Marzo 2008 Rapporto n. 4 AFGHANISTAN: LA NECESSITÀ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA ARGO Analisi e Ricerche Geopolitiche sull’Oriente Osservatorio sull’Asia minore, centrale e meridionale www.argoriente.it ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA EXECUTIVE SUMMARY Oltre sei anni fa, nel dicembre 2001, la Conferenza di Bonn apriva una nuova pagina nella tormentata storia dell‟Afghanistan, chiamando l‟intera comunità internazionale a uno sforzo collettivo di aiuto alla ricostruzione del Paese, dopo la rapida, forse frettolosa, sconfitta dei taliban. Era chiaro a tutti che in ballo c‟era molto di più dell‟assistenza a un popolo che usciva da una situazione di conflitto, come nel decennio precedente era successo in molti casi nell‟ondata sismica conseguente alla caduta del muro di Berlino. In Afghanistan era in gioco la stabilità mondiale, minacciata da un nuovo nemico senza scrupoli, che aveva dimostrato di essere capace di colpire il cuore della civiltà occidentale, e che in quel Paese aveva trovato un rifugio sicuro, protetto dall‟isolamento internazionale a cui i taliban l‟avevano condotto. Molti Paesi e organizzazioni straniere risposero a quell‟appello, investendo risorse finanziarie e umane su un‟impresa che, pur se appariva rischiosa, sembrava destinata a un successo certo, considerata la compattezza e la determinazione del fronte internazionale. A questo faceva da riscontro la volontà del popolo afghano di mettere fine a quasi tre decenni di guerre, di uscire dall‟arretratezza e dalla miseria e di conquistare un proprio posto nella comunità dei Paesi democratici. Diversamente da altre situazioni in cui l‟intervento internazionale aveva dato luogo a “protettorati” tesi a guidare la transizione, la Conferenza di Bonn ebbe il merito di restituire da subito la sovranità del Paese ai suoi rappresentanti, prefigurando un percorso di ricostruzione istituzionale che lo avrebbe ricondotto nei solchi democratici tracciati dai sovrani illuminati Amanullah e Zahir. A Bonn non ci si limitò solo a restituire la sovranità al popolo afghano, ma fu predisposto anche un ambizioso meccanismo di sostegno e di coordinamento di tale sostegno. Memore delle difficoltà e dei fallimenti sperimentati nei suoi decenni di esistenza, l‟ONU decise di applicare in Afghanistan il frutto del lavoro di riflessione condotto alla fine degli anni ‟90 da una commissione guidata da Lakhdar Brahimi. Fu così istituita la missione UNAMA, inizialmente guidata dallo stesso Brahimi1, con il compito di assistere il processo di ricostruzione istituzionale e di coordinare l‟attività delle numerose agenzie e programmi ONU coinvolti. Fu contestualmente avviata una missione di assistenza militare, ISAF, all‟inizio in ambito ONU e dal 2003 passata sotto il comando della NATO, che per la prima volta usciva dalla tradizionale area geografica di interesse in applicazione della nuova dottrina strategica adottata nel 1999 al fine di recuperare un‟identità post guerra fredda. ISAF venne dislocata inizialmente nella sola capitale afghana e quindi si espanse gradualmente ai quattro settori in cui era stato diviso il Paese, sostituendosi, e in parte affiancandosi, all‟attività di Enduring Freedom. Mentre ISAF era incaricata di garantire la sicurezza del territorio e di sostenere l‟espansione dell‟autorità centrale alle zone periferiche dell‟Afghanistan, Enduring Freedom aveva il compito di combattere il terrorismo. 1 Lakhdar Brahimi, Presidente del Panel sulle operazioni di pace dell‟ONU, ha guidato UNAMA sino al gennaio 2004. i ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Tuttavia, con l‟espansione di ISAF alle regioni più inquiete del Paese, le differenze iniziali nei mandati delle due missioni sono andate sfumandosi. Non vi è dubbio che, soprattutto nei primi quattro anni della nuova fase, l‟Afghanistan abbia realizzato passi importanti. È stata adottata una Costituzione che racchiudeva principi voluti dalla comunità internazionale senza però mettere in discussione i valori di fondo del popolo afghano. Sono state svolte elezioni presidenziali, nell‟ottobre 2004, nonché politiche e amministrative, nel settembre 2005, in un clima di fiducia e di relativa calma. Progressi significativi si sono ottenuti anche nei campi dell‟istruzione e della sanità. Ma proprio quando la Conferenza di Londra, all‟inizio del 2006, lanciava una nuova fase di sviluppo per il Paese, dichiarando chiusa quella dell‟emergenza e della transizione politica, cominciavano a emergere segnali preoccupanti di un deterioramento della situazione di sicurezza. Sono progressivamente aumentati attacchi, attentati e rapimenti e la recrudescenza dell‟attività terroristica ha assunto dimensioni allarmanti. Al tempo stesso la produzione di oppio continuava a crescere, raggiungendo il record nel 2007. Emergeva altresì l‟esistenza di una corruzione rampante, diffusa a tutti i livelli dell‟amministrazione del giovane Stato, mentre i warlord che si erano macchiati di gravi crimini durante la guerra civile rialzavano la testa, protetti da una sempre più consolidata cultura dell‟impunità. La curva delle aspettative e delle speranze della popolazione afghana cominciava a prendere una direzione calante. Se l‟Afghanistan ha rappresentato sin dal 2001 il tassello più importante della guerra al terrorismo, non si può certo dire che la campagna afghana sia stata un successo, vista la ripresa delle attività dei taliban e la loro espansione al vicino Pakistan, da dove i loro vertici, insieme a quelli di al-Qaida, continuano a pianificare il jihad. Semmai sembrerebbe che in questi anni i movimenti estremisti islamici abbiano imparato a confrontarsi con l‟occidente, trasformando il loro modus operandi e acquisendo competenze tecnologiche assai avanzate, consapevoli che il fattore tempo gioca a loro favore. Nonostante le ingenti perdite subite nei combattimenti, sono riusciti a condurre numerosi attacchi e a provocare un alto numero di vittime tra le forze di sicurezza nazionali e i militari di ISAF/Enduring Freedom. Inoltre, hanno reso più difficile, e più costosa, la ricostruzione del Paese, riuscendo a terrorizzare l‟opulenta macchina dell‟aiuto internazionale persino nella capitale, con l‟attacco all‟hotel Serena all‟inizio del 2008. I drammatici ritardi nel processo di ricostruzione che ne derivano stanno facendo crescere la disaffezione del popolo afghano verso le istituzioni nazionali e quelle internazionali che le sostengono, e rischiano di far scivolare di nuovo l‟Afghanistan verso quella situazione di isolamento e illegalità che rappresenta il terreno di coltura ideale per terrorismo e narcotraffico. Nel frattempo, la determinazione iniziale del fronte di Paesi e organizzazioni internazionali è andata sbiadendo, sensibile al disamore crescente nelle opinioni pubbliche nazionali verso un impegno di cui non si vedono risultati positivi né sul piano della sicurezza né su quello dello sviluppo. Anche all‟interno di ISAF si sono create divisioni tra i Paesi che mandano i propri contingenti a svolgere operazioni di counterinsurgency e quelli, come la Germania e l‟Italia, che mantengono fede all‟impostazione iniziale. Ma quasi tutti sono sordi agli appelli degli USA e della ii ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA NATO ad aumentare l‟impegno, in termini di uomini e mezzi. Anche i Paesi in prima linea lamentano il limitato peso decisionale nell‟Alleanza, detenuto in gran parte da Washington. Oggi, a oltre sei anni dalla Conferenza di Bonn, il dibattito sull‟Afghanistan ruota attorno alla domanda: cosa fare per impedire che il Paese scivoli nuovamente verso la condizione di “failed state”? Questo Rapporto cerca di dare una risposta attraverso una dettagliata analisi dei molteplici aspetti della ricostruzione dell‟Afghanistan, mettendo in evidenza i successi e i fallimenti dell‟ambizioso progetto internazionale e individuando alcune azioni-chiave necessarie a cambiare l‟andamento delle cose. In particolare, si sottolinea che, per contrastare la recrudescenza dell‟attività terroristica, favorire la stabilizzazione del Paese, consolidare le strutture statuali e dare nuovo slancio ai programmi di ricostruzione economica e morale, la comunità internazionale, e in primo luogo i Paesi occidentali, debbono agire su più livelli: - definire una nuova strategia che affronti nella loro globalità tutti i problemi del Paese e dia un ruolo centrale agli interventi nel settore civile, che devono essere integrati con quelli militari e non essere necessariamente ad essi subordinati. Infatti, l‟azione militare è ancora importante, in molte zone indispensabile, ma da sola non è in grado di creare le condizioni per il successo dell‟impegno internazionale; - aumentare l‟assistenza militare alle forze di sicurezza afghane sia nel settore addestrativo, incrementando il numero degli OMLT (Operational Mentoring and Liaison Teams), sia in quello logistico; - incrementare gli aiuti finanziari, portandoli al livello di quelli concessi ad altri Paesi travagliati da eventi bellici, e migliorare la trasparenza della loro gestione. Inoltre, è necessario stabilire parametri di base che indichino l‟efficacia degli interventi rapportata agli obiettivi fissati dalle autorità governative e dalla comunità internazionale; - sostenere il processo di democratizzazione del Paese nell‟attuale periodo pre-elettorale evitando atteggiamenti discriminatori nei confronti di candidati e partiti che abbiano assunto posizioni critiche sul ruolo politico e militare occidentale, purché da parte loro si manifestino integrità e chiare convinzioni democratiche; - sollecitare l‟attribuzione di ampi poteri all‟inviato speciale del Segretario generale dell‟ONU, che dovrebbe avere una reale capacità di coordinamento e controllo dell‟assistenza internazionale, evitando duplicazioni, incongruenze e sprechi di risorse; - premere sulle autorità di Kabul, fornendo loro l‟assistenza di cui hanno bisogno, perché sia accelerato il processo di state building e migliorata la governance, mediante la riforma dell‟apparato burocratico dello Stato, il potenziamento delle capacità di progettazione e di gestione dell‟amministrazione centrale e periferica e la lotta alla corruzione; - monitorare l‟efficacia degli aiuti tramite un‟apposita commissione posta sotto l‟autorità dell‟inviato speciale del Segretario Generale dell‟ONU e che abbia il potere di sanzionare, con una riduzione o un blocco dei finanziamenti, errori, sprechi e distrazione di fondi da parte degli organismi governativi, delle ditte appaltatrici e delle ONG; iii ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA - promuovere una maggiore cooperazione tra i Paesi della regione, in particolare Iran, India e Pakistan, perché superino diffidenze e sospetti e si impegnino concretamente per la normalizzazione dell‟Afghanistan e il successo nella lotta contro l‟estremismo e il narcotraffico, da cui anche loro sono minacciati; - sostenere, fornendo assistenza nei settori di intelligence e militare, l‟impegno delle autorità pakistane per debellare i gruppi estremisti che dal territorio nazionale conducono attacchi contro obiettivi governativi e stranieri in Afghanistan. Nello stesso tempo è necessario finanziare i programmi di sviluppo delle aree tribali per ridurre i margini di consenso nei confronti dei movimenti più radicali. iv ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA INDICE Executive Summary. .................................................................................................. Indice.................................................................................................................................... Dati di base ............................................................................................................... i v vii 1. La sconfitta dei taliban e l‟avvio del processo di democratizzazione ........... 1 2. L‟Afghanistan Compact: troppe attese deluse .............................................. 6 3. La situazione di sicurezza: una vittoria possibile ma ancora lontana ........... 11 4. Le dinamiche politiche interne: equilibri di potere ancora instabili.............. 22 5. La situazione economica e sociale: significativi progressi e gravi ritardi..... 32 6. Istruzione, sanità e corruzione: successi e sconfitte del Governo ................. 6.1. Istruzione ............................................................................................... 6.2. Sanità ..................................................................................................... 6.3. Corruzione ............................................................................................. 38 38 39 41 7. Diritti umani: poche luci e molte ombre ....................................................... 7.1. Responsabilità di magistratura e forze di sicurezza .............................. 7.2. Transitional Justice ............................................................................... 7.3. La libertà d‟espressione ......................................................................... 7.4. I soggetti più a rischio: le donne e i bambini......................................... 45 45 47 50 51 8. Lotta alla droga: una strategia da rivedere .................................................... 55 9. Questioni regionali: la pedina afghana nel gioco dei Paesi vicini................. 9.1. Iran: ambiguità e generoso sostegno alla ricostruzione ......................... 9.2. Pakistan: la ricerca della profondità strategica ...................................... 9.3. India: un alleato molto interessato ......................................................... 9.4. Russia e Cina: un ruolo minore, ma significativo ................................. 65 65 70 75 77 10. L‟assistenza internazionale: forti squilibri ed assenza di coordinamento ..... 10.1. La missione ISAF ................................................................................. 10.2. Gli aiuti per la ricostruzione e lo sviluppo ........................................... 79 79 86 11. L‟assistenza italiana: tanto impegno ma pochi mezzi ................................... 11.1. La cooperazione militare ...................................................................... 11.2. La cooperazione civile ......................................................................... 11.3. La riforma della giustizia ..................................................................... 92 93 95 96 12. Conclusioni.................................................................................................... 98 v ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Allegati: I Composizione del Governo ................................................................ 105 II Costituzione – aspetti principali ......................................................... 106 III Afghanistan Compact – scadenze ....................................................... 108 IV Partiti politici ...................................................................................... 110 V Biografie ............................................................................................. 115 VI Nazioni contribuenti alla missione ISAF ........................................... 126 VII Cronologia della missione ISAF ........................................................ 127 VIII Cronologia generale............................................................................ 129 IX 134 Acronimi ............................................................................................. vi ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA DATI DI BASE2 Confini Cina (76 km), Iran (936 km), Pakistan (2.430 km), Tagikistan (1.206 km), Turkmenistan (744 km), Uzbekistan (137 km) Dimensioni 647.500 kmq Popolazione 26,6 milioni Aspettativa di vita 43,77 anni (uomini 43.5, donne 44) Tasso di fertilità 6,64 bambini per donna Reddito annuo pro capite 306 USD PIL per settore agricoltura 38%, industria 24%, terziario 38%3 Indice di Sviluppo Umano (HDI) 0,345 – 174° su 178 Paesi Gruppi etnici pashtun 42%, tagiki 27%, hazara 9%, uzbeki 9%, aimaki 4%, turkmeni 3%, beluchi 2%, altri 4% Religioni musulmani sunniti 80%, musulmani sciiti 19%, altro 1% Alfabetizzazione 28% (uomini 43%, donne 13%) Nome del Paese Repubblica Islamica dell‟Afghanistan Divisione amministrativa capitale: Kabul. 34 province: Badakhshan, Badghis, Baghlan, Balkh, Bamian, Daykondi, Farah, Faryab, Ghazni, Ghowr, Helmand, Herat, Jowzjan, Kabul, Kandahar, Kapisa, Khost, Konar, Kunduz, Laghman, Lowgar, Nangarhar, Nimruz, Nuristan, Paktia, Paktika, Panjshir, Parwan, Samangan, Sar-e Pol, Takhar, Uruzgan, Wardak, Zabul Forma di Stato repubblica islamica Forma di governo presidenziale Costituzione attuale 26 gennaio 2004 Indipendenza 19 agosto 1919, dal controllo del Regno Unito sulla politica estera Suffragio universale a 18 anni d‟età Capo di Stato Hamid KARZAI, dal 7 dicembre 2004 Capo del Governo Hamid KARZAI, dal 7 dicembre 2004 Membri del Governo 25 Ministri nominati dal Presidente con l‟approvazione dell‟Assemblea Nazionale Parlamento bicamerale: Meshrano Jirga o Camera degli Anziani (102 membri, 1/3 eletti dai consigli provinciali, 1/3 eletti dai consigli locali dei distretti e 1/3 nominati dal Presidente); Wolesi Jirga o Camera del Popolo (249 membri) Ultime elezioni presidenziali: 9 ottobre 2004 politiche: 18 settembre 2005 2 Dati tratti da: Banca Asiatica per lo Sviluppo, Banca Mondiale, BBC country profiles, CIA World Factbook, Dipartimento di Stato americano, UNDP. Le cifre dei dati sono state arrotondate. 3 È esclusa dai dati la produzione di oppio. vii ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 1. La sconfitta dei taliban e l’avvio del processo di democratizzazione Il 18 settembre 2001, a una settimana dagli attacchi alle Torri gemelle, il Presidente USA George W. Bush ha ufficialmente dichiarato guerra al terrorismo internazionale e a tutti gli Stati che lo sostenevano, anche solo economicamente (definiti “stati canaglia”), e ha avviato la preparazione delle operazioni militari contro il regime taliban al potere in Afghanistan. Questo Paese ospitava, infatti, i vertici4 e le strutture addestrative e logistiche di al-Qaida, accusata di essere responsabile degli attentati dell‟11 settembre negli USA. Visto il rifiuto dei taliban di accogliere le richieste di Washington di consegnare o espellere Osama bin Laden e la dirigenza di al-Qaida, il 7 ottobre 2001 ha avuto inizio con bombardamenti aerei e missilistici l‟Operazione Enduring Freedom5, messa in atto da una coalizione guidata dagli Stati Uniti e che si appoggiava sul terreno alle milizie afghane facenti capo al Fronte Islamico Unito per la Salvezza dell'Afghanistan (conosciuto anche come Alleanza del Nord)6. Il 13 novembre è stata conquistata Kabul e nelle settimane successive tutto il resto del Paese è passato sotto il controllo delle forze della Coalizione. Era necessario a questo punto affrontare il problema dell‟assetto istituzionale da dare al nuovo Afghanistan, che emergeva da quasi 30 anni di sanguinose guerre civili e di rivolgimenti che avevano visto il Paese passare dalla monarchia alla repubblica, dal regime comunista a quello dei mujahiddin, prima, e dei taliban, poi, in un susseguirsi di sistemi di governo e filosofie molto distanti tra di loro e, per lo più, dal sentire popolare. Passaggio fondamentale del processo di ricostruzione dell‟identità istituzionale afghana è stata la Conferenza di Bonn, tenutasi sotto l‟egida dell‟ONU dal 26 novembre al 5 dicembre 2001, con la partecipazione dei leader dell‟opposizione armata al regime taliban, della diaspora afghana 7 e di delegazioni dei principali Paesi e Istituzioni internazionali interessati alle vicende afghane. Al 4 Osama bin Laden si era rifugiato in Afghanistan nel 1996. In questo Rapporto, le definizioni Enduring Freedom e Coalizione internazionale sono utilizzate come sinonimi. 6 In precedenza Washington aveva ottenuto la collaborazione del Pakistan, che aveva autorizzato il sorvolo del proprio territorio da parte dei velivoli impiegati in Afghanistan e l‟uso di basi aeree. Secondo quanto riferisce lo stesso Presidente Pervez Musharraf nelle sue memorie (In the line of fire, Free Press, 2006.), il 12 settembre 2001 il leader pakistano aveva ricevuto una telefonata dall‟allora Segretario di Stato USA, Colin Powell, che gli intimava “O siete con noi o contro di noi”. Il giorno successivo, da una telefonata con il Direttore Generale dell'Inter Service Intelligence (ISI), Mahmoud Ahmad (che si trovava a Washington), Musharraf aveva appreso che il vice di Powell, Richard Armitage, era stato ancora più esplicito e aveva minacciato di “rispedire il Pakistan all'età della pietra a furia di bombardamenti” se Islamabad avesse deciso di schierarsi con i terroristi. 7 In particolare erano presenti, oltre agli esponenti dell‟Alleanza del Nord, i rappresentanti del “Gruppo di Roma”, composto da personalità rifugiatesi in occidente che facevano capo all'ex re Mohammed Zahir Shah (da molti anni in esilio a Roma), della “Delegazione di Peshawar”, che rappresentava i rifugiati afghani in Pakistan, e della “Delegazione di Cipro”, formata soprattutto da elementi della diaspora afghana ospitati in Iran. 5 1 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA termine dei lavori è stato approvato il testo dell‟Accordo di Bonn 8, sottoscritto dai partecipanti il 5 dicembre 2001 e fatto proprio dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 7 dicembre, che conteneva le linee guida nel processo di nation building che sarebbe poi stato realizzato in Afghanistan. L‟Accordo di Bonn ha definito le coordinate giuridiche per il Paese governato dall‟Autorità ad interim, rappresentando una sorta di costituzione transitoria. Esso infatti ha restituito vigore alla Costituzione del 1964, tranne che per la scelta della repubblica invece della monarchia, e in quanto non in contrasto con le previsioni contenute nell‟Accordo stesso; ha confermato la legislazione vigente, anch‟essa entro i limiti della conformità con l‟Accordo di Bonn, con i trattati internazionali di cui l‟Afghanistan è parte9, nonché con la Costituzione del 1964. L‟Accordo affidava da subito la sovranità sull‟Afghanistan e i conseguenti poteri all‟Autorità ad interim (AIA), articolata in Amministrazione ad interim composta da 30 membri con lo status di ministri e guidata da un Presidente, Commissione indipendente speciale, incaricata di convocare entro sei mesi una Loya Jirga10 di emergenza (LJE), e Corte suprema. L'Accordo di Bonn non costituiva un accordo internazionale in senso stretto, ma piuttosto un‟enunciazione degli impegni presi dai partecipanti riguardo la creazione di nuove istituzioni in Afghanistan. Esso ricalcava le proposte avanzate da Lakhdar Brahimi, Rappresentante speciale del Segretario generale ONU per l'Afghanistan, il 13 novembre 2001 al Consiglio di Sicurezza. L‟Accordo comprendeva anche tre allegati. Nel primo, i rappresentanti afghani chiedevano al Consiglio di Sicurezza l‟invio di una forza internazionale che doveva in un primo tempo garantire la sicurezza della capitale Kabul, per poi essere estesa ad altre aree del Paese 11. Il secondo allegato attribuiva alle Nazioni Unite un ruolo di vigilanza sul rispetto dei diritti umani e al Rappresentante speciale la possibilità di intervenire, attraverso i suoi “buoni uffici”, nel caso di contrasti fra gli organi della AIA. L‟ultimo allegato conteneva una serie di principi riguardanti, fra l‟altro, la garanzia dell‟integrità e dell‟unità del Paese, l‟aiuto economico per la ricostruzione, il reinserimento dei combattenti (mujahiddin). Il 22 dicembre 2001 Hamid Karzai, di etnia pashtun, è stato nominato Presidente della Amministrazione ad interim, superando Abdul Sattar Sirat, uzbeko, capo del Gruppo di Roma, che sembrava favorito. La designazione di Karzai è stata voluta dagli USA anche per bilanciare il peso della componente tagika dell‟Alleanza del Nord nelle nuove istituzioni. Infatti, l‟Amministrazione 8 Agreement on provisional arrangements in Afghanistan pending the re-establishment of permanent government institutions, Bonn, 5 dicembre 2001 9 La norma si riferisce a tutti i trattati internazionali sottoscritti dall‟Afghanistan fino ad allora, ed in particolare: the Genocide Convention of 1948 (acceded 1956), the Geneva Convention of 1949, the Convention of on Non-Applicability of Statutory Limitations to War Crimes and Crimes Against Humanity of 1968 (acceded 1983), the Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women of 1979 (acceded 1980), the International Covenant on Civil and Political Rights of 1966 (acceded 1983), the Convention on Elimination of All Forms of Racial Discrimination of 1966 (acceded 1983), the Convention Against Torture and Other Cruel, Inhuman Degrading Treatment or Punishment Rights of the Child of 1989 (ratified 1994). 10 11 “Grande Assemblea” in lingua pashtun. Tale richiesta è alla base del successivo schieramento dell‟International Security Assistance Force (ISAF). 2 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA ad interim era formata da 11 esponenti pashtun, 8 tagiki, 5 hazara, 3 uzbeki e 3 provenienti dalle tribù e dai gruppi religiosi minori12. La Loya Jirga di emergenza (LJE) aveva il compito di eleggere il Presidente dell‟Autorità transitoria afghana (ATA), incaricato di governare il Paese fino alle elezioni presidenziali e politiche. Essa doveva inoltre nominare i membri di una Commissione per la revisione costituzionale con il mandato di redigere il testo della nuova Costituzione. Le elezioni per i 1.051 membri della LJE hanno avuto luogo tra il maggio e il giugno del 2002. La Commissione indipendente ha poi nominato altri 600 rappresentanti che dovevano integrare quelli espressi tramite le consultazioni, in modo da garantire una sorta di bilanciamento in termini di sesso, etnia, opinione politica e provenienza. L‟11 giugno 2002, la LJE ha eletto, a scrutinio segreto, Karzai Presidente della ATA con 1.295 voti su 1.575 espressi; il 19 giugno sono stati approvati i componenti del Consiglio di gabinetto dell‟ATA13, che ha preso il posto dell‟AIA. Nel nuovo esecutivo è diminuito il peso della componente tagika, evidenziato in particolare dallo spostamento di Yunis Qanuni dal dicastero dell‟interno a quello dell‟istruzione, meno rilevante per gli equilibri di potere. Nell'ottobre dello stesso anno è stata istituita la Commissione per la stesura della Costituzione, presieduta dal Vice Presidente Shahrani e composta da nove membri. La Commissione ha avviato i propri lavori nel novembre del 2002 e ha completato una bozza della Costituzione nell'aprile del 2003. Il documento è stato sottoposto all‟esame di tutte le strutture politiche, sociali ed etniche del Paese e nonché delle comunità dei profughi afghani in Pakistan e in Iran; tenendo conto delle proposte da loro avanzate è stata elaborata la bozza finale della Costituzione resa pubblica il 3 novembre successivo. La fase finale del processo di approvazione della nuova Carta fondamentale dell‟Afghanistan ha avuto inizio con i lavori della Loja Jirga Costituente, avviata il 14 dicembre 2003 e formata da 450 delegati eletti attraverso consultazioni a livello provinciale e 52 nominati dal Presidente Karzai. Era garantita la rappresentanza di tutte le componenti del Paese, incluse le donne, i rifugiati all'estero, i profughi interni, le popolazioni nomadi (kuchi) e le minoranze, tra cui gli indù e i sikh. Il testo della Costituzione, composto da 162 articoli, è stato approvato il 4 gennaio del 2004 ed è stato promulgato dal Presidente dello Stato transitorio islamico dell‟Afghanistan il 26 gennaio successivo. Gli aspetti più qualificanti della nuova Costituzione afghana, che sulla carta è una delle più avanzate e liberali tra quelle in vigore nei Paesi del Continente, riguardano soprattutto la forma di 12 I dicasteri più importanti furono affidati a Mohammad Qasim Fahim Khan (difesa), Yunis Qanuni (interno), Abdullah Abdullah (esteri), Mohammad Mohaqqeq (pianificazione) e Sayed Mustafa Kazemi (commercio). 13 Le figure più rappresentative erano Mohammad Qasim Fahim Khan (Vice Presidente e Ministro della difesa), Abdul Qadir (Vice Presidente e Ministro della ricostruzione), Nematullah Shahrani (Vice Presidente), Hedayat Amin Arsala (Vice Presidente), Mohammad Abdul Karim Khalili (Vice Presidente), Abdullah Abdullah (esteri), Ashraf Ghani Amadzai (finanze), Taji Wardak (interno, sostituito nel mese di gennaio 2003 da Ali Ahmed Jalali), Mohammad Mohaqqeq (pianificazione), Sayed Mustafa Kazemi (commercio). 3 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Stato, i diritti e i doveri dei cittadini, la tutela delle minoranze, i poteri del Presidente, del Governo e del Parlamento ed il loro reciproco bilanciamento14. La Costituzione conferisce al Presidente poteri più ampi di quelli previsti generalmente nelle repubbliche presidenziali del mondo occidentale, solo parzialmente bilanciati dai poteri attribuiti al Parlamento. Tale squilibrio sta creando un clima di confronto tra il potere esecutivo e quello legislativo e sta alimentando le spinte di alcuni settori politici verso una modifica della Costituzione che porti ad una repubblica di tipo parlamentare. Essi sottolineano che il regime presidenziale non è adatto per un Paese, come l‟Afghanistan, dove per tradizione sono molto radicate le divisioni etniche e tribali. Alla luce dei primi anni di applicazione, appare inoltre necessario rafforzare il potere degli organi locali, in particolare conferendo competenze reali agli organi elettivi anzichè a quelli di nomina presidenziale che attualmente lo detengono, in modo da rafforzare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, che può esistere solo laddove esiste una reale capacità di controllo. Per contro appare efficace la divisione delle responsabilità tra la Wolesi Jirga e la Meshrano Jirga, con una significativa prevalenza della prima che ha tra l‟altro l‟autorità di mettere in stato di accusa il Presidente. Altro aspetto da rilevare è il ruolo centrale riconosciuto all‟Islam, i cui principi non devono essere contraddetti dalle leggi dello Stato e persino dai trattati internazionali. Ai credenti di altre fedi viene lasciata la libertà di professare la loro religione, ma nei limiti delle disposizioni di legge. Sul piano politico, i momenti più importanti del processo avviato con l‟Accordo di Bonn sono state le consultazioni presidenziali, tenute il 9 ottobre 2004, e quelle per la Wolesi Jirga e i consigli provinciali, svoltesi il 18 settembre del 2005. Alla Presidenza è stato eletto Hamid Karzai 15 con il 54,4% dei voti, seguito da Yunis Qanuni (tagiko, 16,3% dei consensi), da Mohammad Mohaqqeq (hazara) e Abdul Rashid Dostum (uzbeko), che hanno ottenuto rispettivamente l‟11,7% e il 10% delle preferenze. Le operazioni di voto si sono svolte in un clima di relativa sicurezza, nonostante le minacce dei gruppi eversivi, e hanno visto una notevole partecipazione popolare, soprattutto alle consultazioni presidenziali. Queste hanno rappresentato per gran parte della popolazione afghana una presa di coscienza, anche se talvolta abbastanza confusa, dei propri diritti e delle proprie possibilità di influire sui destini del Paese. Milioni di persone hanno aspettato pazientemente, anche per ore, davanti ai seggi per diventare protagonisti di un evento che nelle attese avrebbe dovuto cambiare la loro vita e quella dei loro figli. Tuttavia, le promesse non sono state mantenute e la fiducia della popolazione verso la nuova dirigenza ha cominciato a diminuire, come indicato anche dalla minore partecipazione alle elezioni politiche e amministrative del 2005. Con il tempo, l‟azione del Governo si è rivelata inadeguata ad affrontare le sfide che il Paese era chiamato ad affrontare, a causa dell‟inesperienza dei Ministri e del prevalere di interessi di parte (di carattere economico, etnico o regionale) su quelli generali. Il Presidente Karzai non è stato capace di imporre la propria autorità sui comandanti delle milizie che avevano combattuto contro le forze sovietiche e il regime taliban e che rivendicavano un proprio ruolo istituzionale. Egli ha 14 Si veda l‟Allegato II, a pag. 106. Insieme a Karzai sono stati eletti Ahmad Zia Massud (tagiko, primo Vice Presidente) e Mohammad Abdul Karim Khalili (hazara, secondo Vice Presidente). 15 4 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA quindi cominciato a scendere a compromessi con costoro, inglobandone alcuni nel governo e affidando ad altri cariche importanti in ambito locale o nell‟apparto di difesa e sicurezza. Si sono così riprodotte nelle istituzioni democratiche alcune dinamiche che avevano connotato la guerra civile, con gruppi di potere in lotta tra loro per ampliare la propria sfera di influenza, che spesso significa anche il controllo di una quota dei finanziamenti affluiti dalla comunità internazionale. In alcuni casi i contrasti hanno assunto forma violenta, come nel caso dell‟assassinio, nel febbraio 2002, del Ministro dell‟aviazione civile e del turismo, Abdul Rahman, molto vicino all‟ex Re Zahir Shah, e del Vice Presidente e Ministro della ricostruzione, Haji Abdul Qadir, nel luglio dello stesso anno. Mentre per il secondo episodio si è sospettata una responsabilità dei taliban, peraltro non confermata, il primo è stato considerato un tentativo di alcuni settori della dirigenza mirato a scoraggiare l‟ex Monarca dal rientro in patria16. La compattezza del Governo e l‟efficacia della sua azione non sono migliorate in modo significativo con gli avvicendamenti che si sono succeduti nel tempo, in particolare con la sostituzione dei titolari dei dicasteri dell‟interno, Ali Ahmed Jalali, dimessosi, e degli esteri, Abdullah Abdullah, rimosso, sostituti rispettivamente da Ahmad Zarar Moqbel e da Rangin Dadfar Spanta, e con l‟attribuzione della guida del Ministero per l‟energia e le risorse idriche a Ismail Khan. 16 Zahir Shah è tornato in Afghanistan il 18 aprile 2002. 5 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 2. L’Afghanistan Compact: troppe attese deluse Il processo di state building e di ricostruzione delle strutture economiche dell‟Afghanistan si è sviluppato in questi anni attraverso meccanismi che vedono direttamente coinvolta la comunità internazionale, impegnata a fornire alle autorità afghane, oltre ai finanziamenti, l‟assistenza tecnica e il sostegno politico e militare indispensabili per il successo dei programmi. Le linee guida dei processi destinati a trasformare radicalmente il Paese sono state definite nel corso di conferenze e incontri che, sulla base dei risultati conseguiti, hanno continuamente aggiornato obiettivi ed esigenze finanziarie. In tale quadro ha avuto particolare rilievo l‟impegno assunto, nel corso dell‟Afghanistan Development Forum dell‟aprile 2005, per lo sviluppo dell‟Afghanistan National Development Strategy (ANDS). Si tratta di una strategia che dovrà definire, entro il 2008, gli strumenti e i piani operativi per il consolidamento del processo democratico e delle istituzioni nazionali e per il miglioramento delle condizioni sociali della popolazione. Il documento dovrà stabilire le priorità e le azioni necessarie per raggiungere i livelli di sviluppo che il Governo di Kabul si propone di realizzare con una strategia di ampio respiro e servirà anche come Poverty Reduction Paper. Nel mese di dicembre 2005 le autorità afghane hanno preparato un progetto provvisorio, definito interim ANDS (I-ANDS), che è stato presentato, insieme all‟Afghanistan Compact, alla Conferenza di Londra, svoltasi dal 31 gennaio al 1° febbraio 2006. Ai lavori hanno partecipato oltre 200 delegati, appartenenti a 75 Paesi e organizzazioni internazionali, che hanno approvato i due progetti e preso atto della disponibilità dei governi stranieri a concorrere alla copertura degli oneri di spesa necessari per la ricostruzione e la stabilizzazione dell‟Afghanistan con una somma pari a 10,5 miliardi di dollari nel successivo quinquennio17. L‟approvazione dell‟Afghanistan Compact ha rappresentato l‟avvio di una nuova fase nella rinascita dell‟Afghanistan dopo che si erano completate le previsioni dell‟Accordo di Bonn con lo svolgimento delle elezioni politiche e amministrative del settembre 2005. Il Compact crea un meccanismo per il coordinamento degli sforzi delle autorità afghane e dei governi/enti internazionali, diretti a conseguire gli obiettivi definiti nell‟Afghanistan Millennium Development Goals Country Report 2005 – Vision 2020. In tale quadro, il documento identifica tre aree critiche e interdipendenti di attività: sicurezza; governance, principio di legalità e diritti umani; sviluppo economico e sociale. Contestualmente ribadisce l‟impegno per la lotta alla produzione e al traffico di droga, che rappresenta una grave minaccia non solo per l‟Afghanistan ma anche per gli altri Paesi. Il processo di trasformazione si deve sviluppare secondo le linee guida e i principi di seguito definiti. 17 Nel corso della riunione di Berlino (31 marzo-1° aprile 2004) tali oneri erano stati quantificati in 27,4 miliardi di dollari in sette anni; una somma molto più alta di quella concordata nella riunione ministeriale di Tokyo (21-22 gennaio 2002), pari a 15 miliardi di dollari in 10 anni. 6 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA La sicurezza costituisce condizione fondamentale per la stabilità e lo sviluppo del Paese. Essa non può essere raggiunta solo con i mezzi militari ma richiede una buona governance, una giustizia efficace, una legislazione aderente ai principi costituzionali. È necessario inoltre il supporto di ISAF, di Enduring Freedom e dei Paesi che stanno partecipando alla riforma degli organismi preposti, così come vanno ricercati il dialogo e la cooperazione con i Paesi vicini, ma nel pieno rispetto della sovranità dell‟Afghanistan. Una governance democratica e la protezione dei diritti umani sono la pietra angolare del progresso politico sostenibile in Afghanistan. Il Governo intende aumentare rapidamente la sua capacità di garantire i servizi di base a tutta la popolazione e a tal fine assumerà nell‟apparato burocratico professionisti competenti e affidabili, scelti in base al merito; creerà un sistema amministrativo efficace e trasparente; attuerà miglioramenti significativi nella lotta alla corruzione; sosterrà l‟applicazione della giustizia e la supremazia della legge e promuoverà il rispetto dei diritti umani. Di conseguenza sarà data priorità alla costituzione in ogni provincia di istituzioni funzionali, comprendenti amministrazione civile, forze di polizia, prigioni e organi giudiziari. Particolare importanza riveste, in merito, la riforma della giustizia che deve garantire un equo accesso a tutti i cittadini, basato su codici scritti e strutture efficienti, con personale preparato. Il Governo si impegna anche a proteggere e a promuovere i diritti previsti dalla Costituzione e dalle norme internazionali e adotterà un Action Plan on Peace, Justice and Reconciliation18 per ricostruire la fiducia tra coloro che hanno visto le loro vite sconvolte dalle vicende belliche. Verrà fatto ogni sforzo per una crescita economica sostenibile, allo scopo di ridurre la fame, la povertà e la disoccupazione, mediante lo sviluppo del settore privato, accanto a quello pubblico e non-profit, la lotta alla droga e la valorizzazione delle potenzialità fisiche, sociali e umane del Paese. Gli investimenti pubblici saranno strutturati intorno ai sei settori chiave dello sviluppo economico e sociale: infrastrutture e risorse naturali, istruzione, sanità, agricoltura e sviluppo rurale, protezione sociale, governance economica e sviluppo del settore privato. Uno degli obiettivi principali del Governo afghano e della comunità internazionale è il contrasto alla minaccia che l‟industria della droga rappresenta sia in ambito nazionale che regionale e internazionale. Lo scopo è quello di ottenere una significativa riduzione della produzione e del traffico di sostanze stupefacenti per arrivare, in tempi successivi, a una completa eliminazione. Gli elementi essenziali di questa strategia sono il potenziamento delle capacità operative degli organi investigativi e giudiziari, una migliore cooperazione con i Paesi vicini, l‟individuazione e la realizzazione di soluzioni alternative per i contadini e i salariati agricoli, l‟adozione di una politica di tolleranza-zero nei confronti della corruzione, la riduzione della domanda di oppiacei. 18 Si veda il paragrafo sulla transitional justice a pag. 47. 7 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA L‟Afghanistan Compact definisce anche scadenze precise, o benchmark, per il conseguimento degli obiettivi indicati nel documento19. Nel corso dei lavori sono stati discussi anche i meccanismi idonei a migliorare l‟efficacia degli aiuti internazionali all‟Afghanistan e si è concordato nell‟uniformare le azioni di tutte le parti interessate al rispetto di due principi base: ownership del Governo di Kabul nella definizione delle priorità e delle strategie; trasparenza e responsabilità da parte sia delle autorità locali che dei Paesi donatori. In particolare, questi ultimi si sono impegnati ad aumentare la percentuale di aiuti che affluirà direttamente al bilancio dello Stato o di altre istituzioni delle quali il Governo afghano fa parte, quali l‟Afghanistan Reconstruction Trust Fund (ARTF), il Law and Order Trust Fund for Afghanistan (LOFTA) e il Counter Narcotics Trust Fund (CNTF). Nello stesso tempo, considerata l‟importanza di rafforzare le capacità del Paese, anche gli aiuti forniti al di fuori del bilancio saranno impiegati in modo da accrescere questa capacità sia nell‟ambito del governo che nel settore privato e in quello non-profit. La versione definitiva dell‟ANDS, che Karzai ha definito il blueprint per lo sviluppo dell‟Afghanistan, dovrebbe essere presentata prossimamente20. Essa coprirà il periodo 2008-2012 e prevede spese complessive per 41,4 miliardi di dollari21. Le entrate di bilancio dovrebbero essere pari a 6,8 miliardi di dollari mentre i Paesi donatori si sono impegnati a fornire 24,6 miliardi di dollari, di cui 10,9 miliardi destinati alla sicurezza. Pertanto, nei prossimi cinque anni sono necessari altri 10 miliardi di dollari22. Per reperirli, sarà organizzata a Parigi, all‟inizio dell‟estate 2008, una conferenza dei principali Paesi donatori. Come si vede, l‟ammontare delle spese per la sicurezza è assai rilevante ed è ancora molto maggiore se si considerano anche gli oneri sostenuti dai Paesi che partecipano alle missioni di ISAF ed Enduring Freedom per il mantenimento dei propri contingenti in Afghanistan. Quello della sicurezza è un settore prioritario, al momento, ma che sottrae risorse molto importanti da destinare allo sviluppo economico e sociale e alla ricostruzione delle strutture dello Stato. Di conseguenza è indispensabile che gli interventi in questi settori siano inquadrati in una strategia organica e coerente con le reali esigenze e siano improntati all‟ottimizzazione del rapporto costo/efficacia. Il successo dell‟Afghanistan Compact dipende dall‟impegno di tutte le parti interessate a raggiungere gli obiettivi prefissati entro le scadenze previste e dalla messa a punto di un efficace meccanismo di controllo. Tale compito è stato affidato al Joint Coordination and Monitoring Board (JCMB), formato da esponenti del Governo afghano e della comunità internazionale, che si avvale di un segretariato e tiene riunioni periodiche e, quando necessario, sessioni speciali per esaminare l‟attuazione del Compact e suggerire eventuali azioni correttive. Considerato che il JCMB è formato da rappresentanti di 23 fra Paesi ed enti internazionali, si è dato vita a un organo più ristretto, 19 Si veda l‟Allegato III, pag. 108. Lo ha annunciato il Ministro delle finanze afghano, Anwar al-Haq Ahady, nel corso di una conferenza internazionale sull‟Afghanistan svoltasi a Tokyo nel periodo 5-6 febbraio 2008. 21 I principali settori di spesa sono: sicurezza (34%), infrastrutture e approvvigionamento idrico (27%), istruzione (10%), agricoltura e sviluppo rurale (9%), governance e principio di legalità (6%), sanità (5%), protezione sociale (3,3%), governance economica e sviluppo del settore privato (2,5%). 22 Il Ministro Ahady ha anche lamentato che, contrariamente agli impegni presi nel corso della Conferenza di Londra, la percentuale di finanziamenti affluiti al bilancio nazionale è ancora ben al di sotto della quota del 50% del totale. 20 8 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA chiamato tea club, del quale fanno parte UNAMA (United Nations Assistance Mission in Afghanistan), l‟Unione Europea e la Commissione Europea, gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Giappone, la Germania, il Canada, la Spagna e l‟Italia. Benché manchino ancora tre anni al termine delle scadenze fissate per i conseguimento dei principali obiettivi, sembra difficile che si possano realizzare quelle trasformazioni necessarie per il consolidamento delle istituzioni, la stabilizzazione del quadro interno e lo sviluppo economico e sociale del Paese previste dall‟Afghanistan Compact. Come sarà evidenziato nei capitoli seguenti, progressi significativi sono stati fatti soprattutto nel settore dell‟istruzione primaria e in quello della sanità mentre lo scioglimento dei gruppi armati illegali, che avrebbe dovuto essere completato entro la fine del 2007, è ancora lontano dall‟essere concluso. Forti ritardi si registrano in tutte e tre le aree critiche di attività del Compact, in particolare per quanto attiene alla governance, al rispetto del principio di legalità e allo sviluppo sociale. Inoltre, saranno necessari più anni di quelli previsti prima che l‟apparato di sicurezza sia in grado di assolvere pienamente ai suoi compiti istituzionali e il settore giudiziario consegua i livelli di efficienza e imparzialità che i cittadini chiedono. Appare condivisibile, pertanto la denuncia dell‟ONG britannica Oxfam, che il 31 gennaio scorso sottolineava come a due anni dall‟approvazione dell‟Afghanistan Compact molti degli obiettivi non siano stati raggiunti e troppe promesse non siano stati mantenute. Sono apparsi sin qui carenti, in particolare, l‟impegno e la determinazione tanto del governo di Kabul quanto della comunità internazionale ad avviare e a sostenere le riforme radicali indispensabili per il successo del progetto. Al riguardo, va accolta positivamente, anche se tardiva, la costituzione (il 30 agosto 2007) della Direzione indipendente per la local governance, alla quale è stata affidata la supervisione dell‟attività dei governatori provinciali e degli altri organi amministrativi periferici, creando meccanismi di collegamento tra il governo centrale e gli organi di potere locali. La situazione inoltre è stata resa più difficile dal deterioramento delle condizioni di sicurezza, non previsto al momento della elaborazione del Compact, che distoglie energie e risorse e rende impossibile lavorare in molte aree del Paese. Contestualmente sono cresciute le spinte per soluzioni affrettate, al di fuori di un piano organico, che non eliminano le cause dei fattori di crisi ma ne riducono solo l‟incidenza degli effetti. Per di più, molti degli obiettivi prefissati sono troppo ambiziosi e neanche nelle condizioni più favorevoli avrebbero potuto essere raggiunti entro i tempi stabiliti. Si corre pertanto il rischio che si cerchi di arrivare a un rispetto puramente formale del Compact, senza che a ciò corrispondano effettive trasformazioni delle strutture pubbliche, delle condizioni di vita della popolazione e dei rapporti tra istituzioni e cittadini. Di conseguenza appare prioritario concentrare gli sforzi sull‟eliminazione della cultura dell‟impunità, sul miglioramento delle capacità dell‟amministrazione dello Stato, sia a livello centrale che periferico, sulla creazione di un clima di fiducia e di rispetto tra il potere esecutivo e quello legislativo, in modo che quest‟ultimo sia più direttamente coinvolto nella governance23. 23 International Crisis Group, Afghanistan Endangered Compact, 29 gennaio 2007. 9 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Il compito che il Governo Karzai deve affrontare è molto difficile anche perché il processo di state-building non può prescindere da una profonda “moralizzazione” della dirigenza per allontanare gli esponenti corrotti o collusi con sodalizi criminali e quelli che hanno avuto un ruolo di primo piano in episodi di violazione dei diritti umani. Molti di essi occupano ancora incarichi di responsabilità sia in ambito governativo che legislativo e giudiziario. Il Governo non può rimuoverli tutti in pochi mesi, anche per non rompere i delicati equilibri che si sono creati nel tempo, ma deve dare una prova convincente della propria volontà di emarginarli quali che siano i meriti storici vantati e i rapporti che li legano alle alte cariche dello Stato. È indispensabile, pertanto, che Kabul possa contare sul sostegno della comunità internazionale. Questa tuttavia deve essere anche pronta a ricorrere a pressioni e alla minaccia di interruzione o di riduzione dell‟assistenza finanziaria per indurre le autorità afghane a prendere decisioni ardue ma indispensabili per il successo del Compact e il futuro del Paese. 10 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 3. La situazione di sicurezza: una vittoria possibile ma ancora lontana Dopo la caduta del regime islamico guidato dal mullah Mohammad Omar, nel dicembre 2001, i miliziani taliban sopravvissuti ai combattimenti hanno abbandonato le loro formazioni e sono tornati nei loro villaggi. Mentre una parte ha cercato di reinserirsi nella vita civile sfruttando le nuove opportunità che i cambiamenti del quadro interno aprivano, molti sono rimasti in attesa degli ordini dei loro capi che, per sfuggire alla cattura, si erano rifugiati in Pakistan grazie all‟appoggio fornito dalle popolazioni e dai leader locali nonché alle connivenze di settori dell‟apparato di sicurezza pakistani. Sul territorio afghano, alcuni comandanti locali hanno continuato ad organizzare la lotta alle forze straniere e a quelle del nuovo Governo di Kabul, con attacchi e attentati di portata limitata, concentrati prevalentemente nelle aree periferiche delle province meridionali ed orientali e senza alcun coordinamento. Nell‟estate 2002 è iniziata la ricostituzione di una struttura di comando e controllo taliban, inizialmente a livello provinciale e regionale e, successivamente, con responsabilità nazionali. Tale processo si è concretizzato con la formazione, nel giugno 2003, della rahbari shura (consiglio supremo), con base a Quetta (in Pakistan, provincia del Beluchistan), diretta dal mullah Omar. Contestualmente alla riattivazione della catena di comando e controllo è iniziata la creazione di una nuova struttura di supporto che utilizzava prevalentemente basi situate nelle aree di confine pakistane. Tali sforzi hanno avuto ben presto riflessi anche in ambito operativo con una progressiva intensificazione dell‟attività eversiva, che ha evidenziato la crescente capacità militare dei gruppi armati, sostenuta da una rete logistica articolata e coesa e da strutture sempre più sofisticate di information warfare. La riorganizzazione è stata anche favorita dai ritardi nella comprensione dei segnali di minaccia e nella predisposizione di un efficiente dispositivo di contrasto da parte dei Paesi occidentali e soprattutto degli USA, le cui priorità si stavano nel frattempo spostando dall‟Afghanistan all‟Iraq. Il deterioramento della situazione di sicurezza è evidenziato dall‟andamento delle perdite subite da ISAF/Enduring Freedom, che sono state di 69 uomini nel 2002, 57 nel 2003, 58 nel 2004, 130 nel 2005 e 191 nel 200624. Complessivamente, sono rimasti uccisi nel periodo in esame 505 militari, dei quali 346 statunitensi. Dal 2005 i ribelli hanno fatto crescente ricorso ad attentati suicidi, che sono saliti da 3 nel 2004 a 25 nel 2005 e 140 nel 2006. Proprio il 2006 può essere considerato un anno di svolta perché ha visto i gruppi eversivi afghani acquisire la convinzione delle proprie capacità e della presunta debolezza degli avversari e mirare a successi militari in grado di condizionare pesantemente l‟evoluzione del conflitto. Nella seconda metà dell‟anno, i taliban hanno concentrato nell‟area di Panjwayi, nella provincia di Kandahar, parecchie centinaia di miliziani per una prova di forza, che si è però rivelata un fallimento perché molti di essi sono morti nei bombardamenti occidentali. Nonostante le perdite 24 iCasualties.org. Il bilancio comprende anche i decessi per cause diverse da quelle belliche. 11 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA subite, i dirigenti taliban hanno minacciato una nuova offensiva a partire dalla primavera del 200725, che avrebbe dovuto portare all‟isolamento di Kandahar. Invece, essi hanno subito gli attacchi preventivi di ISAF/Enduring Freedom che hanno disarticolato in parte il loro dispositivo e neutralizzato esponenti di primo piano, quali il mullah Dadullah26. Tali sconfitte hanno costretto i taliban a cambiare i loro piani e a riorganizzare le forze riducendo l‟intensità delle operazioni nelle province meridionali e orientali, dove maggiore è la presenza di ISAF/Coalizione internazionale, ma estendendole anche alle province settentrionali, considerate sino ad allora relativamente sicure. Nello stesso tempo, sono cambiati i concetti di impiego con il ricorso prioritario ad attacchi cosiddetti di tipo asimmetrico (attentati suicidi o mediante ordigni esplosivi improvvisati, eventualmente attivati con comandi a distanza). I taliban operano prevalentemente in piccoli nuclei, per sfuggire all‟osservazione e agli attacchi aerei, ma sono anche in grado di raggrupparsi velocemente per condurre operazioni più rilevanti. Tale strategia non sembra in grado di portare a successi di grande impatto mediatico e di grande rilevanza operativa, come l‟acquisizione del controllo di parti significative del territorio nazionale; ma nel lungo periodo potrebbe risultare vincente per i taliban, provocando un deterioramento generale della cornice di sicurezza del Paese anche in aree dove la presenza delle cellule eversive era quasi irrilevante. La gravità della situazione è evidenziata dal forte incremento delle vittime in episodi di matrice terroristica e in scontri a fuoco tra gruppi eversivi e forze di sicurezza nazionali e straniere, che sarebbero state nel 2007 oltre 6.500 (tra cui 4.300-4500 ribelli), a fronte di circa 4.000 nel 200627. Anche se indicativo, il bilancio delle vittime contribuisce a delineare un quadro assai preoccupante che evidenzia quanto sia ancora lontano dalla conclusione il processo di stabilizzazione del Paese. Tale considerazione è avvalorata anche dall‟aumento, rispetto al 2006, del numero degli attacchi e attentati (cresciuto di oltre il 33%) 28 e dei caduti tra le forze di ISAF/Coalizione internazionale, che sono stati 232 (+21 % sull‟anno precedente), dei quali 117 statunitensi e 115 di altri Paesi. Di conseguenza, mentre in Iraq si è registrata nel corso del 2007 una diminuzione delle perdite della Coalizione, scese da 126 del mese di maggio a 23 di dicembre, in Afghanistan si è avuto un netto incremento del numero dei caduti. Il Comando ISAF ha fatto rilevare che il 70% degli episodi eversivi si è verificato nel 10% dei distretti, ove risiede il 6% della popolazione. Tuttavia, si è contestualmente registrato un preoccupante aumento degli attacchi anche nella parte settentrionale ed occidentale del Paese e nelle province centrali, contigue a quella di Kabul. La forma di lotta usata dai gruppi eversivi afghani che sta suscitando le maggiori preoccupazioni nel Paese e nella comunità internazionale è rappresentata dagli attentati suicidi. Nel 25 Il 25 aprile 2007 il portavoce dei taliban, Qari Yousuf Ahmadi, ha precisato che l‟operazione sarebbe stata denominata Ghazawatul Badr. 26 Il mullah Dadullah, membro del consiglio supremo, era noto in Italia per il ruolo svolto nel rapimento del giornalista Daniele Mastrogiacomo. È stato ucciso il 12 maggio 2007, nella provincia di Helmand, in un‟azione di commando delle forze britanniche e statunitensi. 