Anno XXXIII
N. 6
Dicembre 2012
Euro 2,00
Nell’Odissea di Omero
la più antica testimonianza dei
muri a secco o “parracine”
Aggiornamento
della flora d’Ischia
Quando l’isola
fa ritrovare se stessi
L’arte del silenzio
Casamicciola, Natale 1934
Leggere il Presepe
Ex Libris
Rassegna Libri
Rassegna Stampa
Il 9 novembre 1958 il primo getto d’acqua
zampillò dall’acquedotto sottomarino
Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi
Dir. responsabile Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia
Anno XXXIII - N. 6 Dicembre 2012
Euro 2,00
Periodico di ricerche e di temi turistici,
culturali, politici e sportivi
Editore e Direttore responsabile : Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia
Via IV novembre 25 - 80076 Lacco Ameno (NA)
Registrazione Tribunale di Napoli n. 2907 del 16.02.1980
Iscritto al Registro degli Operatori di Comunicazione n. 8661.
Stampa : Press Up - Ladispoli (Roma)
Sommario
3 Motivi
5 Aggiornamento della flora dell’Ischia
8 Nell’Odissea di Omero
Testimonianza dei muri a secco “parracine”
10 Diplomati nautici 1962
11 Quando l’isola fa ritrovare noi stessi
12 L’arte del silenzio
14 Cinema
L’intervallo di Leonardo Di Costanzo
15 Rassegna Stampa
- Il primo getto d’acqua - Il Mattino 10.11.1958
- Ischia - La Lettura luglio 1929
19 I Luoghi del Cuore
20 Ex Libris
25 Antonio Di Maio “Nduniuccio ‘u russ”
27 Casamicciola - Natale 1934
29 Leggere il presepe
32 Miti Storia e Archeologia dei Campi Flegrei
36 Recital dei pianisti E. Lauro e A. Patalano
37 Fonti archivistiche (Barano)
42 Rassegna Mostre
44 Giardini La Mortella
45 Rassegna Libri
50 Tappa del Giro d’Italia (5 maggio 2013)
I Luoghi del Cuore
I Luoghi del Cuore è il censimento nazionale
promosso dal FAI in collaborazione con Intesa
Sanpaolo, che chiede ai cittadini di indicare i luoghi che sentono particolarmente cari e importanti
e che vorrebbero fossero ricordati e conservati intatti per le generazioni future. L’appello, con scadenza prorogata al 30 novembre 2012, è volto alla
difesa di tesori piccoli e grandi, più o meno noti,
che occupano un posto speciale nella vita di chi li
ha a cuore.
Il progetto tende a coinvolgere concretamente
tutta la popolazione, di qualsiasi età e nazionalità,
e di contribuire alla sensibilizzazione sul valore
del nostro patrimonio artistico, monumentale e
naturalistico.
Quello attuale è la sesta edizione con i primi
lanci nel 2003 e nel 2004; successivamente sono
stati introdotti censimenti a cadenza biennale con
un tema diverso per ogni edizione. Il terzo censimento del 2006 fu dedicato ai Luoghi di Natura,
nel 2008 si chiese di cancellare ciò che deturpa i
luoghi più amati dagli italiani. Nel 2010 il FAI, a
150 anni dall’unità d’Italia realizzata da Garibaldi,
chiese agli italiani di votare l’Italia del loro cuore.
Nel 2012 il tema è i Luoghi del Cuore con l’obiettivo di rendere potenzialmente internazionale l’iniziativa chiedendo a tutto il Mondo di partecipare
e di segnalare il proprio Luogo italiano del Cuore.
(continua a pagina 19)
Foto copertina (I)
In alto: Alle falde del monte Epomeo - Ercole Gigante (Napoli
1815-1860).
In basso: Villaggio ischitano - Teodoro Duclere (1816-1869)
Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista La collaborazione ospitata s’intende offerta gratuitamente
- Manoscritti, fotografie ed altro (anche se non pubblicati),
libri e giornali non si restituiscono - La Direzione ha facoltà di condensare, secondo le esigenze di impaginazione e
di spazio e senza alterarne la sostanza, gli scritti a disposizione.
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MOTIVI
Il civismo diventa sempre più
raro. Ciascuno di noi, se si prefigge di osservare attentamente la realtà circostante, collegandola a certi
comportamenti ormai in voga, può
farsi senz’altro la convinzione che
il senso civico viene meno sempre
più. Si affermano come normali atteggiamenti poco rispettosi verso gli
elementi esterni e nei confronti del
prossimo. Qualcuno parla in proposito d’inciviltà spicciola.
«Alla base di tutto - scrisse gà Sergio Saviane in un articolo apparso su
«L’Espresso» del 23 gennaio 1972 c’è un inespresso assioma: gli altri
non esistono. In fatto di comportamento civile, l’italiano ha due personalità: una per casa sua e una per
l’esterno, cioè per gli altri. La persona meticolosa che nel suo soggiorno
si comporta civilmente, appena si
trova in casa altrui o in ufficio o nei
locali pubblici, diventa un invasore.
Butta cenere e cicche dappertutto,
lascia accese le luci, ruba oggetti
senza valore, diventa cleptomane».
Un aspetto del fenomeno che andiamo illustrando è il personale e
poco corretto uso del territorio. Il
cittadino che si sforza di tenere pulito il proprio marciapiede compie un
gesto meritorio ma, quando ne deposita poi i rifiuti davanti alle porte
altrui, può apprezzarsi ancora il precedente gesto? Si dice in proposito
che in alcuni comuni si dovrebbe
praticare la raccolta porta a porta ed
allora che fa il cittadino “educato e
responsabile (!)”? Privilegia le porte
altrui consegnandovi le proprie cose
ed anche a tutte le ore della giornata,
compresi ingombranti e pericolosi.
Né d’altra parte le autorità amministrative, emanate le proprie ordinanze, si preoccupano di difendere e
proteggere coloro che devono subire
determinati abusi e vedere cumuli
di rifiuti lasciati senza alcun rispetto
dinanzi alle proprie case.
A volte l’allegria, la gioia, lo slancio festivo, sono spesso occasioni
Raffaele Castagna
di sfogo incontrollato ed inconscio
sulle «cose» comuni, con l’esplicito
scopo di distruggere o di rovinare, e
nell’intento di «lasciare il segno».
L’elenco delle citazioni potrebbe
senz’altro continuare ed essere incrementato dal contributo di ciascun
lettore. In auto, in moto ci si sente
padroni della strada, si ha fretta, si
sorpassa senza criterio e si mette
continuamente a repentaglio la vita
non solo propria, ma anche degli
altri, come testimonia la frequenza
sulle nostre strade di incidenti autobilistici..
E qui il discorso potrebbe essere allargato alla speculazione edilizia che
ha caratterizzato un buon periodo di
anni, alla scarsa manutenzione delle strade, all’abbandono in cui sono
lasciati alcuni beni collettivi. In questi atteggiamenti negativi sono da
coinvolgere le stesse amministrazioni degli enti preposti ai settori della vita del paese. Assistiamo così al
fatto che determinati interventi sul
territorio devono essere abbondantemente proposti e richiesti da stampa
e associazioni, prima che chi di dovere ne prenda conoscenza ed intervenga convenientemente. Ben si può
pensare che gli eletti alle funzioni
pubbliche, pur abituati a far visitea
a volte in tutte le case per la ricerca
di voti, successivamente dimentichino di percorrere le medesime strade
per rendersi conto di bisogni ed esigenze che richiede il territorio. Ma
restando in un campo di maggiore e
facile evidenza quotidiana, non può
non colpire il modo di tappezzare
strade e centri urbani con ogni forma di pubblicità, a discapito anche
di esigenze paesaggistiche; la circostanza raggiunge notevole rilevanza in periodo elettorale, con la
partecipazione, diretta o indiretta,
di chi aspira ad essere eletto per migliorare, come si dice, il paese e nonostante l’esistenza di una specifica
normativa e le ingenti spese per creare gli appositi spazi pubblicitari. Ne
soffre conseguenze negative 1’estetica cittadina.
Tutto ciò dovrebbe invitare alla
meditazione ciascuno di noi, al fine
di correggere determinate inclinazioni, anche perché ci troviamo in
un’isola che lega le sue fortune economiche al turismo: ospitalità significa soprattuto offrire ambiente pulito, ben predisposto ed organizzato.
Non c’è posto né spazio per la cultura, anche se a volte si è parlato (e si
parla) di voler incrementare questa
voce con finalità turistiche, considerato che sono in fase declinante altre voci che hanno fatto da supporto
allo sviluppo dell’isola d’Ischia. E,
a ben valutare le prospettive, non
si può negare che le premesse (e la
capacità) di dare slancio al settore
culturale sono notevoli, presenti a
vari livelli, ma forse sempre latenti
in un contesto generale in cui hanno
avuto prevalenza ed importanza altri fattori. Basti pensare allo scarso
sviluppo dell’edilizia scolastica, pur
in un’isola dove si è costruito liberamente e facilmente; si pensi che
a volte, quando gli amministratori
comunali avevano necessità di spazi
per le proprie attività, non trovarono
di meglio che eliminare biblioteche
che erano in fase di consolidamento
come frequentazione e consistenza
di volumi (Lacco Ameno aveva sede
nel complesso del comune; Forio
aveva una sede in fitto); si consideri
che non molti erano favorevoli a destinare a museo archeologico Villa
Arbusto, preferendo altri interventi
a favore del campo alberghiero, ed
ancora oggi va balenando l’idea di
spostare la sede museale e fare altro… (forse vendere per esigenze di
bilancio comunale?) del complesso
settecentesco, alla faccia di anni di
impegno e forte volontà per la pubblica acquisizione e per sottrarlo a
diversa destinazione. Vicende che
sono descritte dallo stesso prof. Vincenzo Mennella, sindaco di Lacco
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
3
Ameno, nel suo libro Lacco Ameno, gli anni ’40 e ’50 nel contesto
politico-amministrativo dell’isola
d’Ischia, pubblicato postumo nel
1998 ed in cui l’autore richiama per
notizie più diffuse la raccolta fatta
nel numero di febbraio 1988 de La
Rassegna d’Ischia. Stupisce peraltro
il fatto che in qualche caso si parli
in proposito di donazione degli eredi
Rizzoli, quando Regione e Provincia
sono intervenuti fortemente e finanziamente per l’acquisto del cespite.
Dicevamo che le risorse offerte
dall’isola d’Ischia sono molte e di
vario genere nel campo storico, artistico, letterario, solo che si voglia
incominciare a riconoscerne e valorizzare gli aspetti che la vasta letteratura, locale e non, suggerisce e
presenta in modo concreto.
«L’isola d’Ischia è universalmente
nota – scriveva l’avv. Umberto Di
Meglio nella presentazione della
seconda edizione della Bibliografia
isclana di Serra (chi la conosce?) –
per la bellezza dei suoi paesaggi, per
lo splendore delle sue marine, per la
ricchezza dei suoi boschi e delle sue
eccezionali risorse idrotermali; lo è
per la mitezza del clima, per i fenomeni di origine vulcanica ed anche
per i suoi vini. Lo è, viceversa, molto meno per le sue glorie antiche e
recenti e per la ricca fioritura di studi, di scritti e di produzione artistica
cui essa ha dato luogo». Molti studi
sono del tutto ignoti e quindi mai si
opera finanziariamente per incrementare il patrimonio di biblioteche
da far sorgere in ciascun Comune.
Rendiamo Ischia “universalmente
(ma innanzituto localmente) nota”,
anche per questi ultimi significativi
aspetti.
Si registra negli ultimi tempi un
risveglio
culturale-pubblicistico
che è soprattutto espressione diretta isolana. Ischia, le sue vicende del
passato e del presente, le sue luci e
le sue ombre, i suoi aspetti più noti
e meno noti sono trattati in una interpretazione naturale (forse anche
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La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
con spirito meno lucrativo) e portati
verso una più ampia divulgazione.
Se da una parte il patrimonio storico, artistico, letterario, ambientale
merita di essere giustamente valutato, dall’altra tutti devono avere la
possibilità di far sentire la propria
partecipazione nella problematica
che investe l’isola, nel tentativo di
diradare quel clima di silenzio e di
disinteresse che ha avvolto l’attività
e i campi decisionali dell’intero territorio. Si evidenzia peraltro anche
un altro dato: c’è a volte scarsa inclinazione verso le voci «isolane»;
riscontro e considerazione più sensibili riscuotono invece le voci provenienti dall’esterno.
Nella realtà, non certo piacevole
per tutti, delle vicende e delle difficoltà che caratterizzano la vita
moderna, in cui si avverte prepotentemente la mancanza di lavoro e di
prospettive future, per il mondo giovanile soprattutto, si va cancellando
anche una parte della storia con trasformazioni e mutamenti istituzionali un po’ duri da accettare in alcuni
ambiti di concezioni maturate negli
anni. Così meno province, meno tribunali, meno ospedali e posti letto,
meno… e via di seguito; tutto da
ridurre e da allinearsi piuttosto in
linea sottrattiva. Voce che poi per
le famiglie si concretizza anche in
minori consumi di beni sia necessari
sia voluttuari. A suggestiva consolazione si lascia balenare a volte la
speranza aleatoria di una ripresa.
Un aspetto che pure suona in contrato con i tempi è che oggi, pur di
fronte ad una popolazione che aumenta, anche per immigrazione, si
diminuiscono i servizi e lo stato,
invece di avvicinarsi alla gente, si
allontana sempre più e tende a concentrare le sue risposte di fronte a
domande ed esigenze che sono in
crescita per i cittadini, costretti inoltre a spostamenti e maggiori spese
per un servizio che non è più presente in loco. D’altra parte c’è da
dire che, nonostante tutto e i nume-
rosi problemi incombenti, sull’isola
sembra si vogliano annullare precedenti posizioni date dalla popolazione e volgere l’attenzione immediata
ancora all’unificazione amministrativa dei comuni, proponendo a breve
distanza un nuovo referendum con
nuove regole maggiormente favorevoli (forse) questa volta a finalità,
già in passato non approvate.
Se si volesse proporre una serie
di priorità per le problematiche che
stanno modificando la realtà isolana,
non sarebbe difficile, ma non si proporrebbe nulla di nuovo, in quanto
tutto è palese e presente nella gente
che ne vive le conseguenze. Cresciuta (per spinta propria ed originaria,
oltre che per positiva imprenditoria),
l’isola si avvia a tornare piccola in
molte strutture e in molteplici servizi, che pure dovrebbero far fronte
ad esigenze di una popolazione notevolmente aumentata, soprattutto
nel periodo turistico: ospedale (il cui
ampliamento, già programmato, tarda a realizzarsi, anzi se ne discutono
certe riduzioni, e tutta l’attività sanitaria, le scuole, i trasporti marittimi
e terrestri (fulcro essenziale del turismo), attività di gestione del territorio per certi servizi ed esigenze della
popolazione, per cui tutto si vuole
ricondurre al continente. Come ci si
impegna per accorpare e unificare
in loco alcuni territori, in altra sede
si lavora per ulteriormente ridurre
(proporzionatamente) alcune entità
e concentrare molti interventi, allontanando i soggetti dalle istituzioni e
dagli enti istituzionali. Ci si chiede a
volte, con scarse risultanze positive,
che cosa sia stato fatto da parte di
politici e amministratori per lavorare
insieme sul piano dei servizi da offrire ai cittadini; sono sempre prevalenti posizioni diverse, mai operanti
unitariamente per rafforzare, piuttosto che far disperdere, quelle circostanze che in passato hanno avviato
lo sviluppo dell’isola, sul piano sia
generale che soprattutto turistico.
*
Aggiornamento della flora dell’isola d’Ischia
di M. Ricciardi, R. Nazzaro, G. Caputo, A. Di Natale, G. Vallariello
Intorno alla metà del secolo XIX, in un periodo parti-
isole flegree, cioè Procida e Vivara (Caputo, 1964-65),
alle Isole Ponziane (Anzalone, 1953-54; Anzalone &
Caputo, 1974-75) ed a Capri (Ricciardi, 1996).
Nel primo decennio del 2000 alcuni studiosi
(Ricciardi, Nazzaro, Caputo, Di Natale, Vallariello)
ritennero di non trascurabile interesse rivolgere
l’attenzione alla flora dell’isola d’Ischia, anche al
fine di portare a termine l’aggiornamento delle conoscenze floristiche per le isole del Golfo di Napoli,
«sempre nell’ambito delle iniziative dirette ad una
più completa e approfondita esplorazione biologica degli ambienti microinsulari». L’aggiornamento
si può facilmente leggere nel sito qui riportato: http://www.herbariumporticense.unina.it/it/doc/
pdf/Flora/Ischia-flora.pdf -, da cui riportiamo le
seguenti note.
colarmente felice per gli studi floristici, il popolamento
vegetale di Ischia fu accuratamente studiato e reso noto
da Giovanni Gussone1, la cui opera e il più recente
ed ampio contributo di Béguinot2, nel quale le notizie sull’isola d’Ischia sono inserite nell’ambito della
monografia su flora e vegetazione delle isole ponziane
e napoletane, restavano, per Ischia, le sole ma ormai
antiche opere di notevole respiro a disposizione degli
studiosi. Quest’isola era in effetti l’unica, tra quelle
che emergono al largo delle coste della Campania e
del Lazio, ad essere priva di un aggiornamento delle
conoscenze floristiche. Si hanno invece studi dedicati
agli isolotti Li Galli (Caputo, 1961), alle minori delle
1 Giovanni Gussone, Enumeratio plantarum vascularium in
insula Inarime sponte provenientium vel oeconomico usu passim
cultarum, 1855, pp. XIX-428.
2 Augusto Béguinot, La vegetazione delle isole Ponziane e
Napoletane: studio biografico e floristico, Roma, 1905.
L’esplorazione floristica di Ischia
Come per gran parte delle aree costiere e insulari del Golfo
di Napoli, anche Ischia è stata in passato più volte percorsa
La flora dell’isola d’Ischia - di M. Ricciardi , R. Nazzaro
a
, G. Caputo b, A. Di Natale a, G. Vallariello c
b
La flora delll’isola di Ischia (Baia di Napoli) - Un sondaggio della flora dell’isola di Ischia, nel golfo di Napoli, Italia meridionale, è stato effettuato attraverso la ricerca sul campo e in erbari e nella letteratura. La flora trovata comprende 668 unità,
di cui 150 nuove per Ischia. Ma 333 unità registrate in precedenza non sono state trovate. Questa perdita di specie della flora
probabilmente riflette l’interento esteso dell’uomo fin dai tempi antichi. Sull’isola sopravvivono ancora alcune unità rare e
specie interessanti da un punto di vista fitogeografico, come Limonium inarimense (Guss.) Pignatti, Woodwardia radicans
(L.) Sm. e Cyperus polystachyos Rottb., mentre Bassia saxicola (Guss.) A. J. Scott non è stata trovata nei suoi luoghi classici
sulle scogliere marittime. Analisi della flora in termini di forme di vita e aspetti fitocorologicali mostrano che la flora di Ischia
è dominata da specie terofite (42%) e mediterranee (43,6%). Un minor numero di specie endemiche italiane (2,4%) sono
state trovate rispetto alle altre aree del Golfo di Napoli. Questo è probabilmente legato alla giovane età dei terreni vulcanici
dell’isola, mentre l’elevato numero di specie diffuse (30,7%) può anche essere probabilmente correlato al disturbo dello
sfruttamento umano. Specie eurasiatiche e orientali sono meno numerose che nelle altre zone della fascia costiera del Golfo
di Napoli. Rispetto alla seconda metà del secolo XIX, la flora di Ischia presenta una diminuzione di specie cosmopolite e
diffuse, probabilmente a causa del diminuito sfruttamento agricolo dell’isola1.
1 The flora of the lsland of Ischia (Bay of Naples) — A survey of the flora of the island of Ischia, in the Bay of Naples, southern Italy
was carried out through field research and research in herbaria and in the literature. The flora was found to comprise 668 taxa, including
150 new taxa for Ischia. But 333 taxa that had been recorded previously were not found. This loss of species from the flora probably
reflects the extensive disturbance by humans since ancient times.
On the island still survive some rare taxa and interesting species under a phytogeographic point of view such as Limonium inarimense
(Guss.) Pignatti, Woodwardia radicans (L.) Sm. and Cyperus polystachyos Rottb. while Bassia saxicola (Guss.) A. J. Scott could not be
found in its locus classicus on the maritime cliffs. Analyses of the flora in terms of life forms and phytochorological spectra show that
the flora of Ischia is dominated by Therophytes (42%) and Mediterranean species (43,6%). A lower number of Italian endemics (2.4%)
were found than in the other areas of the Bay of Naples. This is probably related to the young age of the volcanic soils of the island
while the high number of widespread species (30,7%) may also be probably related to disturbance from human exploitation. Eurasian
and eastern species are less numerous than in the other areas of the coastal belt of the Bay of Naples. Compared to the second half of
XIX century, the flora of Ischia shows a decrease of cosmopolitan and widespread species, probably due to the decrease of agricultural
exploitation of the island.
Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e Patologia Vegetale, Università degli Studi di Napoli Federico IIDipartimento di Biologia Vegetale Università degli Studi di Napoli Federico II.
c
Orto Botanico di Napoli Università degli Studi di Napoli Federico II.
a
b
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
5
dai floristi della scuola napoletana che le hanno dedicato studi approfonditi e dettagliati. Puntuali riferimenti alle piante
dell’isola ricorrono in tutte le maggiori opere di Michele
Tenore (Tenore, 1811-38; 1823; 1831; 1833; 1835; 1842)
del quale va anche ricordata una breve nota dedicata specificamente alla flora di Ischia (Tenore, 1858).
Opera fondamentale di riferimento, e per molti versi tuttora attuale, sul popolamento floristico ischitano, resta il prezioso e analitico contributo che Giovanni Gussone (1855)
elaborò sulle piante dell’isola dove operò per conto della
Reale Casa di Borbone negli anni compresi tra il 1830 e il
1854.
Numerosi sono anche i riferimenti e le note critiche relative a piante di quest’area insulare che Béguinot (1905) inserì
nella pregevole monografia da lui dedicata alla flora delle
isole ponziane e napoletane.
Un ulteriore, anche se frammentario, contributo alla conoscenza della flora dell’isola è rappresentato poi da alcune
brevi note, frutto di visite sporadiche da parte di botanici interessati al suo popolamento vegetale e, più spesso, al ritrovamento e allo studio di alcune entità rare presenti sull’isola
(Bollì, 1865; Matteucci, 1891; Martelli & Tanfani, 1892;
Pampanini, 1911; Merola, 1957; Sarfatti, 1957; Agostini,
1959; Caputo & De Luca, 1968-69).
Al fine di chiarire i dubbi su alcune indicazioni di piante
per l’isola, si è fatto ricorso a indagini d’erbario e soprattutto a confronti con gli exsiccata di provenienza ischitana
dell’Erbario Generale (NAP) e dei materiali raccolti sull’isola da Béguinot (RO). Questi controlli hanno consentito
non solo di emendare diverse citazioni rivelatesi erronee,
ma di confermare che, in passato, non poche piante, presumibilmente oggi scomparse, erano effettivamente presenti
sull’isola.
Nell’elenco, le entità raccolte od osservate su Ischia
sono in neretto e un asterisco (*) è stato anteposto a quelle risultate nuove per l’isola. In corsivo sono invece le
entità segnalate in passato da altri autori e che non sono
state da noi rinvenute.
Dall’elenco floristico segnaliamo:
Woodwardia radicans (L.) Sm.
Forre e valloni umidi.
Segnalaz. preced.: Ten., 1831; Guss., 1855; Mart.&Tanf.,
1892; Sarf., 1957.
L’ultima segnalazione di questo relitto terziario nella stazione più settentrionale del suo areale italiano è dovuta a
Caputo & De Luca (1968-69) che ne analizzano il significato fitogeografico e l’ecologia. La specie è stata da noi ritrovata in un profondo vallone sui versanti sud-occidentali del
M. Epomeo. In questa stazione sono presenti una quarantina
di esemplari impiantati sulle pareti verticali dove, purtroppo,
l’attecchimento di nuovi individui è compromesso dalla erosione superficiale e dal conseguente smottamento e trasporto
a valle del substrato da parte delle acque piovane.
Bassia saxicola (Guss.) A. J. Scott (Kochia saxicola Guss.)
Guss., 1855, sub Kochia s.; Matt., 1891, sub Kokia (sic!) s.
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La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
Va purtroppo confermata l’estinzione di questa rarissima
specie dal locus classicus degli Scogli di S.Anna presso
Ischia Ponte, dove Gussone (1855) raccolse i materiali sui
quali la descrisse precisando come, già a quel tempo, la specie fosse rara e localizzata «.. ne’ scogli di S. Anna, e propriamente nel pendio orientale di uno solo di essi». Abbiamo
accuratamente esplorato questi piccoli scogli senza trovare
traccia di Bassia saxicola. Ricordiamo come la specie sia
stata di recente ritrovata da Ricciardi (1996) su Capri da
dove era stata ritenuta ugualmente scomparsa da Guadagno
(1931). Come riportato dallo stesso Ricciardi (l. c), attualmente Bassia saxicola sopravviverebbe, rarissima, anche
sull’isolotto di Strombolicchio nelle Isole Eolie.
Silene Giraldii Guss.
Non abbiamo potuto ritrovare questa entità su Ischia dove
Gussone (1855) raccolse i materiali sui quali istituì la specie. S. giraldii è da ritenersi senz’altro specie rara in quanto
essa è stata segnalata, oltre che su Ischia, solo nella Sardegna
Settentrionale presso il fiume Liscia e sul Vesuvio (Pigna
1982). L’area vesuviana è l’unica località nella quale la sua
presenza è stata confermata abbastanza di recente (Ricciardi
et al., 1986). Inattendibile invece è da ritenere, secondo
Ricciardi (1996), la segnalazione, dovuta a Pasquali (1869),
di questa specie per Capri.
Silene italica (L.) Pers. subsp. italica
Boscaglie e siepi. Barano: Fondo Ferraro, Casa Migliaccio,
strada da Fontana per M. Epomeo, Buceto, ecc.
Segnalaz. preced.: Guss. 1855.
Silene latifolia Poiret subsp. alba (Miller) Greuter et Burdet
(Silene alba (Miller) E. H. L. Krause subsp. divaricata
(Reichenb.) Walters).
Ambienti boschivi e macchie. Barano: Fondo Ferraro, Punta
Caruso, Fontana: Rio, ecc.
Segnalaz. preced.: Béguinot, 1905, sub Lychnis alba.
La citazione di Silene dioica dovuta a Gussone (1855, sub
Lychnis d.) va qui riferita. Descrivendo la specie infatti
Gussone (l. c.) indica flores candidi che corrispondono per
il colore a quelli di S. latifolia e non a quelli della S. dioica
che sono rosei. D’altronde, i controlli d’erbario (NAP!) ci
hanno consentito di accertare come numerosi saggi di varia
provenienza attribuiti da questo autore a S. dioica siano in
realtà da identificare con S. latifolia come confermano anche
le revisioni di Grande di tali campioni.
* Carpobrotus edulis (L.) Br.var. edulis.
Coltivato per ornamento e spesso inselvatichito. Tra i
Giardini Poseidon e Forio.
Da riferire a questa specie Mesembryanthemum acinaformis
che Bolle (1865) cita per Villa Bagni precisando che si tratta
di pianta a fiori gialli.
* Carpobrotus edulis (L.) N. E. Br. var. rubescens Druce.
Coltivato e talora subspontaneo lungo la costa. Promontorio
di Sant’Angelo, S. Montano, tra Pietre Rosse e Forio…
Limonium inarimense (Guss.) Pignatti.
Scogli e rupi marittime. Punta Caruso, Scogli di S. Anna:
Scoglio “I Tre Pizzi”.
Segnalaz. prcced.: Guss., 1855, sub Statice i.; Sarf., 1957,
sub Statice i.
È questa una delle tre specie di Limonium endemiche del
Golfo di Napoli; essa è esclusiva dell’isola d’Ischia dove è
tuttora presente con popolazioni ben costituite sulle rupi di
tutta la fascia costiera.
Limonium vulgare Miller s. 1.
Guss., 1855, sub Statice limonium e sub S. limonium var.
macroclada.
Cakile maritima Scop. s. 1.
Spiagge e arenili. S. Angelo.
Segnalaz. preced.: Guss., 1855.
Cakile maritima è stata da noi ritrovata esclusivamente alla
fine dell’inverno, limitatamente alla località indicata e solo
in un numero esiguo di individui. Non ci è stato possibile
stabilire la sottospecie non avendo più ritrovato, nei successivi sopralluoghi, esemplan fruttificati in quanto la spiaggia
di S. Angelo era stata sottoposta a radicali lavori di ripulitura
per consentirne l’uso balneare.
Vicia pseudocracca Bertol.
Incolti aridi e siepi della fascia basale. Punta Caruso, M.
Vico, Barano: Fondo Ferraro.
Segnalaz. preced.: Guss., 1855.
Kerguélen (1987) ritiene che V. pseudocracca Bertol. sia da
sinonimizzare con V. villosa Roth subsp. ambigua (Guss.)
Kerguélen. In proposito, riprendendo quanto ipotizzato da
Ricciardi (1996), riteniamo che tale inquadramento non sia
proponibile. Abbiamo infatti confrontato gli exsiccata originali di V. pseudocracca dell’erbario Bertoloni (BOLO!) con
quelli di Gussone (NAP!) che questo autore, nei cartellini
autografi, ascrive a V. ambigua. Dall’esame di questi saggi
sono emerse differenze significative soprattutto nelle dimensioni delle foglioline e dei fiori. Nei campioni di Bertoloni
abbiamo riscontrato fiori lunghi da 1,1 a 1,6 mm e foglioline
larghe da 1 a 3 mm e lunghe da 5 a 15 (in un solo caso 20)
mm. Nei campioni di Gussone, invece, le misure dei fiori
andavano da 1,9 a 2 mm e quelle delle foglie da 5 a 8 mm per
la larghezza e da 11 a 20 per la lunghezza. Questo consente
di ritenere ben distinte queste due entità. Quanto al rango da
attribuire a ciascuna di esse, siamo del parere che esso potrà
essere stabilito solo dopo più accurate indagini tenendo conto del notevole polimorfismo che caratterizza il complesso
di V. villosa Roth.
Rosa canina L. var. tomentella (Léman) Baker.
Boscaglie rade e siepi. M. Epomeo: tra il Grotto di Mezzavia
e la vetta.
Segnalaz. preced.: Guss., 1855, sub R. c., sub R. c. var. vulgaris e sub R. c. var. collina.
Questa entità è l’unica del ciclo di Rosa canina da noi ritrovata su Ischia. Essa è molto rara sull’isola e l’abbiamo raccolta esclusivamente sotto la vetta del M. Epomeo. In merito a Rosa ischiana descritta da Crépin (1972) per l’isola,
questa appare entità di dubbio valore tassonomico. Neanche
l’esame dei saggi ascritti a tale entità raccolti su Ischia e
conservati nell’Erbario Gussone (NAP!) ha permesso un
soddisfacente chiarimento in merito. Infatti, questi campioni
presentano caratteri estremamente variabili e intermedi tra
R. tomentella e R. rubiginosa, così come annotato anche da
Burnat sui cartellini di tali exsiccata da lui revisionati.
Ipomoea imperati (Vahl) Grisebach
Guss., 1855, sub Batatas sinuata, Ten., 1858, sub
Convolvolus i.; Matt., 1891, sub Convolvolus i.; Mart. &
Tanf., 1892, sub I. stolonifera.
Questa specie, diffusa in molte regioni tropicali e subtropicali, aveva nell’Isola d’Ischia e sulla spiaggia di Coroglio
presso Napoli le uniche stazioni dell’Europa continentale.
