono:
integrazione: verticale (tra istituzioni e scale territoriali), orizzontale (tra soggetti
diversi), culturale (tra competenze e saperi diversi), ambientale (non concepire
l’ambiente come una cosa a sé e comprendere che nulla, nemmeno la
programmazione economico-finanziaria, può essere cieca allo stato e alle
conseguenze ambientali), etc.;
economicità: evitare in ogni modo di sprecare risorse naturali, perché sono scarse e
vanno gestite con oculatezza in modo, appunto, economico;
prevenzione: meglio agire sulle cause che curare gli effetti;
precauzione: di fronte alla complessità e delicatezza dei sistemi ambientali è
opportuno riconoscere la nostra ignoranza ed agire in modo prudente, scegliendo la
soluzione più cautelativa ed evitando i potenziali rischi.
49
Meglio sarebbe parlare, in Italia, del sistema AdB-Regioni, dato che le competenze di governo della risorsa acqua/suolo sono
in capo alle Regioni e le AdB funzionano soprattutto come soggetto attraverso cui le Regioni concertano politiche che le
riguardano congiuntamente.
50
Si veda in proposito il vivace dibattito in corso all’interno del “Gruppo 183” (www.gruppo183.it).
51
Intesa come livello di governo del bacino idrografico, indipendentemente dalle sue caratteristiche “geografico-amministrative”
di Autorità Nazionale, Interregionale o Regionale.
52
Vedi l’interessante e positiva esperienza dell’AdB del Magra sul sito www.adbmagra.it, alla voce Progetto Vara, il processo
partecipativo.
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
IDROGRAFICO DEL BREMBO – I SENTIERI DELL’ACQUA
8
SCHEMA DELLA PIANIFICAZIONE A SCALA DI DETTAGLIO
8.1
La pianificazione delle acque sul bacino del Brembo: ruoli e competenze
Dall’analisi del quadro normativo nazionale evidenziato al paragrafo precedente e della legge della
Regione Lombardia 26/2003, emerge che gran parte delle competenze in materia di risorse idriche
riguardano enti sovraordinati alla Provincia e ai Comuni (vedi
Figura 1616). Le competenze che riguardano la Provincia sono di fatto limitate
all’autorizzazione delle piccole concessioni di derivazione, non essendo previsto in
Lombardia, a differenza di altre Regioni come per esempio l’Emilia Romagna, un esplicito
strumento di attuazione del PTUA alla scala provinciale. Per i Comuni le competenze
appaiono sostanzialmente irrilevanti. I Parchi non hanno competenze specifiche in materia,
ciononostante, essi hanno la possibilità di intervenire nel caso di interventi o alterazioni
ambientali che possano avere effetti negativi sugli ecosistemi acquatici all’interno del
territorio protetto.
Regione/AdB
Piano di Gestione
(PTUA)
Provincia
ATO
PTCP
Piano d’Ambito
Consorzi di
Bonifica
e irrigazione
Programmi e opere
per l’uso agricolo
Concessioni piccole
derivazioni e
attingimenti
Enti Parco
Piano del Parco
Pareri su concessioni
Figura 16 – Schema della pianificazione in materia di tutela delle acque e degli ecosistemi acquatici e di
uso della risorsa.
D’altra parte le Province e i Comuni possono svolgere ruoli importanti in modo indiretto. La
Provincia, attraverso il Piano Territoriale di Coordinamento, può indirizzare i Comuni verso
soluzioni e tecnologie di gestione sostenibile delle acque. Inoltre sia la Provincia che i
Comuni sono rappresentati all’interno delle Autorità d’Ambito e hanno quindi la possibilità di
agire indirettamente attraverso il Piano d’Ambito, che è uno degli strumenti essenziali in
materia di risorse idriche.