27 Sul numero delle vittime esistono dati contrastanti a causa delle difficoltà di verifiche indipendenti e della scarsa affidabilità delle segnalazioni da parte delle autorità locali e della popolazione. Secondo il rappostro semestrale del Consiglio di Sicurezza dell‟ONU, diffuso il 6 marzo 2008, sarebbero state oltre 8.000, inclusi 1.500 civili. 28 Nel 2007, è stata registrata una media di 566 episodi al mese, mentre nel 2006 sono stati 425. 12 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 2007 ne sono stati compiuti 132, che avrebbero provocato 523 morti29, senza tener conto dei decessi avvenuti successivamente a causa delle ferite riportate, e un numero assai più elevato di feriti. Si è registrata una leggera diminuzione degli episodi rispetto al 2006, quando erano stati 140, poiché i taliban, come ha dichiarato uno dei loro portavoce, Zabihullah Mujahid, avrebbero dato priorità ad altre forme di lotta, come imboscate e attentati a mezzo di ordigni esplosivi improvvisati attivati con comando a distanza (RCIED)30, per colpire più selettivamente i nemici e risparmiare i propri miliziani. È probabile, tuttavia, che tale scelta sia stata imposta dalla difficoltà a reperire aspiranti attentatori suicidi. Infatti, non sempre gli esecutori sono elementi fortemente motivati sul piano ideologico e ben preparati tecnicamente; al contrario, in più occasioni è emerso che si trattava di individui reclutati tra le classi più povere o addirittura tra le persone con gravi turbe psichiche o con problemi di alcolismo e di tossicodipendenza, che vedevano nel loro sacrificio un mezzo per redimersi e ridare l‟onore alle loro famiglie. Inoltre, in alcune aree sono stati arruolati ragazzi di 1114 anni e persino bambini inconsapevoli. Proprio da tali fattori deriverebbe il basso livello di letalità delle azioni suicide, che in quasi la metà dei casi si sono concluse con la morte del solo esecutore materiale. L‟esame dell‟organizzazione e dell‟esecuzione degli attentati suicidi in Afghanistan evidenzia uno scambio di esperienze con i gruppi jihadisti iracheni e, soprattutto, con quelli attivi in Pakistan. Questi ultimi, legati al movimento del mullah Omar da rapporti di collaborazione molto stretti sia sul piano logistico e addestrativo che operativo, hanno fatto ricorso ad azioni suicide prima che esse facessero la loro comparsa sul teatro iracheno. L‟attentato più grave del 2007 è stato compiuto nei pressi di Pul-e Khumri (capoluogo della provincia settentrionale di Baghlan) e ha causato 77 vittime tra le quali 52 studenti delle scuole locali, cinque insegnanti e sei parlamentari che facevano parte di una delegazione in visita a uno zuccherificio della città e che costituiva verosimilmente l‟obiettivo dell‟attacco. L‟episodio ha suscitato molte polemiche poiché tra deputati uccisi vi era anche Sayed Mustafa Kazimi, sciita di etnia hazara, dirigente del partito Hezb-e Wahdat e portavoce del Fronte Nazionale Unito (Jabheye-Motahed-e-Milli), principale coalizione di opposizione al Presidente Karzai. Nonostante una inchiesta condotta dal National Directorate for Security (NDS) abbia attribuito la responsabilità dell‟attentato a una cellula taliban formata da 2 elementi della provincia di Baghlan e 2 di quella di Samangan, gli interrogativi sulla matrice dell‟attentato non sono ancora stati chiariti. Alcuni hanno ipotizzato una faida interna al Fronte o una manovra di ambienti governativi diretta a eliminare un avversario influente; altri invece hanno accusato l‟intelligence pakistana (ISI), che si sarebbe servita di elementi legati al partito radicale Hezb-i Islami di Gulbuddin Hekmatyar, ben radicato nell‟area. Non si può escludere neanche che si sia trattato di un‟azione di al-Qaida nel quadro di una nuova strategia diretta a provocare un conflitto di tipo confessionale, tra sunniti e sciiti, come successo in Iraq e, per certi aspetti, in alcune aree del Pakistan. È da rilevare, peraltro, che molte vittime sono state uccise da colpi sparati subito dopo l‟attentato dalle guardie del corpo dei parlamentari e dai poliziotti, incapaci di individuare la provenienza della minaccia. 29 In particolare, 13 militari di ISAF/Coalizione internazionale, 180 effettivi delle forze di sicurezza afghane, 23 guardie delle compagnia di sicurezza private, 307 civili. 30 Remote Control Improvised Esplosive Device (RCIED). 13 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Anche se generalmente hanno un impatto emotivo e mediatico inferiore a quello prodotto dagli attentati suicidi, sono stati gli attacchi mediante RCIED che hanno provocato le perdite più gravi tra i militari occidentali. Negli ultimi mesi ha inoltre suscitato preoccupazione il rinvenimento in alcune aree del Paese (a Kabul e nella zona di Herat) di ordigni del tipo explosively formed projectiles, più sofisticati di quelli impiegati normalmente, che sarebbero stati forniti ai gruppi eversivi da ambienti dell‟apparato di sicurezza iraniano. Infine, i taliban hanno anche utilizzato cadaveri per occultare ordigni esplosivi31. Per evidenziare il grave deterioramento subito nel corso degli ultimi anni dalla cornice di sicurezza dell‟Afghanistan basta ricordare l‟incremento registrato tra il 2004 e il 2007 dal numero complessivo degli episodi di violenza e degli attacchi con RCIED, saliti, rispettivamente da 900 a 8.950 e da 325 a 1.469. Nello stesso periodo, le missioni di appoggio aereo ravvicinato (CAS) eseguite dai velivoli della base aerea statunitense di Bagram, a nord di Kabul, sono aumentate da 6.495 a 12.775 mentre quelle di bombardamento da 86 a 2.92632. Per quanto riguarda gli obiettivi delle attività dei taliban, essi sono stati prioritariamente gli elementi delle forze di sicurezza nazionali e di quelle straniere, amministratori locali, dirigenti e funzionari governativi, studenti, insegnanti, edifici scolastici, dipendenti di compagnie di sicurezza private33, esponenti religiosi non legati ai settori radicali, dipendenti di ONG, convogli umanitari. I risultati dell‟attività eversiva nel corso del 2007 possono essere illustrati con alcuni dati ed episodi, che delineano con chiarezza la drammaticità della situazione interna del Paese. In particolare: sono stati uccisi 925 agenti della polizia nazionale afghana (ANP), che è l‟anello più debole dell‟apparato di difesa e sicurezza del Paese a causa degli scarsi livelli di motivazione e di preparazione del personale. Essa inoltre opera su tutto il territorio nazionale, spesso in zone isolate, con nuclei di pochi uomini privi di mezzi di collegamento o di trasporto per chiedere rinforzi o sottrarsi agli attacchi; sono state distrutte 98 scuole e altre 590 sono state chiuse per motivi di sicurezza. Nello stesso periodo sono stati uccisi 147 tra insegnanti, studenti e dirigenti scolastici34; sono state decapitate circa 100 presunte spie, mentre altre sono state impiccate o fucilate e i loro cadaveri sono stati lasciati esposti per giorni in luoghi pubblici per costituire un avvertimento per la popolazione locale35; in oltre 130 attacchi sono stati uccisi 40 dipendenti, sia afghani che stranieri, di ONG e altri organismi umanitari e altri 89 sono stati rapiti, di cui un terzo ad opera di gruppi criminali, il 31 Episodi di questo tipo (booby-trapped body) sono stati registrati il 21 dicembre 2007, quando un ordigno collocato sul corpo di un uomo decapitato è esploso nei pressi di un cimitero uccidendo due persone, e il 23 dicembre, quando un altro ordigno nascosto in un cadavere è esploso, ma senza provocare vittime. 32 Washington Post, 17 dicembre 2007, e Bloomberg, 11 febbraio 2008. 33 Il 18 dicembre, nel distretto di Bala Buluk (provincia di Farah), alcuni miliziani taliban hanno attaccato un convoglio di autocisterne che trasportavano carburante per una base militare di ISAF/Coalizione internazionale, uccidendo almeno 15 guardie di scorta, appartenenti alla compagnia di sicurezza USPI (statunitense), e ferendone altre nove. 34 Associated Press, 12 febbraio 2008. 35 Nel solo mese di dicembre 2007 sono avvenuti tre episodi che hanno commosso l‟opinione pubblica: l‟uccisione di un ragazzo di 12 anni nel distretto di Sangin (provincia di Kandahar), di una donna di 60 anni e del nipote di 17 nel distretto di Deh Rawood (provincia di Uruzgan) e di due giovani nel distretto di Kajaki (provincia di Helmand). 14 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA resto dei ribelli36. La maggior parte degli stranieri sarebbe stata rilasciata dopo uno-due mesi dietro il pagamento di un riscatto di circa un milione di dollari. Secondo l‟ONU quasi tutte le aree pashtun delle province meridionali e orientali sono considerate a rischio high o extreme, così come sacche di territorio nella regione settentrionale37. In particolare, sarebbero 78 i distretti delle province meridionali ai quali le agenzie delle Nazioni Unite non avrebbero accesso a causa della precarietà della situazione di sicurezza; sono stati saccheggiati oltre 40 convogli che trasportavano aiuti per conto del World Food Programme (WFO). Le Nazioni Unite si sono appellate ai gruppi eversivi e a quelli criminali affinché interrompano i loro attacchi, consentendo agli operatori umanitari di svolgere il proprio lavoro e aiutare la popolazione. Sono state effettuate inoltre azioni dimostrative, con l‟impiego di centinaia di uomini, che hanno portato alla cattura di alcune località38, tornate generalmente sotto il controllo delle forze governative dopo poche ore o al massimo giorni. In linea generale, lo scopo di episodi di questo tipo è quello di dimostrare alla popolazione la debolezza del governo centrale e condizionare l‟attività degli amministratori dei distretti, costretti ad operare nel timore di attacchi in forze. Contestualmente, i taliban intendono diventare una sorta di potere parallelo nella prospettiva di formare loro amministrazioni autonome, alternative a quelle ufficiali. Il 12 dicembre 2007, il portavoce del Ministero della difesa di Kabul ha affermato che i taliban controllano ancora, nella provincia di Helmand, i distretti di Washer, Naw Zad e Baghran. Tuttavia, la situazione è più grave di quanto ufficialmente ammesso. Infatti, il 28 febbraio il direttore del National Intelligence USA, Mike McConnell, ha dichiarato in una audizione di fronte al Committee on Armed Forces del Senato che il governo di Kabul controlla il 30-31% del territorio nazionale, i taliban il 10-11% e i leader tribali il resto. Una valutazione sostanzialmente analoga si trova anche nel citato rapporto semestrale del Consiglio di Sicurezza dell‟ONU: 36 distretti su 376 rimangono “largely inaccessibile to Afghan officials and aid workers”. Per contro, il 10 dicembre, le forze afghane e quelle di ISAF/Enduring Freedom hanno ripreso il controllo del distretto di Musa Qala, nella provincia di Helmand, caduto nelle mani nei taliban agli inizi di febbraio 2007. Il deterioramento della situazione di sicurezza ha avuto conseguenze pesanti anche sul piano economico e sociale, soprattutto nella regione meridionale. In particolare, sono stati bloccati, o procedono con grande ritardo, numerosi progetti di ricostruzione e di sviluppo mentre per quelli in corso sono stati registrati sensibili aumenti nei costi per la necessità di garantire una adeguata 36 In una intervista ad al-Jazeera, il mullah Dadullah, aveva sottolineato che il rapimento di cittadini stranieri è diretto a danneggiare il Governo Karzai e quello USA che lo appoggia, dimostrando che non hanno il controllo del territorio. Egli aveva anche aggiunto che le Agenzie dell‟ONU sono considerate simili alle organizzazioni governative statunitensi e pertanto i loro dipendenti costituiscono un obiettivo per i gruppi taliban. 37 The Times, 5 dicembre 2007. 38 In particolare i distretti di Bakwa (29 ottobre), Gulistan (31 ottobre) e Kak-i Safid (6 novembre), tutti nella provincia di Farah, nonché quelli di Arghandab (provincia di Kandahar, 30 ottobre) e Karyan (provincia di Daykundi, 5 novembre). 15 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA protezione al personale ricorrendo alle compagnie private di sicurezza, sia nazionali che straniere39. Alti livelli di rischio si riscontrano anche nelle grandi vie di comunicazione, in particolare lungo la principale arteria del Paese, che collega Kabul, Kandahar e Herat, dove attacchi e attentati si succedono con frequenza. Tale situazione è una delle cause dell‟aumento della produzione di oppio: i contadini preferiscono infatti coltivare papavero, il cui raccolto viene prelevato direttamente dai narcotrafficanti, invece di altri prodotti che poi avrebbero difficoltà a far giungere sui mercati. L‟intensificazione dell‟attività eversiva e il conseguente incremento del numero degli scontri hanno provocato un aumento del numero delle vittime civili, che nel 200640 sono state 230 a causa di operazioni militari di ISAF/Coalizione internazionale e 669 riconducibili a episodi di violenza di matrice terroristica, di cui 273 per attentati suicidi. La situazione si è aggravata nel corso nel 2007, in cui i civili morti sarebbero stati oltre 1.000, dei quali almeno 400 nel corso di operazioni condotte dalle forze occidentali41. Non sempre è possibile accertare le dinamiche e le responsabilità di ogni singolo episodio. Esiste il rischio, infatti, che gli episodi vengano strumentalizzati per tutelare interessi personali o per denunciare colpe presunte o reali degli stranieri. Di conseguenza, è possibile che le dichiarazioni di potenziali testimoni siano influenzate da pressioni ricevute in ambito locale. D‟altro canto, appare improbabile che i familiari delle vittime ammettano che queste fossero legate a gruppi eversivi o che stessero partecipando ad attacchi contro le forze straniere e governative. Inoltre, l‟uccisione di civili in combattimento non sempre è ascrivibile solo a errori di valutazione da parte dei militari sul campo o dei Comandi, ma anche alle condizioni tattiche e operative che caratterizzano il conflitto afghano. I gruppi eversivi, infatti, non rispettano alcuna regola: combattono senza uniformi e si mescolano alla popolazione. Di fatto, tuttavia, è successo in più occasioni che le operazioni di ISAF/Coalizione internazionale abbiano provocato vittime tra i civili. L‟emozione provocata dalle notizie acuisce l‟ostilità della popolazione verso le forze occidentali e alimenta la sfiducia dei cittadini nei confronti del Governo, accusato di non sapere o volere proteggere i propri connazionali. Il Presidente Karzai ha più volte protestato per lo scarso peso che verrebbe attribuito alla vita dei cittadini afghani, preziosa quanto quella dei militari stranieri, e ha chiesto maggior coordinamento nella pianificazione e nell‟esecuzione delle operazioni militari. Gli eventi di questo genere sono sfruttati dai taliban che stanno conducendo una campagna mediatica per esasperare il risentimento della popolazione nei confronti delle “forze di occupazione”, minacciando di punire i responsabili. Con tale azione propagandistica essi mirano anche a far dimenticare le loro responsabilità. Infatti, anche se generalmente non sembrano essere obiettivo principale dell‟azione, molti civili sono stati uccisi nel corso di attentati terroristici contro i militari stranieri; inoltre, i taliban si servono spesso di civili come scudi o si nascondono nelle loro 39 In particolare i taliban sono riusciti a ritardare, se non a bloccare, i lavori per il potenziamento della diga di Kajaki (provincia di Helmand) che dovrebbe fornire energia elettrica per due milioni di persone, consentire l‟irrigazione di migliaia di ettari facilitando lo sviluppo di colture alternative al papavero da oppio e dare lavoro a circa due mila persone. 40 Fonte: Human Rights Wacth. 41 Le vittime civili sarebbero state circa 500 secondo un rapporto dell‟Agenzia Reuters del 24 gennaio 2008. 16 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA case per sottrarsi alla cattura dopo gli attacchi. In alcuni casi, tali comportamenti hanno provocato la reazione degli abitanti dei villaggi, che hanno preso le armi per allontanare i miliziani; il più delle volte, tuttavia, non vengono denunciati apertamente dalla popolazione locale per il timore di ritorsioni. Attualmente la lotta contro le forze afghane e quelle dei Paesi alleati è condotta prevalentemente dai taliban, mentre gli altri gruppi eversivi attivi in Afghanistan, come il partito radicale Hezb-i Islami di Gulbuddin Hekmatyar e al-Qaida, svolgono un ruolo più circoscritto. In particolare, le milizie di Hekmatyar operano principalmente in alcune province orientali, quali quelle di Nangarhar, Kunar, Nuristan e in alcuni distretti della provincia di Kabul; i combattenti di Osama bin Laden forniscono soprattutto supporto tecnico e addestrativo e nel settore della information warfare. Raramente prendono parte alle azioni, anche se nelle ultime settimane sono emersi segnali di una riorganizzazione delle strutture operative della rete, guidate dall‟egiziano Mustafa al-Yazid, che ha sostituito lo scorso anno Abd al-Hadi al-Libi, catturato dalle forze statunitensi. Anche se hanno più volte ribadito il loro impegno a ricercare uno stretto coordinamento, definendo strategie comuni, i tre gruppi non sono riusciti sinora a costituire una struttura di comando unificata, in grado di pianificare e condurre operazioni congiunte su tutto il territorio nazionale. La collaborazione si realizza invece a livello locale, spesso per iniziativa dei singoli comandanti, con scambio di informazioni e sostegno tecnico e logistico. Nonostante il carisma che circonda ancora la figura del mullah Omar, il movimento taliban non va considerato un‟organizzazione omogenea, con una struttura gerarchica rigida e un accentramento di tutte le funzioni direttive. Infatti, con il tempo si sono accentuate le differenze tra il tier one, formato da fanatici islamici che pianificano e dirigono le operazioni e il tier two, comprendente elementi locali arruolati con la promessa di denaro, per lealtà tribale o con le minacce. Esiste anche un tier three costitutivo da membri delle comunità locali ostili alla presenza degli occidentali perché appoggiano un governo corrotto e incapace di risolvere i loro problemi oppure desiderosi di vendetta per controversie che durano da tempo. Non è possibile adottare un‟unica strategia ma questa deve essere diversificata e non deve prevedere solo l‟uso delle armi bensì anche il dialogo per convincere soprattutto il tier three ad abbandonare la lotta armata42. Le attuali capacità operative del movimento taliban e la possibilità di continuare anche nel medio-lungo termine la lotta contro il Governo di Kabul e le forze straniere schierate nel Paese, si basano soprattutto su tre fattori: - 42 sostegno popolare, ottenuto sia con un‟efficace propaganda, sfruttando anche il malcontento della popolazione per i ritardi nell‟opera di ricostruzione e la corruzione dell‟apparato governativo, sia con l‟intimidazione. Al momento la percentuale della popolazione che appoggia in maniera convinta il movimento taliban è generalmente contenuta, anche nelle province meridionali. Tuttavia esiste una fascia piuttosto ampia che ha un atteggiamento RFE/RL, 19 settembre. 17 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA neutrale, evitando di schierarsi con o contro il Governo in attesa di vedere chi ha maggiori probabilità di vittoria43; - alleanza con i narcotrafficanti, rafforzatasi negli ultimi anni. I taliban proteggono i contadini durante la semina del papavero e il raccolto dell‟oppio e tengono impegnate le forze governative impedendo loro di condurre, con il concorso di quelle straniere, un‟efficace campagna di eradicazione e di lotta al narcotraffico. In cambio, ricevono supporto logistico, in particolare armi e veicoli, e finanziamenti, valutati per il 2007 a circa 100 milioni di dollari; - cooperazione con i gruppi taliban pakistani, attivi soprattutto nelle Federally Admistered Tribal Areas (FATA) e nella North Western Frontier Province (NWFP), che vedono nel mullah Omar un riferimento ideologico e una fonte di ispirazione. Grazie al loro sostegno, i taliban afghani possono disporre di basi, centri addestrativi e strutture di comando nelle aree di confine pakistane. Lo stesso mullah Omar e molti esponenti della rahbari shura sarebbero stati visti più volte nell‟area di Quetta. Tale cooperazione appare destinata a durare. Infatti, il 14 dicembre 2007, 40 comandanti dei gruppi taliban pakistani delle aree tribali e di alcuni distretti della NWFP, riuniti in una località non nota del Sud Waziristan, hanno deciso la costituzione di un organo centralizzato, denominato Tehrik Taliban-i-Pakistani (Movimento dei taliban in Pakistan), per dirigere e coordinare la lotta contro le forze statunitensi e quelle NATO in Afghanistan e ha nominato Baitullah Mehsud Emiro centrale. Altri scopi del movimento sono la condotta di un jihad difensivo contro le truppe pakistane e l‟imposizione della sharia nelle aree sotto il proprio controllo44. Al momento non è nota la consistenza dei militanti che Baitullah Mehsud è in grado di mobilitare, ma essi potrebbero essere anche alcune migliaia, bene armati e molto motivati ideologicamente. L‟arrivo dell‟inverno, con le abbondanti nevicate, ha portato in molti casi all‟interruzione delle linee di collegamento che, attraverso valichi montani secondari, consentono ai gruppi taliban di far arrivare dal Pakistan volontari e rifornimenti ma non ha influito in maniera significativa sull‟andamento dell‟attività eversiva che dall‟inizio del 2008 si sta sviluppando secondo le linee emerse nel corso del 2007. Nel periodo 1 gennaio - 22 marzo sono stati compiuti 21 attentati suicidi e sono morti 35 militari di ISAF/Coalizione internazionale (13 statunitensi e 22 di altri Paesi). Gli episodi più gravi, per le implicazioni che possono avere, si sono verificati il 14 gennaio a Kabul e il 17 febbraio ad Arghandab (provincia di Kandahar). A Kabul, un commando terrorista formato da quattro elementi, uno dei quali un attentatore suicida, ha attaccato l‟hotel Serena, con standard qualitativi vicini ai migliori hotel occidentali e considerato sicuro anche perché si trova in una zona della capitale fortemente protetta. Nell‟azione sono rimaste uccise otto persone, tra le quali due elementi del commando e due stranieri (uno statunitense e un norvegese). L‟attacco, colpendo uno dei simboli della ricostruzione del Paese, ha confermato la vulnerabilità della capitale e ha contribuito ad acuire il senso di insicurezza del personale straniero in Afghanistan e pertanto potrebbe avere riflessi negativi anche sul piano economico, scoraggiando operatori e investitori 43 Un recente sondaggio evidenzia, pur con i limiti che hanno le ricerche demoscopiche condotte in Afghanistan, anche una forte diminuzione del consenso verso l‟operato delle forze USA, sceso dal 68% del 2005 al 57% del 2006 e al 42% del 2007. 44 Dawn, 14 dicembre 2007. Per approfondimenti si vedano i Rapporti di ARGO sul Pakistan nn. 1, 2 e 3. 18 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA stranieri. Ad Arghandab un attentatore suicida si è fatto esplodere in mezzo alla folla che stava assistendo a combattimenti tra cani, vietati durante il regime taliban, provocando la morte di oltre 100 persone mentre altrettanti sarebbero i feriti. Sembra che obiettivo dell‟attacco fosse Abdul Hakim Jan, capo della polizia ausiliaria del distretto, deceduto con 35 dei suoi uomini. Abdul Hakim Jan si era sempre opposto, insieme al mullah Naquib, leader della tribù degli Alokzai, morto di infarto l‟11 ottobre scorso, ai tentativi dei taliban di prendere il controllo del distretto, vitale in vista di azioni contro il capoluogo provinciale Kandahar. La volontà dei taliban di continuare la lotta anche nel periodo invernale, quando si registra normalmente una stasi nelle operazioni, era stata ribadita dallo stesso mullah Omar in un messaggio in occasione della festa dell‟Eid al-Adha, in cui ricordava anche che nessun Paese straniero ha mai conquistato l‟Afghanistan. Tuttavia, i recenti episodi indicano che all‟interno del movimento sta emergendo una nuova generazione di combattenti, legati allo jahadismo internazionale e decisi a elevare i livelli dello scontro ignorando le raccomandazioni, che sarebbero giunte dallo stesso mullah Omar, di evitare per quanto possibile di provocare vittime tra la popolazione civile. Negli ultimi attentati, inoltre, è stato fatto uso uso di esplosivo al plastico C4 mescolato con sfere di cuscinetti per aumentarne l‟effetto letale. È una tecnica che non risulta sia stata utilizzata in precedenza in Afghanistan e che è stata mutuata da altri teatri. Con l‟arrivo della primavera è da attendersi un‟ulteriore intensificazione degli attentati e degli attacchi che potrebbero trasformarsi in un‟offensiva su larga scala per destabilizzare il Paese paralizzando le vie di comunicazione nella regione meridionale, soprattutto intorno a Kandahar, e acuendo la pressione su Kabul45. L‟obiettivo dell‟offensiva sarebbe quello di indebolire l‟azione del Governo e minare la fiducia della popolazione nelle nuove istituzioni e nei Paesi che le appoggiano, ostacolando il processo di ricostruzione. Contemporaneamente potrebbero aumentare gli attacchi, sia in Afghanistan che nelle aree di frontiera pakistane, contro i convogli che dai porti dell‟Oceano indiano trasportano rifornimenti alle unità di ISAF/Coalizione internazionale. In tale quadro, il territorio pakistano e soprattutto le aree contigue al confine rivestono importanza strategica sia come base di partenza per gli attacchi contro obiettivi in Afghanistan sia come teatro di attacchi contro le linee di rifornimento alle forze straniere in questo Paese46. Proprio per contrastare questa minaccia, il Pentagono ha deciso di inviare nelle province meridionali afghane unità dei marines mentre i Comandi britannici hanno avviato la costituzione di milizie tribali (arbakai) che dovrebbero difendere i villaggi dagli attacchi dei taliban. L‟iniziativa ha incontrato le critiche degli statunitensi che sono scettici, anche sulla base dei risultati emersi da un 45 I piani di attacco nella regione meridionale potrebbero cambiare a seguito dell‟uccisione, da parte delle forze afghane e di quelle britanniche, di tre importanti comandanti taliban nella provincia di Helmand (mullah Abdul Bari, mullah Abdul Matin e mullah Karim Agha), avvenuta nella seconda decade del mese di febbraio 2008. 46 Appare significativo al riguardo l‟intervento del mullah Omar sui comandanti dei gruppi taliban pakistani e soprattutto su Baitullah Mehsud perché accettino l‟avvio di trattative con il Governo di Islamabad per accordi di pace che, portando alla fine dei combattimenti e al ridimensionamento del dispositivo militare pakistano nelle FATA, lascino ai taliban una sostanziale libertà di azione. Nell‟occasione il mullah Omar avrebbe ribadito che per il momento lo jihad deve essere condotto prioritariamente in Afghansitan. Di fatto, da alcune settimane i combattimenti tra le milizie pakistane filo-taliban e le forze governative si sono fortemente ridotti e le trattative sarebbero in una fase assai avanzata. Nel Nord Waziristan hanno già portato ad un accordo di pace che in sostanza ripristina quello firmato nel mese di settembre 2006 e denunciato dai militanti nell‟estate 2007. 19 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA tentativo analogo (la formazione della polizia ausiliaria), sull‟affidabilità e sulla disciplina dei membri delle nuove milizie, che sarebbero più fedeli ai loro capi che al Governo. Nello stesso contesto, ha suscitato le riserve della dirigenza di Kabul un altro progetto britannico che, a quanto riferito da alcuni organi di informazione, prevedeva l‟impiego dei taliban disposti a lasciare il movimento del mullah Omar, chiamati Community Defence Volunteers, per combattere i ribelli irriducibili. Per tale scopo era allo studio la costruzione nell‟area di Musa Qala di un campo di addestramento per 1.800 miliziani e 200 comandanti a livello basso. Il piano faceva parte di un pacchetto di misure e incentivi per ottenere la fiducia e l‟appoggio dei taliban moderati. Di fatto, anche se riprendono le linee guida del progetto attuato dagli statunitensi nella provincia irachena di Anbar e considerato generalmente un successo, le iniziative britanniche sono state accolte con cautela anche da altri esperti militari e diplomatici stranieri a Kabul che hanno definito più importante il rafforzamento delle capacità operative delle forze di sicurezza governative, in particolare della polizia, rispetto alla costituzione di nuovi corpi armati che potrebbe sottrarsi al controllo delle autorità. Dall‟analisi dell‟attività del movimento taliban e degli altri gruppi eversivi afghani e delle potenzialità dell‟organizzazione di comando e delle strutture logistiche e addestrative da essi messe in atto, raffrontate all‟attuale quadro politico del Paese e al contesto geostrategico internazionale, emergono alcuni punti fermi: - i taliban non saranno in grado di ottenere successi militari significativi sino a quando rimarranno nel Paese le forze di ISAF/Coalizione internazionale; tuttavia, sono capaci di condurre attentati e attacchi su quasi tutto il territorio nazionale. Di conseguenza, non potendo sconfiggere sul campo i contingenti stranieri, mirano a logorarli e, nel contempo, a fiaccare la volontà dei governi occidentali di partecipare ad operazioni militari in Afghanistan; - essi dispongono di basi anche nelle vicinanze di Kabul e possono pertanto condizionare la vita della capitale costituendo una minaccia continua per le istituzioni governative e straniere; - hanno acquisito il controllo solo di alcuni distretti nelle aree periferiche del Paese e non sono in grado di impadronirsi dei capoluoghi provinciali né di porsi alla testa di un movimento popolare di rivolta contro il Governo; tuttavia, essi hanno una presenza più o meno forte in molte province, terrorizzando la popolazione o influenzandone i comportamenti; - i vertici militari taliban hanno buone capacità di pianificazione e una elevata preparazione per le tecniche di guerriglia. Infatti, nei primi mesi del 2007, hanno saputo modificare i loro concetti di impiego adattandoli alle mutate situazioni del terreno e ai nuovi rapporti di forza e hanno adottato una maggiore decentralizzazione del sistema di comando e controllo, che affida alle cellule locali un‟ampia autonomia nella scelta di tempi e modalità di attacchi; - sono convinti che il fattore tempo giochi a loro favore e, pur non potendo contare sull‟apporto di una parte consistente della popolazione afghana, cercano di sfruttare a loro favore la crescente insofferenza che questa mostra verso il Governo ed i Paesi che lo sostengono; 20 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA - le forze di ISAF/Coalizione internazionale hanno vinto tutte le battaglie e conservano ancora l‟appoggio della maggioranza della popolazione. Tuttavia, l‟attività dei gruppi eversivi continua a crescere e si sta espandendo anche ad aree prima considerate abbastanza sicure; - almeno a breve termine non è prevedibile una diminuzione dell‟appoggio che i taliban ricevono dai narco-trafficanti e dai gruppi estremisti pakistani; - la mancanza di omogeneità del movimento taliban può compromettere la capacità del mullah Omar di tenere unite le varie componenti, favorendo l‟emergere di fazioni contrapposte e alimentando le ambizioni di alcuni comandanti che aspirano a posizioni di vertice. La situazione può essere sfruttata dal Governo afghano per avviare contatti con gli esponenti moderati, presenti ai livelli medio-bassi, e convincerli a rinunciare alla lotta armata in cambio di un reinserimento nella vita del Paese; - al momento, la guida del movimento taliban e del partito Hezb-i Islami è ancora saldamente nelle mani degli esponenti dell‟ala dura, legati ad al-Qaida e ostili a ogni ipotesi di accordo con il Governo che non si traduca, di fatto, in una ammissione di sconfitta da parte di quest‟ultimo; - la guerra del terrorismo internazionale contro l‟Occidente è iniziata dall‟Afghanistan e in Afghanistan può essere vinta. Tale Paese rappresenta al momento il fronte principale nella lotta all‟estremismo e al fondamentalismo di matrice islamica. Tuttavia, per vincere, i Paesi occidentali e il Governo di Kabul devono cercare di trasformare sin da quest‟anno i successi militari in progresso economico e stabilità, portando lo sviluppo anche nelle aree più remote e tra le fasce della popolazione che sinora non ne hanno beneficiato. 21 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 4. Le dinamiche politiche interne: equilibri di potere ancora instabili La trasformazione politica del Paese, avviata con l‟Accordo di Bonn del dicembre 2001 47 e proseguita con l‟approvazione della nuova Costituzione, con le elezioni presidenziali del 9 ottobre 2004 e con quelle politiche e amministrative del 18 settembre dell‟anno successivo, ha rappresentato un processo di portata storica. Essa ha infatti permesso di rilanciare, pur con notevoli limitazioni e serie difficoltà, il percorso di affermazione dei principi della democrazia avviato nel 1923 dal re Amanullah, che si era interrotto nel 1973 con il colpo di stato di Daoud. Gli eventi bellici degli ultimi decenni hanno determinato il riemergere delle antiche e radicate usanze e regole tribali, favorito dall‟assenza dello Stato centrale. Non va inoltre dimenticato che il Paese ha subito, dal 1996 al 2001, l‟imposizione della sharia nella sua interpretazione più rigida e violenta. L‟Afghanistan dispone ora di istituzioni democratiche, scelte dal popolo, e di un sistema di governo che prevede formalmente la separazione tra i vari poteri dello Stato (esecutivo, legislativo e giudiziario). I cambiamenti sono stati accolti con grande favore dalla maggioranza della popolazione che, pur senza comprendere i concetti e i meccanismi posti alla base di uno Stato di diritto, nutriva speranze di miglioramenti significativi delle proprie condizioni di vita e di un futuro diverso per i propri figli. Tuttavia, le attese sono state in gran parte deluse e stanno progressivamente aumentando in tutto il Paese sentimenti di sfiducia verso le nuove istituzioni e la dirigenza che le rappresenta. Gli aspetti più significativi della crisi politica che, insieme al deterioramento della situazione di sicurezza, rischia di compromettere lo sviluppo della democrazia in Afghanistan sono l‟indebolimento della posizione del Presidente Karzai e la radicalizzazione dello scontro tra gli schieramenti contrapposti, poco inclini alla collaborazione. Il Presidente Karzai, che sembrava aver recuperato credibilità e prestigio dopo la conclusione della Joint Peace Jirga svolta il 9-12 agosto 200748, deve far fronte a critiche sempre più aspre al suo operato, provenienti non solo dagli ambienti politici nazionali e da settori sempre più larghi della popolazione ma anche da organismi internazionali e Paesi stranieri, inclusi gli USA, che sinora sono stati sempre al suo fianco. Al leader afghano viene contestata una lunga lista di insuccessi, tra i quali i risultati insoddisfacenti della lotta ai gruppi eversivi e alla criminalità, i gravi ritardi nei progetti di ricostruzione, la precarietà delle condizioni di vita di molti ceti sociali rimasti esclusi dai benefici portati dal flusso di aiuti, la mancanza di risultati significativi nel processo di state building, l‟incapacità ad avviare una efficace lotta alla corruzione e al narcotraffico, il prevalere di logiche tribali nelle scelte di politica interna, nonché l‟assenza di una visione strategica che sappia coniugare sviluppo del Paese, equilibri di 47 Si veda il cap. 1, a pag. 1 di questo rapporto. La Jirga si è riunita a Kabul e ha visto la partecipazione di circa 700 delegati di Afghanistan e Pakistan, in rappresentanza delle tribù pashtun che vivono ai due lati del confine e degli ambienti politici dei due Paesi. Nel corso dei lavori sono stati affrontati temi relativi alla sicurezza e allo sviluppo. 48 22 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA potere interni e cooperazione regionale. Nelle ultime settimane, inoltre, alcune iniziative del Presidente hanno provocato tensioni nei rapporti con i principali Paesi alleati. Una delle conseguenze dell‟indebolimento della posizione del Presidente è l‟aumento delle spinte centrifughe nelle province settentrionali, alimentate da warlord locali, prevalentemente di etnia tagika e uzbeka, che si sono sottratti al programma di disarmo delle milizie irregolari (DIAG) e cercano di conservare o acquisire una propria autonomia per gestire attività illecite e costituire un potere parallelo a quello ufficiale. Essi giustificano le loro azioni accusando lo Stato di disinteresse verso le province settentrionali a vantaggio di quelle meridionali, con il richiamo alla necessità di mantenere una capacità di difesa per opporsi ai tentativi taliban di rioccupare il Paese e con la denuncia dell‟emarginazione dei mujahiddin dell‟Alleanza del Nord che hanno liberato l‟Afghanistan dal regime taliban. Il 23 novembre 2007, circa 200 ex comandanti delle province nord-orientali si sono riuniti nella provincia di Takhar e hanno minacciato il Governo di conseguenze negative se non sarà riconosciuto il diritto dei mujahiddin a svolgere un ruolo di primo piano, con incarichi adeguati, nella vita del Paese. Essi hanno sottolineato che il loro allontanamento da posizioni di responsabilità è coinciso con un peggioramento della situazione generale di sicurezza. È stato costituito un consiglio del popolo (da khalko shura) che si riunirà una volta al mese49. Tali iniziative destano preoccupazione perché potrebbero contribuire a creare un clima di rinnovata contrapposizione etnica, suscettibile di minacciare la convivenza pacifica tra pashtun50 ed altre etnie. La polarizzazione della vita politica, che aveva cominciato a emergere nel corso dei lavori della Loja Jirga costituzionale (14 dicembre 2003 - 4 gennaio 2004), si è accentuata durante le elezioni presidenziali e, soprattutto, quelle politiche. Queste ultime hanno visto contrapposti due schieramenti principali: uno riconducibile al Presidente Karzai e comprendente soprattutto esponenti dell‟etnia pashtun e l‟altro, molto più eterogeneo, che ha come figura più rappresentativa l‟attuale Presidente della Wolesi Jirga, Yunis Qanuni. Questi è stato tra i principali promotori della formazione, il 3 aprile 2007, del Fronte Nazionale Unito (Jabhe-ye-Motahed-e-Milli), al quale hanno aderito personalità dell‟Alleanza del Nord, ex comunisti, leader locali e appartenenti a famiglie che hanno svolto un ruolo importante nella storia del Paese, quali Mustafa Zahir, nipote dell‟ex Re Zahir Shah51 ed ex ambasciatore a Roma. L‟etnia prevalente è quella tagika, benché siano presenti anche esponenti uzbeki, hazara e pashtun. Va peraltro sottolineato che altre 49 Pajhwok, 23 novembre 2007. I pashtun costituiscono il principale gruppo etnico, benché non maggioritario. Essi comprendono, secondo alcune stime, il 42% della popolazione; il secondo gruppo etnico è quello tagiko, con il 27% della popolazione. 51 Tra i principali esponenti figurano anche Burhanuddin Rabbani, tagiko, ex Presidente dell‟Afghanistan e leader del Partito Jamiat-e Islami; Ahmad Zia Massud, tagiko, fratello del Comandante Ahmad Shah Massud e attualmente primo Vice Presidente dell‟Afghanistan; Maresciallo Mohammad Qasim Fahim Khan, tagiko, ex Vice Presidente dell‟Afghanistan nonché ex Ministro della difesa; Ismail Khan, tagiko, ex governatore della provincia di Herat e attuale Ministro dell‟energia e delle risorse idriche; Abdul Rashid Dostum, uzbeko, Capo di stato maggiore dell‟alto comando delle Forze armate (di recente sospeso dall‟incarico, che peraltro è di fatto privo di reali poteri) e fondatore del Partito Junbesh-e Milli-e Islami; Sayed Mohammad Gulabzoi, pashtun, ex Ministro dell‟interno durante il regime comunista, deputato; Nur-ul Haq Olumi, pashtun, Comandante del Corpo d‟armata di Kandahar durante il periodo comunista, presidente della Commissione difesa della Wolesi Jirga. 50 23 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA importanti personalità dell‟Alleanza del Nord appoggiano Karzai 52. Il programma del Fronte prevede, tra i punti più qualificanti, la trasformazione della forma di governo da presidenziale in parlamentare, con l‟istituzione della figura del primo ministro. Le differenze tra i due schieramenti sono spesso assai sfumate, perché raramente riguardano aspetti ideologici o dottrinali, peraltro sconosciuti a gran parte degli esponenti politici. In linea di massima, lo schieramento che si richiama a Karzai è favorevole a un sistema di governo centralizzato e al mantenimento di relazioni privilegiate con gli USA, pur nella ricerca di rapporti di collaborazione anche con gli altri Paesi occidentali e con quelli confinanti. Per contro, il Fronte Nazionale Unito chiede di superare il concetto etnocratico, con chiaro riferimento alla prevalenza che i pashutn hanno sempre avuto nella vita del Paese, per rafforzare il senso di identità nazionale ed è più sospettoso nei confronti della politica di Washington. In ogni caso, la composizione dei due blocchi è soggetta a frequenti trasformazioni, poiché la maggior parte dei deputati non ha vincoli di partito e si lascia guidare più che da affinità ideologiche da interessi personali, legami etnici e di clan, sentimenti di amicizia o spirito di vendetta nei confronti di rivali. Inoltre un peso considerevole avrebbero anche le interferenze, con richiami ai valori comuni o erogazione di finanziamenti, da parte di Paesi interessati a influenzare le scelte di politica interna e estera dell‟Afghanistan Tali contrapposizioni sono all‟origine del conflitto tra il potere esecutivo e quello legislativo, che sta condizionando la vita politica del Paese impedendo o ritardando l‟attuazione di provvedimenti sempre più urgenti. Sono particolarmente seri, al riguardo, i contrasti tra la Wolesi Jirga e il governo, alimentati nello scorso anno dal rifiuto del Presidente di sostituire il Ministro degli esteri, Rangin Dadfar Spanta53; di abolire l‟Amministrazione indipendente per la lotta alla corruzione in quanto la sua attività interferirebbe con le attribuzioni del Ministero della Giustizia; nonché di sospendere i responsabili della provincia settentrionale di Baghlan accusati di negligenza per non aver impedito l‟attentato suicida del 6 novembre scorso che ha provocato 77 morti, tra i quali sei deputati della Wolesi Jirga54. Inoltre, lo scorso anno la Wolesi Jirga ha approvato un emendamento alla legge sulla composizione del Governo, che affida al Parlamento il controllo sulle Commissioni indipendenti. Secondo alcuni osservatori, l‟iniziativa mirerebbe principalmente a ridurre l‟autonomia della 52 Tra questi, Mohammad Mohaqqeq e Mohammad Karim Khalili (entrambi hazara) e Abdul Rasul Sayyaf (pashtun). Il 12 maggio 2007 la Wolesi Jirga aveva votato la sfiducia nei confronti del Ministro per non essere riuscito a impedire l‟espulsione in massa dall‟Iran dei profughi afghani residenti illegalmente nel Paese (iniziata il 21 aprile precedente). La Camera continua a insistere nella richiesta nonostante la Corte suprema abbia riconosciuto irregolarità nel voto di sfiducia. 54 In merito a quest‟ultima vicenda, è da rilevare che, il 26 novembre 2007, Yunis Qanuni ha abbandonato i lavori parlamentari, insieme a circa 80 deputati, minacciando di non riprenderli sino a quando il governo non avesse accolto le richieste della Wolesi Jirga. L‟iniziativa è stata criticata dagli altri parlamentari che, pur condividendone le motivazioni, l‟hanno giudicata inopportuna e dettata da ambizioni personali. Tuttavia, il giorno seguente, il Ministro degli interni, Zarar Ahmad Muqbil, ha ammesso negligenze e incuria da parte di funzionari dello Stato e ha promesso che i responsabili saranno sostituiti ed eventualmente perseguiti penalmente. 53 24 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Commissione indipendente per i diritti umani (AIHRC)55, presieduta da Sima Samar, che ha preso più volte posizione contro i responsabili di crimini di guerra. In merito, Abdul Rasul Sayyaf, presidente della Commissione affari esteri della Camera, ha sollecitato la presenza nella AIHRC di esponenti religiosi che possano orientarne l‟attività sulla base del rispetto dei principi della sharia. Di fatto, si vorrebbe condizionare l‟operato di Sima Simar, molto sensibile riguardo il problema dei diritti umani perché l‟etnia alla quale appartiene (hazara) è quella che ha subito le violenze più gravi, spesso assimilabili a operazioni di “pulizia etnica”. Agli inizi dello scorso mese di dicembre, la Wolesi Jirga ha presentato al Presidente la bozza di un piano di sicurezza nazionale che prevedeva il potenziamento dell‟ANA e della Polizia, una maggiore attenzione alle ipotesi di riconciliazione con gli elementi anti-governativi e il miglioramento della coordinazione tra le forze di sicurezza nazionali e quelle di ISAF/Coalizione internazionale. Al momento, tali raccomandazioni non hanno avuto ancora risposta. Le tensioni si sono ulteriormente acuite all‟inizio del 2008 con la convocazione, da parte della Wolesi Jirga, dei Ministri considerati responsabili del mancato intervento a favore delle popolazioni colpite dal freddo molto intenso che ha caratterizzato la stagione invernale e provocato oltre 1.000 morti. Alcuni hanno dovuto anche difendersi dalle accuse di non aver saputo contrastare il brusco incremento dei prezzi dei prodotti petroliferi e dei generi di prima necessità56. Le critiche più forti sono state mosse nei confronti dei titolari dei dicasteri della sanità, dell‟economia, del commercio, delle finanze, dell‟agricoltura e dello sviluppo urbano nonché al Presidente della Afghan National Disaster Management Authority. A seguito delle contestazioni al suo operato, il Ministro della sanità Sayed Muhammad Amin Fatimi ha presentate le dimissioni dall‟incarico (11 febbraio), non ancora accolte dal Presidente Karzai. Il risentimento della Wolesi Jirga nei confronti del governo è stato ribadito da Yunis Qanuni che già il 7 dicembre, denunciando l‟assenteismo dei deputati, lo aveva attribuito anche alla demotivazione provocata dalla mancata applicazione, da parte dell‟Esecutivo, delle leggi approvate dal Parlamento. Il 16 febbraio Qanuni ha stigmatizzato la mancata commemorazione dell‟anniversario del ritiro delle forze sovietiche dall‟Afghanistan, il 15 febbraio, chiesta con una risoluzione approvata dalla Camera bassa e disattesa da Karzai. Difficoltà si sono riscontrate anche nei rapporti tra Karzai e la Meshrano Jirga, o Senato, presieduta da Sibghatullah Mujaddidi, le cui iniziative hanno in più occasioni creato imbarazzi al Governo, soprattutto nei rapporti con gli alleati occidentali. In particolare, il 10 novembre 2007, Sibghatullah Mujaddidi ha criticato aspramente le forze inglesi che operano nella provincia di Helmand, accusandole di non voler portare la sicurezza nell‟area. La dichiarazione ha fatto seguito alla presentazione di un rapporto, a cura di un senatore locale, Abdullah Karezwal, che accusava i militari britannici di eseguire perquisizioni di abitazioni in maniera culturalmente irrispettosa, di bombardare villaggi e di uccidere civili, tra cui bambini. A giudizio di alcuni abitanti della 55 Afghan Independent Human Rights Commission. La Commissione, istituita con l‟articolo 58 della Costituzione e regolamentata con legge del maggio 2005, ha tra i propri mandati anche quello di investigare sui crimini commessi durante la guerra civile, ma le sue iniziative hanno ricevuto un sostegno molto limitato dalle altre istituzioni. In particolare, nel 2007 il Parlamento ha approvato una legge che garantisce una sostanziale impunità ai responsabili dei crimini di guerra. Per ulteriori approfondimenti si veda: http://www.aihrc.org.af/. 56 Dal mese di novembre 2007 il prezzo del pane è aumentato del 90%, con riflessi molto seri in un Paese in cui la metà della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno. (IRIN, 21 febbraio 2008) 25 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA provincia i militari inglesi conducono una guerra contro i pashtun per vendicarsi delle sconfitte subite durante il periodo coloniale. Nelle ultime settimane, il contenzioso tra Governo e Parlamento si è arricchito di nuovi elementi, relativi in particolare alla data delle prossime consultazioni presidenziali e politiche (previste rispettivamente per il 2009 e il 2010) e all‟approvazione della legge elettorale e della normativa attinente a struttura, compiti e responsabilità della Commissione elettorale indipendente afghana. Il Presidente sembra favorevole all‟accorpamento delle due consultazioni in un‟unica data (nel 2009 o nel 2010), anche per ridurre le spese e ottimizzare l‟impiego delle risorse tecniche e umane disponibili, ma la Wolesi Jirga ha votato il 13 febbraio scorso, sulla base di considerazioni di carattere legale e costituzionale, una risoluzione che chiede di tenere le elezioni in periodi diversi. Al momento la Meshrano Jirga non ha preso ancora una posizione al riguardo. Più complesso risulta il confronto sulla legge elettorale. Nel novembre 2007, il Governo aveva sottoposto all‟esame della Wolesi Jirga una poposta di legge in materia che sta avendo un iter travagliato. Infatti molti deputati, in particolare quelli legati al Fronte Nazionale Unito, chiedono l‟adozione del sistema proporzionale per liste di partito, al posto di quello vigente basato sul single non-transferable vote, che non assegna alcun ruolo ai partiti politici. Come soluzione di compromesso è stato anche proposto un sistema misto: maggioritario (40%) e proporzionale (60%). Il 9 marzo successivo, numerosi movimenti politici hanno organizzato a Kabul una manifestazione a sostegno di queste proposte, accusando il Governo di preferire l‟attuale sistema di voto per emarginare i partiti e impedire al parlamento di rafforzarsi. Un altro argomento di dibattito politico, e sul quale si riscontrano divisioni trasversali ai due schieramenti, è quello relativo all‟opportunità di aprire un negoziato con i gruppi eversivi per avviare un vero processo di pacificazione del Paese. L‟invito rivolto dal Presidente Karzai ai vertici del movimento taliban e del partito di Gulbuddin Hekmatyar a prendere parte alle trattative e la sua disponibilità ad accoglierli nel governo hanno disorientato sia le forze politiche afghane e i Governi dei Paesi alleati che i potenziali interlocutori. Ne è conferma la contraddittoria reazione dei dirigenti taliban. Inizialmente, infatti, il portavoce del movimento aveva manifestato una certa apertura ma poco dopo ha posto pre-condizioni che il Governo di Kabul non può accettare: ritiro delle forze straniere dal Paese e accordo di massima per una riforma istituzionale che parta dall‟abrogazione dell‟attuale Costituzione57. Pur appoggiando l‟iniziativa del Presidente, l‟Amministrazione USA ha tenuto a ribadire che nessun accordo sarà possibile con gli elementi dell‟ala dura, legati ad al-Qaida. L‟eventualità di un negoziato di pace ha allarmato molti esponenti delle etnie minoritarie, in particolare di quella tagika, preoccupati sia per il rischio di un ritorno al potere di esponenti taliban sia per le prospettive di un rafforzamento elettorale del Presidente, che potrebbe raccogliere il voto dei settori della popolazione pashtun più vicini al movimento del mullah Omar. La disponibilità di Karzai non ha portato a risultati importanti anche per la difficoltà di individuare all‟interno del movimento taliban, che non è più una struttura omogenea, figure di 57 Il ritiro delle forze straniere quale condizione per l‟avvio di una collaborazione con il governo è stato ribadito anche dal mullah Berader, membro della rahbari shura taliban, in un intervista a un sito web jahdista. (Reuters, 2 marzo 2008) 26 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA primo piano, dotate di largo seguito tra i miliziani e disposte a dissociarsi dal mullah Omar. L‟attuale contesto di sicurezza vede i gruppi eversivi all‟offensiva su gran parte del territorio nazionale58. I vertici taliban e del partito diretto da Hekmatyar non hanno pertanto molto interesse a partecipare a trattative di pace a meno che queste non preludano ad una resa da parte del Governo. Merita attenzione, al riguardo, la posizione del deputato della Wolesi Jirga per la provincia di Zabul ed ex comandante taliban, mullah Abdul Salam Rakiti. Questi ha dichiarato che solo i negoziati possono portare la pace e la stabilità, ma ha aggiunto che il Governo non dovrebbe accettare pre-condizioni, soprattutto quella relativa al ritiro delle forze straniere; se ciò accadesse, il Paese potrebbe nuovamente precipitare nella guerra civile. Le unità straniere dovrebbero rimanere in Afghanistan sino a quando le forze di sicurezza nazionali non saranno in grado di assolvere ai compiti istituzionali loro assegnati59. Non appare casuale, in tale quadro, il passaggio ai giornali, alla fine dello scorso mese di settembre, del testo della costituzione dell‟emirato islamico dell‟Afghanistan, approvata dalla rahbari shura nel 2005. Il documento, di 23 pagine divise in 10 capitoli, contiene 110 articoli. Tra gli aspetti principali: le donne hanno diritto all‟istruzione, ma solo entro i limiti della sharia; sono ignorati i diritti umani quando sono contrari all‟Islam; il jihad è un dovere di tutti i musulmani e ogni altra costituzione è priva di valore. La diffusione del documento e il suo contenuto sembrano indicare che i vertici taliban non hanno abbandonato l‟obiettivo della restaurazione di un regime fondamentalista islamico in Afghanistan e cercheranno di raggiungere questo obiettivo sia con la lotta armata sia con il negoziato. Per contro, si sono avute conferme dell‟interesse nei confronti dell‟appello del Governo, da parte di gruppi di miliziani e di alcuni comandanti di livello medio-basso attivi nelle province meridionali e appartenenti alle tribù locali. Tale interesse nascerebbe dalla stanchezza per i molti anni di guerra e dal desiderio di tornare liberamente dalle famiglie e di potersi reinserire nella vita sociale. In merito è da rilevare che il successo dell‟operazione che ha portato in pochi giorni alla conquista di Musa Qala60 è dovuto in gran parte anche alla decisione di un importante leader tribale, Abdul Salaam, di dissociarsi dal movimento del mullah Omar accogliendo l‟invito e le “offerte” dei comandi britannici e delle autorità di Kabul, che dopo il ritiro delle milizie dall‟area lo hanno nominato governatore del distretto. Tali dinamiche vanno seguite con attenzione e sostenute con incentivi adeguati perché, anche se non possono portare in tempi rapidi alla fine del conflitto, possono minare la compattezza dei gruppi eversivi, indebolire le loro capacità operative e privarli gradualmente del sostegno della popolazione locale. In tal modo si creerebbero le condizioni per provocare fratture all‟interno dei vertici, dove gli esponenti più moderati potrebbero decidere di rinunciare alla lotta armata e troncare ogni legame con la rete di Osama bin Laden accettando le offerte di pace del Governo e impegnandosi a rispettare la nuova Costituzione afghana. 58 Si veda il cap. 4, pag. 22. Toronto Star, 19 settembre 2007. 