L’ultima citazione per i dintorni di Napoli risale a Cirillo
(1788, sub Convolvulus stoloniferus), mentre su Ischia ci è
stato possibile osservarla sulla spiaggia di S. Montano ancora intorno al 1970. La successiva edificazione in questa
località di un locale pubblico ha determinato la definitiva
scomparsa di questa entità dall’Europa continentale.
Centaurea cineraria L. subsp. Cineraria.
Stazioni rupestri costiere. Scogli di S. Anna: Scoglio “I Tre
Pizzi”, Ischia Ponte: via Vecchia Cartaromana.
Segnalaz. preccd.: Ten., 1823, sub C. c. e sub C. cinerea;
Guss., 1855, s. l.
L’unica popolazione presente sull’isola è composta da un
numero ridotto di esemplari. Ciò ha comportato alcune difficoltà nell’attribuzione di questi individui ad una delle sottospecie di C. cineraria così come vengono intese da Cela
Renzoni & Viegi (1982). Tuttavia abbiamo ascritto queste
piante di Ischia alla subsp. cineraria in quanto, sebbene nella maggioranza degli individui prevalgano i caratteri fogliari di tale sottospecie, non mancano esemplari nei quali tali
caratteri vertono verso quelli della subsp. circae (Sommier)
Cela Renzoni et Viegi.
Arum italicum Miller subsp. Italicum.
Siepi e boschi di tutta l’isola.
Segnalaz. preced.: Guss., 1855, sub A. i. e sub A. i. var. b.
La varietà b viene descritta da Gussone (1855): spatha non
concolore, sed rubro-punctata-maculata. Non abbiamo,
però, ritrovato esemplari che presentassero tali caratteri né
nelle località indicate per Ischia da Gussone (l. c.) né nei
saggi d’erbario (NAP!) annotati con tale nome dallo stesso Gussone. Non siamo, perciò, in condizione di esprimere
alcun giudizio sull’eventuale valore tassonomico di forme
che potrebbero rappresentare delle semplici varianti nel polimorfismo di A. italicum.
*Genista Gasparrini (Guss.)
Macchie e siepi. Lacco Ameno, San Montano
L’attribuzione a questa specie dei campioni raccolti ad Ischia
è stata confermata anche da Valsecchi (in verbis).Sarebbe
quindi questo il primo rinveninento di G. gasparrini, al di
fuori della Sicilia dove finora è stata ritrovata solo su alcuni
colli nei dintorni di Palermo (Valsecchi, 1993). La presenza
di questa entità in una stazione così disgiunta dal suo areale siciliano lascia solo il sospetto che essa, come Cytisus
aeolicus, che essa possa essere stata introdotta da Gussone
sull’isola.
*
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
7
Nell’Odissea di Omero
La più antica testimonianza
dei muri a secco o “Parracine”
di Pasquale Balestriere
Mi sono imbattuto, leggendo il ventiquattresimo
libro dell’Odissea, nei versi in cui si dice che nella
casa di campagna di Laerte e nell’orto circostante
Ulisse, ivi recatosi per riabbracciare, dopo tanti
anni e tante imprese, il vecchio padre, non incontrò alcun servo, perché - come apprendiamo - tutti erano andati a raccogliere pietre per costruire
un muro alla vigna
... ἀλλ’ἄρα τοί γε
αἱμασιὰς λέξοντες ἀλωῆς ἔμμεναι ἕρκος
οἴχοντ’ …, (Od. XXIV, 223-25)
e il vecchio padrone li aveva addottrinati sulla via
da seguire per trovare il posto giusto. Nel podere Ulisse vede finalmente il padre che, solo e malvestito, zappa il terreno intorno ad un albero.
Sono, questi, versi importanti perché in essi è
ravvisabile con discreta limpidezza, come tenterò
di dimostrare, la prima testimonianza per quanto mi risulta, almeno sotto il profilo letterario,
dei muri a secco o “parracine” (come si dicono a
Ischia, giacché il termine non esiste nel dialetto
napoletano), di cui, nonostante il cemento trionfante, è ancora disseminata la nostra isola (e chissà quanti altri posti d’Italia e del mondo).
Preliminarmente va notato:
1) che la casa di campagna del re Laerte, con il
terreno circostante coltivato a vigneto e frutteto, si
trova lontano dalla città (νόσφι πόληος, Od. XXIV,
212), e quindi dalla reggia, e su un luogo collinoso
o, quanto meno, su un’altura, per la quale il vecchio arranca faticosamente
ἑρπύζοντ᾿ ἀνà γουνὸν ἀλωῆς οἰνοπέδοιο...
Od. I, 193 - trascinandosi sull’altura di terra spianata
coltivata a viti;
2) che tale altura è sostanzialmente piana, o magari disposta ad ampi terrazzi, visto che ἀλωή
significa innanzitutto aia, terra spianata; 3) che il
podere di Laerte, proprio per essere posizionato
su un rilievo, è esposto ai venti e alle intemperie.
Ma andiamo con ordine.
8
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
Per capire bene il passo che ci interessa, occorre
individuare e circoscrivere il significato di alcuni
termini: αἱμασιάς, da αἱμασιά, che significa siepe
di spini, recinto, materiale per recinto, maceria, riparo,
argine, muro di pietra, sassi per cinta (l’espressione αἱμασιὰς λέγειν viene normalmente tradotta
con raccogliere sassi per innalzare un muro di cinta);
ἀλωῆς, da ἀλωή, aia, terra spianata, campo, vigna,
orto, giardino, frutteto, fondo; e infine ἕρκος, che ha
il valore di recinto, chiusura, sbarramento, vallo, riparo, difesa, cinta, steccato, muro, siepe.
Rileggendo il passo, selezionando e combinando
accuratamente i significati, emerge in modo lampante il suo vero senso: Laerte aveva intenzione
di recintare il suo campo più che di contenerlo, o,
più verosimilmente, di completarne la recinzione
o ripararne qualche tratto franato; che il recinto
non era certo costituito da una siepe di spini o da
uno steccato, visto che i servi erano stati mandati
a cercar sassi, ma da un muro di pietre.
Né poteva essere diversamente nella “petrosa
Itaca” di foscoliana memoria. Innanzitutto perché
è nella mentalità del contadino (e Laerte era un
re-agricoltore) che ogni opera sia il più possibile
durevole e ciò, nel caso di cui si tratta, non poteva
avvenire con steccati di materiale facilmente deperibile; poi perché costruire un muro di pietre a
Itaca era la cosa più normale, vista la natura del
territorio. E infatti Omero definisce Itaca κραναή
(dura, petrosa, rocciosa, aspra, Iliad. III,201; Od. I. 247;
XV, 510; XVI, 124; XXI,346); τρηχεῖα (aspra, petrosa,
sassosa, selvaggia, Od. X, 417 e 463); παιπαλόεσσα
(dirupata, alpestre, rocciosa, Od. XI,480); ma anche
ἀμφίαλος (cinta dal mare, Od. I,386, 395; II, 293; XXI,
252); eὐδείελος (ben visibile, chiara distinta, esposta
al sole, aprica, Od. II,167; IX, 21; XIII, 325; XIV, 344;
XIX,132). Predomina, dunque, l’idea di un’isola
rocciosa, cosparsa di pietre e sassi, aspra, scomoda, scoscesa, con vie strette e del tutto inadatta,
per esempio, al cocchio e ai cavalli che Menelao (IV, 590 sgg.) voleva donare a Telemaco e che
il giovane, proprio per la natura della sua isola,
era stato costretto a rifiutare, sia pure con molta
cortesia.
Ma torniamo al muro di recinzione che Laerte
intendeva far costruire e che, oltre a delimitare la proprietà, doveva avere una duplice funzione
protettiva: riparare il campo dai
rigori invernali e dalle tempeste
di vario genere (soprattutto di
vento) e difenderlo dai ladri e
dagli animali, specie se questi ultimi erano riuniti in greggi, mandrie o branchi. E che si trattasse
di un muro a secco già lo lascia
supporre il fatto che nell’architettura micenea (e miceneo o acheo
è, come tutti sanno, il mondo
descritto da Omero) erano quasi
del tutto assenti i materiali coesivi e, se proprio si voleva usare
un collante (però molto approssimativo), si ricorreva a impasti
di una sorta di calce con sabbia
e ciottolini, se non, semplicemente, a qualche tipo di argilla o di
fango più o meno tenace. È, infatti, del V sec. a. C. l’invenzione
della malta da presa, un impasto
di calce e harena, pur se la calce, come risulta da ritrovamenti
archeologici, era conosciuta ed
usata, non si sa quanto propriamente, già dal 7000 a.C.
Quanto al muro della vigna di
Laerte, è altamente improbabile
che fosse sarcito con malta, sia
perché si trattava di un semplice
muro di campagna, e quindi di
elementare struttura, sia perché
si tendeva a costruire utilizzando materiali locali per ovvie ragioni, sia perché l’Itaca omerica
è isola piuttosto povera o, se si
vuole, molto meno ricca di città
come Micene, Pilo, Sparta, Atene, Tirinto. Quest’ultimo dato è
testimoniato dal fatto che a Troia
Ulisse, pur capitanando i guerrieri di Samo, Zacinto, Itaca e altre isolette, conduce solo 12 navi,
una vera miseria rispetto alle 100
di Agamennone (Micene, Corinto, ecc), alle 90 di Nestore (Pilo,
Arene, ecc), alle 80 di Idomeneo
e Merione (Creta), alle 60 di Menelao (Sparta, ecc.) e di Agape-
nore (Arcadia), alle 50 di Menestèo (Atene), di Achille (Ftia, Alo,
Ellade ecc.) e così via. Basta dire
che solo quattro (su quarantaquattro) condottieri avevano guidato a Troia meno navi di Ulisse.
E, per l’Omero dell’Iliade, Itaca,
oltre che κραναή, al massimo è
selvosa per il Nèrito che agita le
fronde (Νήριτον εἰνοσίφυλλον,
Iliad. II, 632; ma anche in Od. IX,
22), mai ricca. Ciò del resto è implicitamente testimoniato dal
grande stupore di Telemaco di
fronte all’estrema ricchezza di
bronzi, oro, elettro, argento, avorio da cui era abbellita la sala del
palazzo di Menelao nella quale
si tiene un banchetto; al punto
che il giovane itacese si chiede se
non sia simile alla corte di Zeus
(Od. IV, 71 sgg.). Tuttavia, nell’Odissea s’incontra l’espressione
δῆμος πίων (regione feconda o popolo ricco, XIX, 399) riferita a Itaca
o agli itacesi: ma si tratta di occorrenza rarissima e, per di più, di una di quelle “dizioni formulari”, come le chiama Carlo Del
Grande, che nulla aggiungono a
quanto già si sa e che appaiono,
talvolta, come autentiche enfatizzazioni, per cui perfino il porcaio Eumeo diventa “divino” e
“glorioso”: δῖ’ Εὔμαιε (XVI, 462;
XVII, 508; XXI, 234; XXII, 157) e δῖον
ὑφορβόν (glorioso porcaio, XXI, 80).
Per tutti questi motivi, il muro
che doveva essere costruito nel
podere di Laerte non poteva essere che a secco. E dunque una
“parracina”. Se ne incontrano tante sull’isola d’Ischia, soprattutto nelle zone interne, anche a
ridosso della strada statale; molte sono di contenimento, alcune
di recinzione e di protezione. Di
quest’ultimo tipo vi sono esempi significativi nel territorio del
Comune di Barano, in particolare sulla dorsale della costa Sparaìna, un luogo davvero esposto
a tutti i venti, eccetto - in parte
- quelli provenienti da nord, e
nella zona di Forìo.
Del resto l’etimologia della parola reca in sé l’idea del riparo,
della difesa, della protezione, sia
che si faccia derivare il termine
da παράκειμαι, giaccio accanto o
lungo o di costa, sia da περίκειμαι,
giaccio intorno, sia da παρά (con
idea di opposizione) e χεῖμα, ατος , contro la tempesta, il tempo
invernale.
La parracina antica anche nel
nome.
*
Particolare di muro a secco (parracina)
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
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Procida - La festa dei marittimi (capitani e macchinisti)
Medaglia d’oro
per i diplomati
nautici del 1962
Festa e medaglia d’oro di lunga
navigazione per i diplomati nautici
(capitani e macchinisti) del 1962
dell’Istituto Nautico F. Caracciolo di
Procida (in quegli anni frequentato
da centinaia di ragazzi dell’isola
d’Ischia). Due i momenti significativi
dell’evento: il 26 giugno 2012 si è
svolta la cerimonia per l’intitolazione
del piazzale dell’Istituto Nautico ai figli
insigniti di medaglia d’oro. «Questa
targa - ha spiegato l’Amrniraglio
Maurizio Scotto, a nome del comitato
organizzatore - vuole essere un
tributo, un doveroso riconoscimento
della Comunità procidana ai suoi figli,
che su tutti i mari hanno onorato la
patria e la nostra isola. L’intitolazione
- continua l’Ammiraglio - è stata
fortemente voluta per esaltare l’alta
professionalità, la dirittura morale, la
laboriosità e la rettitudine della gente
di mare di Procida». Erano presenti il
sen. Carlo Sarro, il Sindaco Vincenzo
Capezzuto, il Vice Presidente del
Consiglio Comunale Pasquale Sabia,
la Prof.ssa Maria Longobardo,
dirigente
dell’Istituto
Superiore
“F. Caracciolo - G. da Procida”
e le massime autorità cittadine e
dell’intera comunità.
La prestigiosa porcellana raffigurante al
centro l’Ammiraglio Caracciolo, cui è intitolato l’Istituto Nautico di Procida tra
un’immagine di Terra Murata di Procida e
il Castello Aragonese
10
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
Gruppo dei Capitani e Macchinisti del 1962, con alcuni docenti ed altri amici che hanno
condiviso con i festeggiati un tratto di vita scolastica. Davanti alla “nave - torta”, da sinistra:
Vito De Santis, Gennaro Aurelio, Luigi Migliaccio, Nino Calise, Maurizio Scotto Di Santolo,
Peppe Monti di Ischia, Nicola Scotto di Santolo; (dietro) tra i procidani Tommaso Barone,
Dino Scala, Mario Careri, Pasquale Lubrano, Antonio Assante, Adele Veneziani, Michele
Aurelio, Dino Lubrano, Anna Capodanno, Letizia Scotto di Fasano, Salvatore Esposito,
Antonio Ambrosino, Pasquale Sequino, Angelo Costagliola, Augusto Esposito, gli ischitani
Vito Elia, Alfredo Iezzi, Giuliano Spignese, Vincenzo Catuogno, Vincenzo Trani, Antonio
Napolano, G. Giuseppe Pilato, e i docenti Norbelli e Biglietto. Presenti in sala, non in
questa foto, Gennaro Parascandola, il prof. Vincenzo Scotto di Vettimo e altri amici invitati.
Don Michele Ambrosino ha
proceduto alla benedizione della
targa. Con i “Capitani e Macchinisti
del ‘62” schierati “fronte bandiera”
ha proceduto allo scoprimento il
prof Vincenzo Scotto, docente dei
ragazzi del ‘62. Principale artefice
ed organizzatore dell’evento l’Amm.
Maurizio Scotto, insieme con
Pasquale Lubrano, caporedattore del
periodico procidano, che hanno anche
consegnato un prezioso “crest” in
porcellana artistica della prestigiosa
“NRS Capodimonte” raffigurante
al centro l’Amm. Caracciolo in
riferimento
alla
denominazione
dell’Ist. Nautico tra le immagine di
Terra Murata di Procida e del Castello
Aragonese d’Ischia a ricordare le terre
d’origine dei diplomati.
È seguito un conviviale nei giardini
de “La Torre” tra scenografie di alberi
da frutta, fontane con zampilli di
spumante proveniente dall’Istria e
una torta di 25 kg, opera di un mastro
pasticciere di Perugia, a forma di nave
e con i colori sociali della “Carnival” in
onore di Angelo Salvemini, marittimo
che ha rappresentato i capitani del
‘62 ai massimi gradi della marineria
mondiale e impedito a partecipare
perché al comando di detta nave
nelle acque americane. La serata è
stata un’autentica festa dell’amicizia.
Apprezzato il catering e le specialità
culinarie a base di pesce preparate
da “La Grotta del Saraceno” sotto
la direzione di Salvatore Trapanese;
animatrice della serata la cantante
napoletana Marea.
Sussessivamente, il 5 ottobre 2012,
capitani e macchinisti sono stati
in visita a Napoli sulla più grande
nave della Società di navigazione
“Carnival”.
Particolare della nave Carnival Breeze
della società di navigazione Carnival
Nelle giornate di tempesta l’isola ritorna una terra
racchiusa d’ogni intorno dal mare, un luogo isolato
Quando l’isola fa ritrovare noi stessi
di Carmine Negro
Il sibilo del vento, il tintinnio dei vetri, lo scroscio dell’acqua di una
fredda serata autunnale porta la mente in luoghi una volta teneramente
familiari. Ora, che sono lontani nel tempo e sono rischiarati solo dalla debole luce del ricordo, riesco a mettere a fuoco alcune realtà che
non riuscivo a cogliere quando erano sommerse dalle inutili inezie del
quotidiano.
Il pensiero corre a Forio, ridente
luogo dell’isola d’Ischia. Riusciva
a conquistarmi nelle giornate limpide quando la superficie azzurra del
mare amplificava la luminosità e
accentuava i contorni della linea di
costa, rendendo netto il tratto delle
case sul promontorio. Riusciva ad
incantarmi con i caldi tramonti. Dallo spiazzo del Soccorso era possibile
ammirare Punta Imperatore da un
lato, Punta Caruso dall’altro, perdersi nel sole all’orizzonte che, mentre colorava il suo disco di un rosso
fuoco, lo ingrandiva prima di calarsi
nella superficie del mare e scomparire. In certi giorni qui si respirava
un’atmosfera magica: era possibile scorgere in lontananza l’isola di
Ventotene e mentre si sentivano il
rumore e il profumo del mare si poteva assistere all’incanto del Raggio
Verde, frutto della rifrazione della
luce solare da parte dell’atmosfera,
più evidente al tramonto, quando i
raggi solari radenti attraversano uno
strato d’aria più spesso. Riusciva a
rapirmi quello stretto intrigo di strade e stradine che si dipanavano per il
centro antico; nei giorni di tempesta
riecheggiava delle onde del mare e
del fischio del vento. Riuscivo ad
amare Forio soprattutto nelle giornate di maltempo quando le forze della
natura non consentivano il collegamento con la terra ferma e l’isola si
ritrovava ad essere se stessa. Al timore diffuso per la mancanza
di giornali, dei rifornimenti quotidiani, di quanti lavoravano sull’isola
provenienti dalla terraferma io ero
particolarmente impressionato ed
emozionato da questo sentirsi isolati, e quindi realmente isola, da questo silenzio che da esterno diventava
interno, da questo contatto così forte
con la natura che trascurava o rendeva superfluo ogni altro contatto. Ora
che vivo una realtà particolarmente
rumorosa, talvolta scomposta e assordante, mi domando cosa nascondesse quel desiderio di un contatto
più profondo con la natura, quel desiderio di isolamento, quella necessità di riflessione. Probabilmente un
desiderio di scoperta o riscoperta del
silenzio.
Un silenzio che sottolinea l’attesa, che sa aspettare senza rincorrere
pensieri e parole, sa dare spazio al
non ancora espresso. Un silenzio capace di valorizzare l’emozione prevalente, quella del momento. Un silenzio prezioso, da godere e assaporare, pieno di significati e contenuti
che sgorga dal profondo e che dice
molto di più di qualunque parola, di
qualunque discorso: un silenzio “autentico” reso possibile da un “vero”
discorso.
Restituta costruiva cestini di rafia vicino alla Chiesa del Soccorso.
Rimanevo incantato a seguirla nel
suo lavoro. I movimenti per quanto
ripetitivi avevano una loro dignitosa autonomia nella costruzione del
disegno, nell’intreccio dei fili che
mani sapienti sapevano dominare
con capacità ed esperienza, nel rispetto dei tempi. Un silenzio correlato alla lentezza, a un tempo vissuto
con calma, un valore quasi del tutto
assente nella società moderna, che
potrebbe condurci ad una maggiore
consapevolezza dell’azione, della
cura da mettere in ogni parola o in
ogni azione svolta nel quotidiano in
modo da evitare soprusi e inutili sovrapposizioni di energie che il movimento inevitabilmente produce.
Ma l’isola nei momenti di isolamento ci insegna a riconoscerla, ci
Veduta di Forio di Jacob Philipp Hackert (1737-1807), olio su tela, 1789 (Caserta, Palazzo
Reale). La veduta spazia dalle pendici dell’Epomeo fino alla baia, abbracciando un vasto
pianoro attraversato dalle mulattiere e puntellato di case contadine.
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
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aiuta ad imparare a convivere con
i ritmi che la natura ci impone per
necessità biologica, chiede che le
sovrapposizioni culturali della società non tracimino per puro consumismo, generando rumore molesto,
indesiderato e sovrabbondante. Ci
ricorda che il principio del silenzio
ci permetterà di concepire diversi
atteggiamenti a sostegno della Terra
e delle sue leggi affinché con Gandhi si possa dire «il silenzio dilata lo
spazio di tempo della nostra vita».
Mi sono chiesto più volte quale
fosse il motivo che portasse i miei
amici a non lasciare neanche per un
giorno l’isola per la terraferma. Probabilmente quel silenzio che ancora
L’arte del silenzio
In una quotidianità sempre più caotica e rumorosa, in quella che possiamo definire la società del frastuono e
della velocità è sempre più forte l’urgenza di fermarsi ad assaporare il silenzio. Secondo alcuni studiosi più di
metà della popolazione mondiale vive
in ambienti con un livello medio di rumorosità superiore a 60 decibel, quindi assai lontana dalla possibilità di
poter godere degli effetti del silenzio.
Finora ci ha rubato troppo tempo il
detestato rumore, vero timbro sonoro
dei nostri anni con i fragori della quotidianità, spesso fastidiosi, esasperanti
e intollerabili: prima o poi, bisognerà
fare i conti con il silenzio. Di fronte al
vociare scomposto di alcune trasmissioni televisive alcuni hanno suggerito
il ripristino dei «silentiares», guardie
che tutelavano il silenzio nella sala
colloqui nelle corti imperiali bizantine del IV secolo. Il silenzio sembra
essere una esigenza dei nostri tempi
sentita in tutti i campi espressivi.
«Una volta c’era un famoso suonatore di cetra, chiamato Chao Wen, che
sapeva suonare la cetra come nessun
altro. Ma un giorno all’improvviso
smise completamente di suonare la
cetra. Aveva finalmente capito che
nel suonare una nota si trascuravano
inevitabilmente tutte le altre. Fu solo
allora, quando smise di suonare, che
riuscì a sentire la completa armonia
di tutte le cose. [...] L’unica musica
completa è quella dei suoni naturali».
Questo è un passo di un famoso testo
taoista, il Chuang Tzu, che sembra
molto in tema con l’opera di compositori moderni come Anton Webern
12
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
Il silenzio
è un’arte
e come tutte le
arti deve avere
qualcosa da dire
per esistere, senza
è solo rumore
e John Cage. Anton Webern, si preoccupa di non saturare lo spazio sonoro, frammenta la composizione e
sottolinea l’intervallo tra le note. Le
sue composizioni sembrano aforismi
in cui ciò che conta è l’atmosfera. Prima che l’ascoltatore possa assuefarsi
alla melodia, essa è già terminata. Il
silenzio, come assenza di suono, è
anche considerato una componente
della musica. Essendo naturalmente
privo di tono, timbro e intensità, l’unica caratteristica che condivide con
il suono, in un contesto musicale, è la
durata. Famosa l’opera 4’33” di John
Cage che così la descrive: «Il silenzio
non è altro che il cambiamento della
mia mente. È un’accettazione dei suoni che esistono piuttosto che un desiderio di scegliere e imporre la propria
musica. Da allora questo è sempre stato al centro del mio lavoro. Quando mi
dedico a un pezzo musicale, cerco di
farlo in un modo grazie al quale esso,
essenzialmente, non disturbi il silenzio che già esiste».
«Nella vita, come nell’arte, è difficile dire qualche cosa che sia altrettanto
alberga in alcuni momenti in questo
spazio, che consente di convivere
con i ritmi della natura e condividerli. Un silenzio che accoglie, custodisce, protegge. Un silenzio che
ha costruito tanti silenzi carichi di
saggezza e che porta in sé il mistero
della vita.
*
efficace del silenzio». Il dito sulle labbra di Mercurio, colui che “conosce,
trascrive e nasconde affinché ogni
generazione compia la sua ricerca”,
allude al silenzio necessario per svelare i misteri. Il gesto è diffuso nella cultura occidentale ed è noto sin dall’antichità. Simonide Di Ceo, (Isola di
Ceo, 550 a.C. circa – Agrigento, 467
a.C.) poeta e lirico greco soleva ripetere “La pittura è poesia silenziosa, la poesia è pittura che parla” .
Il silenzio sembra essere a un tempo
un limite e la caratteristica specifica
delle arti figurative. Escluse dalla soglia della parola e del suono esse sono
condannate all’insonorità, a una certa
“sordità” direttamente proporzionale
al loro coinvolgimento con la materia.
La pittura è a pieno titolo una forma di
linguaggio che condivide col discorso
verbale, e forse realizza in modo più
efficace, il fine della trasmissione della conoscenza e della manifestazione
dei sentimenti. Come la parola, però,
anche la pittura incontra dei limiti invalicabili alle sue possibilità di penetrare l’essenza del reale, pur nell’apparente libertà della sua invenzione.
Come la parola, tende costantemente
alla pienezza della verità senza mai
poterla compiutamente raggiungere.
L’impercettibile movimento delle
labbra della Gioconda non è infatti
un sorriso; è piuttosto l’approdo finale
della parola, l’indicazione della superiorità del silenzio sul verbo, della
risoluzione del discorso nell’estaticità
dell’intuizione, del limite ultimo in
cui la parola si spegne, ma dal quale
sempre di nuovo rinascerà per accompagnare la tormentata ricerca del vero.
Silenzio e parola sono concetti correlativi e inseparabili. Dal silenzio nasce
la parola che a esso incessantemente
ritorna.
E poi cosa dire dei «sovrumani silenzi» e della «profondissima quiete»
di cui parla Leopardi, e dell’invito di
Wittgenstein: «Su ciò di cui non si
può parlare, si deve tacere». Il silenzio è anche una forma di rispetto nei
confronti della conoscenza cui invano
aspiriamo, è accettazione della propria
limitatezza. Il silenzio non ci appartiene più, non lo riconosciamo. Di fronte
a grandi disgrazie, ci abbandoniamo
spesso a una sciagurata euforia che
ci porta a sfogarci o ad applaudire.
Spesso non siamo capaci di osservare un minuto di silenzio negli stadi e
durante un funerale ci abbandoniamo
all’applauso. Per riabituarci al silenzio dovremmo, probabilmente, tornare alle regole della vita monastica.
Dalla sua cella il monaco non poteva né vedere né sentire il suo vicino,
l’architettura monastica era fatta per
proteggere il silenzio, la meditazione,
la taciturnitas. Il silenzio è una grande cerimonia, una liturgia. Dio giunge
nell’anima che fa regnare il silenzio
dentro di sé, ma rende muto chi si perde in chiacchiere.
Per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (maggio 2012) il
Papa ha inviato un messaggio dedicato proprio al silenzio: «Il silenzio è
parte integrante della comunicazione
e senza di esso non esistono parole
dense di contenuto. Nel silenzio ascoltiamo e conosciamo meglio noi stessi,
nasce e si approfondisce il pensiero».
Egli non ha proposto il silenzio come
alternativa all’impegno nella comunicazione, non ha chiesto di spegnere la
«musica passiva», quella non richiesta che ci assilla nei negozi, nei locali
pubblici, negli ascensori, nelle spiagge, non ha improvvisato una di quelle
lezioni in cui ci viene spiegato, da una
pubblicistica improvvisata, che «in
una società in cui tutti parlano, tutti
tentano di esprimersi sovrapponendo
la propria voce a quella degli altri e in
cui gli stimoli dei soggetti emittenti si
moltiplicano spesso senza raggiungere i destinatari del messaggio il rischio
dell’incomunicabilità cresce a dismi-
sura». No, ha voluto ricordare che il
silenzio parla, anche nelle moderne
forme di comunicazione. Il silenzio
è una scelta e a volte può essere l’espressione più eloquente della nostra
vicinanza, della nostra solidarietà,
della nostra attenzione verso un’altra
persona.
***
In Forme del parlare, il sociologo
Erving Goffman rovesciando il senso
comune sostiene che «il silenzio è la
norma e parlare è qualcosa che esige
una giustificazione». Invece purtroppo spesso parliamo, cerchiamo affannosamente il rumore perché copra il
silenzio che più ci spaventa. Il silenzio
ci appare come un vuoto angoscioso,
così angoscioso da preferirgli il rumore, il chiacchiericcio, eppure Ceronetti
ci ricorda che: «La vita rimescola dati
e dadi; l’ultima parola, su tutto, la dirà
il silenzio».
Molteplici sono le sfaccettature di
questo grande sconosciuto del nostro
tempo: dal silenzio religioso a quello
che favorisce il raccoglimento e l’interiorità, dalle pause che sono parte
integrante della musica e la compongono assieme alle note al silenzio
suggerito dagli eccezionali spettacoli
della natura. Un viaggio nel tempo e
nello spazio, alla ricerca del significato profondo del silenzio così come
viene percepito nelle diverse forme
d’arte, nella religione, ma anche nel
nostro quotidiano quando tentiamo
di metterci in contatto con il mondo
circostante e con noi stessi, è presente
nel libro Per una storia del silenzio di
Sergio Cingolani, Edizione Mursia.
Il silenzio è un’arte e come tutte
le arti deve avere qualcosa da dire
per esistere, senza è solo rumore.
Carmine Negro
Guido Ceronetti, Il silenzio del corpo Edizione
Adelphi 1979
Aldo Grasso, L’eloquenza del silenzio Corriere
della Sera 28/10/2012
Sergio Cingolani, Per una storia del silenzio edizioni Mursia 2012
Engrammi, Storia del Silenzio in arte http://engrammi.blogspot.it/2009/10/storia-del-silenzioin-arte.html
Silenzio
Conosco una città
che ogni giorno s’empie di sole
e tutto è rapito in quel momento
Me ne sono andato una sera
Nel cuore durava il limio
delle cicale
Dal bastimento
verniciato di bianco
ho visto
la mia città sparire
lasciando
un poco
un abbraccio di lumi nell’aria [torbida
sospesi
Giuseppe Ungaretti
Ho bisogno di silenzio
Ho bisogno di silenzio
come te che leggi col pensiero
non ad alta voce
il suono della mia stessa voce
adesso sarebbe rumore
non parole ma solo rumore fastidioso
che mi distrae dal pensare.
Ho bisogno di silenzio
esco e per strada le solite persone
che conoscono la mia parlantina
disorientate dal mio rapido buongiorno
chissà, forse pensano che ho fretta.
Invece ho solo bisogno di silenzio
tanto ho parlato, troppo
è arrivato il tempo di tacere
di raccogliere i pensieri
allegri, tristi, dolci, amari,
ce ne sono tanti dentro ognuno di noi.
Gli amici veri, pochi, uno ?
sanno ascoltare anche il silenzio,
sanno aspettare, capire.
Chi di parole da me ne ha avute tante
e non ne vuole più,
ha bisogno, come me, di silenzio.