COD: AI 034A07
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DATA: giugno 2008
PAGINA: 53: 61
USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
IDROGRAFICO DEL BREMBO – I SENTIERI DELL’ACQUA
8.2
8.2.1
Lo strumento chiave: il PTUA e le sue opportunità
Le novità del Piano di Tutela delle Acque
Seppure con alcuni limiti, il nuovo quadro normativo che emerge in seguito all’approvazione
del D. Lgs. 152/99, rinnova profondamente la “filosofia” della pianificazione degli interventi
per la prevenzione dell’inquinamento. Il vecchio approccio della Legge “Merli” puntava alla
realizzazione di opere di collettamento e depurazione che garantissero il rispetto degli
standard allo scarico: compito del sorpassato Piano di Risanamento delle Acque (PRRA)53
era, in buona sostanza, individuare gli scarichi, collettarli e trattarli in modo che rispettassero
i limiti delle tabelle.
Ben più complesso è il compito del Piano di Tutela, il cui ruolo “strategico” è sottinteso
nell’essere concepito come “piano stralcio” del Piano di Bacino: tale Piano deve individuare i
corpi idrici che non rispettano gli obiettivi di qualità stabiliti, comprenderne le cause,
ipotizzare gli interventi che consentano il raggiungimento degli obiettivi, dosando, da un lato
le risorse disponibili, dall’altro i limiti agli scarichi, che non sono più fissi ma che possono
essere resi più o meno restrittivi in ragione del loro potenziale impatto.
Anche in termini di possibili interventi la “cassa degli attrezzi” a disposizione del Piano di
Tutela è molto più ampia rispetto a quella del PRRA che, anche per le carenze culturali degli
operatori in quell’epoca, era limitata a fognature e depuratori. Il Piano di Tutela,
teoricamente, può e deve agire su tutto il bacino, intervenendo sulle derivazioni (minimi
deflussi vitali), sulle capacità “tampone” del territorio, sulla capacità autodepurativa dei corsi
d’acqua, ricorrendo ad opere, ma anche e sopratutto a prescrizioni, raccomandazioni e
incentivi.
In buona sostanza il Piano di Tutela si distingue dal PRRA perché non ha il compito di
individuare le opere necessarie alla depurazione, compito che con la Legge 36/94 è di
competenza di Autorità d’Ambito ed Enti gestori. Il Piano di Tutela ha il compito di definire i
seguenti aspetti:
gli obiettivi di qualità per ciascun corpo idrico, in base ai criteri e ai parametri di cui
all'allegato 1 (Monitoraggio e classificazione delle acque in funzione degli obiettivi di
qualità ambientale);
i carichi accettabili da ciascun corpo idrico, sulla base della sua capacità di diluizione
e autodepurazione, perché sia garantito il raggiungimento dell’obiettivo di qualità;
le concentrazioni ammissibili degli scarichi che insistono su un determinato corpo
idrico, perché non sia superato il carico massimo accettabile;
le eventuali strategie di interventi per ridurre l'impatto delle fonti inquinanti diffuse e
aumentare la capacità autodepurativa dei corpi idrici e del territorio
(rinaturalizzazione, fasce tampone o filtro note come buffer zones, casse di
espansione, stagni di depurazione naturale, gestione delle acque di prima pioggia,
etc...).
L’obiettivo principale del Piano di Tutela delle Acque è quindi quello di garantire il
raggiungimento di obiettivi di qualità dei corpi idrici, attivando strategie differenti in ragione
delle diverse caratteristiche ecologiche e degli eventuali usi: ad esempio, le acque sensibili
all’eutrofizzazione, come i laghi, dovranno essere tutelate dall'eccesso di nutrienti, mentre
quelle utilizzate per l’approvvigionamento idrico di acqua potabile richiederanno protezione
dagli agenti patogeni.
53
Il PRRA è il Piano, sempre di competenza regionale, che di fatto costituiva lo strumento attuativo della Legge “Merli”.