60 Il distretto di Musa Qala, nella provincia meridionale di Helmand, era stato occupato nel febbraio 2007 dai taliban che in tal modo hanno violato un accordo concluso con le forze britanniche e gli anziani locali. È stato riconquistato dalle forze afghane e da quelle di ISAF/Enduring Freedom il 10 dicembre successivo. 59 27 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Sulle modalità e le condizioni delle trattative con i taliban sono emersi seri contrasti tra il Presidente Karzai e i Paesi occidentali, evidenziati dall‟espulsione dall‟Afghanistan, alla fine del dicembre 2007, di due importanti diplomatici europei: Michael Semple, facente funzioni del Rappresentante speciale della UE, e Merwin Patterson, alto funzionario di UNAMA. Essi sono stati accusati di aver avuto contatti con esponenti taliban della provincia di Helmand, d‟accordo con gli organismi da cui dipendevano e con il Comando del contingente britannico ivi schierato ma senza informare preventivamente il governatore provinciale, Asadullah Wafa, e Kabul. Secondo varie fonti sarebbero stati proprio i contatti avviati dai due diplomatici che hanno portato al cambiamento di posizione da parte di Abdul Salaam. Inoltre essi avrebbero discusso la possibilità di impiegare i miliziani dissociatisi dall‟ala dura del movimento del mullah Omar nella difesa dei loro villaggi. La reazione di Karzai è da attribuire anche al malessere delle autorità di Kabul per il diffondersi di voci, spesso considerate attendibili, su comportamenti spregiudicati dell‟intelligence britannica che avrebbe avviato trattative con esponenti taliban offrendo grosse somme di denaro in cambio della rinuncia alla lotta armata. Secondo i dirigenti afghani, tali iniziative indeboliscono l‟autorità del Governo e ne delegittimano l‟azione, quindi lo danneggiano, anche se ufficialmente mirano ad aiutarlo. I pagamenti di grosse somme di denaro possono portare benefici provvisori, riducendo temporaneamente la conflittualità in una zona, ma non garantiscono una stabilità di lungo periodo. L‟episodio ha avuto riflessi negativi sui rapporti tra Kabul e Londra facendo venire alla luce la presenza, tra la classe politica e la popolazione afghane, di diffusi sentimenti anti-britannici riconducibili alle passate vicende coloniali. Ne sono stata ulteriore conferma il rifiuto di Karzai ad accettare la nomina di Lord Ashdown a inviato speciale del Segretario generale dell‟ONU con poteri molto più ampi di quelli previsti in precedenza per tale incarico, e le dichiarazioni rilasciate dal leader afghano nel corso della Conferenza di Davos, il 24 gennaio, fortemente critiche nei confronti delle forze britanniche impegnate nella provincia di Helmand. Per quanto riguarda la nomina di Lord Ashdown, come ammesso anche da ambienti del Ministero degli esteri di Kabul, il rifiuto non è nato dalla mancanza di fiducia nella sua persona o nelle sue capacità ma dal timore che con i suoi poteri egli potesse offuscare il ruolo del Presidente delegittimandolo di fronte al popolo afghano, peraltro sempre diffidente nei confronti dell‟ex potenza coloniale. Le critiche all‟operato delle forze britanniche sono apparse ingenerose perché attribuiscono a esse la recrudescenza dell‟attività dei taliban nella provincia, ignorando le gravi perdite subite e dimenticando che il fenomeno interessa tutta la regione meridionale del Paese. Karzai inoltre rimprovera britannici e statunitensi di averlo “costretto” a destituire, nel dicembre 2005, il governatore della provincia, Sher Mohammad Akhundzada, che sino ad allora era riuscito a tenere sotto controllo la situazione di sicurezza. Di fatto, tuttavia, gli unici meriti di Akhundzada, di cui è noto il coinvolgimento nel narcotraffico61, sembrano essere i rapporti di amicizia che lo legano a Karzai e a suo fratello Ahmed Wali, di cui ha sposato una cognata. 61 Nel 2005, agenti della DEA e delle unità antidroga afghane hanno trovato nove tonnellate di oppio negli uffici di Sher Moahammad Akhundzada. International Herald Tribune, 15 maggio 2007. 28 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA La crisi nei rapporti bilaterali è stata gestita con grande cautela da Londra, che ha evitato di alzare i toni della polemica adoperandosi per un chiarimento. Per contro, la stampa britannica si è lasciata andare a reazioni molto pesanti accusando Karzai di cedimento ai gruppi di pressione pashtun (narcotrafficanti, esponenti tribali e warlord) dal cui sostegno egli dipende sempre più dopo aver perso l‟appoggio dell‟Alleanza del Nord62. Pochi di essi hanno serie credenziali in materia di governance. La loro influenza toglie credibilità all‟impegno del Presidente di combattere la corruzione e avvelena i suoi rapporti con la Coalizione. Un articolo apparso sul sito on line di Financial Times63 riferisce che alcuni lo descrivono come un brillante comunicatore ma come un amministratore meno che abile. Altri sottolineano che egli è stressato dall‟eccessivo carico di lavoro anche perché non ha mai preso un periodo di riposo. Inoltre è caotico nella sua attività e non dispone di collaboratori in grado di consigliarlo per il meglio. Egli cercherebbe di affermare la propria indipendenza dai suoi paymaster occidentali per l‟approssimarsi delle elezioni, nel tentativo di riguadagnare il rispetto dell‟elettorato64. Molto negativi sono stati anche alcuni articoli apparsi sui mass media statunitensi. In particolare, una giornalista con una profonda conoscenza delle problematiche afghane, Anne Marlowe, scrive che gli USA si illudono che Karzai sia un buon Presidente e che si preoccupi di tutelare gli interessi statunitensi, ma ciò è falso. Karzai agisce sotto la spinta del panico, in un clima di diffusa corruzione e senza una visione. Egli rischia di far fallire gli sforzi per costruire la democrazia e creare una società civile schierandosi ripetutamente con i fondamentalisti contro i progressisti. È un‟illusione che Karzai sia un baluardo contro i taliban e i conflitti militari. È più probabile l‟opposto. Egli ha combattuto contro i taliban solo per un mese. La sua principale preoccupazione è quella di vincere le prossime elezioni e pertanto si appoggia ai peggiori alleati tra i pashtun. È per questo che ha proposto l‟avvio di negoziati con il mullah Omar e con Gulbuddin Hekmatyar65. In generale, stanno aumentando i dubbi sulla capacità di Karzai di interpretare i sentimenti e le aspirazioni di tutta la popolazione afghana, non solo di quella pashtun, e di avviare concretamente la ricostruzione morale ed economica del Paese. Sinora la sua azione è stata condizionata da eccessivi tatticismi che gli hanno consentito di superare momenti di difficoltà ma non di eliminare le cause che li avevano generati. In più occasioni egli ha affidato incarichi a personalità molto discusse, ma influenti in ambito locale, per ottenere il loro appoggio o indebolire i potenziali avversari. Con tale politica egli ha garantito momentaneamente la stabilità evitando un inasprimento delle situazioni di conflitto ma ha impedito il consolidamento delle istituzioni e l‟affermarsi del principio di legalità. Egli è ancora un Presidente dotato di poteri assai limitati, incapace di allontanare i corrotti che stanno portando alla rovina l‟Afghanistan e costretto a subire i ricatti di 62 The Guardian, 29 gennaio 2008. FT.COM, 29 gennaio 2008. 64 Da parte sua, Lord Ashdown ha dichiarato che il veto alla sua nomina è dovuto a ragioni di politica interna e in particolare alla volontà di Karzai di essere riconfermato alla Presidenza. Il leader afghano, distanziandosi da UK e USA, cerca il consenso della popolazione pashtun. Lord Ashdown ha aggiunto che, attualmente, la maggioranza della popolazione è favorevole alla presenza di truppe straniere ma “that majority is sliding and once that graph begins to dip it is very, very difficult to turn around”. 65 The Washington Post, 11 febbraio 2008. 63 29 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA personalità che da tempo avrebbero dovuto essere deferite a una Corte di giustizia per crimini di guerra. L‟indebolimento del ruolo di Karzai potrebbe rappresentare una minaccia per il futuro dell‟Afghanistan e sta preoccupando anche i suoi sostenitori, sia all‟interno che all‟estero. Alcuni si chiedono se sia opportuna una sua conferma nell‟incarico, alla sua scadenza nel 2009, o se non sia preferibile cercare un altro candidato alla massima carica dello Stato. Come già successo altre volte in passato, quando in occasione di periodi di difficoltà di Karzai sono emerse ipotesi fantasiose quali quella di sue dimissioni e di una sostituzione con l‟ex Ministro dell‟interno Ali Ahmad Jalali, anche in queste settimane sono circolate voci su possibili aspiranti alla presidenza. Una, ripresa in più occasioni dalla stampa USA, considera possibile la candidatura di Zalmay Khalilzad 66, che potrebbe rinunciare alla cittadinanza statunitense per concorrere all‟incarico. Tale eventualità, peraltro smentita dall‟interessato, non tiene conto della crescente insofferenza della popolazione di fronte a ogni influenza, vera o presunta, dei Paesi stranieri67. È proprio perché conosce lo stato d‟animo dei suoi compatrioti che Karzai ha incominciato a prendere le distanze dai suoi “protettori” per non compromettere le sue possibilità di successo alle prossime elezioni, alle quali appare determinato a partecipare. Nonostante i limiti della sua azione politica e la carenza di progettualità più volte dimostrata egli è tuttora una delle poche personalità in grado di tenere unito il Paese evitando che le tensioni etniche, sociali e politiche portino a una situazione di conflittualità suscettibile di destabilizzare tutta le regione. Per i prossimi mesi è da aspettarsi un‟intensificazione dell‟attività di partiti e coalizioni che cercheranno di mettere a punto strutture e programmi in vista delle consultazioni presidenziali e politiche. Al momento permane l‟incertezza sulla possibilità del Fronte Nazionale Unito di diventare una forza politica coesa, in grado di aspirare alla guida del Paese. Sinora il Fronte ha tenuto un atteggiamento di basso profilo, mostrando mancanza di progettualità politica, a causa sia della difficoltà di definire un piano di azione comune tra le differenti componenti sia dei contrasti tra i vari esponenti. Sull‟azione del Fronte peserà, almeno nel breve periodo, anche la scomparsa del suo portavoce, Kazimi deceduto nell‟attentato suicida a Baghlan del 6 novembre 200768. Considerato una personalità di grande equilibrio, era tra i pochi capace di mediare tra le opposte posizioni evitando che i contrasti interni potessero portare a rotture insanabili. Se entro breve tempo non sarà in grado di esprimere una linea unitaria e di presentare un programma credibile, la nuova coalizione perderà la sua capacità propositiva e si rivelerà, nei fatti, solo un tentativo attuato da personalità di estrazione e ispirazione diversa di costituire un gruppo di pressione in grado di negoziare posizioni di potere con il Presidente Karzai. La situazione appare in movimento e agli inizi di marzo si è avuto notizia della decisione di alcune formazioni politiche minori di aderire al 66 Rappresentante degli USA all‟ONU, Zalmay Khalilzad, di origine afghana, è stato Ambasciatore a Kabul, dove era definito il “Presidente ombra” dell‟Afghanistan. 67 È interessante rilevare al riguardo quanto ha scritto di recente il quotidiano governativo Anis, che accusa Karzai di agire sotto l‟influenza degli stranieri e chiede alla NATO e agli USA di fissare una data per il ritiro delle proprie truppe dall‟Afghanistan. Il giornale definisce l‟attuale Governo un protettorato e sottolinea che la nazione deve discutere il problema della propria sovranità con gli stranieri, prima delle elezioni presidenziali. 68 È stato sostituito da Sayed Fazil Sancharaki, ex Vice Ministro dell‟informazione. 30 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Fronte, che avrebbe quindi rafforzato la propria capacità di aggregazione e starebbe per inglobare anche altri movimenti politici. Il processo di definizione di nuovi e più stabili equilibri di potere è ancora molto lontano dalla conclusione e rimane soggetto a condizionamenti, sia interni che esterni, che potrebbero rallentarne il cammino. Tuttavia, anche se separate da odi radicati nel tempo e acuiti dalla diversa appartenenza a etnie, tribù e clan, le varie fazioni politiche sembrano impegnate a conseguire i propri obiettivi con gli strumenti della democrazia, rinunciando al ricorso alle armi che era stata una caratteristica della lotta per il potere fino al recente passato. Per alcuni, tale rinuncia non sembra frutto di un profondo convincimento ma una scelta di necessità, vista la presenza nel Paese dei contingenti internazionali. In ogni caso, si tratta di un passo importante verso la stabilizzazione del Paese. 31 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 5. La situazione economica e sociale: significativi progressi e gravi ritardi L‟economia afghana è ancora fortemente dipendente dagli aiuti internazionali ed è seriamente distorta dalla quota assai rilevante dei redditi provenienti da attività illegali connesse con la produzione e il traffico di sostanze stupefacenti, nonché con il contrabbando di merci in duty free provenienti dal Pakistan e dall‟Iran. Ciononostante, nei settori “ufficiali” sono stati registrati progressi considerevoli, anche se nell‟anno fiscale 2006, che è terminato il 20 marzo 2007, la crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) è rallentata attestandosi all‟8% a fronte del 14% del 2005, a causa soprattutto della siccità che ha colpito l‟agricoltura. Per contro, negli ultimi anni il tasso di inflazione e il rapporto di cambio della moneta nazionale (afghani) sono rimasti sostanzialmente stabili. Tali progressi hanno spinto il Fondo monetario internazionale e l‟Associazione per lo sviluppo internazionale della Banca mondiale a ritenere, il 9 luglio 2007, che l‟Afghanistan abbia soddisfatto le condizioni per godere dei benefici previsti dalla Heavily Indebited Poor Countries Iniziative. Nel successivo mese di agosto, la Russia ha annullato il 90% del debito, pari a 11,3 miliardi di dollari, maturato dall‟Afghanistan con l‟ex URSS, eliminando in tal modo gli ostacoli che condizionavano i programmi di assistenza di Mosca a Kabul. Nel corso dell‟anno sono anche continuati gli sforzi del governo e della comunità internazionale per rafforzare il ruolo dei privati nell‟economia. Dal 6 al 7 giugno si è svolta a Kabul la Enabling Environment Conference, durante la quale dirigenti afghani, rappresentanti dei Paesi donatori, personalità del mondo economico e della società civile hanno concordato un piano di misure finalizzate allo sviluppo del settore privato. Per l‟attuale anno fiscale 2007 la crescita dovrebbe essere stata pari a circa il 13,5%, grazie soprattutto alla ripersa dell‟agricoltura che ha approfittato delle favorevoli condizioni meteorologiche. La raccolta del grano ha raggiunto infatti livelli record, con 4,5 milioni di tonnellate, pari al 92% del fabbisogno nazionale. Ugualmente positiva è la tendenza riscontrata nel settore della frutta, con un aumento delle esportazioni di alcuni prodotti tradizionali, quali i melograni, verso i Paesi vicini e quelli del Golfo. Secondo le stime, l‟inflazione dovrebbe rimanere ferma al 5%. Anche nel 2008 si dovrebbero registrare risultati analoghi. I successi conseguiti dall‟Afghanistan riguardano principalmente il settore macro-economico e sono dovuti soprattutto all‟impegno dei Paesi donatori che hanno cercato di assistere le nuove istituzioni nella ricostruzione di tutte le strutture economiche, distrutte da quasi tre decenni di guerre. Nel 2003, Kabul, grazie all‟importante aiuto di Giappone, Regno Unito, Svezia, Norvegia e Italia, è stata in grado di ripianare i suoi debiti con la Banca mondiale. Altri fondi, erogati dall‟Afghanistan Reconstruction Trust Fund (ARTF), in cui vengono convogliati i finanziamenti dei Paesi donatori e che è gestito dalla Banca mondiale, hanno consentito di azzerare i debiti residui permettendo al Paese di poter accedere a nuovi prestiti. Nel tempo, l‟ARTF è diventato uno degli 32 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA strumenti principali per finanziare le spese di bilancio e i progetti di investimento; sinora ha speso circa 1,37 miliardi di dollari, forniti da 24 Paesi69. Le iniziative del Governo per lo sviluppo e la ricostruzione si realizzano mediante organismi specifici, che si avvalgono di finanziamenti e competenze tecniche messi a disposizione dalla comunità internazionale. Tra i più importanti figurano il National Solidarity Program (NSP) e il National Emergency Employment Program (NEEP). Il primo si propone di migliorare la rete infrastrutturale a livello locale e ha finanziato oltre 16.000 progetti in circa 11.000 villaggi, relativi in particolare alla costruzione di strade, sistemi di irrigazione, pozzi per l‟acqua e linee elettriche. Sono progetti di grande importanza per lo sviluppo dell‟economia rurale, che danno lavoro a circa l‟80% della popolazione, e la stabilizzazione del Paese. Il secondo programma è finalizzato all‟incremento dell‟occupazione, che rimane tuttora uno dei settori in cui la crisi è più acuta. In materia, è stato costituito anche l‟Afghanistan Microfinance Support for Poverty Reduction Project che sinora ha distribuito prestiti a 325.000 persone, di cui il 70% donne, in 22 province. Uno dei principali settori in rapida crescita è quello bancario che evidenzia un elevato livello di competizione, anche se svolge ancora un ruolo marginale: i suoi assetti sono pari a meno del 9% del PIL. Una situazione analoga si registra per quanto attiene alle entrate di bilancio, che hanno subito un forte incremento (oltre il 500% rispetto al 2003), ma sono tuttora molto basse e del tutto inadeguate a coprire le spese. Tuttavia, la razionalizzazione e l‟ammodernamento del sistema di riscossione di tasse e imposte, che ha visto tra l‟altro l‟introduzione dell‟Automated System for Customs Data, dovrebbero consentire un miglioramento della capacità di autofinanziamento dello Stato. Peraltro, risultati significativi si potranno acquisire solo dopo una profonda riforma della burocrazia, che attualmente occupa l‟1,3% della popolazione. Oltre che da carenze organiche, bassi salari e inadeguatezza della normativa e degli strumenti tecnici, il settore del pubblico impiego è caratterizzato anche da una grave mancanza di motivazione e professionalità, che favorisce la diffusione della corruzione e ritarda la realizzazione di ogni progetto Né l‟assistenza tecnica e finanziaria dei Paesi donatori e degli Istituti di credito internazionale, né le riforme strutturali adottate dal Governo sono riuscite sinora a creare le condizioni per una crescita sostenuta, l‟aumento dell‟occupazione e la riduzione della povertà. La situazione è resa ancora più grave dal livello di arretratezza in cui è caduto il Paese a causa degli eventi bellici, che hanno provocato anche gravi squilibri sociali. La situazione afghana può essere rappresentata con alcuni dati di base: - solo il 13% delle abitazioni dispone di acqua potabile, il 12% è collegato a un sistema fognario e il 6% alla rete elettrica; - il 34-42% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e, nonostante l‟aumento della produzione agricola, il rischio della denutrizione rimane concreto70; 69 World Bank - Afghanistan Country Overview 2006. 33 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA - l‟aspettativa di vita è 43,77 anni, rispetto a 59 negli altri Paesi a basso reddito71; - il 44,6% degli abitanti è di età inferiore a 14 anni mentre solo il 2,4% ha più di 65 anni; - la mortalità infantile è pari a 135 per 1.000 nati vivi, la più alta al mondo, così come il tasso di mortalità delle donne durante il parto; - il tasso di alfabetizzazione è pari al 28,1% (43,1% per gli uomini e 12,6% per le donne), anche se la situazione sta rapidamente migliorando; - l‟agricoltura concorre alla formazione del PIL per il 38% mentre l‟industria per il 24% e i servizi per il 38%; - il PIL pro-capite annuo è pari a 306 dollari USA; - il tasso di disoccupazione è superiore al 40%. Molti sono i sottooccupati o i lavoratori stagionali. Un rapporto diffuso il 18 novembre 2007 ed elaborato dal Centre for Policy and Human Development dell‟Università di Kabul con l‟aiuto dell‟UNDP colloca l‟Afghanistan al quint‟ultimo posto, in un elenco di 178 Paesi, di una graduatoria basata sui livelli di istruzione, durata della vita e sviluppo economico. È seguito solo da Niger (in ultima posizione), Sierra Leone, Mali e Burkina Faso. La maggior parte degli interventi di ricostruzione è stata eseguita nei principali centri urbani, sulla base di scelte dettate dalla disponibilità di mezzi/risorse e non dalle necessità. Le comunità locali non hanno visto miglioramenti significativi anche per la mancanza di organi decisionali a livello distrettuale, in quanto quelli elettivi non sono stati ancora nominati e le shura/jirga sono prive di cornice giuridica che affidi loro un ruolo effettivo e competenze specifiche. Lo stato di grave arretratezza di molte aree periferiche è emerso con grande evidenza in occasione della recente ondata di freddo quando la popolazione, anche a causa del fortissimo ritardi nei soccorsi, si è trovata del tutto impreparata ad affrontare l‟emergenza. In alcune aree, è stata costretta a cibarsi di erba e di vegetali normalmente usati per l‟alimentazione degli animali72. Anche a Kabul, dove sono più evidenti i segnali di sviluppo e persino del lusso proveniente per lo più dal narcotraffico, la maggioranza della popolazione vive in condizioni di grande precarietà, soprattutto per la gravissima carenza di alloggi e l‟inadeguatezza dei servizi. Solo pochi possono permettersi di pagare affitti di 200-400 dollari al mese nelle aree residenziali e anche di 7.000 dollari nei quartieri di Wazir Akhbar Khan e Shar-e-Now73, dove risiede la gran parte degli operatori internazionali. 70 Al momento, circa 1,4 milioni di persone che vivono nelle aree rurali e altrettante residenti in quelle urbane sono in una condizione di “high-risk food insecurity”. (IRIN, 21 febbraio 2008) 71 Il 22 febbraio scorso, il Ministro della sanità ha riferito che l‟aspettativa di vita è ora di 45 anni ma tale dato non è stato ancora recepito dagli organismi internazionali. 72 IRIN, 10 marzo 2008. 73 World Politic Review, 20 ottobre 2007. 34 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA La povertà che affligge molte aree del Paese sta abbassando, nelle zone più arretrate, l‟età media in cui le ragazze contraggono matrimonio poiché le famiglie ottengono dal promesso sposo una somma che può essere pari al reddito familiare di un anno. Secondo una ricerca dell‟UNICEF, il 16% delle ragazze si sposa prima di raggiungere i 15 anni e alcune anche a tre anni; talvolta i matrimoni sono combinati prima ancora della nascita74. La differenza di età influisce negativamente sui rapporti della coppia e il marito spesso prende una seconda moglie, con situazioni di soprusi e violenze ben descritte da una vasta letteratura75. Il permanere di elevati livelli di povertà è dovuto principalmente al mancato sviluppo dell‟imprenditoria privata, che potrebbe svolgere un ruolo essenziale per il rilancio delle attività produttive. Prima dell‟invasione sovietica il settore privato era molto vitale, con una lunga tradizione di imprenditorialità, attivo principalmente nell‟agricoltura, nell‟industria leggera e nel commercio. Durante il periodo comunista molte industrie vennero nazionalizzate mentre una parte di quelle manifatturiere, in particolare le fabbriche di tappeti, si trasferì nei Paesi vicini. Di conseguenza si registrò un forte calo della produzione, aggravatosi durante gli anni della guerra civile e dopo l‟avvento al potere dei taliban. Attualmente l‟attività del settore privato è concentrata soprattutto nelle costruzioni e nei servizi (commercio, trasporti e, più recentemente, telecomunicazioni e banche), in crescita grazie all‟afflusso dei finanziamenti stranieri e dei proventi del narcotraffico. È da rilevare, al riguardo, lo sviluppo dei settori del trasporto aereo, con la creazione di tre compagnie aeree private (Kam Air, Safi Airways e Pamir Airways), e della telefonia mobile, in cui si confrontano cinque operatori, con la compagnia Roshan che controlla il 50% del mercato76. L‟industria manifatturiera è basata principalmente sulla produzione di tappeti e di frutta secca e, in maniera minore, sulla fabbricazione di tessuti e la lavorazione di pietre semipreziose, marmi e pelli. Generalmente, gli impianti sono di piccola dimensione. Gli ostacoli allo sviluppo dell‟industria privata sono rappresentati dalla precarietà della situazione di sicurezza, dalla mancanza di infrastrutture adeguate, dalla inadeguatezza dei servizi (in particolare energia elettrica e acqua), dalla difficoltà di accesso ai finanziamenti e ai mercati e dalla corruzione77. La produzione di tappeti potrebbe avere un forte rilancio grazie all‟assistenza che esperti statunitensi stanno fornendo sugli strumenti di penetrazione nei mercati stranieri, quali normative, catene commerciali, gusti dei clienti. Lo scorso anno l‟Afghanistan ha prodotto 2 milioni di metri quadrati di tappeti ma il 90% è stato venduto all‟estero come “prodotto pakistano”. Lo scorso anno, le entrate dello Stato provenienti dal settore sono state pari a 50 milioni di dollari ma in futuro potrebbero salire a 4 miliardi78. Notevoli speranze sono riposte anche sullo sviluppo del settore minerario, sino ad ora poco sfruttato. Le riserve accertate di gas (concentrate soprattutto nelle province settentrionali di Jawzjan 74 Legalmente, l‟età minima per contrarre matrimonio è di 16 anni per le ragazze e di 18 anni per i ragazzi. In particolare il romanzo Mille splendidi soli di Khaled Hosseini. 76 Le altre società sono Afghanistan Wireless Communications Company, Areeba, Afghanistan Telecom Company e Etisalat. I telefoni cellulari in uso sono oltre 2,5 milioni. 77 Dati informativi tratti in gran parte da Afghanistan, Outlook 2007 della Asian Development Bank. 78 Pajhwok, 7 maggio 2007. 75 35 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA e di Faryab) sono pari a 120 miliardi di metri cubi mentre quelle stimate raggiungerebbero i mille miliardi di metri cubi. Sino al 1988 ne venivano estratti 3 miliardi di metri cubi l‟anno, esportati nell‟ex Unione Sovietica attraverso un gasdotto che conduceva a Dushanbe, nel Tagikistan. Nel 2004 un consorzio guidato dalla società francese Sofregaz ha effettuato una ricerca sulle potenzialità dei giacimenti di gas afghani e ha avanzato proposte operative che non si sono ancora tradotte in iniziative concrete. Elevate sarebbero anche le riserve di ferro, petrolio (300 milioni di tonnellate) e carbone. Inoltre sono presenti, in quantità non calcolate ma spesso ritenute consistenti, zinco, piombo, argento, oro, marmo e pietre preziose. In questo contesto, riveste grande interesse il coinvolgimento della società cinese China Metallurgical Group nello sfruttamento della miniera di rame di Aynak nella provincia di Lowgar, con una potenzialità di 13 milioni di tonnellate. Il progetto prevede investimenti per 3 miliardi di dollari e dovrebbe assicurare al Governo di Kabul entrate per 400 milioni di dollari annui. Una volta a pieno regime, darà lavoro, compreso l‟indotto, a circa 10.000 persone. Il China Metallurgical Group costruirà una centrale elettrica, alimentata a carbone, con una potenza di 400 MW; la metà di essa sarà utilizzata per il funzionamento della miniera e l‟altra per fornire energia alle province di Lowgar e di Kabul. Sarà anche costruita una linea ferroviaria tra il porto fluviale di Hairaton, nel nord del Paese, e la città di Torkham, al confine con il Pakistan. Tuttavia, la possibilità di concretizzazione del progetto dipende molto dall‟evoluzione della situazione di sicurezza, che sinora ha ostacolato l‟afflusso di investimenti stranieri nel Paese. Questi, infatti, nel 2007 sono diminuiti del 50% rispetto al 2006, scendendo da un miliardo di dollari a 500 milioni (erano stati 570 milioni nel 2005). Si prevede, tuttavia, un forte aumento nel 2008 proprio per l‟avvio dei lavori di sfruttamento della miniera di Aynak. Sta subendo invece ritardi il piano per la costruzione di un gasdotto, lungo 1.680 km e con una potenzialità di 30 miliardi di metri cubi l‟anno, che deve collegare i giacimenti turkmeni di Daulatabad al Pakistan attraverso l‟Afghanistan (TAP). Al progetto potrebbe essere associata anche l‟India. I primi studi sono stati fatti nella metà degli anni ‟90 dalla compagnia petrolifera USA UNOCAL, ma sono stati abbandonati nel periodo successivo anche perché l‟isolamento internazionale del regime taliban escludeva la possibilità di finanziamenti esteri. Il piano è stato ripreso nel 2002 dal Governo Karzai, che vede nell‟opera uno strumento per soddisfare le sue esigenze energetiche e ricavare entrate mediante i diritti di transito, stimati in 150 milioni di dollari l‟anno. Sono stati organizzati numerosi incontri tra i dirigenti dei Paesi interessati, che hanno ribadito in più occasioni il loro impegno a realizzare la condotta nonostante i problemi di sicurezza che essa comportava e le difficoltà connesse con la natura accidentata del terreno. Tuttavia, in seguito il Governo turkmeno è apparso maggiormente interessato ad altri progetti, meno rischiosi e più remunerativi, quali i gasdotti verso la Cina, con una capacità di 30 miliardi di metri cubi di gas l‟anno, e verso l‟Europa passando lungo la costa settentrionale del Mar Caspio (20 miliardi di metri cubi di gas annui). Inoltre, il 1° dicembre 2007 ha firmato un accordo con la società russa GAZPROM per la fornitura di 50 miliardi di meri cubi di gas all‟anno, al prezzo di 36 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 130 dollari per 1.000 metri cubi nel 2008 e 150 dollari per 1.000 metri cubi nel 200979. Peraltro, di recente si avuta notizia che il 22-23 aprile prossimo si svolgerà a Islamabad una riunione, promossa dalla Asian Development Bank, per rilanciare il progetto relativo alla costruzione del gasdotto. In questa occasione la delegazione turkmena dovrebbe presentare una certificazione, da parte di una agenzia indipendente, sull‟entità delle riserve dei giacimenti di Daulatabad. La povertà ha un diretto impatto sulla situazione di sicurezza in quanto crea opportunità di arruolamento per i taliban e i sodalizi criminali, soprattutto quelli dediti al narcotraffico. Questi offrono ai giovani privi di lavoro e senza risorse per mantenere le famiglie guadagni superiori di gran lunga a quelli dei dipendenti pubblici. Le altre alternative sono l‟attesa umiliante di un lavoro occasionale, insicuro e sfruttato, o l‟emigrazione nei Paesi vicini, dove però gli afghani sono trattati spesso come cittadini di terza classe. Gravi difficoltà stanno incontrando i profughi tornati dall‟Iran e dal Pakistan con la promessa di un‟occupazione e di un alloggio. Essi non hanno ricevuto né l‟una né l‟altro e sono costretti generalmente a vivere in condizioni di povertà peggiori di quelle esistenti nei campi profughi in cui hanno vissuto per anni. Non è da meravigliarsi, pertanto, se durante il periodo del raccolto dell‟oppio, migliaia di persone affluiscano nelle province dove i livelli di coltivazione del papavero sono più elevati, spinte dalla possibilità di guadagnare in poco tempo il necessario per alcuni mesi. Infatti, ognuno di essi può ricavare dal lavoro nei campi, per un turno di 15 giorni, anche 10.00012.000 afghani (200-240 dollari), cifra rilevante se si considera che il salario giornaliero, per un operaio, è pari a 1-3 dollari. Inoltre, molti lavorano per due o tre turni, spostandosi da un‟area all‟altra, guadagnando fino a 600 dollari. 79 Le riserve di gas turkmene ammonterebbero a 2,9 trilioni di metri cubi. 37 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 6. Istruzione, sanità e corruzione: successi e sconfitte del Governo 6.1. Istruzione Nel settore dell‟istruzione si rilevano i progressi più incoraggianti del processo di ricostruzione dell‟Afghanistan. Confermando una tendenza in atto dalla caduta del regime taliban, nell‟attuale anno scolastico gli studenti iscritti sono saliti a circa sei milioni, dei quali 2.170.000 sono ragazze. Inoltre dal 2002 sono state aperte 3.500 nuove scuole. Accanto a questi risultati molto positivi emergono tuttavia difficoltà e carenze che riguardano tutti i settori dell‟attività scolastica e che derivano sia dalla inadeguatezza dei fondi e dai ritardi nella formazione degli insegnanti e nell‟adeguamento delle normative sia dal deterioramento della sicurezza, soprattutto nella regione meridionale del Paese. In particolare, meno del 30% delle ragazze in età scolastica frequenta le lezioni. Il rapporto tra ragazzi e ragazze è di due a uno nelle scuole primarie ma in quelle secondarie scende a quattro a uno e solo il 10% di esse raggiunge il diploma. Nell‟80% dei distretti rurali non vi sono ragazze nelle scuole secondarie. Per incoraggiare le famiglie a inviare le figlie a scuola viene distribuita ad esse, alla fine di ogni mese, una razione di olio e farina. Per quanto riguarda le infrastrutture, meno della metà delle scuole dispone di edifici in muratura; la maggior parte è sistemata in tende collocate all‟aperto o sotto l‟ombra degli alberi. Ciò influisce molto sulla partecipazione delle ragazze perché le famiglie non vogliono che le loro figlie frequentino luoghi dove possono essere viste da estranei e sprovvisti di servizi igienici riservati. Il Ministro dell‟istruzione, Hanif Atmar, ha valutato in 2,5 miliardi di dollari i finanziamenti necessari nei prossimi cinque anni per coprire le esigenze più urgenti, quali pagamento degli stipendi, stampa di libri scolastici e costruzione di 73.000 classi, anche in tende, ma quest‟anno sono stati assegnati solo 282 milioni. Occorre anche considerare che le famiglie pretendono che le loro figlie abbiano docenti donne, e al momento solo il 28% lo sono80. Gli stipendi degli insegnanti variano da 50 a 75 dollari al mese e pertanto non rendono attraente tale lavoro per i giovani laureati, che preferiscono cercare un‟occupazione nel settore privato o negli uffici delle organizzazioni internazionali. Di conseguenza solo il 20% degli insegnanti è preparato sul piano professionale. Di fatto, a causa della carenza di infrastrutture adeguate e di personale insegnante qualificato, specialmente di sesso femminile, circa due milioni di ragazzi, 1,3 milioni dei quali ragazze, sono esclusi dal sistema scolastico. Molti inoltre rimangono privi di istruzione perché costretti a lavorare, o a mendicare, per contribuire a mantenere le famiglie. A partire dal 2006 le strutture scolastiche sono diventate obiettivi prioritari dell‟attività dei gruppi eversivi, contrari da sempre all‟istruzione femminile, che i taliban ammettono in linea di 80 Due ricercatori dell‟Institute of International Education dell‟Università di Stoccolma hanno dedotto, sulla base di uno studio condotto in due villaggi afghani, che le principali cause dello scarso livello di istruzione delle donne afghane sono da attribuire alla mancanza di insegnanti donna e al dilemma delle famiglie nel dover scegliere, per le figlie, tra un‟educazione di tipo islamico o meno. 38 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA principio solo in determinate condizioni, e critici verso i programmi di insegnamento che considerano non-islamici. Essi mirano anche a spingere le famiglie che vogliono fornire un‟istruzione ai figli a inviarli nelle scuole coraniche (madrasse), soprattutto in quelle nelle aree tribali pakistane gestite molto spesso da religiosi legati ai gruppi fondamentalisti ed estremisti81. In tali scuole i ragazzi ricevono un‟istruzione che privilegia il rispetto della sharia e l‟obbligo per i musulmani di partecipare allo jihad e quindi possono essere più facilmente arruolati per le campagne terroristiche. Dal marzo 2007 il numero di studenti che non possono frequentare le scuole per motivi di sicurezza è salito a 300.000 rispetto a 200.000 dello scorso anno, con un aumento del 50%, mentre le scuole chiuse sono salite da 350 a 590. Gli attacchi agli edifici scolastici negli ultimi dieci mesi sono stati 98 rispetto ai 187 dello stesso periodo nel 2006, grazie soprattutto alla predisposizione di strutture di autodifesa da parte delle comunità locali82. Tuttavia, i taliban colpiscono ora studenti, insegnanti e elementi dei ruoli direttivo ed esecutivo, spesso nel percorso da e per la scuola. Dalla metà di marzo 2007 ne sono stati uccisi 146 rispetto ai 46 dell‟anno precedente83. La maggior parte delle scuole chiuse si trova nella regione meridionale, in particolare nella provincia di Helmand (177) e in quella di Kandahar (150). Dei 13 distretti della provincia di Helmand, sette non hanno più scuole in funzione. 6.2. Sanità Progressi molto significativi sono stati compiuti anche nel settore sanitario, con un fortissimo incremento della fascia della popolazione che può avere accesso ai servizi di base84. Gli interventi sono pianificati e organizzati in conformità al Basic Package of Health Care Services (BPHS) e realizzati principalmente dalle ONG e da altri soggetti internazionali sotto la supervisione del Ministero della sanità. Il livello dei servizi forniti varia da provincia a provincia poiché è condizionato dalla situazione di sicurezza esistente nelle varie regioni85 e dall‟atteggiamento delle autorità locali, che non sempre si mostrano sensibili al diritto della popolazione di ricevere cure mediche adeguate. 81 Per rispondere alle richieste dei genitori che vogliono dare un‟istruzione religiosa ai figli e che sono stati costretti, sinora, a inviarli nelle scuole pakistane, il Governo di Kabul sta attuando un piano che prevede la costruzione di madrasse legate alla rete Darl al-Aloum. Il curriculum comprende per il 40% materie religiose, per il 40% matematica e scienze e per il 20% inglese e informatica. Anche per la realizzazione di tale progetto, tuttavia, viene lamentata una grave carenza di risorse; mancano libri, computer e insegnanti qualificati. Inoltre, gli edifici sono in pessime condizioni. Attualmente sono circa 91.000 gli studenti (pari al 2% del totale) che frequentano le 336 madrasse afghane. 82 Alcuni esponenti locali hanno sottolineato che gli attacchi sarebbero diretti prioritariamente contro le scuole che sono state costruite o ammodernate dalle forze internazionali o che riportano logo, bandiere e targhe di organizzazioni internazionali. Tale valutazione è stata tuttavia contestata dai Comandi ISAF/Enduring Freedom e dalle associazione che raggruppano le ONG. 83 Tra i 146 morti sono compresi 52 studenti e cinque insegnanti vittime dell‟attentato suicida compiuto il 6 novembre scorso nella provincia di Baghlan. 84 Il 30 aprile 2007 il Ministro della sanità, Mohammad Amin Fatimi, ha annunciato che entro due anni verranno costruiti nel Paese 630 centri medici, che si aggiungeranno ai 1.200 già attivi (erano 200 nel periodo taliban). Ha anche reso noto che il 30% della popolazione ha accesso ai servizi medici avanzati e l‟80% a quelli di base. 85 Nel 2005 gli operatori sanitari potevano raggiungere 15 dei 17 distretti della provincia di Kandahar; attualmente solo 12. (IRIN, 9 settembre) 39 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Pesa, d‟altronde, l‟inadeguatezza delle risorse disponibili: gli stanziamenti governativi per il settore sono meno dell‟1% del PIL e coprono circa il 10% delle spese complessive; il resto è sostenuto da Paesi/enti donatori. Per tali motivi, pertanto, l‟ottimismo per i miglioramenti ottenuti non può nascondere le gravissime difficoltà che l‟intero comparto deve ancora affrontare. Negli ultimi cinque anni il tasso di mortalità infantile è diminuito del 25%, ma tuttora un bambino su cinque muore prima di arrivare ai cinque anni. Per contro ha avuto successo la campagna di vaccinazione anti-polio: nei primi sette mesi del 2007 sono stati registrati solo 9 casi confermati (di cui 7 nelle province meridionali), rispetto ai 19 dello stesso periodo del 2006. La situazione dovrebbe migliorare ulteriormente in futuro. Infatti nel settembre 2007 si è chiusa una campagna anti-polio che per la prima volta ha interessato anche le aree della regione meridionale (ad eccezione del distretto di Maywand, nella provincia di Kandahar) in cui più minacciosa è la presenza taliban, dopo che il portavoce del movimento del mullah Omar, Qazi Yousuf Armadi, aveva garantito l‟incolumità per gli operatori. Secondo l‟Organizzazione Mondiale della Sanità, la polio potrebbe essere debellata in Afghanistan prima che negli altri tre Paesi in cui è ancora presente, India, Pakistan e Nigeria. Per contro, rimane alto il numero delle morti a causa della tubercolosi, pari a circa 12.000 ogni anno. Dopo la caduta del regime taliban è migliorata considerevolmente l‟assistenza garantita alle madri prima del parto, persino nelle zone rurali, anche se il tasso di mortalità materna continua ad essere tra i più alti al mondo, 1.600 decessi ogni 100.000 nati86. Secondo un rapporto dello United Nations Population Fund (UNFPA) fino al 70% delle donne in stato interessante non riceve “medical attention” e il 40% non ha accesso a “emergency obstetric cure”87. Il sistema sanitario afghano manifesta ancora una grave inadeguatezza nella cura di particolari patologie, quali la tossicodipendenza e la depressione, che colpisce soprattutto le donne. Secondo stime considerate molto attendibili, il numero delle persone che fanno uso di sostanze stupefacenti sarebbe pari a circa un milione ma le cliniche e i centri per la disintossicazione possono accogliere solo poche centinaia di pazienti. La situazione sta peggiorando anche a causa del continuo incremento della produzione di oppio che rende accessibile il prodotto a prezzi relativamente contenuti. L‟oppio viene utilizzato come analgesico e per alleviare il peso di lavori ripetitivi e stancanti, quali, ad esempio, la fabbricazione di tappeti; inoltre, nelle zone più arretrate viene somministrato anche a bambini, creando forme di dipendenza minorile. Negli ultimi tempi si è diffuso anche il consumo di eroina, sia perché sono tornati milioni di rifugiati dal Pakistan e dall‟Iran, dove la sostanza è più comune, sia perché i laboratori per la sua produzione, prima situati nei Paesi vicini, sono stati trasferiti in Afghanistan. Benché l‟uso dell‟eroina per endovena sia molto raro e venga preferita quella in polvere, che viene fumata, aumentano i casi di HIV. Il 1° dicembre 2007 le autorità sanitarie hanno comunicato che dall‟inizio dell‟anno erano stati registrati 266 nuovi casi, due terzi dei quali relativi a individui che si iniettano droga. Tuttavia, secondo esperti internazionali, l‟incidenza del fenomeno è molto più alta e le persone affette dal virus sarebbero migliaia. Nel 2005 è stato costituito il Dipartimento 86 87 Nella provincia del Badakhshan tale tasso è pari a 6.500 per 100.000. IRIN, 8 marzo 3008. 40 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA per il controllo dell‟AIDS che può contare sugli aiuti forniti dalla comunità internazionale, ma le sue strutture e potenzialità appaiono sottodimensionate rispetto alle esigenze. Gravi carenze sono emerse anche per quanto riguarda la capacità del sistema sanitario del Paese di far fronte alle emergenze. Infatti, nelle ultime settimane, caratterizzate da condizioni climatiche molto rigide e forti nevicate anche in zone normalmente caratterizzate da un clima mite, sono stati segnalati i decessi di centinaia di persone affette da malattie dell‟apparato respiratorio88. Inoltre, del distretto di Musa Qala sono morti decine di bambini affetti da morbillo. 6.3. Corruzione La diffusione del fenomeno in tutti i settori dello Stato, sia a livello centrale che periferico, è sempre più considerata un elemento di rischio per la stabilità del Paese. Infatti, oltre ad alimentare la sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, favorisce la propaganda taliban che ha fatto della lotta alla corruzione uno dei suoi punti di forza. Un‟indagine demoscopica condotta da Integrity Watch Afghanistan, e resa nota nel marzo 2007, ha evidenziato che il 50% degli intervistati ha pagato “bustarelle” (bakhshish), in media pari a circa 100 dollari per famiglia. Secondo il 60% delle persone contattate, l‟amministrazione Karzai è più corrotta di quella taliban o di quelle mujahiddin e comunista. I settori dove tali pratiche sono più diffuse sono i tribunali, seguiti da Ministero dell‟interno (polizia), amministrazioni locali, Ministero delle finanze e National Directorate for Security che è il principale servizio di intelligence del Paese. In un altro rapporto diffuso nel dicembre successivo, Integrity Watch sottolinea che la corruzione è un pericolo per la stabilità e la sicurezza dell‟Afghanistan, considerato uno dei 10 Paesi più corrotti al mondo. Si è creata una “economia da bazar” in cui ogni incarico, ogni favore, ogni servizio può essere venduto o comperato. Il Governo Karzai ha adottato alcune misure tese a moralizzare gli apparati dello Stato, che, tuttavia, non hanno dato i risultati sperati. Tra queste figurano l‟istituzione, nel 2004, dell‟Amministrazione indipendente per la lotta alla corruzione, che ha uno staff di 83 persone; l‟approvazione della legge contro la corruzione amministrativa, sempre nel 2004; la firma, ancora nel 2004, della Convenzione ONU contro la corruzione (2004), che però la Wolesi Jirga ha approvato solo nell‟agosto 200789; e l‟istituzione del Comitato anti-corruzione nel settembre 2006. Il Paese inoltre dispone dell‟Ufficio per il controllo e la revisione dei conti, con un organico di 315 dipendenti, che verifica la regolarità delle spese dello Stato e riferisce solamente al Presidente. È stato osservato che spesso le iniziative adottate erano dirette più a convincere la comunità internazionale sulla serietà dell‟impegno delle istituzioni di Kabul che a facilitare concretamente il contrasto alla corruzione. Infatti, l‟attività di questi organi non è riuscita sinora a imprimere una 88 Tale fenomeno ha avuto anche ricadute politiche che hanno portato alle dimissioni del Ministro della sanità. Si veda il cap. 4, pag. 25. 89 Attualmente varie Agenzie dell‟ONU, in particolare lo United Nations Development Programme (UNDP) e lo United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC), stanno fornendo assistenza tecnica per accelerare l‟elaborazione del quadro normativo e la definizione degli strumenti tecnici necessari per l‟attuazione dei principi della Convenzione. 41 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA svolta alla lotta alla corruzione per la mancanza di unitarietà di indirizzi e guida politica e per le carenze delle strutture amministrative, investigative e giudiziarie, che ne sono il braccio operativo. Ad inficiare la loro azione sono state anche alcune decisioni del Presidente, quali la nomina a capo dell‟Amministrazione indipendente per la lotta alla corruzione di Izzatullah Wasifi, la cui storia personale è stata spesso al centro dell‟attenzione dei mass media afghani e di quelli stranieri. Egli infatti è stato arrestato nel 1987 a Las Vegas per spaccio di eroina e ha trascorso alcuni anni in una prigione del Nevada. Appare pertanto poco indicato a dirigere un organismo di contrasto alla corruzione. A suo favore hanno pesato i legami di amicizia tra il Presidente e suo padre, Azizullah, uno dei principali esponenti della tribù degli Alokzai, il cui supporto è indispensabile per la stabilità della situazione di sicurezza nella provincia di Kandahar. Alcuni risultati si sono incominciati a vedere solo dalla fine del 2006, con la nomina alla carica di Procuratore generale di Abdul Jabar Sabit, il qaule ha avviato numerose inchieste, peraltro prevalentemente nei riguardi di funzionari e dirigenti di livello medio-basso. Inoltre, spesso gli accusati riescono a sfuggire alla condanna grazie agli appoggi di personalità ai vertici dello Stato. È anche da rilevare che le sentenze, quando vengono emesse, sono generalmente lievi e che è assai difficile ottenere il sequestro dei proventi delle attività illegali. L‟ampiezza del fenomeno emerge da molti articoli dei mass media occidentali, che delineano un quadro scoraggiante. Il 24 novembre 2007 il quotidiano londinese The Times scrive che intorno a Karzai si è creata una narco-cleptocrazia che lo isola dal resto del Paese e indebolisce il suo ruolo e la sua autorità90. La corruzione raggiunge i livelli più alti nel Ministero dell‟interno. Le 34 province del Paese sono state divise in tre categorie (A, B, C), come una sorta di tariffario, a seconda dei profitti che possono dare le collusioni e le connivenze con il narcotraffico. Per ottenere il comando della polizia di una provincia di categoria A occorre pagare sino a 300.000 dollari, ma il profitto è sicuro e di molto superiore. Anche incarichi di livello minore costano; ad esempio per essere nominato detective di un distretto con un alto livello di produzione di droga bisogna pagare sino a 10.000 dollari. Anche nella Magistratura la corruzione è molto diffusa; si verifica, infatti, che i narcotrafficanti arrestati vengano subito scarcerati dopo aver pagato tangenti. La corruzione, benché abbia radici endemiche nell‟economia informale del Paese, è un fenomeno incentivato dagli occidentali, che durante la guerra del 2001 hanno pagato ingenti somme per convincere numerosi gruppi locali a ribellarsi al regime taliban 91. Inoltre, la comunità internazionale è giunta a Kabul carica di dollari e ha creato figure intoccabili, osservando senza reagire la costruzione di residenze molto lussuose (narcotettura) costruite con i proventi dei traffici di sostanze stupefacenti, spesso affittate per abitazioni ed uffici di organizzazioni internazionali a prezzi oltraggiosi. Altri organi di informazione92 hanno riportato dichiarazioni di esponenti taliban che hanno ammesso di aver corrotto funzionari di polizia e dell‟NDS, con somme che variano da alcune centinaia di dollari a oltre 15.000, per farsi scarcerare dopo essere stati arrestati dalle forze di 90 Anche il fratello di Karzai, Wali, è molto “chiacchierato”. Secondo un detto popolare, la lealtà di un afghano non si compra, ma si può affittare. 92 BBC, 8 gennaio e Newsweek, 2 febbraio 2008. 91 42 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA sicurezza. In particolare mullah Sorkh Naqaibullah ha precisato di essere stato arrestato tre volte, nel 2004, nel 2005 e nel 2007, e di essere sempre riuscito a farsi rilasciare pagando somme di denaro. Nelle varie province i responsabili taliban avrebbero costituito un fondo speciale per “pagare” la liberazione dei miliziani arrestati o rimborsare le famiglie che hanno provveduto direttamente. Per contro è più difficile corrompere i militari dell‟esercito perché essi operano in stretto contatto con gli statunitensi e pertanto sono sotto il loro controllo. Con il tempo si è diffuso un senso di impunità che spinge molti, anche nell‟apparato dello Stato, a dedicarsi ad attività illecite, incluso il traffico della droga. La situazione è più grave nella polizia, anche perché i ritardi nella riforma del dicastero dell‟interno hanno impedito l‟attivazione di seri meccanismi di controllo sul personale, in grado di recidere ogni tipo di contatto con gli ambienti criminali. Le pressioni della comunità internazionale sono riuscite a imporre la sostituzione di alcuni ufficiali corrotti o coinvolti in crimini di guerra, ma le “coperture” tra i vari dipartimenti del Ministero ancora continuano. La tolleranza nei confronti degli episodi di corruzione ha avuto un effetto deleterio sulla fiducia dei cittadini nei confronti della polizia e, di conseguenza, dello Stato, la cui presenza si manifesta, in molte comunità, attraverso la divisa di un agente. Uno degli strumenti più efficaci per combattere la corruzione è la creazione di un‟amministrazione pubblica formata da dipendenti motivati, preparati e adeguatamente retribuiti. Con l‟Afghanistan Compact il Governo si è impegnato ad adottare procedure chiare e applicate su tutto il territorio nazionale per le nomine a livello dirigenziale, ma i risultati ottenuti sinora sono stati scarsi, anche perché il panel creato appositamente non ha ancora approvato le procedure che garantiscano trasparenza e imparzialità. Per contro, per i livelli più bassi, è stato approvato un piano generale di riforma che definisce anche gli importi delle retribuzioni (da 80 a 650 dollari al mese). Tuttavia, il piano sarà attuato in un periodo di quattro anni e pertanto non potrà avere effetti significativi sulla riduzione della corruzione in tempi brevi. Appare più interessante, di conseguenza, il progetto per la prevenzione della corruzione nella gestione del bilancio dello Stato, presentato il 4 novembre 2007 dal Ministro delle finanze, Anwarul Haq Ahady, e dal Direttore per l‟Afghanistan della Banca mondiale, Alastair McKechnie. Il programma prevede, tra le altre cose, un‟intensificazione dei controlli, attuati con strumenti informatici, sulla trasparenza delle operazioni e incentivi per premiare i dipendenti che agiscono con correttezza. La gravità della situazione è stata denunciata, il 13 novembre 2007, anche dal Rappresentante degli USA all‟ONU, Zalmay Khalilzad. Il diplomatico ha dichiarato che Washington è preoccupata per l‟inaccettabile livello di corruzione e il deterioramento della situazione di sicurezza, che ostacolano lo sviluppo e la ricostruzione. Ha pertanto chiesto misure concrete da parte di Karzai, indicando tra i problemi del Paese anche l‟eccessiva polarizzazione delle forze politiche, l‟aumento della produzione di oppio e l‟alto tasso di disoccupazione. Le riforme da attuare devono interessare prioritariamente la revisione dei criteri di nomina di funzionari e dirigenti, privilegiando il merito e non l‟appartenenza etnica o i legami familiari, l‟intensificazione della lotta alla corruzione, il rafforzamento del principio di legalità, l‟estensione dell‟autorità dello Stato a tutto il territorio nazionale, il miglioramento della governance a livello di provincia e distretto. 43 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA La diffusione della corruzione tra i dipendenti pubblici e le autorità dello Stato è stata ammessa lo stesso giorno, con grande franchezza, anche dal Presidente Karzai nel corso di un incontro con gli anziani di un villaggio della periferia di Kabul. Egli ha riconosciuto che il Paese ha visto molta miseria nel corso della sua storia, ma che ancora non ha tratto una lezione dagli errori commessi e ha aggiunto che gli appartamenti e gli edifici lussuosi che stanno sorgendo a Kabul appartengono o a personale del governo o a membri del Parlamento. Ha quindi dichiarato di condividere pienamente quanto affermato da uno dei presenti: gli esponenti della dirigenza stanno succhiando il sangue della popolazione innocente. L‟intervento di Karzai ha suscitato scalpore negli ambienti politici e ha dato nuova forza alle voci su un imminente rimpasto governativo, peraltro più volte annunciato in passato, e su un profondo rinnovamento tra i vertici dell‟amministrazione pubblica e delle forze di sicurezza, allo scopo di allontanare gli esponenti più corrotti. Sinora, tuttavia, non si sono registrate iniziative concrete e appare difficile che, nell‟attuale posizione di debolezza, il Presidente possa iniziare un‟azione incisiva di contrasto alla corruzione, che dovrebbe coinvolgere verosimilmente anche personalità a lui molto vicine, inclusi membri della sua famiglia. Infatti, in una recente intervista 93 il leader afghano sottolinea che la corruzione è la conseguenza della debolezza di tutto il sistema afghano e dell‟arrivo di molto denaro portato dalle ONG e dai partner occidentali. Non è possibile contrastare la corruzione come se fosse solo un fenomeno criminale ma bisogna elevare gli standard della governance migliorando l‟efficacia e l‟affidabilità di tutto l‟apparato dello Stato (amministrazione pubblica, polizia e Magistratura) e incrementando le risorse disponibili. In altre parole, la società deve crescere – in tutti gli aspetti – passando in futuro dalla presente situazione di debolezza a una situazione più forte; solo allora sarà possibile porre fine alla corruzione. Sembrano parole di rassegnazione che non inducono certo all‟ottimismo per il futuro. 