Alda Merini
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
13
Un film di Leonardo Di Costanzo, regista
di Barano
L’intervallo
applaudito a Venezia
nella sezione “Orizzonti”
Veronica e Salvatore. Due ragazzini intrappolati in un
gioco da grandi. Un gioco di camorra: la reclusione. In uno
stabile fatiscente, multiforme, sterminato, uno spazio per un
intervallo forzato o forse, chissà, liberatorio. Veronica, scopriremo, ha un amichetto che non deve avere per logiche di
clan. Salvatore è chiamato a sorvegliarla, ma è un recluso
pure lui. Lei è troppo cresciuta e freme per la libertà, lui fa
mostra di pacatezza, comando e controllo. Così non è. Sono
uguali più che contrari, e in quell’hortus conclusus che di
poetico non ha nulla sapranno trovare un locus amoenus, che
di salvifico può avere qualcosa. Non mancano parentesi da
Laguna blu, fughe da fermo e aneliti adolescenziali, soprattutto pensieri in libera uscita, destinazione Isola dei famosi
e non solo, bloccati, controvertiti dal qui e ora di esecuzioni
sommarie, tre colpi alla nuca. E se questa fosse la fine di
Veronica?
È L’intervallo, primo film di finzione dell’ischitano Leonardo Di Costanzo, il valente documentarista di A scuola
Prove di stato. Scritto con Mariangela Barbanente e Maurizio Braucci, prodotto da Tempesta (Corpo celeste di Alice Rohrwacher), gareggia al Lido di Venezia nella sezione
Orizzonti. Braucci, tra le altre cose, è il co-sceneggiatore di
Gomorra, e L’intervallo potrebbe legittimamente esserne
uno degli episodi per mood, location e anche per stile: caLeonardo Di Costanzo, regista, documentarista, nasce a
Barano nel 1958. Si laurea all’Istituto Orientale di Napoli e
si trasferisce a Parigi dove frequenta i seminari di regia degli
Ateliers Varan. Lavora per la Televisione francese e realizza vari documentari. Nel 1991 partecipa all’opera collettiva
“Premières Vues” con il corto “In nome del Papa”. Entrato
a far parte dell’equipe pedagogica degli Ateliers, nel 1994
insieme al regista cambogiano Rithy Panh, fonda a Phnom
Penh, in Cambogia, un centro di formazione per documentaristi. Nel 2000 crea un Atelier Varan all’Università di Bogotà. Ha diretto “Prove di Stato” (1998), sulla determinazione
di Luisa Bossa, ex-preside di liceo, eletta sindaco di Ercolano nel 1995, dopo Mani Pulite. Nel 2003 con una troupe
minima riprende un intero anno scolastico in una scuola di
un rione periferico a Napoli realizzando “A scuola” che è
presentato alla Mostra di Venezia. Nel 2006 con “Odessa”
vince insieme al corealizzatore Bruno Oliviero il premio
per la miglior regia alla quinta edizione dell’Infinity Festival di Alba nella sezione ‘Uno sguardo nuovo’. Nel 2007 su
proposta di Agostino Ferrente e Mario Tronco, gli ideatori
dell’Orchestra di Piazza Vittorio, il complesso multietnico nato a Roma nel quartiere Esquilino, ha realizzato uno
dei documentari dedicato ai musicisti. Lui si è occupato di
Houcine, seguendolo nella sua terra d’origine, la Tunisia, in
“L’Orchestra di Piazza Vittorio: I diari del Ritorno”.
14
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
mera a mano, illuminazione artificiale al lumicino, tensione di cinema-verità, con l’immaginazione adolescenziale a
scavalcare il muro dell’omertà, la sottomissione e la realtà
coatta di tante nostrane periferie poco romanzesche e molto
criminali.
Un piccolo film, indipendente secondo gli stilemi italiani,
affidato alla bravura dei due giovani protagonisti Francesca
Riso e Alessio Gallo - scovati con un laboratorio di coaching
a Napoli - e issato su una storia tragicamente ordinaria,
un’attesa di scioglimento senza climax, strappata ai trafiletti di cronaca locale. Non c’è spettacolo, e come altrimenti,
ma forse potrebbe esserci più emozione. Aiuterebbe a fare
di questo Intervallo una pausa allettante per un pubblico
più vasto, ma abbiamo un dubbio: e se fosse la realtà a non
concedere altrimenti? Del resto, Gomorra non conosce intervalli. Ma qui anziché il come c’è il perché, l’atmosfera
ideologica, la temperatura umana del sistema camorristico,
affidato ai pensieri in libera uscita di due giovani carcerati.
Romeo e Giulietta, forse (www.ilcinematografo.it).
Attori: Francesca Riso (Veronica), Alessio Gallo (Salvatore), Carmine Paternoster (Bernardino), Salvatore Ruocco
(Mimmo), Antonio Bull (padre di Salvatore), Jean-Yves
Morard (Slavo) - Soggetto: Maurizio Braucci e Leonardo
Di Costanzo - Sceneggiatura: Maurizio Braucci, Mariangela Barbanente, Leonardo Di Costanzo - Fotografia: Luca
Bigazzi - Musiche: Marco Cappelli - Montaggio: Carlotta
Cristiani - Scenografia: Luca Servino - Costumi: Kay Devanthey - Suono: Christophe Giovannoni
*
Rassegna Stampa
Il Mattino
dell’8 novembre 1958
Domani, domenica, alla presenza del presidente della Camera, on.
Giovanni Leone, del presidente del
Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno on. Giulio Pastore, del Ministro della Sanità, sen. Vincenzo Monaldi, nonché di numerose autorità
e personalità di Napoli e della zona
flegrea, sarà inaugurato l’acquedotto
sottomarino per le isole di Procida e
di Ischia, la grande opera che, finanziata dalla Cassa per il Mezzogiorno, viene a risolvere uno dei fondamentali problemi delle due isole del
nostro Golfo.
Nel quadro della manifestazione
che si svolgerà alle ore 11 a Ischia
Ponte e che segna una tappa di eccezionale rilievo nel progresso economico e sociale delle isole flegree,
si inserisce una cerimonia che si
svolgerà sul piazzale della spiaggia
dei pescatori, nel punto ove sbocca
ad Ischia la condotta sottomarina;
qui infatti sarà scoperta una lapide
dettata dal Vescovo di Ischia, Mons.
Antonio Cece, a ricordo dell’avvenimento. Fontane-ricordo saranno
quindi inaugurate dopo i discorsi
celebrativi, a Porto d’Ischia, a Ca-
samicciola, Lacco Ameno e Forio.
A impartire la benedizione agli impianti dell’acquedotto sarà lo stesso
Vescovo d’Ischia.
A Lacco Ameno si procederà nella
stessa giornata alla posa della prima
pietra della strada Pannella-Fango,
opera finanziata anche dalla Cassa
per il Mezzogiorno.
Il Mattino
del 10 novembre 1958
Il primo getto d’acqua
è zampillato ieri ad Ischia
I discorsi del Ministro Pastore, del
Prof. Pescatore e di Mons. Cece alla
presenza del Minisrro alla Sanità
Monaldi e di molte altre personalità
Un’aspirazione lunga secoli e che
per secoli era sembrata destinata a
non dover essere mai appagata è diventata da mezzogiorno di ieri una
realtà concreta, viva e visibile, una
commovente realtà che è sbocciata
insieme con un alto e luminoso zampillo nel cielo dell’isola d’Ischia, la
quale, finalmente, ha visto coronato
dal più sicuro successo tecnico un’opera arditissima: l’acquedotto che
dalle lontane sorgenti del Toreno,
nel cuore del Matese, adduce milioni di metri cubi d’acqua potabile
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
15
all’isola che ne era purtroppo priva, superando con incredibili balzi i
fondali sottomarini che la dividono
da Procida e dalla terraferma.
L’acquedotto sottomarino per le
isole di Procida e di Ischia, diramazione spettacolare del grande acquedotto campano che la Cassa per il
Mezzogiorno sta costruendo per 164
comuni della regione, partendo dal
grande serbatoio di Bacoli, raggiunge la riva del mare sulla spaggia di
Miliscola, già sacra ai miti virgiliani
e già famosa per la «schola militum»
che vi aveva sede per scomparire sotto il mare del Canale di Procida che
raggiunge una profondità di diciotto
metri e risalire quindi dalla Marina
di Sancio Cattolico fino a un altro
grande serbatoio dal quale ridiscende in galleria fino a Vivara e di qui,
con un secondo tronco sottomarino,
come il primo in doppia condotta,
raggiunge finalmente Ischia Ponte,
sul molo che si stende all’ombra del
Castello Aragonese.
Quest’acquedotto che è stato progettato e condotto a termine secondo
una tecnica modernissima è indubbiamente un’opera che non ha altri
riscontri, per essere essa destinata
a durare nel tempo e a soddisfare le
esigenze anche future delle crescenti
popolazioni delle due isole flegree; e
le difficoltà, certamente non poche e
non lievi, che si sono dovute superare, i problemi che si son dovuti impostare e risolvere per posare su fondali battuti dalle correnti i grossi tubi
e difenderli da ogni possibile minaccia, affondandoli in ben costruite
trincee sottomarine, danno subito
il valore e il significato dell’impresa che oggi ha segnato anche per
Ischia - come due anni fa segnò per
Procida - una data faustissima nella
storia delle due isole. Forse soltanto
i tecnici e gli esperti, convenuti ieri
a Ischia per assistere alla solenne
inaugurazione del primo zampillo
d’acqua potabile venuto dalla terraferma, potevano giudicare dei rischi
e della grande somma non soltanto
di denaro ma di lavoro occorso per
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La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
questa realizzazione: perché la gran
folla di isolani che assisteva giubilante alla manifestazione e che ascoltava i discorsi ufficiali e che vedeva
sfilare tante autorità civili, militari e
religiose mai si rendeva conto, nella
prima gioia, del grandissimo dono
ricevuto, del prodigioso evento che
significava quell’altissimo zampillo
d’acqua pura che controluce e nella leggera brezza antimeridiana si
sventagliava in un velo iridiscente.
Eppure, se l’acqua significa vita,
Ischia da mezzogiorno di ieri riceveva proprio come una nuova vita,
poteva annoverare la data del 9 novembre del 1958 fra le sue più felici,
quella appunto destinata a iniziare
una più sicura e vivace economia. E
le fontane, le prime approntate nei
comuni di Ischia, di Casamicciola,
di Forio e di Lacco con il loro freschissimo e nuovissimo murmure
accompagnavano le nuove certezze
alle quali Ischia si avvia.
A salutare l’eccezionale avvenimento erano intervenuti ieri a Ischia
Ponte numerose autorità, fra le quali
il Presidente del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno, on. Giulio Pastore; il Ministro della Sanità
prof. Vincenzo Monaldi, il Presidente della Cassa per il Mezzogiorno
prof. Gabriele Pescatore, il Commissario al Turismo on. Romani, il
Prefetto di Napoli dott. Spasiano, il
Vescovo di Ischia Mons. Antonio
Cece, il dott. La Grotta in rappresentanza del Questore di Napoli, il
sen. Piegari, l’on. Stefano Riccio, il
sen. D’Albora, l’on. Titomanlio, il
prof. Lordi, preside della Facoltà di
Economia dell’Università di Napoli,
il dott. Orcel, direttore generale della Cassa per il Mezzogiorno, l’avv.
Waschimps della Provincia di Napoli, il dott. Giacomo Deuringer, presidente dell’Ente Valorizzazione di
Ischia, il dott. Enzo Fiore, il Grande
Uff. Renato Barendson, presidente
dell’Ente Provinciale per il Turismo
di Napoli, il prof. Carlo Venditti, S.
E. Nicandro Siravo, primo presidente della Corte di Appello, il comm.
dott. Ali, intendente di Finanza, il
Sovrintendente Riccardo Pacini, il
prof. on. Cortese, l’avv. Vito Antonio Di Cagno, presidente della SME,
il prof. Carrocca, il prof. Jacopetti,
l’ing. Porcaro, l’avv. Cordona, il
dott. Lazzara, Marino Turchi, il dott.
Enrico Palla, l’ing. Grassini, l’ing.
Tescione, l’ing. Celentano, l’ing.
Pistilli e moltissimi altri tra i quali
molte autorità militari.
Nella Piazza Aragonese, ai piedi
dello storico castello ed al cospetto del
mare, si è svolta la cerimonia dell’inaugurazione dell’acquedotto sottomarino, una delle più grandi opere
del genere realizzata dalla Cassa per
il Mezzogiorno, tra innumerevoli
difficoltà d’ambiente. L’opera è stata brevemente illustrata dal prof. Pescatore che ha preso la parola dopo il
saluto dei sindaci di Porto d’Ischia e
Casamiccciola e del vescovo Mons.
Cece, il quale ha dettato in latino la
iscrizione per una lapide-ricordo. Il
Presidente della Cassa per il Mezzogiorno nel suo breve discorso ha
soprattutto ricordato e ringraziato
gli uomini cche hanno realizzato
l’opera, vincendo le avversità della
natura: gli ingegneri, i geometri, gli
operai e i palombari.
Il Ministro Pastore quindi tra il
suono delle sirene dei vaporetti e
quello delle campane di tutte le chiese dell’isola, ha premuto il pulsante
dando il via a un potente getto d’acqua che ha zampillato raggiungendo
l’altezza di trenta metri.
Il ministro Pastore ha successivamente rilevato come la importante
opera inaugurata sia la conferma
della validità della politica dello
Stato nel Mezzogiorno e la prova
più evidente di ciò che il governo
democratico intende fare per le popolazioni meridionali.
«È così - ha detto l’on. Pastore che lo Stato democratico intende assolvere ai suoi doveri fondamentali
verso le popolazioni più bisognose,
realizzando quelle opere che sono
in stretta aderenza alle esigenze delle popolazioni stesse». Il Ministro
ha tenuto quindi ad assicurare che sarà presto risolto
il problema del fabbisogno idrico della Campania attraverso il completamento del sistema degli acquedotti
in corso di realizzazione nella regione. Egli ha inoltre
annunciato che attualmente è all’esame del consiglio
superiore dei LL. PP. un piano generale riguardante la
utilizzzione delle acque del Biferno.
«A conclusione degli studi con tutta la larghezza di
mezzi di cui la Cassa ha potuto disporre - ha proseguito il Ministro - tale piano generale di utilizzazione
può schematicamente essere rappresentato dai seguenti
piani qualificativi: alimentazione di acqua potabile per
quattro milioni di abitanti (previsioni all’anno duemila); irrigazione di 25.500 ettari dei quali 20.100 in Molise e 5.000 in Campania (Sannio-Alifano); produzione
di 156 milioni di kilovattore annui effettivi dei quali
38 milioni lungo l’asta del Biferno e 118 milioni in
due centrali da costruirsi lungo l’asta dell’Acquedotto
campano. Il costo complessivo delle opere è previsto
in circa 35 miliardi di lire».
Altro problema al quale l’on. Pastore ha accennato
nel corso del suo discorso è la rete idrica interna e le
fognature dell’isola. Egli ha assicurato che tutti i comuni e tutte le case dell’isola avranno l’acqua. «Sarà
un nuovo problema - ha detto - per il quale la Cassa
assume, fin da questo momento, di fronte alla popolazione interessata un preciso impegno».
«A questo punto - ha esclamato il Ministro - consentitemi alcune brevi parole di commento per sottolineare l’importanza di quest’opera oggi inaugurata nel
quadro della politica dello Stato democrativo a favore
del Mezzogiorno, politica che trdotta sul piano reale è
chiaramente illustrata dalle seguenti cifre: al 30 ottobre
scorso risultavano erogati dalla Cassa fondi per 330
miliardi di lire di cui 230 miliardi riguardanti opere
completate e 600 miliardi per lavori in corso di esecuzione.
Se a queste cifre si aggiungono le centinaia di miliardi spesi in opere pubbliche essenziali nel resto del
territorio nazionale, si ha l’idea del coraggioso sforzo
compiuto, sforzo che assume un particolare significato
sol che si consideri che è stato compiuto in un momento di gravissime difficoltà economiche».
«Ma - ha aggiunto l’on. Pastore - a cosa servirebbe aver speso cifre tanto ingenti come quelle annunciate, se tutto ciò dovesse rimanere nella fase delle
infrastrutture; se cioè da questo fervore di opere non
derivasse un sostanziale miglioramento di vita delle
popolazioni del Mezzogiorno? E qui sorge spontaneo
l’invito che lo Stato rivolge alla privata iniziativa per-
Foto da un documento della Cassa per il Mezzogiorno - Dott. Ing. Pietro Celentani Ungaro, Capo del Servizio Acquedotti e
Fognature, Acquedotto sottomarino per le isole di Ischia e Procida. Oltre le varie relazioni sui lavori, vi si legge: «Il giorno 9
novembre 1958, con l’intervento del Ministro Presidente del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno, si svolse la cerimonia
inaugurale con un getto d’acqua di circa 40 metri di altezza al manufatto di arrivo della condotta sottomarina al Piazzale
Aragonese di Ischia e con la successiva apertura di fontane nei comuni di Ischia, Casamicciola, Lacco Ameno e Forio».
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
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ché faccia avvertire la sua maggiore
presenza in quest’opera di rinascita
del Sud. Non può esservi secondo
tempo della politica del Mezzogiorno senza un fattivo e cosciente intervento del capitale privato del sud e
del centro nord che contribuisca a
completare ed a consolidare l’opera
iniziata dai pubblici poteri. I nuovi
provvedimenti che saranno adottati
prossimamente - ha concluso Pastore - aprono nuove prospettive anche
all’iniziativa privata soprattutto nel
settore della industrializzazione»
Il gruppo delle autorità ha poi
inaugurato delle graziose fontanericordo, opera del prof. Luigi Parisio
nei comuni di Porto d’Ischia, Casa-
micciola Terme, Lacco Ameno e Forio.
Sarà adesso compito dei comuni
dell’isola d’Ischia con l’apporto della Cassa d’approntare nel più breve
tempo possibile una rete idraulica
che possa dotare tutte le case dell’Isola, le più ricche come le più povere,
dell’acqua potabile. Ed è certo che
l’opera così generosamente finanziata dalla Cassa per il Mezzogiorno
(la quale ha speso per l’acquedotto
flegreo e delle isole ben due miliardi e cinquecento milioni di lire; i
soli attraversamenti sottomarini, che
hanno fra l’altro richiesto l’impiego
di una manodopera specializzata, di
palombari e di sommozzatori, sono
costati complessivamente circa un
miliardo di lire) sarà completata nel
più breve tempo possibile.
Già la prossima estate, quando il
flusso turistico verso Ischia, già così
imponente, avrà raggiunto una punta più alta, l’Isola sarà in gran parte
attrezzata per soddisfare le accresciute esigenze anche degli ospiti
stagionali. Accanto al rinomatissimo
patrimonio di acque minerali e termali, accanto all’incremento dell’attrezzatura alberghiera, e al fermento
delle nuove iniziative commerciali
sta questa pietra basilare dell’acqua
potabile a rendere il cammino di
Ischia più facile e più ricco.
Mario Stefanile
La Lettura, rivista mensile del Corriere dell sera, 1 luglio 1929, anno VII
Se ogni terra ha la sua leggenda,
poche, però, possono vantarne una
così bella come il mito leggendario
che canta poeticamente le origini
dell’isola d’Ischia, lo scoglio turrito
ed or cadente, che fu eletto da Ariosto a sua dimora per studiarvi intorno al suo poema e, via via, attraverso
i secoli, ospitò il Pontano, il Panormita, il Sannazzaro, Fabrizio Colonna, Torquato Tasso, Giovanbattista
Vico e tutta una schiera dì principi
del sangue, di guerrieri, di artisti.
La leggenda e un po’ di storia
La leggenda è semplice, ma venata
di poesia. Giove, irritato verso Tifeo,
uno dei titani ribelli, gli lanciò contro un masso enorme. Quel masso
cadde presso il lago Miseno e sorse d’incanto la nuova isola, novella
gemma del mare di Partenope, sotto
la quale si dibatte Tifeo, che regge
il monte sul petto. Ogni tanto il gigante si scuote, e tutte ne tremano le
pendici dell’isola. Si spiegano così
i movimenti tellurici che nei secoli
hanno sconvolto l’isola, la quale è
così lieta e festosa nelle sue rocce e
nelle sue insenature rivestite di ville,
di giardini, di casupole, e sorgenti
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La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
come d’incanto dall’onda di cupo
azzurro, da giustificare pienamente
l’appellativo di «Risata di Tifeo»
che nel nostro immaginifico e colorito linguaggio si è voluto dare ad
Ischia.
La storia d’Ischia, a volerla esporre cronologicamente, occuperebbe un volume. Questo scoglio che
per la potenza radioattiva delle sue
acque e per la visione di stupendi
scenari, glauchi di cielo e di mare,
meriterebbe una notorietà assai più
vasta di’ quella che non abbia, tra
la temibile concorrenza di Capri e
quella di Sorrento, è stato cantato ed
esaltato dai maggiori poeti, da Omero a Pindaro, a Esiodo, a Strabone, a
Orazio, a Virgilio, a Ovidio, a Vitruvio, al Petrarca, al Boccaccio, all’Ariosto. I suoi primi abitatori furono
Osci ed Etruschi, e ad essi successero gli Enotri e, più tardi, i Fenici.
Per cinque secoli vi si mantennero
gli Eritrei; seguì l’occupazione dei
Siracusani e, infine, il dominio dei
Romani che tennero l’isola per tre
secoli, fin che Ottaviano, nell’anno
V d. C, la cedette ai napoletani in
cambio dell’isola di Capri.
Nelle orride prigioni del suo castello, fondato dai Siracusani, languiro-
no, tra gli altri, Carlo Poerio, Silvio
Spaventa, ed altri patrioti vittime
della reazione borbonica. In quello
stesso castello avevano già palpitato
i cuori innamorati di Alfonso d’Aragona e di Lucrezia d’Alagno.
Uno sguardo a volo d’uccello
Il forestiero che, armato di Baedecker, giunge a Napoli, ha sempre in
programma - tra una escursione al
Vesuvio ed una visita a Pompei - una
gita alla Grotta Azzurra, a quel mirabile recesso nel quale il pilota audace di Argo, per volere di Giove, si
dispogliò delle sue scaglie che diedero al mare i loro fantastici colori.
E dalla Grotta Azzurra il forestiero
risale le straderte profumate che s’inerpicano lungo la Sella, tagliando
nettamente la roccia, e si ferma estatico innanzi alla selvaggia bellezza
dell’Arco Naturale, alla muta poesia
dei Faraglioni, al dolce incanto della Certosa. Ma difficilmente accade
che quello stesso forestiero, il quale
arriva a Napoli con negli occhi la visione di Capri, che le cartoline illustrate hanno diffuso in tutto il mondo, allunghi il suo sguardo all’altro
versante del golfo e senta vaghezza
di visitare l’isola d’Ischia. Eppure
essa è tutta una meraviglia.
A due passi da Ischia è Porto d’Ischia con la Casina Reale Borbonica, ora stabilimento termale; e
a mezz’ora di distanza, è Barano,
famosa pei suoi vini. Sulla riviera meridionale, in altura, Serrara e
Fontana (che formano un solo comune) sono la... Svizzera dell’isola.
In alto, l’Epomeo, vulcano spento,
che servì nei tempi passati assai
spesso di rifugio agli isolani contro
le invasioni barbariche o piratesche.
Poco lontano, Casamicciola, dalle
mille sorgenti salutari, fanghi e dalle
stufe rinomatissimi, e famosa anche
per il terribile terremoto del luglio
1883, di cui ancora si rammemora la violenza, e che fu l’incentivo
a una mondiale manifestazione di
fratellanza benefica. In collina, Forio, patria del sapido vino che tutto
il mondo pregia. Accosciata ai piedi
del monte Vico, la borgata di Lacco
Ameno. A questo biondo paesello in
ogni tempo hanno chiesto ristoro salutare sovrani, artisti, generali; Francesco I, Carlo Felice, Ferdinando II,
Massimiliano I e Carlo I di Baviera,
Don Carlos... Qui Enea, nel 1184
a. C, si rifugiò con i suoi compagni
(«poi che il superbo Ilion fu combusto»». E Caio Mario, dopo la vittoria
di Silla, rimase alcun tempo nascosto in una grotta del monte Vico.
L’estate mette di moda l’isola, che,
se dai forestieri è quasi ignorata, non
lo è dai napoletani, i quali preferiscono la sua bella spiaggia alle bizzarre grotte capresi e agli snervanti
profumi di Sorrento. Sulla spiaggia
d’Ischia, che si stende a perdita di
vista lungo il mare, ai piedi del «vitifero monte», durante i mesi estivi,
è tutta una fioritura di ombrelloni e
di tende a strisce policrome o audacemente colorate in rosso e in giallo. Sono migliaia di bagnanti, che
chiedono alla rena fina, soffice, dorata, qualche ora di oblio e di riposo.
Vittorio Ricciuti
FAI – INTESA SAN PAOLO: Il censimento dei luoghi italiani da non dimenticare
I Luoghi del Cuore
(segue da pagina 2 di copertina)
I cittadini dell’isola d’Ischia hanno partecipato al
censimento con varie segnalazioni, più o meno votate. Da un esame fatto a poco tempo dalla scadenza (30 novembre 2012) delle segnalazioni, abbiamo
rintracciato i seguenti luoghi, individuati nel sito
www.iluoghidelcuore.it sotto l’indicazione dei comuni isolani:
Significative soprattutto le numerose segnalazioni ricevute
per il Pio Monte della Misericordia di Casamicciola Terme,
che ha potuto giovarsi del notevole appoggio di gruppi formati ad hoc e di un progetto dibattuto e proposto in loco
per l’eventuale recupero del complesso: una grande mobilitazione civile per il recupero del complesso del Pio Monte della Misericordia di Casamicciola in rovina da 40 anni,
senza che l’Ente Morale proprietario e le istituzioni locali
(Comune, Provincia e Regione) siano state capaci di trovare
una soluzione giuridicamente e linearmente praticabile pur
in presenza di una enormità di sostegni finanziari da parte
dello Stato, prima, e poi dell’Unione Europea.
Barano e Serrara Fontana: Spiaggia dei Maronti.
Casamicciola Terme: Pio Monte delle Misericordia,
Osservatorio Geofisico 1855, Bosco della Maddalena,
Località Rarone.
Forio: Chiesa del Soccorso, Giardini della Mortella,
Baia di Citara, Baia di Sorgeto / Casa greca dell’VIII
s. a. C., Chiesa dell’Arciconfraternita di Visitapoveri,
Spiaggia di San Francesco, La Colombaia / Villa di Luchino Visconti, Convento di San Francesco.
Ischia: Castello Aragonese, Sant’Angelo, Regno di
Nettuno / Area Marina Protetta, Golfo dei Maronti,
Baia di Cartaromana, Chiesetta dei Pescatori, La collina del Montagnone, Sorgeto, Pilastri antico acquedotto.
Lacco Ameno: Villa Arbusto / Museo di Pithecusae,
Scavi e Museo di S. Restituta.
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
19
Ex libris
Nuovissima Guida dei Viaggiatori in Italia, V edizione, Milano 1839
Isole dei dintorni di Napoli
CAPRI - Da Capo Miseno all’Isola di Capri, il tragitto
non è più lungo di cinque ore. Quest’isola è composta di
due villaggi chiamati l’uno Capri, l’altro Anacapri. Per
entrare in questo secondo bisogna salire una scala stretta,
composta di 500 gradini. Se il viaggiatore ama le belle
viste, ascenda il Monte Solaro e non gli dorrà di averne
sostenuto la fatica, essendo impossibile di dare un’idea
anche approssimativa del colpo d’occhio che ivi si gode:
pressoché tntti i viaggiatori si accordano nell’asserire non
esservi in Italia più bella vista, il che non è poco dire.
Vedesi eziandio in quest’Isola il palazzo di Tiberio attuato
sopra un’altura.
GROTTA AZZURRA - La scoperta di questa grotta è
tanto singolare che noi crediamo di parlarne. Due inglesi
nuotavano lungo le spiagge di Capri, quando un di essi,
vista una caverna in uno dei massi lunghesso il lido, ebbe
il coraggio di penetrarvi. Quanta fu la sua sorpresa e la
sua ammirazione veggendovi un placido lago della circonferenza di quasi un quarto di miglio, in mezzo al quale
tutto è azzurro: i sassi, l’acqua, la sabbia coperte dello
stesso colore il quale, lungi di ferir l’occhio, vi arriva dolce e temprato, non senza maraviglia. L’acqua vi è profonda quindici piedi all’incirca ed è sì pura e limpida che
pare non aversi che ad allungare la mano e raccogliervi le
cose che veggonsi sul fondo.
Altissima ne è la volta, la quale è formata da una rupe
tutta cospersa di stalattiti. L’ingresso della Grotta Azzurra
è molto difficile, non potendovisi entrare che sopra una
barchetta assai piatta nella quale coricarsi col ventre in
giù, aspettando che il barcaiolo cogliendo il momento in
cui l’onda si precipita muggendo all’ingresso della grotta, si lasci da quella strascinare nell’interno. Si fanno più
volte inutili tentativi a quest’oggetto e non di rado sarebbe temerità il tentarne l’accesso.
ISCHIA - Chiamata altre volte Pithecusa, è la maggior
isola che si trova nel golfo di Napoli. Secondo Strabone i
primi abitatori di Ischia furono gli Eritrei, i quali dovettero poscia abbandonarla a cagione delle continue eruzioni vulcaniche, cui trovavasi esposta. Essa rimase deserta
sino a 400 anni prima di Gesù Cristo. I Romani di poi
stabilironsi in essa, indi la cedettero ai Napoletani cambiandola con Capri. Quest’Isola dovette naturalmente subire la fortuna della Metropoli e soffrire al par di essa frequenti vicissitudini. Alfonso di Aragona ne cacciò tutti gli
20
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
abitanti maschi, rimpiazzandoli con Catalani e Spagnuoli
presi all’azzardo dal suo esercito, ai quali fece sposare le
vedove e le figlie dei poveri esiliati.
Ischia offre al viaggiatore molte curiosità. Benché la
superficie non sia maggiore di diciotto miglia quadrate,
contiene una città di 3000 e più abitanti e dieci villaggi, la
cui popolazione non è minore di 20 mila anime. Il fuoco
sotterraneo, da cui quest’isola è fomentata, comunica alla
vegetazione una straordinaria attività e somministra molte salutari virtù alle sue acque termali. Aria, erbe, frutti,
latte, ogni cosa in somma è ivi di rara qualità. I pesci delle
sue coste hanno essi pure una incontrastabile superiorità a
quelli del mare circostante. Il vulcano del Monte Epomeo
oggi chiamato S. Nicola è iI più rimarchevole di quanti ve
ne ha in tutta l’Isola. La città di Ischia è fabbricata sopra
una roccia di basalto dell’altezza di 600 piedi, ma più non
offre che lo spettro dell’Ischia del Medio Evo, la quale fu
distrutta nell’anno 1302 da una eruzione dell’Epomeo, la
quale fu sì terribile che mise in fiamme tutta l’isola per
il corso di due interi mesi. Si visiterà con piacere questo monte Epomeo ora mentovato, benché la salita ne sia
alquanto difficile. Sulla sommità di esso godesi una bellissima vista. Si può anche prender riposo al romitaggio,
il quale si compone di una casetta scavata nel sasso e di
una cappella, di cui la sola facciata è in mattoni. Questo
piccolo santuario conservò sempre la primitiva sua semplicità, benché gran numero di pellegrini vadano a farvi le
loro divozioni. Gli altri oggetti degni d’esser veduti sono:
il campo di Lava dell’Arso, il Lago d’Ischia, le Stufe di
Castiglione, i celebri bagni di Casamicia e la famosa fabbrica di cappelli di paglia.