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DATA: giugno 2008
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
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In sintesi, quindi, la politica di gestione delle acque e dei bacini idrografici, che era un tempo
solo questione di “opere idrauliche” (dighe, derivazioni, acquedotti, difese, rettificazioni,
fognature, depuratori) deve imparare a ricorrere ad un “cassetta degli attrezzi” molto più
ampia che si applica non solo sul corpo idrico, ma su tutto il bacino idrografico:
intervenendo sulla domanda idrica per promuovere un reale risparmio (civile, agricolo
e industriale);
incentivando il riutilizzo delle acque usate;
garantendo una gestione ottimale degli impianti di depurazione;
riducendo al minimo le reti di collettamento delle acque meteoriche e le portate
sottratte alla circolazione superficiale naturale;
creando zone umide che consentano, in occasione di eventi meteorici intensi, di
trattenere almeno una quota delle acque provenienti dal deflusso superficiale delle
aree impermeabilizzate e depurare le acque di prima pioggia o che riducano l’impatto
ambientale delle acque scaricate nei corsi d’acqua attraverso gli sfioratori di piena
delle fognature miste;
riducendo l’artificializzazione del reticolo idrografico (anche quello “minimo”, dei fossi
e delle scoline);
aumentando le capacità “tampone” del territorio (diffusione di siepi, filari, strisce
erbacee);
migliorando la capacità autodepurativa dei corsi d’acqua (rimozione opere idrauliche
non indispensabili, rinaturalizzazione, creazione di wetlands in e fuori alveo);
favorendo il ricorso a tecniche naturali, come la fitodepurazione, per il trattamento dei
piccoli centri e per ottimizzare la funzionalità degli impianti di depurazione.
Il Piano di Tutela ha quindi le caratteristiche di piano strategico (per obiettivi e azioni): tale
Piano richiede una trasformazione profonda, da una politica dirigistica di “comando e
controllo” (spesso limitata al “comando” e poco efficace nel “controllo”) ad una politica di
coinvolgimento dei diversi attori che partecipano al raggiungimento degli obiettivi (imprese,
mondo agricolo ed altri utilizzatori di acqua o produttori di inquinamento, ma anche enti di
sviluppo, consorzi di bonifica e irrigazione, uffici regionali responsabili della difesa idraulica,
etc...).
8.2.2
Il PTUA della Lombardia
La Regione Lombardia, in linea con quanto previsto dalla Direttiva quadro sulle acque
2000/60/CE, ha indicato il "Piano di gestione del bacino idrografico" quale strumento
regionale per la pianificazione della tutela e dell'uso delle acque. Ha inoltre stabilito che,
nella sua prima elaborazione, tale Piano costituisce il "Piano di tutela delle acque" previsto
dal Decreto legislativo n° 152 dell'11 maggio 1999, all'articolo 44.
Il Piano di gestione del bacino idrografico, piano stralcio di settore del Piano di bacino
previsto all'art. 17 della Legge 183 del 18 maggio 1989 sulla difesa del suolo, è costituito
dall'Atto di Indirizzo, approvato dal Consiglio regionale il 27 luglio 2004 e dal Programma di
Tutela e Uso delle Acque – PTUA, definitivamente approvato con Deliberazione n. 2244 del
29 marzo 2006.