93 Washington Post, 26 gennaio 2008. 44 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 7. Diritti umani: poche luci e molte ombre Con la caduta del regime taliban gli afghani hanno vissuto un momento di grande euforia, per la speranza che la fine dell‟oppressione portasse rapidamente un sensibile miglioramento delle condizioni di vita. Di fatto, in molte aree si sono manifestati segnali di ripresa economica e di incremento dell‟occupazione, sono state aperte nuove scuole, le donne hanno iniziato a prendere parte alla vita pubblica, sono state create emittenti televisive, che accanto a programmi tradizionali dedicano largo spazio anche all‟intrattenimento. Soprattutto, nell‟ottobre 2004, i cittadini hanno potuto partecipare alle elezioni presidenziali sentendosi per la prima volta davvero protagonisti delle scelte sul futuro del proprio Paese. Tuttavia, gran parte delle attese non è stata esaudita e un‟ampia maggioranza della popolazione è costretta tuttora a vivere in condizioni di grande disagio, spesso al limite della sopravvivenza, senza poter godere dei diritti che una società moderna garantisce. Si è progressivamente intensificata l‟attività dei gruppi eversivi, che nelle zone sotto il loro controllo instaurano un clima di terrore, bloccano i lavori di ricostruzione, ostacolano lo sviluppo economico e reintroducono il rigido rispetto della legge islamica. Sulla situazione dei diritti umani influiscono anche le pressioni degli ambienti religiosi, sempre più influenzati dai settori conservatori. Il 4 dicembre scorso, in un incontro con il Presidente Karzai, il Consiglio islamico dell‟Afghanistan, formato da esponenti religiosi e ulema, ha espresso preoccupazione per l‟attività delle organizzazioni missionarie e atee, definita contraria alla sharia e alla Costituzione, ritenendo che, se essa non verrà contrastata, provocherà una catastrofe che non destabilizzerà solo l‟Afghanistan, ma l‟intera regione e il mondo. I missionari stranieri avrebbero uffici non solo a Kabul ma anche nelle province; inoltre, per convertire gli afghani 94 alcune ONG starebbero distribuendo copie della Bibbia e prometterebbero aiuti per lasciare il Paese. Il Consiglio ha inoltre chiesto a Karzai di proibire la trasmissione di soap opera e di film indiani che mostrano oscenità e immagini che minacciano la società. Infine ha sollecitato il ritorno alle esecuzioni pubbliche per gli omicidi e alla repressione della corruzione95. 7.1. Responsabilità di Magistratura e forze di sicurezza Oltre che al deterioramento della cornice di sicurezza, la precarietà della situazione dei diritti umani in Afghanistan è dovuta anche al mancato consolidamento degli strumenti dello stato di diritto, in particolare la Magistratura e le forze dell‟ordine. La Corte suprema, il Ministero della 94 In Afghanistan l‟apostasia della religione musulmana rischia di venire punita ancora con la pena di morte, come successe nel 2006 a Abdul Rehman. Il suo caso fu poi risolto con l‟autorizzazione del Presidente Karzai a lasciare il Paese per venire in Italia, dove gli era stato offerto asilo politico. 95 Reuters, 5 gennaio 2008. 45 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA giustizia e l‟Ufficio del Procuratore generale soffrono di una grave mancanza di risorse professionali e finanziarie, peraltro comune a tutte le altre istituzioni96. Si registra inoltre una seria carenza negli organici, mentre l‟assunzione di nuovi magistrati si presenta difficile per gli alti rischi che l‟esercizio della funzione giudiziaria comporta, evidenziati anche da recenti episodi terroristici97, e per il basso livello delle retribuzioni mensili pari, in media, a 60 dollari per un procuratore e a 100 dollari per un giudice. La situazione favorisce la diffusione della corruzione, che interessa tutti i livelli, e alimenta la sfiducia dei cittadini nel sistema giudiziario98. Appaiono inoltre inadeguate le procedure per le nomina e l‟avanzamento nelle carriere e i meccanismi per il controllo della professionalità, della disciplina e della condotta etica del personale, anche se negli ultimi tempi sono stati realizzati progressi significativi. Essi riguardano la formazione dei giudici, grazie alla frequenza di corsi di aggiornamento, anche all‟estero, e la trasparenza delle assunzioni allo scopo di evitare nepotismo e corruzione. In particolare, un giudice della Corte suprema deve essere presente in ogni Commissione di selezione; contestualmente, altri giudici controllano l‟attività delle Corti di livello inferiore di in una delle aree di giurisdizione giudiziaria in cui il Paese è diviso. I magistrati subiscono fortemente i condizionamenti esterni, non solo da parte dei gruppi eversivi, che minacciano di morte i giudici che emettono condanne nei confronti di terroristi, ma, soprattutto nelle regioni settentrionali, anche dai warlord. In una recente intervista99, il Procuratore generale Abdul Jabar Sabit ha ammesso che è difficile applicare la giustizia sia nelle province meridionali, dove è in atto una situazione di guerra, sia in molti altri distretti situati in aree dove la supremazia delle legge non viene garantita. Esiste inoltre il problema del mancato rispetto delle garanzie della difesa, dovuto sia alla scarsa preparazione dei giudici sia alla mancanza di avvocati, il cui numero è del tutto inadeguato rispetto alle cause da trattare, e all‟impossibilità di molti imputati di pagare i loro onorari. A causa dell‟inefficienza e della mancanza di credibilità del sistema giudiziario, si stima che oltre l‟80% dei casi, inclusi quelli penali, venga risolto con i sistemi tradizionali, legittimati dal consenso generale, attraverso shura o jirga formate dagli anziani delle tribù. Benché questi fori tradizionali concorrano all‟ordine sociale ed alla soluzione delle controversie, spesso applicano pratiche fortemente lesive dei diritti umani, specialmente nei confronti delle donne. In alcune aree del sud sono i taliban che amministrano la giustizia attraverso le loro corti, con verdetti che prevedono anche la pena di morte e l‟amputazione degli arti. 96 Nel corso della Conferenza sulla giustizia, svoltasi a Roma il 2-3 luglio 2007, i Paesi donatori hanno deciso lo stanziamento di 360 milioni di dollari, in cinque anni, per la formazione dei magistrati, la costruzione di nuove prigioni e altre misure finalizzate a migliorare il sistema giudiziario del Paese e rafforzare il predominio della legge. 97 Il 13 novembre 2007 è stato ucciso un giudice dell‟Alta Corte di giustizia della provincia di Ghazni. 98 Il 6 settembre 2007, il Ministro per lo sviluppo urbano, pashtun, ha denunciato l‟appropriazione illegale di aree da parte di warlord e personalità locali e ha sottolineato che le proteste dei legittimi proprietari hanno poche possibilità di essere accolte dai tribunali a causa della corruzione dei magistrati. Quelli più onesti devono subire le intimidazioni da parte dei nuovi “proprietari”. 99 Radio Free Afghanistan, 6 febbraio 2008. 46 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Le organizzazioni internazionali e la AIHRC100 ricevono continuamente segnalazioni su arresti arbitrari e illegali, spesso prorogati molto oltre la scadenza della condanna, sulla violazione delle garanzie di difesa degli imputati e sul ricorso alla tortura per estorcere confessioni. Queste pratiche sono a conoscenza anche del Presidente Karzai che, in un incontro con ufficiali di polizia, nel novembre 2007, ha rivolto un appello ad evitare ogni forma di tortura nei confronti delle persone arrestate, anche di coloro che abbiano compiuto crimini gravissimi. Il fenomeno resta tuttavia molto diffuso e Amnesty International ha invitato i Paesi di ISAF a non consegnare i miliziani catturati alle forze di sicurezza afghane perché esiste il rischio che essi vengano torturati. L‟appello è rivolto in particolare ai Governi di Belgio, Regno Unito, Canada, Norvegia e Olanda, che hanno firmato specifici accordi con Kabul 101. Tali accuse sono state smentite con forza dall‟NDS e, con meno convinzione, anche da ISAF, il cui portavoce ha dichiarato che non esistono prove su un ricorso sistematico alla tortura nei confronti dei detenuti consegnati alle autorità afghane. Tuttavia, il Comando del contingente canadese schierato nella provincia di Kandahar aveva disposto, nel novembre 2007, la sospensione delle consegne dei presunti terroristi arrestati dai propri militari alle autorità di sicurezza locali dopo che erano state raccolte denunce su abusi e torture inflitte ai detenuti. Alla fine di febbraio il Governo di Ottawa ha deciso di riprenedere il trasferimento dei detenuti, ma caso per caso e dopo che le autorità afghane hanno preso provvedimenti per migliorare la situazione nelle carceri e disposto la sospensione o l‟arresto di funzionari dell‟NDS responsabili di abusi102. 7.2. Transitional Justice Un altro fattore che impedisce di soddisfare le attese di giustizia dei cittadini è il mancato appoggio da parte della classe politica alla transitional justice. Sono così definiti quei percorsi intrapresi da Paesi che escono da conflitti sanguinosi che hanno comportato genocidi e gravi violazioni dei diritti umani. Tali percorsi mirano a stabilire una “verità” condivisa da istituzioni e cittadinanza, nonché a individuare e punire i responsabili delle atrocità commesse, ponendo così le premesse per la riconciliazione ed il ritorno alla normalità. Essi possono assumere forme molto diverse, come illustrato da esperienze storiche diverse quali il processo di Norimberga, i Tribunali speciali dell‟ONU per la ex Jugoslavia ed il Ruanda, il processo di riconciliazione del Sud Africa e quello di diversi Paesi latino-americani. 100 L‟istituzione dell‟Afghanistan Independent Human Rights Commission (AIHRC) è prevista dalla Costituzione del 2004 ed è disciplinata con legge. Si veda la pagina http://www.aihrc.org.af/ 101 In realtà tali accordi mirano ad aggirare la previsione del Protocollo alla Convezione sui diritti umani del Consiglio d‟Europa, che vieta di estradare prigionieri che rischiano la pena di morte. L‟Italia non ha potuto concludere un simile accordo a causa di una sentenza della Corte Costituzionale in materia che lo vieta. Altri Paesi, come il Regno Unito, evitano il problema affiancando alle loro unità un poliziotto afghano che effettua gli arresti. 102 La decisione è stata contestata da alcune organizzazioni per la difesa dei diritti umani che hanno chiesto a una Corte federale di bloccare temporaneamente i trasferimenti dei prigionieri sino a quando non sarà esaminata un‟istanza per il blocco permanente. 47 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Nei decenni di guerre che si sono succedute in Afghanistan hanno perso la vita oltre un milione di persone, molte delle quali a causa delle faide interetniche. Moltissime famiglie hanno perso almeno un membro e la memoria delle atrocità è ancora molto viva, come pure la domanda di giustizia. Tale stato di cose è stato tenuto ben presente sin dall‟Accordo di Bonn, che ha previsto l‟istituzione della AIHRC. Tuttavia, nonostante l‟attivismo di tale organismo nell‟indagare e denunciare i crimini commessi e nel proporre un percorso di riconciliazione, la problematica è stata trattata con molta freddezza dal Governo, che nel dicembre 2006 ha adottato l‟Action Plan for Peace, Reconciliation and Justice (APPRJ) in una versione molto edulcorata rispetto alla proposta originaria. Il piano, che rientra negli impegni dell‟Afghanistan Compact, indica tra i suoi obiettivi la fine dell‟impunità per i criminali di guerra. Il motivo dell‟esitazione a intraprendere con decisione tale percorso va ricercato nel fatto che la Coalizione internazionale giunta in Afghanistan nel 2001 per mettere fine al regime dei taliban ha dovuto appoggiarsi ad alcuni dei gruppi di miliziani che avevano avuto gravi responsabilità nei pregressi crimini. Inoltre, anche al fine di reintegrare il maggior numero possibile di combattenti e potentati locali, sin dall‟Accordo di Bonn è stata data molta enfasi al ruolo da questi svolto durante la resistenza all‟occupazione sovietica, definendola come “giusto jihad”. Molti protagonisti delle vicende belliche passate si sono così ritrovati la qualifica di eroi e sono stati pienamente reintegrati in funzioni di alta responsabilità, rendendo in tal modo più difficile l‟accertamento delle atrocità commesse. In tale contesto, nel marzo 2007 è entrata in vigore la Legge di riconciliazione nazionale che di fatto concede l‟amnistia per i responsabili dei crimini di guerra. Il provvedimento ha avuto un iter travagliato, anche se piuttosto breve, perché il Presidente Karzai ha chiesto alle due Camere di apportare modifiche a un testo di legge da loro approvato in precedenza103 e che era stato criticato dall‟ONU, da molti Paesi stranieri e dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Il documento definiva privi di credibilità i rapporti dell‟ONG statunitense Human Rights Watch che avevano accusato molti esponenti del jihad, incluse figure tuttora in posizioni di primo piano delle istituzioni, di crimini di guerra. Esso conteneva inoltre i seguenti elementi qualificanti: tutti coloro che hanno partecipato al jihad, alla resistenza e a tutte le lotte giuste per difendere la religione e il Paese devono essere onorati e non essere oggetto di animosità; tutti i partiti e i gruppi armati che si sono combattuti in passato devono essere inclusi nel processo di riconciliazione nazionale e non saranno perseguiti sul piano legale e giudiziario; i gruppi armati che combattono attualmente contro la Repubblica islamica dell‟Afghanistan sono invitati ad unirsi al programma di pacificazione. Tra le critiche a tale provvedimento vanno sottolineate quelle dell‟Alto commissario per i diritti umani dell‟ONU, Louise Arbour. Ella ha ribadito che i responsabili delle violazioni devono rispondere alla giustizia del loro operato, evidenziando che la legge è in contrasto con l‟APPRJ. Alcuni funzionari di UNAMA hanno sottolineato che la legge internazionale non contempla l‟amnistia per i crimini di guerra e per le serie violazioni dei diritti umani. Una posizione analoga è stata sostenuta, in un‟intervista all‟Agenzia Reuters (20 febbraio 2007), dal Ministro degli esteri 103 Il 31 gennaio dalla Wolesi Jirga e il 20 febbraio dalla Meshrano Jirga. 48 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Rangin Dadfar Spanta104, secondo il quale in base alla legge internazionale i crimini contro l‟umanità e gli episodi di violazione sistematica dei diritti umani non possono essere oggetto di amnistia. L‟iniziativa legislativa del Parlamento ha costretto Karzai a una difficile mediazione tra le posizioni della comunità internazionale, dei settori più liberali della società afghana e quelle dei leader del jihad, convinti che sia giunto il momento di perdonare gli errori del passato per rafforzare l‟unità e la coesione nazionale e che sia meglio concentrarsi sulla ricostruzione piuttosto che cercare vendette e sollevare questioni che dividono la società. Molto attento a non compromettere i delicati equilibri etnici e politici sui quali si reggono le istituzioni afghane, il Presidente ha imposto alcune restrizioni all‟amnistia prevista nella legge approvata dalle due Camere, ma di fatto ha risparmiato a molte delle principali personalità del Paese l‟“onta” e i rischi di un processo. Il provvedimento promulgato stabilisce infatti (articolo 3) che tutti i partiti e i gruppi coinvolti in qualche modo nei combattimenti verificatisi prima della caduta del regime taliban possono beneficiare del programma di riconciliazione nazionale e di amnistia ed esercitare i loro diritti senza essere perseguiti sul piano giudiziario. Gli stessi benefici si applicano a coloro che combattono tuttora contro lo Stato afghano purché rinuncino alla lotta armata e si impegnino a rispettare la Costituzione. La legge tuttavia non pregiudica il diritto di una persona di chiedere giustizia per i crimini compiuti da un‟altra persona, ma su base individuale. Di conseguenza, anche se in linea di principio, è possibile perseguire per via giudiziaria i responsabili di crimini di guerra, però ciò può avvenire solo su richiesta individuale, da parte di uno dei sopravvissuti o delle loro famiglie. Visto lo stato della giustizia in Afghanistan e l‟influenza ancora esercitata sulle istituzioni dai warlord, che hanno ottenuto questo status per il ruolo avuto nelle guerre che hanno travagliato il Paese negli ultimi decenni, è assai improbabile che la Magistratura o la polizia si impegnino a trovare le prove delle accuse. Saranno quindi le vittime a doversi accollare l‟onere di dimostrare la colpevolezza degli imputati e appare estremamente difficile che possano riuscire a farlo. I gravi ritardi nell‟attuazione dell‟APPRJ, che dovrebbe essere portato a termine entro il 2008, sono stati più volte denunciati dalla AIHRC e dalle organizzazioni internazionali. Nel novembre 2007, al temine di una visita di una settimana in Afghanistan, Louise Arbour si è detta molto dispiaciuta per la mancanza di progressi nel conseguimento degli obiettivi stabiliti dal Governo con l‟appoggio della comunità internazionale e ha ricordato che la transitional justice è un concetto molto articolato, basato sia sui diritti delle vittime alla verità, al risarcimento, alla riabilitazione, che sulla punizione dei responsabili. Ha quindi denunciato lo scarso impegno della comunità internazionale e degli altri soggetti istituzionali nell‟attuazione del Piano, invitandoli a fornire maggiore assistenza al Governo afghano, e ha sollecitato un allargamento del dibattito e del confronto su questa materia, nonché una riconsiderazione degli obiettivi visto che essi non potranno essere raggiunti nei tempi inizialmente stabiliti. 104 Di etnia tagika ma non legato alle altre personalità dello stesso gruppo etnico favorevoli al provvedimento. 49 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 7.3. Libertà d’espressione Uno dei diritti che negli ultimi mesi è apparso sempre più compromesso è quello della libertà di espressione, che negli anni successivi alla caduta del regime taliban aveva goduto di notevoli garanzie, favorendo la nascita di nuove testate giornalistiche e di numerose emittenti televisive e radiofoniche, sia nazionali che locali105. Ora, invece, i mass media stanno subendo le pressioni del Governo, dei taliban e dei gruppi di potere, con un sensibile incremento degli episodi di violenza a danno degli operatori dell‟informazione, saliti dai 50 del 2006 ai 70 del 2007, e con crescenti difficoltà ad accedere alle notizie. È evidente il rischio che i giornalisti adottino forme di autocensura per poter continuare a svolgere il loro lavoro senza correre pericoli eccessivi. Sul piano legislativo, la libertà di stampa è sancita dalla Costituzione e la legge sui mezzi di informazione è una delle più avanzate della regione, per quanto il Parlamento abbia approvato di recente alcuni emendamenti che pongono limiti, anche di carattere psicologico, al suo esercizio106. Tuttavia, la Media Complaints Commission, costituita nell‟ambito del Ministero dell‟informazione e della cultura, manca di autonomia ed è soggetta alle interferenze dei politici. Per di più, molti commissari sembrano convinti che, nell‟attuale situazione interna e di sicurezza del Paese, una qualche forma di censura sia necessaria nonché auspicabile. È anche da aggiungere che nel novembre 2007 il Ministero per l‟informazione e la cultura ha emanato una circolare in cui si chiede ai mass media elettronici di asternersi dal trasmettere programmi che possano “disturbare il pubblico”. Tra gli episodi più gravi della repressione nei confronti della stampa è la condanna a morte per blasfemia, decisa il 22 gennaio 2008 dalla Corte provinciale di Balkh, nei confronti di uno studente di giornalismo dell‟Università di Mazar-e Sharif, Sayed Perwez Kambakhsh, di 23 anni. Il giovane, in stato di arresto dal 27 ottobre 2007, è accusato di aver messo in circolazione un articolo, tratto da internet, che riportava versetti del Corano definiti discriminatori nei riguardi delle donne 107. La sentenza sarebbe stata emessa senza che all‟imputato fossero garantiti i diritti di difesa, ma il Procuratore della provincia di Balkh, Hafizullah Khaliqyar, ha sostenuto che il processo è stato equo perché condotto “in una maniera molto islamica”. In precedenza egli aveva minacciato di arrestare i giornalisti che avessero preso le difese di Perwez Kambakhsh. Una punizione esemplare nei confronti di costui era stata chiesta dal consiglio degli ulema della provincia di Balkh, mentre approvazione per la condanna a morte è stata espressa dagli ulema delle province di Takhar e di Parwan, da uno dei portavoce taliban e da alcuni parlamentari. Tuttavia, molti considerano la condanna a morte di Sayed Perwez Kambakhsh una ritorsione nei confronti del fratello, Dayed Yaqub Ibrahimi, giornalista di The Institute for War & Peace Reporting, un‟organizzazione nonprofit con base a Londra, il quale in molti suoi articoli ha criticato le violenze e i soprusi compiuti dai warlord nelle province settentrionali del Paese. 105 Negli ultimi anni in Afghanistan si è assistito a uno sviluppo impressionante del settore dei mass media; attualmente esistono nel Paese sette emittenti televisive a diffusione nazionale (sei private), 40 emittenti radio private e circa 300 giornali e periodici. 106 La legge, approvata dalle due Camere, è stata respinta dal Presdiente Karzai perché troppo restrittiva. 107 L‟articolo sarebbe stato prelevato dal sito blog di un giornalista iraniano, Arash Bikhoda, residente in Europa. 50 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Nei mesi precedenti, infatti, erano stati registrati molti casi di arresti arbitrari, uccisioni, aggressioni e intimidazioni di giornalisti. Per quanto riguarda gli arresti, hanno suscitato le proteste delle associazioni di categoria quelli di Ghows Zalmay, avvenuto alla fine di novembre 2007, per aver pubblicato una traduzione del Corano in dari; l‟arresto di un inviato della Ariana TV, agli inizi dello stesso mese, per aver visitato insieme a due colleghi il distretto di Musa Qala, in quel periodo sotto il controllo dei taliban; quello di sei redattori di Cheragh, anch‟essi a novembre, perché il giornale aveva pubblicato una lettera al direttore in cui si alludeva alla complicità del Governo nell‟attentato suicida compiuto alcuni giorni prima nella provincia di Baghlan; del direttore di kabulpress.org, Kamran Mir Hazar, arrestato due volte, nei mesi di luglio e agosto, per aver scritto articoli dal contenuto fortemente critico nei confronti del Governo; di Mohammad Asif Nang, in luglio, per aver pubblicato sulla rivista che dirige un capitolo del libro “Wars and globalism: who benefits from September 11” che descrive Karzai come un fantoccio degli USA. In generale, per la maggior parte di essi lo stato di detenzione è durato pochi giorni o alcune settimane. È anche da segnalare il caso del giornalista Tawaz Niazi, arrestato all‟inizio del 2007 e condannato a un anno di carcere per aver avuto contatti con i taliban. Altri episodi emblematici sono stati lo schiaffo dato dal segretario del Vice Presidente della Wolesi Jirga a un corrispondente della Ariana TV (26 aprile 2007) e, pochi giorni prima, l‟irruzione della polizia nella sede della TOLO TV. L‟intervento era stato ordinato dal Procuratore generale Sabit che aveva giudicato inaccurato e superficiale un servizio televisivo che riportava alcune sue dichiarazioni. I giornalisti rimasti uccisi nel 2007 in episodi di cui non sempre è stato possibile individuare la matrice sono stati Abdul Munir, il 28 dicembre, ucciso mentre si stava recando dalla provincia di Jawzjan agli uffici della radio-televisione afghana a Kunduz, dove lavorava; Zakia Zaki, proprietaria e amministratrice di Peace Radio, il 5 giugno; Shakiba Saanga Amay, corrispondente dell‟emittente televisiva Shamshat TV, il 31 maggio; Ajmal Naqshbandi, giornalista e interprete di Daniele Mastrogiacomo, ucciso l‟8 aprile dagli uomini di mullah Dadullah. Non desta sorpresa pertanto se l‟Afghanistan è al 130° posto (su 168 Paesi) nella graduatoria preparata da Reporters sans frontières sul rispetto della libertà di stampa. Evidentemente è scarso il potere deterrente della risoluzione 1738 adottata nel 2006 dal Consiglio di Sicurezza dell‟ONU, che definisce un “crimine di guerra” la violenza contro i giornalisti. 7.4. I soggetti più a rischio: le donne e i bambini L‟obiettivo del pieno rispetto dei diritti umani è dunque ancora lontano dall‟essere conseguito e i soggetti che maggiormente risentono di tale situazione sono le donne e i bambini, anche se emergono segnali incoraggianti di cambiamento. In particolare, è significativa la presenza delle donne in Parlamento, dove la Costituzione assegna loro una forte rappresentatività108, e negli altri 108 L‟Afghasnistan è al 27° posto (in un elenco di 88 Paesi), per numero di rappresentanti femminili in Parlamento (27,7% alla Wolesi Jirga e 21,6% alla Meshrano Jirga). 51 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA consigli elettivi; mentre ha ancora un profilo minore il loro ruolo nell‟ambito del governo, delle amministrazioni locali109 e dell‟apparato burocratico. Progressi molto importanti sono stati compiuti, specialmente se rapportati alla situazione di totale emarginazione esistente durante il regime taliban, nell‟accesso alla salute, all‟istruzione e al lavoro, favorito quest‟ultimo anche da progetti di micro-finanza. Il Governo ha completato lo sviluppo del National Action Plan for the Women of Afghanistan, frutto di consultazioni molto estese che hanno interessato i rappresentanti dell‟amministrazione pubblica e della società civile di 26 province. Il Piano prevede un approccio globale e interministeriale al miglioramento della condizione della donna. Deve essere rafforzata ora la capacità del Ministero degli affari femminili di guidare, coordinare e monitorare la sua attuazione. Al riguardo, nell‟ottobre 2007 il Ministero del lavoro ha reso noto che è stato sottoposto all‟approvazione del Parlamento un progetto di legge per tutelare la figura femminile, soprattutto le madri, nei luoghi di lavoro. Iniziative in questo settore appaiono improcrastinabili se si considerano le informazioni riportate da vari organi d‟informazione. In particolare, un rapporto di IRIN denuncia che in quattro fabbriche di Herat che producono capi in pelle e in lana lavorano, in una situazione di grande precarietà, 1.500 donne che ricevono un salario pari a 6 dollari la settimana (per 48 ore di lavoro). Secondo Norine MacDonald, dirigente del Senlis Council, il Governo Karzai sta rispettando le attese della comunità internazionale riguardo al miglioramento della condizione femminile in Afghanistan. Ad ogni modo, malgrado i progressi e le conquiste ottenute a favore delle donne afghane, esse continuano a doversi confrontare con una situazione di grave discriminazione ed emarginazione110. Sono ancora seri gli ostacoli che devono superare nella ricerca di un lavoro, anche nell‟amministrazione dello Stato111, e nel conseguimento di un buon livello di istruzione. In molte situazioni, tra l‟altro, la ragione di ciò è da attribuire alla mentalità delle famiglie di provenienza, che per timore di critiche a parte degli ambienti più conservatori e di ritorsioni da parte dei gruppi estremisti o per convenzione ed ignoranza scelgono di emarginare le mogli, le sorelle e le figlie dalla vita sociale. Inoltre sono molto numerosi gli episodi di violenza nei confronti delle donne, soprattutto all‟interno dello loro famiglie; nel 2007 sono addirittura aumentati del 40%, ma verosimilmente perché sono maggiori le possibilità di denunciarli. Arrivano frequentemente segnalazioni di suicidi da parte di donne vittime di violenze domestiche o spinte dalla disperazione per la mancanza di prospettive e l‟impossibilità di mantenere i figli 112 e sugli omicidi di onore, che le autorità non 109 Su 34 province solo una (quella di Bamiyan) è guidata da una donna, Habiba Surabi, di etnia hazara, nominata nel marzo 2005. 110 Nel marzo 2007, tre donne, membri del Consiglio provinciale di Kunar, hanno rassegnato le dimissioni per protesta contro i toni aggressivi e volgari usati nei loro confronti da un esponente maschile dello stesso Consiglio, Haji Aleem Gul. Il Governatore della provincia, Shalizai Didar, ha costituito un comitato incaricato di risolvere in via amichevole i contrasti, spingendo Haji Aleem Gul a chiedere scusa per il suo comportamento. 111 Ad esempio quello di agente di polizia, malgrado i dati del Governo parlino di un aumento del numero delle donne poliziotto. 112 Lo scorso anno sono stati registrati 626 tentativi di suicidio, 130 dei quali con esito letale. 52 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA riescono a punire con la dovuta fermezza113. Generalmente drammatica è la condizione delle vedove, che in Afghanistan, secondo alcune stime, sarebbero circa 1,5 milioni; il 90% di esse ha figli (la maggior parte più di quattro). Le associazioni per la difesa dei diritti delle donne accusano lo Stato e la comunità internazionale di fare molto poco per loro. Sono ancora molto frequenti i matrimoni combinati che riguardano ragazze minorenni, spesso con persone molto più anziane. Nel marzo 2007 la Corte suprema ha approvato il testo del nuovo contratto di matrimonio (Nikah Nama) che dovrebbe contribuire a frenare la pratica dei matrimoni forzati nel Paese (60-80% secondo la AIHRC). Le nuove disposizioni impongono anche agli uomini che intendono sposarsi di accertare che la promessa sposa abbia almeno 16 anni, altrimenti non verranno concessi i certificati di matrimonio. Tuttavia, è da rilevare che normalmente la grande maggioranza delle coppie non chiede alcuna registrazione. Pratiche particolarmente odiose nei confronti delle donne e dei bambini sono ancora comuni nelle aree periferiche del Paese, dove la giustizia viene amministrata da organi (jirga o shura), composti dagli anziani. Tra queste vi è la pratica di dare in sposa una donna, o cedere un bambino, della famiglia di un omicida a quella della vittima al fine di compensare il crimine commesso. Benché la Costituzione del 2004 abbia stabilito la parità dei sessi riconoscendo formalmente per la prima volta alle donne il diritto di voto, gran parte della popolazione non è consapevole neppure della sua esistenza e continua ad applicare le consuetudini. In molte aree le donne, private dell‟opportunità di lavorare e quindi di guadagnare, sia perché hanno la necessità di accudire i figli114 che per la mentalità prevalente ancora fortemente maschilista, sono considerate un peso, soprattutto nelle famiglie più povere, e pertanto sono ancora più emarginate e vulnerabili. Tuttavia, anche se lentamente, l‟atteggiamento della società nei confronti delle donne sta cambiando. Un sondaggio effettuato da ABC News nell‟ottobre 2006 ha rilevato che l‟80% degli intervistati è favorevole alla presenza delle donne in Parlamento; ancora più alta è la percentuale di coloro che sono favorevoli all‟istruzione femminile. Tale situazione spiega un altro risultato del sondaggio: il supporto nei confronti del movimento taliban, limitato tra gli uomini, è quasi inesistente tra le donne. Tuttavia, tradizioni e costumi ancora resistono; il 55% degli intervistati ritiene che le donne debbano indossare il burka e il 60% non vuole che le donne abbiano uomini alle proprie dipendenze. In Afghanistan, come denuncia il rappresentante statunitense presso l‟UNICEF, Martin Bell, anche la condizione del fanciullo non viene salvaguardata e non ha garanzie. Malgrado i progressi conseguiti nei settori della sanità e dell‟istruzione, i bambini sono sempre vulnerabili; l‟accesso alle strutture scolastiche rimane in molti casi interdetto o limitato e i bambini sono spesso tra le vittime degli attentati terroristici e delle mine anti-uomo115. Secondo il Ministero dell‟istruzione, circa un 113 Un rapporto dell‟organizzazione internazionale Womankhind Worldwide sottolinea che l‟Afghanistan è uno dei Paesi con il tasso più alto di violenze domestiche e di mortalità al momento del parto; inoltre è uno dei pochi in cui i suicidi sono più frequenti tra le donne che tra gli uomini. (BBC, 25 febbraio 2008) 114 In media, una donna afghana partorisce 6-7 figli. 115 L‟UNICEF ha stanziato 50.000 dollari per la cura e il trattamento psicologico dei bambini rimasti traumatizzati a causa dell‟attentato del 6 novembre 2007 nella provincia di Laghman. Tuttavia, nelle province meridionali, dove il livello della violenza è più alto, interventi del genere non possono essere attuati per motivi di sicurezza. 53 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA quarto dei minori di età da sette a 14 anni è costretto a lavorare per contribuire a mantenere le famiglie116. In tutto il Paese, i gruppi criminali sono coinvolti nel traffico di bambini, rapiti o “venduti” da genitori in gravi difficoltà economiche, verso il Medio Oriente e il Nord Africa, dove vengono immessi nel mercato del lavoro o in quello del sesso o, addirittura, sarebbero utilizzati come donatori di organi in cliniche clandestine. Ad ogni modo, la condizione più critica rimane quella delle bambine, le quali, nella maggior parte dei casi, non hanno la possibilità di crescere con le medesime, seppur poche, opportunità dei coetanei maschi. 116 Sarebbero circa 5.000 i minori che lavorano, in condizioni estremamente pesanti, nelle fabbriche di mattoni della provincia di Nangarhar. 54 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 8. Lotta alla droga: una strategia da rivedere Mentre in alcune aree del Paese i coltivatori già si preparano per la raccolta di oppio, che inizierà agli inizi di aprile per concludersi entro la fine di luglio, le previsioni indicano anche per il 2008 una produzione su livelli molto elevati, pur non raggiungendo il record registrato nel 2007 grazie a condizioni meteorologiche eccezionalmente favorevoli. Nei giorni scorsi, infatti, lo United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC) ha diffuso l‟Afghanistan - Opium winter rapid assessment survey 2008 da cui emerge che il totale della superficie coltivata a papavero da oppio appare essere sostanzialmente uguale o solo leggermente inferiore a quella del 2007. Tuttavia, si accentua la dicotomia del Paese in due vaste regioni: il centro-nord che si avvicina a diventare, sia pure con qualche contraddizione, poppy-free e il sudovest con una economia sempre più legata alla droga. Infatti, la superficie coltivata è aumentata fortemente nella provincia di Nimruz e in misura meno accentuata in quelle di Badghis, Farah, Ghowr, Kandahar, Samamgan117 e Uruzgan; per contro è diminuita nelle province di Badakshan, Baghlan, Herat, Kabul, Kapisa, Kunar, Laghman e, in misura maggiore, Faryab, Jawzjan e Nangarhar. D‟altra parte risulta in forte crescita la coltivazione di cannabis, con una accentuazione della tendenza già emersa nello scorso anno. Per quanto riguarda la produzione, si prevede, rispetto al 2007, una leggera diminuzione che tuttavia potrebbe accentuarsi in caso di condizioni meteorologiche avverse in primavera e di successo della campagna di distruzione delle coltivazioni che il governo, con l‟appoggio di alcuni Paesi stranieri e organismi internazionali, ha già avviato. Lo studio evidenzia anche una stretta correlazione tra coltivazione del papavero e situazione di sicurezza, fornendo indicazioni molto interessanti. La percentuale dei villaggi ove si coltiva la droga è del 70% nelle aree in cui la sicurezza è precaria e del 63% in quelle ove la sicurezza è molto precaria; al contrario, nelle aree ove la situazione di sicurezza è buona o molto buona, la percentuale è, rispettivamente, del 26% e del 10%. Il survey mette anche in evidenza che la maggioranza dei coltivatori ha ammesso di pagare una “tassa” (usher), pari al 10% dei ricavi, a vari soggetti quali funzionari amministrativi e di sicurezza corrotti o gruppi eversivi118. Il quadro che emerge conferma il fallimento della campagna antidroga che ha portato nel 2007 a un raccolto record, stimato in circa 8.200 tonnellate di oppio, pari al 93% della produzione mondiale, con un aumento del 34% sul 2006119. La superficie coltivata aveva raggiunto i 193.000 ettari, a fronte di 165.000 dell‟anno precedente, con una crescita quindi del 17%120. Dopo la caduta del regime taliban la produzione ha mostrato una tendenza quasi constante all‟aumento passando da 3.400 tonnellate del 2002 a 3.600 del 2003, 4.200 del 2004, 4.100 del 2005 e 6.100 del 2006. 117 Nel 2007 la provincia settentrionale di Samangan era stata classificata “poppy-free”. I taliban dovrebbero ricavarne circa 100 milioni di dollari. 119 Il 70% è prodotto in cinque province, confinanti con il Pakistan. 120 La resa per ettaro è stata di 42,5 kg nel 2007 e di 37 kg nel 2006. 118 55 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA In tale quadro è di poco conforto l‟incremento delle province poppy-free da 6 a 13 (Balkh, Bamyan, Ghazni, Khowst, Kunduz, Lowgar, Nuristan, Paktika, Paktia, Panshir, Parwan, Samangan e Wardak) anche perché, nello stesso periodo, in quelle aree si è registrato un forte incremento della coltivazione di cannabis, salita da 50.000 ettari a 70.000121. La scelta non dipende da ragioni economiche perché i ricavi sono molto simili. Infatti, se il prezzo della cannabis al produttore nel 2007 è stato pari a 48-61 dollari al kg, rispetto a 86 dollari per l‟oppio grezzo e a 122 dollari per quello raffinato, la resa per ettaro della cannabis è doppia rispetto a quella del papavero e i costi sono minori. Molti contadini si sono dedicati alla coltivazione della cannabis perché più tollerata dalle Autorità e perché sono meno forti, nei suoi confronti, le motivazioni religiose che condannano la produzione di oppio. L‟Afghanistan Opium Survey 2007, diffuso da UNODC lo scorso mese di ottobre, fornisce un quadro molto dettagliato del fenomeno droga in Afghanistan e della sua incidenza sulla vita economica e sociale del Paese. In particolare sottolinea che: - il valore dell‟oppio e dell‟eroina esportati potrebbe raggiungere 4 miliardi di dollari (+29% rispetto al 2006), pari al 53% del PIL afghano. Il valore della droga aumenta più volte prima di arrivare ai consumatori finali nelle strade dei Paesi occidentali, lasciando quindi la gran parte del profitto alle reti di narcotrafficanti internazionali; - le famiglie impegnate nella coltivazione del papavero sarebbero state 509.000, con oltre 3,3 milioni di persone, e ne avrebbero ricavato proventi per circa un miliardo di dollari (+32% sul 2006), con un introito medio per famiglia pari a 1.965 dollari. Sarebbero state spinte a dedicarsi a tale tipo di coltura soprattutto dal desiderio di uscire dalla povertà e dagli alti guadagni; - il 98% dei coltivatori si dice disposto ad abbandonare tale attività purché siano garantiti posti di lavoro in altri settori (27,7%), coltivazioni alternative ma con redditi analoghi (22,7%), crediti (12,4%) ed accesso ai mercati (10,1%); - le esportazioni di eroina e morfina potrebbero raggiungere nel 2007 le 660 tonnellate, a fronte di una domanda dei mercati mondiali pari a circa 450 tonnellate; - sono stati distrutti 19.047 ettari di coltivazioni, a fronte di 15.300 nel 2006. I sistemi più usati sono stati quelli manuali (4%), aratri trainati da animali (19%) e mezzi trainati da trattori (77%). Il dato più significativo riguarda tuttavia la differenza tra il ricavato della coltivazione di papavero rispetto a quella di grano: le rese per ettaro sono pari, rispettivamente, a 5.200 dollari e a 546 dollari. Inoltre il papavero è una pianta molto robusta, che cresce anche in condizioni climatiche difficili e in terreni ove il frumento avrebbe difficoltà a svilupparsi. Va anche tenuto presente che i produttori di papavero non hanno grossi problemi per la vendita del prodotto, spesso acquistato direttamente sul campo dai narcotrafficanti, né sulla sua conservazione perché, visto il poco volume occupato, non richiede grandi locali né attrezzature particolari. 121 La cannabis è coltivata in 18 delle 34 province del Paese. 56 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Le ragioni del sostanziale fallimento della campagna anti-droga condotta nel 2007122 sono molteplici, ma principalmente vanno ricondotte alla corruzione diffusa tra il personale degli organi di potere centrali e periferici, all‟inadeguatezza degli interventi per lo sviluppo delle coltivazioni alternative, nonché al deterioramento della cornice di sicurezza. Come descritto altrove in questo rapporto123, la corruzione è diffusa capillarmente nel Paese e soprattutto in quelle aree dove sono più alti i livelli delle attività illecite e pertanto crescono le possibilità di guadagno per i funzionari disonesti. Le dimensioni del fenomeno possono essere dedotte dalle dichiarazioni rilasciate ad organi di informazione afghani e stranieri da personalità locali e comuni cittadini. In particolare, è stato segnalato che centinaia di uomini inviati da Kabul nella provincia di Helmand per la distruzione delle coltivazioni di papavero hanno accettato tangenti fino a 20.000 dollari ciascuno, pagati dai contadini che in tal modo hanno potuto salvare il raccolto. Coltivatori e trafficanti della stessa provincia hanno riferito che i pagamenti avvengono sia in denaro sia in natura, attraverso la cessione di pasta d‟oppio. Inoltre, i piccoli commercianti, che mettono in vendita l‟oppio nei loro negozi al bazar, devono pagare alla polizia una somma da 2.000 a 6.000 afghani al mese (da 40 a 120 dollari) per poter operare tranquillamente. I finanziamenti a disposizione per lo sviluppo di coltivazioni alternative sono stati del tutto inadeguati, perché la maggior parte delle risorse destinate dalla comunità internazionale alla lotta alla droga è stata spesa per esigenze di sicurezza. Inoltre i fondi sono soggetti a criteri di assegnazione discutibili124. In più casi, i contadini hanno denunciato di non avere ricevuto che in minima parte gli aiuti promessi, soprattutto quelli in denaro, finiti nella mani di dipendenti corrotti a livello centrale e periferico. Di conseguenza, la coltivazione del papavero è rimasta una scelta quasi obbligata per molti coltivatori che non avrebbero altra possibilità per mantenere le famiglie. È interessante quanto dichiarato in proposto dal comandante della polizia del distretto di Maywand (provincia di Kandahar): la principale fonte di reddito per la popolazione locale (100.000 persone) è la coltivazione del papavero in quanto non c‟è acqua a sufficienza per irrigare i campi e produrre grano, anche perché il carburante per il funzionamento delle pompe costa troppo. Una situazione analoga si riscontra in molte altre zone delle province meridionali e, per certi aspetti, anche di quelle occidentali. Di conseguenza il programma di distruzione forzata delle coltivazioni promosso dal Governo ha provocato proteste e malcontento tra la popolazione, priva di opportunità di lavoro alternative. Molti pertanto sono sensibili agli appelli dei narcotrafficanti perché vedono in essi l‟unica via per uscire dalla povertà e guadagnare quanto serve per le famiglie. 122 L‟ex Ambasciatore di Washington alle Nazioni Unite, Richard Holbrooke, scrive che il programma per la lotta alla droga in Afghanistan, pari a circa un miliardo di dollari l‟anno per gli USA, può essere considerato il programma più inefficace nella storia della politica estera degli USA. 123 Si veda il paragrafo 6.3., pag. 41. 124 È emblematica al riguardo la decisione di USAID di negare, perché l‟iniziativa avrebbe danneggiato i coltivatori USA, un finanziamento di 1,3 milioni di dollari per un progetto messo a punto da due fratelli afghano-statunitensi che prevedeva incentivi per la produzione di cotone nella provincia di Kandahar e aveva già raccolto un largo consenso nell‟area. 57 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Il grave deterioramento della sicurezza a partire dai primi mesi del 2006 anche in aree prima considerate relativamente sicure ha fatto emergere una crescente collaborazione tra i gruppi eversivi e i narcotrafficanti, entrambi interessati a mantenere alto il livello di instabilità nel Paese per indebolire il Governo centrale sottraendogli il controllo di settori sempre più ampi del territorio. I narcotrafficanti hanno fornito sostegno logistico e finanziario ai taliban, ricevendo in cambio protezione per la loro attività. Ciò ha permesso ai taliban di allargare la loro base di consenso accreditandosi quali difensori delle giuste esigenze della popolazione locale, che ha nella coltivazione del papavero la principale fonte di reddito, e facendo così fallire la campagna antidroga promossa dal governo Karzai, additato come “fantoccio dell‟America”. La minaccia derivante dalla recrudescenza degli attacchi ha contribuito a convincere, qualora ce ne fosse stato bisogno, la polizia locale a “chiudere un occhio” di fronte alle coltivazioni di papavero. Ha inoltre costretto le forze di ISAF/Enduring Freedom a concentrasi sulla lotta al terrorismo lasciando in secondo piano quella alla droga, nell‟assunto che non si possano vincere due guerre contemporaneamente. La contrarietà dei comandi NATO a una partecipazione diretta alla campagna antidroga è stata confermata il 5 giugno 2007 dal Generale Dan McNeill, Comandante di ISAF, durante un colloquio con alcuni giornalisti. Il Generale ha dichiarato di non voler essere coinvolto nell‟attività di distruzione delle coltivazioni poiché “noi non siamo addestrati, non siamo equipaggiati, non disponiamo del numero di elicotteri e di uomini necessari per farlo”. È interessante segnalare, in merito, che, secondo organi di stampa USA, nella fase iniziale dell‟Operazione Enduring Freedom il Pentagono aveva tolto dall‟elenco degli obiettivi dei bombardamenti aerei i depositi e i laboratori per la produzione di eroina, sulla cui dislocazione possedeva precise informazioni L‟annuncio della possibilità di un altro raccolto molto elevato di oppio anche per il 2008 è destinato a riaccendere il dibattito sulla strategia della lotta alla droga, focalizzato principalmente sulla ricerca di mezzi più efficienti per la distruzione delle coltivazioni, visto che quelli attualmente utilizzati non riescono a dare i risultati attesi, e sulla individuazione di misure in grado di indurre i contadini a dedicarsi a colture alternative al papavero o di sottrarre la coltivazione al controllo dei narcotrafficanti. Per quanto attiene al primo aspetto, è da attendersi una pressione crescente di Washington sul Governo di Kabul affinché autorizzi l‟impiego di erbicidi, diffusi in forma spray a mezzo vettori aerei, per distruggere le coltivazioni125. Una richiesta del genere era stata avanzata sin dal 2006, ma è stata sempre respinta perché considerata pericolosa per la salute delle persone e degli animali. Infatti, gli erbicidi inquinerebbero i corsi d‟acqua e le altre coltivazioni, base dell‟alimentazione umana e animale. Uno strenuo sostenitore dell‟impiego di tali tecniche è l‟Ambasciatore statunitense a Kabul, William Wood, che precedentemente aveva guidato la rappresentanza diplomatica USA in Colombia ed era stato tra i promotori del cosiddetto Plan Columbia, finalizzato alla distruzione delle coltivazioni di coca con erbicidi diffusi in forma spray. L‟Ambasciatore Wood, soprannominato negli ambienti diplomatici della capitale afghana “Bill il 125 Nell„ottobre 2007 è giunto a Kabul un esperto del Dipartimento di Stato USA, Charles S. Helling, che ha incontrato esponenti del Governo e tecnici per illustrare i vantaggi dell‟impiego di una sostanza in forma spray (il glyfosato) che non avrebbe effetti collaterali. 58 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA chimico”, avrebbe anche prospettato, nel corso di incontri con personalità del Governo, la possibilità di tagli agli aiuti se non verrà attuata la politica da lui proposta126. Tuttavia, tali pressioni non sono ancora riuscite a superare le resistenze delle autorità di Kabul e di molti Paesi occidentali. Anche recentemente, il portavoce del Presidente Karzai, Humayun Hamidzada, ha ribadito con fermezza l‟opposizione del Governo all‟impiego di erbicidi per la distruzione delle coltivazione di papavero. Kabul persegue una soluzione globale che prevede, tra l‟altro, lo sviluppo di colture alternative, la costruzione di strade per collegare le campagne ai mercati e la lotta al narcotraffico. Inoltre, il 12 dicembre 2007, in un intervento alla Camera dei comuni, il Primo Ministro britannico, Gordon Brown, ha sottolineato l‟importanza di un piano di sviluppo “expanded” nelle aree dove è più diffusa la coltivazione di papavero. Obiezioni all‟impiego di erbicidi provengono anche da parte statunitense127. Infatti, il Pentagono è cauto sull‟opportunità di distruzione generalizzata dei campi di papavero in aree dove il controllo del Governo è molto debole e non vi sono alternative immediate. Lo stesso Segretario alla difesa Robert Gates avrebbe dichiarato che l‟uso di erbicidi non è una strategia a lungo termine, come potrebbe esserlo quella di convincere i contadini a trovare alternative al papavero. Considerata la situazione in cui si trova l‟Afghanistan, appare più importante per il momento tagliare le collusioni tra apparato governativo e trafficanti e impedire che il Paese diventi un narcostato in grado di finanziare il terrorismo internazionale. Le campagne di distruzione delle coltivazioni hanno ottenuto sinora risultati controproducenti perché hanno avuto un carattere esclusivamente repressivo e non hanno affrontato i fattori economici, sociali e culturali che sono alla base della decisione dei contadini di coltivare il papavero. Nello stesso tempo, è mancata una decisa azione di contrasto ai narcotrafficanti, ai quali va la maggior parte dei guadagni collegati alla produzione e al traffico della droga e che sono tra i principali finanziatori dei gruppi eversivi. In particolare, lo Stato è apparso impotente di fronte ai capi dei 25-30 sodalizi criminali che controllano il traffico di droga in tutto il Paese e che, in collegamento con organizzazioni straniere, avviano gli stupefacenti verso i mercati di sbocco, soprattutto europei, attraverso l‟Iran, il Pakistan e i Paesi dell‟Asia centrale. In tale quadro, viene osservato, distruggere le coltivazioni senza fornire ai contadini altri mezzi di sostentamento significa acuire le già gravi tensioni sociali e spingere molti uomini ad unirsi alle milizie taliban per guadagnare uno stipendio, contribuendo a un ulteriore deterioramento della situazione di sicurezza. Molti afghani, infatti, vedrebbero negli “stranieri” dei nemici che fanno la guerra ai poveri e non degli alleati che cercano di aiutare il Paese ad uscire dal sottosviluppo e dall‟instabilità. Inoltre, una riduzione della produzione provocherebbe un aumento dei prezzi a tutto vantaggio dei narcotrafficanti, che nei loro depositi clandestini hanno ammassato quantità notevoli di droga. 126 The Washington Post, 23 dicembre 2007. I critici contestano anche i risultati del “Plan Columbia” che, nonostante la spesa di oltre cinque miliardi di dollari e la determinazione del Presidente Uribe nella lotta alla corruzione, non avrebbe affatto inciso su prezzo, qualità e disponibilità di cocaina sul mercato statunitense. Al contrario, nel 2006 il raccolto di coca sarebbe stato il più alto degli ultimi 20 anni. Le coltivazioni sono state infatti ridistribuite in appezzamenti più piccoli, situati in aree difficilmente accessibili, dove anche i mezzi aerei hanno difficoltà a operare. Il sostanziale disinteresse per il sostegno all‟economia contadina, prima basato sulla coltivazione della coca, ha provocato spostamenti in massa della popolazione creando le condizioni per una cronica instabilità. 127 59 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Nonostante tali resistenze, nell‟ottobre 2007 il Governo afghano ha approvato, nell‟ambito del Policy Advisory Group (PAG)128, un piano per la distruzione, nel 2008, di 50.000 ettari di coltivazioni di papavero da oppio129. Tale campagna dovrebbe far parte di una strategia integrata che comprenda anche lo sviluppo di coltivazioni alternative, un contrasto mirato ai trafficanti e la lotta alla corruzione. Tuttavia esistono dubbi sulla possibilità di conseguire i risultati prestabiliti. Infatti, il governo aveva deciso di schierare due battaglioni dell‟ANA a protezione delle operazioni di distruzione delle coltivazioni ma il Ministero della difesa ha espresso riserve su tale impiego e le divergenze non sembrano ancora superate. D‟altro canto, ancora più dannosa e inefficace appare la soluzione proposta da alcuni organismi internazionali, soprattutto dal Senlis Council, che suggeriscono la legalizzazione della produzione di oppio da destinare a scopi medici e principalmente alla produzione di morfina. Al riguardo, l‟Ambasciatore Thomas Schweich, coordinatore USA per la lotta al narcotraffico e la riforma della giustizia in Afghanistan, ha dichiarato di recente che un provvedimento del genere sarebbe disastroso poiché Kabul non è in grado al momento di impedire che l‟oppio prodotto legalmente venga venduto nei mercati illegali, finanziando in tal modo l‟attività dei gruppi eversivi. Ha citato, in proposito, la decisione del Governo indiano di ridurre da 21.000 a 8.000 ettari la superficie coltivata legalmente a papavero perché New Delhi, pur disponendo di istituzioni ben consolidate e di una polizia molto più efficiente e affidabile di quella afghana, non riesce a impedire che l‟oppio vada a finire nelle mani dei narcotrafficanti130. Le obiezioni alla legalizzazione sono molto serie e tutte assai concrete131. Infatti: - il provvedimento non eliminerebbe la produzione illecita di oppio poiché in molte aree del Paese la precarietà della situazione di sicurezza non consentirebbe al Governo di esercitare un efficace controllo sul programma. Inoltre, l‟oppio prodotto legalmente viene pagato normalmente a un prezzo nettamente inferiore a quello praticato sul mercato clandestino e ciò spingerebbe molti contadini a continuare la coltivazione di oppio da vendere ai narcotrafficanti; - l‟aumento della domanda e la convinzione che si tratti di una attività legale porterebbe a un aumento della superficie coltivata a papavero che attualmente copre circa il 4% del totale dei terreni agricoli; - la legalizzazione comprometterebbe il successo della campagna contro la droga condotta dal Governo e dalle istituzioni internazionali, anche con l‟aiuto dei mullah che hanno più volte definito produzione, vendita e assunzione di stupefacenti contrarie ai principi islamici; 128 Il PAG è stato costituito nel 2008 dal Governo di Kabul con la collaborazione di USA, Regno Unito, Canada, Olanda, ISAF e UNAMA per affrontare i problemi più critici delle province di Kandahar, Helmand, Farah, Nimruz, Zabul e Uruzgan. 129 Nella provincia di Helmand, dove viene prodotto circa il 50% dell‟oppio afghano, la distruzione delle coltivazioni è iniziata alla fine del gennaio 2008, nel villaggio di Bolan, distante due km dal capoluogo Laskhar Gah. 130 Si stima che il 30% dell‟oppio prodotto legalmente in India finisca sul mercato nero. 131 Oxfam, “Development Assistance in Insecure Environments: Afghanistan”, dicembre 2007. 