PROCIDA - Quest’isola è situata tra quella d’Ischia e iI
Capo Miseno; ha una superficie di cinque miglia quadrate, è fecondissima, poco montuosa e abbonda di pernici
e di fagiani. Vi si vedono molti avanzi di antichità, molte
belle case di campagna e contiene circa 12.000 abitanti.
Il suo castello, altre volte di qualche importanza, è oggi
interamente smantellato e serve di convegno ai cacciatori.
Le tristi sue mura ricordano il nome di quel crudele Giovanni di Procida, signore dell’Isola ed autor principale del
famoso massacro conosciuto sotto il nome di Vespro Siciliano. Gli abitanti di quest’isola sono reputati i migliori
marinai dell’Italia.
Il golfo di Napoli è seminato di molte altre isolette che
noi non procediamo a descrivere onde evitare lungaggini;
tanto più che nulla offrono d’interessante, tranne le prospettive più o meno belle che vi si incontrano. Crediamo
quindi doverci limitare alla descrizione di quelle, di cui le
storie fanno più frequente ricordanza.
*
Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica compilato dal Cavaliere Gaetano Moroni Romano – vol.
XXXVI, Venezia 1846
ISCHIA (Isclan). Città con residenza vescovile nel Re-
gno delle due Sicilie nella provincia di Napoli, capoluogo
di cantone, sulla costa nordest dell’isola del suo nome,
ove ha una piccola baia: l’isola d’Ischia dagli antichi fu
celebrata per le sue acque minerali, di cui la vestale Attilia
Metella sperimentò la salutare efficacia. Tali acque, dal
terremoto del 1728 in parte fatte sparire, non formano le
sole celebrità d’Ischia, ch’è separata dalla costa per un
canale largo due leghe, ed in uno stretto spazio presenta
concentrate tutte le bellezze che leggiadro e dovizioso
rendono il golfo di Napoli. Ischia, Iscla Aenaria, è situata sopra una rupe di basalto, che si eleva all’altezza di
seicento piedi dal livello del mare. Troncata a mezzo nei
fianchi sud ed ovest, si veggono su dolce pendio gli avanzi di una città costruitavi nel medio evo, circondata da
giardini. Sono oggi quegli edifizi abbandonati, e sull’alto della rocca esiste solo la cittadella o castello. Tutto lo
scoglio è unito all’isola mediante un molo, ovvero istmo
artificiale, con un ponte levatoio, e si sale alla cima per
una galleria coperta, praticata per lo più sul massiccio. Si
riguardò nel medio evo come fortezza inespugnabile, e
sulla rupe ebbero sicuro asilo nelle guerre i cittadini pacifici. Ma nel ritorno della quiete non tardarono a stabilirsi
nella amena riva dell’isola posta di rimpetto, e gittarono
così le fondamenta dell’odierna città d’Ischia, chiamata
anche Celso. Sicura stazione hanno i bastimenti lungo le
due coste del molo e specialmente nella boreale. Le strade sono larghe e dritte; fresc’acqua zampilla dalle varie
fontane, recatavi dal monte Epomeo mediante un lungo
acquedotto d’una lega. L’Epomeo, che occupa il centro
dell’isola, è un vulcano estinto; l’ultima sua eruzione
avvenne nel 1302. I migliori edifici consistono nella cattedrale, nel palazzo vescovile, nel seminario ed in altri
fabbricati. Bisogna traversare il campo formato dalla lava
d’Arso, detta anche di Cremato, che si eleva a cinquanta
piedi di altezza, per giungere ai rinomati bagni d’Ischia,
che sono per essi divisi dal paese. Si vede in una prossima
collina una casa di delizia del re delle Due Sicilie, ed al
piè di essa si discopre il villaggio ove sono le due sorgenti
di acque termominerali, di natura muriatica, a quaranta
gradi di calorico, le quali si chiamano Fontana d’Ischia e
Fornello: ambedue hanno casa annessa dove si prendono
i bagni. La soprabbondanza delle acque forma un ruscello, che a pochi passi si getta nel sottoposto lago d’Ischia
diviso dal mare per un banco di sabbia, all’estremità del
quale è praticato un canale di comunicazione. Il circuito
del lago non supera tre quarti di miglio, ed è il fondo di un
cratere formato all’est dal promontorio di lave di s. Pietro
a Pantanello e al nord ed ovest dalle colline vulcaniche
di s. Alessandro. Al sud d’Ischia si entra nella ridente pia-
nura di Campagnano; la fertilità del suolo, le fonti e la
vista dell’acquedotto che attraversa il villaggio, recando
ad Ischia le acque di Buceto, rendono il soggiorno piacevole ed amenissimo. Nella suddetta fortezza, come luogo
tenuto allora quasi inaccessibile, ritirossi nel 1496 Fedinando II re di Napoli, allorché Carlo VIII re di Francia
conquistò il regno; e nel 1501 fuggì da Ischia l’infelice
Federico III, mentre il re di Spagna Ferdinando V insieme
al re di Francia Luigi XII dividenvasi il regno delle Due
Sicilie. Nel 1807 l’isola d’Ischia fu presa dalle truppe inglesi e siciliane che poscia l’abbandonarono. Questa antichissima città, secondo Strabone e Plinio, avrebbe avuto
per fondatori i Calcedonii dell’Eubea. Cadde in potere
dei Greci e dei Romani; i goti, i lombardi ed i normanni
l’occuparono altresì successivamente. Spesso presa e ripresa nelle guerre, di cui il regno di Napoli fu per sì lungo
tempo il teatro, Ischia fu pure esposta alle incursioni dei
corsari dell’Africa. Allorquando comandava in Ischia il
marchese del Vasto, il pirata Ariadeno Barbarossa irritato
contro quel prode capitano, che gravi perdite avea fatto
soffrire a’ turchi, fece una discesa dalla parte di Forio e
saccheggiò questo borgo, non che Panza, Barano e tutto il
territorio sino alla porta del Castello, portando seco quattromila isolani che furono venduti come schiavi. Tuttavolta i danni della guerra, congiunti ai naturali flagelli che
tanto spesso desolarono Ischia, non diminuirono la numerosa e bella popolazione, giacché i suoi abitanti sembrano
partecipare alla fecondità del suolo.
*
Geografia medica dell’Italia –
Acque minerali - Notizie raccolte
dal Cav. Dott. Luigi Marieni – Milano
1870
ISCHIA. - Isola del mare Mediterraneo, situata a li-
beccio del promontorio che divide il golfo di Napoli da
quello di Gaeta. I Latini la chiamarono Enaria, Omero
Inarime, ed i Greci Pitecusa (Plin. lib. III, c. 6). - Ha poco
più di 21 miglia di circonferenza, 3 di larghezza da tramontana al mezzodì, e 5 di lunghezza dalla punta Cornacchia alla punta San Pancrazio, o sia da maestro verso
scirocco. - Ed è discosta miglia 2 dall’isola Procida, 5
e mezzo dal Continente, 10 dalle ruine di Cuma, 17 da
Napoli, 18 dall’isola di Capri, e 38 da Gaeta. - Il monte
Epomeo (oggi San Nicola), elevato sopra il mare metri
768, torreggia nel suo mezzo, ed è circondato di colline
che declinano più o meno lentamente alla marina.
Ischia è l’isola più bella, e la più interessante dei dintorni di Napoli. «L’isola d’Ischia, dice Chevalley de Rivaz,
vista dal Continente, o a certa distanza in mare, rassembra
una piramide che sorge maestosa dall’azzurro piano delle
onde, ed alta elevando il doppio vertice in cielo, compone
il più grandioso e fantastico prospetto che si possa riguardare; ma varcato il canal di Procida, ti si scopre nel pieno
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
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di sua bellezza. A scirocco ed a levante, vestite della più
rigogliosa vegetazione gradatamente si estollono colline
ad anfiteatro fino all’eccelso Epomeo, che fra quei colli
grandeggia. Il quale quasi a piombo stagliato in cima verso settentrione, discende a ponente in un piano declive,
finché termini in un piccol cono così detto di Vico. Qui
verdi boschi e vigneti, che ammantano i colli e serpono
per la montagna, là sterili rocce e bitumi, scemi di ogni
splendore, e sopravi i due cocuzzoli dell’Epomeo in mirabil contrasto. E come ti avvicini all’isola, qui promontori, là baje, poi colli, poi monti si aprono ad uno ad uno
allo sguardo, sempre nuovi, sfoggiati e dilettosi, sparsi
qua e là di terre, di casali e di ville, la cui bianchezza sì
ben campeggia su quella freschissima verdura. Cotanta
varietà di siti, cotal ricchezza di vedute, ti effondono per
gli occhi al cuore una dolcezza, una emozione inesplicabile, che al toccar del lido di quest’isola fortunata cresce
a mille doppi per la salubrità dell’aere tuttor temperato da
soavissimo venticello, fin nei più forti ardori dell’estate.
Le quali cose attentamente osservando, non è chi subito
non divisi non aver forse al mondo un’altra Ischia, ove in
lido sì breve piacquesi la Provvidenza profondere a piena
mano tante bellezze ed incanti, che sopra quante contrade non vaglia a ricordare prima la fanno e prediletta di
natura». I poeti antichi, per indicare che quest’isola è vulcanica e soggetta ai terremuoti ed ai turbini, dissero che
si trovava sepolto sotto di essa il gigante Tifeo o Tifone
(Pindaro, Ode Olimpica IX e Pitia I. - Virgilio, Eneide lib.
IX, v. 716). (1) - Gli Eretriesi ed i Calcidesi, che furono i
primi a popolarla, ed in progresso di tempo anche coloro
che vennero colà spediti da Jerone, tiranno di Siracusa,
furono costretti di abbandonarla dai terremoti, dalle eruzioni di fuoco, di mare e di acque calde. - Timeo di Taormina scrisse, che poco prima dell’età sua (cioè nel secolo
IV avanti l’E. V.) l’Epomeo, scosso dai terremoti, gettò
fuoco e spinse in alto il terreno che si trovava fra esso e il
mare. Questo terreno ricadde poi a modo di turbine, e il
mare da prima ritirossi per tre stadj, poscia inondò l’isola.
Gli abitanti del Continente, spaventati dal grande frastuono che accompagnò questo turbine, fuggirono addentro
nella Campania (Strabone, lib. V, c. 9). - Altri scrittori
citano altre eruzioni di questo vulcano avvenute sotto il
consolato di Sesto Giulio Cesare e di L. Marcio Filippo
(l’anno 91 av. Cristo), ed ai tempi degli imperatori Tito,
Antonino e Diocleziano. - L’anno 1228, regnando Federico imperatore, l’Epomeo talmente infuriò, che Riccardo da San Germano scriveva: Eodern mense julii motis
Isclae subversus est, et operuit in casalibus sub eo degentes fere septincentos homines inter viros et mulieres. - Ma
più famosa fu la eruzione avvenuta, secondo l’Elisio e il
Bacci, l’anno 1301, e secondo Giovanni Villani (Istorie,
lib. VIII, c. 53), e Tolomeo Fiadoni di Lucca, citato da
Humboldt (Cosmos t. IX, p. 478), nel 1302.
Questa eruzione durò due mesi, producendo molti guasti e ruine, e obbligando parte di quegli abitanti a fuggire
nelle isole di Procida e di Capri, a Napoli, a Baja ed a
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La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
Pozzuoli. E vuolsi che allora sia colà rimasta sepolta la
città di Geronda. - Finalmente l’isola d’Ischia soffrì molti
danni dal terremoto del 2 febbrajo 1828, che distrusse in
gran parte Casa-Micciola, ma il re Francesco I la fece risorgere con larghe elargizioni.
Alcuni scrittori accertano che fu nell’isola d’Ischia che
venne stabilita la prima fabbrica d’allume in Italia.
L’isola d’Ischia è compresa nel circondario di Pozzuoli,
e forma due mandamenti che sono quello d’Ischia, e quello di Forio, popolati il primo da 13416 abitanti, e il secondo da 12749. - Essa è molto ricca di acque minerali, note
e molto usate anche dagli antichi, che le lodarono spezialmente nella cura della renella (Strabone, l. c., e Plinio, lib.
XXXI, c. 2). E ricuperò con esse la salute anche la vestale
Attilia Metella. - Sette di queste acque appartengono al
mandamento d’Ischia, e quindici a quello di Forio.
(1) Francesco Petrarca scriveva nel Trionfo della Castità:
Non freme così ‘l mar quando s’adira;
Non Inarime allor che Tifeo piagne;
Non Mongibel s’ Encelado sospira.
*
Itinéraire de Jérome Maraund
d’Antibes à Costantinople (1544)
– Texte italien publié pour la première
fois avec une introduction et une traduction par Léon Dorez, Paris , E. Léroux
Editeur 1901.
(Barbarossa e la sua flotta)
Ali 18 di zugno, il signor Bassan andò in terra et fese
menar in terra tuti li prisoni christiani que erano stati presi, tanto di……… (…)
….. se era partito con 60 galere di Porto Herculi. A quel
giorno medes(s)mo, l’armata gionse in mezo de doe insole non troppo grande, l’una chiamata Maldeventre, et
l’altra Bentiten1, et quivi dete fondo et stete fine a la diana.
Quelle insole sonno fatte cussi et sonno nel mare Tirreno, deshabitate.
Ali 23, a la diana, l’armata partite de l’insula di Bentiten et venete apresso d’una isola ancora lei nel mar Tirreno, propingha a la famosa cità de Napoli a 20 miglia,
chiamata Iscla2. Questa insola è grande asai, habitata,
1 L’isola di Ventotene, chiamata anche Vendotena o Pandataria, si
trova nel mar Tirreno (golfo di Gaeta); è di forma quasi circolare,
inaccessibile quasi da ogni parte.
2 Al margine, di altra mano, si legge: «Pithecusa insula, quae
et Aenaria a statione navium Aeneae dicta est. Homerus Inarime
vocat; a Graecis Pithecusa a figlinis doliorum, Plin.l. 3 c. 6 – L’isola d’Ischia è situata tra il golfo di Napoli e quello di Gaeta, a
12 km da Capo Miseno. Secondo Giovio (lib. XLV, fol. 340) la
città di Centocelle sfuggì al saccheggio e all’incendio solo grazie
frutifera, et n’è signore il Marchese del Guasto3 (3). Vi
sono 8 cassali; lo principale [è] qualle se chiama Iscla,
dove è uno castello insieme con la terra fortissimo. Qui la
più parte dil tempo se tiene la signora Marchisa insieme
con le sue riquesse4 (4). In uno porto da tramontana d’Iscla a 3 miglia, dove sonno certi maguaseni, trovassemo
Sala Rais, il qualle avea brusato la notte inanti certi casali
in questa insola et preso anime utriusque sexus doe milia
et 405 (5).
Il castello et la vila sonno fatti cussi.
Inanti di questo castello d’Iscla, l’armata stete uno
poccho in giolio6 (7) et poy andò far fondo sotto di la
terra de l’insola chiamata Progita7 (8), insola belissima,
abondante de frute d’ogni sorte. Questa insolla è piana
et competentemente granda, subdita (chomo me fu ditto) al marchese dil Guasto, et distante di terra ferma uno
miglio, de la cità de Napoli 12 miglie. In questa insola vi
sonno belissimi giardini di diversi gentil’homini Napolitani. Vi sono certi cassali spesialli. Vi è la terra chiamata
Progita, la qualle è fatta cussì.
hore dapoy mezo giorno, l’arma(r)ta partite di Baia, et
andando verso di Napoli, Janetin Doria con 30 galere stava drieto dil capo più presso de Napoli. Et subito visto
que hebe l’armata, se messe a fugire verso di Napoli, et la
Riale nostra insieme il signor prior di Capoa et Sala Rais
li donorono la cassa fin dentro dil porto di Napoli, et de
le nostre galiote li furono apresso a tiro d’archibuso, et
Janetin con soe galere se mese sotto dil castello di l’Ovo,
et lasandolo le nostre galere feseno vella verso l’insula di
Capri.
*
Ali 26 di zugno, li Turchi feseno loro basano sotto dil
castello di Baia, de li Cristiani que erano stati presi al
insula d’Iscla, qualli erano in numero anime utriusque
sexus doe milia et quaranta.
A quel medesimo giorno, cioè ali 26 di zugno, ale 5
I primi rimedii adoperati dagli uomini a conforto de’ mali
furono senza dubbio quelli presentati spontanei dalla natura, fra’ quali le acque termali furono predilette, e tenute in
tanto pregio, che venivano poste sotto la tutela di una divinità. Ancora si trovano in Ischia le statue votive ad Apollo
ed alle Ninfe custodi delle acque. Poscia furono le terme
naturali confidate alla cura di appositi magistrati; e da ultimo le loro virtù, segnate sulle lapidi, richiamavano da terre
lontane gl’infermi disperati da’ medici. E quando ne’ tempi
chiamati barbari, le scienze greche e latine decaddero, più
viva surse la fede per queste acque, alle quali attribuivansi
portentose virtù, e ricevevano enfatici nomi, e predicavansi
rimedio di ogni disperato malore. Laonde Ludovico II imperatore nell’anno 866 andò a prendere i bagni in Pozzuoli, e
Federico II nel 1227 ricercò in quelle acque un ristoro alle
abbattute sue forze.
Intanto questo entusiasmo che eccitava la speranza di tutti
coloro che soffrivano croniche infermità, nocque alla scienza, e le acque termali sonosi lasciate, e può dirsi essere ancora in balia dell’empirismo; e le loro virtù esser dettate più
dalla tradizione che dalla ragione terapeutica.
Le acque termo-minerali d’Ischia, più delle altre famose,
venute a grande rinomanza nei secoli passati, erano forse più
delle altre, in mezzo alla stessa loro celebrità, sconosciute.
Son pochi anni soltanto da che la chimica e la clinica han
rivolto le loro cure alla conoscenza delle loro facoltà. L’ Accademia Reale delle Scienze destinò dotti uomini e ricchi
mezzi per 1’analisi delle principali acque, ma non ottenne
quanto desiderava e poteva ragionatamente aspettarsene; per
modo che la più celebrata, quella del Gurgitello, non ha ancora un lavoro scientifico degno de’ tempi nostri, ed aspetta
con ansia la pubblicazione dei diligenti studii che vi ha fatto
il nostro chimico Raffaele Napoli.
La clinica ancora vi ha guadagnato negli ultimi anni, ed il
dott. Chevalley de Rivaz, raccogliendo con molta diligenza
ed amore tutto ciò che si era osservato o fatto, aveva in gran
parte disnebbiate le tenebre che tenevano involte le virtù te-
alle suppliche di Leone Strozzi: «Indeque directo cursu in Aenariam delatus, odii sui ad Nicem in Alfonsum Davalum concepti
omnem acerbitatem effudit, quum nocturna descensione facta,
undique insulam complexus, omnes prope incolas, nequicquam
in altissima Abacoeti montis culmina evadentes intercepisset, tresque praecipuos ejus insulae pagos, Forinum, Pansam et Varranium, evastasset. Ipsum vero oppidum Pythacusas, Davali sedem,
abrupto in colle disjunctaque a mari positum, quum tormentis
egregie esset permunitum, aggredi non potuit. Exinde abradens
Prochitam, illato minore detrimento, quod incolae demigrantes
magna ex parte Pythacusas confugissent, in Puteolanum sese intulit sinum, eo ordine ut classis a Miseno ad Avernum toto Baiano
litore extenderetur, tutaque esset a tormentis ejus excelsas arcis,
quae est ad Baulos, antiquis Hortensii oratoris deliciis nobilis».
3 Il Marchese di Pescara, Ferdinando Francesco d’Avalos, marito
di Vittoria Colonna, era morto a 52 anni, nel 1525, lasciando i
suoi beni al cugino Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto, colui
che fece proditoriamente assassinare Antonio Rincon e Cesare
Fregoso nel 1541.
4 Vittoria Colonna aveva soggiornato più volte a Ischia; la sua
corrispondenza l’attesta per gli anni 1525, 1526, 1528, 1530,
1531, 1532 et 1535. (V. Carteggio di V. Colonna..., raccolto e
pubblicato da Ermanno Ferrero e Giuseppe Müller, Torino, 1889,
e Supplemento di Tordi, 1892). – Ma si tratta qui della moglie del
cugino Alfonso (cf. la nota precedente), Maria d’Aragona
5 Secondo Adriani (t. II, p. 121), che pone il saccheggio e gl’incendi di Procida prima dell’attacco d’Ischia, Barbarossa prese in
quest’ultima isola «più di 1500 persone», e non oso intraprendere
l’assalto alla fortezza che era considerata inespugnabile. - Segni
(t. II, p. 324) dice, come Paolo Giovio, che il Bassa saccheggiò e
devastò Ischia e Procida per vendicarsi degli aiuti offerti dal Marchese del Vasto a Nizza assediata
6 Giolio, per giolito. Cf. Jal, Gloss. naut., p. 783 a
7 Prochita la chiama Plinio perché staccatasi da Aenaria. Cf. Hist.
nat., lib. III, c. 6.
Annali Civili del Regno delle
Due Sicilie, volume LX, 1857 -
Statistica Medico-Chirurgica degli infermi curati con le acque termo-minerali di Gurgitello
nell’ospizio del Pio Monte della Misericordia in
Casanizzola nella state dell’anno 1856, scritta
da Giuseppe Palma. Anno terzo, Napoli 1856.
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
23
rapeutiche delle acque, ed aveva aperta la via a studii più
metodici e più diretti. Se non che troppo vaga riusciva la
clinica poggiata sopra fatti sparsamente raccolti, spesso non
seguiti, o ancora alterati da’ racconti d’infermi creduli e speranzosi; o da speculatori interessati, che facevano commercio di quei naturali rimedii; e 1’opera di quel culto medico, e
di altri molti che lo imitavano, o tardi avrebbe conseguito lo
scopo, o ancora incompiutamente.
Per altra via e più sollecitamente doveva la umanità e la
scienza conseguire cotanto benefizio, e l’operosa carità, guidata dal sincero desiderio del bene, ha fornito i mezzi per
conoscere il vero. Vediamolo.
Nel primo anno del secolo XVII surse in Napoli una istituzione di beneficenza, che onora ad un tempo la civiltà
cristiana, e la carità delle più nobili e cospicue famiglie di
questa città. Chiamossi Monte della Misericordia, perché,
impinguandosi di ricchi legati e doni, provvedeva alle opere
della misericordia, massime al conforto ed alla cura degl’infermi. Fin da’ primi anni i fondatori stessi vollero somministrare agli ammalati poveri i mezzi di profittare delle acque
d’Ischia, scegliendo le più famose ed efficaci; e provvide
perché in ogni anno intorno a 400 infermi vi si recassero a
spese del pio Istituto. Ma i ricoveri degl’infermi ed i bagni
non corrispondevano perfettamente al caritatevole scopo
dell’opera, onde con provvido consiglio l’Istituto eresse,
presso le sorgenti delle acque del Gurgitello, quel bellissimo
ospedale conosciuto col nome di Ospizio del Monte della
Misericordia, e che ora, migliorato ed ingrandito accoglie iu
ogni anno meglio di 700 infermi fra uomini e donne.
Questa caritatevole istituzione, facendo prescegliere ogni
anno da un medico consiglio quegl’infermi pe’ quali le acque si credevano indicate, poneva tutta l’opera sua perché ne
profittassero con ogni comodità, largamente provvedendo a’
poveri quei conforti, che difficile riusciva a’ ricchi procurarsi coi propri mezzi. Ognuno avrebbe creduto aver la carità
fatto abbastanza in favore degli infelici; ma la intelligente
pietà de’ nobili uomini deputati negli ultimi anni a reggere le
opere del pio istituto, sapientemente suggerì non doversi più
confidare unicamente alla tradizione ed alla opinione l’uso
di quelle acque; e doversi ordinare a forma clinica quell’ospizio, dando così alla umanità ed alla scienza il frutto di una
intelligente osservazione, della quale i soli ospedali sono capaci; e circoscrivendo con regole esatte la indicazione delle
acque, in maniera che ne ritraessero gl’infermi quel bene che
possono dare e s’impedissero i danni che spesso derivavano
dalla cieca confidenza o dalla preoccupazione.
Fu questo il gran passo che si diede alla conoscenza del
vero; fu questo il mezzo per abbattere i pregiudizi e gli errori. Il Governo del Monte della Misericordia chiamò a consiglio i medici meglio sperimentati per determinare le malattie nelle quali le acque termominerali d’Ischia potevano
riuscire utili, e deputò altri istruiti medici a ridurre l’Ospizio
di Casamicciola in bene ordinata clinica. Già alcuni lavori
erano stati promulgati e primi fre questi e più importanti furono quelli del dott. Raffaello Zarlenga, il quale ad una solida istruzione congiungeva uno spirito di esatta osservazione.
Ma in onore del vero vuolsi confessare che l’ordinamento
più metodico del servizio medico, ed una cura più intelligente e più costante nella scelta degl’infermi, e nel ragionato
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La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
uso delle acque, debbesi all’attuale Governo del pio Istituto,
ed alle sollecitudini di S. E. il Duca di Laurino, maggiordomo maggiore di S. M. la Regina, che ne è il Soprantendente.
Corre il terzo anno da che, sotto i suoi auspicii, il colto medico Giuseppe Palma pubblica la statistica medico-chirurgica
degl’infermi curati con le acque termo-minerali di Gurgitello: Opera importantissima dalla quale molti pregiudizii sono
stati distrutti, e la indicazione di quelle acque viene scientificamente determinata per mezzo di un’osservazione esatta, e spesso ancora ripetuta. E si può aggiugnere altresì che
quest’opera è una delle pochissime scritte senza spirito di interesse o di parte: poiché quest’Ospizio aspira ad essere utile
agl’infermi poveri, non ha bisogno di cercare avventori, ed
ha il giusto desiderio di scegliere fra’ molti che si presentano
quelli soli a’ quali le acque possono riuscir proficue. (...)
*
Istorie Fiorentine dall’anno 1527
al 1555 scritte da Bernardo Segni, vo-
lume unico, Firenze 1857
Ischia rifugia i nobili di Napoli - Lautrech in questo mezzo nel principio del mese d’aprile teneva assediata Napoli,
ove si eran ridotti ottomila fra Spagnuoli e Tedeschi, con tutti li capi imperiali, e con millecinquecento cavalli, dove avevano assai copia di grano, ma difficoltà della macina, perché
in mano de’ Franzesi erano venute le mulina del fiumicello
del Sebeto e della Clue, talmente che erano sforzati far con
mulina a braccia. Del vivere delle altre cose non vi era molto
provedimento, ed il vino fu consumalo e tostamente ridotto
al poco dalla gente tedesca impazientissima di quel mancamento. Onde avveniva, che i nobili Napoletani fortemente
patissino, essendo lor vote le case di vettovaglia, sì che molti
se n’ andavano a quell’isole vicine, come a Capri, a Procida,
ed a Ischia, a fuggire i pericoli della guerra, e l’insolenze de’
difensori della patria loro.
Saccheggi dei Turchi - … Barbarossa, che vedendosi già
alla fine dell’autunno voleva pur tornare in Costantinopoli,
senza pensare a’ comodi de’ Fuorusciti o de’ Franzesi, pose
l’armata all’isola dei Giglio, e vi fece molta preda d’anime.
Dopo questo accostatosi a’ porti del papa senza fare alcuna offesa, fu presentato da lui magnificamente, di sorte che
pareva che il papa e Barbarossa si fussero conosciuti gran
tempo. Scorse dipoi con l’armata la riviera di Napoli, dove
messe a sacco la bella isola di Procida e quella d’Ischia, nelle quali ultime fé maggior danno per rimunerare il marchese
del Vasto in beneficar la sua patria de’ soccorsi dati a Nizza.
Comandò oltre a questo a Salecho suo capitano, che battesse
Pozzuolo, ed egli mentreché voleva dall’altra riva fare sbarcare l’artiglierie e le genti, comparendo dipoi il viceré con la
cavalleria di Napoli e con grossa gente, s’astenne di più oltre
tentare, rivolgendosi alla Calabria.
*
Tra Forio (Ischia) e Torre del Greco
Antonio Di Maio “’Nduniuccio ‘u russ”
Un feeling che avvicina Torre del Greco alla meravigliosa isola d’Ischia (antica Pitecusa), da sempre ricordata come
l’isola verde, è la storia di Antonio Di
Maio (Forio, 1929 - Torre del Greco,
1992) e la sua “family” di titolata origine, da Francesco (1889-1972), detto ‘U
russ per la tonalità rossiccia della faccia,
e da Teresa Calise. Undici furono i figli
di cui, purtroppo, otto perirono per varie
malattie. Francesco, che sin da giovane
ostentava un paio di baffi alla Vittorio
Emanuele III, di professione barbiere,
emigrò in America ove si stabilì a Brooklyn, trovandovi un lavoro come aiutante barbiere. Legato ai sentimenti e
valori patriottici, ritorna in Italia per difenderla in armi nella guerra italo-turca
e nella prima grande guerra mondiale
(1915-1918): qui assolve il compito di
barelliere. Dopo un terribile scontro con
il nemico, esce, insieme ad altri camerati, a raccogliere feriti che saranno, poi,
trasportati in un ospedale da campo. Lo
spettacolo che si presenta ai suoi occhi
è terribile: corpi smembrati, arti disseminati un po’ dovunque, addomi squarciati.
Rientrato al campo in condizioni fisiche
precarie per l’enorme fatica, non trovando un posto per riposare, cade stanchissimo tra i feriti, riuscendo a dormire; si
svegliò fra le braccia di un soldato che
di vivo non aveva più nulla. Fu decorato con medaglia al valor militare per
la Campagna italo-turca e per la prima
guerra mondiale.
Rientrato sull’Isola, aprì a Forio una
bottega per parrucchiere e si iscrisse, per
benefici di lavoro, al Pnf, facendo indossare ai figli la divisa di balilla negli
anni ruggenti. Un suo cugino, Michele,
anch’egli barelliere (guerra del 19151918) fu scelto per una missione: si tirò a
sorte fra ventidue barellieri... uscì anche
il suo nominativo. Arrivato sul posto, richiamato dai lamenti dei feriti, mentre si
attivava a soccorrerli, una bomba esplose e i corpi furono dilaniati. Non si trovò
più nulla.
Antonio, ultimo figlio, vive gli anni
della beata adolescenza sull’isola, frequenta le scuole d’obbligo, vestendo,
quando le circostanze lo richiedevano, la
divisa da balilla; impara anche i segreti
del mestiere di barbiere. Nei suoi occhi
rimarranno scolpiti i ricordi dell’ultimo
conflitto mondiale, quella seconda guerra mondiale che sconvolse il mondo.
Ischia non fu risparmiata. Alcuni torresi
vi trovarono rifugio presso famiglie di
pescatori, quando cominciarono i primi bombardamenti sulla città corallina;
forse finirono dalla padella nella brace.