Il Programma è costituito da:
Relazione Generale
Relazione di Sintesi
Norme tecniche di Attuazione
Allegati alla Relazione Generale:
Allegato 1 - Costruzione di una base dati per la caratterizzazione dei corpi idrici
significativi
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Allegato 2 - Stime delle portate e delle precipitazioni e strumenti per la loro
regionalizzazione
Allegato 3 - Classificazione dello stato quantitativo dei corpi idrici sotterranei di
pianura
Allegato 4 - Bilanci idrogeologici di dettaglio a scala di bacino: il caso dell’Olona
settentrionale
Allegato 5 - Uso, risparmio e riuso della risorsa idrica
Allegato 6 - Infrastrutture idriche e altri interventi di tutela
Allegato 7 - Stima dei carichi effettivi di azoto e fosforo da agricoltura nelle acque di
superficie
Allegato 8 - Indagine finalizzata all’individuazione delle sostanze pericolose
Allegato 9 - Definizione delle aree sensibili ai sensi della direttiva 91/271/CEE
Allegato 10 - Definizione delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola e da
prodotti fitosanitari
Allegato 11 - Definizione delle aree di ricarica e di riserva delle zone di pianura
Allegato 12 - Monitoraggio qualitativo e classificazione delle acque superficiali e
sotterranee
Allegato 13 - Caratterizzazione integrata dei corsi d’acqua e riqualificazione fluviale
Allegato 14 - Criteri per la regolazione delle portate in alveo
Allegato 15 - Modellistica di qualità a supporto della pianificazione di acque
superficiali
Allegato 16 - Stato di qualità ed evoluzione trofica dei laghi
Allegato 17 - Trattamenti appropriati per scarichi di acque reflue urbane provenienti
da agglomerati con meno di 2.000 abitanti equivalenti
Allegato 18 - Il contratto di fiume
Cartografia di Piano
Rapporto Ambientale (VAS)
Studio di incidenza.
Nell’insieme il PTUA Lombardia è strutturato come altri piani analoghi prodotti da altre
Regioni; vi sono però due specificità – evidenziate anche nel corso della valutazione (vedi
paragrafi successivi) – che differenziano il PTUA dalle altre esperienze italiane.
Una prima particolarità del PTUA è la scelta di includere nel quadro conoscitivo una specifica
“caratterizzazione integrata” dello stato degli ecosistemi fluviali. Questa scelta è motivata
dalla volontà della Regione di considerare il PTUA come un “Piano di Gestione” del bacino,
ai sensi della Direttiva 2000/60. Tale direttiva specifica la necessità di attribuire lo “stato
buono” ad un corso d’acqua, non solo in base alla qualità delle acque ma anche secondo le
condizioni complessive dell’ecosistema. La caratterizzazione integrata operata nell’ambito
del PTUA rappresenta una importante esperienza in tal senso.
Il secondo aspetto innovativo, proprio del PTUA è il riconoscimento del “contratto di fiume”,
come strumento di attuazione condivisa e partecipata del Piano stesso. Il “contratto di fiume”
era stato istituito precedentemente dalla Legge 26/03 sui servizi di pubblica utilità (“Disciplina
dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di
energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche”) che, al titolo V “Disciplina delle risorse
idriche”, capo II, individua i “contratti di fiume”(così come i “contratti di lago”) come processi
di sviluppo del partenariato funzionali all’avvio della riqualificazione dei bacini fluviali54. Il
PTUA definisce i contenuti e la struttura del contratto di fiume e ne sottolinea l’importanza, in
particolare per i contesti territoriali nei quali il raggiungimento degli obiettivi di qualità sembra
più difficile (ad esempio per i bacini del Lambro Olona e Seveso).
54
Art.45, comma 9 : “La Regione promuove la concertazione e l’integrazione delle politiche a livello di bacino e sottobacino
idrografico, con la partecipazione di soggetti pubblici e privati, per la tutela e valorizzazione delle risorse idriche e degli ambienti
connessi e la salvaguardia dal rischio idraulico. Gli strumenti di programmazione negoziata, previsti dalle norme regionali, che
assumono tali finalità, sono denominati contratto di fiume e contratto di lago”.
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USI PASSATI, PRESENTI E FUTURI DELLE RISORSE IDRICHE DEL BACINO
IDROGRAFICO DEL BREMBO – I SENTIERI DELL’ACQUA
La possibilità di attivare “contratti di fiume” rappresenta quindi in Lombardia la migliore
opportunità per integrare tra loro i diversi strumenti di governo del territorio.