60 ARGO - AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA è difficile che la morfina eventualmente prodotta in Afghanistan abbia uno sbocco sui mercati mondiali sia a causa dei costi, superiori a quelli praticati da altri Paesi, quali l‟Australia, sia perché la disponibilità di tale sostanza copre già le esigenze dell‟industria medica. Tra tutti i soggetti interessati si sta rafforzando la convinzione che, per aver successo, la lotta alla droga deve essere condotta con una serie di misure strutturali, che investano le cause e le conseguenze del fenomeno. Per essere credibile, tale lotta deve inoltre vedere coinvolte in prima persona le massime autorità afghane, condizione indispensabile affinché tutte le strutture amministrative, giudiziarie e di sicurezza svolgano il loro ruolo con serietà a determinazione. Occorre altresì un‟attuazione più rigorosa e nel contempo più equilibrata della National Drug Control Strategy, approvata nel 2003 e aggiornata nel gennaio 2006. Il documento identifica quattro priorità che rappresentano, al momento, gli strumenti migliori per conseguire progressi duraturi nella lotta alla droga. Esse sono, nell‟ordine: - distruggere il commercio delle sostanze stupefacenti colpendo i trafficanti e i loro sostenitori; - accrescere e diversificare i mezzi di sostentamento nelle aree rurali; - ridurre la domanda di droga e assicurare la cura e riabilitazione dei consumatori; - rafforzare le istituzioni statali sia al centro che in periferia. Sulla base delle quattro priorità la strategia definisce otto pilastri di attività che devono guidare l‟opera del Governo e riguardano i seguenti settori: informazione ed educazione dell‟opinione pubblica, cooperazione internazionale e regionale, sviluppo di mezzi di sostentamento alternativi, riduzione della domanda, applicazione della legge, giustizia, distruzione delle colture e rafforzamento delle istituzioni. Per quanto attiene alla distruzione delle colture, il documento sottolinea che non è questo il primo obiettivo della politica governativa di contrasto alla droga. Tuttavia, laddove esistano mezzi di sostentamento legali, una minaccia credibile di distruzione forzata è necessaria per indurre i contadini ad abbandonare la coltivazione di papavero. Nell‟attuale contesto appare necessario, pertanto, concentrare gli sforzi sul miglioramento delle condizioni di vita nelle campagne, sia creando nuove opportunità di lavoro sia sviluppando colture alternative e ampliando la rete commerciale per permettere la collocazione dei prodotti sui mercati e assicurare ai contadini, in tal modo, redditi sufficienti a mantenere le loro famiglie. La World Bank e il britannico Department for International Development (DFID) hanno preparato, al riguardo, un rapporto132 che delinea un programma pluriennale di interventi i cui aspetti prioritari sono: accelerare lo sviluppo rurale mediante progetti che coinvolgano le comunità locali; espandere la superficie coltivabile con il potenziamento dei sistemi di irrigazione; aumentare la disponibilità dei mezzi di sostentamento per le fasce più deboli della popolazione; favorire la crescita delle imprese agricole; incoraggiare i partner stranieri che operano nel Paese ad acquistare prodotti locali e ad assumere dipendenti afghani133; promuovere lo sviluppo dell‟industria della trasformazione dei 132 133 Afghanistan: Economic incentives and development initiatives to reduce opium production, febbraio 2008. Attualmente, meno del 10% dell‟importo dei progetti di ricostruzione viene speso in Afghanistan. 61 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA prodotti agricoli. Il successo di tali iniziative è strettamente legato, in quanto ne rappresenta causa ed effetto, al miglioramento della situazione di sicurezza che veda, soprattutto nelle province meridionali ed orientali, progressivamente ridotta la presenza di cellule eversive e rafforzato il controllo dello Stato e dei suoi organismi. Senza questi interventi, la mera distruzione delle coltivazioni di papavero difficilmente porterà a risultati concreti nella lotta alla droga, anzi, contribuirà verosimilmente ad aggravare i livelli di instabilità e disaffezione allo Stato nelle aree dove la produzione di oppio viene ancora considerata l‟unica fonte di reddito. Al momento, più delle campagne di distruzione forzata, appaiono necessarie per il successo della strategia di lotta alla droga azioni coordinate tra le forze di sicurezza nazionali e quelle di ISAF/Enduring Freedom, mirate alla cattura dei capi dei sodalizi criminali dediti al narcotraffico134, alla distruzione dei depositi e laboratori clandestini di sostanze stupefacenti e al sequestro dei convogli che trasportano la droga e i prodotti chimici necessari per la trasformazione di oppio in eroina nelle centinaia di laboratori costruiti in tutto il Paese. Azioni in tal senso sono state messe in atto con successo nei Paesi che confinano con l‟Afghanistan e ad esse le istituzioni afghane potrebbero ricollegarsi una volta raggiunta una sufficiente affidabilità. Occorre inoltre avviare con grande determinazione una vera riforma dei Ministeri dell‟interno e della giustizia, della magistratura e delle altre strutture dello Stato interessate al fenomeno, al fine di migliorarne l‟efficienza e allontanare dai loro posti dirigenti e funzionari corrotti. Contestualmente devono essere studiati programmi di informazione della popolazione per diffondere, richiamandosi anche a valori religiosi, tradizionali, morali e sociali, sentimenti di rifiuto e di condanna nei confronti della droga. Tale azione deve essere indirizzata inizialmente nei confronti degli esponenti del clero, degli anziani delle tribù e dei capi villaggio per la forte influenza che hanno in ambito locale. Importanti per un esito positivo della lotta alla produzione e al traffico di droga sono anche: - la cooperazione con i Paesi confinanti, sul cui territorio si sviluppano le rotte del commercio degli stupefacenti prodotti in Afghanistan. Essi non sono solo aree di transito, ma stanno diventando anche aree di consumo, con un rapido incremento del numero dei tossicodipendenti e di connesse malattie tra la loro popolazione. Peraltro, le autorità di questi Paesi continuano a diffidare della dirigenza di Kabul e a sostenere piuttosto la necessità di creare una “cintura di sicurezza” intorno all‟Afghanistan; - un più attento impiego degli aiuti internazionali, che per quanto possibile devono essere destinati prioritariamente alle aree o ai settori i cui responsabili non sono coinvolti in attività illegali, in particolare quelle legate alla produzione e al traffico di stupefacenti, e non sono corrotti. Al riguardo, è da segnalare che il 7 giugno 2007 la Camera dei rappresentanti USA ha approvato a larga maggioranza (406 voti a favore e 10 contrari) una legge che stanzia 6,4 134 Nella prigione di Pol-e Charkhi, alla periferia orientale di Kabul, è stata costruita un‟ala di massima sicurezza, realizzata da UNODC e finanziata dal Regno Unito con 1,1 milioni di sterline, destinata ad accogliere i principali esponenti dei gruppi criminali dediti al narcotraffico; sinora, tuttavia, nessuno di questi è stato arrestato. 62 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA miliardi di dollari per gli aiuti all‟Afghanistan sino al 2010. I deputati, tuttavia, hanno stabilito, nonostante il parere contrario della Casa Bianca, che gli aiuti non possono essere impiegati nelle aree i cui amministratori sono collusi con gruppi eversivi e sodalizi criminali dediti al narcotraffico; - l‟avvio di seri programmi di disintossicazione. Come già riferito, le persone che fanno uso di droga sarebbero in Afghanistan oltre un milione, ma la maggior parte di esse non può accedere a centri di cura specializzati e spesso non può servirsi neanche di un‟assistenza medica di base per l‟inesperienza del personale sanitario. La dipendenza dalla droga può essere provocata anche dall‟esposizione a vapori di oppio nel periodo della raccolta e dall‟impiego di oppio quale analgesico nelle aree più povere e isolate del Paese, dove non esistono strutture sanitarie. Trovare soluzioni non è facile, anche perché bisogna tenere conto dello stato di arretratezza del Paese e della mancanza di infrastrutture di ogni tipo, in particolare strade, reti elettriche e centri di commercio/stoccaggio dei prodotti agricoli135. Segnali positivi al riguardo stanno già emergendo, in particolare nella provincia di Nangarhar, con il miglioramento delle possibilità di accesso dei prodotti ortofrutticoli ai mercati, e in quella del Badakhshan, dove è in forte ripresa l‟allevamento del bestiame, prima ostacolato dagli eventi bellici, e si sta parallelamente riducendo la superficie coltivata a papavero. Superare le carenze strutturali richiede investimenti ingenti e molto tempo; spesso, tuttavia, i Paesi donatori pretendono, per loro ragioni di politica interna, risultati immediati e cercano di aggirare le difficoltà con interventi che di fatto incidono solo minimamente sul fenomeno quando, addirittura, non ne ritardano la soluzione. Bisogna pertanto rinunciare alla speranza di risultati decisivi in tempi brevi136. Inoltre, il problema della droga sarà risolto solo quando gli USA e gli altri Paesi occidentali saranno capaci di ridurre la domanda interna di sostanze stupefacenti e di rafforzare le capacità di contrasto delle proprie forze di sicurezza, che attualmente riescono a sequestrare meno del 20% della droga importata annualmente. Secondo gli esperti, solo se i sequestri supereranno il 60% della produzione si ridurranno fortemente i margini di guadagno dei narcotrafficanti che potrebbero così essere costretti ad abbandonare tale attività. È improbabile anche che la distruzione delle coltivazioni di papavero possa eliminare uno dei principali canali di finanziamento dei gruppi eversivi; anzi, anche in caso di successo delle campagne antidroga, i taliban potrebbero continuare a ricevere ancora per anni finanziamenti dai sodalizi dediti al traffico di stupefacenti. Infatti, l‟esame dell‟andamento del mercato e dell‟evoluzione del rapporto produzione/consumo indica che i narcotrafficanti stanno 135 Nelle zone dove il terreno e il clima favoriscono la coltivazione di frumento mancano generalmente i silos in cui immagazzinarlo dopo il raccolto; di conseguenza, i contadini sono costretti a venderlo ai commercianti subito dopo la trebbiatura a prezzi più bassi di quelli che potrebbero ottenere in un secondo momento. Nello stesso contesto, è stato rilevato che nelle aree più adatte alla coltivazione di alberi da frutta non esistono impianti frigoriferi per la conservazione prolungata dei prodotti. 136 In Thailandia il Governo ha avviato la distruzione delle coltivazioni 15 anni dopo aver sconfitto la guerriglia ed introdotto coltivazioni alternative. 63 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA verosimilmente costituendo grandi scorte di droga con cui far fronte ad eventuali forti riduzioni della produzione, continuando a guadagnare somme molto rilevanti grazie all‟incremento dei prezzi, conseguente alla ridotta offerta, e a finanziare i gruppi eversivi. Nonostante l‟attuale sovrapproduzione137, infatti, i prezzi hanno subito una flessione contenuta a conferma che non tutto l‟oppio viene immesso nei mercati, ma una parte rilevante viene accantonata per far fronte a una eventuale minore disponibilità in futuro. 137 Stime molto attendibili fissano in circa 4.500 tonnellate la domanda mondiale di oppio ma nel 2006 solo la produzione afghana ha raggiunto 6.100 tonnellate, con un surplus di circa 1.600 tonnellate. 64 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 9. Questioni regionali: la pedina afghana nel gioco dei Paesi vicini A causa della sua posizione geostrategica, tra l‟Asia centrale e quella meridionale, l‟Afghanistan ha suscitato sempre, nel corso della sua storia, l‟interesse dei Paesi vicini e delle grandi potenze e negli ultimi due secoli ha dovuto difendere la propria indipendenza dalle mire dell‟impero britannico e di quello sovietico. Dopo il dramma della guerra civile e della presa del potere da parte dei taliban, Kabul sta cercando faticosamente di riacquistare una propria collocazione nella comunità internazionale, ma deve contrastare i tentativi di ingerenza degli altri Paesi della regione, spesso mascherati con offerte di assistenza allo sviluppo economico e sociale. È utile esaminare, in questo contesto, la politica che nei confronti dell‟Afghanistan stanno seguendo l‟Iran, il Pakistan e l‟India. Ciascuno di essi è impegnato ad acquisire o a rafforzare una propria capacità di influenzare l‟evoluzione della situazione afghana e, nello stesso tempo, a monitorare attentamente le iniziative degli altri Paesi per cercare di contrastarle qualora danneggino gli interessi nazionali. È significativo, in proposito, l‟apparato diplomatico da essi attivato in Afghanistan e che per tutti e tre è articolato, in maniera quasi speculare, in una ambasciata a Kabul e in consolati nelle città di Herat, Kandahar, Jalalabad e Mazar-e Sharif. L‟Iran ha anche una rappresentanza consolare a Bamiyan. 9.1. Iran: ambiguità e generoso sostegno alla ricostruzione Negli ultimi decenni, Teheran non ha mai cercato di imporre in maniera aggressiva un proprio progetto di politica interna ed estera all‟Afghanistan ma si è adoperata generalmente per conseguire obiettivi più limitati, senza tuttavia perdere di vista i propri interessi nella regione. Ne è conferma l‟assistenza e l‟ospitalità offerte, durante il regime comunista e a seguito dell‟ascesa al potere dei taliban, a Ismail Khan, che comandava le milizie tagike nella regione occidentale del Paese, e, in seguito, ad Abdul Rashid Dostum (uzbeko), a Karim Khalili (hazara) e a Gulbuddin Hekmatyar (pashtun), dopo che questi erano stati costretti a lasciare il Paese dalle forze del mullah Omar. Nei confronti di quest‟ultimo, espressione del radicalismo sunnita, l‟atteggiamento del Governo iraniano, portabandiera dello schieramento sciita, è stato sempre di opposizione, più o meno ferma. Tale atteggiamento è stato ricambiato dai dirigenti taliban di Kabul, che hanno sempre affermato di odiare gli sciiti più dei cristiani138. Il confronto ha rischiato di precipitare in conflitto aperto, soprattutto a seguito dei ripetuti massacri ai danni della popolazione di etnia hazara, di confessione sciita, e dell‟uccisione di 11 cittadini iraniani (diplomatici, funzionari dell‟intelligence e un giornalista), catturati all‟interno del consolato di Mazar-e Sharif, nell‟agosto 1998, dagli uomini di Dost Mohammad, che avrebbe agito sulla base di ordini giunti direttamente dal mullah Omar. 138 Il 2 giugno 1997 i taliban avevano fatto chiudere l‟Ambasciata iraniana di Kabul. 65 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Negli anni successici, Teheran ha continuato a fornire aiuti logistici e finanziari alle milizie dell‟Alleanza del Nord, e soprattutto a quelle hazara, che contrastavano l‟espansione dei taliban all‟intero Paese. La caduta del regime taliban è stata quindi accolta con favore dalle autorità iraniane che, per quanto escluse dalla partecipazione alla Conferenza di Bonn, hanno promesso ai nuovi dirigenti afghani il loro appoggio, ribadito anche nella visita compiuta a Kabul nel mese di agosto 2002 dall‟allora Presidente Mohammed Khatami. Negli ultimi anni Teheran ha finanziato numerosi progetti industriali e infrastrutturali in Afghanistan, in particolare nelle province occidentali del Paese, dove la penetrazione economica iraniana è più evidente. Tali iniziative hanno lo scopo di contribuire alla ricostruzione e allo sviluppo dell‟Afghanistan, creando uno sbocco commerciale per i prodotti iraniani e favorendo il ritorno in patria dei milioni di profughi afghani rifugiatisi in Iran. I progetti sono stati accompagnati da numerosi interventi nel settore sociale, scolastico e religioso, che spesso privilegiano la comunità hazara. Si sono intensificati inoltre i contatti tra diplomatici iraniani (e verosimilmente anche funzionari dell‟intelligence) ed esponenti della dirigenza e della classe politica afghane, soprattutto di etnia tagika e hazara, allo scopo di attivare una rete di contatti utili per conoscere tempestivamente l‟evoluzione della situazione del Paese e cercare, eventualmente, di influenzarne gli sviluppi. Tuttavia, al riguardo è da rilevare che Teheran non ha fatto nulla per impedire la rimozione dall‟incarico di Governatore della Provincia di Herat (settembre 2004) di Ismail Khan, da molti considerato, in maniera poco generosa vista la sua storia personale, uno strumento della politica estera iraniana in Afghanistan. La contestuale nomina di Ismail Khan a Ministro dell‟energia e delle risorse idriche può, peraltro, essere stata vista con favore da Teheran. La crisi nei rapporti tra USA e Iran, a causa della volontà di questo Paese di acquisire una propria capacità nucleare nel settore civile, ma con possibili implicazioni anche in quello militare, ha acuito la preoccupazione di Teheran per il rafforzamento della presenza statunitense in Afghanistan e, soprattutto, per la possibilità che basi afghane vengano utilizzate per condurre attacchi contro il proprio territorio. Tale preoccupazione non si è mai manifestata a livello formale nelle relazioni ufficiali con Kabul, anche se traspare da molte prese di posizione, e non sta influendo sul livello dell‟assistenza fornito da Teheran, ancora molto significativo; tuttavia, potrebbe condizionare le iniziative di alcuni settori dell‟apparato istituzionale iraniano, che talvolta si sottraggono al controllo delle autorità. In sostanza, gli obiettivi principali della politica estera iraniana nei confronti dell‟Afghanistan sarebbero quelli di contribuire alla stabilizzazione del Paese, rafforzare la propria penetrazione economica e politica nella regione occidentale, nonché contrastare l‟influenza di Washington sul Governo di Kabul. Sono obiettivi poco coerenti e che talvolta determinano iniziative in contraddizione tra di loro anche perché prese da soggetti che agiscono sulla base di motivazioni e di spinte non coordinate a livello istituzionale. In particolare, sono in contrasto con l‟obiettivo di stabilizzazione dell‟Afghanistan l‟espulsione di centinaia di migliaia di profughi residenti 66 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA illegalmente in Iran, pur sapendo che Kabul non è in grado di assicurare loro una sistemazione adeguata, e la fornitura di armi ai gruppi taliban. Infatti, per quanto riguarda il primo aspetto, nella seconda metà del mese di aprile 2007 Teheran ha dato via al rimpatrio forzato di circa un milione di afghani senza un regolare permesso di soggiorno139. I provvedimenti sono stati eseguiti spesso con il ricorso alla violenza e senza alcun preavviso, rendendo ancor più difficile la situazione per le persone coinvolte che, al loro arrivo in Afghanistan, sono state generalmente alloggiate in campi di accoglienza privi dei servizi di base. La vicenda ha provocato manifestazioni di protesta in tutto il Paese e ha avuto anche immediati riflessi sul piano politico, provocando un voto di sfiducia della Wolesi Jirga nei confronti dei Ministri per i rifugiati, Ustad Mohammad Akbar (di etnia pashtun), e degli esteri, Rangin Dadfar Spanta (tagiko)140, accusati di non aver saputo, da un lato, negoziare con Teheran un rimpatrio graduale e ordinato dei connazionali e, dall‟altro, organizzare un‟accoglienza dignitosa per le persone costrette a lasciare l‟Iran. Le espulsioni sono continuate per tutto l‟anno, sia pure a ritmi meno elevati che nei primi mesi141. All‟inizio del 2008 il Governo di Kabul è intervenuto su quello di Teheran perché sospendesse i rimpatri nel periodo invernale. Benché il Presidente Ahmadinejad abbia accolto la richiesta (il 16 gennaio), le espulsioni sono continuate anche successivamente; secondo dati diffusi dal Ministero per i rifugiati alla metà di febbraio, dall‟inizio dell‟anno hanno dovuto lasciare l‟Iran 17.000 profughi afghani, dei quali 7.000 dopo il 17 gennaio142. I dirigenti iraniani hanno inoltre ribadito l‟intenzione di espellere dal Paese tutti i profughi illegali anche se si sono detti disposti a negoziare con Kabul i termini di un accordo che preveda la concessione di 300.000 visti temporanei per motivi di lavoro a cittadini afghani. In ogni caso, la crisi umanitaria sarebbe solo rinviata perché le autorità afghane non hanno la capacità di offrire sistemazioni dignitose, inclusi alloggio, posto di lavoro, assistenza sanitaria e istruzione, ai propri connazionali che nei prossimi anni dovranno ritornare in patria sia dall‟Iran sia dal Pakistan143. In tale quadro, appare concreto il rischio che la miseria e la mancanza di prospettive possano spingere molti di essi ad unirsi ai gruppi terroristici o ai sodalizi criminali in grado di garantire i mezzi con cui mantenere le famiglie. La decisione di espellere affrettatamente centinaia di migliaia di residenti afghani illegali ha suscitato sorpresa perché sembra rappresentare un cambiamento sostanziale nella politica seguita dall‟Iran nei rapporti con l‟Afghanistan. Teheran ha sempre cercato di mantenere a un buon livello i rapporti con Kabul evitando, almeno apertamente, ingerenze nelle vicende interne del Paese e accettando, di fatto, la collocazione filo-occidentale e soprattutto filo-USA del Governo Karzai. I motivi che hanno spinto Teheran a una decisione di cui non poteva ignorare le conseguenze sul 139 Secondo alcuni calcoli, i profughi illegali sarebbero in realtà quasi 1,5 milioni mentre quelli legali circa 900.000. La sfiducia a Spanta, dovuta probabilmente a motivazioni di altra natura (si veda pag. 24), ha acceso uno scontro istituzionale tra la Wolesi Jirga e il Presidente Karzai che non si è ancora risolto. 141 Complessivamente, nel 2007 sarebbero state espulse 363.000 persone non registrate, mentre i rimpatri volontari sono stati solo 7.054. 142 IRIN, 17 febbraio 2008. 143 Si stima che in Pakistan i profughi afghani siano ancora 2,4 milioni. Le dimensioni del fenomeno sono evidenziate anche dai dati relativi ai rimpatri nel periodo 2002 al 2006: 3,7 milioni di persone, di cui 2,87 milioni dal Pakistan e 837.800 dall‟Iran. 140 67 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA piano umanitario e politico possono essere di carattere sia interno che esterno. Tra i primi, vi può essere stata la volontà di acquisire il consenso delle classi più deboli della popolazione iraniana, ostili agli immigrati afghani considerati pericolosi concorrenti nella ricerca di un posto di lavoro. Tra i secondi potrebbero avere avuto un peso rilevante i contrasti sul completamento di una diga nella provincia di Herat, poiché ridurrebbe la portata del fiume nel tratto che attraversa il territorio iraniano144, e la preoccupazione che la base aerea di Shindand (nella provincia di Herat), dove sono in corso lavori di potenziamento, possa essere utilizzata dalle forze statunitensi per eventuali operazioni contro il territorio nazionale. Di conseguenza, l‟espulsione dei profughi potrebbe rappresentare, da un lato, una forma di pressione sulle autorità afghane perché rivedano il progetto della diga e, dall‟altro, un avvertimento, sia a Kabul che a Washington, per dimostrare che Teheran dispone di “armi” in grado di destabilizzare il Paese e che è nell‟interesse di tutti evitare iniziative che possano far precipitare la situazione. D‟altra parte, le espulsioni riguardano soprattutto cittadini di etnia hazara e tagika, che costituiscono la grande maggioranza dei profughi afghani, e pertanto potrebbere alienare a Teheran il sostegno di tali etnie, generalmente più vicine all‟Iran di quella pashtun. Nel corso del 2007, l‟attenzione dei Paesi che partecipano alle missioni ISAF e Enduring Freedom si è concentrata anche sul rinvenimento in varie province afghane di armi e munizioni di produzione iraniana, dirette o già in possesso dei gruppi ribelli145. Una parte di questi sistemi verrebbe venduta ai gruppi taliban da sodalizi criminali con base nelle province settentrionali dell‟Afghanistan. Altre volte, invece, sono stati sequestrati ordigni di tipo moderno (Explosively Formed Projectiles), simili, anche se tecnologicamente inferiori, a quelli impiegati nel teatro iracheno per attentati con effetti devastanti contro i mezzi corazzati della Coalizione. Sono state segnalate anche consegne di missili contraerei portatili del tipo SA-7, come quello che sarebbe stato lanciato, nel luglio 2007, contro un C-130 britannico in volo nella provincia di Nimruz. L‟attacco è fallito perché il pilota ha effettuato una serie di brusche manovre evasive e ha attivato le contromisure elettroniche. Al momento, tuttavia, non è possibile stabilire se la fornitura di armi sia stata autorizzata dal Governo di Teheran oppure rappresenti una iniziativa isolata di settori dell‟apparato di intelligence e di difesa, quali la Qud Force delle Guardie rivoluzionarie iraniane, che sfuggono al controllo delle autorità. Non può essere esclusa, d‟altro canto, una responsabilità dei narcotrafficanti iraniani che pagano con la consegna di armi procurate sul mercato nero o ricevute da elementi corrotti delle forze armate le partite di droga acquistate in Afghanistan con la mediazione di esponenti taliban, i quali sarebbero i principali beneficiari delle transazioni. La lunghezza del confine (oltre 900 km) e la natura spesso accidentata o desertica del terreno su cui si snoda rendono assai difficili i controlli lungo la frontiera, che peraltro possono essere aggirati corrompendo il personale responsabile. 144 I lavori, per un importo di 80 milioni di dollari, sono eseguiti dalla società indiana WAPCOS Ltd. e dovrebbero essere ultimati nel 2008. 145 In alcuni casi si è trattato di armi e munizioni che potrebbero costituire i residui degli equipaggiamenti forniti durante la seconda metà degli anni ‟90 da Teheran all‟Alleanza del Nord. Dall‟Iran sono giunte anche grandi quantità di mine, spesso copia di modelli occidentali, che nelle mani dei gruppi terroristici rappresentano ancora un serio pericolo. 68 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Sul sequestro di armi di produzione iraniana sul territorio afghano si sono manifestate reazioni di segno diverso da parte di Kabul e Washington. Infatti il Presidente Karzai ha usato toni molto smussati, rimandando ogni volta la valutazione al completamento delle verifiche sull‟attendibilità dei rapporti. Nello stesso tempo ha ricordato l‟aiuto fornito da Teheran per la ricostruzione e per la lotta al terrorismo e al narcotraffico. Verosimilmente, il leader afghano, già in difficoltà a gestire i difficili rapporti con il Pakistan, non vuole aprire un contenzioso con un Paese, come l‟Iran, dimostratosi sinora finanziariamente molto generoso. Da parte sua, l‟amministrazione USA ha denunciato l‟ambiguità dell‟atteggiamento di Teheran, che da un lato arma i gruppi eversivi attivi in Afghanistan e dall‟altro sostiene la rinascita economica del Paese. Ha anche sottolineato che, viste le dimensioni delle forniture, è impossibile che la dirigenza iraniana non ne sia informata146. Le accuse e le insinuazioni statunitensi sono state respinte con forza dai dirigenti iraniani. In particolare, in occasione di una visita di stato a Kabul (14 agosto), il Presidente Ahmadinejad ha negato che il suo Paese stia cedendo armi ai taliban ed ha sottolineato la necessità di combattere le radici del terrorismo prima dei sintomi. Successivamente, per smentire ogni ipotesi di sostegno diretto o indiretto al movimento del mullah Omar, il Ministro degli esteri iraniano, Manouchehr Mottaki, ha criticato le disponibilità a negoziati con i taliban da parte del Governo di Kabul e di quello di Londra. L‟espulsione dei profughi afghani e le notizie sulla consegna di armi ai gruppi eversivi meritano grande attenzione e devono essere monitorate continuamente per individuare tempestivamente eventuali segnali di un cambiamento della politica di Teheran nei confronti di Kabul. Al momento, tuttavia, le autorità iraniane sembrano ancora interessate a perseguire il consolidamento in Afghanistan di un regime moderato, legato al mondo musulmano e quindi con una limitata influenza occidentale, nel quale la comunità hazara sia rispettata e abbia la possibilità di partecipare alla gestione del potere. Un regime capace inoltre di condurre con determinazione una lotta a tutto campo contro la produzione e il traffico della droga, che sta avendo serie ripercussioni sul piano sociale anche per l‟Iran. Pertanto, Teheran sarebbe contraria sia all‟insediamento a Kabul di un regime radicale sunnita, quale era quello taliban, sia a un pericoloso indebolimento delle istituzioni del Paese, che provocherebbe insicurezza e anarchia. Contestualmente, le autorità iraniane mirano a tenere occupate le forze straniere schierate in Afghanistan per impedire che esse possano essere impiegate in eventuali operazioni contro il proprio territorio. La situazione potrebbe cambiare radicalmente in caso di operazioni militari occidentali (statunitensi) contro il territorio iraniano e soprattutto contro gli impianti nucleari. In una ipotesi del genere, la reazione di Teheran sarebbe commisurata alla percezione della minaccia e potrebbe comprendere iniziative dirette alla destabilizzazione dell‟Afghanistan allo scopo di creare un altro 146 Nel corso di una audizione di fronte allo House Armed Forces Committee, il 12 dicembre 2007, il Segretario alla difesa Robert Gates ha ribadito l‟esistenza di informazioni attendibili sulla fornitura di armi e addestramento da parte iraniana ai taliban ma ha sottolineato che le prove al riguardo sono meno voluminose di quelle disponibili per il teatro iracheno e ha aggiunto che il ruolo di Teheran non è comunque decisivo. 69 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA fronte per le forze statunitensi. Alcuni giornali inglesi hanno segnalato la possibilità che l‟Iran fornisca ai taliban sistemi d‟arma contraerei di tipo moderno, in grado di cambiare il corso del conflitto. Al momento tale ipotesi appare remota e pertanto continueranno i contatti tra Teheran e Kabul per la realizzazione dei grandi progetti industriali e infrastrutturali allo studio o già finalizzati, quali lo sfruttamento dei giacimenti di minerali ferrosi nella provincia di Herat, la costruzione di gasdotti, di una ferrovia tra Sangan Khaf e Herat e di una strada tra Farah e Mailak. Inoltre Teheran è impegnata, insieme ai Governi di Tashkent e di Kabul, per l‟avvio dei lavori del corridoio trans-afghano che dovrebbe collegare Termez a Mazar-e Sharif e Herat e quindi ai porti iraniani di Bandar Abbas e di Chok Bakon, ponendo fine all‟isolamento dell‟Uzbekistan 9.2. Pakistan: la ricerca della profondità strategica L‟atteggiamento mostrato nel corso degli ultimi decenni dal Pakistan nei confronti dell‟Afghanistan risente della convinzione della classe dirigente di Islamabad di essere l‟erede della politica di potenza seguita dall‟impero britannico verso questo Paese, sul quale accampa un naturale diritto di controllo e di influenza, richiamandosi oltre che a ragioni storiche anche ad affinità etniche e religiose e a interessi economici comuni. Tale volontà si è rafforzata nei periodi più acuti del confronto militare con New Delhi in quanto per i vertici della difesa pakistani un Afghanistan amico ed alleato può fornire la profondità strategica necessaria per la manovra delle proprie forze armate in caso di attacco da parte dell‟India147. Più volte in passato le relazioni bilaterali tra Pakistan ed Afghanistan hanno conosciuto momenti di forte tensione. Infatti, Kabul ha votato contro l‟ammissione del Pakistan all‟ONU sostenendo che con la sua nascita perdeva validità il trattato firmato con l‟Inghilterra per la definizione della frontiera comune (la cosiddetta “Linea Durand”)148. Per contro, proponeva la costituzione di un nuovo Stato, il “Pashtunistan”, comprendente le regioni abitate dalle tribù pashtun afghane e pakistane; inoltre, ventilava la possibilità di un altro Stato abitato dalle popolazioni beluchi pakistane, iraniane e afghane149. I rapporti diplomatici tra l‟Afghanistan e il Pakistan sono stati temporaneamente sospesi nel 1955 e nel 1962. I tentativi di ingerenza pakistana nelle vicende interne afghane si sono cominciati a manifestare apertamente intorno al 1975 con l‟aiuto fornito dalle agenzie di intelligence e di sicurezza pakistane ai gruppi islamici che combattevano contro il Governo sempre più marcatamente filo-comunista di Kabul. Tali gruppi erano riconducibili al movimento Jamiat-e Islami Afghanistan, costituito nel 1972 da Burhanuddin Rabbani e fortemente influenzato dal Jamiat-e Islami pakistano. 147 Approfondimenti sul Pakistan sono reperibili nei Rapporti ARGO nn. 1, 2 e 3. Nel 1893 il Re afghano (Emiro) Abdul Rahman Khan e Sir Henry Mortimer Durand, Sottosegretario agli esteri britannico in India, hanno firmato un trattato che delimitava il confine tra il Raj britannico e l‟Afghanistan che da allora è conosciuto come “Linea Durand”. 149 Husain Haqqani, Afghanistan’s islamist groups, in Current trends in islamist ideology, volume 5, Hudson Institute, 2007. 148 70 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA A seguito delle misure repressive adottate dal Presidente afghano Mohammad Daoud Khan150, molti esponenti islamici sono stati costretti a lasciare il Paese e a rifugiarsi in Pakistan, ove hanno allacciato rapporti più solidi con il Jamaat-e Islami e hanno ricevuto appoggio logistico e finanziario dall‟ISI, la principale agenzia di intelligence pakistana. Con l‟occupazione dell‟Afghanistan da parte delle forze sovietiche, il Generale Zia-ul-Haq, che aveva preso il potere in Pakistan con un colpo di stato il 4 luglio 1977, ha potuto disporre di miliardi di dollari di aiuti finanziari, forniti sia dagli USA sia dai Paesi del Medio Oriente e del Golfo, utilizzati per sostenere lo jihad in Afghanistan e, al tempo stesso, rafforzare l‟islamizzazione del Pakistan. Lo strumento di questa strategia sono stati i partiti e i movimenti religiosi, che con il finanziamento dell‟ISI, hanno aperto nelle aree al confine con l‟Afghanistan una rete molto estesa di campi di accoglienza, dove dare una sistemazione ai profughi, e di madrasse, ove fornire addestramento militare e preparazione ideologica ai mujahiddin inviati a combattere contro le forze sovietiche e quelle governative di Kabul. Inoltre, nel periodo 1982-1992 sono giunti in Pakistan circa 35.000 musulmani da 43 Paesi, accolti dall‟ISI e distribuiti tra i vari gruppi di mujahiddin. Altre decine di migliaia di volontari stranieri hanno frequentato le madrasse che sono diventate centri di formazione e di diffusione dell‟estremismo islamico. I legami tra settori governativi pakistani, in particolare ambienti militari e dell‟intelligence, e partiti/gruppi religiosi radicali non si sono interrotti con il ritiro delle forze sovietiche dall‟Afghanistan, nel 1989, e la caduta del regime filo-comunista di Najibullah, nel 1992, ma sono continuati anche negli anni successivi e, per alcuni aspetti, continuano tuttora. I movimenti religiosi estremisti sono diventati uno strumento della politica estera e interna, utilizzato dai regimi militari pakistani (e dai governi civili, condizionati dai militari) per difendere gli interessi politici ed economici di Islamabad in Afghanistan, così come per contrastare il controllo di New Delhi sullo Stato dello Jammu e Kashmir, nel quadro del confronto strategico con l‟India. La principale conferma di tale politica è costituita dal sostegno fornito al movimento taliban che ha ricevuto materiali per 30 milioni di dollari nel periodo 1997-1998, comprendenti generi alimentari, carburanti e altri prodotti petroliferi, armi, munizioni e parti di ricambio. Nel solo 1998 sono stati erogati finanziamenti per 6 milioni di dollari, destinati al pagamento degli stipendi dei dirigenti. Inoltre Islamabad ha concesso aiuti e assistenza al regime taliban nei settori dell‟industria e del commercio, del trasporto stradale ed aereo, delle telecomunicazioni e dell‟energia. Ufficiali pakistani hanno addestrato i miliziani taliban all‟impiego delle armi e talvolta avrebbero preso parte direttamente ai combattimenti contro le forze tagike di Ahmad Shah Massud, al comando di battaglioni di carri e di altre unità specializzate. Tuttavia, mentre negli anni del jihad, la politica pakistana verso l‟Afghanistan era gestita, di fatto, dall‟ISI grazie al sostegno tecnico e finanziario della CIA, nel periodo 1995-2000 è stato il Ministero dell‟interno a coordinare gli aiuti “ufficiali” al regime taliban, attraverso la Afghan Trade 150 Giunto al potere il 17 luglio 1973, dopo aver destituito con un colpo di stato il Re Zahir Shah (che era anche suo cugino), è stato assassinato il 27 aprile 1978, durante la rivoluzione promossa dal Partito democratico del popolo dell‟Afghanistan. 71 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Development Cell. Contemporaneamente, tuttavia, i taliban mantenevano rapporti con altri soggetti istituzionali pakistani nonché con partiti politici, associazioni di madrasse, ambienti industriali e sodalizi criminali (in particolare, la cosiddetta “mafia di Quetta”) e si sottraevano pertanto ad ogni tentativo di condizionamento da parte di Islamabad; al contrario, furono essi che finirono per influenzare a loro favore la politica del Paese confinante. Infatti, nonostante le pressioni, si rifiutarono di riconoscere la Linea Durand e di rinunciare a rivendicare parti della NWFP, diedero ospitalità ai gruppi estremisti pakistani e si dichiararono a favore di un rovesciamento della dirigenza pakistana filo-occidentale attraverso una rivoluzione islamica. Pesanti danni sono stati inoltre subiti da Islamabad sul piano economico e commerciale a causa dell‟afflusso massiccio di merci di contrabbando provenienti dall‟Afghanistan, dove erano giunte senza pagare i diritti di dogana grazie all‟Afghan Transit Trade (ATT). Tuttavia, la ripercussione più grave è stata l‟avvio, sin dalla fine degli anni ‟90, di un processo di radicalizzazione islamica del Pakistan, il cui potenziale destabilizzante sta pienamente emergendo oggi. L‟opera di islamizzazione ha portato, nelle aree pashtun, alla perdita di potere delle tradizionali strutture tribali a favore degli esponenti più radicali del clero e all‟emarginazione dei partiti nazionalisti in favore di quelli religiosi151. Inoltre, i giovani pashtun che hanno abbracciato i principi del fondamentalismo islamico e si sono uniti al movimento taliban o ad alQaida si considerano parte dello jihad globale e pertanto non si sentono limitati da confini territoriali o da codici di condotta tribali. Nonostante tutto, Islamabad ha continuato a sottovalutare i rischi rappresentati per la sicurezza interna e per l‟immagine internazionale del Paese dal sostegno fornito al movimento taliban nella convinzione, ancora oggi condivisa da ambienti politici e della difesa, che con il suo aiuto possa insediarsi in Afghanistan un governo amico ed alleato, disposto a garantire al Pakistan l‟uso del proprio territorio in caso di guerra con l‟India. Tali ambienti sono convinti che entro pochi anni le forze straniere si ritireranno dall‟Afghanistan, a causa della pressione dell‟opinione pubblica nei loro Paesi; di conseguenza si formerà a Kabul, almeno nella fase iniziale, un esecutivo di coalizione fortemente condizionato dalla presenza di esponenti taliban. Questi, infatti, non sono considerati una minaccia per gli interessi nazionali pakistani perché sono fondamentalisti religiosi e non nazionalisti pashtun. Pertanto, la loro ascesa al potere in Afghanistan è uno sbocco accettabile per Islamabad, che preferirebbe, in alternativa, trovarsi di fronte a un Afghanistan debole e instabile piuttosto che guidato da esponenti tagiki dell‟ex Alleanza del Nord. L‟ambiguità dell‟atteggiamento pakistano nei confronti dell‟Afghanistan è dimostrata anche dalla mancanza di controlli seri ed efficaci sui campi profughi, che spesso sono diventati basi di addestramento per terroristi o centri di traffici illeciti. La situazione è stata favorita anche dalla politica dell‟Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), che ha non ha mai disposto la costituzione di database strutturati attraverso i quali monitorare le presenze nei campi sotto la supervisione di propri Security Officers, lasciando il controllo ai rappresentanti locali delle realtà tribali, spesso legati ai gruppi estremisti. Inoltre, molti profughi afghani fuggiti durante 151 Tale tendenza ha avuto una significativa inversione nelle elezioni del 18 febbraio 2008, vinte nella North West Frontier Province dall‟Awami National Party, di ispirazione secolare. 72 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA l‟invasione sovietica e rifugiatisi nelle aree di Peshawar e Quetta sono ben presto entrati al servizio dei warlord delle aree tribali e per conto di costoro hanno gestito, fino all‟11 settembre 2001, i traffici illeciti verso l‟Estremo Oriente e, passando da Karachi, verso l‟Occidente. Il sostegno fornito da settori dell‟apparato statale pakistano ai gruppi eversivi attivi in Afghanistan è stato all‟origine della tensione che ha caratterizzato i rapporti tra i due Paesi dopo la caduta dei taliban. Il Governo di Kabul e lo stesso Presidente Karzai hanno ripetutamente accusato Islamabad di complicità con i gruppi eversivi, che possono disporre di basi logistiche e addestrative e di strutture di comando nelle aree in prossimità del confine comune. È stato più volte segnalato, in proposito, che i vertici taliban hanno trovato ospitalità nelle zone di Quetta e di Peshawar e che le cellule terroristiche utilizzano le FATA, e in parte anche la NWFP e il Beluchistan, come base per organizzare e condurre attacchi in territorio afghano o come rifugio sicuro per sottrarsi all‟inseguimento delle forze governative e di quelle di ISAF/Enduring Freedom. L‟intelligence afghana avrebbe consegnato a quella pakistana elementi informativi precisi sulla localizzazione del mullah Omar e di altre personalità di primo piano del movimento, senza che quasi mai tale aiuto portasse ad azioni concrete per il loro arresto. Da parte loro, i dirigenti pakistani hanno sempre negato la presenza sul territorio nazionale di esponenti taliban ed hanno accusato il Governo di Kabul di essere incapace di garantire la sicurezza dei propri cittadini da una minaccia che è essenzialmente interna, ricordando di aver schierato circa 100.000 uomini delle forze armate e delle forze paramilitari nelle aree a ridosso del confine per impedire il movimento di nuclei terroristi. Ad inasprire le relazioni bilaterali sono state anche le accuse a Islamabad, da parte di Kabul, di ostacolare gli scambi commerciali afghani ponendo restrizioni al traffico di merci che devono necessariamente utilizzare le vie di comunicazione in territorio pakistano 152. Per contro, il Pakistan non ha mai nascosto le sue preoccupazioni per il rifiuto dell‟Afghanistan di riconoscere formalmente la Linea Durand e di limitare l‟attivismo della diplomazia e dell‟intelligence indiana sul proprio territorio. Il 24 gennaio scorso, il Ministro per l‟informazione e la radiodiffusione, Nisar A. Memon, ha chiesto all‟India di chiudere i centri di informazione (una dozzina) costituti in Afghanistan perché essi diffondono disinformazione sul Pakistan e potrebbero essere implicati in attività terroristiche. Alcuni sospettano un ruolo dell‟intelligence pakistana negli attacchi compiuti, anche recentemente, dai taliban contro le compagnie indiane che hanno in appalto i lavori di ricostruzione in Afghanistan e che hanno provocato la morte di molti dipendenti153. Accuse e sospetti hanno caratterizzato anche la prima parte dei lavori della Joint Peace Jirga, svoltasi a Kabul dal 9 al 12 agosto 2007 con la partecipazione di circa 700 delegati dei due Paesi, in gran parte appartenenti all‟etnia pashtun che abita ai due lati della frontiera. L‟evento, tuttavia, si è chiuso in un clima di collaborazione e di fiducia che peraltro non ha ancora dato risultati concreti 152 Il 21 giugno 2007, operatori economici e dirigenti della Camera Internazionale di Commercio afghana hanno incontrato diplomatici di Islamabad e di New Delhi per denunciare gli ostacoli posti ai traffici commerciali diretti verso i mercati indiani. In particolare, hanno lamentato che le Autorità pakistane consentono solo a cinque autocarri provenienti dall‟Afghanistan di varcare, ogni settimana, il confine con l‟India. Gli altri sono costretti a fermarsi a circa 30 metri dalla linea di confine e devono scaricare le merci con carretti a mano per trasbordarle poi su altri autocarri al di là del valico di frontiera, con un aggravio dei costi e perdita di tempo. 153 In un attentato suicida compiuto il 3 gennaio 2008 nella provincia di Nimruz contro personale della Border Roads Organization (BRO) sono morti due ingegneri indiani e 11 guardie di sicurezza afghane. 73 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA verso il superamento dei contenziosi anche perché l‟attenzione del governo di Islamabad è stata completamente assorbita dalla crisi politica interna e dal grave deterioramento della condizioni di sicurezza nel Paese. La Jirga si è conclusa con l‟approvazione di una Dichiarazione in cui si sottolinea, tra l‟altro, che il terrorismo è una comune minaccia per Afghanistan e Pakistan; pertanto la guerra a tale fenomeno dovrebbe continuare ad essere una parte integrante delle politiche nazionali e delle strategie di sicurezza. Acquista particolare interesse, in tale quadro, il discorso pronunciato alla chiusura dei lavori dal Presidente Musharraf, che aveva disertato la cerimonia di apertura adducendo problemi urgenti di carattere interno e si era fatto sostituire dal Primo Ministro Shaukat Aziz. Musharraf ha riconosciuto, per la prima volta dopo averlo sempre negato in precedenza, che i gruppi terroristi attivi in Afghanistan dispongono di appoggi in territorio pakistano aggiungendo, rivolto alla delegazione afghana, che “il problema che voi avete deriva anche da questo appoggio”. Contestualmente, tuttavia, ha ribadito che il suo Governo sta facendo quanto in suo potere per porre fine a ogni forma di sostegno transfrontaliero al terrorismo, aggiungendo che il Pakistan vuole un Afghanistan forte, pacifico e stabile. Egli ha anche sottolineato che l‟instabilità nelle aree tribali è anche una conseguenza dello jihad combattuto in Afghanistan contro le forze sovietiche e della guerra civile che è seguita al ritiro delle truppe di Mosca. Di conseguenza, i due Paesi, legati da forti vincoli religiosi, culturali, etnici e storici, devono rafforzare la fiducia reciproca se vogliono vincere la guerra ai gruppi eversivi, che non solo compiono atti di violenza contro la popolazione civile e il personale governativo, ma stanno ostacolando la crescita economica e la prosperità sia del Pakistan che dell‟Afghanistan. Musharraf ha infine ricordato che in questa guerra devono essere esercitate contemporaneamente sia l‟opzione militare che quella politica, in particolare impegnandosi a migliorare il tenore di vita e a vincere il senso di alienazione della popolazione delle aree che danno ospitalità a gruppi estremisti. Ha anche precisato che i taliban sono una componente della società afghana; molti di essi sono ignoranti e malguidati ma ciò non significa che tutti siano militanti fanatici e irriducibili, che sfidano anche i valori fondamentali dell‟islam. Da parte sua, Karzai ha ribadito il desiderio del suo Paese per relazioni fraterne, cordiali e collaborative con il Pakistan assicurando l‟impegno del Governo di Kabul a contribuire a uno sforzo congiunto per combattere il terrorismo. Sono state in tal modo superate alcune “provocazioni” e asprezze che avevano contrassegnato il dibattito, quale l‟iniziativa di alcuni delegati pakistani, che hanno proposto la chiusura dei consolati indiani di Kandahar e Jalalabad e la sostituzione dei militari di ISAF/Enduring Freedom con altri provenienti dai Paesi musulmani. Le richieste sono state respinte perché riguardanti aspetti strettamente attinenti alla politica estera e di sicurezza afghana. Nello stesso contesto non ha suscitato strascichi l‟intervento del Primo Ministro pakistano, Shaukat Aziz, il quale ha ribadito che l‟Afghanistan deve confrontarsi con un problema interno e non può pertanto attribuire ai Paesi vicini la colpa di eventuali fallimenti. Non bisogna dimenticare, infatti, che i taliban sono afghani. Egli ha anche aggiunto che mentre le azioni di al-Qaida devono essere contrastate con determinazione, utilizzando principalmente la forza, il problema taliban deve essere affrontato ricorrendo, come prima opzione, a strumenti politici. 74 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Da parte sua, il Presidente della Meshrano Jirga, Sibghatullah Mujaddidi, ha sottolineato che i terroristi non si infiltrano in Afghanistan dalla Cina, dall‟Iran, dal Tagikistan o dall‟Uzbekistan, ma dal Pakistan, dove hanno rifugi sicuri. Essi non sono appoggiati dal Governo di Islamabad ma da gruppi che si oppongono alla pace e alla collaborazione tra i due Paesi. Ha quindi auspicato che gli esponenti della Muttahida Majlis-i Amal (MMA), coalizione di sei Partiti religiosi pakistani di orientamento radicale) si impegnino per eliminare le radici del terrorismo. Altri aspetti interessanti emersi nel corso dei lavori o recepiti nelle conclusioni sono, da un lato, la consapevolezza mostrata dalla maggioranza dei delegati dell‟esistenza di minacce comuni, costituite dal terrorismo e dalla produzione e traffico di droga e, dall‟altro lato, la definizione di meccanismi che, attraverso una Jirga ristretta, dovrebbero portare avanti lo sforzo iniziato con la Joint Peace Jirga, coinvolgendo sempre più direttamente le popolazioni pashtun nella lotta al terrorismo e al narcotraffico. Dopo la Joint Peace Jirga sono venuti meno i toni aspri che hanno spesso caratterizzato i rapporti tra Pakistan e Afghanistan. La dirigenza di Kabul continua a denunciare la presenza in territorio pakistano di rifugi sicuri per i gruppi eversivi, ma cerca di evitare accuse di connivenza e complicità nei confronti della dirigenza o dell‟apparato di sicurezza di Islamabad. D‟altronde, il sensibile incremento registrato in Pakistan, nel corso del 2007, degli attentati contro esponenti governativi, funzionari delle agenzie di intelligence e reparti militari sembra costituire un segnale della rottura di quei rapporti di collaborazione che si erano consolidati nel corso dei decenni tra gruppi estremisti e settori dell‟apparato dello Stato e che sono sempre stati denunciati da Kabul. Nello stesso contesto i partiti religiosi pakistani, sconfitti nelle elezioni del 18 febbraio 2008, stanno prendendo le distanze dai gruppi terroristici condannano forme di lotta definite dannose per l‟immagine dell‟islam; è quindi improbabile che vogliano continuare ad essere il braccio politico del movimento armato. La piena normalizzazione dei rapporti bilaterali si potrà avere solo con un miglioramento della situazione di sicurezza nei due Paesi, che eliminerebbe molti elementi di tensione, e con la rinuncia convinta di Islamabad a ogni pretesa egemonica sull‟Afghanistan. Da parte sua, Kabul dovrà riconsiderare il rifiuto al riconoscimento della Linea Durand, che è stata sancita dalla storia e pertanto potrà subire solo aggiustamenti minimi e condivisi, inoltre, dovrà resistere alla tentazione di sfruttare a proprio vantaggio la rivalità tra i Paesi confinanti che aspirano ad allargare la propria sfera di influenza in ambito regionale. 9.3. India: un alleato molto interessato New Delhi ha mostrato sempre grande attenzione agli sviluppi interni in Afghanistan ma la sua politica nei confronti di Kabul non ha avuto quasi mai il carattere intrusivo di quella di Teheran e, specialmente, di Islamabad ed è stata finalizzata soprattutto a contrastare la penetrazione nel Paese da parte del Pakistan, salvaguardando nel contempo il quadro di alleanze internazionali costruito nel corso dei decenni. Tale obiettivo è stato conseguito principalmente con strumenti finanziari pur lasciando spazio anche alle attività delle agenzie di intelligence. 75 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA L‟India è stato tra i pochi Paesi del continente ad appoggiare l‟invasione sovietica dell‟Afghanistan: si è trattato di una scelta quasi obbligata visti i rapporti che al tempo la legavano a Mosca e il ruolo che stava svolgendo il Pakistan nel sostegno al jihad contro gli occupanti. Dopo la comparsa sulla scena afghana dei taliban, New Delhi ha dato il suo sostegno agli esponenti governativi che in seguito avrebbero dato vita all‟Alleanza del Nord, fornendo loro, in maniera non ufficiale, aiuti logistici e finanziamenti. Tale appoggio si è fatto più rilevante e palese dopo l‟ascesa al potere del movimento del mullah Omar e dopo il sequestro, da parte di un gruppo di estremisti islamici, di un aereo della India Airlines in volo da Kathmandu a New Delhi (24 dicembre 1999), dirottato su Kandahar. In quell‟occasione il regime taliban ha chiesto il riconoscimento diplomatico da parte di New Delhi in cambio dell‟aiuto nei negoziati con i sequestratori, ma la richiesta è stata respinta154. In seguito si sono intensificate le consegne di armi e materiali ai mujahiddin del comandante Ahmad Shah Massud, utilizzando una base area tagika messa a disposizione dal Governo di Dushanbe. Con il suo sostegno la dirigenza indiana voleva impedire il consolidamento a Kabul di un regime di ispirazione fondamentalista che, oltre ad essere strettamente legato al Pakistan, dava ospitalità a gruppi terroristici, in particolare ad al-Qaida, impegnati in attività eversive nello Jammu e Kashmir. New Delhi, pertanto, ha accolto con favore la sconfitta delle milizie taliban e l‟insediamento delle nuove istituzioni, guidate da una personalità, Hamed Karzai, che tra l‟altro aveva studiato in una università indiana. L‟India si è subito impegnata a sostenere il processo di ricostruzione con il finanziamento di opere di grande rilievo quali strade, dighe, scuole e ospedali. Molti di questi progetti vengono realizzati dalla Border Road Organization, un‟impresa di costruzioni che lavora principalmente per le forze armate indiane. Per proteggere i dipendenti, oggetti di continui attentati da parte dei taliban e degli altri gruppi terroristici, New Delhi ha inviato in Afghanistan, nel mese di marzo 2006, una unità della Indo Tibetan Border Police, formata da 200 uomini. L‟India vede con preoccupazione l‟apertura di spazi negoziali tra le autorità afghane e la comunità internazionale, da una parte, e i taliban, dall‟altra. Qualora tali ipotesi si concretizzassero il Governo di New delhi potrebbe rivedere la sua politica nei confronti di Kabul in quanto è convinta che un eventuale accordo porterebbe benefici solo al Pakistan. Islamabad, infatti, potrebbe ritrovare, tramite l‟ISI, la sua influenza sull‟Afghanistan allo scopo di recuperare la “profondità strategica” di cui le proprie forze armate hanno bisogno. Nello stesso tempo, tuttavia, all‟interno della dirigenza indiana si sarebbe aperto un confronto sull‟opportunità di rafforzare i rapporti con elementi nazionalisti della etnia pashtun. L‟interesse di New Delhi per l‟Afghanistan rientra in una strategia di grande respiro e continuerà anche dopo un‟eventuale normalizzazione dei rapporti con il Pakistan. I dirigenti indiani sono consapevoli, infatti, che chi controlla l‟Afghanistan controlla anche le vie di comunicazioni terrestri tra il sub-continente asiatico e l‟Asia centrale ricca di petrolio e di risorse minerarie. Inoltre, i lavori di ricostruzione in Afghanistan, anche se al momento rallentati per le precarie 154 Passeggeri ed equipaggio sono stati liberati il 31 dicembre successivo dopo la scarcerazione di tre terroristi detenuti nelle prigioni indiane. 