Vi furono varie incursioni aeree da parte
anglo-americana e tedesca. Durante un
bombardamento aereo la gente trovò rifugio in vari ricoveri nei pressi del porto
di Forio. Da uno di essi (deposito sotterraneo di carrozze), un amico di Antonio,
ricordandosi di aver lasciato a casa dei
soldi e qualche oggettino di valore, sbucò fuori e di corsa si recò presso la propria abitazione non molto distante. Nel
momento in cui aprì la porta, cadde una
bomba che distrusse tutto: il suo corpo
non fu mai rinvenuto. Si ricorda anche
un aereo inglese che nel 1945 per cattive
condizioni atmosferiche andò a sbattere
sul monte Epomeo: i suoi occupanti (circa un centinaio) morirono tutti e un’ala
dell’aereo è rimasta ancora conficcata su
di una tettoia di un vecchio casolare. Dei
soldati del Regno Unito gli abitanti di
Ischia serbano un altro souvenir: essi erano accampati su di un tratto di spiaggia,
detta appunto la spiaggia degli Inglesi nei
pressi di Ischia Porto. Fra Capri e Ischia
era ancorata una portaerei (e tre nel porto
di Napoli) da cui partivano i bombardieri, diversi dei quali sganciarono ordigni
esplosivi su Torre del Greco. Poi vennero
gli alleati che portarono un po’ di benessere; un certo Agostino Sarpone (povero
mendicante), preso dai morsi della fame,
si esibiva per le strade e piazze, mettendo
su un piccolo spettacolo: ingoiava con un
sol boccone pesche, pere, albicocche. A
questo show assistevano, oltre agli abitanti, gli incuriositi militari anglo-americani: era il tempo delle Am Lire, sigarette
Pall Mall e Lucky Strike.
I Di Maio ebbero dei riconoscimenti
dalle forze alleate; essi mai dimenticheranno i morti e i feriti causati dal bombardamento aereo in zona Porto di Forio. Durante le operazioni di recupero,
la benna di una pala meccanica, mentre
sollevava macerie, colpì la testa di una
donna che morì sul colpo. Nel dopoguerra Antonio, detto “‘Nduniuccio ‘u russ”
si arruolò in Marina Militare con la qualifica di segnalatore, era il 1948. Fu destinato a La Spezia, Chiavari, Capo Spartivento (Calabria), isole Egadi, Taranto,
Livorno, Lacco Ameno e Punta Imperatore (Ischia). Nel 1957 sposò Franca
Iacono, da cui ebbe tre figli: Francesco
(vigile urbano del Comune di Torre del
Greco), Nicola (radiotecnico) e Teresa
(chef di rango a Berlino, in un locale
denominato “Argentinos Steak House”).
Il padre di Franca, Nicola, detto “Il conte Perazzo”, era proprietario terriero a
Panza d’Ischia (contrada di Forio); militare in Esercito, richiamato, fu inviato
a combattere sul fronte russo ove fu fatto prigioniero, soffrendo fame e freddo.
Fece ritorno a casa nel 1944 ove finì il
servizio militare. Il cognato di Antonio,
Giorgio, classe 1923, ex capostazione
della Circumvesuviana, nato a Pompei,
durante l’ultima guerra fu preso dai tedeschi al valico del Brennero. Condotto ad
Offenbach am Main, fu rinchiuso in una
cella di circa sei metri quadrati insieme
ad altri 27 prigionieri. I soldati tedeschi
agli ordini di un comandante sadico e
feroce li picchiavano di frequente e due
prigionieri morirono. I poveri prigionieri, allo stremo delle forze, furono liberati
da un gruppo di partigiani; l’ufficiale tedesco fu catturato e ad ogni internato fu
imposto di strofinare con una grattugia il
corpo del sanguinario aguzzino. Anche
a Giorgio toccò quest’agghiacciarne destino e sul corpo non v’erano più spazi
per lo strofinio: lo fece sotto i piedi (e il
tedesco era già deceduto). Antonio andò
ad abitare nel 1964 a Torre del Greco
per stare vicino ai genitori: vi è rimasto
per circa trent’anni, amando la città; ha
dimorato in via Martiri d’Africa, via
Cimaglia, Parco Giusy e Parco Merola.
Da maresciallo di Marina passò nelle FS
come capo squadra, lavorando a Gianturco. Era affabile con la gente torrese, gli
piaceva il nostro clima. Appassionato di
film western (ammirava molto Clint Eastwood), amante della musica classica e
country, suonava nei ritagli di tempo libero il violino. Tagliava gratis i capelli
agli amici e ai colleghi di lavoro: si divideva, lui, uomo di navigata esperienza e
di esile corporatura, dall’indole isolana e
vesuviana, fra Ischia e Torre del Greco.
Era legato al mare e al verde.
(Peppe D’Urzo
nel sito
www.torreomnia.com/personaggi.
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La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
Casamicciola - Natale
1934
La rappresentazione del Presepe *
Da un articolo
di Antonina Garise De Palma
(La Rassegna d’Ischia n. 10/1990
(…) Al calar delle prime ombre scendono dalla
parte alta di Casamicciola personaggi e quadri viventi in corteo: ecco re Erode, superbamente assiso
nella adorna portantina, trasportata a spalla; ecco
uno dei Magi col suo seguito; ecco un carro allegorico rappresentante un loggiato in stile corinzio
che ospita bellissime zingarelle che cantano il coro
della Traviata. Autore di questa piccola meraviglia
è Francesco Mazzella, detto “Rurille”, “apparatore”
nelle chiese. Sono presenti anche i due rioni viciniori alla Marina, con personaggi popolari ed uno dei
Magi con relativo seguito.
Ma Perrone, il rione eterno rivale delle contrade
di Casamicciola Alta, anche questa volta si fa onore
sotto la guida della famiglia Mennella, quella della
fabbrica di terrecotte. Gli organizzatori sono Mastro
* Foto realizzate dallo studio d’arte di Attilio Maiorana, offerte
dall’ing. Fiorenzo Conte: esse si possono vedere anche nel sito
dell’Archivio storico dell’Istituto Luce (www.archivioluce.
com/archivio - key words : ischia, casamicciola).
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
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Vincenzo, Mastro Girolamo e Luigi.
Nella piazzetta Vittorio Emanuele è il raduno dei vari partecipanti.
Nel bel mezzo di questa troneggia il
carro della Sibilla Cumana. Reminiscenze classiche, vecchi racconti isolani che vogliono la presenza
della sacerdotessa a Casamicciola
al tempo del tiranno Aristodemo,
nonché la sicura influenza culturale,
che al tempo Mons. O. Buonocore
esercitava sulla gioventù studiosa,
ispirano il carro allegorico: l’antro
roccioso con accanto una pianta di
fico si affaccia quasi sul mare rappresentato da un movimento di onde
azzurrine, prodigio dell’intelligenza
creativa e tecnica dei Mennella.
Impersona la sacerdotessa di Apollo la bellissima Virginia Molinaro,
statuaria nel suo abito bianco, mentre un velo valorizza, adombrandola,
la sua bellezza classica. Ella in piedi
getta al vento, anzi al mare, i suoi
vaticini scritti con un’antica penna
d’argento su foglie di fico. Il pescatore Ruscello (personaggio della
Cantata dei pastori) dalla sua barca
li raccoglie. Ruscello era il giovane
Peppino Mennella, mentre suo fratello minore Gemì (diminutivo di
Girolamo) era il capo degli angeli e
il suo posto fu al centro della schiera bianco-alata che incorniciava la
grotta.
Anche San Giuseppe proveniva da
Perrone, nella persona del vecchio e
povero “Bicchierino”, come lo chiamavano tutti e del quale non ho mai
saputo il vero nome.
Il sig. Antonio Scotti di Uccio
impersona uno dei magi, quello
che porta l’incenso. E poi graziose
“pacchiane”, come Marianna Della
Monica, Maria Mennella (figlia del
cancelliere don Peppe), Iduccia Molinaro, senza dimenticare zia Nunziatina orgogliosa del suo costume
autentico della Ciociaria: ognuna di
esse portava il suo dono al Signore.
Poi c’erano le pastorelle, alcune
autentiche, come Caterina e Luchetta; i caprai, come Giorgio Aiello col suo gregge belante. E ancora
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La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
tanti altri che vengono alla mente, a
guardare le foto che conducono fuor
dall’oblìo particolari dimenticati.
Guida il corteo perronese Mastro Vincenzo Mennella, vestito da
Armenzio, l’anziano pastore della
“Cantata”.
Nella sera tranquilla piccoli e grandi, compenetrati nel proprio ruolo,
avanzano festosi, preceduti da una
luminaria ad arco portata a mano
e che andava dall’uno all’altro lato
della stretta strada che congiungeva
Perrone con la Marina.
Questi particolari me li ha raccon-
tai mia madre di 84 anni, nonché il
sig Francesco Mennella e sua moglie Giuseppina, ai quali va il mio
grazie; essi infatti mi hanno aiutata
ad andare indietro con la macchina
del tempo e a fermarmi per un poco
in un’epoca che il ricordo ha reso
più preziosa non solo a miei occhi,
ma anche a quelli di coloro che vissero quell’avvenimento: una preziosità simile a quella che possiede un
vecchio gioiello di famiglia.
*
“Leggere” il Presepe
di Giulia Colomba Sannia
Nella notte più buia dell’anno, nella
grotta più povera della terra, nei momenti più cupi della vita, si accende la
luce di Dio. È il Natale, il solstizio di
inverno che segna il passaggio dalle lunghe tenebre alla rinascita del giorno che
comincia ad allungarsi. In quella grotta
inizia la vita.
Nessuna suggestione può paragonarsi
al misterioso incanto che emana dalla
rappresentazione del presepe. Piccolo e
indifeso, quel Bambino divino insegna
la forza della fragilità.
Perciò, durante le feste natalizie, il
Presepe e l’albero scintillante di luci, in
forme e modalità differenti compaiono
in tutte le città: è il bisogno di ricreare
questo incanto. Ma è specialmente a Napoli che il Presepe assume un’importanza particolare, perché attinge ad una tradizione radicata nei secoli. La strada di
S. Gregorio Armeno, nel centro antico,
ha un’altissima concentrazione di botteghe che si affacciano ai due lati della
via, con un’esposizione straordinaria di
pastori, di casette, di grotte e di oggetti
e di materiali di ogni tipo per allestire il
presepe. Già da novembre fino ai giorni delle feste, S. Gregorio Armeno con
l’attigua S. Biagio dei Librai, diventa,
di anno in anno, sempre più impraticabile. Una folla immensa vi si addensa,
si inoltra lentamente lungo la via in salita, si sofferma, curiosa e smemorata, di
fronte ad ogni bancarella, anche senza
indulgere all’acquisto. È un fiume umano inarrestabile che travolge senza sosta
chi si addentra in questa via, eppure nessuno si sottrae al rito di visitare questo
luogo durante il Natale.
Anche i presepi delle chiese sono molto belli, ma non eguagliano il fascino
di questo piccolo tratto di strada. E se
si moltiplicano le iniziative di Presepi
viventi con elaborate e fascinose scenografie, con musiche e recitazioni, restano le strutture, gli oggetti e i pastori di
S. Gregorio Armeno a creare il senso del
Natale.
Per capire le ragioni di tanto interesse,
occorre ripercorrere la complessità del
Presepe napoletano che nasce dall’intrecciarsi di molte componenti: quella
religiosa, quella storica, quella antropologica specialmente e poi quella artistica, quella teatrale, quella letteraria. Per
semplificarne la decodifica, separeremo
le diverse letture, considerando, però,
che quella religiosa e quella antropologica sono le più rilevanti perché legate
alla tradizione.
La lettura storica
Il vangelo apocrifo di Giacomo costituisce la fonte delle più antiche costruzioni plastiche, ma il primo presepe
noto è quello che nasce a Greccio in
Umbria, nel 1223, si dice ad opera di S.
Francesco.
Con l’Umanesimo nel ‘400 e nel ‘500,
a Napoli, compaiono i primi pastori
a grandezza naturale, come ad esempio, quelli conservati nella chiesa di S
.Maria del Parto, opera di Giovanni da
Nola, per il presepe voluto da Iacopo
Sannazaro. E non è un caso che proprio
il Sannazaro l’abbia promosso, perché
egli è l’autore di quel romanzo pastorale, Arcadia, nel quale ripercorre il mito
di questa zona ideale della Grecia, nella
quale gli dei erano scesi a mescolarsi
con i pastori. Il presepe, infatti, si configura come “una nuova arcadia”, simile
al luogo ideale della antichità, un’età
dell’oro, nella quale si era realizzata una
felice armonia sulla terra. Così, anche
nel presepe, per una sospensione temporale, al pastore, all’uomo, è concessa
la vicinanza col divino.
Ma la diffusione capillare del presepe
si ha nel ‘600, quando i Gesuiti, in tempo di controriforma, se ne servono per
diffondere la fede presso i ceti più umili.
È allora che avviene la sua destoricizzazione: il popolo adatta le proposte religiose alle proprie tradizioni e ai propri
gusti. Cominciano, perciò, a comparire
sfondi paesaggistici napoletani, come
il Vesuvio, e personaggi locali: non è
più Betlemme il luogo della nascita, ma
Napoli. Si attua in tal modo un compromesso accomodante tra la propaganda
religiosa, subita in modo continuo, e il
bisogno di tenere vive le vecchie mitologie, nelle quali il paesaggio aveva
sempre un carattere arcadico- pastorale,
anche se legato alle attività marinare del
luogo.
Nel ‘700, Napoli è capitale europea
con il regno di Carlo III di Borbone: si
crea un clima culturale laico, di lusso e
di eleganza, che continuerà fino alla fine
del secolo con Ferdinando I. Il presepe,
allora, si sposta dalle chiese ai palazzi
aristocratici e alle regge, diventa un’esperienza «mondana, disincantata e laica, snobistica e sostanzialmente estranea
a i fatti della fede, teatrino profano che
la chiesa rifiuterà» (Raffaello Causa). I
pastori, perfetti, saranno rivestiti di stoffe raffinate di S. Leucio mentre per tutto
l’‘800 e l’inizio del ‘900 continuerà la
produzione di statuette di terracotta, di
fattura povera per il popolo, nella via tra
S. Biagio e S. Gregorio Armeno. Negli
anni sessanta, del ‘900, durante il boom
economico, nella società dei consumi,
l’albero, vero o sintetico, di tradizione
nordica, diviene un sostitutivo comodo
e frettoloso del presepe, più oggetto di
arredo che segno di fede. Compaiono i
primi pastori plastificati, in serie, creati
a Lucca.
Sembrava proprio sancita la morte di
questo artigianato, non solo napoletano.
Ma nel 1977, Il Mattino intitolava il proprio inserto di dicembre “La rivincita
del Presepe”. La critica al consumismo,
il rifiuto dello scempio di abeti, l’attento sguardo sulle radici culturali di ogni
luogo, infatti, avevano fatto rinascere
di improvviso l’interesse per il presepe.
Questo interesse è cresciuto di anno in
anno e si conserva ancora inalterato. La
produzione di pastori cinesi di fattura simile a quella napoletana dimostra ormai
il radicamento della tradizione che convive tranquillamente con quella dell’albero sintetico, “ecologico”, assunto a
simbolo di vita
Il volto teatrale del presepe
Il ‘600, come si sa, è il secolo del Barocco che qualcuno ha definito il gran
teatro del mondo. La teatralità, insieme
con la metafora, domina, infatti, la cultura barocca e investe ogni aspetto della
vita quotidiana - Napoli all’epoca era
sotto il dominio spagnolo - dall’abbigliamento fastoso, alle feste, dalle cerimonie religiose al linguaggio pomposo. Il presepe diventa, così, una vera e
propria scena teatrale da curare in ogni
suo aspetto. Da allora e poi nel ‘700, si
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diffondono tecniche scenografiche sofisticate per gli sfondi e per i paesaggi, la
cui realizzazione era affidata agli stessi
scenografi che lavoravano per il Teatro
S. Carlo. A inizio del ‘900 si ha notizia
di presepi mobili poichè i pastori si friccecano, si muovevano, manovrati sul retro con i fili come le marionette. Ancora
oggi effetti di acqua che scorre, movimenti meccanici di braccia, gestualità di
vario tipo fanno del presepe come una
sorta di rappresentazione teatrale.
Il presepe espressione
di arte minore
Nel ‘700 il presepe napoletano rivela
insospettati e strettissimi legami con
l’arte coeva arcadica e neoclassica. I pastori, vestiti con abiti di seta di S. Leucio
hanno volti e mani opera del Sammartino e del Celebrano, famosi artisti attivi
a Napoli e ricordano i putti di marmo o
di bronzo del Vaccaro. Gli sfondi del
presepe si ispirano ai paesaggi dei celebri pittori Micco Spadaro e Salvator
Rosa, mentre i sontuosi cestini di frutta di cera, che arricchiscono le scene,
richiamano la pittura naturalistica delle
nature morte. A fine ‘700 le rovine di un
tempio classico sostituiscono la grotta e
Gesù nasce tra le colonne diroccate: è il
gusto neoclassico che si diffonde dopo
le scoperte di Pompei e di Ercolano,
mentre i quadri del Coccorante suggeriscono immagini tenebrose già preromantiche. Ai confini tra arte e letteratura, invece, si colloca quella satira del
villano che emerge nel vasto repertorio
di figure caricaturali tra i preziosissimi
pastori settecenteschi: storpi, orbi, gozzuti, pezzenti, un mondo di minorati che
si inserisce tra l’eleganza delle sete e
degli ori e mostra un realismo di straordinaria efficacia.
La letteratura presepiale
a Napoli
Uno dei primi testi sul presepe è il De
partu Virginis (vol II, vv. 341 segg.) di
Iacopo Sannazaro (1458-1530), che, in
distici elegiaci, descrive la nascita di
Gesù nella grotta, tra il bue e l’asinello. È interessante rilevare il particolare
inserito dal poeta che, a differenza del
testo evangelico di Luca (2,7) nel quale la Vergine poggia il bambino appena
nato nella mangiatoia, dice: se lo stringe
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La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
al petto dolcemente (v.39,exceptumque
sinu blandeque ad pectora pressum).
Il più famoso testo letterario, però, è
forse la Cantata dei pastori (1699) del
gesuita Andrea Perrucci (1651- 1704).
È anche questo un esempio significativo della contaminazione seicentesca tra
cultura religiosa alta e tessuto popolare, poiché convivono personaggi come
Razzullo napoletano vagabondo, l’oste
Belfagor arcidiavolo, la Madonna e S.
Giuseppe.
Anonime cantate e nenie a fine ‘800
e inizio ‘900 compaiono accanto alle
poesie di Salvatore Di Giacomo (18601934), di Ferdinando Russo (18661927). I canti di Natale rispondono al bisogno di un’attenzione più calda alla religiosità e si collegano all’interesse per
le canzoni napoletane popolari di autore. Ma è certamente il notissimo Natale
in casa Cupiello (1931) di Eduardo de
Filippo (1900-1984) a sancire la dimensione simbolica del Presepe come un
bisogno infantile del cuore, la metafora
di una fuga dal mondo che disillude e
ferisce: Lucariello tutto preso dal suo
presepe non vede il male intorno a sé.
La lettura antropologica:
i “segni” del presepe.
Il presepe appaga il bisogno naturale
di palingenesi, cioè di rinnovamento,
che è in tutti gli uomini, credenti e non
credenti. Il momento del Natale segna,
infatti, quella che è stata definita “una
nuova infanzia della storia”. Forse si
può ricominciare, forse la speranza di
rinascere non è spenta…
La cultura popolare d’altro canto, ha
avvertito sempre l’esigenza di umanizzare il divino: si pensi ai santi e agli
angeli, alle anime del purgatorio, che
rappresentano tutti un ponte tra umano e
divino tra l’al di qua e l’al di là. Nel caso
del presepe, quindi, ci troviamo proprio
di fronte all’uso di un mito che si cala
nel tessuto quotidiano. L’occasione
dell’incontro tra il terreno e il divino è
data, per gli strati più umili della società,
dalla inversioni dei ruoli (come nel Carnevale), in cui si risolve la conflittualità
sociale: un Dio povero ha bisogno di pastori e contadini, il ricco e l’intellettuale offrono omaggio al debole bambino,
angeli e stella cometa, presenze soprannaturali, si mescolano con la realtà terrena. Sembra perciò, tornare finalmente
la mitica età dell’oro di cui parlavano i
poeti, come Virgilio, che credevano possibile realizzarsi una felicità terrena senza tempo e senza storia, nella quale tutti
gli uomini, per un meccanismo compensativo, erano uguali e godevano della
condizione edenica prima dell’ingresso
del male nella vita umana. Si spiega, in
tal modo, l’assenza di veridicità storica
degli allestimenti presepiali, non solo
napoletani: per esempio a Toledo, in
Spagna uno dei pastori è l’incappucciato, lo stesso che segue la processione del
Venerdì santo. Per questa ragione ogni
anno gli artigiani di S. Gregorio Armeno creano nuove figure corrispondenti a
personaggi della politica o del mondo
dello spettacolo: Maradona, Berlusconi, Ciampi, Cannavaro ecc. Ma perché?
Perché nel momento in cui questi, confusi tra i pastori tradizionali, entrano a
far parte dell’universo del presepe si
destoricizzano, diventano creature fuori del tempo e dello spazio, consegnate all’incanto di una società di uguali,
in ginocchio di fronte ad un Bambino/
Dio. E tutti i mestieri vi sono rappresentati per nobilitare il lavoro umano. Solo i
Magi sono isolati: sono gli intellettuali, i
sapienti dell’antichità, gli unici ad essere guidati non da un angelo, ma da una
cometa, loro che avevano tanta dimestichezza con le stelle.
Lo sfondo, perciò, è diverso secondo
il luogo: il Vesuvio a Napoli, o il monte Pellegrino a Palermo per marcare un
bisogno di bene insopprimibile, per tutti
senza distinzione. Un luogo, un giorno,
vengono assunti fuori dalla storia come
un evento, sospeso nell’eternità, eppure
rassicurante nella sua ciclicità: e ogni
anno nei secoli ritornerà quell’evento a
riscaldare il cuore.
Sul presepe napoletano - che è quello
che maggiormente ci interessa - convergono anche leggende di altre tradizioni,
anche se è evidente la fisionomia locale. E ogni presenza, ogni pastore, ogni
immagine sono segni, assurgono cioè a
simbolo di altro. Espressione dell’eterna lotta tra bene e male e del trionfo del
bene, il presepe, infatti, conserva segni
positivi e negativi. Vediamo i più rilevanti.
A recingere i bordi del presepe spesso
è usato il pungitopo, perché con le sue
spine ha funzione apotropaica (= scaramantica): tiene lontano il male, come i
fuochi d’artificio e i botti.
La capanna di Gesù è una grotta e la
grotta è, come si sa, il simbolo della
nascita, della sessualità feconda, dell’utero materno: è, quindi, segno positivo
di bene. Tuttavia spesso è sostituita dal
tempio diroccato: in tal caso significa
che il cristianesimo nasce sulle rovine dell’impero romano e della cultura
classica. La grotta deve stare sempre
un poco più in alto rispetto all’osteria
e verso di essa dovrebbero convergere
tutte le linee dell’allestimento, come ad
esprimere una tensione a spirale verso
l’alto, in segno di purificazione.
Dall’altro lato c’è l’osteria, immancabile presenza di tutti presepi. È stata
interpretata in modo opposto dal Barzaghi e dal De Simone, due noti studiosi dell’antropologia del presepe. Per
Barzaghi l’osteria è «segnale positivo
di abbondanza in chiave interclassista». Per il popolo napoletano, infatti,
i giorni di Natale sono giorni di grande
abbondanza alimentare; e così l’osteria si mostra traboccante di benessere,
con pendoli di pomodoro, agli e cipolle contro il malocchio, con avventori e
cuoco allegramente goderecci. Invece
il De Simone vi coglie quell’immagine
negativa e infernale che accompagna
l’osteria nella cultura letteraria. In verità ci sembra questa l’interpretazione
più corretta. Tutta la tradizione letteraria infatti, dal medioevo ai giorni nostri,
presenta osti maligni e insidiosi, pronti
a fare del male o a crearne l’occasione.
Simbolo del male e della trasgressione,
l’osteria, come quella famosa di Renzo
nei Promessi Sposi, è il luogo nel quale
il rischio di perdersi è molto alto. Non a
caso nella Cantata dei pastori il diavolo
Belfagor è l’ oste.
La posizione più avanzata del bue
nella grotta, rispetto all’asinello si spiega con il passo di Isaia (I,3) nel quale
il bue esprime l’operosità e l’asino la
stoltezza, la paziente sopportazione. S.
Giuseppe è sempre collocato a sinistra ,
allineato con il pastore della meraviglia:
è il lato dei sentimenti, di chi è disposto
ad accettare la divina illogicità del messaggio, anche senza capire.
Non deve mancare l’acqua che scorre o
la fontana simbolo di purificazione, né il
pozzo. È il pozzo un simbolo complesso, perché, nella sua profondità, sembra
collegarsi col mondo degli inferi: esiste
in Campania una Madonna del Pozzo e
Vladimir Propp, lo studioso di fiabe rus-
se, narra che secondo la leggenda nella
notte di Natale, compaiano nel pozzo i
volti di coloro che moriranno nell’anno.
La lavandaia contribuisce all’opera di
purificazione, lavando i pannolini di
Gesù, e rappresenta anche la figura della
levatrice con la quale, in alcune culture,
si identifica. Il mulino che “schiaccia” il
grano è l’icona del messaggio evangelico “se il grano non muore non dà frutto”: anche qui la Madonna del setaccio
e la Madonna del mulino in Campania
confermano questa simbologia.
Il cacciatore e il pescatore si riferiscono alle rappresentazioni arcaiche nelle
quali queste figure catturavano animali
psicopompi (= accompagnatori di anime) come gli uccelli che volano tra cielo
e terra, o come i pesci che nuotano negli
abissi misteriosi del mare. Il pesce, poi,
è il simbolo di Gesù, perché il termine
greco icthiùs = pesce, è l’acronimo di
Iesus Christòs Theòs Iumìn (Gesù Cristo Dio nostro).
I pezzenti sono le figure dei morti che
chiedono (da peto, in latino = chiedere) ai vivi le preghiere. Perciò talvolta
compaiono, tra i pastori, le anime del
purgatorio, busti di figure rosa tra lingue
di fuoco rosse che le circondano. Non
può mancare Pulcinella con il suo vestito bianco e nero e la sua ambigua figura
gallinacea, col naso adunco e il cappello a punta, simbolo di vita (bianco) e di
morte (nero), maschio (cappello a punta, fallico) e femmina (pancia gravida).
La zingara porta a Gesù chiodi e tenaglie, invece di cibo: allo stupore della
Madonna che chiede la ragione dell’equivoco dono, risponde “Tra 33 anni capirai”. Serviranno per una croce.
Una leggenda narra che una ragazza
nubile desiderava andare da Gesù, ma
tutti le avevano detto che solo le donne con figli potevano avvicinarsi a una
puerpera. E lei, la Vergine Stefania, il 26
dicembre, avvolse una pietra tra le fasce, fingendo che fosse il suo bambino.
Appena si accostò alla grotta, la Madonna le disse “Benvenuta Stefania, hai
portato Stefano?” E la pietra si mosse e
divenne calda e viva : era diventata un
bambino, Santo Stefano, appunto.
Il pastore della meraviglia incarna lo
stupore del mondo di fronte al miracolo
di luce che c’è nella grotta, mentre Benino che dorme in solitudine rappresenta
l’uomo improvvido che si lascia sfuggire il senso divino della storia. Un’altra
suggestiva interpretazione di Benino
è quella di Italo Sarcone: egli dorme e
sogna un mondo perfetto: il Presepe è il
suo sogno.
I tre Re Magi, infine, per i colori diversi del volto e dei cavalli simboleggiano il corso del sole che va da oriente
ad occidente: bianco per l’alba, bruno per il giorno e nero per la sera. Nei
presepi pugliesi con loro appare anche
la Regina Maga, simbolo della luna, la
fidanzata del re Moro (= la notte). Essi
vengono da Gesù. ognuno per proprio
conto, dall’oriente verso Gerusalemme
e, incontratisi sul Golgota, proseguono
il viaggio insieme. Portano in dono oro,
segno della regalità, incenso, segno della sacralità e mirra, segno della morte.
La Madonna darà in cambio una fascia
del bimbo, un pezzo di pane e una scatola con una pietra magica. La fascia
era indistruttibile dalle fiamme, la pietra
creava un fuoco sacro e il pane li avrebbe ristorati durante il viaggio di ritorno.
La leggenda dice che i Persiani venerarono questi doni dopo averne sperimentato il miracoloso potere.
Visualizzazione immediata del bene
e del male, piccolo borgo senza tempo,
fonte di speranza, il presepe si offre ancora ricco di segni da cogliere con occhi
di bambino.
Giulia Colomba Sannia
Bibliografia essenziale
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Compton Roma, 1996
Zeppegno Luciano, Presepi artistici e popolari, De Agostini Novara, 1967
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
31
Miti Storia e Archeologia
dei Campi Flegrei
di Domenico Di Spigna
Questa vaga striscia di terra che si estende dalla collina di
Posillipo sino alla mitica Cuma, passando per Agnano, golfo
di Pozzuoli, del cui promontorio Miseno ne chiude l’arco,
dopo la voluttuosa Baia, luogo di delizie dell’antica Roma,
viene così chiamata per i fenomeni di vulcanesimo che la interessano, facendone assumere la denominazione di “campi
flegrei”, ossia ardenti. Detti luoghi arcaici possono considerarsi un composto tra miti, cultura e archelogia. Nel contesto
generale sono comprese anche le dirimpettaie isole di Procida e Ischia. La prima, pur non presentando ai nostri giorni
segni di attività vulcanica, evidenzia ragionevolmente con le
insenature della Chialolella e della Corricella la sua remotissima origine di tale natura, mentre la seconda anch’essa senza vulcani attivi (ultima eruzione 1301-02) conserva tutta la
sua fisionomia e moderata manifestazione attraveso le acque
termali, esistenti anche presso i litorali, e le fumarole.
Scelti per godersi le amenità della dorata natura e gli ozii,
queste zone furono sempre amate ed ammirate da Virgilio,
Orazio, Svetonio, Stazio, Tacito nell’età classica e nell’Umanesimo da Giovanni Boccaccio, che ne menziona le «dilettevoli baie sopra li marini liti, del sito delli quali né più
bello né più piacevole ne cuopre alcuno il cielo» e di poi
Gioviano Pontano e Jacopo Sannazaro.
Partiamo dunque per questo interessante viaggio descrittivo d’una parte di terra della “Campania Felix” principiando
dall’isolotto di Nisida.
Nisida - Una piccola isola di materiale tufaceo, posta sotto il Capo di Posillipo, alta un centinaio di metri, appartenuta
un tempo a Felice Pollione, nota sopratutto più di due millenni fa per essere stata sede del famoso incontro tra Cicerone, Bruto e Cassio, per eliminare Giulio Cesare. Si ricorda
a proposito la presenza a Nisida (Nesis) l’8 luglio anno 44
a.C. del famoso avvocato da una sua lettera all’amico Attico.
Menzionata da Plinio per la buona produzione di asparagi,
oggi è legata alla terraferma da un ponte in muratura ed è
sede di un carcere per minorenni.
re rimedio alla salute e respirarne le arie perché ammalato di
mal di petto (tubercolosi), vi trovò la morte; era il 10 luglio
dell’anno 138.
Essa ha conservato, nonostante i movimenti tellurici di
tutta l’area flegrea, un discreto patrimonio storico di ciò che
fu la magnificenza romana. Si notano i resti delle sue terme,
allora rinomate ed affollate, tanto da oscurare quelle pur conosciute della vicina Aenaria, da breve tratto di mare separata, e del tempio di Venere e Diana. Avanzi di bellisssime ville con portici e colonnati, pavimenti in mosaico giacciono in
fondo al mare, sempre a causa del bradisismo che interessa
tutto il golfo di Pozzuoli.
Le terme della leggiadra Baia, consacrate alla pagana dea
Venere, furono luogo di cura del Governatore della Galilea
Ponzio Pilato, che doveva essere poi giudice di condanna di
Cristo. Questi, tornato a Roma dopo qualche anno, si allontanò dalle fatiche pubbliche, cominciando a scrivere le sue
memorie nella propria casa all’Esquilino, ma per gli anni
che avanzavano e tormentato dai reumatismi si recò ai bagni
di Baia. Come si evince dal libretto di Anatole France (del
1902) assistiamo ad una bella descrizione del luogo, posto
su di un «incantevole lido di mare blu, dove i delfini affioravano con il loro gioco e in lontananza la costa dorata campana col Vesuvio che rideva».