9
IPOTESI DI SOLUZIONI DI GESTIONE
TERRITORIO DELLA VALLE BREMBANA
SOSTENIBILE
APPLICABILI
SUL
Al fine di garantire il ripristino, la conservazione o il mantenimento di condizioni ottimali per le
acque della Valle Brembana, condizioni necessarie per gli obiettivi del progetto “I sentieri
dell’acqua”, sono già in atto diverse azioni, attivate dalla Provincia e dagli altri enti territoriali,
in coerenza con quanto previsto dal PTUA regionale.
Tra queste si possono citare:
gli indirizzi e le direttive già previsti dal PTCP (in particolare gli articoli 36 e 37);
il recente Piano di Settore Provinciale per la Pianificazione delle risorse idriche, che
fornisce una griglia di valutazione e verifica della compatibilità di eventuali nuove
concessioni di derivazione;
il Progetto “Acque” del Parco delle Orobie bergamasche.
Tali azioni, in particolare il Piano di Settore e il Progetto “Acque”, dovrebbero garantire la
coerenza tra la necessità di sviluppare le fonti idroelettriche rinnovabili ed al tempo stesso di
conservare negli alvei un deflusso sufficiente a garantire il raggiungimento o il mantenimento
degli obiettivi di qualità previsti dal PTUA stesso (si veda in proposito la parte II. del presente
documento: “Valutazione degli usi compatibili delle risorse idriche del bacino idrografico del
Brembo”, ovvero la relazione dell’attività 6 del progetto “I sentieri dell’acqua”.
E’ possibile però individuare altre azioni che, integrate con quelle già in essere, potranno
ulteriormente facilitare la tutela degli ecosistemi dei corsi d’acqua della Valle Brembana,
tutela necessaria anche per il buon fine del progetto “I sentieri dell’acqua”. Tali azioni
riguardano in particolare:
azioni per il miglioramento della qualità dell’acqua: il PTUA, infatti, affida questi
interventi esclusivamente ai Piani d’Ambito, ma questi fanno ricorso quasi
esclusivamente ad interventi convenzionali (fognature e depuratori), mentre sono
diverse le tecnologie e le soluzioni innovative che possono essere messe in atto;
azioni per il miglioramento del regime idrologico: si tratta di azioni volte a ridurre i
prelievi dai corsi d’acqua, con particolare riferimento a quei settori meno interessati
dalle azioni già attivate dalla Provincia e dal Parco delle Orobie, quali il settore civile
e quello agricolo.
Per facilitare la disseminazione delle proposte qui presentate si è ricorso ad alcune schede
divulgative che descrivono sinteticamente ciascuna azione: tali schede sono state elaborate
come allegato al Piano Strategico del Po in corso di elaborazione da parte dell’Autorità di
Bacino e riguardano quindi anche il bacino del Brembo. Le schede – allegate alla presente
relazione – sono articolate in due categorie: “Q” per le azioni relative alla qualità dell’acqua e
“I” per le azioni relative al regime idrologico. L’indice dell’allegato è il seguente:
Q MIGLIORARE LA QUALITA’ DELL’ACQUA
Q1 Soluzioni per il trattamento di scarichi/scolmatori
Impianti di fitodepurazione
Aree filtro forestali
Q2 Riduzione degli apporti di nutrienti in agricoltura
Le Buone Pratiche Agricole per ridurre l’inquinamento diffuso
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Q3 Sistemi filtro per ridurre il diffuso agricolo
Le fasce tampone
Il trattamento dei reflui zootecnici con sistemi naturali
Q4 La riqualificazione del reticolo minore
Interventi di incremento della capacità autodepurativa
Manutenzione della vegetazione
I MIGLIORARE IL REGIME IDROLOGICO
I1 Ottimizzazione della gestione del sistema idrico
Gestione di serbatoi multiuso
I2 Riduzione dei prelievi dai corpi idrici
Riduzione dei consumi nel settore civile
Riduzione dei consumi nel settore agricolo
10 INTEGRAZIONE DEI RISULTATI DEL
PIANIFICAZIONE E PROGRAMMAZIONE
PROGETTO
NEGLI
STRUMENTI
DI
Alcuni dei risultati del progetto “I sentieri dell’acqua” sono elaborati tecnici e divulgativi che
saranno integrati nella programmazione delle attività turistiche o che andranno a costituire il
materiale promozionale per le attività di fruizione dei percorsi. Altri sono risultati “immateriali”:
si tratta della sensibilizzazione e del coinvolgimento attivo di tutti quei soggetti che hanno
partecipato al progetto: dai rappresentanti degli enti locali, alle scuole ai semplici cittadini che
per mesi hanno preso parte al progetto.