76 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA condizioni di sicurezza, offrono alle imprese indiane, tecnologicamente avanzate e gestite con notevole spregiudicatezza, la possibilità di aggiudicarsi contratti molto vantaggiosi finanziati dalla comunità internazionale. 9.4. Russia e Cina: un ruolo minore, ma significativo Tra gli altri Paesi più direttamente interessati all‟evoluzione della situazione afghana, meritano attenzione la Russia e la Cina che, per le loro potenzialità economiche e le loro aspirazioni di potenza, cercano di rafforzare la propria presenza nel Paese anche per meglio monitorare le iniziative reciproche nonché quelle statunitensi. Dopo il ritiro delle proprie truppe nel 1989, Mosca ha continuato ad appoggiare il Governo diretto da Najibullah ma alla sua caduta ha rinunciato ad ogni tentativo di influenzare le vicende interne del Paese, sconvolto dalla guerra civile. A seguito della conquista di Kabul da parte delle milizie taliban e dell‟inizio delle offensive per prendere il controllo anche delle regioni settentrionali del Paese, Mosca è tornata ad occuparsi dell‟Afghanistan per il timore che l‟arrivo al potere di un regime fondamentalista favorisse la diffusione del radicalismo anche tra le popolazioni musulmane dell‟Asia centrale ex-sovietica e delle Repubbliche russe del Caucaso. Ha quindi iniziato a fornire aiuti all‟Alleanza del Nord, vista come un baluardo contro l‟arrivo delle milizie islamiche ai confini asiatici dell‟ex URSS. In tale periodo la Russia ha stretto rapporti di collaborazione con gli esponenti tagiki raccolti intorno a Massud e Rabbani, che tuttora continuano ad essere gli interlocutori privilegiati della diplomazia russa nell‟ambito delle nuove istituzioni afghane, per quanto Mosca abbia relazioni molto amichevoli anche con Karzai. Questi, del resto, secondo alcuni ambienti politici di Kabul, starebbe cercando di rafforzare la cooperazione con la Russia quale opzione alternativa in caso di disimpegno degli USA, peraltro al momento poco probabile. Da parte sua, il Cremlino mira a riempire un eventuale vuoto lasciato da Washington e a contrastare un possibile ritorno al potere dei taliban. Sull‟atteggiamento di Mosca verso l‟Afghanistan incide anche l‟attuale raffreddamento delle sue relazioni con l‟Amministrazione Bush. Infatti, il 19 settembre 2007 il rappresentante russo all‟ONU si è astenuto nella votazione del Consiglio di Sicurezza che prorogava la missione di ISAF, poiché la risoluzione conteneva una frase, assente in quelle precedenti, con cui si esprimeva apprezzamento per il contributo fornito dai vari Paesi, tra il quali il Giappone con la sua maritime interdiction component. Nell‟occasione, il rappresentante cinese ha sollevato obiezioni ma ha votato a favore. Ciononostante, Mosca ha mostrato disponibilità a negoziare con la NATO la concessione di un corridoio terrestre per il trasporto di rifornimenti (non militari) alle forze di ISAF/Enduring Freedom. Nell‟intesa verrebbero coinvolti anche alcuni Paesi dell‟Asia centrale che fanno parte dell‟Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva. L‟apertura di questa nuova linea di comunicazione permetterebbe di ridurre la dipendenza dalle rotabili che attraversano il territorio pakistano, sulle quali si sta accentuando la minaccia dei gruppi eversivi. Nel periodo 2002-2005 la Russia ha fornito all‟Afghanistan aiuti militari per un valore di circa 200 milioni di dollari. A seguito della recrudescenza dell‟attività eversiva, Kabul ha chiesto, ed 77 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA ottenuto, la ripresa delle forniture. Nell‟agosto 2007, la Russia ha annullato il 90% del debito, pari a 11,3 miliardi di dollari, maturato dall‟Afghanistan con l‟ex URSS e ha ripreso i programmi di assistenza a Kabul privilegiando la cooperazione in campo economico e nel settore della lotta alla droga. Al riguardo, Mosca ha assicurato l‟addestramento di personale delle strutture impegnate nel contrasto al narcotraffico. Il ruolo della Cina si manifesta principalmente sul piano economico ed è diretto a rafforzare la stabilità del Paese anche per evitare che si consolidino i collegamenti tra i gruppi eversivi attivi in Afghanistan e i nazionalisti uighuri, di religione musulmana, dello Xinjang, che Pechino considera terroristi. Di recente, il Ministro degli esteri cinese ha promesso sbocchi commerciali sul mercato interno per i prodotti afghani; inoltre, durante le Conferenze di Tokyo e di Londra, Pechino ha concesso a Kabul finanziamenti per 160 milioni di dollari. La presenza economica cinese è destinata ad aumentare in maniera significativa nei prossimi anni poiché la compagnia China Metallurgical Group ha vinto un contratto per lo sfruttamento della miniera di rame di Aynak (nella provincia di Lowgar), che prevede investimenti per 3 miliardi di dollari e darà lavoro, compreso l‟indotto, a circa 10.000 dipendenti. Il contratto, il più importante firmato sinora da Kabul, offre a Pechino anche notevoli opportunità di penetrazione politica, soprattutto se riuscirà a trasformare in tempi brevi la situazione sociale delle popolazioni della provincia di Lowgar e di quelle contigue. 78 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 10. L’assistenza internazionale: forti squilibri ed assenza di coordinamento 10.1. La missione ISAF Dall‟inizio del 2002, è operativa in Afghanistan la missione ISAF, autorizzata il 20 dicembre 2001 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con la risoluzione 1386 che ha recepito la proposta contenuta nell‟Allegato 1 dell‟Accordo di Bonn155. Tale missione ha lo scopo di assistere le autorità afghane a garantire un ambiente sicuro per tutti i soggetti, nazionali ed internazionali, impegnati nella soluzione della crisi e nella ricostruzione del Paese. Secondo il par. 1 della risoluzione citata, infatti, il Consiglio di Sicurezza ha disposto, ai sensi del cap. VII della Carta ONU, «…l’istituzione di una forza armata multinazionale con un mandato della durata di sei mesi, incaricata di assistere l’Autorità ad interim afghana a ristabilire e mantenere la sicurezza a Kabul e nelle aree limitrofe, affinché sia le autorità afghane che il personale delle Nazioni Unite possano operare in un ambiente sicuro». La risoluzione ha disciplinato i caratteri generali della missione156. Il Consiglio ha richiamato tutti i Paesi membri «…a contribuire alla missione mettendo a disposizione il proprio personale militare, l’equipaggiamento e le altre risorse necessarie alla formazione della Forza internazionale di sicurezza…» (par. 2); ha autorizzato gli Stati partecipanti ad ISAF «…ad utilizzare tutte le misure reputate necessarie per svolgere il mandato ricevuto» (par. 3), lasciando in tal modo alle Nazioni aderenti ampio margine di decisione nella scelta degli strumenti da impiegare; ha altresì chiesto al personale di ISAF «…di operare in stretta consultazione con l’Autorità provvisoria afghana e con il Rappresentante Speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per l’Afghanistan» (par. 4) e di assistere le nuove istituzioni di Kabul “.. nella formazione e preparazione delle nuove forze armate e di sicurezza nazionali» (par. 10). Il mandato di ISAF è stato successivamente prorogato dal Consiglio di Sicurezza dell‟ONU alle sue scadenze semestrali e, in seguito, annuali. Inizialmente lo schieramento della missione è stato limitato alla sola area di Kabul mediante l‟impiego di 5 mila uomini forniti da 18 Paesi. Attualmente ISAF opera con oltre 43.000 militari messi a disposizione da 40 Stati e dislocati su tutto il territorio afghano157. Mentre i primi tre mandati di ISAF sono stati diretti dal Consiglio di Sicurezza dell‟ONU che ne ha affidato la guida, rispettivamente, a Regno Unito, Turchia e comando del Corpo d‟Armata combinato tedesco-olandese, a partire dall‟aprile del 2003 il comando è stato assunto dalla NATO, in seguita ad una esplicita richiesta in tal senso del Governo ad interim afghano. Nell‟ottobre dello stesso anno, mediante la risoluzione 1510(2003), il Consiglio di Sicurezza ha autorizzato l‟espansione del mandato della missione al resto del Paese. Tale processo si è sviluppato secondo l‟Operational Plan NATO n. 10302 che prevedeva quattro stage. Le truppe di ISAF si sono 155 Si veda il capitolo 1, pag. 1. Gli aspetti prettamente operativi sono stati specificati con l‟Accordo tecnico militare, firmato il 4 gennaio 2002 dal Comandante di ISAF, il Gen. John McColl, e il Ministro degli esteri afghano, Abdullah Abdullah. 157 Si veda la scheda in allegato VI, pag. 126. 156 79 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA schierate dapprima, nell‟ottobre 2004, nelle province settentrionali (stage 1); successivamente, nel settembre 2005, nella regione occidentale (stage 2); nel luglio 2006 nelle province meridionali (stage 3) e, nell‟ottobre dello stesso anno, in quelle orientali (stage 4). Nel momento in cui i contingenti della Forza di sicurezza internazionale sono avanzati nel territorio afghano, essi si sono sostituiti e, per certi aspetti affiancati, a quelli impegnati nell‟Operazione Enduring Freedom. A differenza di ISAF, quest‟ultima è una coalizione ad hoc di Stati istituita senza l‟autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, ma per volontà del Governo degli Stati Uniti al fine di esercitare il proprio diritto di legittima difesa, sancito dall‟art. 51 della Carta ONU, all‟indomani degli attentati dell‟11 settembre 2001. Difatti, il 7 ottobre 2001 le forze impegnate nell‟Operazione Enduring Freedom hanno iniziato la loro offensiva in Afghanistan, supportate inizialmente dalle milizie dell‟Alleanza del Nord e in seguito da quelle pashtun delle province meridionali, con l‟obiettivo di abbattere il regime taliban ed eliminare ogni presenza terrorista dal Paese. Attualmente l‟Operazione Enduring Freedom continua con l‟impiego di circa 12.000 militari, principalmente statunitensi, che conducono attività di counterinsurgency nelle aree dove la minaccia terroristica è più forte, cioè soprattutto nelle province meridionali e in quelle orientali al confine con il Pakistan. Durante le prime due fasi dell‟espansione del suo mandato, ISAF ha contributo a garantire un buon livello di sicurezza e di stabilità, tanto da consentire lo svolgimento delle elezioni presidenziali, nell‟ottobre 2004, e di quelle per la Camera bassa (Wolesi Jirga) e i 34 Consigli provinciali, nel settembre 2005. Il successo ottenuto è stato possibile anche grazie all‟impiego delle Squadre di ricostruzione provinciale (Provincial Reconstruction Team - PRT), formate da personale militare e civile, che lavorano per garantire sicurezza alle attività di aiuto internazionali, per contribuire alle operazioni di assistenza umanitaria e ai compiti di ricostruzione e per favorire l‟espansione a livello provinciale dell‟autorità dello Stato. I PRT sono operativi già dal gennaio 2003 e sinora ne sono stati costituiti 25, dislocati su tutto il territorio afghano. Dal 2006, a seguito della recrudescenza dell‟attività terroristica conseguente alla riorganizzazione dei gruppi eversivi, i PRT hanno dovuto impegnarsi anche alle attività di contrasto riducendo l‟impegno a favore della ricostruzione e del supporto allo state building. L‟aggravarsi della situazione di sicurezza in Afghanistan è coinciso con l‟espansione del mandato di ISAF verso le province meridionali al confine con il Pakistan, dove è più forte la presenza di cellule eversive. In previsione dell‟attuazione degli stage 3 e 4, nel dicembre 2005 i vertici dell‟Alleanza Atlantica hanno modificato i piani operativi relativi alla missione. Essi erano consapevoli del fatto che, al fine di perseguire il mandato nelle regioni a sud e ad est, le forze di ISAF avrebbero dovuto essere impiegate anche in operazioni di combattimento; per tale motivo hanno iniziato ad esortare gli Stati membri ad autorizzare i propri contingenti a condurre azioni che richiedevano un uso della forza maggiore e più rischioso di quanto fosse stato necessario nelle prime fasi di espansione, ad aumentare il numero dei militari e dei mezzi in teatro, ad eliminare, o quantomeno a ridurre, i caveat (restrizioni) posti sull‟impiego delle loro truppe, per consentire al Comandante di ISAF (COMISAF) di dislocarle, in caso di emergenza, su tutto il territorio. 80 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA La necessità di modificare l‟approccio alla missione, insieme all‟aggravarsi del livello di sicurezza in tutto il Paese e all‟aumento dei rischi, hanno ridotto il consenso dell‟opinione pubblica occidentale nei riguardi dell‟intervento militare in Afghanistan e creato divisioni tra gli Stati membri della NATO riguardo al rispettivo contributo alle operazioni. Infatti, al momento di completare l‟espansione del mandato nelle province meridionali ed orientali, alcuni Stati, tra i quali il Canada, l‟Olanda, la Polonia, il Regno Unito e gli USA, insieme ad altri Paesi non membri, cioè l‟Australia e la Nuova Zelanda, hanno risposto agli appelli e preso parte alle operazioni Medusa e Mountain Fury, condotte, rispettivamente, a sud e ad est. Altre Nazioni, invece, quali la Francia, la Germania, l‟Italia e la Spagna, non hanno incrementato in maniera significativa i propri contingenti e si sono anche rifiutate di eliminare i caveat e di autorizzare il trasferimento di reparti dalle aree in cui sono dislocati a quelle dove è più elevato il livello di conflittualità. A supporto di tale atteggiamento è stato sottolineato il fatto che, in base alla Risoluzione 1386 (2001), ISAF opererebbe in Afghanistan con un mero mandato di stabilizzazione e non di counterinsurgency o relativo alla conduzione di operazioni di combattimento; attività che invece sono peculiari dell‟operazione Enduring Freedom. I contrasti in merito al contributo dei vari Paesi e al profilo della missione dei rispettivi contingenti non hanno trovato soluzione durante le occasioni di confronto susseguitesi dopo il completamento dell‟estensione ad est dell‟area di responsabilità di ISAF, quale, ad esempio, il Vertice di Riga del 28 e 29 novembre 2006. Al contrario, le tensioni sono aumentate. È stata emblematica, sotto questo aspetto, la riunione dei Ministri della difesa dei Paesi NATO tenutasi a Noordwijk, in Olanda, tra il 24 e il 25 ottobre 2007, in cui la maggior parte degli Stati membri dell‟Alleanza si è mostrata indisponibile a rafforzare i propri contingenti in Afghanistan. Durante il meeting, infatti, tale posizione è stata ribadita non solo dai Paesi che mantengono i caveat, ma anche da diverse Nazioni impegnate in prima linea nelle aree a sud e ad est del Paese, le quali hanno manifestato la volontà di non inviare nuovi reparti perlomeno finché non aumenterà in contributo di tutti gli altri Stati. In ogni caso, i contributi annunciati da alcuni Governi hanno un carattere prevalentemente simbolico, dal momento che la quantità delle risorse promesse è insufficiente per perseguire gli scopi della missione. In Olanda, come già in precedenti occasioni, il Segretario alla difesa statunitense, Robert Gates, ha esortato gli alleati europei a un maggiore impegno militare in Afghanistan e ha ribadito il proprio disappunto per il fatto che, mentre gli Stati Uniti da soli forniscono oltre la metà delle truppe straniere presenti nel Paese, le Nazioni europee contribuiscono solamente per il 31%. Durante l‟incontro di ottobre, inoltre, i Ministri olandese e canadese hanno sottolineato la possibilità di un ritiro dei propri contingenti dall‟Afghanistan a causa delle pressioni delle rispettive opinioni pubbliche. Tale eventualità è stata parzialmente scongiurata dagli eventi successivi. Infatti, il 18 dicembre successivo il Parlamento olandese ha prorogato la durata della missione sino al mese di luglio 2010; inoltre, quello canadese ha approvato a larga maggioranza, il 14 marzo, la proposta del Governo di estendere sino alla fine del 2011 la missione del proprio contingente nella provincia di Kandahar, subordinandola, tuttavia, all‟afflusso nell‟area, entro il 2008, di rinforzi in uomini e mezzi da parte di altri Paesi di ISAF. 81 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Nel meeting di Noordwijk le uniche dichiarazioni positive sono state rilasciate dai vertici della NATO: secondo il Segretario generale Jaap de Hoop Scheffer, infatti, in Afghanistan è stato determinante il contributo di ciascuno Stato membro per conseguire i notevoli progressi raggiunti dalla missione ISAF. In linea con quanto affermato, il Segretario generale ha altresì smentito il fatto che l‟Alleanza Atlantica stia attraversando una fase di crisi. Tuttavia, la realtà è ben diversa. Negli ultimi due anni, le divisioni tra i Paesi NATO stanno incidendo negativamente sull‟andamento delle operazioni di ISAF, che non è riuscita a conseguire gli obiettivi preposti, sia di natura politica che di carattere prettamente militare ed operativo. Infatti, le forze messe a disposizione dagli Stati membri non consentono di condurre azioni più incisive su tutto il territorio afghano e di mantenere saldamente il controllo delle zone sottratte ai gruppi eversivi. Di conseguenza i contingenti di ISAF non sono stati in grado di stabilizzare le aree di crisi a sud e ad est del Paese, subendo, al contrario, le iniziative militari dei ribelli anche in province considerate in precedenza relativamente sicure. In tale quadro, la riconquista, avvenuta il 10 dicembre 2007, del distretto di Musa Qala (nella provincia di Helmand), che dal febbraio precedente era sotto il controllo dei taliban, pur rappresentando un importante successo in campo tattico non costituisce ancora un segnale che la guerra contro il terrorismo stia per essere vinta. Inoltre, a causa dell‟elevato numero di vittime civili provocate dai bombardamenti delle forze di sicurezza internazionali, si stanno rafforzando tra la popolazione afghana i sentimenti di avversione e di intolleranza per la presenza dei militari stranieri. Allo stato attuale, ISAF quantifica l‟esigenza di rinforzi in tre battaglioni di fanteria, 3.000 istruttori e 20 elicotteri, per complessivi 7.200 uomini, ma appare difficile che tali carenze possano essere completamente superate in breve tempo, anche se Washington ha deciso l‟invio di teatro, entro la primavera, di 3.200 marines, di cui 2.200 da impegnare nelle province meridionali per la lotta ai gruppi terroristi e 1.000 per l‟addestramento delle forze di sicurezza afghane. Con tale decisione, l‟Amministrazione USA ha preso atto dell‟indisponibilità degli altri Paesi NATO ad aumentare in modo significativo i propri contingenti. Tuttavia, la frustrazione del Pentagono per la scarsa attenzione degli alleati alle esigenze di ISAF si è manifestata in una intervista concessa da Robert Gates al Los Angeles Times, in cui egli ha espresso la propria preoccupazione perché la NATO sta schierando in Afghanistan consiglieri militari e reparti non addestrati alle operazioni di counterinsurgency. Inoltre, in una audizione al Senate Armed Services Committee (6 febbraio 2008), Gates ha dichiarato di temere la trasformazione della NATO “into a two-tiered alliance”: da una parte i Paesi che sono disposti a combattere e a morire, dall‟altra quelli che non lo sono. Tali critiche appaiono in parte fondate. Infatti, i livelli di forza e gli stanziamenti per la difesa in gran parte dei Paesi dell‟Alleanza sono bassi e molti Governi hanno fornito unità poco adatte a operazioni di combattimento; inoltre, incontrano difficoltà a convincere le forze politiche e l‟opinione pubblica sulla necessità di un diverso profilo della missione, che preveda chiaramente la possibilità di essere coinvolti in azioni di contrasto al terrorismo. Di recente, tuttavia, si è avuta 82 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA conferma che il governo francese sta riconsiderando la propria politica afghana e potrebbe decidere l‟invio di alcuni reparti nelle province sud-orientali del Paese, al confine con il Pakistan158. Tuttavia, anche gli USA hanno fatto i loro errori, in particolare riducendo affrettatamente il loro impegno in Afghanistan per attaccare l‟Iraq. Inoltre, anche se essi forniscono circa la metà dei militari di ISAF/Enduring Freedom, sono il Regno Unito, il Canada e l‟Olanda che sostengono il peso maggiore dei combattimenti. In particolare, il tasso di perdite canadesi, in rapporto al numero dei militari impiegati, è più alto di quello subito dalle forze statunitensi. In tale quadro, molti osservatori ritengono che dopo l‟uscita di scena di Bush dovrebbero essere superate le incomprensioni tra l‟Amministrazione di Washington e gli altri Paesi NATO, grazie anche allo schieramento in Afghanistan di unità destinate all‟impiego sul terreno iracheno, che non sarebbe più prioritario. In alcuni momenti è stata ventilata la possibilità rafforzare il dispositivo militare in Afghanistan schierando nel Paese la NATO Response Force (NRF), ma tale soluzione non sembra poter risolvere le attuali difficoltà159. Infatti, come dichiarato il 19 settembre scorso dal portavoce dell‟Alleanza Atlantica, James Apparthurai, a causa degli alti costi di gestione e di organizzazione, per salvaguardare il progetto della NRF l‟Alleanza si vedrà costretta a ridurne la consistenza, con conseguenti riflessi negativi sulle sue capacità di intervento. I problemi derivanti dall‟inadeguatezza del dispositivo di ISAF, almeno sul piano quantitativo, possono essere superati con il miglioramento della capacità operativa delle forze di sicurezza afghane, al momento ancora insoddisfacente e inoltre poco omogenea fra le varie componenti. Tra queste, è la polizia che manifesta le carenze più gravi; i suoi effettivi appaiono spesso scarsamente motivati, anche a causa dei ritardi nel pagamento delle retribuzioni, peraltro molto basse, e mancano di addestramento, equipaggiamenti e supporto logistico adeguati. Essi si sono dimostrati incapaci di presidiare le aree sottratte al controllo dei gruppi taliban, che quindi, in poco tempo, hanno potuto recuperare le posizioni perdute. Inoltre, sono molto frequenti le denunce dei cittadini per i soprusi e le violenze che subiscono da agenti e ufficiali così come è largamente diffusa la convinzione che la polizia sia l‟organismo più corrotto di tutto lo Stato. In più occasioni sono stati inoltre segnalati episodi di connivenza con i gruppi eversivi o i sodalizi criminali, a conferma di livelli di affidabilità assai problematici160. La situazione è ben nota al Governo di Kabul, ma i provvedimenti allo studio e quelli già attuati, in particolare un incremento delle retribuzioni e una maggiore severità nell‟arruolamento, non sono 158 Lo scorso anno Parigi ha ritirato 200 uomini delle forze speciali, che combattevano sotto il Comando di Enduring Freedom, lasciandone 50 per l‟addestramento delle forze speciali afghane. 159 La NRF, dichiarata formalmente operativa nel 2006 anche se il progetto è stato approvato in occasione del Vertice di Praga del 2002, è un raggruppamento di forze ad elevato livello di prontezza e dotate di equipaggiamenti tecnologicamente avanzati, costituita da componenti terrestri, navali ed aeree (per un totale di 25.000 uomini) in grado di essere schierate in tempi brevi (5 giorni) ovunque ve ne sia la necessità e con una autonomia logistica di 30 giorni. La NRF rappresenta l‟aspetto più qualificante della nuova dottrina strategica adottata dalla NATO nel 1999, la quale presuppone che l‟Alleanza Atlantica ricopra, nel nuovo ordine internazionale, il ruolo di organizzazione difensiva capace di intervenire a livello globale e in qualunque scenario di crisi. 160 Il 20 febbraio scorso i taliban hanno attaccato un check point della polizia nella provincia di Lowgar e si sono impadroniti, senza sparare un colpo, di armi, munizioni ed apparati vari grazie alla complicità dei 10 agenti di servizio. 83 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA ancora sufficienti. È necessario inoltre un maggiore impegno dei Paesi stranieri per il miglioramento dei livelli di addestramento del personale e delle dotazioni di equipaggiamenti. Per quanto riguarda il primo aspetto, è ancora inadeguato il numero degli istruttori messi a disposizione, che peraltro non sempre hanno i requisiti necessari di esperienza e professionalità. Di conseguenza, saranno limitati i benefici che porterà il completamento dello schieramento sul territorio afghano, entro il prossimo mese di aprile, della European Union Police Mission in Afghanistan (EUPOL Afghanistan), formata da soli 195 uomini. Risultati più significativi potranno giungere da un aumento dell‟organico, annunciato ma non ancora definito161. In futuro, tuttavia, le esigenze cresceranno poiché il 1° maggio 2007 il Joint Coordination and Monitoring Board ha deciso l‟aumento dei livelli di forza dai circa 60.000 uomini attuali a 82.000, dei quali 18.000 per la polizia di frontiera, 11.271 per la polizia ausiliaria e 4.995 per la Afghanistan National Civil Order Police. Ad ogni modo, senza un adeguato addestramento e una forte motivazione i nuovi effettivi non miglioreranno il contributo della polizia al mantenimento dell‟ordine e della sicurezza, ma rappresenteranno, invece, un ulteriore fattore di instabilità. Per quanto in misura minore, carenze si registrano in tutte le componenti del sistema di scurezza afghano. Infatti, anche l‟Afghanistan National Army (ANA), nonostante le dichiarazioni ottimistiche dei vertici e i buoni risultati conseguiti, ha livelli di capacità operativa complessiva ancora inadeguati a causa soprattutto della carenza di equipaggiamenti moderni, artiglieria e velivoli162. Inoltre, sono state riscontrate lacune nel settore addestrativo perché molti effettivi hanno un basso livello d‟istruzione (quando non sono totalmente analfabeti) e pertanto incontrano difficoltà nell‟apprendere l‟uso di apparati moderni o la condotta di procedure tattiche complesse. Inoltre, per quanto la motivazione sia superiore a quella della polizia, si registrano ancora numerose diserzioni. Di conseguenza, anche se gli effettivi dovrebbero raggiungere i 70.000 uomini entro breve termine (per arrivare successivamente a 86.000), solo poco più della metà di essi può essere impiegata in azioni di combattimento. Negli ultimi mesi, tuttavia, l‟ANA è stata in grado di condurre operazioni autonome a livello di battaglione e sta migliorando progressivamente la sua capacità di comando e controllo163. Le unità sono affiancate da Operational Mentor and Liaision Team (OMLT)164, con un organico di 20-30 uomini ciascuno, ma il loro numero è fortemente inadeguato rispetto alle necessità (ne servirebbero almeno 100)165. Una volta completato il processo di costituzione, la componente terrestre dell‟ANA sarà formata da 13 brighate di fanteria leggera, una brigata meccanizzata e una brigata commando, inquadrate in cinque Corpi d‟armata. Il numero dei militari impiegati da ISAF resta, in generale, insufficiente a condurre le operazioni che la situazione di sicurezza richiederebbe; oltretutto, i caveat nazionali limitano la capacità di comando e controllo di COMISAF facendo mancare alle unità schierate nelle aree dove 161 Il Governo tedesco ha comunicato che raddoppierà il numero dei propri funzionari di polizia assegnati all‟EUPOL (attualmente 60) se anche altre Nazioni faranno lo stesso. 162 Il Corpo d‟armata aereo dovrebbe raggiungere la piena operatività nel 2015, con un organico di 7.400 militari (attualmente sono 1.950) e 112 velivoli di vario tipo. 163 Alla fine del febbraio 2008 un battaglione commando dell‟ANA ha condotto con successo un‟operazione nel distretto di Kajaki (provincia di Helmand), denominata “Selab” (Inondazione), che ha previsto l‟immissione notturna dei reparti nell‟area a mezzo elicotteri. 164 Erano 26 nel settembre 2007. 165 RFE/RL, 22 settembre 2007. 84 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA il livello di conflittualità è più elevato il supporto dei reparti che operano in province dove la situazione di sicurezza è assai meno precaria. A riguardo, in più occasioni e specialmente tra la fine del 2005 e i primi mesi del 2006, in vista dell‟allargamento dell‟area di responsabilità di ISAF alle province meridionali ed orientali, l‟amministrazione Bush, attraverso l‟allora Segretario alla difesa Donald Rumsfeld, ha proposto di estendere l‟autorità del comando di Enduring Freedom alle forze di ISAF che sarebbero state impegnate nelle province meridionali, al fine di migliorare il coordinamento delle operazioni in tali aree. Tuttavia, il passaggio di alcune unità di ISAF sotto il comando di Enduring Freedom comporterebbe per esse l‟adozione di concetti operativi e filosofe di impiego dettati dai comandi militari statunitensi, accentuando, in tal modo, le divisioni interne alla NATO. Finora le due operazioni militari sono rimaste separate, anche se il comandante della Combined Joint Task Force - 82, che da Bagram guida le forze statunitensi in Afghanistan e che quindi dipende direttamente dallo US Central Command, è anche il responsabile del Regional Command - East di ISAF. I vertici NATO sottolineano che un maggiore impegno militare di tutte le Nazioni rimane condizione imprescindibile per ripristinare la sicurezza nel Paese e garantire la stabilità dell‟intera regione. Se questo non dovesse accadere, malgrado l‟ampio consenso di cui gode ancora l‟intervento militare sia a livello internazionale che da parte del Paese ospitante, l‟Alleanza perderà la guerra per la stabilizzazione dell‟Afghanistan, pur continuando a vincere le battaglie, come sottolineato anche dal Ministro della difesa australiano, Joel Fitzgibbon, in occasione di un incontro informale con i colleghi di sette Paesi NATO le cui forze sono impegnate nelle province meridionali dell‟Afghanistan (USA, Regno Unito, Olanda, Canada, Danimarca, Romania, Estonia ), tenutosi ad Edimburgo, in Scozia, il 14 dicembre 2007. Il fallimento della missione avrebbe conseguenze disastrose sia per la popolazione afghana, che vedrebbe svanire le speranze di pace e di sviluppo economico e sociale, sia per la stessa Alleanza Atlantica, che non potrebbe più aspirare a svolgere il ruolo stabilito nella dottrina strategica del 1999. In tale quadro, ha avuto grande rilievo l‟impegno assunto dai sette Paesi NATO nel citato vertice di Edimburgo di elaborare un master plan per una strategia a tre-cinque anni che definisca gli obiettivi e i parametri della missione ISAF. Il ripensamento della missione investe tutta la NATO e sarà al centro del dibattito in occasione del prossimo vertice dei Ministri della difesa, che si terrà a Bucarest nella prima settimana di aprile. È da sottolineare al riguardo che la soluzione della crisi afghana non dipende tanto dalla consistenza del dispositivo militare messo sul campo quanto dal tipo di unità impiegate e dai compiti ad esse assegnati. Occorrono inoltre un migliore coordinamento tra i comandi e i reparti a tutti i livelli, e in particolare tra quelli di ISAF e di Enduring Freedom, nonché un maggiore coinvolgimento delle forze afghane che devono assumere gradualmente, ma in tempi brevi, l‟onere di garantire la difesa e la sicurezza del Paese, sia pure con il supporto tecnico e finanziario internazionale. È indispensabile, inoltre, elaborare un piano generale di interventi, sia militari che civili, che nel rispetto dei diversi ambiti di competenza eviti inutili sovrapposizioni e rilanci l‟opera di ricostruzione e di sviluppo. Solo così sarà possibile conquistare veramente i cuori e le menti della 85 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA popolazione afghana, riducendo gradualmente i margini di consenso di cui i taliban ancora godono in alcuni strati della società, specialmente nelle province meridionali e orientali del Paese. 10.2. Gli aiuti per la ricostruzione e lo sviluppo L‟intervento militare in Afghanistan è stato accompagnato da un piano di assistenza che ha visto Governi stranieri e organismi internazionali assumersi responsabilità e impegni di spesa per una somma ingente (oltre 20 miliardi di dollari), benché inferiore a quella messa a disposizione di altri Paesi usciti da conflitti e crisi, come quelli della regione balcanica166. Sinora sono stati erogati effettivamente oltre 15 miliardi di dollari che tuttavia sono stati utilizzati con modalità e criteri rivelatisi inadeguati o inefficienti. In particolare, il principale contribuente, la USAID assegna quasi la metà dei fondi a cinque grandi contractor statunitensi e pertanto una quota significativa dei finanziamenti è assorbita dai profitti delle compagnie e dei subcontractor, dai costi per l‟utilizzo di materiali di importazione, dalle retribuzioni di tecnici e esperti stranieri e dalle spese per il loro alloggio e sicurezza. Di fatto, ogni consulente straniero può costare sino a 500.000 dollari l‟anno167. Inoltre, a causa della insufficiente capacità di Kabul nella progettazione, esecuzione e controllo degli interventi di ricostruzione, dovuta anche allo scarso impegno della comunità internazionale per il potenziamento dell‟apparato tecnico e burocratico statale, solo un terzo degli aiuti USA è destinato direttamente al Governo centrale o alle amministrazioni periferiche. Tale prassi compromette la credibilità delle nuove istituzioni afghane di fronte alla popolazione e porta all‟esecuzione di opere al di fuori di un quadro organico di programmazione e in più casi senza tenere conto delle situazioni locali e delle reali esigenze della popolazione. Si tratta, in sostanza, di interventi imposti dall‟alto, che riflettono talvolta più gli interessi e gli obiettivi, non sempre trasparenti, dei Paesi donatori che le aspettative dei destinatari. Per contro, altri governi assegnano i loro finanziamenti attraverso l‟Afghan Reconstruction Trust Fund (ARTF), costituito nell‟aprile 2002 come un meccanismo per coordinare il trasferimento di fondi dai Paesi donatori al Governo afghano. Amministrato dalla Banca mondiale sotto la supervisione di un Comitato di gestione formato da Asian Development Bank, Islamic Development Bank e UNDP, l‟ARTF finanzia sia il deficit di bilancio, che assorbe la parte principale dei fondi a disposizione, che i progetti di investimento. Durante il suo primo anno fiscale (2002-2003) ha ricevuto 185 milioni di dollari, che sono aumentati progressivamente negli esercizi successivi. Al 21 luglio 2007 il totale dei finanziamenti promessi era pari a 2,27 miliardi di dollari, dei quali 1,83 miliardi già messi a disposizione. Alla stessa data, erano stati erogati al Governo di Kabul 1,1 miliardi di dollari mentre altri 368 milioni erano stati spesi per progetti di investimento. Le autorità afghane incoraggiano i Paesi donatori a canalizzare i finanziamenti attraverso l‟ARTF invece che le ONG e gli altri enti, perché il Fondo garantisce migliore tracciabilità e coordinamento degli aiuti, aumenta la trasparenza e conferisce una veste ”nazionale” al processo di ricostruzione. 166 Il numero dei militari impiegati e l‟entità dei finanziamenti assegnati all‟Afghanistan sono pari, qualora rapportati al numero degli abitanti, rispettivamente al 4% e al 2% di quelli destinati alla Bosnia. 167 Oxfam, Development Assistance in Insecure Environment: Afghanistan. Overview of Priorities, dicembre 2007. 86 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Tra le cause del limitato successo dell‟aiuto internazionale sono da rilevare inoltre la carenza di direzione e di supporto fornito dalle Agenzie dell‟ONU, in particolare UNAMA 168, e dal Joint Coordination and Monitoring Board (JCMB)169 e l‟insufficiente coordinamento tra gli Stati donatori e il Governo afghano. Infatti, solo il 10% dei progetti di assistenza tecnica, che costituisce circa il 25% di tutti gli aiuti al Paese, viene coordinato con le autorità di Kabul. Esiste poi una forte sproporzione tra i finanziamenti stanziati per lo sviluppo e quelli, molto più ingenti, per l‟intervento militare. Per quanto riguarda in particolare gli USA, questi ultimi ammontano a 35 miliardi di dollari nel 2007, pari a circa 65.000 dollari al minuto 170. Inoltre, molti fondi destinati alla ricostruzione vengono spesi a supporto delle operazioni militari: l‟USAID concentra più della metà del suo bilancio nelle quattro province meridionali, dove il livello di instabilità è più alto, mentre il britannico Department for International Development (DFID) utilizza un quinto dei fondi a disposizione nella provincia di Helmand, che costituisce area di responsabilità operativa del contingente nazionale. La gravitazione degli sforzi nella regione meridionale risponde a una logica sostanzialmente condivisibile, diretta ad acquistare la fiducia delle popolazioni più vulnerabili alla propaganda dei gruppi eversivi e in particolare di quello taliban; tuttavia, trascurare le altre province provoca una diffusione dell‟instabilità anche ad aree che in precedenza erano abbastanza sicure. Un‟attenzione particolare merita il ricorso all‟opera delle ONG, che svolgono spesso una funzione insostituibile di promozione e di sostegno, in particolare nella distribuzione degli aiuti umanitari, nell‟erogazione dei servizi essenziali e nello sviluppo delle capacità professionali necessarie a livello individuale e di comunità di base (villaggio) per mantenere le famiglie e organizzare la vita sociale. Tuttavia, l‟impegno delle ONG è visto con diffidenza da alcuni Paesi donatori o accettato solamente come aiuto nell‟emergenza da altri, mentre viene apertamente osteggiato da settori importanti delle forze politiche e della popolazione afghane 171. Le attività di alcune ONG, società straniere e agenzie internazionali hanno causato grande risentimento anche per i benefici limitati che hanno apportato. Al contrario, esse hanno contribuito ad elevare il livello dei prezzi degli immobili a valori che sono fuori della portata dei cittadini medi; inoltre il modo di vita dei loro dipendenti, soprattutto stranieri, è offensivo per molti. I principali beneficiari di tali attività sono stati esponenti locali con i giusti contatti, spesso ex warlord che agiscono come subcontractor o dirigono compagnie private di sicurezza specializzate nella protezione del personale straniero. 168 United Nations Assistance Mission in Afghanistan. Alla missione, istituita nel marzo 2002 con la risoluzione 1401 del Consiglio di Sicurezza, è stato attribuito un mandato molto ampio che include il coordinamento di tutte le Agenzie ONU che operano in Afghanistan. UNAMA ha rappresentato l‟attuazione della “riforma Brahimi” della fine degli anni ‟90. 169 Si veda il cap. 2, pagg. 6 sgg. 170 Dal 2001 sono stati spesi per l‟Afghanistan 163 miliardi di dollari, il 93% dei quali destinato alla difesa (Bloomberg, 11 febbraio 2008). 171 In una intervista pubblicata dal sito web Afgha.com, l‟accademico Abdulkader H. Sinno si dichiara polemicamente sorpreso di come miliardi di dollari in aiuti siano stati sprecati dalle compagnie occidentali e dalle ONG in alti salari, pratiche corrotte e inefficienti, sicurezza per personale straniero non necessario, progetti ridondanti e di prestigio ma di scarso impatto, infrastrutture molto lussuose in un Paese impoverito, profitti elevati ai danni degli afghani che vivono in condizioni di grande precarietà, opere dirette a sostenere la lotta al terrorismo piuttosto che ad elevare il benessere della popolazione. 87 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA In particolare, è apparso negativo il messaggio portato dalle ONG e dagli altri organismi internazionali nei primi mesi del 2002, quando si sono calati in una realtà per certi aspetti ancora “medievale” ostentando tecnologie, risorse e sistema di vita impensabili per un popolo che a stento conosceva l‟utilizzo dell‟energia elettrica, peraltro limitato ad alcune zone centrali della capitale e dei principali capoluoghi di provincia. È stata una dimostrazione improvvisa, ma spesso fugace, dell‟esistenza di realtà del tutto diverse. Inoltre, molte ONG erano interessate solo ad individuare “bisogni” che potessero giustificare progetti fini a se stessi, senza un seguito concreto. In questo modo una parte della popolazione ha avuto la possibilità di conoscere tenori di vita più dignitosi per poi essere costretta a tornare ai precedenti livelli di arretratezza e di miseria una volta terminati i lavori. Un altro fattore da considerare nell‟attività delle ONG, dei Comandi militari stranieri e di molti altri soggetti pubblici e privati che operano in Afghanistan è il ruolo da essi avuto sia nella diffusione della corruzione sia nello sviluppo di dinamiche salariali che penalizzano le strutture governative a livello centrale e periferico. In merito al primo aspetto, in più occasioni è emerso che gli accordi o la collaborazione da parte delle istituzioni locali sono stati favoriti dal pagamento di tangenti a dirigenti o funzionari. Tale pratica sarebbe piuttosto comune e interesserebbe molti aspetti. Un significativo esempio è quello relativo alla fornitura di energia elettrica, la cui disponibilità è gravemente carente persino nella capitale, dove generalmente viene erogata per tre ore al giorno, dalle 19.00 alle 22.00. Risulta che molti utenti stranieri paghino tangenti da 200 a 1.000 dollari al mese agli operatori per usufruire della corrente per tutta la giornata grazie a linee speciali stese tra le centrali e le loro abitazioni/uffici172. Quello dell‟energia elettrica è stato il primo vero “business” di tecnici e funzionari corrotti, che continuano a raccogliere tangenti dagli stranieri sin da quando questi sono arrivati nel Paese, nel gennaio 2002. Per quanto riguarda le dinamiche salariali, è a tutti noto, a Kabul e nel resto dell‟Afghanistan, che gli enti e le organizzazioni straniere pagano, in valuta pregiata, stipendi pari anche a 20 volte la media di quelli dei dipendenti statali. Di conseguenza, i giovani più istruiti e meglio preparati cercano un‟occupazione con tali enti/organizzazioni, privando l‟apparato burocratico dello Stato di un contributo insostituibile di esperienza tecnica e capacità intellettuali. In questo contesto, la comunità internazionale, e in particolare ISAF e UNAMA, hanno compiuto un errore molto grave trascurando di fissare un “tetto” per le retribuzioni del personale locale, calcolato sulla base delle sue professionalità e delle condizioni di vita del resto della popolazione, così come fatto con grande efficacia in Bosnia Erzegovina dalle Nazioni Unite dopo gli accordi di Dayton. Critiche all‟operato delle ONG sono di frequente alimentate da esponenti politici in ambito nazionale e locale, che aspirano ad essere i principali destinatari dei finanziamenti stranieri senza peraltro possedere credenziali di adeguate capacità di pianificazione e controllo degli investimenti. In tale quadro, le accuse alle organizzazioni straniere, sfruttando la delusione della popolazione per i gravi ritardi nello sviluppo economico e sociale, diventano un alibi per la propria inefficienza e uno strumento di affermazione del proprio ruolo. Indubbiamente, tali manovre sono favorite dai comportamenti di alcune ONG che non dispongono di specifiche capacità nel settore dell‟assistenza 172 Associated Press, 10 gennaio 2008. 88 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA umanitaria, specie alla luce della drammatica situazione afghana, o utilizzano i finanziamenti ricevuti più per il proprio benessere che per quello della popolazione locale173. La situazione favorisce la propaganda dei gruppi eversivi che cercano di sminuire l‟importanza dell‟assistenza internazionale, specialmente se proveniente dai Paesi occidentali, e identificano spesso i dipendenti delle organizzazioni straniere con il personale delle agenzie governative statunitensi, da sempre tra gli obiettivi prioritari dei loro attacchi. Di fronte a tali rischi molte ONG hanno reagito con una campagna diretta a riaffermare la specificità del proprio ruolo, che non può essere collegato a nessuna delle parti in lotta, e hanno criticato il crescente coinvolgimento di ISAF, attraverso i Provincial Reconstruction Team, nell‟opera di ricostruzione e di aiuto allo sviluppo economico e sociale. Tale coinvolgimento provocherebbe tra la popolazione afghana una pericolosa confusione sui compiti delle strutture militari e di quelle umanitarie, impedendo a queste ultime di operare senza rischi rilevanti in tutto il Paese in quanto espressione di un impegno diretto esclusivamente all‟assistenza, senza alcuna finalità nel campo della sicurezza. In alcuni casi la polemica ha assunto toni accesi, rendendo più difficile un clima di collaborazione che, nel rispetto della missione di ognuna delle due parti, armonizzi gli interventi con il solo obiettivo di fare uscire al più presto l‟Afghanistan dalla situazione di instabilità e di arretratezza. In tale quadro è opportuno che tutte le ONG ritrovino le ragioni spirituali e morali della loro esistenza, dedicando la loro opera a beneficio degli altri e non alla ricerca di visibilità e vantaggi economici. La comunità internazionale e le autorità afghane devono avere la forza e la volontà di allontanare dal Paese quelle organizzazioni che non rispettano queste condizioni. D‟altro canto, ISAF deve limitare il suo impegno nel settore umanitario ai casi in cui sia reso indispensabile da eventi naturali (terremoti o altre avversità) o da ragioni di sicurezza, lasciando il ruolo di protagonista alle organizzazioni civili, alle ditte appaltatrici e, soprattutto, alle istituzioni locali. in sostanza, si deve arrivare al rispetto reciproco dei ruoli, senza la ricerca esasperata di una visibilità che spesso è solo fittizia, allo scopo di realizzare in teatro una effettiva collaborazione tra enti militari e civili. È inoltre necessario che i PRT evitino di ingerirsi negli affari politici e amministrativi locali e modulino i loro progetti secondo i piani approvati dal governo di Kabul e non sulla base di interessi strategici e di immagine dei loro Paesi. Quanto ai finanziamenti dei Paesi donatori, i maggiori contributi sono stati forniti dagli USA che, attraverso lo USAID, nel periodo 2002-2006 ha stanziato 4,394 miliardi di dollari mentre per gli anni fiscali 2007-2008 sono stati richiesti complessivamente altri 2,586 miliardi di dollari. Dopo gli USA, i principali Paesi donatori sono il Giappone, con circa 1,3 miliardi di dollari dalla caduta del regime taliban, e il Regno Unito, con oltre 100 milioni di sterline l‟anno dal 2006, più di un miliardo di dollari dal 2002. La Germania ha stanziato 680 milioni di euro nel periodo 2002-2007 e prevede di arrivare a un miliardo entro la fine del 2010. Tra i Paesi della regione è rilevante il ruolo svolto da India e Iran174. Sinora New Delhi ha stanziato 750 milioni di dollari per l‟Afghanistan, utilizzati tra l‟altro per la costruzione di una linea 173 Il 7 febbraio scorso, il Ministero della sanità ha invitato le ONG che operano nel settore (34, sia locali che straniere) a uniformarsi entro sei mesi agli standard qualitativi stabiliti dal dicastero, altrimenti si vedranno annullare i contratti e saranno deferite alla Magistratura. 89 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA elettrica tra Pul-e Khumri e Kabul per la costruzione di una diga nella provincia di Herat e della relativa centrale elettrica. Inoltre, il 13 dicembre dello scorso anno è stato approvato un finanziamento di 180 milioni di dollari per l‟ammodernamento della rotabile Zaranj-Delaram, che collegherà l‟Afghanistan ai porti iraniani liberandolo dalla dipendenza assoluta dalle vie di comunicazioni pakistane e consentendo anche all‟India di disporre di una via alternativa per accedere ai mercati afghani. Da parte sua Teheran ha concesso oltre 560 milioni di dollari, dei quali 254 a fondo perduto, spesi principalmente nelle province occidentali del Paese, sia nel settore sociale che in quello delle infrastrutture (linee elettriche, strade). Per il superamento dei ritardi che ancora affliggono il Paese è indispensabile una revisione completa dei programmi di assistenza che canalizzi le risorse verso le istituzioni afghane e attribuisca priorità ai settori in cui i progressi sono stati sinora meno sensibili. Al riguardo è da evidenziare la grave sottovalutazione delle esigenze dell‟agricoltura che, direttamente e indirettamente, garantisce il mantenimento o l‟occupazione dell‟80% della popolazione. Negli ultimi anni, a causa degli eventi bellici e della cattiva gestione delle risorse si è avuto un grave decadimento delle sue potenzialità, con una riduzione del 50% della produzione annua e la conseguente grave carenza dei prodotti alimentari di base. La scarsa redditività dei lavori agricoli è una delle cause che spingono i contadini a coltivare papavero da oppio o cannabis. Nonostante il peso che l‟agricoltura ha sulla vita economica e sociale del Paese, gli aiuti internazionali sono stati molto limitati, circa 400 milioni di dollari spesi direttamente in progetti agricoli negli ultimi sei anni. In particolare, nel periodo 2002-2006 l‟USAID ha destinato all‟agricoltura meno del 4% dei finanziamenti per l‟Afghanistan e tale percentuale è rimasta sostanzialmente invariata nel 2007 e nel 2008. Il risultato è un livello di disoccupazione superiore al 50%, che spinge un numero molto alto di giovani a cercare lavoro nei Paesi vicini (soprattutto in Iran) affrontando i rischi e le privazioni che l‟immigrazione clandestina comporta. La situazione è aggravata in molte aree dall‟incertezza sui diritti di proprietà delle terre, che è di ostacolo agli investimenti migliorativi da parte dei tenutari degli appezzamenti di terreno. Contestualmente appaiono inadeguati gli sforzi compiuti per migliorare il livello dei servizi di base (strade, acqua, elettricità, sanità) per le popolazioni che vivono nelle aree rurali, anche se il National Solidarity Programme è riuscito a distribuire risorse ai Community Development Council, organi elettivi che rappresentano oltre 25.000 villaggi. Tuttavia, la scarsità dei finanziamenti disponibili e la mancanza di professionalità da parte degli uffici tecnici e amministrativi locali, unite all‟eccessiva burocratizzazione delle procedure, alla poca trasparenza e alle disparità nella distribuzione dei fondi, troppo spesso legata a ragioni di tipo clientelare, hanno influito sui risultati complessivi raggiunti, che sono ancora del tutto insoddisfacenti. Le responsabilità che competono ai Paesi donatori e alle istituzioni internazionali sono evidenti e riguardano sia l‟entità degli aiuti finanziari, che devono essere commisurati alle esigenze drammatiche dell‟Afghanistan e portati al livello di quelli concessi ad altri Paesi travagliati da eventi bellici, sia la loro gestione. In merito a quest‟ultimo aspetto appare necessario migliorare la trasparenza, fornendo informazioni dettagliate sulle modalità di appalto e sub-appalto, 174 Si veda il cap. 9, pagg. 65 sgg. 90 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA sull‟utilizzazione di risorse locali, sui livelli delle retribuzioni e sui margini di profitto. Potrebbe essere molto utile altresì definire alcuni parametri di base che indichino l‟efficacia degli aiuti rapportata agli obiettivi fissati dalle autorità governative e dalla comunità internazionale. Inoltre, l‟approvazione dei vari progetti dovrebbe essere preceduta da una verifica sulla possibilità e sulla capacità della struttura governativa interessata di controllare la loro esecuzione e di gestirli una volta completati. Ciò anche allo scopo di prevedere misure di sostegno in campo tecnico ed organizzativo. L‟efficacia degli aiuti potrebbe essere valutata da una commissione indipendente, che operi sotto la giurisdizione del Consiglio di Sicurezza dell‟ONU o delle agenzie da tale organismo delegate, e abbia l‟autorevolezza e il prestigio per pretendere cambiamenti della politica seguita in materia dai Paesi donatori. Tale risultato potrebbe essere ottenuto con l‟ampliamento dei poteri dell‟inviato speciale del Segretario generale dell‟ONU e con il potenziamento di quelle strutture, quali il Joint Coordination and Monitoring Board, incaricate di coordinare le attività di sostegno allo sviluppo economico e sociale del Paese e di garantire una più equa distribuzione delle risorse tra i vari gruppi etnici e le province dell‟Afghanistan. L‟esigenza di nominare una sorta di “super inviato” ha visto d‟accordo, in linea di principio, molti Paesi e in particolare gli USA e il Regno Unito che avevano proposto per tale incarico Lord Ashdown, britannico, distintosi per i risultati ottenuti in un ruolo analogo in Bosnia. Alla nomina di Lord Ashdown si è tuttavia opposto il Governo di Kabul, che l‟11 marzo 2008 ha accettato la designazione del diplomatico norvegese Kai Eide. La scelta di un inviato speciale dotato di ampi poteri deve essere finalizzata oltre che a un migliore coordinamento tra tutte le organizzazioni e i Paesi impegnati a sostenere il processo di ricostruzione dell‟Afghanistan, a mettere in condizioni il Governo di Kabul di svolgere un ruolo di crescente responsabilità in tale processo in modo da rafforzare la sua autorevolezza e il suo prestigio e conquistare la fiducia della popolazione. In tale quadro, è essenziale che la comunità internazionale non si sostituisca alle autorità afghane ma ne sostenga e integri l‟azione. Il compito è difficile e richiede tempo perché il livello della governance nel Paese è ancora del tutto insoddisfacente. In particolare, occorre molta determinazione da parte dei dirigenti di Kabul per dotarsi di strutture amministrative e tecniche affidabili ed efficienti, rivedere e adeguare le norme di legge e le procedure operative e di gestione ed emarginare gli esponenti corrotti, presenti in tutti i settori dell‟apparato dello Stato175. Più volte in passato gli impegni presi in questo settore non sono stati rispettati dalle autorità afghane, prigioniere di logiche di distribuzione del potere che favoriscono i legami etnici, tribali e familiari oppure la difesa di interessi assai poco legittimi o di posizioni conseguite con mezzi illeciti o non più ammessi in uno Stato moderno. Di conseguenza, la comunità internazionale deve disporre di strumenti di monitoraggio per controllare l‟impiego delle risorse messe a disposizione delle autorità e intervenire tempestivamente con grande decisione qualora non vengano conseguiti gli obiettivi previsti, con impegni di assistenza per superare difficoltà tecniche e gestionali o con misure di sospensione degli aiuti in caso di gravi errori, sperperi o distrazione dei fondi. 175 Si veda il paragrafo 6.3 a pag. 41. 