In epoca più recente, nel ‘500 rinascimentale, Baia fu ci-
Giacinto Gigante - Il tempio di Venere a Baia (1830 c.)
Agnano - Là dove oggi sorge il noto ippodromo napoletano, eravi nei secoli trascorsi un lago, formatosi in una conca
vulcanica, al pari del lago d’Ischia. Con la zona limitrofa costituiva l’Ananium, dal nome della famiglia Ania di Pozzuoli
che ne era proprietaria. Man mano con diverse bonifiche, si
è portato allo stato attuale. Leggenda vuole che nei tempi
remoti la gente si teneva lontano dal luogo per l’aspetto inquietante dovuto alle sue acque oscure che emanavano fumi
mortali.
Baia - Ridente cittadina a nord-ovest del golfo di Pozzuoli, ancor prima di Capo Miseno, prende il nome da Baios
compagno e nocchiero di Ulisse, di omerica memoria; fu
luogo di delizie di noti personaggi, patrizi e imperatori romani (Nerone, Adriano). Quest’ultimo qui venuto per trova32
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
Le terme romane di Baia
Luoghi celebrati in versi
da Camillo Eucherio de Quintiis *
(…)
Ma della caducità delle cose
prove avrai più chiare se la barchetta
dai remi sospinta ti porterà
di buon’ora nelle acque di Cuma, ove
più mite è il mar che bagna le soffici
arene con lenta onda. Questi siti
non son privi di delizie, sebbene
sconvolti da molte rovine; meco
t’allegrerai di visitar le sedi
dei Fereciadi e i porti vicini.
E qui, dove le calcidiche genti
in origine hanno mura innalzato
grandiose con regal lusso, ancora oggi
osservar si possono coi propri occhi,
almeno in parte, luoghi disertati,
ville del tutto in ruderi finite,
che un tempo pei trofei degli antenati
furono famosi; templi e sepolcri
in rovina, insegne, fregi e vestigia
di antichi popoli. Qui fatto scalo,
il nocchiero in mezzo ai colli scoprire
potrà quella rocca, dove l’augusto
Apollo pose dimora, svelando
gli oracoli suoi con gli arcani segni,
passar cento aditi e per le cento
porte, dove risuonavan le voci
che l’aere intorno facevano vibrare;
e ancor della fatidica Sibilla
l’antro tuttora orrendo, e pure i tripodi
tuoi, Timbreo, e gli inscritti monumenti
della dedalea fuga, che son sparsi
in giro ricoperti d’erbe, e sotto
folte spinose macchie li nasconde
l’ispido cardo o il paliuro tra i rovi.
(…)
Non ti spaventi poi il lago d’Averno,
un tempo sinistro agli uccelli e causa
di timor, al solo nome, pei popoli;
cacciato via il contagio infatti, ora offre
acque salubri e le sue rive allieta
di mite clima. Così muta il fato
le vicende: nuoceran quelle cose
che prima giovaron, mentre saranno
di aiuto quelle che nocquero. Siccome
il mar che or, turbate l’onde, s’adira,
or s’abbonisce, l’acque chete fattesi.
(…)
che s’eleva al presente con alta vetta.
Ma quando tu volessi pur conoscere
ciò che resta ancor del grande lusso
e delle opere antiche, la mirabile
Piscina2 ad un solo sguardo farà
che tu resti a bocca aperta; famoso
monumento del lavoro e dell’arte,
tuttor dura e gli invidi fati supera
del tempo; eterna fama ha e fu artefice
Agrippa....
(…)
Da un’altra parte potrai pur vedere
quelle ville che in passato facevano
la vera delizia di genti lazie,
ma or tristi e squallide sono, coperte
da cumuli di foglie, felci e salici;
del tempo che scorre miseri avanzi.
Non potrebbe sotto queste rovine
riconoscere i suoi vivai Servilio3,
fuggendo le ire di Tiberio: e, fatte
nella roccia, le due spelonche, l’una
delle quali sempre il sol riceveva
e l’altra mai ‘l vedeva. Arator duro
col vomere sprezza e frange, insolente,
voi anche fabbriche che seguiste i fati
e gli eventi del padrone, famose
un tempo già, risonanti le guerre
or d’Asia, or dei pirati, e i grandi trionfi
di Pompeo, vincitor su Mitridate.
(…)
Volgi il tuo cammino verso il lido ispido
della sterile alga e noia non ti prenda
ad osservare i luoghi dagli studi
di Minerva resi celebri: qui spesso
ciò il luogo viene denominato Capo Miseno, promontorio del mar Tirreno, un tempo molto famoso
per la clemenza del cielo, per la eleganza delle ville,
per i famosi monumenti; fu abbellito dagli imperatori romani con palazzi e con un porto, che rappresentava un rifugio della flotta romana.
2 Di questa piscina, definita mirabile, così scrive
Capaccio: “Opera regia con una vòlta sorretta da
48 colonne, lunga 250 passi, larga 160. Struttura
a mattoni, pareti rivestite di intonaco resistente
all’acqua. Ai due lati scale in pietra vi consentivano
l’accesso. Attribuita da alcuni a Lucullo, io l’attribuisco ad Agrippa, che a Miseno costruì anche un
celebre porto”.
3 Presso l’Acherusia c’era la Villa di P. Servilio,
A seguir miei precetti ti richiama
detto l’Isaurico dall’Isauro, regione
il trombettier delle navi dardanie,
dell’Asia Minore da lui conquistata, una volta vinti
memorando per il lituo e per le armi,
i pirati, il 677 dopo la fondazione di Roma; detto
e che con valor, accanto ad Ettorre,
anche il ricco per antonomasia. Consulta anche
le pugne affrontava contro le argoliche
Seneca (Ep. 55), che parla diffusamente di questa
schiere e sul cui tumulo furon posti
Villa. Perseguitato poi da Tiberio, per fuggirne la
il remo e la tromba, e cioè Miseno1
crudeltà, in questa si ritirò e invecchiò. Parla di questo luogo Seneca: “Vi sono due grandi spelonche
con un ampio atrio scavate a mano, delle quali una
1 Miseno, trombettiere di Enea, qui sepolto e per- non riceve mai il sole e l’altra lo tiene sino a sera”.
ritornato dopo liti chiassose
del foro e i graditi ossequi dei clienti,
e le grida di “bravo!”, te richiama
Tullio4, la Facòndia, per preparare
l’imprese e discuter alte questioni;
dove, sotto la tua guida, con sorte
più felice, si fissò l’Accademia,
lasciata ormai di Atene la cittade.
Bada però di non scegliere i lidi
Itachesi di Baia5, sebben la costa
lunata sia invitante col tranquillo
seno, un tempo salutar e placido
porto, ma ora adatto solo alle barche.
Infatti l’odor fetido che spira
dal pestifero gorgo facilmente
ridà vigore ai morbi e nuovi stimoli
offre all’esitante fato. Il cammino
perciò qui non fermino i templi a [Venere6
7
e a Diana sacri, né quel di Mercurio
coi suoi ruderi qua e là giacenti.
Il nocchier volga a sinistra ed il remo
a te batta dalla sinistra parte.
Mentre ritorni alle campagne apriche
di Pozzuoli, la Solfatara e l’aura
mite nel seren giorno ti sospingano
in direzione dei sulfurei luoghi.
Timor non dèstino le fumarole
che vedi in questa zona ovvero i campi
di nitro o di bitume sparsi e i colli
ardenti di zolfo intorno diffuso.
Buona è certo l’aria per chi vi giunge
dall’isola d’Enaria, né v’è luogo
più lieto e propizio per la salute.
4 Si indica qui la Villa di M. Tullio Cicerone presso il Lago Averno (ora Lago di Tripergola) verso
Pozzuoli. Cicerone la chiamò Accademia, dalla
celebre Accademia di Atene, dalla quale ebbero
nome di accademici i discepoli di Platone. In questa Cicerone compose i libri detti Questioni accademiche. Dopo la morte di Cicerone, ne divenne
possessore Antistio il Vecchio, e quivi si scoprirono caldi fonti, considerati salubri per gli occhi e
celebrati dal canto di Laurea Tullio, un liberto di
Cicerone. Vedasi Plinio.
5 Baia da Bajo, Baja (Strabone lib. 5), compagno
di Ulisse ivi sepolto. Un tempo sede di piaceri: ora
luogo di aria insalubre.
6 Di questo Tempio di Venere parla Marziale.
7 Tempio di Diana a Baia (v. Capaccio) - Il Tempio
di Mercurio, di cui si vedono rovine.
* C. E. de Quintiis, Inarime seu de balneis Pithecusarum, libri VI, 1726, di cui è stata fatta da R.
Castagna la versione italiana, pubblicata nel 2003.
I passi riportati sono tratti dal sesto libro
Lago d’Averno
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
33
tata in una sua ecloga, per la vita licenziosa che in essa si
teneva al tempo dei Romani, dal poeta napoletano Jacopo
Sannazaro, mentre qualche secolo appresso fu punto di riferimento di illustri viaggiatori e uomini di cultura. La sua memoria storica ci dice che anche Poppea, moglie di Nerone,
la scelse per le sue ferie estive recando seco numerose asine,
che dovevano procurarle il latte per i suoi bagni corporei.
Disse di Baia il poeta Orazio: nullus in orbe sinus Baiis praelucet.
Pozzuoli - La fondazione di questa industriosa e storicissima città, centro principale dell’intera area flegrea, che dà
il nome all’intero golfo prospiciente, risale al VI sec. a.C. da
parte dei Samii esuli dell’isola greca di Samo che le diedero il nome di Dicearchia, cioè governo giusto. Avendo poi
i Romani, trecento anni avanti l’era cristiana, occupato la
Campania, la chiamarono Puteoli, dai numerosi pozzi termali ivi esistenti, divenendone col tempo il loro porto principale, da cui partivano gli scambi commerciali con le nazioni
mediterranee. Poco ci resta di questo grande emporio a causa del bradisismo discendente.
Elevata a colonia da Nerone nel 63 d.C. che vi fece anche
scavare grotte sudatorie, vide i suoi fastigi sotto l’imperatore
Vespasiano, che ivi costruì l’anfiteatro (terzo in Italia per ordine di grandezza, delle dimensioni 149x116 m.) e l’attuale
Serapeo, meglio chiamarlo “macellum” ovvero un ampio
mercato (75x58 m.), del quale ci restano ancora resti delle
sue strutture. Va pure ricordato che Puteoli, altro nome della
città per le esalazioni putescenti della Solfatara, possedeva
già un altro piccolo anfiteatro, su modello di quello pompeiano, senza cavea per le fiere, al tempo di Augusto.
Altre vestigia della Pozzuoli imperiale sono il tempio di
Augusto al Rione Terra, trasformato poi in duomo dedicato
al martire puteolano San Procolo, patrono principale della
città decapitato assieme a San Gennaro, dopo che questi era
stato in principio condannato “ad bestiam” (sbranato dalle
fiere).
Altri santi martiri, della prima età cristiana, legano il loro
nome alla città: San Patroba (paternale) vescovo e discepolo
di San Paolo, decapitato con San Gennaro; San Paolo, pilastro del Cristianesimo, prima di recarsi a Roma proveniente
dall’Oriente, soggiorna una settimana a Pozzuoli coi fratelli
cristiani: ne fa testimonianza una lapide posta al porto, che
recita così: «Paolo di Tarso apostolo delle genti, magnifico
assertore della verità, ai lidi puteolani approda e ivi trascorre sette giorni coi fratelli nella fede. La città campana ne
annovera l’evento tra i fasti della sua trimillenaria storia»:
correva l’anno 61 d.C.
Bacoli - Altro interessante luogo prossimo a Miseno, a circa tre Km. da Baia, presentava anch’essa belle ville, tra cui
quella di Quinto Ortensio, oratore e amico di Cicerone, che
poi, volgendo di mano in mano passò a Nerone e ai Flavii;
sembra che in essa si sia rifugiata Agrippina, prima di essere
uccisa per ordine del folle suo figlio. Ai nostri giorni a Bacoli è da conoscere la “piscina mirabilis”, grandioso serbatoio
d’acqua per approviggionare la flotta romana. Venne scavata
in blocco tufaceo nelle dimensioni di m. 70x25,5 e m. 15 di
altezza, per una capacità di 12.600 mc d’acqua. L’antico suo
34
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
toponimo era Bauli, per la leggenda ricovero dei buoi.
Miseno - A questo promontorio che prende il nome dal
trombettiere di Enea, richiamando la classicità del mondo
virgiliano, è legata la figura dell’imperatore Tiberio per il
quale rimaneva l’unico filo di contatto con la terraferma, ossia Roma, dal suo splendido isolamento di Capri. Sappiamo
infatti che Tiberius Claudius Nero, una volta fatta la consacrazione dei templi, disposto con un editto che nessuno
turbasse la sua tranquillità, e tenuti lontani gli abitanti delle città che accorrevano a lui, si rifugiò nell’isola di Capri.
Nell’anno 37 qui trovò la morte.
Fu Miseno per la sua posizione strategica sede della flotta
navale di Roma, annoverando tra i suoi prefetti comandanti Caio Plinio Secondo, il famoso scienziato che fu tragi-
Archi della Piscina mirabile a Bacoli
La Villa Jovis sulla sommità del promontorio di Capri
co spettatore dell’eruzione del Vesuvio
dell’era vespasiana (24 agosto 79 d.C.).
Ne abbiamo notizia dalla celebre lettera
di suo nipote Plinio il Giovane scritta
allo storico Tacito che gli chiedeva di
tramandare ai posteri la sua figura e gli
avvenimenti da lui vissuti, in occasione
del disastro provocato dall’esplosione
del Vesuvio. Dice di essere stato invitato a salire su di una barca, per portarsi verso Pompei e studiare i fenomeni
eruttivi, ma lui aveva preferito starsene
dedito ai suoi lavori in compagnia della madre. Purtroppo suo zio morì per le
esalazioni gassose. Il porto di Miseno,
già base marittima di Cuma, che potè di
lì estendere la sua egemonia sul Tirreno
sconfiggendo gli Etruschi, fu di poi ancor più importante, quando da Augusto
venne designato quale porto principale
del Tirreno. Era posto in comunicazione, tramite canale con un altro specchio
d’acqua interno (una darsena) corrispondente all’attuale Mare Morto che
fungeva da ricovero e riparazione delle
navi; entrambi i porti furono opera di
Marco Vipsiano Agrippa. Oltre a Plinio
il Vecchio, ebbe tra gli altri comandanti Tiberius Claudius Anicetus, attore e
complice del complotto ordito da Nerone per l’uccisione di sua madre.
Con l’unificazione della flotta romana
nel II sec. d.C. Miseno si pregiò della
“Praetoria classis misenensis”. Forniva
tra l’altro un centinaio di ottimi marinai
a Roma, per le manovre delle tende ombrifere (il velario) nelle giornate assolate, durante gli spettacoli al Colosseo.
Antichissima fu la sua chiesa, dove già
nel II e III secolo si diffondeva il Vangelo di Cristo, con Sossio diacono presso
il quale si era recato S. Gennaro, il quale
poi sarà condannato assieme a Desiderio, lettore di Benevento, Proculo diacono di Pozzuoli, nonchè Acuzio ed Eutichete nobili puteolani. Aveva Miseno
una piscina di acqua per le navi, fungente da riserva idrica a quella di Bacoli.
Cuma - Fondata dai Greci, che prima
si erano posti a Pithecoussai (Ischia),
ma qui giunti perché fuggiti dall’isola
per loro divergenze ed eruzioni vulcaniche, prende il nome dalla eubea Kyme.
Dall’VIII sec. a.C. rappresenta la civiltà greca in Italia. Ebbe un’interessante
acropoli con tempio, trasformato dopo
dai Romani, di cui abbiamo dei resti ed
un anfiteatro del quale si sono trovate
delle tracce. Ben conservato a tutto oggi
rimane l’antro della Sibilla, luogo delle
profezie della vecchia sacerdotessa che
dalla stanza posta in fondo alla galleria
di m. 131 vaticinava. Nel 334 prima
dell’era cristiana, subì la devastazione
da parte di Annibale, rimanendo fedele
a Roma. Con Miseno e Puteoli fu una
delle prime comunità cristiane
Lago d’Averno - Come gli altri laghetti di questa parte nord-occidentale
del territorio flegreo, si è formato nel
cratere di un antico vulcano, con acque limacciose, oscure e putescenti con
emanazioni di gas nocivi per i volatili
per cui prende il nome di “senza uccelli”
in greco. Per gli antichi rappresentava la
porta degli inferi e per la mitologia sotto
di esso viveva in grotte oscure il misterioso popolo dei Cimmeri. Ed è proprio
qui che Enea, secondo quanto scrive
Virgilio nella sua Eneide, chiedendo via
libera alla Sibilla, scese nel regno dei
morti per interrogare suo padre Anchise.
Nel I sec. a.C. col vicino lago di Lucrino venne, tramite canale, messo in
comunicazione col mare diventando
così un sicuro porto; era il “Portus Julius” voluto da Augusto con l’opera di
M.V.Agrippa, architetto ed ammiraglio,
ma dopo alcuni decenni perse di importanza e la base navale a Miseno.
Lucrino - Questo laghetto, anch’esso vulcanico, ma un tempo più ampio,
prende il nome dal termine latino lucrum (guadagno) per i buoni affari che
vi faceva C. Sergio Orata, imprenditore
romano che ivi creò un allevamento di
ostriche un secolo prima di Cristo. Eravi
qui una bellissima villa di Cicerone.
Procida - Il nome di questa piccola
isola del golfo di Napoli, dal fascino
particolare che colpisce al primo impatto, prende il nome dal greco ”prochyte”,
ovvero versamento o effondersi dalla
vicina e più vasta Ischia, verso il continente, mentre per la leggenda il nome
appartenne alla nutrice di Enea, ivi sepolta con altri compagni dell’eroe troiano. Il suo peso schiaccia il titano Mimante, ribelle a Giove. Fu suo signore
quel tale Giovanni da Procida autore dei
famosi Vespri a Palermo al tempo degli
Angioini; subì nei secoli scorsi diversi attacchi di pirateria. Grande è la sua
tradizione marinara per aver fornito alla
marina mercantile tanti uomini di mare;
notevole fu il tonnellaggio dei suoi velieri nell’800, che venivano costruiti
alla marina di San Cattolico (con varo di
murata), un centinaio circa sui trecento
complessivi del Regno delle Due Sicilie
e alla nascita del Regno d’Italia costituiva con le sue 45.000 tonn. di stazza, un
sedicesimo dell’intero tonnellaggio nazionale. In una colonna posta nella piazzetta di Terra Murata sono riposti i nomi
dei martiri della Repubblica Napoletana
del 1799 che ivi furono afforcati. Nel secolo XVIII Procida era il luogo di caccia
venatoria cara a Carlo III di Borbone.
Ischia - Come accennato, la vulcanica
Ischia è parte integrante dell’area flegrea. Ai tempi di Omero era identificata
col nome di Scheria e legata al mitico
eroe greco Ulisse, che secondo alcune
congetture di studiosi di cose antiche
(Philipp Champault), vi sarebbe giunto
per riposarsi dalle lunghe fatiche addormentandosi sotto uno strato di foglie,
come si evince dall’episodio di Nausicaa. Pressato dal suo peso qui giace il
gigante Tifeo che vi sbuffa vapori. Altra
leggenda legata a questa grossa isola
vuole che i primi abitatori fossero dei
rapaci malviventi, capitanati da Candolo e Atlante, ma una volta allontanati dai
nuovi coloni greci, furono dal padre degli Dei trasformati in cercopi o scimmie.
La euboica Pithekoussai risulta essere la più antica colonia della Magna
Grecia. In essa sono state rinvenute numerose vestigia archeologiche, che si
possono ammirare nel Museo di Lacco
Ameno e in quello sottostante la chiesa
paleocristiana di Santa Restituta.
Cicerone nell’area flegrea - Il noto
avvocato e filosofo Marco Tullio Cicerone, nato ad Arpino, tra le sue numerose ville ne possedeva alcune anche
in questa arcaica terra campana, che
sicuramente amava in modo particolare
per i suoi riposi e la contemplazione del
vago paesaggio, tanto che a volte, forse
per invidia, gli veniva rimproverato di
starsene alle terme di Baia o nella bellissima villa di Lucrino. Nella lettera scritta a Pomponio Attico (14) il 25 gennaio
del 61 a.C. gli comunica che arricchirà
una sua orazione con la descrizione e lo
sfondo paesistico di Miseno e Pozzuoli.
Domenico Di Spigna
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
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Forio - Arte, Musica e Spettacolo
Recital dei pianisti
Eleonora Lauro e Antonio Patalano
A Forio, lunedì 21 ottobre 2012, si è svolto un evento musicale
di notevole rilievo che, senza ombre di retorica, ha entusiasmato i
numerosi spettatori presenti.
In occasione della presentazine del libro Le favole dell’isola d’Ischia di Daniela Pazienza, ricco delle illustrazioni scaturite dalla
fantasia fervida e spigliata di Angela Impagliazzo, ha avuto luogo
il recital dei pianisti Eleonora Lauro (13 anni) e di Antonio Patalano (12 anni) che studiano entrambi all’Accademia dei Ragazzi
dall’età di quattro anni con la valente ed esperta Maestra Teresa
Coppa.
Lo spettacolo è stato presentato dal brioso e dinamico attore
Eduardo Cocciardo che ha coinvolto emotivamente e divertito con
le sue battute ricche di arguzia e umorismo.
I due giovani artisti si sono esibiti al pubblico fin dal primo anno
di studio, prova incontestabile che essi sono dotati di un talento
naturale non comune. Eleonora Lauro ha debuttato nel 2009 con
un recital solistico ed ha vinto il primo premio al Concorso Pianistico Nazionale Luigi Paduano (Cercola). Antonio Patalano studia
intensamente per tenere a dicembre il suo primo concerto solipsistico.
Sebbene siano solo adolescenti, entrambi i pianisti padroneggiano un ampio repertorio di brani classici, romantici e moderni e
hanno costituito vieppiù l’Accademia dei Ragazzi Piano Duo, eseguendo a memoria, senza l’ausilio di alcuno spartito musicale, il
loro repertorio, confermando un eccezionale grado di maturità e di
giudizio, ben al di sopra della loro età anagrafica.
Eleonora Lauro
Sono stati eseguiti brani di: L .v. Beethoven: Allegro (Son. Op. 10
n. 2), Presto (Son. Op. 10 n. 2) - M. Moszowoski: Etude de virtuosité (Op. 72. n. 6), Etincelles (Op. 36 n. 6) - F. Chopin: Fantaisie –
Impromptu (Op. 66 in Do diesis minore) - F. Liszt: Ronda di gnomi
(Studio da concerto n. 2) - E. Mac Dowell:Hexentanz (Ballo delle
streghe), Due studi fantastici (Op. 17 n. 2) - S. Rachmainoff: Etude
tableaux (Op. 39. n. 6).
I due giovani artisti hanno saputo contemperare perfettamente ritmo, melodia ed armonia, secondo i dettami di Euterpe, “la
Rallegratrice”, la musa protettrice della musica, rappresentata dai
moderni con un quaderno di musica in mano. E certamente i due
artisti hanno “rallegrato” il pubblico presente, suonando come due
Antonio Patalano
esperti professionisti adulti, lasciando un ricordo indelebile della
serata nella mente degli spettatori, che alla fine si sono congratulati calorosamente con loro, aspettando impazienti nuove esecuzioni dei due straordinari talenti, guidati dalla bravissima Teresa Coppa, loro punto di riferimento costante e proficuo anche sul piano della maturità globale. Ci si augura che anche gli enti locali preposti
sostengano concretamente questi ed altri talenti certamente presenti sul territorio. (Nicola Luongo).
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La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
Colligite fragmenta, ne pereant
Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’Ischia
A cura di Agostino Di Lustro
La Ecclesia seu Confrateria de Santa Maria de Loreto de Forio tra XVI e XVII secolo e altri fatti coevi
I luoghi sacri del territorio di Barano - II
Conosciamo già sufficientemente la valenza toponomastica del toponimo Barano e l’estensione della giurisdizione parrocchiale di S. Giorgio al momento della
fondazione della parrocchia di S. Sebastiano, o S. Rocco, nell’attuale centro di Barano, escludendo Moropano
e la sua parrocchia, che abbiamo già esaminato1, e che ha
mantenuto nel tempo una sua fisionomia particolare.
Il vescovo d’Avalos, dopo aver ricordato la parrocchia
di S. Giorgio «del casale di Barano», scrive: «Nel casale
di Barano ci è il beneficio di S. Maria delli Lacchi, è jus
patronato delli Mellusi si possede per D. Giovanni Antonio Zabatta, rende ducati 16; Nel casale di Barano vi è la
cappella di Santo Sebastiano è governata da laici ci sono
tre messe lette la settimana, rende in circa ducati 302».
Sul primo beneficio ricordato non sappiamo molto. Doveva trattarsi di un beneficio rurale, dal momento che il
vescovo non indica alcuna chiesa o cappella come sua
sede. Fondata in un anno non precisato da qualche esponente della famiglia Mellusi che ne deteneva il diritto di
patronato, in seguito venne annessa al beneficio di S. Tommaso Apostolo, anch’esso dei Mellusi, come si apprende
da questo documento che leggiamo nel Notameto atti dei
beneficiali : «Ischie 1692= Nota reddituum spectantium
ad simplex beneficium sub titulo Sancti Thome et Sancte
Marie de Lacchi intus Ecclesiam Cathedralem Isclanam
de domo, et familia Melluso folia scripta n. 7». Di seguito
vengono citati altri due documenti: il primo del 1597 circa l’assegnazione del beneficio di S.Tommaso nella cattedrale al chierico Giovan Francesco Mellusi, mentre il
secondo dice: «Ischie 1749= Acta institutionis unius vel
duorum simplicium Beneficiorum sub titulo Sancte Marie Gratiarum vulgo de Lacchi et S. Thome Apostoli intus Ecclesiam Cathedralem Isclanam de jure patronatus
Familie Mellusi in favorem clerici D. Iosephi Mellusi per
obitum D. Cesaris Mellusi folia scripta. n 11»3. Possiamo
dedurre da questi pochi elementi documentari in nostro
1) Cfr. A. Di Lustro, I luoghi sacri del territorio dell’Università di
Barano: Moropano –I, in La Rassegna d’Ischia, anno XXXIII n.5
settembre-ottobre 2012.
2) Platea del vescovo d’Avalos, P. Lopez, Ischia e Pozzuoli due
diocesi nell’età della controriforma, Napoli Adriano Gallina Editore 1991, p. 213.
3) Archivio Diocesano d’Ischia ( A.D.I.), Notamento degli atti beneficiali della città e diocesi d’Ischia, f. 17.
possesso che in origine il beneficio di S. Maria de Lacchi potesse trovarsi in una cappella ubicata nel territorio
di Barano, in seguito scomparsa, oppure che il beneficio
fosse privo di chiesa e che solo alle fine del secolo XVII
la famiglia Mellusi lo avesse annesso a quello di S. Tommaso Apostolo ubicato in cattedrale. Non conosciamo
neppure il significato esatto e il motivo per cui veniva
chiamata S. Maria de Lacchi. Questo beneficio non viene
menzionato nella relazione ad limina del vescovo Nicola
Antonio Schiaffinati del 1° dicembre 17414 sebbene nel
1749 il beneficio esistesse e venisse ancora assegnato
ai Mellusi. Negli atti della visita pastorale del vescovo
Giuseppe d’Amante del 1820, leggiamo che il vescovo
ordina che la soddisfazione della celebrazione di obblighi
di messe di alcuni benefici esistenti nell’antica cattedrale
venga effettuata all’altare maggiore della nuova cattedrale. Tra questi troviamo citato i «Beneficia S. Mariae
Gratiarum, vulgo de Zacchis5, et S. Thomae Apostoli de
familia Mellusi cum onere unius missae cantatae»6. La
notizia viene ribadita negli atti della seconda visita pastorale dello stesso vescovo degli anni 1825-267.
La seconda chiesa di Barano ricordata dal vescovo d’Avalos è quella di S. Sebastiano che dice essere «governata
dalli mastri laici». Su di essa è già stato scritto da diversi
autori8, ma credo che sia il caso di rifare il punto della situazione e colmare qualche lacuna anche in quello da me
scritto qualche anno fa9 alla luce di documenti acquisiti in
questi ultimi anni. Il culto verso S. Sebastiano nella nostra Isola è antico
e molto diffuso. Basti notare che ben due parrocchie gli
sono dedicate a Forio e a Barano, e che nel comune di
4) Archivio della Sacra Congregazione del Concilio (A.C.C.), in
Archivio Segreto Vaticano (A.S.V.), Relazioni ad limina dei vescovi d’Ischia.
5) Da dove venga fuori adesso la famiglia Zacchi non si riesce a
stabilirlo.
6) 1820= Acta Sanctae Visitationis…. ab Illustrissimo et Reverendissimo Domino Joseph d’Amante nostro Episcopo, f. 3 v. in A.D.I.
7) 1825-1826 Acta Sanctae Visitationis Generalis….. habitae ab Illustrissimo et Reverendissimo Domino Joseph d’Amante Episcopo
Isclano, f. 3 r., in A.D.I.
8) Li citerò secondo lì opportunità che mi offrirà questa ricerca.
9) A. Di Lustro, Il convento agostiniano di Barano, in Ischia oggi,
anno V nn. 14-15 (novembre-dicembre ) 1974; G.G. Cervera- A. Di
Lustro, Barano d’Ischia, Melito 1988, p. 99 e ss.
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
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Barano viene venerato e invocato come patrono principale. Abbastanza diffuso anche nel territorio della città
d’Ischia, come diremo in seguito. Le tracce più antiche
sembra che le troviamo a Forio, come abbiamo già detto in precedenza, in alcuni documenti degli anni 1531 e
seguenti10. Nove anni dopo però troviamo un altare dedicato al Santo nella chiesa agostiniana di S. Maria della
Scala che ci viene documentata dal seguente documento:
Archivio di Stato di Napoli, fondo Congregazioni Religiose Soppresse, Fascio 104 f. 47
1540= Giovanni, e Domenico di Meglio fratelli, ed in
nome e parte di Bartolomeo e Giovanni di Meglio loro
fratelli minori, per li quali hanno promesso, ed in solidum
obligati pro rata e quando saranno d’età fare ratificare l’istromento da essi fratelli minori, con permesso, e
consenzo d’Isabella Bosa loro commune madre, tutti del
casale di Barano, hanno alienato, e venduto in beneficio
di Lonardo, e Giovanni Piro quondam Francesco di Casamicciola annovi carlini quindeci per capitale di docati
ventuno, e mezzo, sopra il di loro territorio sito, e posto
nel luogo detto la Finestra di capacità di un moggio, e tre
quadre incirca, arbustato e vitato, giusta li beni di essi
frateli redditizii all’altare di San Sebastiano jus patronatus laicorum de Domo Corbera giusta la strada publica,
e vicinale, e giusta li beni di esso Giovanni e Domenico, e
fratelli di Meglio, a nessuno venduto, né obligato in tutto,
o in parte, ma franco d’ogni peso, e servitù, onde in solidum si sono obligati pagare, e corrispondere ogn’anno
carlini quindeci in pace alli sudetti Lonardo, e Giovanni
Piro quondam Francesco e volendo esso Lonardo e Giovanni, quondam Francesco Piro esimersi, ed affrancare
l’annovo censo enfiteutico perpetuo pagato ogni anno a
primo novembre di carlini quattordici al convento per il
retroscritto territorio nominato Madonna Agnese di Casamicciola, censito dal convento a Battista, seu Vattino,
ed Angelo Piro nel 1507, in affranco di sudetto cenzo di
carlini quattuordeci, assegnano, e danno al convento li
sudetti carlini quindeci annovi, dovuteli come sopra da
Giovanni e Domenico di Meglio una con loro fratelli insolidum su del territorio detto la Finestra li Padri fatto
vedere e stimare il territorio della Finestra, in affranco
del cenzo di carlini quatuordeci, ricevuti li sudetti carlini
quindeci, e Giovanni, e Domenico di Meglio tanto proprio nome, quanto in nome, e parte dei fratelli minori in
solidum s’obligano pagare ogni primo novembre il cenzo
enfiteutico perpetuo di carlini quindeci al convento, e con
tutti quelli patti sogliono, ponersi nell’istromento di simil
contratto, come questo ed altro si legge nell’istromento
rogato per notar Polidoro Albano d’Ischia li 9 di novembre 1540 etcetera copia del quale in carta pergamena sta
in nostro archivio11.