Tra i risultati del progetto, rientrano anche le possibili azioni di gestione ecosostenibile delle
acque individuate nel corso dell’attività 6 del progetto “I sentieri dell’acqua” (che costituisce la
parte II. del presente documento) e dell’attività 11 dello stesso progetto (che costituisce
questa parte III. del presente documento). Al fine di favorire l’attuazione di tali azioni si
propongono alcuni suggerimenti normativi, che potrebbero essere integrati nelle Norme
Tecniche di Attuazione del PTCP, quali indirizzi o prescrizioni per i Piani Urbanistici
Comunali.
10.1 Norme per la riduzione dell’impatto dovuto agli sfioratori delle reti miste
1. Per ottimizzare la gestione dei sistemi di depurazione e ridurre la circolazione artificiale
delle acque di pioggia, la rete fognaria deve essere separata dalla rete delle acque
meteoriche, a meno che motivazioni tecniche o economiche rendano impraticabile la
realizzazione di reti separate. La rete delle acque meteoriche deve essere la più breve
possibile, in modo da restituire le acque alla circolazione naturale e, in corrispondenza del
punto di restituzione, deve essere realizzato un bacino di detenzione o stagno di ritenzione
delle acque, progettati in modo da consentire il trattamento delle acque di prima pioggia.
2. Per tutte le nuove urbanizzazioni o gli interventi di recupero, riqualificazione o
ristrutturazione urbanistica ed edilizia deve essere prevista la separazione tra acque bianche
contaminate (ABC) e acque bianche non contaminate (ABNC) e la loro gestione secondo
quanto previsto ai punti successivi.
3. Le ABC sono equiparate alle acque reflue industriali, per cui, per il loro smaltimento
potranno essere previste le seguenti destinazioni:
a. destinazione in pubblica fognatura nera o mista: tale destinazione comporterà il
parere positivo da parte dell’ente gestore del Servizio Idrico Integrato (SII) e il
versamento al Comune - quale autorità competente al rilascio dell’autorizzazione allo
scarico nelle reti fognarie -, dal titolare della concessione edilizia o di altra
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autorizzazione alla trasformazione urbanistica, di un contributo – aggiuntivo rispetto
agli oneri di urbanizzazione – pari a 30€ per metro quadro di superficie
impermeabilizzata. Tale contributo è destinato ad uno specifico capitolo di bilancio ed
utilizzato esclusivamente alla realizzazione di sistemi di laminazione della portata
nella rete fognaria o di trattamento delle portate sfiorate, previsti dal Piano d’Ambito;
b. destinazione a sistema di trattamento in loco e successivo recapito in corpo idrico
superficiale o in rete fognaria bianca, previa autorizzazione allo scarico.
4. Per lo smaltimento delle ABNC sono previste le seguenti destinazioni:
a. serbatoi di accumulo per il riutilizzo per usi non potabili (irrigazione, lavaggio superfici
esterne, scarico WC, etc…);
b. suolo o negli strati superficiali del sottosuolo, ove possibile in relazione alle
caratteristiche del suolo;
c. nella rete idrografica, nel rispetto di eventuali ulteriori prescrizioni a salvaguardia di
possibili rischi idraulici;
d. rete fognaria separata (rete bianca) nelle zone servite direttamente da questo
servizio, previo parere positivo del gestore del SII;
e. rete fognaria mista: tale destinazione comporterà il parere positivo da parte dell’ente
gestore del SII e il versamento al Comune, dal titolare della concessione edilizia o di
altra autorizzazione alla trasformazione urbanistica, di un contributo – aggiuntivo
rispetto agli oneri di urbanizzazione – pari a 100€ per metro quadro di superficie
impermeabilizzata. Tale contributo è destinato ad uno specifico capitolo di bilancio ed
utilizzato esclusivamente alla realizzazione di sistemi di laminazione della portata
nella rete fognaria o di trattamento delle portate sfiorate, previsti dal Piano d’Ambito o
comunque realizzati con parere positivo del Gestore del SII.