91 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 11. L’assistenza italiana: tanto impegno ma pochi mezzi L‟Italia è stata presente nelle vicende dell‟Afghanistan post-taliban sin dall‟inizio, quando ha partecipato con propri rappresentanti alla Conferenza di Bonn176, impegnandosi sia sul piano civile che su quello militare. Tra le ragioni di tale partecipazione vi è il fatto che due sovrani afghani, Amanullah prima e Zahir Shah poi, hanno trascorso il loro esilio in Italia, che è quindi divenuta un punto di riferimento per l‟entourage della famiglia reale. La sua precoce e assidua presenza, benché connotata da un limitato impegno finanziario, ha garantito all‟Italia l‟accesso, e in seguito la permanenza, ad un ristretto gruppo di attori internazionali che, in cambio del proprio rilevante impegno, giocano un ruolo di primo piano nei rapporti con le istituzioni afghane. È in tale contesto che all‟Italia è stata attribuita la responsabilità della riforma del settore della giustizia, daaprima in qualità di lead nation e, dopo la Conferenza di Londra del 2006, di key partner. Del citato gruppo ristretto fanno oggi parte le Nazioni Unite, attraverso UNAMA, l‟Unione Europea, che partecipa con il proprio Rappresentante speciale per l‟Afghanistan e con una Delegazione della Commissione Europea, gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Giappone, la Germania, il Canada, la Spagna e l‟Italia. Nonostante la riduzione, dall‟inizio degli anni ‟90, degli stanziamenti in bilancio per la cooperazione allo sviluppo, l‟Italia non si è tirata indietro di fronte alla sfida globale che la ricostruzione dell‟Afghanistan rappresentava, partecipando con finanziamenti limitati ma costanti. Inoltre, benché l‟Afghanistan non faccia parte di un‟area geografica di interesse prioritario per il Governo italiano, esso si è situato al primo posto tra i Paesi beneficiari della cooperazione italiana. Le ragioni che hanno determinato tale scelta, così come il parallelo impegno militare, sembrano derivare più dalla collocazione dell‟Italia nel quadro delle alleanze di cui è parte che da una profonda convinzione dell‟esistenza di un interesse strategico nazionale. Questo fatto, insieme al clamore suscitato dalle vittime italiane, militari e civili, di rapimenti ed attentati terroristici 177, ha influenzato una crescente disaffezione dell‟opinione pubblica verso l‟impegno italiano. Peraltro, nonostante il sostegno bi-partisan della classe politica a tale impegno, esso è stato spesso condizionato da dinamiche di politica interna che ne hanno diminuito l‟efficacia e la credibilità rispetto ai partner internazionali. L‟Italia del resto non è l‟unico Paese a risentire di questo problema e negli ultimi anni l‟Afghanistan si è spesso trovato a dover fare i conti con problematiche che gli erano del tutto estranee. 176 Si veda il cap. 1, pagg. 1 e sgg. Dal 2001, in Afghanistan sono morti 12 militari e 4 civili italiani; nel periodo 2005-2007 i gruppi ribelli hanno sequestrato 4 persone, tutte liberate in un secondo momento. 177 92 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA È interessante notare come da ciò abbia saputo trarre vantaggio l‟ultima generazione di taliban che, mentre nella loro versione originaria osteggiavano qualunque mezzo tecnologico, sono oggi all‟avanguardia nel saper sfruttare le comunicazioni globali178. In più occasioni, infatti, essi hanno dimostrato di saper mettere in atto operazioni mirate a influenzare l‟opinione pubblica dei Paesi partecipanti ad ISAF al fine di ottenere il ritiro dei relativi contingenti. 11.1. La cooperazione militare L‟Italia ha aderito all‟operazione militare in Afghanistan fin dal 9 ottobre 2001, con l‟invio di un Gruppo navale d‟altura nell‟ambito dello schieramento della flotta NATO nel Mediterraneo orientale, con il compito di monitorare il flusso di traffico navale nell‟area e di fornire supporto logistico alla missione Enduring Freedom179. Il successivo 1° dicembre il Governo ha adottato il decreto-legge n. 421180, con il quale autorizzava la partecipazione all‟Operazione Enduring Freedom stanziando, per il solo mese di dicembre 2001, circa 30 milioni di euro181. Poco dopo, il 28 dicembre, un nuovo decreto-legge, il n. 451182, prorogava fino al 31 marzo 2002 l‟autorizzazione alla partecipazione a Enduring Freedom e la estendeva al “connesso” intervento ISAF. In realtà le due missioni avranno sin dall‟inizio un carattere molto diverso; la prima, a guida USA, tesa a combattere i fenomeni terroristici, la seconda, istituita dal Consiglio di Sicurezza ONU e passata nel 2003 sotto guida NATO, a sostenere la sicurezza territoriale e ad estendere alle province afghane l‟autorità dello Stato. Le due missioni continueranno ad essere prorogate e finanziate da successivi provvedimenti legislativi183 a cadenza semestrale, fino al decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 marzo 2007, n. 38 che ha coperto l‟intero anno 2007. La spesa per le missioni militari in Afghanistan non è di agevole lettura, soprattutto perché, fino al 2004, le leggi di autorizzazione accorpavano gli oneri di tutte le missioni militari in corso. Dal 2004, invece, la legge ha quantificato gli stanziamenti per le singole missioni e se ne desume che, per quelle relative all‟Afghanistan, l‟Italia ha sostenuto una spesa che si aggira intorno ai 300 milioni di euro annui, con un impegno crescente nella missione ISAF e decrescente in quella Enduring Freedom, come risulta dalla seguente tabella: 178 Come si osserva a pag. 11, queste capacità tecniche sembrano derivare dalla cooperazione con al-Qaida. Gli AV8B della Marina hanno anche effettuato missioni in Afghanistan, ad esempio illuminando i bersagli da colpire con bombe laser lanciate da altri aerei. 180 Convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 2002, n. 6. 181 Lo stanziamento era previsto in lire, e per la precisione 71.682 milioni. 182 Convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2002, n. 15. 183 DL 16 aprile 2002, n. 64 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 116; DL 20 gennaio 2003, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 2003, n. 42; Legge 11 agosto 2003, n. 231; DL 20 gennaio 2004, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 marzo 2004, n. 68; Legge 30 luglio 2004, n. 208; Legge 21 marzo 2005, n. 39; DL 28 giugno 2005, n. 111 convertito dalla legge 31 luglio 2005, n.157; DL 30 dicembre 2005 convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51, art. 39 vicies semel; Legge 4 agosto 2006, n. 247. 179 93 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Legge Periodo Enduring Freedom ISAF Totale 208/2004 Luglio/dic 2004 41.529.254 74.405.479 115.934.733 39/2005 Gen/giugno 2005 30.564.931 74.436.206 105.001.137 157/2005 Luglio/dic 2005 16.235.103 138.262.283 154.497.386 51/2006 Gen/giugno 2006 13.437.521 148.935.976 162.373.497 247/2006 Luglio/dic 2006 25.569.180 135.583.381 161.152.561 38/2007 Gen/dic 2007 8.174.817 310.084.996 318.259.813 L‟andamento è confermato dal provvedimento relativo al 2008184, che stanzia 337.695.621 euro per la missione ISAF185 e non menziona affatto l‟impegno in Enduring Freedom, terminato nel 2005 con il ritiro degli alpini/paracadutisti da Khost. I fondi stanziati successivamente a quella data erano destinati al finanziamento dei liaison officer al CENTCOM di Tampa e al Gruppo navale della Marina. Tuttavia, occorre tener presente che tali quantificazioni riguardano prevalentemente le spese per stipendi e indennità, mentre risulta impossibile quantificare ulteriori oneri, come quelli relativi alla manutenzione di mezzi e armamenti che vengono utilizzati in varie missioni all‟estero. D‟altra parte, va tenuto conto che la spesa complessiva comprende anche le attività di ricostruzione e sostegno umanitario svolte dai militari in ambito CIMIC (Civil and Military Cooperation). L‟Italia ha svolto un ruolo di rilievo all‟interno di ISAF, soprattutto nel periodo dall‟agosto 2005 al maggio 2006, quando ha tenuto il comando dell‟intera operazione (ISAF VIII), garantendo una relativa tranquillità del Paese anche nel turbolento periodo delle elezioni politiche dell‟ottobre 2005. Inoltre, dal 2005 l‟Italia ha la responsabilità di uno dei cinque comandi regionali (Nord, Sud, Est, Ovest e Capitale), quello occidentale con centro ad Herat, oltre a gestire il Provincial Reconstruction Team (PRT) nella stessa Herat. Dal dicembre 2007 l‟Italia ha altresì assunto la responsabilità del comando regionale della Capitale, che durerà fino ad agosto 2008 e che ha comportato l‟impiego di altri 250 uomini, portando il numero complessivo dei militari impegnati in Afghanistan (inclusi i carabinieri) a 2.550 unità. 184 185 DDL 8 del 2008, la cui legge di conversione è stata approvata definitivamente il 26 febbraio 2008. La cifra comprende anche gli oneri per la partecipazione alla missione di polizia EUPOL. 94 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA In precedenza (maggio 2007), il Ministro della difesa Arturo Parisi186 aveva annunciato l‟invio in Afghanistan di 5 elicotteri A-129 Mangusta, 8 velivoli corazzati Dardo e 10 veicoli blindati Lince, accompagnati da 145 militari di supporto tecnico e logistico. La presenza militare italiana in Afghanistan, pur essendo stata fortemente apprezzata sia dalla popolazione e dalle autorità locali sia dai partner internazionali, ha subito critiche a causa dei “caveat” che limitano l‟impiego delle forze187. L‟Italia è il quarto contribuente di truppe nell‟ambito della missione ISAF. 11.2. La cooperazione civile Per quanto riguarda l‟assistenza alla ricostruzione economica, politica e sociale, l‟Italia ha reagito con rapidità agli sviluppi successivi all‟11 settembre 2001 e nel 2005, secondo i dati OCSE, era al nono posto tra i donatori bilaterali. Gli stanziamenti annuali, dal 2001 al 2007, hanno avuto una dimensione media intorno ai 40 milioni di euro per un totale nei 7 anni di intervento di circa 300 milioni di euro188. Va comunque rilevato che, a fronte del citato stanziamento, l‟effettivo ammontare erogato è stato pari a circa 268 milioni, a causa delle difficoltà sia delle capacità di assorbimento del sistema afghano sia di quelle di delivery del sistema italiano. Peraltro, la maggioranza dei fondi stanziati, oltre il 62%, è stata affidata al canale multilaterale, ossia a organismi internazionali incaricati di realizzare progetti, in linea con l‟approccio seguito in generale dalla cooperazione italiana. Inoltre, il 45 % dei fondi è stato diretto a fronteggiare l‟emergenza e all‟aiuto alimentare, attraverso il supporto a progetti di agenzie quali l‟UNICEF, il PAM, l‟OMS, l‟UNHCR e l‟UNFPA che, soprattutto nelle prime fasi dell‟intervento, hanno fornito sostegno alle fasce più deboli della popolazione e al rientro dei profughi. Consistenti finanziamenti189 sono inoltre stati canalizzati attraverso il fondo istituito dalla Banca mondiale (l‟ARTF) e, in quantità inferiori, ai fondi LOFTA e CNTF rivolti, rispettivamente, al supporto delle forze di polizia nonchè al settore anti-narcotici e al disarmo delle milizie irregolari. L‟Italia ha altresì contribuito alla ricostruzione istituzionale attraverso il sostegno delle elezioni presidenziali nel 2004 (5 milioni di euro) e parlamentari nel 2005 (6 milioni di euro), nonché partecipando (con 1 milione di euro e attraverso la cooperazione con la Camera dei deputati) al progetto SEAL dell‟UNDP per la ricostruzione del Parlamento afghano. Quanto al canale bilaterale, oltre ad una serie di attività nei settori sanitario e scolastico, un consistente impegno è quello che riguarda l‟ammodernamento della strada che collega Kabul a Bamiyan, di circa 140 chilometri. Il finanziamento al progetto è stato approvato nell‟ottobre del 2003 per un ammontare di 12 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2003 al 2005, oltre a 1,9 186 Riunione delle Commissioni riunite Esteri e Difesa del Senato e della Camera, 15 maggio 2007. Si veda il rapporto di International Crisis Group, Endangered Compact, gennaio 2007. 188 Queste cifre comprendono il sostegno al settore giustizia, di cui si parlerà nel paragrafo successivo. 189 17 milioni di euro nel 2002, 5 milioni nel 2004, 7 milioni nel 2006 e 6 milioni nel 2007. 187 95 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA milioni di assistenza tecnica. In realtà i lavori sono andati molto a rilento e solo nel 2007 è stata erogata la seconda tranche del finanziamento. Nel corso del 2007, inoltre, la cooperazione italiana in Afghanistan ha registrato due importanti novità: la separazione della cooperazione civile da quella militare nella provincia di Herat190; l‟apertura di una Unità tecnica locale (UTL) a Kabul con compiti di coordinamento di tutta l‟attività di assistenza, guidata dall‟Ingegner Di Calisto. 11.3. La riforma della giustizia Nel quadro dell‟Accordo di Bonn l‟Italia ha assunto il ruolo di Nazione guida nella ricostituzione del sistema giudiziario afghano e ha successivamente istituito, nel 2003, l‟Ufficio italiano giustizia (IJPO) a Kabul. Così come gli altri donatori impegnati nella ricostruzione di altri settori della sicurezza afghana, l‟Italia si è trovata a far fronte a un‟pera di enormi proporzioni, considerata la devastazione provocata nelle istituzioni afghane da decenni di guerra civile. Basti dire che il primo impegno dell‟IJPO è stato quello di recuperare le gazzette ufficiali per ricostruire il corpo normativo pregresso, dovendole cercare negli scantinati del Ministero della giustizia dove erano state ammassate, in disuso, nel periodo dei taliban. Gli stessi tribunali e uffici giudiziari erano stati abbandonati e sostituiti dalle corti della sharia. Drammatica era anche la situazione culturale e professionale degli operatori nel settore giudiziario. Inoltre, nei decenni della frammentazione statuale, erano riemersi i tradizionali meccanismi di autogoverno e composizione delle controversie a livello locale, jirga e shura, che ancora oggi si stima che affrontino oltre l‟80% dei casi giudiziari. Tali meccanismi, pur utili nel sopperire alle carenza della giustizia formale, fanno riferimento ad un insieme di regole tribali alcune delle quali violano pesantemente gli standard dei diritti umani e la stessa legge islamica. I settori in cui si è concentrato l‟intervento italiano sono stati quelli delle riforme legislative, con la predisposizione di alcuni strumenti fondamentali nel settore penale come il Codice di procedura penale, la legge penitenziaria e il Codice minorile; la riabilitazione e costruzione delle infrastrutture giudiziarie (tribunali, uffici, prigioni); la formazione di giudici, procuratori e funzionari del settore; la fornitura di strumenti e attrezzature di lavoro. È inoltre spettato all‟IJPO il compito di negoziare con le autorità locali e di coordinare i vari attori internazionali impegnati nella riforma della giustizia, da ultimo attraverso l‟organizzazione della Conferenza sullo stato di diritto in Afghanistan, svoltasi a Roma il 2 e 3 luglio 2007191. 190 191 Si veda in merito il rapporto http://wws.princeton.edu/research/pwreports_f07/wws591b.pdf. Si veda la pagina web http://www.rolafghanistan.esteri.it/ConferenceRol. 96 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Il programma di sostegno alla giustizia afghana si avvale dei fondi della cooperazione allo sviluppo di cui al paragrafo precedente. Le dimensioni dell‟aiuto si sono aggirate intorno ai 10 milioni di euro l‟anno nel periodo 2003-2007. Come per gli altri interventi di questa natura, la concreta realizzazione dei progetti è affidata per lo più al canale multilaterale e solo in misura minore a quello bilaterale. Per quanto riguarda il multilaterale, le allocazioni più significative (circa 13 milioni di euro) sono state destinate all‟IDLO (International Development Law Organization)192, un‟organizzazione internazionale con sede a Roma che si è fatta carico di interventi soprattutto nel campo della formazione degli operatori giudiziari. Sono inoltre stati finanziati progetti dell‟UNDP, rivolti soprattutto alla riforma delle istituzioni; dell‟UNODC, che avrebbero dovuto costruire prigioni e formare gli operatori penitenziari; dell‟UNICEF, per l‟attuazione della riforma nel settore minorile e la costruzione di centri per minori; dell‟UNIFEM per il sostegno delle donne nel settore giustizia. Circa il canale bilaterale, gli stanziamenti hanno riguardato la gestione dell‟Ufficio a Kabul e del relativo personale nazionale ed estero, nonché lo svolgimento di un progetto di formazione nelle province effettuato con i fondi in loco dall‟organizzazione non governativa ISISC con sede a Siracusa. L‟IJPO è stato diretto nel 2004 dal presidente Di Gennaro e dalla fine del 2004 al settembre 2006 dall‟Ambasciatore Brunetti. Successivamente non è stato nominato alcun coordinatore e le relative responsabilità politiche sono state affidate all‟ambasciata di Kabul. Con l‟apertura dell‟UTL ed il tramonto dell‟IJPO, gli aiuti italiani al settore giudiziario sono stati ricomposti nel Programma giustizia, che è divenuto uno dei diversi programmi gestiti dalla cooperazione in loco. Tale soluzione ha consentito la ripresa della gestione tecnica del programma e il controllo sull‟amministrazione dei progetti finanziati. Attualmente l‟Italia finanzia 3 dei 15 quick impact project presentati dalle autorità afghane alla Conferenza di Roma, mentre è in corso una valutazione dei progetti da finanziare nel 2008 basata sui risultati degli anni precedenti. Il Governo afghano ha inoltre portato a termine, benché con ritardo rispetto ai tempi stabiliti a Roma, la strategia di sviluppo del settore giustizia 193, che verrà realizzata attraverso un National Justice Programme (NJP), in fase di completamento. Quest‟ultimo sarà finanziato principalmente attraverso l‟ARTF e, in misura minore, con attività bilaterali o il sostegno diretto al bilancio afghano. Al momento le attività di cooperazione sostenute dall‟Italia riguardano l‟avvio dei corsi di formazione nell‟ambito del National Legal Training Center (NLTC) ed il sostegno al sistema penale minorile. 192 193 www.idlo.int. National Justice Sector Strategy - NJSS 97 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 12. Conclusioni L‟esame della situazione interna afghana, così come emerge dai capitoli precedenti, non induce all‟ottimismo sulla possibilità di una rapida stabilizzazione del Paese e di un‟accelerazione dello sviluppo economico e sociale. Nello stesso contesto, tuttavia, gli ostacoli e le difficoltà che stanno impedendo la realizzazione degli obiettivi annunciati dall‟Afghanistan Compact e dagli Action plan successivi non devono essere considerati insormontabili. È indispensabile però che la comunità internazionale da una parte, in primo luogo l‟ONU, la NATO, l‟Unione Europea e i Paesi della regione, e la dirigenza di Kabul dall‟altra rivedano le loro politiche e accettino di definire congiuntamente una nuova strategia. Questa deve affrontare tutti i problemi e riflettere le esigenze reali dell‟Afghanistan e non gli interessi dei gruppi di pressione interni, preoccupati solo di salvaguardare i propri interessi, né quelli dei soggetti internazionali guidati da propositi di ingerenza. La recrudescenza dell‟attività terroristica, che minaccia oramai tutto il territorio nazionale, anche se con livelli di intensità assai diversi, il diffondersi di un uso della violenza strumentale alla lotta politica sul piano locale e il gravissimo ritardo nell‟attuazione dei progetti di ricostruzione stanno alienando il sostegno popolare alle nuove istituzioni dando slancio alle forze che vogliono un Afghanistan debole, instabile ed emarginato dal contesto internazionale. Il consenso nei confronti della presenza militare straniera è ancora prevalente nel Paese, ma le sue dimensioni si stanno progressivamente erodendo e ci si sta avvicinando a una soglia oltre la quale il successo dei gruppi estremisti, oggi considerato “possibile”, potrebbe diventare “probabile”. In altre parole, la guerra di Kabul e dei Paesi occidentali per conquistare “i cuori e le menti” degli afghani non è ancora perduta, ma occorre eliminare le cause della diffusione della violenza e adottare rapidamente un nuovo approccio. Nello stesso contesto, nei Paesi occidentali cresce la pressione dei settori dell‟opinione pubblica, che nutrono dubbi sull‟impegno militare nel teatro afghano, soprattutto in mancanza di risultati evidenti sul piano della sicurezza e dello sviluppo. Per contro, i gruppi estremisti, endogeni ed esogeni, non devono rispondere a condizionamenti di questo tipo poiché il fattore tempo gioca a loro favore. Come ha ribadito recentemente il Segretario generale della NATO, Jaap De Hoop Scheffer 194, l‟Afghanistan è la linea del fronte nella guerra contro il terrorismo; ciò che sta accadendo nell‟Hindu Kush interessa tutti perché se il terrorismo non è vinto in Afghanistan le conseguenze non saranno avvertite solo in questo Paese e nella regione, ma anche in Europa. Di conseguenza, i Governi dei Paesi che hanno inviato contingenti militari in Afghanistan dovrebbero impegnarsi in una attenta analisi e in una riflessione strategica che, pur tenendo conto degli orientamenti prevalenti tra le rispettive forze politiche e tra la popolazione, miri a una maggiore condivisione 194 BBC, 8 febbraio 2008. 98 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA delle responsabilità e degli oneri che l‟impegno nel Paese comporta, non solo sul piano militare. Nello stesso tempo deve essere ricercata una maggiore partecipazione di tutta la comunità internazionale, specialmente di quei Paesi che aspirano a ruoli di potenza regionale, all‟opera di ricostruzione e di sviluppo, che necessita di flussi di finanziamenti, soprattutto in alcuni settori, molto più ingenti di quelli messi a disposizione sinora. La necessità di definire una nuova strategia è percepita con chiarezza dai Governi occidentali e, in misura minore, anche da quello di Kabul, che stenta tuttavia a capirne l‟urgenza; infatti, sinora non sono state promosse iniziative concrete per accelerare il suo sviluppo, che deve essere sottratto a ogni tentativo di difendere interessi di parte o logiche di potenza. Tuttavia, alcuni Centri Studi hanno presentato proposte intelligenti che possono aiutare i Governi a rielaborare la loro politica per l‟Afghanistan armonizzandola con quella di tutti gli enti/soggetti coinvolti. Uno dei punti fermi di tale processo deve essere la consapevolezza che l‟azione militare è ancora importante, e in molte zone indispensabile, ma che da sola non è in grado di creare le condizioni per il successo dell‟impegno internazionale. Di conseguenza, prima di quantificare l‟entità dei rinforzi necessari a ISAF occorre definire nuovi criteri di intervento e nuove forme di coordinamento, a tutti i livelli, per ottimizzare l‟impiego delle risorse disponibili e ridurre gli effetti collaterali (vittime civili). In tale quadro, va superata l‟“incomunicabilità”, denunciata da molti esperti, esistente tra le forze speciali USA e le altre unità, anche statunitensi, ospitate nelle stesse infrastrutture, che in più occasioni ha avuto riflessi negativi sul piano operativo e inasprito l‟opposizione delle comunità locali nei confronti degli stranieri. Deve inoltre essere affrontato il problema di un effettivo coordinamento, prima, e di una unificazione, dopo, tra la missione di ISAF e quella di Enduring Freedom, con la fine di quest‟ultima. Al momento, ragioni politiche e differenze di approccio ne rendono difficile l‟attuazione. In particolare, alcuni ambienti politici e militari europei mostrano una forte riluttanza ad affrontare il tema dell‟unificazione del comando perché temono che, quando tutte le operazioni di counterinsurgency passeranno sotto il comando di ISAF, sarà più difficile per i vari contingenti evitare di essere coinvolti. Ogni operazione militare deve essere inoltre integrata in un contesto più ampio, che veda un pronto intervento delle strutture civili, come ONG e agenzie governative, oppure militari (CIMIC), per ripristinare i servizi di base e dare assistenza alla popolazione. Solo in questo modo si potrà convincere gli afghani che gli stranieri non sono nel Paese solo per fare la guerra ma anche per sostenere la ricostruzione. Ad esempio, la battaglia per sottrarre ai taliban il distretto di Musa Qala, conclusa vittoriosamente nel dicembre 2007 senza gravi perdite e distruzioni rilevanti, non è stata seguita da tempestivi interventi di carattere umanitario, lasciando per parecchi giorni la popolazione locale in condizioni di precarietà maggiori di quelle in cui viveva quando erano presenti le milizie del mullah Omar. Uno dei settori in cui è apparso più evidente il fallimento degli sforzi delle autorità locali e della comunità internazionale in Afghanistan è quello dello state building e della governance, le cui gravi carenze compromettono la legittimità e la credibilità delle istituzioni e alimentano la propaganda dei gruppi eversivi. Come descritto nei precedenti capitoli, non si tratta solo di un problema di inefficienza e incompetenza ma, soprattutto, di corruzione, le cui forme sono 99 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA estremamente pervasive e colpiscono tutti i cittadini, inclusi quelli delle fasce più povere. Anche se non è possibile aspettarsi miglioramenti significativi in tempi rapidi, occorre dare chiari segnali di svolta con il completamento della riorganizzazione della pubblica amministrazione, l‟attuazione di misure draconiane di lotta alla corruzione, l‟accelerazione della riforma dei settori giustizia e sicurezza. Gli enti internazionali e i Paesi che operano in Afghanistan con proprie strutture militari e civili devono agire con maggiore coerenza, rinunciando a uno sterile protagonismo ed esercitando, viceversa, una decisa azione di sostegno, evitando quei comportamenti che sinora non hanno favorito il consolidamento delle istituzioni locali e l‟affermazione del prestigio e del ruolo dello Stato. Nello stesso tempo, tuttavia, essi devono premere sulla dirigenza di Kabul perché si impegni con grande determinazione, anche a rischio di compromettere gli equilibri di potere esistenti, per migliorare le capacità operative e il livello di moralità di tutte le istituzioni pubbliche. Devono essere allontanate le figure corrotte o incapaci, anche se legate ai massimi vertici dello Stato o se occupano posizioni di grande rilievo, e nelle nomine deve essere data priorità alla competenza e all‟affidabilità, in base a criteri il più possibile oggettivi. Ogni inadempienza al riguardo deve essere stigmatizzata con forza e portare a una sospensione o a una riduzione dei finanziamenti. Se, dopo oltre sei anni dalla caduta del regime taliban, l‟Afghanistan non è ancora uscito dalla situazione di instabilità, che anzi si sta aggravando ulteriormente, la causa non va ricercata tanto nell‟inadeguatezza della risposta militare di ISAF/Enduring Freedom o nell‟attivismo dei gruppi eversivi, quanto piuttosto nella mancanza di risposta da parte dello Stato afghano alle richieste della popolazione, che ha visto deluse le proprie aspettative di sviluppo economico e sociale, di giustizia e sicurezza. Il Governo di Kabul e i Paesi alleati devono definire un progetto comune per la gestione dei contatti con gli esponenti e i settori dei gruppi eversivi che mostrano interesse alle offerte di reinserimento e di partecipazione alla vita sociale e politica. In una recente intervista, il diplomatico irlandese Michael Semple, espulso nel dicembre 2007 dal Paese proprio per l‟accusa di aver incontrato esponenti taliban, ha ribadito di essere fermamente convinto che, con una buona gestione delle trattative, è possibile convincere i due terzi dei ribelli a staccarsi dal nucleo degli irriducibili. Questa opportunità va esplorata con grande convinzione, evitando iniziative unilaterali e fughe in avanti dirette alla ricerca di visibilità o di vantaggi immediati che il più delle volte risultano controproducenti. È opportuno che i soggetti internazionali che operano in Afghanistan si attengano al “percorso” concordato con le autorità di Kabul, alle quali va lasciata la responsabilità nella gestione delle trattative. In caso contrario le loro iniziative rischiano di essere strumentalizzate o di provocare tensioni e contrasti che i dirigenti taliban e i loro consiglieri stranieri (arabi e pakistani) sono molto abili a sfruttare, anche ai fini mediatici. Il successo degli sforzi per la stabilizzazione del Paese favorirà inevitabilmente un circolo virtuoso utile anche alla lotta alla produzione e al traffico di droga, impedendo all‟Afghanistan di diventare un “narco-stato”. Anche in questo campo occorrono intelligenza, determinazione e pazienza, rifuggendo da progetti come l‟impiego di erbicidi diffusi in forma spray da vettori aerei, che non solo non eliminano le cause del fenomeno, ma aggravano la situazione di insicurezza in cui il narcotraffico prospera. I contrasti esistenti al riguardo tra gli USA e quasi tutti gli altri Paesi 100 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA impegnati in Afghanistan devono essere superati a favore di un approccio “non ideologico” al problema e di soluzioni che subordinino o affianchino la minaccia di distruzione delle coltivazioni a interventi concreti e di rapido effetto per il miglioramento delle condizioni di vita dei contadini. Anche in questo campo l‟esperienza degli ultimi anni ha insegnato che non possono essere perseguite iniziative unilaterali, poiché i problemi del Paese sono così complessi e radicati che richiedono un impegno coordinato e sistematico. Tra le misure che risultano prioritarie in un quadro di approccio strategico onnicomprensivo alla crisi afghana vi è l‟attribuzione all‟inviato speciale del Segretario generale dell‟ONU di più ampi poteri, in modo da conferirgli una reale capacità di coordinamento, indirizzo e controllo dell‟attività di tutti gli organismi stranieri attivi in Afghanistan. Egli deve rappresentare, inoltre, il principale interlocutore delle autorità afghane, con una forza di “persuasione” sufficiente a guidarne le scelte, allineandole agli impegni presi. È altresì essenziale il coinvolgimento dei Paesi della regione, soprattutto India, Iran e Pakistan, nel fornire un efficace contributo al miglioramento della situazione economica, sociale e di sicurezza dell‟Afghanistan, evitando interventi destabilizzanti. Potrebbe essere utile, in questo contesto, promuovere una conferenza regionale, con la partecipazione anche di rappresentanti delle principali istituzioni internazionali e di altre Nazioni a vario titolo interessate all‟evoluzione delle dinamiche interne afghane. Il confronto deve servire a superare incomprensioni e sospetti, che impediscono un‟azione coordinata, e a convincere gli Stati della regione che la normalizzazione dell‟Afghanistan è essenziale per la loro stabilità poiché crea le condizioni per il successo nella lotta al terrorismo e al narcotraffico. In questa sede, in cambio del loro impegno potrebbero essere fornite concrete contropartite, come ad esempio garanzie, all‟Iran, che in nessun caso Washington userà basi afghane per attacchi contro il suo territorio, e, al Pakistan, che Kabul non metterà in discussione la Linea Durand e non cercherà di sfruttare eventuali rivendicazioni della popolazione pashtun della North West Frontier Province e delle aree tribali per condizionare le scelte di Islamabad. La creazione di un clima di fiducia tra Afghanistan e Pakistan è la condizione indispensabile affinché i due Paesi perseguano un‟azione coordinata diretta a impedire ai gruppi terroristici di utilizzare le aree pakistane di confine come rifugi e come basi di partenza per attacchi contro le forze fedeli al Governo di Kabul e quelle di ISAF/Enduring Freedom. Infatti, la vittoria contro l‟estremismo di matrice islamica sarà assai difficile fino a quando le cellule terroristiche potranno agire con sostanziale tranquillità in settori importanti del territorio pakistano per riorganizzarsi e per addestrare alla guerriglia e alle azioni suicide i volontari reclutati nelle madrasse locali. Al momento, tuttavia, i due Paesi non sono in grado, da soli, di far fronte a questa minaccia, ma hanno bisogno dell‟assistenza militare e di intelligence degli USA e della NATO, soprattutto per la localizzazione dei centri di comando e dei rifugi dei vertici dei movimenti eversivi e per l‟individuazione delle rotte attraverso cui giungono in Afghanistan uomini e mezzi. Nello stesso tempo, l‟assistenza militare occidentale deve essere accompagnata da un piano di interventi di carattere finanziario per favorire lo sviluppo economico e sociale delle arre tribali la cui popolazione vive, generalmente, in condizioni di arretratezza e di precarietà assai più gravi di quelle riscontrate nel resto del Pakistan. Il miglioramento del tenore di vita e dei livelli di istruzione è una 101 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA delle armi più efficaci per contrastare la propaganda anti-governativa e anti-occidentale dei settori più estremisti del clero. In questa fase che precede le principali scadenze elettorali afghane, con le consultazioni presidenziali e parlamentari previste rispettivamente nel 2009 e nel 2010, ma che potrebbero essere accorpate per ridurre le spese, grande attenzione deve essere dedicata ai rapporti con le forze politiche locali, per non suscitare l‟impressione che i Paesi occidentali o alcuni di essi appoggino l‟uno o l‟altro dei candidati. Questo errore è stato fatto in passato, quando buona parte dei diplomatici europei si è allineata alle posizioni dell‟ex Ambasciatore statunitense a Kabul, Zalmay Khalilzad, schieratosi apertamente a fianco di Karzai. Ciò ha spinto molti esponenti degli altri gruppi etnici a cercare il sostegno politico, che per molti è stato anche un sostegno finanziario, della Russia e dell‟Iran. I Paesi NATO dovrebbero svolgere un‟azione di promozione della democrazia nei confronti di tutti i partiti e dei loro dirigenti, soprattutto di quelli onesti, che risultano più svantaggiati in quanto privi dei mezzi economici derivanti dal narcotraffico. Nello stesso tempo, tuttavia, è necessario interrogarsi per comprendere a fondo le ragioni dei comportamenti, anche quando possono sembrare ostili agli interessi occidentali, perché non bisogna sottovalutare il peso delle dinamiche e delle logiche di potere locali. In tale quadro sono apparse eccessive le critiche rivolte da ambienti politici inglesi e statunitensi nei confronti del Presidente Karzai, colpevole di essersi opposto al conferimento di pieni poteri a Lord Ashdown. In Afghanistan, i lutti provocati dalle campagne di conquista dell‟impero britannico pesano ancora nella memoria popolare, nonostante siano passati molti decenni. È inopportuno pertanto ignorarli anche se vanno condannati e contrastati i tentativi di strumentalizzarli, come alcune forze politiche afghane, anche vicine a Karzai, stanno cercando di fare per accrescere il loro “leverage” sulla comunità dei donatori. L‟Afghanistan continua a essere un tema cruciale nel dibattito politico italiano, per la ferma opposizione di una parte delle forze politiche alla presenza di contingenti militari nazionali nel Paese. Nello stesso contesto, è prevedibile che dopo le prossime elezioni Washington chiederà al nuovo Governo, come sta facendo con quelli di molti Paesi europei e della Turchia, un aumento del dispositivo militare in Afghanistan e la revoca dei caveat, che sinora ne hanno di fatto impedito l‟impiego nelle province meridionali in attività di counterinsurgency. È una richiesta destinata a dividere gli schieramenti politici ma che non può essere elusa, anche se potrebbe essere ricordato a Washington che gran parte della responsabilità per l‟attuale situazione di instabilità in Afghanistan è da attribuire alla decisione dell‟Amministrazione Bush, prima, di attaccare l‟Iraq e, in seguito, di mantenervi il grosso delle forze statunitensi. In ogni caso, di fronte ad eventuali resistenze da parte del nostro Governo, Washington e i Vertici NATO potrebbero anche considerare soddisfacente un aumento del contributo italiano nei settori logistico ed aereo (sia per missioni di trasporto che di combattimento), che comportano meno rischi per i nostri militari e quindi meno problemi in sede di approvazione parlamentare. Qualora invece lo ritenesse politicamente inopportuno o, comunque, non percorribile un rifiuto, il Governo italiano dovrebbe pretendere un maggior potere decisionale nella pianificazione delle operazioni, allo scopo di garantire per quanto possibile adeguate condizioni di sicurezza per il contingente nazionale e insistere sulla necessità di un maggiore coordinamento tra tutti gli attori coinvolti. 102 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Inoltre, un eventuale impegno in aree a rischio dovrebbe avvenire secondo un profilo operativo più attento a evitare perdite tra i civili e che preveda un impiego crescente delle forze di sicurezza locali, specialmente dell‟ANA, la cui presenza è più accettata dalla popolazione afghana. Nello stesso contesto, l‟azione militare dovrebbe essere inserita in un piano integrato di interventi che coinvolga enti e organizzazioni civili, nazionali e stranieri, a favore dello sviluppo economico e sociale delle realtà locali. Inoltre, i Comandi militari e i rappresentanti diplomatici italiani dovrebbero assumere un atteggiamento molto risoluto nei confronti dei responsabili amministrativi e di sicurezza provinciali perché evitino iniziative e comportamenti che mettano a rischio la realizzazione dei progetti e alimentino la sfiducia dei cittadini nello Stato, punendo con severità ogni violazione da parte dei dipendenti195. Nell‟ambito di queste scelte, le autorità italiane dovrebbero, da un lato, migliorare la preparazione e l‟equipaggiamento dei nostri militari, specialmente per quanto riguarda la dotazione di veicoli in grado di resistere all‟esplosione di ordigni improvvisati, anche di grossa potenza, e, dall‟altro, mettere a disposizione istruttori qualificati per l‟addestramento dell‟ANA e della polizia afghana. Contestualmente dovrebbe essere attivato nelle nuove aree di impiego un dispositivo intelligence in grado di acquisire tempestivamente, in cooordinamento con le analoghe strutture afghane e con quelle degli altri Paesi che partecipano alle missioni ISAF/Enduring Freedom, tutti gli elementi utili a individuare sia l‟emergere di nuovi fattori di rischio sia l‟evoluzione delle dinamiche etniche, sociali e tribali locali. Sul piano politico, sarebbe opportuna una campagna di informazione, perché l‟opinione pubblica italiana prenda piena conoscenza delle ragioni del nostro impegno in Afghanistan e delle conseguenze che un ritiro delle unità NATO poterebbe avere sul futuro di quel Paese e sulla sicurezza di tutto l‟occidente. In sostanza, per contrastare la recrudescenza dell‟attività terroristica, favorire la stabilizzazione dell‟Afghanistan, consolidare le strutture statuali e dare nuovo slancio ai programmi di ricostruzione economica e morale, la comunità internazionale, e in primo luogo i Paesi occidentali, devono agire su più livelli; in particolare: - definire una nuova strategia che affronti nella loro globalità tutti i problemi del Paese e dia un ruolo centrale agli interventi nel settore civile, che devono essere integrati con quelli militari e non necessariamente a essi subordinati; - aumentare l‟assistenza militare alle forze di sicurezza afghane sia nel settore addestrativo, incrementando il numero degli OMLT, sia in quello logistico; - incrementare gli aiuti finanziari, portandoli al livello di quelli concessi ad altri Paesi travagliati da eventi bellici, e migliorare la trasparenza della loro gestione. Inoltre, è necessario stabilire parametri di base che indichino l‟efficacia degli interventi rapportata agli obiettivi fissati dalle autorità governative e dalla comunità internazionale; - sostenere il processo di democratizzazione del Paese nell‟attuale periodo pre-elettorale evitando atteggiamenti discriminatori nei confronti di candidati e partiti che hanno assunto posizioni 195 In tale quadro, è facile immaginare che gli abitanti di Herat, di fronte al crescente attivismo della criminalità comune e organizzata nell‟area, si aspettano un contributo più decisivo dei Comandi italiani per migliorare l‟efficacia e l‟affidabilità delle forze dell‟ordine locali. 103 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA critiche sul ruolo politico e militare occidentale, purché da parte loro si manifestino integrità e chiare convinzioni democratiche; - sollecitare l‟attribuzione di ampi poteri all‟inviato speciale del Segretario generale dell‟ONU, che dovrebbe avere una reale capacità di coordinamento e controllo dell‟assistenza internazionale, evitando duplicazioni, incongruenze e sprechi di risorse; - premere sulle autorità di Kabul, fornendo loro l‟assistenza di cui hanno bisogno, perché sia accelerato il processo di state building e migliorata la governance, mediante la riforma dell‟apparato burocratico dello Stato, il potenziamento delle capacità di progettazione e di gestione dell‟amministrazione centrale e periferica e la lotta alla corruzione; - monitorare l‟efficacia degli aiuti tramite un‟apposita commissione posta sotto l‟autorità dell‟inviato speciale del Segretario generale dell‟ONU e che abbia il potere di sanzionare, con una riduzione o un blocco dei finanziamenti, errori, sprechi e distrazione di fondi da parte degli organismi governativi, delle ditte appaltatrici e delle ONG; - promuovere una maggiore cooperazione tra i Paesi della regione, in particolare Iran, India e Pakistan, perché superino diffidenze e sospetti e si impegnino concretamente per la normalizzazione dell‟Afghanistan e il successo nella lotta contro l‟estremismo e il narcotraffico, da cui anche loro sono minacciati; - sostenere, fornendo assistenza nei settori intelligence e militare, l‟impegno delle autorità pakistane contro i gruppi estremisti che dal territorio nazionale conducono attacchi contro obiettivi governativi e stranieri in Afghanistan. Contestualmente è necessario finanziare i programmi di sviluppo delle aree tribali e della NWFP per ridurre i margini di consenso nei confronti dei movimenti più radicali. 104 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Allegato I COMPOSIZIONE DEL GOVERNO (marzo 2008) Presidente: HAMED KARZAI (pashtun) 1° Vice Presidente: AHMAD ZIA MASSUD (tagiko) 2° Vice Presidente: KARIM KHALILI (hazara) Ministro della difesa: ABDUL RAHIM WARDAK (pashtun) Ministro degli affari esteri: RANGIN DADFAR SPANTA (tagiko) Ministro dell‟interno: AHMAD ZARAR MUQBIL (tagiko) Ministro delle finanze: ANWARUL HAQ AHADY (pashtun) Ministro dell‟economia: MOHAMMAD JALIL SHAMS (tagiko) Ministro del commercio: MOHAMMAD AMIN FARHANG (pashtun) Ministro dell‟istruzione: MOHAMMAD HANIF ATMAR (pashtun) Ministro dell‟energia e delle risorse idriche: ISMAIL KHAN (tagiko) Ministro dei trasporti: HAMIDULLAH QADERI (etnia sconosciuta) Ministro delle comunicazioni: AMIR ZAI SANGIN (pashtun) Ministro delle miniere e delle industrie: MOHAMMAD IBRAHIM ADEL (hazara) Ministro dei lavori pubblici: SUHRAB ALI SAFARI (hazara) Ministro dello sviluppo urbano: YUSUF PASHTUN (pashtun) Ministro della riabilitazione rurale e dello sviluppo: MOHAMMAD EHSAN ZIA (tagiko) Ministro dell‟agricoltura e dell‟alimentazione: OBAIDULLAH RAMIN (tagiko) Ministro della giustizia: SARWAR DANISH (hazara) Ministro della sanità: Sayed Mohammad Amin Fatimi (tagiko) Ministro dell‟istruzione superiore: MOHAMMA AZAM DADFAR (uzbeko) Ministro della cultura e dell‟informazione: MOHAMMAD KARIM KHURAM (etnia sconosciuta) Ministro dei pellegrinaggi e degli affari religiosi: NEMATULLAH SHARANI (uzbeko) Ministro delle frontiere e gli affari tribali: ABDUL KARIM BRAHUI (beluchi) Ministro degli affari femminili: HASAN BANU GHAZANDAR (uzbeka) Ministro per i disabili, martiri, affari sociali e lavoro: NUR MOHAMMED QARQIN (turkmeno) Ministro dei rifugiati: SHER MOHAMMAD ETEBARI (pashtun?) Ministro per la lotta alla droga: KHODAIDAD (tagiko?) Consigliere per la sicurezza nazionale: ZALMAI RASSOUL (pashtun) Ministro senza portafoglio: HEDAYAT AMIN ARZALA (pashtun) 105 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Allegato II COSTITUZIONE - ASPETTI PRINCIPALI Gli aspetti più qualificanti della nuova Costituzione afghana, che sulla carta è una delle più avanzate e liberali tra quelle in vigore nei Paesi del continente, riguardano soprattutto la forma di Stato, i diritti e i doveri dei cittadini, la tutela delle minoranze, i poteri del Presidente, del Governo e del Parlamento ed il loro reciproco bilanciamento. Lo Stato. L‟Afghanistan è una repubblica islamica indipendente; la religione di Stato è la “sacra religione dell‟Islam”. Nessuna legge può essere contraria ai principi e ai precetti dell‟Islam; lo Stato si attiene alla Carta delle Nazioni Unite, ai trattati e alle convenzioni internazionali sottoscritte dall‟Afghanistan e alla Dichiarazione universale dei Diritti dell‟Uomo; il pashtu e il dari sono le lingue ufficiali dello Stato, mentre le lingue delle altre minoranze lo sono nelle zone abitate in prevalenza dalle minoranze stesse. I diritti fondamentali e i doveri dei cittadini. È proibito ogni tipo di privilegio o di discriminazione. I cittadini dell‟Afghanistan - uomini o donne - hanno pari diritti e doveri di fronte alla legge; la libertà e la dignità dell‟uomo sono inviolabili; è tutelata la presunzione originaria di innocenza; la tortura è proibita; la libertà di espressione è inviolabile; i cittadini stranieri non hanno diritto di possedere beni immobili in Afghanistan; l‟istruzione è un diritto di tutti i cittadini dell‟Afghanistan; lo Stato istituisce la Commissione indipendente per i diritti umani allo scopo di verificare e garantire il rispetto dei diritti umani nel Paese e promuoverne l‟estensione e la protezione. Il Presidente. È Capo dello Stato e Capo del governo e ha autorità sul potere esecutivo, nonché forme di controllo sui poteri legislativo e giudiziario in conformità con le disposizioni della Costituzione; è affiancato da due Vice Presidenti: il primo e il secondo; è eletto con la maggioranza assoluta dei voti attraverso elezioni universali dirette a scrutinio segreto. Il candidato alla carica di Presidente deve essere cittadino dell‟Afghanistan, musulmano e nato da genitori afghani e non deve avere la cittadinanza di altri Paesi. Nessuno può essere eletto Presidente per più di due mandati. Il Presidente nomina i Ministri, il Procuratore generale, il Governatore della Banca centrale, il Capo della Direzione nazionale della sicurezza, il Capo e i membri della Corte suprema; tutte queste nomine devono essere confermate dalla Wolesi Jirga; può essere messo in stato d‟accusa su richiesta di 1/3 dei membri della Wolesi Jirga per crimini contro l‟umanità, alto tradimento o crimini contro la nazione. Il Governo. È composto dai Ministri, che operano sotto la direzione del Presidente e possono essere scelti tra i membri del Parlamento o all‟esterno di esso; tra le funzioni del Governo vi sono quelle di difendere l‟indipendenza e l‟integrità territoriale, assicurare l‟ordine pubblico, eliminare la corruzione, definire il bilancio dello Stato, stabilire e porre in atto programmi per il progresso sociale, culturale, economico e tecnologico. Il Parlamento. O Assemblea nazionale, è il più alto organo legislativo ed espressione della volontà popolare e rappresenta l‟interna nazione; è composto da due Camere: Wolesi Jirga 106 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA (Assemblea del popolo, paragonabile alla Camera dei deputati) e Meshrano Jirga (Assemblea degli anziani o Senato); i membri della Wolesi Jirga, che non possono essere più di 250196, vengono eletti attraverso consultazioni universali con voto segreto e rimangono in carica cinque anni. Ognuna delle 34 province deve eleggere almeno due donne, istituendo così una presenza femminile pari almeno ad oltre un quarto dei deputati. I membri della Meshrano Jirga (102) sono eletti per due terzi dai Consigli provinciali e distrettuali197 e per un terzo dal Presidente con un mandato di cinque anni. La quota di nomina presidenziale deve prevedere almeno il 50% di donne, garantendo così anche nel Senato una rilevante presenza femminile. L‟attività legislativa compete al Governo, a ciascun membro delle Camere e, per le questioni riguardanti la giustizia, alla Corte suprema, che la esercita attraverso il Governo. L‟iniziativa di legge sul bilancio e le finanze dello Stato è riservata al Governo; nessun membro del Parlamento è perseguibile per i voti e le opinioni espresse nell‟esercizio delle sue funzioni. La Loya Jirga. È la più alta espressione della volontà del popolo dell‟Afghanistan. È composta dai membri del Parlamento e dai presidenti dei Consigli provinciali e distrettuali ed è convocata per deliberare su questioni relative all‟indipendenza, alla sovranità nazionale, all‟integrità territoriale e agli interessi supremi della Nazione; per approvare emendamenti alla Costituzione; per deliberare sulla messa in stato di accusa del Presidente. Il potere giudiziario. La Magistratura è un potere indipendente dello Stato afghano. Il suo ordinamento comprende la Corte suprema, le Corti di appello e le Corti di prima istanza; la Corte suprema è composta da nove membri nominati dal Presidente e approvati dalla Wolesi Jirga; la nomina, il trasferimento, la promozione, le sanzioni e le proposte di destituzione dei giudici sono di competenza della Corte suprema in conformità con le disposizioni di legge. Ad essa spettano inoltre competenze sulla legittimità costituzionale delle leggi, nonché l‟ultimo grado di giudizio. 196 Attualmente i deputati sono 249. Non essendosi ancora svolte le elezioni dei Consigli distrettuali, i relativi rappresentanti sono stati temporaneamente eletti dai Consigli provinciali. 197 107 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Allegato III AFGHANISTAN COMPACT - SCADENZE L‟Afghanistan Compact costituisce un progetto di grande impegno, che riguarda tutti gli aspetti della costituzione dello Stato e della vita dei cittadini e si sviluppa in un periodo di cinque anni. Di conseguenza, entro il 2010 devono essere conseguiti i principali obiettivi e in particolare: - Sicurezza: completamento della costituzione dell‟Afghan National Army (ANA), con un organico di 70.000 uomini come stabilito nell‟Accordo di Bonn. L‟ANA deve essere un organismo affidabile, professionale, etnicamente bilanciato e preparato per fare fronte alle esigenze di sicurezza del Paese; ultimazione del processo di formazione della Afghan National Police (ANP) e della Border Police (BP), con una forza complessiva di 62.000 uomini; acquisizione di una elevata capacità di contrasto alla produzione e al traffico di sostanze stupefacenti, con conseguente significativo aumento annuale del quantitativo di droga sequestrata e distrutta e delle raffinerie smantellate; riduzione del 70% delle aree contaminate da mine e da altri ordigni inesplosi; - Governance, principio di legalità e diritti umani: razionalizzazione dell‟apparato dello Stato e riforma della burocrazia, con una più chiara individuazione delle funzioni e delle responsabilità198; piena attuazione del National Action Plan for Women e rafforzamento della presenza femminile in tutti gli organi dello Stato, inclusi quelli elettivi; completamento del quadro giuridico in materia di giustizia con la promulgazione delle nome di legge previste dalla Costituzione, inclusi i codici civili, penali e commerciali; avvio delle riforme per il miglioramento della professionalità e dell‟integrità di tutte le istituzioni del settore della giustizia, incluso il Ministero dell‟interno e la Direzione nazionale per la sicurezza (NDS); ammodernamento delle infrastrutture del settore giudiziario con la costruzione di reparti separati per le donne e i minori in tutte le prigioni; rafforzamento della capacità del Governo di garantire il rispetto dei diritti umani. Dovranno essere adottate misure adeguate per prevenire i casi di arresto e detenzioni arbitrari, tortura ed espropriazione illegale delle proprietà e sarà maggiormente garantita la libertà di stampa. Il rispetto dei diritti umani verrà monitorato dal Governo e dalla Afghan Independent Human Rights Commssion (AIHRC); - Sviluppo economico e sociale: completamento dell‟ammodernamento della ring road199 e delle strade che da essa conducono ai Paesi vicini; piena operatività, nel rispetto delle norme previste dalla International Civil Aviation Organisation, degli aeroporti internazionali di Kabul e di Herat, mentre gli scali di Mazar-e Sharif, Jalalabad e Kandahar saranno potenziati con l‟ammodernamento delle piste e degli apparati di navigazione e di soccorso; estensione della rete 198 Al riguardo, l‟Afghanistan Compact prevedeva che entro sei mesi dalla sua approvazione (1 febbraio 2006) doveva essere predisposto un meccanismo chiaro e trasparente per l‟assegnazione degli incarichi negli organi pubblici, sia a livello centrale che locale, da attuare completamente entro 24 mesi. Inoltre, a partire dal 2007 doveva essere condotta una valutazione annuale dell‟operato di tutti i dirigenti di livello più alto, mentre dalla fine del 2010 la valutazione interesserà tutti i dipendenti. 199 Si tratta della strada statale n. 1 che, con un percorso circolare, collega gran parte delle principali città del Paese. Sono stati ammodernati dapprima il tratto che collega Kabul a Kandahar e, successivamente, quello che da Kandahar conduce a Herat. 108 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA elettrica, che dovrà raggiungere almeno il 65% delle abitazioni e il 90% degli utenti non residenziali nelle principali aree urbane e il 20% delle case nelle zone rurali; creazione delle condizioni normative e infrastrutturali per attrarre investimenti nazionali e stranieri nel settore minerario e delle risorse naturali; aumento della frequenza nelle scuole primarie, che dovrà essere pari ad almeno il 60% per le ragazze e al 75% per i ragazzi, mentre il numero degli studenti universitari raggiungerà le 100.000 unità; estensione al 90% della popolazione dei servizi sanitari di base (Basic Package of Health Services), riduzione al 15% del tasso di mortalità da parto e piena copertura immunitaria per i bambini sotto i cinque anni di età in modo da ridurre il loro tasso di mortalità al 20%; miglioramento delle condizioni di vita di 19 milioni di persone che vivono in oltre 38.000 villaggi attraverso la realizzazione di piani di sviluppo rurale e l‟estensione della rete idrica, fognaria e stradale; diminuzione del 3% ogni anno del numero delle persone che vivono con meno di un dollaro al giorno e del 5% ogni anno di quelle che soffrono la fame; aumento dell‟assistenza ai disabili e ai mutilati e miglioramento delle opportunità occupazionali per i giovani e i soldati smobilitati; riduzione del 20% del numero delle famiglie cronicamente povere con a capo una donna; aumento delle entrate di bilancio all‟8% del PIL e della percentuale (dal 28% al 58%) delle spese coperte dalle entrate. Scadenze più ravvicinate sono state fissate per lo smantellamento dei gruppi armati illegali (fine 2007) e per la ratifica della Convenzione dell‟ONU sulla lotta contro la corruzione (fine 2006), mentre la legislazione nazionale in materia dovrà essere adottata entro la fine del 2007 e un sistema di controllo sulla sua attuazione dovrà essere messo in atto entro la fine del 2008. 109 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Allegato IV PARTITI POLITICI200 200 NOME DEL PARTITO LEADER DEL PARTITO PARTITO DEL TRATTATO DEL POPOLO DELL‟AFGHANISTAN (Afghanistan Peoples' Treaty Party - Hizb-e-Wolesi Tarhun Afghanistan) Sayyed Amir TAHSIN ORGANIZZAZIONE DELLE MISSIONE ISLAMICA DELL‟AFGHANISTAN (Afghanistan's Islamic Mission Organization - Tanzim Daawat-e-Islami-e-Afghanistan) Abdul Rasul SAYYAF PARTITO DELLA NAZIONE ISLAMICA DELL‟AFGHANISTAN (Afghanistan's Islamic Nation Party - Hezb-e-Umat-eIslam-e-Afghanistan) Toran Nur Aqa AHMADZAI PARTITO NAZIONALE ISLAMICO DELL‟AFGHANISTAN (Afghanistan's National Islamic Party - Hezb-e-Mili Islami-e-Afghanistan) Rohullah LOUDIN PARTITO AFGANO PER IL WELFARE (Afghanistan's Welfare Party - Hezb-e-Refah-e-Afghanistan) Mir Asef ZAIFI PARTITO DEMOCRATICO SOCIALE AFHGANO (Afghan Social Democratic Party - Hezb-e-Afghan Melat) Anwar al-Haq AHADI SOCIETÀ AFGHANA PER IL RICHIAMO AL CORANO E ALLA SUNNA(Afghan Society for the Call to the Koran and Sunna - Hezb-e-Jamahat-ul-Dawat ilal Quran-wa-Sunate-Afghanistan) Mawlawi Samiullah NAJIBI PARTITO DEL GRANDE MOVIMENTO DELLA DEMOCRAZIA E DELLO SVILUPPO DELL‟AFGHANISTAN(Comprehensive Movement of Democracy and Development of Afghanistan Party - Hizb-e-Nahzat Faragir Democracy wa Taraqi-e-Afghanistan) Sher Mohammad BAZGAR PARTITO DEMOCRATICO DELL‟AFGHANISTAN (Democratic Party of Afghanistan - Hezb-e-Democracy Afghanistan) Tawos ARAB PARTITO DEMOCRATICO DELL‟AFGHANISTAN (Democratic Party of Afghanistan - Hezb-e-Domcrat-eAfghanistan) Abdul Kabir RANJBAR PARTITO DELL‟ELITES POPOLARE DELL‟AFGHANISTAN (Elites People of Afghanistan Party - Hezb-eNakhbagan-e-Mardom-e-Afghanistan) Abdul Hamid JAWAD] MOVIMENTO PER LA LIBERTÀ E LA DEMOCRAZIA DELL‟AFGHANISTAN (Freedom and Democracy Movement of Afghanistan - Hezb-e-Nahzat-e-Aazadee Wa Democracy-e-Afghanistan) Abdul Raqib Jawed KOHISTANI PARTITO AFGHANO DELLA LIBERTÀ (Freedom Party of Afghanistan – Hezb-e-Azadee-e-Afghanistan) Ilaj Abdul MALIK PARTITO AFGHANO DELLA LIBERTÀ (Freedom Party of Afghanistan – Hezb-e-Isteqlal-e-Afghanistan) Dr. Ghulam Faruq NEJRABI Hizullah-e-Afghanistan Qari Ahmad ALI Sono riportati solo i partiti politici approvati dal Ministero della giustizia. I dati sono tratti da CIA World Factbook, Afghanistan. 