10) A. Di Lustro, I luoghi sacri dell’isola d’Ischia tra XVI e XVII
secolo: Forio, in La Rassegna d’Ischia, anno XXXIII n. 1 gennaiofebbraio 2012, p. 39 e ss.
11) Archivio di Stato di Napoli (A.S.N.): Corporazioni Religiose
Soppresse ( C.R.S.) fascio 104 f. 47 r. Su questa cappella cfr. an-
38
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
Della chiesa di S. Sebastiano di Barano la notizia più
antica si riscontra in alcuni documenti vaticani rintracciati da Mons. Agostino Lauro risalenti al 1568 e ancora
inediti. Qui però troviamo che un’unica cappella è dedicata, o viene indicata, come dedicata ai Santi Sebastiano e
Rocco, mentre in seguito si presenteranno come due chiese ben diverse tra loro. Riportiamo i passi più significativi
di questi documenti come sono stati trascritti da Mons. A.
Lauro.
Archivio Segreto Vaticano,
Arm. 29-30, Tomo 228 f. 121v.- 122 r.
Episcopo Isclano ac ejus in spiritualibus Vicario Generali ac primae vel aliae dignitati obtinenti, seu antiquiori Canonico residentiali, salutem…… D. Salvator
de Meglio casalis Barani vestrae dioecesis…. Cum D.
Mutius d’Avalos, iconomus et gubernator ad vitam per
nomine ejusdem casalis deputatus cappellae Sactorum
Sebastiani et Rochi, vestrae dioecesis……quasdam illius
terras, unam videlicet arbustatam et vitatam vitis saburneis capacitatis medii tumuli in pertinentiis dicti casalis
et loco ubi dicitur Cantarello…. Sub tareni unius; aliam
similiter arbustatam et vitatam in eodem loco sub granorum sexdecim ipso exponenti, ac aliam arbustatam et
saburneis vitibus vitatam in pertinentiis ejusdem casalis sub carlenorum septem cum dimidio domino Joanni
Dominico Papae et alium terrae petium seminatorium in
eiusdem pertinentiis et loco ubi dicitur alle Costate dello Cotto….pro carolenis trium monetae istarum partium,
insimul duorum ducatorum auri de Camera…… in Omnium Sanctorum cujuslibet anni festivi etate persolvendis
domino Alphonso Mattiae……..in emphiteusim perpetuam….. Die IX Januarii anni 1568…………
Fol. 122 r.
Episcopo Isclano, Vicario Generali……..D. Bernardinus
Talercius casalis Barani, vestrae dioecesis….. cum D.
Mutius d’Avalos, iconomus et gubernator ad vitam pro
nomine ejusdem casalis deputatus cappellae Sanctorum
Sebastiani et Rochi……quasdam illius terrae petias,
unam videlicet arbustatam et vitibus greci, et latinis vitatam in pertinentiis ejusdem casalis et loco ubi dicitur
Starza, sub carlenorum septem cum dimidio, exponenti, et aliam seminatoriam in eisdem pertinentiis, et loco
dicto alle Carane seu la Cava de Mase sub carlenorum
decem Vincentio, et aliam mesiaequadre in loco ubi dicitur lo Monte di Barano…..sub granorum novem monetae
istarum partium et duorum ducatorum de Camera insimul….. in festo Omnium Sanctorum persolvendis martino
de Melio, et ejus uxori haeredi quondam Johannis Columnae. Die IX Januarii anni 1568…..
Dopo questi documenti bisogna aspettare la Platea del
d’Avalos per trovare menzione di una chiesa dedicata
esclusivamente a S. Sebastiano, senza alcun cenno a S.
che A. DI Lustro, Ecclesia Maior Insulana La Cattedrale d’Ischia
dalle origini ai nostri giorni, Tipografia Puntostampa 2010, p. 151.
Rocco. Anzi il d’Avalos tace sulla presenza di una chiesa
dedicata a S. Rocco esistente a Barano , a meno che non
l’abbia erroneamente collocata a Fontana come abbiamo
accennato nelle puntate precedenti12. Il vescovo, dunque,
così scrive di S. Sebastiano: «Nel casale di Barano vi è
la cappella di Santo Sebastiano, è governata dalli mastri
laici, ci sono tre messe lette la settimana, rende all’incirca ducati trenta»13. Anteriormente all’anno 1600 non
abbiamo altri documenti su S. Sebastiano neppure nel
Notamento degli atti beneficiali.
Qualche anno dopo, l’università di Barano venne a convenzione con l’agostiniano fra Onofrio per la fondazione di un convento accanto alla chiesa di S. Sebastiano,
stipulando il 1° aprile 1607 una convenzione per meglio
regolare i rapporti tra gli stessi frati e l’Università. Presto
però il padre Onofrio, impegnato anche in altri affari per
il suo Ordine, dovette lasciare Ischia e rinunziare alla fondazione del convento. Al suo posto subentrò fra Cosmo
da Verona. Questi doveva essere un cartografo; infatti ci
ha lasciato una carta topografica manoscritta dell’isola
d’Ischia, oggi conservata nella Biblioteca Angelica di
Roma14. Alla fondazione del convento fu stipulata una
convenzione tra i deputati di Barano Andrea Malfitano
e Giovanni Antonio Malfitano e fra Cosmo agostiniano
per meglio regolare i rapporti tra l’Università di Barano
e l’Ordine Agostiniano sul modo di amministrare il convento Il 1° aprile 1607 si svolse un pubblico parlamento
«sub die de primo mensis aprilis 1607 fuit convocato consilio in dicto Casali de ordine Regii Gubernatoris et coram magnifico Joanni Baptistae Brancia Capitaneo convocati homini predicti Casalis voce publica et condunatis
in platea predicta in loco detto S. Sebastiano loco solito
et consueto in quo conveniri solent pro publicis negotiis
gerendis per dictos deputatos…».
Si convenne dalla maggior parte degli abitanti del detto casale che la «predetta chiesa di S. Sebastiano si doni
alla Religione di santo Augustino alla Provincia di Terra
di Lavoro con farsi un monastero con patto che la mastranza di detta chiesa sia sempre jus patronato del detto
Casale e che nelli tempi stabiliti possi eligere li mastri
soliti con fede alla magior osservanza di detto Casale
come elige la città nella ecclesia di Santa Maria della
Gratia15 quali mastri habbiano da havere particolare
pensiero del detto monistero et ecclesia acciò habbia da
conservare de bene in meglio in…. et promettevi più detto Fra Cosmo…..alli predetti deputati e università farli
una cappella dedicata alla congregazione del Santissimo
Sacramento……. Farsi due sepolture come meglio pare12) Cfr. A. Di Lustro, I luoghi sacri di Fontana, in La Rassegna
D’Ischia, anno XXXIII n. 3 maggio 2012.
13) P. Lopez, op. cit. p. 219.
14) D. Niola-Buchner, Ischia nelle carte geografiche del Cinquecento e Seicento, Ischia Imagaenaria 2000 p. 34 e ss.
15) Si riferisce certamente al convento francescano conventuale di
S. Maria delle Grazie, o all’Arena, fuori il borgo di Celsa che era di
patronato dell’Università della città d’Ischia.
ranno venire quali sepolture habbia d’essere nell’ala deritta nell’intrare convenire quali…. detti deputati mastri
si abbiano a formare in detta cappella li fratelli e sorelle
della detta confraternita…16». L’arrivo di Fra Cosmo a
Barano e l’apertura del convento creò qualche problema.
Il parroco di S. Giorgio D. Albino di Meglio, per maggior
comodo degli abitanti, conservava anche nella chiesa di
S. Sebastiano il Santissimo Sacramento. La fondazione
del convento e la presenza degli Agostiniani nel territorio della sua ottina parrocchiale e la concessione ad essi
della chiesa di S. Sebastiano, sottratta al controllo e alla
giurisdizione del parroco, non furono gradite a D. Albino
per cui «Adi 28 agusto 1608 ci si sciso lo Sacramento
da Santo Sebastiano a Santo Giorgio»17. Questo episodio
non si inserisce nel desiderio di rendere più solenne la
processione del Corpus Domini, come farebbe pensare il
Monti18, ma ad un vero e proprio atto di protesta da parte
del parroco D. Albino di Meglio: poiché la chiesa di S.
Sebastiano non è più sotto la mia giurisdizione, porto via
il SS.mo Sacramento e anche la pisside perché neppure
questa appartiene agli Agostiniani. Fra Cosmo, privato
anche della pisside dove riporre le Sacre Specie, fu costretto a recarsi al convento di S. Maria della Scala e rifornirsi di una nuova pisside perché necessaria alla chiesa
e alla confraternita del SS.mo Sacramento che era stata
fondata nella chiesa di S. Sebastiano. La vicenda però
non era terminata perché a questo punto subentrò il problema «della sfera», cioè dell’ostensorio che si svilupperà negli anni successivi. La vicenda ci viene documentata
dalle testimonianze di diverse persone presentate per la
soluzione del caso. Infatti così leggiamo in due testimonianze del 1641. La vertenza si acuì quando nel 1640 fu
fondata la seconda parrocchia di Barano nella chiesa di S.
Rocco19. Questa, sia la chiesa che la parrocchia, erano di
patronato dell’Università per cui si riaccese la vertenza.
Dei documenti relativi, riportiamo i documenti che seguono che bene sintetizzano la vicenda.
Archivio di Stato di Napoli,
Corporazioni Religiose Soppresse fascio 118
f. 94 r. - Die secundo mensis martii 1641 Ioannes Antonius de Meglio Varani etatis sue annorum circa sexaginta
trium ut dixit………..come il Casale di Barano non havesse sfera per asportare il SS.mo quando uscisse dalle
chiese et cossì…….per maggior augumento del servitio
16) Cfr. in C.R.S. fascio 117 ff. 97-99.
17) Archivio Parrocchiale di S. Giorgio, Primo libro dei battezzati,
cfr. anche G. Vuoso, La Chiesa parrocchiale di Testaccio d’Ischia
dalle origini ai nostri giorni, Forio Tipografia Epomeo 1990, p. 28.
18) P. Monti, Ischia archeologia e storia, Napoli Lino-tipografia
Fratelli Porzio 1980, p. 751.
19) A.D.I. Notamento cit. f. 84: Barani 1640= Decretum erectionis Parochialis Ecclesie intus Ecclesiam Sancti Rochi cum reservatione juris patronatus favore Universitatis eiusdem necnon instrumentum factum anno 1701= folia scripta n. 16. Cfr. G.G. Cervera_
A Di Lustro, op. cit.
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
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de Iddio…..con Andrea Telese orefice di Napoli che capitandoli alcuna sfera per le mani ne li havesse fare parte
perche il Casale li la voleva comprare per servitio et comodità quando esce il SS.mo et cossì dallo ……..tempo
detto Andrea disse che l’era venuta in mano una sfera
delle parti di Calabria al….. però con li denari di detto
Casale di Varano per ducati sei, e tutto quello pigliare più
detto Andrea lo donò perchè andasse in beneficio dell’anima di suo padre e portata che l’hebbe in questo Casale
detta sfera se ne servirono per uso publico del sudetto
Casale a tempo si asportava detto SS.mo che si conservava in potere delli deputati o vero sia nella chiesa di Santo
Sebastiano di detto Casale con fede si fa la presente che
poi quando la detta chiesa di Santo Sebastiano di detto
Casale fu donata alla religione di Santo Augustino venne
D. Albino di Meglio Paroco di Santo Giorgio et si pigliò
il SS.mo con tutta la piside
f. 94 v. - che stava dentro di detta chiesa di Santo Sebastiano: Il Padre Fra Cosmo di Verona andò a Santa Maria della Scala per li si fece portare la piside per mettere
di nuovo il SS.mo in detta chiesa e la detta sfera restò
in potere del governo di detto Casale ch’era …..perciò
tenerli per servitio del publico e servire a tempo uscire
il SS.mo e quello portare alli tempi detti nella chiesa di
Santo Sebastiano che dalli e quel tempo uscire detto Santissimo ma hora che esce dalla Parochia se ne servia in
detta Parochia ….così spettante al publico et per esser
loro proprio a quel è deponere…………Et dettoli come
portavano detta sfera in detta chiesa di Santo Sebastiano
detto che se la prestano…….in potere del governo atteso
poi il Parocho si fece la nova sfera a detto comprata da
esso restò in potere del governo di detto Casale. Questo
è vero io Giovanni Antonio de Meglio sono testimonio.
f. 95 r.
Eodem die ut supra
Nicolaus de Meglio Casalis Varani etatis sue annorum
circa triginta quinque…….come l’anni passati ritrovandosi esso detto sindico del Governo del casale di Varano venne un giorno a ritrovarlo Fra Francesco d’Ischia
all’hora Priore di Santo Sebastiano di detto Casale et lo
pregò che esso non poteva più tenere lo Santissimo Sacramento et la sfera di detto Casale perché l’erano stati
dati così contro alli suoi superiori che li havessero fatto
una Bissita per tenere detto Santissimo Sacramento che li
tornava la sfera, et così esso come sindico a sue proprie
spese fece detta Bissita. Et la consignò allo detto Padre
Priore, lo quale la ricevè et piglio detta sfera, et ge la
diede dicendo pigliatela perché è cosa vostra, et con…….
del convento con esso se la receve et si la ritenne in suo
potere, et dalla………..esso sopradetto la consignò al suo
successore nel governo come presente ancora in loro potere si ritrova, et per sempre l’have inteso dire che è stata
fatta dalo Casale, et è stata in potere hora delli mastri del
Santo Sebastiano et hora in potere del governo per essere
40
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
stata sempre cosa loro propria con il è questo presente.
Io Nicola di Meglio sono testimonio.
f. 96 r.
Al Signor Capitaneo d’Ischia
Li Deputati del casal di Barano expongono a Vostra
Signoria come nell’anno 1607 il detto casale mediante
publico parlamento, et General Consenso donò alla religione di Santo Augustino in Terra di Lavoro la chiesa
di santo Sebastiano sita, et fatta in esso Casale a sue
proprie spese, con condizione che li Padri d’essa Religione fossero tenuti fabbricarci un nuovo Monistero per
l’habitazioni di dui Padri di Messa, et …., et fu concluso
darli tutte l’entrade, emolumenti et elemosine che fussero
state fatte, et in futurum si facessero per detta fabrica, et
anco promesero farci una cappella dedicata alla Confraternita del SS.mo Sacramento comprando il sito, et sub
ministrando le spese il detto Casale con molti altri patti,
et condizioni contenuto in publico instrumento, fatto tra
esso Casale, et il Reverendo Padre Fra Cosmo di Verona, qual intervenne in nome della sudetta Religione, qual
all’impronto si provvide, et havendos’il Casale predetto a sue spese fatto una sfera per portar il SS.mo nelle
Processioni per sua Devotione non fu donat’altrimente a
detti Padri ma se le serbò per esso anzi havendola l’anni
passati accomodata al reverendo Padre Francesco d’Ischia allora Priore di detto luoco per ritenere dentro la
custodia il SS.mo essendo venuto il Padre Provinciale a
far la visita, ordinò, che si fusse fatto una Pisside, non
conservandosi bene dentro detta sfera, et il Casale fece a
sue spese quella et le donò alla chiesa predetta, ripigliandosi la sfera qual sin hora ha ritenuto, ritiene in poter suo
et perché l’e pervenuto all’orecchie, che li Padri ch’al
presente si ritrovano in detto Monistero vogliono quella,
et ritenerla come lor cosa propria, contro la volontà del
Casale et d’essi supplicanti, non havendo mira, che non
solo detta sfera sia stata fatta per devotione loro ma che
hanno havuto intentione donarcele. Perciò supplicano
Vostra Signoria voglia ordinare che sia lecito a detto Casale et suoi deputati di ritenersi la sfera predetta in poter
loro, disponere a lor volontà, come veri Padroni di quella, et che non si possa donare senza espresso parlamento
et consenso generale di detto Casale, mentre in detto
Instrumento non appare esserci stata donat’alla Religione sudetta, et a questo interponersi dato ad futuram rei
memoriam, et haveranno a gratia ut Deus.
La vita del convento agostiniano di Barano però fu piuttosto breve perché i frati dovettero lasciare il convento di
S. Sebastiano nel 1653 in seguito alla pubblicazione della
bolla «Inter coetera» di papa Innocenzo X del 17 dicembre 1649 con la quale si voleva accertare la consistenza
numerica delle comunità religiose presenti in Italia, le
capacità ambientali e relative risorse economiche delle
comunità presenti sul territorio.
Gli Agostiniani di Barano il 6 aprile 1650 presentarono
la seguente relazione.
Archivio Generale degli Agostiniani- Roma
f. 111 r.
Relatione del Convento di S. Sebastiano dell’Ordine
Eremitano di S. Agostino situato nel Casale di Barano
della Città, et Isola d’Ischia in conformità della Bolla di
Nostro Signore Papa Innocentio , e spedita sotto li 17 di
settembre 1649.
La fundatione di detto Convento fu fatta nell’anno 160420
alli 16 d’Aprile il fondatore fu il Padre Fra Cosmo da
Verona con consenso dell’Illustrissimo e Reverendissimo
Monsignor Indico Avelles col consenso dell’Università
come da Capitoli fatti, con patto che detta fondazione
habbia a tenere in quel luogo due Sacerdoti, et un servente, che havessero potuto sodisfare al popolo, et con
assignatione de scudi 60, et che detti sacerdoti havessero
sodisfatto agl’oblighi et mancando, che il detto Casale,
et Università si possa pigliare il detto Convento come si
ritrova. Ha la Chiesa sotto il titolo di S. Sebastiano, è di
struttura palmi 85 di longhezza e palmi 32 di larghezza,
la porta nella Piazza del Casale simile proporzione tiene
il convento dalla detta chiesa vi è una porta ch’entra in
un camerone et quello serve per chiostro, et Dormitorio,
dove vi sono due camere, et dall’altro lato vi è un’altra
stanza, serve per cocina, e dispensa.
Dalla porta di detto camerone si fa uscita ad un poco di
cortiglio contiguo col Giardino serve per li Padri
Avertendo che detto Camerone, E Camere sono terrane,
et dal cortiglio si va alla Porta del Convento sopradetto
f. 111 v.
Fa introito di tutto quello che tiene quali sono pesi di
messe perpetue in scuti 104
D’una cerca di vino commune sempre botte due sono
scudi 12
Di Messe giornaliere scudi scudi 6 1/°per provisione de
morti scudi 3 in communi 9: 6
Avertendo che non si mette Casseta, la causa è che li Minimi di detta Chiesa han peso di mantenere la lampa del
SS.mo.
Tiene il Convento due Sacerdoti, et un Servente il Padre
Baccelliere Fra Sebastiano Conti di Barano, Il Padre
Fra Antonio Balestriero di Barano Servente Domenico
dell’istesso Casale
All’incontro ha di peso Messe il Convento per tutto l’anno 479 questi sono oblighi perpetui, et sono 379 d’un
paulo l’una; et cento a baiocchi 15
Si riceve la Messa letta a 10 baiocchi, e la cantata giulij
tre. Il convento è aggravato scudi 5 l’anno, che si pagano
per l’hora che tiene nelle mure del convento 5
Per contribuzione per la Provincia 4 -80
Le spese di Superiori et altre occorrenze 1-50
Per cera ordinaria, et straordinaria 7-20
Di vino e vestiarij, e sosidio di Priore 95
Per li cercatori del vino 4
Per barbiero e chirurgo 1
Estraordinaria 1-50
Di Viaggio di Capitolo 2
Di lite, et Notari 2
Di zappare, e governare il giardino 2-50
D’infirmità 1-50
Noi infrascritti col mezo del nostro giuramento atestiamo
d’haver fatto diligente inquisizione, e recognitione dello
stato del Monistero sudetto, et che tutte le cose di sopra
espresse, et ciascheduna d’esse sono vere, et reali, et che
non habbiamo tralasciato d’esprimere alcuna entrata,
uscita, e perso del Monistero medesimo, che sij pervenuto alla nostra notitia. Et in fede habbiamo sottoscritto la
presente di nostra propria mano, e signato con il solito
sigillo.
Questo di 6 Aprile 1650 Io Fra Sebastiano Conti di Barano Priore del sopradetto Convento con firma ut supra
Io Fra Antonio Sacerdote Balestriero di Barano affirmo
ut supra
Io Fra Sebastiano Napoletatno Sacerdote Deputato affirmo ut supra Io Fra Clemente Schifelci da Diano Deputato affirmo ut supra. Locus + signi
Agostino Di Lustro
(continua)
20) Le date riportate dai vari documenti sono un poco ballerine.
La relazione ad limina presentata il 9 aprile 1604, tra i conventi
presenti sull’isola d’Ischia non fa menzione di S. Sebastiano di
Barano, come pure in quella dell’11 giugno 1606. Viene ricordato
per la prima volta nelle relazione ad limina del 13 maggio 1609
(cfr. le varie relazioni ad limina).
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
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Stabiae Svelata
Dalle celebrazioni per il 250° degli scavi
borbonici alle ultime esplorazioni
Inaugurata al multisala Montil di Castellammare di Stabia
la mostra Stabiae Svelata. Dalle celebrazioni per il 250°
degli scavi borbonici alle ultime esplorazioni (1999-2012)
che resterà aperta fino al 9 dicembre 2012.
Sono esposti documenti e reperti storici attestanti le
attività di scavo, restauro e ricerca condotte nel corso degli
anni presso le ville romane di Stabia, frutto del prezioso
lavoro svolto da tutti gli uffici della Soprintendenza ed in
«Natale in casa De Angelis»
Antonio Macrì
Sabato 10 novembre 2012 è stata inaugurata ad Ischia
Porto in Piazza degli Eroi, nella casa, già degli artisti
della famiglia De Angelis una mostra, curata da Massimo Ielasi, dei dipinti di Antonio Macrì che racconta le
tradizini isolane. La mostra si protrarrà sino al 6 gennaio 2013.
Per Antonio Macrì il “verbo”, biblicamente inteso, è “Ischia”, e
mille sirene, invitanti dalla vicina costa di Vivara, non potrebbero smuovere la sua granitica fermezza. Ancorato alla sua bitta sul
porto-cratere Antonio dipinge da anni, frugando prima con occhio
sorpreso, poi via via con sguardi sempre più acuti, quell’universo
“perfetto, completo e assoluto” che è, come per la quasi totalità
degli autoctoni, la sua antica Aenaria. Un discorso continuato, insomma, conseguente, che, oseremo definire - con una parola d’uso - corrente e barbaro, ha inconsciamente “pianificato”. Perché
in verità questa lunga ricerca di una sua via alla pittura, per Macrì
è sempre stata una ricerca di sé, del suo io profondo. Come se la
pittura fosse per lui la risposta al gigantesco punto interrogativo che
le sue nubi lattee disegnano nei suoi cieli d’azzurro infinito ma nei
quali non appare mai il sole.
Sarebbe avvilente limitare ad un’identificazione psicologica il
lungo cammino percorso dall’artista. Diciamo che essa tuttavia ci
dà modo di capire perché Macrì lavora e dipinge e come lavora
e dipinge. Venuto da una vita agra in cui lavorare stanca e dietro
cui la fatica mostra il suo volto disfatto senza più gli orpelli della
retorica e della finzione poetica, l’artista aveva trovato tra i pennelli
e i colori l’evasione riposante, il riparo tranquillo contro il suo fato
d’uomo. Poesia dunque i suoi primi lavori? Fuga da una realtà?
Nulla di tutto ciò o forse tutto. Forse, agli inizi, soltanto un modo di
ricercarsi e ritrovarsi altrove. Basta vedere, come ci fu dato, alcune
42
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
primis del Laboratorio di Restauro di Stabia. Le ville, le
nuove scoperte, i risultati delle ultime ricerche scientifiche
attraverso filmati storici, ricostruzioni virtuali, foto,
documenti d’epoca, calchi di oggetti e arredi: ecco quanto
sarà divulgato e messo in mostra.
«La mostra – ha affermato la dott.ssa Teresa Elena
Cinquantaquattro - è la dimostrazione dell’impegno
rivolto a Stabia, spesso relegata nell’attenzione collettiva
in secondo piano rispetto a Pompei. Di fatto per la
Soprintendenza non esistono graduatorie fra i vari siti:
tutto il patrimonio archeologico è meritevole di cura
e attenzione, che si rimettono inevitabilmente ad una
scala di priorità dettata dalle contingenze. Il lavoro di
valorizzazione e promozione passa anche e soprattutto
attraverso la capacità di indirizzare e coinvolgere i flussi
turistici, che oggi si fermano nella sola Pompei, verso gli
altri siti di competenza, e questa mostra ne è segno concreto
e tangibile».
«L’impegno della Soprintendenza è ora quello di
lavorare alla realizzazione del Museo archeologico di
Stabia, impegno che dovrà passare anche attraverso il
coinvolgimento e la collaborazione degli altri Enti di
competenza, in un percorso condiviso di valorizzazione».
*
delle sue prime tele, per capire con quanta tenerezza egli scavasse
dentro le cose che rappresentava, il “suo” porto, le “sue” case attorno al porto, le “sue” navi nel porto, certi “suoi” angoli dell’isola o
la “sua” Forio. Per non dire la patetica dolcezza con cui ha saputo
fissare certi volti dei suoi cari.
Macrì ha lavorato a lungo così, in silenzio, quasi in segreto, con
una modestia che oggi può apparire francescana, interrogandosi
con domande a cui, egli da solo, non poteva dare tutte le risposte.
Unica certezza che non lo ha mai tradito è la stessa che ci ha dato
il grande Morandi: sapere cioè che non è tanto il soggetto dipinto
a fare grande un quadro quanto il modo di dipingerlo. E così come
Morandi ci ha dato le sue “eterne” bottiglie, Macrì ci ha dato la
sua Ischia, cruda e verde, assetata anche se gonfia d’acqua, amara
anche se dolcissima, cupa anche se ridente. Dalle lontane origini
ad oggi il discorso, ripeto, non è mutato., anche se, ad un certo
momento della sua vita d’uomo e di pittore, qualcosa è cambiato.
Radicalmente e definitivamente. Come se, attraversando il braccio
di mare che divide la sua isola dal mondo, egli abbia, non ascoltato
la voce delle sirene, ma preso coscienza che le sirene esistono, che
la terra non finisce a punta San Pancrazio o a Punta Cornacchia e
che spargere colori su una tela può essere altra cosa che un’evasione o un rifugio. Un’avventura esaltante ad esempio, una rivalsa,
una rivincita, una vittoria. Questa presa di coscienza lo ha sbarazzato - lui timido ed introverso, segreto ed avulso - di quella corazza
impalpabile di incomunicabilità che faceva di lui il peggior nemico
di se stesso e della sua pittura. Da allora è come se il mondo si sia
sciolto sotto il suo pennello. Le strutture rudi, i visi e i corpi scolpiti
con l’accetta, gli oggetti duri e massicci, tutte rappresentazioni del
suo mondo di amore-sofferenza su cui ci sarebbe molto da dire, si
sono come “liberati” in una catarsi diluita e rarefatta.
Delle sofferenze e fatiche di un tempo egli è riuscito a buttare
tutte le scorie salvando, nonostante tutto, due realtà essenziali: la
poesia e la sua isola. Perché anche aprendo gli occhi sull’altro mondo (quello della terraferma) Macrì ha rifiutato il canto delle sirene.
Indissolubilmente incatenato all’ancora adagiata al fondo del suo
porto-cratere, nonostante le evasioni e le pazziate che possono indifferentemente portarlo a Monaco di Baviera o a Venezia, a Roma
o a Parigi, egli “sa” che Ischia rimane, assieme, la sua prigione e
la sua fortezza. Da qui questi suoi quadri pieni di mare e di cielo
con nubi bianco-grigio-dilaganti che partono per non si sa dove.
Come la sua anima di moderno Sisifo, alla ricerca di nuovi cieli o
come il cuore degli antichi emigranti desiderosi più di tornare che
di partire?
Parlare di “dolce malinconia” a proposito di Macrì ci sembra
L’isola dei morti
Omaggio ad Arnold Böcklin
è il titolo di una mostra collettiva svoltasi
nel mese di ottobre 2012 nella Galleria
Ielasi di Ischia Ponte.
Sono state esposte opere di:
Vasco Ascolini
Paolo Bacilieri
Salvatore Basile
Paola Casulli
Francesco Cattani
Marco Cortese
Luigi Critone
Manuele Fiore
Fracesca Ghermandi
Gabriella Giandelli
Raffaele Iacono
Max Klinger
Piero Macola
Antonio Macrì
Franco Matticchio
Lorenzo Mattotti
José Muñoz
Giacomo Nanni
Emil Nolde
Gabriele Renzullo
Caterina Sansone
Alessandro Tota.
limitativo e, tutto sommato, banale. Tuttavia la riposante tenerezza che ci trasmettono i suoi quadri è il punto di partenza per un
eventuale discorso futuro del suo iter artistico. Dietro le grandi
nubi che invadono, coprono, dilagano nei suoi quadri forse, anzi,
sicuramente, si nasconde il sole. Un sole senza tramonti. (Enrico
Giuffredi - Parigi, luglio 1990) – da www.ischiaonline.it
“Non omnis moriar”
a Gabriele Mattera
Tra cieli e terre
traslato su cremagliere arruginite dalla salsedine
assicurato per argani e pulegge robustose
imbracato con clinganti anelli di roccia ciclopica
recuperato da pazientosi cingoli rampinanti
ormai emerso sacello cipressato su cippo basaltico
olio su tavola galleggia 74x122 cm.
Tra cieli e terre
figura bianco-vestita bara-drappo sic goffratura
in cerniera dentellata per emissioni multiple
francobollo 1880 in filigrana ancora
un Caronte trasfigurato promosso rimosso
traghetta imbesuito surreali Marie allucinate
misteriche cercinate a madonna
Tra cieli e terre
polene lignee incellofanate in sbuffi di vapore
tridimensionali leggere visioni in dissolvenza
di che si voglia immagini Pithekoussai
Civetta dispettosa con obolo incastonato a fronte
e/o criptato fra frenulo e lingua a dolo
Tra cieli e terre
tracima la scia dietro l’aratro timone
a dritta nigro semen semina a manca
leucodromo asettico senza motivo affiorante
unico il giorno che non conosce domani
tenero si lascia vivere sbiancato e zittito
trapassato portato a spalla da oblati
incappucciati a risalire il salto
tra cirri saturnini nati da lagrime dissalate
Tra cieli e terre
sospiri cospirati sommesse geremiadi arrochite
a ricordare la vita alla vita
nel bianco della calce viva traspirata
algido lucore incornicia una barca tanto
in assoluta levità lontano scivola lontano
Tra cieli e stelle.