5. Per tutte le nuove urbanizzazioni o gli interventi di recupero, riqualificazione o
ristrutturazione urbanistica ed edilizia, i Comuni prescrivono in sede di rilascio della
concessione edilizia, le modalità per lo smaltimento delle ABC e delle ABNC, individuando la
migliore destinazione tra quelle indicate ai precedenti punti 3 e 4.
Gli utenti del SII che smaltiscono le ABC con sistemi di trattamento in loco (punto 3, b) e le
ABNC senza ricorrere a reti fognarie pubbliche (punto 4, a, b e c) sono esentati dal
pagamento della quota di tariffa relativa alla gestione delle acque meteoriche.
10.2 Norme per l’incentivazione di sistemi di depurazione locale e riutilizzo delle
acque
1. Tutti gli insediamenti possono essere dotati di sistemi autonomi di collettamento e
depurazione delle acque nel rispetto delle prescrizioni del PTUA. Gli insediamenti con
popolazione inferiore ai 2.000 abitanti possono essere dotati di sistemi autonomi di
collettamento e trattamento appropriato delle acque usate o parte di esse, purché il sistema
permetta il raggiungimento degli obiettivi di qualità previsti dal PTUA.
2. Coloro che richiedono concessione edilizia per gli insediamenti che ricorrono a sistemi
autonomi di collettamento e depurazione possono beneficiare di una riduzione degli oneri di
urbanizzazione pari a 30%, se tutti i liquami sono trattati autonomamente e pari a 20%, se
sono trattate autonomamente solo le acque bianche. Qualora le acque depurate siano rese
disponibili gratuitamente all’Amministrazione comunale per l’irrigazione di aree di verde
pubblico, la riduzione degli oneri di urbanizzazione sarà pari a 50% se tutti i liquami sono
trattati autonomamente e a 40% se sono trattate autonomamente solo le acque bianche.
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10.3 Norme per promuovere il risparmio idrico e l’uso di acque non potabili per usi
compatibili
1. Nei nuovi insediamenti abitativi, commerciali e produttivi di rilevanti dimensioni (superiori a
5.000 metri quadri di superficie coperta), il sistema di approvvigionamento idrico deve essere
realizzato con una doppia rete di distribuzione, una per le acque soddisfacenti i criteri di
potabilità (“acqua potabile”) e una per acque di minor qualità (“acqua non potabile”), a meno
che, sulla base di un parere dell’Ente Gestore del Servizio Idrico Integrato, non si dimostri
impraticabile la realizzazione di reti separate. La rete dell’acqua non potabile può essere
alimentata anche con acque meteoriche, purché queste siano prelevate a valle del
trattamento delle acque di prima pioggia.
2. Ogni nuova unità abitativa dovrà essere dotata di contatore individuale per la misura dei
consumi idrici e, se ricadente in un’area servita – o che si prevede di servire - dalla rete
dell’acqua non potabile, di impianti per l’uso di acque non potabili per gli usi compatibili.
3. I richiedenti concessione edilizia che adottino tecnologie atte a favorire il risparmio idrico e
il riutilizzo delle acque meteoriche o di scarico possono stipulare accordi di programma con
l’Amministrazione comunale volte ad ottenere una riduzione degli oneri di urbanizzazione.
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Relazione 1.2M - Provincia di Bergamo