Luglio, 2012
Pietro Paolo Zivelli
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
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Premio dei Grandi Giardini Italiani
alla Mortella di Forio
Il Premio Grandi Giardini Italiani
2012 per il più alto livello di manutenzione, buon governo e cura
dei giardini visitabili si propone di
offrire un riconoscimento alla professionalità e alla cura dimostrata da
proprietari e curatori nella manutenzione dei giardini italiani aperti al
pubblico: 500 anni di storia dell’arte
e del paesaggio che arricchiscono il
prestigio e l’immagine del Paese.
In base a tali canoni, quest’anno
sono stati assegnati:
I premio a La Cervara – Abbazia
di San Gerolamo al Monte di Portofino (S. Margherita Ligure, GE)
II premio al Giardino La Foce
(Chianciano, FI)
III premio ai Giardini La Mortella (Forio – Isola d’Ischia, NA)
Si legge sul sito (www.grandigiardini.it) relativamente ai Giardini La
Mortella: «È un capolavoro paesag-
gistico e botanico contemporaneo,
creato e curato da Susana, moglie
di William Walton, uno dei più importanti musicisti inglesi del Novecento. Progettata in parte da Russell
Page, La Mortella occupa un’area di
circa 2 ettari divisa in due zone, giardino a valle e giardino superiore, che
ospitano più di 3.000 specie di piante. L’ambiente è arricchito da fontane e corsi d’acqua per specie acquatiche come papiro, loto e ninfee
tropicali. Le collezioni comprendono piante originarie da diversi paesi,
quali felci arboree dal continente australiano, protee e aloe dal Sudafrica, yucche e agavi dal Messico, e poi
magnolie, camelie, bauhinie, palme,
cicadacee. Tra le rarità botaniche si
segnalano, oltre a numerose orchidee, Spathodea campanulata dall’Africa tropicale, Metrosideros dalla
Nuova Zelanda, Puya berteroniana
dal Cile, Dracaena draco dalle Canarie, Chorisia speciosa e Jacaranda
mimosifolia dall’Argentina. Nella
serra della Victoria vengono coltivate la gigantesca ninfea brasiliana
Victoria amazonica e il rarissimo
rampicante filippino Strongylodon
macrobotrys, con fiori verde giada.
Nel giardino superiore si trovano la
Sala Thai dall’atmosfera orientale,
circondata da fior di loto, bambù e
aceri giapponesi; il Tempio del Sole,
con bassorilievi di Simon Verity; la
cascata del Coccodrillo; il Ninfeo,
un angolo formale in mezzo alla
flora mediterranea; il Teatro greco,
con la splendida vista sul mare e infine la Roccia di William, dove sono
custodite le ceneri del compositore.
Salendo la collina si incontrano un
bar accogliente, la Serra delle orchidee, il Museo, con ricordi di Walton,
fotografie di Cecil Beaton e un teatrino di Lele Luzzati. La Mortella
offre borse di studio per compositori
in collaborazione con l’Università di
Harvard, e organizza una stagione di
concerti con le scuole di musica di
Napoli, Roma e Firenze. Dal 2007
il Teatro greco ospita concerti estivi
all’aperto».
Premiazione del Premio Grandi Giardini Italiani 2012 (Isola del Garda, 10 ottobre 2012) - A sinistra il dott. Mapelli e la sig.ra Mapelli, proprietari de La Cervara, Abbazia di San Gerolamo al Monte di Portofino (S. Margherita Ligure, GE) - A destra la dott.ssa Vinciguerra, Direttrice e
curatrice de La Mortella (Forio – NA).
44
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
Rassegna LIBRI
Il Museo Archeologico di Pithecusae
di Costanza Gialanella
Nuova Grafica Editrice, luglio 2012, pp. 32. In copertina: I muli della Stipe dei cavalli (località Pastola, Lacco Ameno).
«Sono molto grata all’Amministrazione Comunale di Lacco Ameno per
aver voluto rieditare, con un apposito
finanziamento della Regione Campania,
questa Guida breve del Museo Archeologico di Pithecusae, istituito nell’aprile del 1999 nell’edificio principale del
complesso di Villa Arbusto in Lacco
Ameno d’Ischia, costruito nel 1785 da
Don Carlo Aquaviva, Duca di Atri, lì
dove era la “masseria dell’arbusto”.
Il Museo illustra la storia dell’isola
d’Ischia, dalla Preistoria all’Età romana ed impegna, con le sue otto sale, il
primo piano della villa principale del
complesso. Nell’Istituto sono esposti
oltre 1000 reperti, il cui nucleo più significativo è costituito dai materiali,
soprattutto ceramici, che danno testimonianza dell’antica Pithecusae, fondata
nel secondo quarto dell’VIII secolo a.
C. sul Monte di Vico a Lacco Ameno da
Greci provenienti dall’isola di Eubea.
Questo stanziamento greco ha giocato
un ruolo di primaria importanza per la
nascita della civiltà della Magna Grecia: Pithecusae è stata infatti un centro
di fabbricazione e di smercio di prodotti
soprattutto metallurgici finiti, favorevole rispetto al mercato delle popolazioni
emergenti dell’Italia centrale, a quell’epoca non ancora inserite in un sistema
di commerci codificato e sulle quali non
può negarsi la straordinaria importanz
determinata dalla fondazione di Pithecusae, attraverso la quale si diffuse, tra
l’altro, anche la conoscenza della scrittura alfabetica.
La nostra conoscenza di Pithecusae si
fonda esclusivamente sulle straordinarie
scoperte di Giorgio Buchner (Monaco
di Baviera, 8 agosto 1914 - Ischia, 4 febbraio 2005), grande archeologo tedesco
ma italiano di adozione, che ha dedicato la sua intera vita allo studio ed alla
ricerca di Pithecusae: ancora nel 1930,
infatti, l’archeologo A. Maiuri confessava come l’isola d’Ischia fosse del tutto
ignota, e tale essa rimase fino a che lo
stesso Maiuri non assunse Buchner nel
1947, come salariato stagionale, presso
l’allora Soprintendenza alle Antichità. Nel 1952 Buchner diede inizio agli
scavi della necropoli, nella baia di S.
Montano, svelando un universo di conoscenze che costituisce uno dei tasselli fondamentali della storia del mondo
occidentale e continuando da allora a
lavorare sino alla costituzione del Museo Archeologico, l’ultima sua grande
opera prima della scomparsa, avvenuta
pochi anni più tardi. Un Museo che egli,
come già suo padre, altrettanto illustre
naturalista, immaginò quale prezioso lascito tanto al mondo della cultura quanto ai suoi concittadini elettivi dell’isola,
la terra che egli amò e rese illustre. Per
sua esplicita richiesta, il Museo non porta il suo nome, ma amarlo, conoscerlo,
sostenerlo, frequentarlo sarà il miglior
modo per noi tutti per dirgli più degnamente e semplicemente grazie».
Introduzione di Costanza Gialanella,
Direttore scientifico del
Museo Archeologico di Pithecusae
Due ospiti ad Ischia: il Beato Bonaventura
da Potenza e Suor Mariangela della Croce
di Nunzio Albanelli
Valentino Editore, luglio 2012. La pubblicazione è stata finanziata dalla Fondazione
Opera Pia Iacono Avellino Conte e il ricavato della vendita sarà devoluto in beneficenza.
«Sfogliando un’elegante rivista edita
dai conventuali di Ravello, fui attratto
da una nitida riproduzione di un dipinto raffigurante il Beato Bonaventura da
Potenza che indica a un nobile cavaliere
un cesto aperto da una donna là inginocchiata, ricolmo di pane fresco. Già
m’era noto quel quadro e sapevo che il
cavaliere là raffigurato era il marchese
Giacomo Lanfreschi e la donna Angela
Diodato, di Villa dei Bagni, istitutrice
dei figli del marchese. Angela, convertita da una vita frivola e dissipata, era
la lunga mano di Padre Bonaventura nel
soccorso dei poverelli. Avendo un giorno svuotata la dispensa per sfamare i
poveri del Padre Bonaventura ed essendo stata rimproverata dalla cameriera di
casa Lanfreschi, fu trovata in casa, senLa Rassegna d’Ischia n. 6/2012
45
za conoscerne la provenienza, una cesta
di pane fresco e profumato.
Guardando quell’immagine esclamai:
- Beato Bonaventura, hai fatto tanto
bene agli Ischitani nei dieci anni che
vivesti in quest’isola e oggi sei tanto
sconosciuto. Chissà se qualcuno si ricorderà di te, almeno quest’anno che è
il terzo centenario della tua morte! In verità ero scettico pensando che,
come son passate sotto silenzio tante
ricorrenze, sarebbe passata anche così
la data del 26 Ottobre 2011. Ma mi son
dovuto ricredere e riconoscermi uomo
di poca fede. Il Prof. Nunzio Albanelli, amico mio da circa sessant’anni, mi
ha presentato perché lo leggessi un suo
lavoro sul Beato Bonaventura. Sono
rimasto sorpreso! Lo Spirito Santo ha
ispirato lui, che non è un frate né un prete, ma un ottimo padre di famiglia, uno
scrupoloso insegnante e un meticoloso
dirigente, già titolare dei due licei isolani, a riaccendere la lampada del ricordo
di un personaggio che, nel campo dello
spirito, fu il più grande benefattore degli
Ischitani, stimolando, attraverso questo
scritto, coloro che hanno fede, a ricorre-
Cogito et cano
tiero dell’esistenza. «Ci accompanano il “canto” di Antonia (la protagonista), le sue parole, i suoi occhi,
che scopriranno infine che l’amore
è davvero qualcosa che ci colpisce
inaspettato e a sorpresa, perché quello che non ci aspettiamo è destinato
a cambiare il corso della nostra esistenza».
Seguendo la lettura piacevole,
scorrevole e accattivante, Palma «ci
racconta la sua versione dell’amore,
dalle alte sfere all’incredibile viaggio della vita», concludendo la sia
narrazione con una massima di S.
Agostino: «Quando si ama, non si
fa fatica, o, se si fatica, questa stessa fatica è amata» (In eo quod amatur,
di Palma Impagliazzo
Albatros Editore, collana Nuove voci,
marzo 2012
Cogito et cano introduce Palma
Impagliazzo, nata a Lacco Ameno,
laureanda in Filosofia, nel campo della scrittura con questa prima
pubblicazione che è «un viaggio
emozionante nella storia di un cuore
e di un’anima che cresce e conosce
i sentimenti, il mondo, la vita». Vi
concorrono quindi la famiglia, il
primo amore o gli amori, le delusioni, le illusioni: tutto un insieme di
aspetti che normalmente caratterizzano coloro che percorrono il sen-
aut non laboratur, aut et labor amatur).
Alfa Alfa Zulu Zulu “Il Semaforo”
Per una storia delle telecomunicazioni della Marina Militare
di Salvatore Grillo
Casa Editrice Fergen, marzo 2012. In
copertina Il semaforo di Punta Imperatore (dipinto di Michele Petroni)
«Il presente libro, scritto con intenso
sentimento dal contrammiraglio Salvatore Grillo, è meritevole di particolare
considerazione, sia per la descrizione
della storia, avvincente e ormai conclusa, del mondo delle stazioni semaforiche e di quelle che furono le telecomunicazioni classiche, sia per il modo
in cui con manifesto amore è riportata
l’intera vita professionale dell’autore,
a parrire dagli inizi come allievo capo
corso dell’appena costituita categoria
dei “semaforisti”.
46
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
re alla intercessione del Beato Bonaventura.
Il voto che facciamo in questo terzo
centenario del suo ritorno a Dio è che
venga proclamato Santo per aver ottenuto dal Padre della Misericordia la
guarigione, insperata e umanamente inspiegabile, a un figlio o una figlia dell’isola d’Ischia, per cui si sarà pregato con
fiducia e ci si sarà rallegrati per l’ottenuto favore e la glorificazione del pietoso
intercessore».
Presentazione di
Mons. Camillo D’Ambra
La vicenda storica delle pagine che
descrivono in modo avvincente i paricolari, in larga parte sconosciuti, di un
mondo che è stato per lunghi anni il
cardine della salvaguardia delle coste
nazionali, e l’esposizione degli accadimenti di una categoria così caratteristica e gloriosa, anch’essa ormai non più
esistente, rendono quest’opera degna di
un’attenta lettura» (Dalla Prefazione di
Bruno Branciforte, ammiraglio di squadra e
capo di Stato Maggiore della Marina).
Particolare rilievo assume il racconto
della permanenza del giovane semaforista Grillo presso il semafoo di Punta
Imperatore a Forio: un «ritratto interessante della vita in un’epoca ormai superata dalla tecnologia». Vi sono menzionati personaggi e vicende di vita del
tempo; infatti il Grillo si era ben inserito
anche nel contesto sociale locale con le
sue amicizie: partecipò per esempio ad
una compagine calcistica impegnata nei
campionati provinciali. Tra i suoi amici
ricorda particolarmente Masino Manna,
detto “Masidò”, segnalatore di leva: un
personaggio allegro, simpatico e pieno
di energia, e un ragazzo affabile che diventerà poi un eccellente pittore, e cioè
Michele Petroni, alias Peperone.
*
Lo sport a Pozzuoli, storia e leggenda
di Gennaro Gaudino
Tipolitografia “Grafica Montese”, Monte di Procida, 2012, pp. 144.
È dal lontano 1994, con la pubblicazione del suo primo volume (Diavoli Rossi. La
tradizione calcistica flegrea, Ed. Riccardi) che Gennaro Gaudino, giornalista pubblicista, nonché accreditato ed esperto studioso del calcio campano, ci diletta e ci nutre
di cultura – è proprio il caso di dire – con le sue pregevoli pubblicazioni, cariche di
un lavoro oculato e certosino, di documenti, di notizie e foto sovente inedite, scovate
tra la polvere e la muffa di archivi e biblioteche o tra le pagine ingiallite dal tempo
di giornali d’epoca: unico protagonista dei suoi lavori, il calcio flegreo.
Queste pubblicazioni avvalorano anche il contesto socioculturale dove essi nascono e attingono notizie, il più delle volte (anzi, quasi sempre) riscontrando una vacua
disponibilità e sensibilità da parte delle amministrazioni locali ed imprenditoriali.
Eppure la cultura di un luogo, di una città, si divulga soprattutto attraverso i libri,
anche se l’argomento è lo sport.
Nel leggere questa ennesima fatica di Gaudino, si ha ancor più netta la convinzione – se mai ce ne fosse bisogno – che la cultura di una città, come accennato
all’inizio, passi anche attraverso lo sport, non fosse altro che per i personaggi legati
ad esso che hanno contribuito negli anni a scrivere pagine importanti e/o eccezionali,
sovente assurti alla ribalta nazionale.
Infatti, l’autore, con un linguaggio senza fronzoli, che bada al sodo ma piacevole nella sua fluidità, ci dà riscontro, dopo accurate ricerche, di alcuni personaggi
ed eventi puteolani che, specie nel secolo scorso, hanno maggiormente dato lustro
alla città di Sophia Loren: Luigi Fasulo, che arrivò alla soglia del titolo italiano dei
pesi Gallo; il compianto Enzo D’Angelo, protagonista della pallanuoto mondiale; il
presidente della Puteolana anni ‘50 Alfonso Artiaco, divenuto senatore della Repubblica; la mitica Fulgor Puteoli che partecipò alla Seconda Serie Nazionale di basket,
etc. (Giorgio Moio).
L’importante è non
arrendersi
di Luciano Di Meglio
Allegato al settimanale Il Dispari, settembre 2012.
Allegato al settimanale Il Dispari, è
stato pubblicato il 13 settembre 2012
l’agile e interessante libro di 32 pagine
“L’importante è non arrendersi” dello
scrittore Luciano Di Meglio, già noto ai
lettori per alcune altre pregevoli pubblicazioni che riguardano pescatori e gente
d’Ischia, gli “umili”, veri protagonisti
della storia, secondo una visione verghiana della vita.
I protagonisti sono Sebastiano Di
Meglio e Girolamo Santella, coetanei
e pescatori, le cui vite si intrecciano in
saldi legami di amicizia e di affetti.
Sebastiano Di Meglio è un personaggio realmente esistito, essendo stato il
guardiano del faro del porto d’Ischia e
che recapitò a Gaeta la bandiera dell’ultimo sovrano del Regno delle Due Sicilie, Francesco I.
Il capitano degli ussari, cioè il soldato
di cavalleria leggera tipico dell’esercito
ungherese e in seguito diffuso in tutti gli
Stati europei, è il secondo protagonista
del libro. Egli apparteneva a una famiglia aristocratica, era un dongiovanni e
restò sempre fedele ai Borboni, e si rivelò tanto modesto da stringere amicizia
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
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con Sebastiano Di Meglio, appartenente
a un ceto sociale tanto inferiore al suo.
Intanto tra Sebastiano e Carolina,
anch’essa figlia di povera gente, sboccia l’amore, ma nel contempo le vicende belliche, con la discesa al Sud delle
truppe garibaldine, ostacolano ogni tipo
di rapporto umano ed amoroso.
Il testo manifesta una chiara simpatia
dell’autore pei i Borboni su cui pesa il
giudizio degli storici sentimentali, tra
cui quello di un lord inglese, il quale,
dopo avere visitato le prigioni borboniche, definì il Regno di Napoli “la
negazione di Dio sulla terra”. Eppure
nessuno può negare che essi fecero molto per la nostra isola, prima del 1855
pressoché inaccessibile: la costruzione
di nuove strade, come la Borbonica,
via a mezza costa che da Forio arriva
al Maio; l’apertura del porto, che offrì
nuovi orizzonti all’economia ischitana
e che costituisce ancora oggi l’approdo
più importante dell’isola, offrendo sicurezza a qualsiasi natante. Resta accertato che la caduta dei Borboni per Ischia
fu una calamità, oltre a determinare per
quello che fu uno degli stati più avanzati
d’Europa una condizione di emarginazione e di pseudo colonialismo.
La sroeia narrata attira e coinvolge emotivamente il lettore fino all’ultima pagina, lasciando nella sua mente un ricordo indelebile dell’opera. Infine, credo
che la componente principale del testo
sia una lezione di “coerenza”, ossia la
fedeltà alle proprie idee, convinzioni,
principi, anche se tale modus vivendi
costa sempre rinunce e delusioni. Ma
«l’importante è non arrendersi», come
dimostra lo stimato Luciano Di Meglio.
Nicola Luongo
Antichi crocefissi lignei dell’isola d’Ischia
di Serena Pilato
Progetto Culturale della Diocesi di
Ischia - Istituto Europeo del Restauro
Ischia
Un volume sulle pregevoli opere di
scultura lignea presenti nell’isola d’Ischia, scritto da Serena Pilato, docente
dell’Istituto Europeo del Restauro, Isola d’Ischia, e direttore dell’Ufficio Progetto Culturale della Diocesi d’Ischia.
All’interno sintesi delle schede di restauro, oltre che suggestive immagini
delle opere presentate. Presentazione
di Agostino Di Lustro, che qui pubblichiamo.
«I Crocifissi di Gaetano Patalano “Un progetto culturale che parte nel
nome del Crocifisso”.
Può sembrare un fatto devozionale
frutto della spiritualità di certi ambienti pietistici di movimenti di base
di sapore ancora medievale e di ispirazione francescana. Si tratta, invece,
dell’avvio di un itinerario culturale
nel senso pieno della parola che parte
dalla teologia per finire alla pietà popolare attraverso la sublime espressione
dell’arte, questa volta della scultura in
modo particolare. Queste mi sembrano
le linee ispiratrici di questa prima fatica
della dottoressa Serena Pilato, direttrice dell’Ufficio Progetto Culturale della
Diocesi d’Ischia, attraverso la proposta
di un filone di ricerca nuovo per la nostra isola considerato che quanto è stato
scritto sui Crocifisi presenti sul nostro
territorio non supera lo spazio di una
paginetta.
Gli studi che in questi ultimi tempi
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La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
vengono condotti sui tre Crocifissi più
famosi e venerati dell’isola d’Ischia:
quello della cattedrale, del santuario
del Soccorso e della chiesetta del Cretaio, soprattutto dopo il restauro del
primo realizzato dal prof. Teodoro Auricchio dalla dottoressa Pilato, hanno
dato un contributo notevole per una più
approfondita conoscenza del nostro patrimonio artistico e religioso.
Attraverso lo studio del Crocefisso
del Cretaio abbiamo assistito al risveglio anche ad Ischia dell’interesse per
i fratelli Gaetano e Pietro Patalano per
cui possiamo ben dire che la loro patria
non li ha dimenticati, anzi è fortemente
interessata ad approfondire, eventualmente, qualche altra loro opera esistente e dimenticata in qualche chiesa della
nostra Isola.
La ricerca sui Patalano in questi ultimi anni sta attraversando un periodo
veramente entusiasmante, soprattutto
per quanto riguarda la figura e l’opera
di Pietro, e ne sta rivelando una personalità artistica di spessore sempre più
nell’ambito della storia della scultura
lignea devozionale napoletana del primo Settecento. Lo studio attento ed
entusiasmante della dott.ssa Pilato sul
Crocifisso del Cretaio, posto accanto a
quello di Cadice di Gaetano Patalano,
è certamente di grande portata scientifica perché ci permette di approfondire l’opera dei due scultori lacchesi ed
eventualmente riconoscere altre opere
da loro realizzate e ancora conservate
nelle nostre chiese.
A venti anni dalla pubblicazione del
mio saggio sui fratelli Patalano, constato, con somma gioia e un pizzico di
soddisfazione, che quel lavoro ha dato
i suoi frutti e grandi soddisfazioni forse
non tanto a me quanto maggiormente
agli studiosi che hanno continuato ad
approfondire l’argomento. Nel caso
specifico perché è riuscito a spingere
una giovane e promettente studiosa
dell’Isola d’Ischia ad approfondire l’opera dei due fratelli scultori, dimenticati dalla loro patria per oltre due secoli. I
fratelli scultori Patalano per noi diventano sempre più importanti e preziosi
per la storia, l’arte e, perché no?, la religiosità di noi Ischitani. Le prospettive
per il futuro partono da ottime premesse e l’entusiasmo della giovane studiosa potrà conseguire risultati di notevole
valenza scientifica ai quali dobbiamo
augurare il massimo e il meritato successo» (Agostino Di Lustro).
Nero paradiso
di Andrea Esposito
Graus Editore, novembre 2012
Anni ’90, ex Jugoslavia, Guerra nei
Balcani: Un gruppo di periti dell’Esercito Italiano si ritrova “ad avere un posto in prima fila all’inferno”, dopo essere stato catturato dalle tigri di Arkan.
Paesino del Cilento oggi: Billy Montella, giovane imprenditore salernitano,
vinto il reality “Playboy”, si ritrova
all’apice del successo e della fama.
Un moderno “Mangiafuoco” manovra i protagonisti delle due vicende che
scorrono davanti agli occhi del lettore,
così come nella favola di Collodi, intrecciando i fili e i loro destini. Soltanto il Commissario Senese e i membri
dell’UCS – già protagonisti de Il paese nasconde – potranno tagliare i fili
e sciogliere la matassa, perché c’è “un
momento in ogni indagine nel quale i
pezzi iniziano improvvisamente ad andare al loro posto”.
(dalla copertina del libro).
L’Ischia Film Festival
al Nordische Filmtage Lübeck
L’Ischia Film Festival è stato tra i partecipanti alla 54esima edizione
del Nordische Filmtage di Lubecca in Germania, il più importante
appuntamento con la cinematografia dei paesi nordici. Un incontro che
si ripete da oltre mezzo secolo in cui gli stati del Nord Europa: Norvegia,
Danimarca, Lettonia, Finlandia, Estonia, Islanda, Svezia, propongono
i loro ultimi lavori cinematografici ad una platea internazionale. Il
direttore dell’IFF Michelangelo Messina ha dichiarato che è molto
importante la presenza dell’Ischia Film Festival ad una kermesse
come quella di Lübeck, dove si ha l’opportunità di conoscere opere di
paesi del nord che raramente abbiamo occasione di vedere in Italia e
che grazie a questa sinergia tra festival si potranno diffondere meglio:
«Il cinema rappresenta infatti un potente strumento per fotografare
l’uomo nel contesto ambientale che lo circonda. Inserire nel nostro
festival opere provenienti dai paesi più lontani e diversi tra loro
contribuisce a raccontare la diversità culturale e favorire il dialogo
e l’integrazione in una società come quella europea che è sempre più
interrazziale».
L’occasione ha anche permesso di scoprire, presso la casa di Thomas
Man e in alcune strade ed un museo circostanti, tutte le location della
serie “I Buddenbrook” che presto saranno mappate nel sito web
www.cineturismo.it che individua le location dei film più famosi per
favorirne la visita da parte degli appassionati cine-viaggiatori. Questa
ed altre novità sul settore saranno certamente oggetto del prossimo
convegno sul Cineturismo che si svolgerà ad Ischia in seno alla XI
edizione dell’Ischia Film Festival dal 29 Giugno al 6 Luglio 2013.
Una storia delle isole
di Cristoforo D’Ascia
Graus Editore, novembre 2012
Un “rompicapo impossibile” atta-
naglia le isole e la loro popolazione.
Ritenute da sempre un paradiso,
perché lì “si era tutti uniti, con forza,
perché si era un popolo in mezzo al
mare”, si sono trasformate in un inferno, in uno stato di guerra perenne.
Grazie al contatto intimo con la
natura, Surtsey riesce a trovare una
via d’uscita in quel rompicapo. Senza saperlo è un predestinato e il suo
nome è stato scelto da un “uomo
ricco di speranze e di ideali”; ma
deve ricordare che “diventare un’isola non era un diritto divino che gli
spettava, ma qualcosa che avrebbe
dovuto conquistare lottando faticosamente”.
(dalla copertina del libro).
Leggete e diffondete
La Rassegna d’Ischia
Periodico di ricerche e
di temi turistici, culturali,
politici e sportivi
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
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Ritorna all’isola d’Ischia il Giro d’Italia 2013
5 maggio 2013 2a tappa Ischia - Forio (cronomero a squadre, 17, 4 km)
Ritorna all’isola d’Ischia il Giro d’Italia, dopo l’esperienza del 1959, quando in una cronometro individuale
su tutto il circuito stradale dell’isola vinse contro ogni
pronostico il siciliano Antonino Catalano.
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La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
Edizioni La Rassegna d’Ischia
Raffaele Castagna - Calcio Ischia - Storia, risultati, classifiche, protagonisti delle squadre isolane negli anni
1957/1980 - Supplemento al n. 1/aprile 1981 de La Rassegna d’Ischia.
Giovanni Castagna - Guida grammaticale del dialetto foriano letterario – 1982.
Giovanni e Raffaele Castagna - Ischia in bianco e nero - 1983.
Giuseppe d’Ascia - Caterina d’Ambra (dramma storico del 1862) - Introduzione e note a cura di Giovanni
Castagna - 1986.
Giovanni Maltese - Poesie in dialetto foriano: Cerrenne I, II, III; Ncrocchie; Sonetti; Poesie inedite - Ristampa
con introduzione, note, commento e versione in italiano a cura di Giovanni Castagna - 1988.
Raffaele Castagna - Lacco Ameno e l’isola d’Ischia: gli anni ‘50 e ‘60, Angelo Rizzoli e lo sviluppo turistico
(cronache e immagini) - 1990.
Vincenzo Cuomo - La storia attraverso i suoi personaggi - Supplemento al n. 1-Febbraio 1991 de La Rassegna
d’Ischia (edizione fuori commercio).
Francesco De Siano - Brevi e succinte notizie di storia naturale e civile dell’isola d’Ischia (1801) - Ristampa Supplemento de La Rassegna d’Ischia / giugno 1994.
Pietro Monti - Tradizioni omeriche nella navigazione mediterranea dei Pithecusani - Supplemento de La Rassegna d’Ischia n. 1/Gennaio 1996.
Pietro Monti – Pithekoussai, segnalazione di siti archeologici - Parte I - La Rassegna d’Ischia n. 1/1997.
Venanzio Marone - Memoria contenente un breve ragguaglio dell’isola d’Ischia e delle acque minerali (1847)
- Ristampa con introduzione di Giovanni Castagna - Supplemento de La Rassegna d’Ischia/giugno 1996.
Pasquale Balestriere - Effemeridi pithecusane (Poesie) - Giugno 1994 (edizione fuori commercio).
Vincenzo Pascale - Descrizione storico-topografico-fisica delle Isole del regno di Napoli (1796) - Ristampa
allegata a La Rassegna d’Ischia, aprile 1999.
Vincenzo Mennella - Lacco Ameno, gli anni ‘40 - ‘80 nel contesto politico-amministrativo dell’isola d’Ischia,
gennaio 1999 (edizione fuori commercio).
Raffaele Castagna - Ischia e il suo poeta Camillo Eucherio de Quintiis, allegato a La Rassegna d’Ischia (edizione ridotta), settembre 1998.
Chevalley De Rivaz J. E, - Déscription des eaux minéro-thermales et des étuves de l’île d’Ischia (1837) - Ristampa in versione italiana curata da Nicola Luongo, 1999.
Philippe Champault - Phéniciens et Grecs en Italie d’après l’Odyssée (1906) - Ristampa in versione italiana
curata da Raffaele Castagna con il titolo L’Odissea, Scheria, Ischia, 1999.
AA.VV. - Il Castello d’Ischia: la rocca fulgente - scritti vari ed in particolare: Stanislao Erasmo Mariotti - Il
Castello d’Ischia (1915).
Raffaele Castagna (a cura di) - Ischia: un’isola nel Mar Tirreno... - Raccolta di articoli vari già pubblicati su La
Rassegna d’Ischia (storia - archeologia - folclore....), settembre 2000.
Antonio Moraldi - Ferdinando IV a Ischia (1783-1784) - Ristampa (allegato de La Rassegna d’Ischia n. 5 /
Settembre 2001).
Paolo Buchner - La Villa Reale presso il porto d’Ischia e il protomedico Francesco Buonocore (1689-1768) Ristampa (allegato de La Rassegna d’Ischia n. 5 /Settembre 2001).
Assoc. Pro Casamicciola - Sotto il sole di Casamicciola - Raccolta di scritti vari sulla cittadina isolana, a cura
dell’Associazione Pro Casamicciola Terme - (Edizione fuori commercio, distribuita ai partecipanti al Premio Ciro Coppola 2001).
Camillo Eucherio de Quintiis - Inarime (poema in latino di oltre 8000 versi), pubblicato nel 1727. Versione
integrale italiana curata da Raffaele Castagna, gennaio 2003.
Rodrigo Iacono, Raffaele Castagna – La Flora dell’isola d’Ischia, la letteratura floristica (stampato in proprio
ed edizione fuori commercio.
Raffaele Castagna – Isola d’Ischia, tremila voci titoli immagini, gennaio 2006.
Giovanni Castagna – La Parrocchia della SS. Annunziata alla Fundera di Lacco Ameno, supplemento allegato
a La Rassegna d’Ischia n. 3 del 2007.
Raffaele Castagna – Lacco Ameno e l’isola d’Ischia, gli anni ’50 e ’60, Angelo Rizzoli e lo sviluppo turistico
(cronache e immagini). Ristampa dell’edizione 1990, dicembre 2010.
La Rassegna d’Ischia n. 6/2012
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Alfonso Di Spigna (1697-1785) - Natività
(Confraternita di Visitapoveri di Forio)
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Il 9 novembre 1958 il primo getto d`acqua zampillò dall`acquedotto