110 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA PARTITO AFGHANO PER LA PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI E LO SVILUPPO (Human Rights Protection and Development Party of Afghanistan – Hezb-e-Ifazat Az Uqooq-e-Bashar Wa Inkishaf-e-Afghanistan) Baryalai NASRATI PARTITO AFGHANO DELLA GIUSTIZIA ISLAMICA (Islamic Justice Party of Afghanistan – Hezb-e-Adalat-e-Islami Afghanistan) Mohammad Kabir MARZBAN MOVIMENTO ISLAMICO DELL‟AFGHANISATN (Islamic Movement of Afghanistan – Hezb-e Harakat-e-Islami-eAfghanistan) Mohammad Ali JAWID PARTITO DEL MOVIMENTO ISLAMICO AFGHANO (Islamic Movement of Afghanistan Party – Hizb-e-Nahzat-eMelli Islami Afghanistan) Mohammad Mukhtar MUFLEH PARTITO ISLAMICO DELL‟AFGHANISTAN (Islamic Party of Afghanistan – Hizb-e-Islami Afghanistan) Mohammad Khalid FARUQI PARTITO ISLAMICO DELLA TERRA AFGHANA (Islamic Party of the Afghan Land – De Afghan Watan Islami Gond) Mohammad Hassan FEROZKHEL MOVIMENTO DEL POPOLO ISLAMICO DELL‟AFGHANISTAN (Islamic People's Movement of Afghanistan – Hezb-eHarakat-e-Islami Mardom-e-Afghanistan) Al-Hajj Sayyed Hussain ANWARI SOCIETÀ ISLAMICA DELL‟AFGHANISTAN (Islamic Society of Afghanistan – Hezb-e Jamihat-e-Islami) Ustad RABBANI PARTITO DELL‟UNITÀ ISLAMICA DELLA NAZIONE AFGANA (Islamic Unity of the Nation of Afghanistan Party – Hezb-e-Wahdat-e-Islami-e-Melat-e-Afghanistan) Qurban Ali URFANI PARTITO AFGHANO DELL‟UNITÀ ISLAMICA (Islamic Unity Party of Afghanistan – Hezb-e-Wahdat-e-Islami-eAfghanistan) Mohammad Karim KHALILI PARTITO DELL‟UNITÀ ISLAMICA DEL POPOLO AFGHANO (Islamic Unity Party of the People of Afghanistan – Hezb-e-Wahdat-e-Islami Mardom-e-Afghanistan) Ustad Mohammad MOHAQQEQ PARTITO DEL LAVORO E DEL PROGRESSO DELL‟AFGHANISTAN (Labor and Progress of Afghanistan Party – Hezb-e-Kar Wa Tawsiha-e-Afghanistan) Zulfiqar OMID PARTITO DELLA POPOLAZIONE MUSULMANA DELL‟AFGHANISTAN (Muslim People of Afghanistan Party – Hezb-e-Mardom-e-Mosalman-e-Afghanistan) Besmellah JOYAN PARTITO AFGHANO DEL MOVIMENTO DELL‟UNITÀ MUSULMANA (Muslim Unity Movement Party of Afghanistan – Hezb-e-Tahreek Wahdat-ul-Musimeen Afghanistan) Wazir Mohammad WAHDAT PARTITO AFGHANO DEL MOVIMENTO PER LA SOVRANITÀ NAZIONALE ED ISLAMICA (National and Islamic Sovereignty Movement Party of Afghanistan – Hizb-eEqtedar-e-Melli wa Islami Afghanistan) Ahmad Shah AHMADZAI PARTITO AFGHANO DEL CONGRESSO NAZIONALE (National Congress Party of Afghanistan – Hezb-eKangra-e-Mili-e-Afghanistan) Abdul Latif PEDRAM PARTITO DELLO STATO NAZIONALE (National Country Party - Hezb-e-Mili Heward) Ghulam MOHAMMAD PARTITO AFGHANO PER LO SVILUPPO NAZIONALE Dr. Aref BAKTASH 111 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA (National Development Party of Afghanistan – Hezb-eTaraqee Mili Afghanistan) PARTITO NAZIONALE DI COLORO CHE RICERCANO LA LIBERTÀ (National Freedom Seekers Party – Hezb-eAazaadi Khwahan Maihan) Abdul Hadi DABIR PARTITO AFGHANO PER L‟INDIPENDENZA NAZIONALE (National Independence Party of Afghanistan – Hezb-e Esteqlal-e-Mili Afghanistan) Taj Mohammad WARDAK PARTITO AFGHANO NAZIONALE DEI COMBATTENTI ISLAMICI (National Islamic Fighters Party of Afghanistan – De Afghanistan De Mili Mubarizeeno Islami Gond) Amanat NINGARHARI FRONTE NAZIONALE ISLAMICO DELL‟AFGHANISTAN (National Islamic Front of Afghanistan – Mahaz-e-Mili Islami Afghanistan) Sayyad Ahmad GAILANI PARTITO NAZIONALE AFGHANO DELLA MODERAZIONE ISLAMICA (National Islamic Moderation Party of Afghanistan – Hezb-e-Eatedal-e-Mili Islami-eAfghanistan) Qara Bik Eized YAAR MOVIMENTO NAZIONALE ISLAMICO DELL‟AFGHANISTAN (National Islamic Movement of Afghanistan - Hezb-eJunbish Mili Islami-e-Afghanistan) Sayyad NURULLAH PARTITO NAZIONALE AFGANO DELL‟UNITÀ ISLAMICA (National Islamic Unity Party of Afghanistan – Hezb-eWahdat-e-Mili Islami-e-Afghanistan) Mohammad AKBARI MOVIMENTO NAZIONALE AFGHANO (National Movement of Afghanistan – Nahzat-e-Mili Afghanistan) Ahmad Wali MASSUD PARTITO NAZIONALE AFGHANO (National Party of Afghanistan – Hezb-e-Mili Afghanistan) Abdul Rashid ARYAN PARTITO PER L‟UNITÀ NAZIONALE DELL‟AFGHANISTAN (NATIONAL PATCH OF AFGHANISTAN PARTY – Hezb-e Paiwand Mihahani Afghanistan) Sayyad Kamal SADAT PARTITO NAZIONALE AFGHANO PER LA PACE ISLAMICA (National Peace Islamic Party of Afghanistan – De Afghanistan De Solay Mili Islami Gond) Shah Mohammud POPALZAI PARTITO NAZIONALE DELLE TRIBÙ DELL‟AFGHANISTAN PER LA PACE E L‟ISLAM (National Peace & Islamic Party of the Tribes of Afghanistan – Hezb-e-Sulh-e-Mili Islami Aqwam-e-Afghanistan) Abdul Qaher SHARIATI PARTITO NAZIONALE AFGHANO PER LA PACE E L‟UNITÀ (National Peace & Unity Party of Afghanistan – Hezb-eSulh Wa Wahdat-e-Mili-e-Afghanistan) Abdul Qader IMAMI PARTITO NAZIONALE AFGHANO PER LA PROSPERITÀ E L‟ISLAM (National Prosperity and Islamic Party of Afghanistan – Hezb-e-Sahadat-e-Mili Islami-eAfghanistan) Mohammad Osman SALEKZADA PARTITO NAZIONALE PER LA PROSPERITÀ (National Prosperity Party – Hezb-e-Refah-e-Mili Afghanistan) Mohammad Hassan JAHFARI MOVIMENTO NAZIONALE AFGHANO PER LA PROSPERITÀ (National Solidarity Movement of Afghanistan – Hezb-e-Nahzat-e-Hambastagee Mili-eAfghanistan) Pir Sayyad Ishaq GAILANI PARTITO NAZIONALE AFGHANO PER LA Sayyad Mansur NADRII 112 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA SOLIDARIETÀ (National Solidarity Party of Afghanistan – Hezb-e-Paiwand Mili Afghanistan) PARTITO PER LA SOVRANITÀ NAZIONALE (National Sovereignty Party – Hezb-e-Eqtedar-e-Mili) Sayyad Mustafa KAZEMI PARTITO PER LA STABILITÀ NAZIONALE (National Stability Party – Hezb-e-Subat-e-Mili Islami-eAfghanistan) Mohammad Same KHAROTI PARTITO NAZIONALISTA (National Stance Party – Hizb-e-Melli Dareez) Habibullah JANEBDAR PARTITO NAZIONALE ISLAMICO AFGHANO PER L‟UNITÀ TRIBALE (National Tribal Unity Islamic Party of Afghanistan – Hezb-e-Mili-Wahdat-e-Aqwame-Islami-e-Afghanistan) Mohammad Shah KHUGYANI MOVIMENTO PER L‟UNITÀ NAZIONALE (National Unity Movement – Hezb-e-Tahreek Wahdat-e-Mili-eAfghanistan) Sultan Mohammad GHAZI MOVIMENTO AFGHANO PER L‟UNITÀ NAZIONALE (National Unity Movement of Afghanistan – Hezb-e-Harakat-e-Mili Wahdat-eAfghanistan) Mohammad Nadir ATASH PARTITO AFGHANO PER L‟UNITÀ NAZIONALE (National Unity Party of Afghanistan – Hezb-e-Wahdate-Mili Afghanistan) Abdul Rashid JALILI PARTITO DEL NUOVO AFGHANISTAN (New Afghanistan Party – Hezb-e-Afghanistan-e-Naween) Mohammad Yunis QANUNI SOCIETÀ DEGLI ATTIVISTI PER LA PACE E IL BENESSERE NAZIONALE (Peace and National Welfare Activists Society – Hezb-e-Majmeh Mili FaleenSulh-e-Afghanistan) Shamsul Haq Nur SHAMS MOVIMENTO PER LA PACE (Peace Movement – De Afghanistan De Solay Ghorzang Gond) Shahnawaz TANAI PARTITO AFGHANO DELLE ASPIRAZIONI DEL POPOLO (People's Aspirations Party of Afghanistan – Hezb-e-Aarman-e-Mardom-e-Afghanistan) Ilhaj Saraj-u-din ZAFARI PARTITO AFGHANO PER LA RICERCA DELLA LIBERTÀ DEL POPOLO (People's Freedom Seekers Party of Afghanistan – Hezb-e-Aazadee Khwahan Mardom-e-Afghanistan) Feda Mohammad IHSAS PARTITO AFGHANO PER LA RICERCA DELLA LIBERTÀ DEL POPOLO (People's Liberal Freedom Seekers Party of Afghanistan – Hezb-e-Lebral-eAazadee Khwa-e-Afghanistan) Ajmal SUHAIL PARTITO AFGHANO DEL MESSAGGIO DEL POPOLO (People's Message Party of Afghanistan – Hezb-e-Resalat-e-Mardom-e-Afghanistan) Nur Aqa WAINI MOVIMENTO POPOLARE DELL‟UNITÀ NAZIONALE DELL‟AFGHANISTAN (People's Movement of the National Unity of Afghanistan – De Afghanistan De Mili Wahdat Wolesi Tahreek) Abdul Hakim NURZAI PARTITO AFGHANO DEL POPOLO (People's Party of Afghanistan – Hezb-e-Mardom-e-Afghanistan) Ahmad Shah ASAR PARTITO AFGHANO PER LA PROSPERITÀ DEL Ustad Mohammad ZARIF 113 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA POPOLO (People's Prosperity Party of Afghanistan – Hezb-e-Falah-e-Mardom-e-Afghanistan) MOVIMENTO AFGHANO PER LA SOVRANITÀ POPOLARE (People's Sovereignty Movement of Afghanistan – Nahzat-e-Hakemyat-e-Mardom-eAfghanistan) Hayatullah SUBHANI PARTITO AFGHANO PER LA RISCOSSA DEL POPOLO (People's Uprising Party of Afghanistan – Hezb-e-Rastakhaiz-e-Mardom-e-Afghanistan) Sayyad Zahir Qayed Omul BELADI PARTITO AFGHANO PER IL BENESSERE DEL POPOLO (People's Welfare Party of Afghanistan – Hezb-e-Refah-e-Mardom-e-Afghanistan) Miagul WASIQ PARTITO AFGHANO PER IL BENESSERE DEL POPOLO (People's Welfare Party of Afghanistan – Hezb-e-Sahadat-e-Mardom-e-Afghanistan) Mohammad Zubair PAYROZ PARTITO AFGHANO DEMOCRATICO PROGRESSISTA (Progressive Democratic Party of Afghanistan – Hezb-e-Taraqee Democrat Afghanistan) Wali ARYA PARTITO REPUBBLICANO (Republican Party – Hezb-e-Jamhoree Khwahane-Afghanistan) Sebghatullah SANJAR PARTITO AFGANO DELLA SOLIDARIETÀ (Solidarity Party of Afghanistan – Hezb-e-Hambastageee-Afghanistan) Abdul Khaleq NEMAT MOVIMENTO DELL‟UNITÀ DELLA NAZIONE ISLAMICA COMBATTENTE DELL‟ AFGHANISTAN (The Afghanistan's Mujahid Nation's Islamic Unity Movement – Da Afghanistan Mujahid Woles Yaowaali Islami Tahreek) Saidullah SAID MOVIMENTO DEMOCRATICO DEL POPOLO DELL‟AFGHANISTAN (The People of Afghanistan's Democratic Movement – Hezb-e-Junbish Democracy Mardom-e-Afghanistan) Sharif NAZARI PARTITO AFGHANO DELLA SOLIDARIETÀ TRIBALE (Tribes Solidarity Party of Afghanistan – Hezb-e Hambastagee Mili Aqwam-e-Afghanistan) Mohammad Zarif NASERI PARTITO AFGHANO PER LA CONOSCENZA E LA DEMOCRAZIA (Understanding and Democracy Party of Afghanistan – Hezb-e-Tafahum Wa Democracy-eAfghanistan) Ahamad SHAHIN PARTITO DELL‟AFGHANISTAN UNITO (United Afghanistan Party – Hezb-e-Afghanistan-e-Wahid) Mohammad Wasil RAHIMI PARTITO AFGHANO DELL‟ISLAM UNITO (United Islamic Party of Afghanistan – Hizb-e-Mutahed Islami Afghanistan) Wahidullah SABAWUN ORGANIZZAZIONE ISLAMICA DEL GIOVANE AFGHANISTAN (Young Afghanistan's Islamic Organization – Hezb-e-Islami-e-Afghanistan-e-Jawan) Sayyad Jawad HUSSINI PARTITO AFGHANO DELLA SOLIDARIETÀ DEI GIOVANI (Youth Solidarity Party of Afghanistan – Hezb-e-Hambastagee Mili Jawanan-e-Afghanistan) Mohammad Jamil KARZAI 114 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Allegato V BIOGRAFIE201 HAMID KARZAI - Presidente dell’Afghanistan Hamid Karzai è nato il 24 dicembre 1957 a Karz, nella provincia di Kandahar, pochi kilometri a sud del capoluogo. Suo padre, Abdul Ahmed, era il capo tribù dei Popolzai, di etnia Pashtun Durrani, ed è stato Vice Presidente del Parlamento afghano. Dopo aver frequentato le scuole superiori a Kabul ha studiato Scienze politiche e relazioni internazionali in India, all‟università di Shimla, dove è rimasto sino al 1982. Nello stesso anno ha aderito al partito Jahba-e Melli-e Nihat Afghanistan diretto da Pir Sibghatullah Mojaddidi ove gli vennero assegnati incarichi nel settore dell‟informazione. Dopo la caduta del regime filocomunista di Najibullah (1992), è entrato nel Governo Rabbani come Vice Ministro degli esteri. Alla fine del 1993 è stato arrestato da funzionari del Servizio Segreto (KhAD), diretto da Fahim Khan, per essere interrogato. Poco dopo è riuscito a fuggire in Pakistan da cui è tornato poi a Kabul. Agli inizi del 1994 ha raggiunto Kandahar dove ha appoggiato inizialmente il movimento taliban condividendone l‟obiettivo di lottare contro i warlord. Successivamente se ne è distaccato perché non accettava più la loro ideologia estremista e ha svolto un ruolo attivo tra i movimenti di opposizione con base in Pakistan. Contemporaneamente ha seguito un suo percorso professionale lavorando, dal 1996 al 1999, come consulente della compagnia petrolifera statunitense UNOCAL. In tale attività ha collaborato con Zalmay Khalilzad, uno statunitense di origine afghana, attuale rappresentante di Washington all‟ONU e in precedenza Ambasciatore a Kabul e a Baghdad. All‟epoca la UNOCAL era impegnata, tra l‟altro, in un progetto per la costruzione di un gasdotto dal Turkmenistan al Pakistan attraverso l‟Afghanistan. Alla morte di suo padre, ucciso da agenti taliban nel mese di luglio 1999 a Quetta, è diventato il capo della tribù dei Popolai e ha assunto un più deciso ruolo di opposizione al regime del mullah Omar. Dopo gli attentati dell‟11 settembre 2001, è tornato clandestinamente in Afghanistan su incarico dei Comandi statunitensi per sollevare le tribù pashtun contro il governo e in seguito ha guidato la lotta contro le milizie taliban nella Provincia di Kandahar. Al termine dei lavori della Conferenza di Bonn (26 novembre – 5 dicembre) è stato designato Presidente della Autorità ad Interim, superando Abdul Sattar Sirat (uzbeko) che sembrava favorito, e ha assunto formalmente l‟incarico il 21 dicembre dello stesso anno. La designazione di Karzai è stata voluta dagli USA anche per bilanciare il peso della componente tagika dell‟Alleanza del Nord nelle nuove Istituzioni. A suo favore ha pesato anche l‟amicizia con Zalmay Khalilzad. L‟11 giugno 2002, la Loja Jirga d‟emergenza ha nominato Karzai Presidente dell‟Autorità Transitoria Afghana. Il 9 ottobre 2004 è stato eletto Presidente della Repubblica Islamica dell‟Afghanistan, con le prime elezioni a suffragio universale. Karzai si è costantemente adoperato per ottenere l‟aiuto internazionale indispensabile per la ricostruzione dell‟Afghanistan e ha cercato di consolidare le fragili istituzioni del suo Paese mediando tra i diversi gruppi di potere, ma senza opporsi direttamente ai warlord. Ha seguito anche una politica della mano tesa con i taliban e i seguaci di Gulbuddin Hektmayar offrendo loro la possibilità di un reinserimento nella vita civile purché essi siano disposti a riconoscere i principi stabiliti nella Costituzione e ad accettare il Governo democraticamente eletto. Negli ultimi tempi il suo ruolo si è indebolito a causa del deterioramento della situazione di sicurezza e della perdita progressiva del consenso popolare per i gravi ritardi nel processo di ricostruzione del Paese. 201 Per ulteriori dettagli e per le note biografiche di altre personalità afghane si può consultare il sito http://www.bassirat.net. 115 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Nel 1999 ha sposato Zinat Quraishi, dottoressa, da cui nel gennaio 2007 ha avuto un figlio. Parla sei lingue (pashtu, dari, inglese, urdu, hindi e francese). YUNIS QANUNI - Presidente della Wolesi Jirga Yunis Qanuni, di etnia tagika, è nato nel 1954 nel villaggio di Rokha, nella valle del Panshir, che al tempo si trovava nella provincia di Parwan. Nel 1981, dopo la laurea in diritto islamico all‟Università di Kabul, si è unito alla resistenza contro le forze sovietiche aderendo al partito Jamiat-e-Islami diretto da Burhanuddin Rabbani. Nel 1985 Amhad Shah Massud ha costituito lo Shura-e Nazar (Consiglio dei Comandanti) e ha scelto Qanuni come direttore dell‟ufficio politico di Peshawar e portavoce del Consiglio, carica che ha conservato anche sotto il governo Rabbani insediatosi nel 1992. Nel 1993 Rabbani, per venire incontro alle richieste di Pakistan, Iran e Arabia Saudita, e creare le condizioni per la collaborazione con Gulbuddin Hekmatyar (leader di Hezb-e Islami), ha accettato gli Accordi di Peshawar e sacrificato Massud, rimuovendolo dall‟incarico di Ministro della difesa. Il Dicastero è stato allora affidato a due personalità appartenenti allo Hezb-e Islami e allo Jamiat-e Islami (Qanuni) che agivano come co-Ministri. In questo periodo Qanuni ha subito un attentato a Kabul, attribuito a Hektmayar, ed è riuscito a salvarsi grazie anche alle cure ricevute in un ospedale francese dove era stato ricoverato, ma da allora è costretto a camminare aiutandosi con un bastone. Dopo la conquista del potere da parte dei taliban, ha svolto un ruolo attivo nei negoziati tra i vari movimenti di opposizione per trovare una strategia comune di lotta al regime diretto dal mullah Omar. Nel mese di ottobre 1996 ha collaborato, sotto la guida del Comandante Massud, alla costituzione del Consiglio Supremo per la Difesa della Patria, con capitale a Mazar-e Sharif, e, l‟anno successivo, alla formazione del Fronte Islamico Unito per la Salvezza dell‟Afghanistan, meglio conosciuto come Alleanza del Nord, di cui è diventato presidente alla scomparsa di Massud. Negli anni successivi compie numerosi viaggi in Europa e anche a Roma per incontrare i rappresentanti della diaspora afghana. Nel dicembre 2001, dopo l‟Accordo di Bonn, è stato nominato Ministro dell‟interno, conservando incarico solo sino al giugno del 2002 quando gli è stata affidata la guida del dicastero dell‟istruzione, meno importante ai fini della definizione degli equilibri di potere nel Paese. Nel 2003 è accusato, insieme ad altre eminenti personalità, di essersi appropriato di terreni edificabili nella capitale ma si è difeso dalle accuse affermando che gli erano stati regalati. Nell‟ottobre del 2004 si è candidato alle elezioni presidenziali e ha ottenuto il 16,3 % dei voti, risultando secondo dietro a Karzai. Nel mese di settembre 2005 è stato eletto deputato della Wolesi Jirga per la provincia di Kabul e il 21 dicembre successivo è stato nominato Presidente della Camera, superando Abdul Rasul Sayyaf, di etnia pashtun e sostenuto dal Presidente Karzai. Nell‟aprile 2007 è stato tra i principali promotori della formazione del Fronte Nazionale Unito (Jabhe-ye-Motahed-e-Milli), al quale hanno aderito personalità dell‟ex Alleanza del Nord, ex comunisti, leader locali e appartenenti a famiglie che hanno svolto un ruolo importante nella storia del Paese, quali Mustafa Zahir, nipote dell‟ex Re Zahir Shah. Yunis Qanuni è un politico preparato, di orientamento moderato e dotato di una cultura molto profonda. Non fa mistero delle sue ambizioni politiche ed è accusato dagli avversari di servirsi della sua attuale posizione per creare una propria base di potere e proporsi come alternativa al Presidente Karzai o come Primo Ministro in caso di trasformazione dell‟ordinamento dello Stato da Repubblica presidenziale in Repubblica parlamentare. È sposato e ha tre figlie e tre figli. Parla l‟arabo, l‟urdu e l‟inglese. 116 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA GULBUDDIN HEKMATYAR - Leader di Hezb-e Islami Gulbuddin Hektmatyar è nato nel 1947 a Imam Sahib, nella provincia di Kunduz 202. Appartiene alla tribù dei Kharuti, del clan Ahmazdai, della confederazione pashtun Ghilzai. Dal 1970 al 1972 ha frequentato la facoltà di ingegneria a Kabul e, grazie al suo carisma, è emerso ben presti negli ambienti universitari della capitale come uno degli esponenti islamici più radicali, guidando numerose manifestazioni studentesche. Nel 1972 è stato arrestato con l‟accusa di aver ucciso un giovane comunista. Dopo il suo rilascio dalla prigione, nel 1974, si è rifugiato Pakistan, dove ha partecipato con Burhanuddin Rabbani, Ahmad Shah Massud e il loro partito Jamiat-e Islami al tentativo di sollevazione contro il regime di Daoud (1975) in Afghanistan. A seguito del fallimento dell‟iniziativa, si è allontanato dallo Jamiat-e Islami e ha fondato il suo partito, Hezb-e Islami (1976). Durante l‟invasione sovietica è diventato uno dei principali protagonisti della lotta di resistenza, anche perché i suoi legami con i servizi segreti pakistani ne hanno fatto il principale destinatario degli aiuti occidentali e dei Paesi arabi moderati. Tuttavia, il suo impegno è stato diretto più a eliminare gli altri gruppi di mujahiddin che si opponevano al suo disegno di assumere la guida del jihad che a combattere contro le truppe di Mosca. Il 6 marzo 1990, dopo la ritirata sovietica, ha appoggiato il fallito colpo di stato del Generale comunista Shanawaz Tanai. Alla caduta di Najibullah (1992), è stato preceduto nella marcia verso Kabul da Massud e da Abdul Rashid Dostum e, a dispetto degli accordi di spartizione del potere che gli destinavano la carica di Primo Ministro, ha fatto bombardare la capitale dalle sue forze attestate nei distretti a sud della città, dando il via alla guerra civile che è durata sino all‟ascesa al potere del mullah Omar. Dopo le sconfitte subite dalle sue milizie nei combattimenti contro quelle taliban, prima a Chahar Asiab (1995) poi a Surobi (1996), ha lasciato l‟Afghanistan rifugiandosi in Iran. Nel 2002 è stato espulso dal Paese ed è ritornato in patria per prendere parte alla lotta contro le forze governative e quelle di ISAF/Enduring Freedom. In questi ultimi anni è stato abbandonato dall‟ala moderata del partito, che ha accolto l‟invito del Presidente Karzai a partecipare alla vita politica del Paese. Attualmente, il suo ruolo fra gli altri gruppi eversivi attivi in Afghanistan è marginale anche se può contare su alcuni comandanti di indubbie capacità, tra i quali Kashmir Khan. Gulbuddin Hekmatyar è una personalità estremamente ambiziosa, disposta ad allearsi anche con gli avversari per raggiungere il proprio obiettivo, che è la costituzione in Afghanistan di un governo islamico sotto la sua guida. Per la sua crudeltà, la mancanza di scrupoli e la rigidità dei principi ideologici ai quali si ispira è guardato con sospetto anche dalle forze che lottano contro il governo Karzai e i suoi sostenitori. Ha due mogli (una vivrebbe in Iran, mentre l‟altra nel campo profughi di Shamshato, in Pakistan), sei figlie e tre figli. Parla pashtu, dari (farsi), inglese, urdu e arabo. MULLAH MOHAMMAD OMAR – Leader del movimento taliban Mohammad Omar è nato tra il 1959 e il 1961 in una famiglia di poveri contadini nel villaggio di Nodeh, nel distretto di Panjwayi (provincia di Kandahar)203. È un pasthun Ghilzai della tribù degli Hotak. Si è trasferito prima a Deh Rawood nella provincia di Uruzgan, poi, restato orfano di padre in giovane età, nel villaggio di Singesar (distretto di Maywand, provincia di Kandahar) di cui è diventato il mullah. Dopo l‟invasione sovietica, ha partecipato alla resistenza militando in varie formazioni sino ad unirsi al 202 Suo padre, Ghulam Qader, era originario della provincia di Ghazni. Sulla biografia del mullah Omar esistono molte incertezze, che riguardano non solo la data ma anche il luogo della nascita. 203 117 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA comandante Nek Mohammad di Hezb-e Islami, fazione Khalis204. È stato ferito quattro volte e nel 1989 ha perso l‟occhio destro per l‟esplosione di un razzo. Dopo la guerra, è tornato a Singesar ove ha diretto una madrassa (scuola coranica) per aiutare la famiglia. Nel 1994 ha fondato il movimento taliban per lottare contro i soprusi e le violenze dei warlord che controllavano la provincia di Kandahar. Secondo alcune versioni, nella primavera di quell‟anno il mullah Omar si è posto alla guida di un gruppo di circa 30 studenti delle scuole coraniche (taliban) per liberare due ragazze rapite e violentate da un comandante locale. in seguito a ciò la sua fama si è diffusa rapidamente e il movimento ha ottenuto l‟appoggio di settori sempre più ampi della popolazione, di esponenti tribali e di gruppi economici e sociali, che volevano la fine del clima di insicurezza in cui erano costretti a vivere e ad operare. A suo fianco si sono schierati anche i sodalizi criminali dediti al narcotraffico interessati a liberarsi dei warlord che, taglieggiando gli automezzi in transito nelle aree da essi controllate, ostacolavano il traffico di sostanze stupefacenti. Nel novembre 1994 i taliban si sono impadroniti di Kandahar, nel settembre 1995 di Herat e quindi di Kabul (settembre 1996) e di Mazar-e Sharif (agosto1998). Nel 2001 solo il 15% del territorio afghano, corrispondente principalmente alla provincia nord-orientale del Badakhshan, era fuori del controllo del Governo taliban. Nell‟ottobre 1997 l‟Afghanistan è diventato l‟Emirato Islamico dell‟Afghanistan, governato sulla base della shariah, nella sua interpretazione più rigida. Nel 1996 il mullah Omar è stato designato da un migliaio di religiosi afghani convenuti a Kandahar Amir-ul-Mominin, Comandante dei Credenti205. Durante il regime taliban ha guidato l‟Afghanistan da Kandahar, che ha lasciato solo raramente206. Egli si vantava di non aver mai compiuto un viaggio in aereo e di essersi recato a Kabul sono una volta. Durante il suo governo ha consolidato i rapporti con Osama bin Laden, che si era rifugiato in Afghanistan nel 1996 e che lo aveva sostenuto con uomini e finanziamenti nella lotta per il potere. Dopo gli attentati dell‟11 settembre 2001 si è rifiutato di accogliere le richieste di Washington di consegnare o di espellere il leader di al-Qaida, subendo l‟offensiva delle forze della coalizione internazionale guidata dagli USA e di quelle dell‟Alleanza del Nord. Dopo la caduta del regime si è rifugiato in Pakistan, verosimilmente nell‟area di Quetta, da dove, a partire dal 2003, ha riorganizzato il movimento taliban costituendo la “Rahbari shura” (consiglio supremo). Su di lui il Governo USA ha posto una taglia di 25 milioni di dollari. Molto schivo, il mullah Omar ha sempre cercato di evitare i contatti con gli stranieri e in particolare con i giornalisti. Ahmed Rashid nel suo fondamentale libro sui taliban lo descrive come grande207 e bello, “dotato di humour caustico e di spirito sarcastico”. AHMAD ZIA MASSUD - Primo Vice Presidente dell’Afghanistan Ahmad Zia Massud, di etnia tagika, è nato a Moqor, nella provincia di Ghazni, il 1° maggio del 1956. È fratello di Amhad Shah Massud, leggendario Comandante dell‟Alleanza del Nord. Dopo le scuole superiori si è iscritto alla facoltà di architettura dell‟università di Kabul ma dopo l‟occupazione sovietica ha lasciato gli studi per partecipare al jihad, combattendo con il fratello nella Valle del Panshir. Fino al 1981 ha ricoperto ruoli direttivi e dal 1981 al 1992 ha agito da ufficiale di collegamento a Peshawar, ove avevano sede i sette partiti della resistenza, tra cui lo Jamiat-e Islami. Dal Pakistan ha svolto un importante ruolo di 204 Hezb-e Islami - Khalis è stato fondato nel 1979 da Yunis Khalis, per scissione da Hezb-e Islami di Gulbuddin Hekmatyar. 205 È stato formalmente privato di questo titolo nel mese di maggio 2005. 206 Avrebbe rifiutato anche l‟invito a partecipare allo Haji a la Mecca. Per contro, avrebbe studiato in una madrassa pakistana (a Quetta, nel Beluchistan, o a Multan, nel Punjab). 207 Sarebbe alto quasi due metri. 118 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA contatto con i diplomatici e le organizzazioni straniere, viaggiando anche all‟estero per patrocinare la causa dei mujahiddin. Alla caduta del regime di Najibullah (1992) viene nominato Consigliere e Rappresentante speciale del Presidente della Repubblica Burhanuddin Rabbani, suo suocero. Nel giugno 2002 è stato nominato Ambasciatore in Russia e nel 2004 anche in Armenia, Georgia, Belarus e Moldova. Nello stesso anno il Presidente Karzai lo ha scelto come suo primo Vice Presidente per le elezioni del mese dell‟ottobre successivo. Amhad Zia Massud è sposato e padre di quatto figlie e di un figlio. MOHAMMAD KARIM KHALILI - Secondo Vice Presidente dell’Afghanistan Mohammad Karim Khalili, di etnia hazara, è nato nel 1950 a Qala-e Khesh, un villaggio del distretto di Beshud (provincia di Wardak). Dal 1981 al 1987 è stato dapprima membro e quindi dirigente del Consiglio della Coalizione islamica dell‟Afghanistan, organizzazione sostenuta dall‟Iran. Nel 1988 ha aderito al partito Hezb-e-Wahdat Islami di Abdul Ali Mazari, sorto su spinta di Teheran che intendeva unire le correnti sciite contro i partiti sunniti con base in Pakistan. Durante la guerra civile ha combattuto con le milzie del suo partito a fianco di quelle uzbeke di Abdul Rashid Dostum e pashtun di Gulbuddin Hekmatyar contro le forze governative (tagike) comandate da Ahmad Shah Massud. Nel marzo 1995, dopo aver subito gravi perdite, Mazari ha stipulato un accordo con i taliban ma molti dei suoi comandanti si sono rifiutati di consegnare le armi. Mazari è stato arrestato dai taliban, che lo sospettavano di tradimento, ed è stato ucciso mentre tentava di fuggire. Alla sua morte, il ruolo di Presidente del partito è passato a Khalili il quale in pochi mesi ha preso le distanze dai taliban e nel 1996 ha partecipato insieme a Massud e a Dostum alla costituzione del Consiglio Supremo per la Difesa della Patria, con capitale a Mazar-e Sharif, e, l‟anno successivo, alla formazione del Fronte Unito Nazionale e Islamico per la Salvezza dell‟Afghanistan, meglio conosciuto come Alleanza del Nord. Dopo la Conferenza di Bonn ha protestato per lo scarso peso attribuito alla componente hazara nelle nuove istituzioni ma ha accettato l‟incarico di Vice Presidente della Autorità Transitoria Afghana (giugno 2002). Nel 2004 Karzai lo ha scelto come Secondo Vice Presidente per le elezioni presidenziali del mese di ottobre. Con il tempo ha perso gran parte della sua influenza tra la comunità hazara a vantaggio di Mohammad Mohaqqeq, già famoso comandante delle milizie di Hezb-e-Wahdat Islami, distintosi nei combattimenti intorno a Mazar-e Sharif. Mohaqqed ha lasciato il partito diretto da Khalili fondando una propria formazione chiamata Hezb-e Wahdat-e Islami i Mardom. USTAD MOHAMMAD MOHAQQEQ – Presidente di Commissione della Wolesi Jirga Mohammad Mohaqqeq208, di etnia hazara, è stato una delle figure di primo piano del partito filoiraniano Hezb-e-Wahdat Islami, guidandone le milizie nei combattimenti intorno a Mazar-e Sharif sia nel periodo 1997-1998 che nel 2001, quando ha contribuito insieme a Abdul Rashid Dostum (uzbeko) e a Ustad Mohammad Atta (tagiko) alla liberazione di tutta la regione settentrionale del Paese. Ha partecipato alla Conferenza di Bonn ed è stato nominato Ministro della pianificazione e Vice Presidente dell‟Autorità ad interim. Confermato alla guida del dicastero nel giugno del 2002, si è dimesso nel marzo 2004 per dissensi con il Presidente Karzai. Ha partecipato alle elezioni presidenziali dell‟ottobre del 2004, risultando il secondo dei non eletti. Nel settembre 2005 è stato eletto alla Wolesi Jirga per la provincia di Kabul 208 I dati biografici di Mohaqqeq sono piuttosto incerti: sarebbe nato intorno al 1955 nei pressi di Mazar-e Sharif (provincia di Balkh). 119 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA ottenendo il maggior numero dei voti tra i vari candidati. Agli inizi del 2006 è stato nominato presidente della Commissione affari religiosi, cultura e istruzione della Camera. Dopo aver militato nel partito Hezb-eWahdat Islami di Karim Khalili se ne è distaccato fondando Hezb-e Wahdat-e Islami i Mardom. Negli ultimi tempi si sarebbe riavvicinato al Presidente Karzai rifiutandosi di aderire al Fronte Nazionale Unito di Yunis Qanuni e di Burhanuddin Rabbani. È stata più volte ventilata la possibilità di un suo ritorno nel Governo, verosimilmente con l‟incarico di Ministro della giustizia. PIR SIBGHATULLAH MOJADDIDI - Presidente della Meshrano Jirga Sibghatullah Mojaddidi è il Pir209 della confraternita sufi naqsbandi e una figura importante della resistenza antisovietica, alla quale ha partecipato alla guida del partito Jahba-e Melli-e Nihat Afghanistan. È nato a Kabul nel 1925 da un‟importante famiglia di sceicchi sufi legata alla monarchia ma critica riguardo all‟eccessiva occidentalizzazione delle leggi e dei costumi. Dopo aver completato le scuole superiori a Kabul, ha studiato alla facoltà di legge dell‟Università al-Azhar del Cairo, dove si è legato ai Fratelli musulmani e si è laureato nel 1953. Tornato in Afghanistan, ha insegnato sino al 1959 in tutti i principali istituti di istruzione della capitale. È stato tra i primi a protestare per l‟avvicinamento del Primo Ministro pro-tempore Daoud ai sovietici e nel 1964 è stato incarcerato per aver progettato un attentato contro Kruscev e Bulganin in visita in Afghanistan. Trascorsi tre anni in prigione, dopo la scarcerazione si è recato in esilio negli USA dove è rimasto dal 1968 al 1970. Nel 1971 ha fondato lo Jamat-e Islami-e ulema-ye mohammdi. Di nuovo in esilio dal 1974, dopo il colpo di stato di Daoud dell‟anno precedente, si è rifugiato in Danimarca e in Svezia. Nel 1978 ha costituito a Peshawar lo Jahba-e Melli-e Nihat Afghanistan, filo-monarchico. Il suo partito era il più piccolo tra quelli che operavano a Peshawar e ciò lo ha posto al riparo da odi e vendette. Nel mese di aprile 1992 è stato eletto Presidente ad interim dell‟Afghanistan e ha ceduto l‟incarico nel giugno successivo a Burhanuddin Rabbani. Durante la guerra civile si è alleato con Abdul Rashid Dostum, Gulbuddin Hekmatyar e Abdul Ali Mazari contro l‟“usurpazione” del potere da parte di Rabbani. Nel 1995 è stato designato capo del Consiglio supremo di concordia. Durante il regime taliban ha mantenuto una posizione di basso profilo. Nel dicembre 2003 ha presieduto la Loya Jirga costituzionale chiamata a redigere e approvare la nuova Carta fondamentale del Paese e nel marzo 2005 è stato posto da Karzai alla guida del Program Takhim-e Solh (PTS - Programma di riconciliazione nazionale), diretto a favorire il reinserimento nella vita politica e sociale del Paese degli esponenti legati ai gruppi eversivi che decidono di rinunciare alla lotta armata. Nel dicembre 2005 è stato nominato membro della Meshrano Jirga di cui è diventato poco dopo Presidente. Nel marzo 2006 è sfuggito a un attentato. Sibghatullah Mojaddidi è una personalità molto rispettata e dal carattere forte e indipendente. Negli ultimi tempi ha preso più volte posizioni che hanno messo in imbarazzo il Governo, in particolare con le sue richieste di sostituzione dei funzionari corrotti e con le sue accuse all‟intelligence pakistana (ISI) di appoggiare i taliban e ad ISAF di non fare quanto possibile per evitare la morte di civili nelle operazioni militari. 209 Titolo onorifico attribuito al leader di una confraternita. 120 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA ABDUL RASHID DOSTUM - Leader della comunità uzbeka Abdul Rashid Dostum, di etnia uzbeka, è nato a Khavjia Dokoh, nella provincia di Jowzjan, nel 1954 o 1955, da una povera famiglia di contadini. Ha lavorato come operaio in una compagnia per l‟estrazione di gas della regione settentrionale e in seguito è diventato responsabile dell‟organizzazione di unità di autodifesa per la protezione degli impianti. Dopo un corso di addestramento in Unione Sovietica è stato assunto dal Ministero dell‟interno che gli ha affidato il comando dell‟Unità 374, una milizia paramilitare attiva nella sua provincia, conferendogli il grado di Generale. Ben presto il numero degli uomini alle sue dipendenze è aumentato comprendendo anche elementi di altri gruppi etnici. Dopo l‟arrivo al potere di Najibullah, Dostum ha svolto un ruolo molto attivo nella lotta contro i mujahiddin; per i meriti acquisiti è stato insignito del titolo di “Eroe della Repubblica dell‟Afghanistan” e ammesso anche al Comitato Centrale del Partito comunista. In questo periodo ha fondato un proprio partito chiamato Junbesh-e Milli, che continua tuttora a raccogliere i consensi della maggioranza della popolazione di etnia uzbeka. Nel mese di febbraio 1992 ha abbandonato Najibullah schierandosi con i suoi miliziani a fianco di Massud che, con il suo aiuto, è riuscito a impadronirsi di Kabul prima di Gulbuddin Hekmatyar. Gli uomini di Dostum si sono fatti presto temere nella capitale per la loro crudeltà e la loro avidità. Nel 1994 Dostum ha abbandonato Massud alleandosi con Hekmatyar cercando di prendere il controllo del Ministero della difesa. A seguito del fallimento di questo tentativo ha lasciato Kabul per rifugiarsi a Mazar-e Sharif dove ha costituito una specie di mini-Stato, con una propria moneta e una propria compagnia aerea. Nell‟ottobre 1996 ha partecipato con Massud e Kharim Khalili alla costituzione del Consiglio Supremo per la Difesa della Patria, che aveva la propria base proprio a Mazar-e Sharif. Nel periodo 1997-1998 Dostum ha cercato di resistere all‟avanzata delle milizie taliban, ma a causa della defezione del suo vice, Abdul Malik Palhawan, che lo accusava di aver fatto assassinare il fratello, è stato sconfitto e costretto a lasciare l‟Afghanistan. È tornato in patria nell‟aprile del 2001 per combattere a fianco di Massud, ma fu solo dopo l‟inizio dell‟Operazione Enduring Freedom che ha svolto un ruolo importante contribuendo alla liberazione delle aree della regione settentrionale abitate in prevalenza da popolazione uzbeka. Anche in questo periodo i suoi uomini sono stati accusati di crudeltà, in particolare della morte di centinaia di prigionieri, rinchiusi dentro contenitori con scarsa ventilazione e tenuti per molte ore all‟aperto. La scarsa limpidezza delle vicende di cui è stato protagonista gli hanno impedito di svolgere un ruolo di primo piano nelle nuove istituzioni afghane anche se nell‟aprile 2005 è stato nominato Capo di Stato Maggiore dell‟Alto Comando delle Forze Armate afghane. Tuttavia, si tratta di un titolo meramente onorifico, privo di reali poteri, che Karzai gli ha conferito per impedirgli di partecipare alle elezioni politiche o di appoggiare candidati contrari al Governo. Nell‟aprile 2007, tuttavia, Dostum è stato tra i promotori della costituzione del Fronte Nazionale Unito il cui obiettivo è, di fatto, esprimere una alternativa di potere a Karzai. Nella notte tra il 2 e il 3 febbraio 2008, a Kabul, Dostum ha assaltato, alla testa di 50-70 uomini armati, l‟abitazione di Akbar Bai, di etnia turkmena e suo avversario politico, prelevandolo e portandolo con la forza nella sua residenza, poco lontana. La polizia è intervenuta con decine di agenti liberando il sequestrato, che è stato successivamente ricoverato in ospedale per le percosse ricevute. La vicenda ha provocato prese di posizione indignate da parte di molti gruppi politici e sociali mentre i sostenitori del generale hanno minacciato rivolte nelle province settentrionali se “gli fosse stato torto un capello”. Tuttavia, il Procuratore generale Sabit ha aperto un procedimento nei suoi confronti e gli ha intimato di comparire per dare spiegazioni; al rifiuto del generale, ha disposto la sua sospensione dall‟incarico militare ricoperto. Anche se emarginato sulla scena politica nazionale, Dostum mira a rimanere un protagonista in ambito regionale, conservando intatta la sua base di potere tra le popolazione uzbeka. Per tale motivo avrebbe 121 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA cercato di mantenere una propria milizia armata, evitando di attenersi al programma DIAG (Disbandment of Illegal Armed Groups) promosso dal Governo di Kabul e sostenuto dalla comunità internazionale. BURHANUDDIN RABBANI - Ex Presidente dell’Afghanistan. Presidente della Commissione legislativa della Wolesi Jirga Burhanuddin Rabbani, di etnia tagika, è nato nel 1940 a Faizabad, capoluogo della provincia del Badakhshan, da un piccolo proprietario terriero. Dopo le scuole superiori ha frequentato l‟università a Kabul dove nel 1963 si è laureato in teologia e legge islamica. Nei tre anni successivi ha insegnato ed è poi partito per il Cairo per proseguire gli studi all‟università al-Azhar. Nel 1968 ha ottenuto il dottorato e fatto ritorno in patria. Membro della confraternita sufi naqshbandi, ha subito molto l‟influenza dei Fratelli mussulmani e ha organizzato numerosi centri islamici sotto la guida del professor Gholam Mohammad Nazi. Ben presto è emerso come la figura più rappresentativa della shura che dirigeva le attività della Gioventù mussulmana, di cui è diventato anche Presidente, mentre suo vice era Abdul Rasul Sayyaf. Successivamente è stato ammesso alla shura anche Gulbuddin Hekmatyar. Il movimento si proponeva la costituzione di uno Stato islamico, ma moderno, e si opponeva sia alla monarchia, considerata troppo filo-occidentale, sia all‟ideologia comunista o di sinistra. Dopo la destituzione del Re Zahir Shah e l‟ascesa al potere di Daoud nel 1973, i gruppi islamici hanno subito la repressione della polizia e Rabbani è stato costretto a lasciare il Paese rifugiandosi in Pakistan. Al loro interno si sono accentuate le divisioni tra la componente moderata e quella estremista, sfociate nell‟uscita da Jamiat-e Islami210 di Hekmatyar, leader dei radicali, che ha fondato il proprio partito, Hezb-e Islami (1976). Dopo l‟occupazione sovietica il Jamiat-e Islami e la sua ala militare guidata da Ahmad Shah Massud sono stati tra i protagonisti del jihad nelle province settentrionali del Paese. Alla caduta del regime di Najibullah (1992), le fazioni dei mujahiddin hanno nominato Presidente ad interim, per due mesi, Pir Sibghatullah Mojaddidi, al quale è poi subentrato Rabbani. Il suo mandato doveva durare quattro mesi ma è stato più volte prorogato, acuendo i contrasti con gli altri gruppi che avevano vinto la guerra contro i sovietici e il Governo filo-comunista di Kabul. Dopo la presa del potere da parte dei taliban, Rabbani si è recato in esilio pur continuando a essere riconosciuto da quasi tutti i Paesi come il legittimo Presidente dell‟Afghanistan. Durante la Conferenza di Bonn, un accordo promosso dagli USA e accettato anche dagli esponenti tagiki che partecipavano ai lavori (Mohammad Qasim Fahim Khan, Yunis Qanuni e Abdullah Abdullah) ha portato alla nomina a Capo dell‟Autorità ad interim, e, quindi, con lo status di Capo dello Stato, di Hamid Karzai. Rabbani non ha rinunciato tuttavia all‟obiettivo di tornare a svolgere un ruolo di primo piano nella vita politica del Paese e ha cercato di sfruttare i contatti stabiliti nel corso degli anni per allargare la propria base di potere. È stato tra i promotori della costituzione del Fronte Nazionale Unito (aprile 2007), di cui è stato nominato Presidente per i primi sei mesi, e sembra voler contendere a Qanuni la designazione a candidato della Coalizione per le prossime elezioni presidenziali. Nel settembre 2005 è stato eletto alla Wolesi Jirga, di cui guida la Commissione legislativa 122 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA ABDUL RASUL SAYYAF - Presidente della Commissione esteri della Wolesi Jirga Abdul Rasul Sayyaf è nato nel 1946 a Paghman, nella provincia di Kabul. È pashtun/ghilzai, della tribù Kharuti. Dopo gli studi nella madrassa di Abu Hanifa, si è iscritto alla facoltà di teologia dell‟Università di Kabul e si è laureato con lode. È rimasto come assistente all‟ateneo sino al 1969, quando si è iscritto all‟Università al-Azhar del Cairo. In questo periodo ha avuto molti contatti con gli ambienti wahhabiti dell‟Arabia Saudita. Tornato in Afghanistan ha partecipato attivamente alle iniziative del movimento islamico ed è stato nominato Vice Presidente della shura che ne dirigeva le iniziative. Nel 1975 è stato arrestato mentre cercava di partire per gli Stati Uniti. In carcere è venuto a conoscenza del degrado e della violenza in cui la repressione del Governo aveva fatto cadere il Paese. Tuttavia, è riuscito a sfuggire alla condanna a morte ed è stato rilasciato grazie all‟amnistia concessa dopo l‟invasione sovietica. Una volta tornato in libertà, nel 1980, si è rifugiato a Peshawar dove ha tentato in varie riprese di unificare i sei partiti islamici sunniti e vi è riuscito solo temporaneamente con la fondazione di Ittihad-e Islami211, che, tuttavia, è presto diventato il settimo partito. Durante la guerra contro i sovietici, l‟Ittihad-e Islami ha potuto usufruire degli aiuti sauditi e ha accolto tra le sue fila molti comandanti che avevano bisogno di finanziamenti per armare i loro uomini. Era presente soprattutto nelle città e non si appoggiava a nessun gruppo etnico. Nel 1992 è stato nominato Ministro dell‟interno del Governo mujahiddin e ha cercato di favorire un accordo tra Buranuddin Rabbani e Ahmad Shah Massud, da una parte, e Hekmatyar, dall‟altra, per porre fine alla guerra civile. Nel 1994 si è alleato allo stesso Hekmatyar e a Dostum combattendo contro le forze fedeli al Governo, controllato dagli esponenti tagiki. Sayyaf è legato ai circoli wahhabiti sauditi e ne condivide l‟ideologia che privilegia una visione molto rigida dell‟islam, soprattutto per quanto riguarda la condizione e il ruolo delle donne. Nello stesso tempo è allineato su posizioni anti-occidentali e rifiuta la democrazia parlamentare nel rispetto degli insegnamenti di Mohammad Ibn Abd al Wahhab (1703-1792). È anche un deciso avversario della ideologia sufi e si è distinto per l‟odio nei confronti degli sciiti contro cui ha lanciato un‟operazione di pulizia etnica durante la guerra civile (massacro di Afshar Mina del 1993). Nel 1988-1989 il Dipartimento di Stato americano considerava Rasul Sayyaf un estremista e nel 1994 lo ha accusato di ospitare nei suoi campi di addestramento pericolosi terroristi. In effetti Sayyaf ha tessuto rapporti molto stretti con lo sceicco Abdullah Azam e con il suo discepolo Osama bin Laden. Azam ha fondato agli inizi degli anni Ottanta il Mekhtab al Khidmat, attraverso cui passavano tutti i militanti che col nome “gli Afghani” costituirono la base del terrorismo degli anni Novanta. Dopo la caduta di Kabul (1996), si è schierato a fianco di Massud e in seguito è entrato a far parte dell‟Alleanza del Nord. A seguito dell‟Accordo di Bonn, è riuscito a inserire molti uomini di fiducia in incarichi chiave dell‟apparato dello Stato, sia a livello centrale che periferico. Guardato inizialmente con sospetto dai gruppi moderati per la sua ideologia pan-islamica, i sentimenti anti-occidentli e i legami con ambienti estremisti islamici e con personalità sospettate di collusione con sodalizi criminali, nel tempo è riuscito a mitigare le sue posizioni e attualmente svolge un ruolo di rilievo nella vita politica del Paese, legittimato anche dalla decisione di Karzai di candidarlo alla carica di Presidente della Wolesi Jirga. Solo per pochi voti si è visto superare da Yunis Qanuni. In seguito, tuttavia, è stato nominato presidente della Commissione esteri. 210 Il movimento è stato fondato nel 1957 dal teologo Niyazi; Rabbani, che ha partecipato alla sua costituzione, ne è diventato Presidente nel 1972. 211 Negli anni scorsi il partito è stato ridenominato Tanzim Daawat-e-Islami-e-Afghanistan. 123 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA ISMAIL KHAN - Ministro dell’energia e delle risorse idriche Ismail Khan, di etnia tagika, è nato nel 1948 a Naser Abad, nel distretto di Shindand (provincia di Herat). Ha frequentato la scuola primaria di Waez Kashif ed è stato poi ammesso alla Scuola militare di Kabul e all‟Accademia, sempre a Kabul. Completati gli studi militari (1972), è stato assegnato alla 17^ Divisione di Herat. Ha partecipato all‟insurrezione popolare contro il regime comunista del 17 Marzo 1979, che è stata soffocata nel sangue. Per sottrarsi all‟arresto, Ismail Khan, allora Capitano, ha abbandonato l‟Esercito ed è entrato in clandestinità rifugiandosi insieme a sessanta dei suoi uomini in una zona montagnosa della provincia di Ghowr. Dopo l‟invasione sovietica ha raggiunto il Pakistan ed ha aderito al partito Jamiat-e Islami di Burhanuddin Rabbani. Tornato in patria, ha contribuito ad organizzare il jihad nelle province occidentali guadagnando una grande fama per le sue capacità militari e il suo coraggio, ma si è procurato anche molti nemici in seno al suo stesso partito, soprattutto quando ha tentato di impedire la formazione del movimento islamista degli ikuani (fratelli), collegato ai Fratelli mussulmani egiziani e che voleva diffondere l‟insegnamento wahhabita. Gli ikuani hanno continuato a contrastarlo anche quando, dopo la caduta del regime comunista, egli è diventato Governatore della provincia di Herat e ha assicurato alla popolazione benessere, prosperità e stabilità inserendo i suoi avversari nell‟amministrazione locale. Ismail Khan ha sempre mantenuto un atteggiamento di indipendenza nei confronti del Governo di Kabul, che ha cercato anche di opporsi alla sua decisione di attribuirsi il titolo di Emiro. Nel periodo della guerra civile (19921996), egli ha cercato di favorire un‟intesa tra le fazioni in lotta, ma i suoi tentativi sono falliti a causa delle manovre dei servizi segreti pakistani. Nel mese di marzo 1995 i taliban hanno attaccato ripetutamente la provincia di Herat, ma Ismail Khan è riuscito a bloccare per due volte la loro avanzata. Nel mese di agosto ha condotto una controffensiva che gli ha consentito di arrivare a Gereshk, nella provincia di Helmand, allontanandosi troppo dalle sue basi ed esponendo le sue milizie ai veloci contrattacchi dei taliban, rafforzatisi nel frattempo grazie agli aiuti provenienti soprattutto dal Pakistan e dall‟Arabia Saudita. La sconfitta iniziale si è tramutata presto in una rottura e Ismail Khan ha lasciato con i suoi uomini Herat, occupata dai taliban il 5 settembre, rifugiandosi in Iran. Nel 1997 è tornato in patria per partecipare alla lotta contro le milizie taliban insieme a Abdul Rashid Dostum, ma a causa del tradimento del Vice di quest‟ultimo, Malik Palhawan, è stato catturato e consegnato ai taliban. Questi lo hanno rinchiuso nella prigione di Kandahar, da cui è riuscito a fuggire dopo tre anni con la complicità di una guardia. Rifugiatosi nuovamente in Iran, poco dopo ha fatto ritorno nella provincia di Herat senza tuttavia riuscire a rappresentate una minaccia seria per i taliban. L‟inizio dell‟operazione militare Enduring Freedom gli ha consentito di riprendere l‟offensiva e al comando delle sue milizie ha liberato Herat il 12 novembre del 2001. Ismail Khan è stato nuovamente nominato Governatore della provincia, con una notevole influenza anche su quelle vicine, e in seguito gli è stato riconosciuto anche l‟incarico di Comandante del 4° Corpo d‟Armata con giurisdizione nella regione occidentale. Con la fine dei combattimenti la città di Herat è tornata ad essere al centro di traffici e di attività commerciali e industriali, distinguendosi tra gli altri capoluoghi di provincia, inclusa Kabul, per il livello di sviluppo e di benessere conseguiti. Tuttavia, sono presto sorti dei contrasti tra Ismail Khan e il Governo centrale, che reclamava il versamento delle tasse doganali riscosse nei valichi di frontiera con l‟Iran e il Turkmenistan, valutate in oltre 60 milioni di dollari l‟anno. Nello stesso tempo, è stato criticato dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani per gli ostacoli posti all‟affermazione del ruolo delle donne nella società e per gli episodi di violenza di cui si sono resi responsabili i suoi uomini in passato. Il Governo centrale ha cercato di indebolire l‟autorità di Ismail Khan, sia nominando governatori a lui ostili nelle vicine province di Bagdis e di Farah, sia vietando il cumulo delle cariche civili e militari. Il 21 marzo 2004 alcuni soldati della 17^ Divisione, comandata dal Generale Zahir Khan Nayebazda, sono stati 124 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA coinvolti in un attentato nei suoi confronti e poi hanno ucciso il figlio, Mirwais, e altri collaboratori che si erano recatosi presso la sede della Divisione per avere chiarimenti. Sono seguiti scontri violenti culminati con la fuga del Generale Nayebzada e la morte di decine di persone. Nel successivo mese di agosto, le milizie di Ismail Khan sono state sconfitte nel distretto di Shindand da quelle pashtun di Amanullah Khan. L‟episodio ha fornito al Governo il pretesto per inviare nell‟area una forza di interposizione e, in seguito (l‟11 settembre dello stesso anno), per rimuovere Ismail Khan dall‟incarico di Governatore. Tuttavia, seguendo una politica condotta anche con altri warlord, tra cui Dostum, il Presidente Karzai ha cercato di cooptare Ismail Khan nelle strutture di potere, temendo gli effetti destabilizzanti che egli avrebbe potuto provocare schierandosi contro le istituzioni del Paese. Di conseguenza, nel dicembre dello stesso anno gli ha offerto l‟incarico di Ministro dell‟energia e delle risorse idriche, che è stato accettato. Oltre che una figura carismatica della guerra contro i sovietici, Ismail Khan è anche un politico molto accorto e aspira a un proprio ruolo egemone in ambito regionale. Egli ha cercato di raggiungere tale obiettivo sfidando in alcune occasioni il Governo centrale, sia durante il periodo dei mujiaheddin che dopo la caduta dei taliban, ma evitando che le divergenze sfociassero in uno scontro aperto. Pertanto, anche se attualmente mostra un atteggiamento di lealtà nei confronti del Presidente Karzai, è verosimile che Ismail Khan sia pronto a sfruttare tutte le opportunità che gli si presenteranno per recuperare la propria influenza nella provincia di Herat e in tutta la regione occidentale. 125 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Allegato VI NAZIONI CHE PARTECIPANO ALLA MISSIONE ISAF212 PAESE MILITARI Albania Australia Austria Azerbaijan Belgio Bulgaria Canada Croazia Danimarca Estonia Finlandia Francia Georgia Germania Giordania Grecia Irlanda Islanda Italia Lettonia Lituania Lussemburgo Norvegia Nuova Zelanda Olanda Polonia Portogallo Regno Unito Repubblica Ceca Romania Singapore Slovacchia Slovenia Spagna USA Svezia Svizzera Repubblica di Macedonia Turchia Ungheria 140 1.070 3 50 370 420 2.500 190 780 130 105 1.515 1 3.210 90 150 7 10 2.880 100 260 9 495 115 1650 1100 160 7.800 135 535 2 70 70 740 15.000 345 2 130 675 230 212 Alla missione partecipano 40 Paesi (inclusi i 26 membri della NATO) per un totale di 43.250 uomini, inclusi gli elementi di supporto nazionale. I dati sono aggiornati al 6 febbraio 2008, ma variano frequentemente; http://www.nato.int/isaf/docu/epub/pdf/isaf_placemap.pdf . 126 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Allegato VII CRONOLOGIA DELLA MISSIONE ISAF213 ISAF I Dic. 2001 – Lug. 2002 Ten. Gen. John McColl (Regno Unito) ISAF II Giu. 2002 – Gen. 2003 Mag. Gen. Hilmi Akin Zorlu (Turchia) ISAF III Gen. 2003 – Ago. 2003 Ten. Gen. Norbert Van Heyst (Germania) ISAF IV Ago. 2003 – Feb. 2004 Ten. Gen. Götz Gliemeroth (Germania) 5 DICEMBRE 2001: inizio della Conferenza di Bonn. 20 DICEMBRE 2001: con la risoluzione n. 1386(2001) il Consiglio di Sicurezza ONU autorizza la costituzione di una forza internazionale di sicurezza guidata dal Regno Unito, cui partecipano altri 18 Paesi. 4 GENNAIO 2002: il Comandante di ISAF e il Ministro degli interni afghano firmano l‟Accordo Tecnico Militare che disciplina il mandato di ISAF nello specifico. 20 GIUGNO 2002: inizia il secondo mandato di ISAF, autorizzato dal Consiglio di Sicurezza ONU mediante la ris. n. 1413(2002). 17 OTTOBRE 2002: la NATO accetta la richiesta della Germania e dell‟Olanda e si impegna a fornire il proprio supporto al comando congiunto tedesco-olandese della futura ISAF III. 27 NOVEMBRE 2002: il Consiglio di Sicurezza ONU rinnova di 12 mesi il mandato della missione ISAF con la ris. n. 1444(2002). 10 FEBBRAIO 2003: primo comando congiunto di ISAF, guidato dalla Germania e dall‟Olanda. 16 APRILE 2003: il NAC adotta la decisione di assumere il comando della missione ISAF. 5 LUGLIO 2003: vengono inviate A KABUL le prime truppe NATO. 11 AGOSTO 2003: la NATO prende il comando di ISAF e il NAC si assume la responsabilità politica della missione. 13 OTTOBRE 2003: il Consiglio di Sicurezza ONU, mediante la ris. n. 1510(2003), rinnova di altri 12 mesi il mandato della missione e autorizza l‟espansione delle operazioni di ISAF oltre l‟area di Kabul. 19 NOVEMBRE 2003: Mr Hikmet Çetin (Turchia) viene nominato NATO Senior Civilian Representative per l‟Afghanistan. 19 DICEMBRE 2003: inizia l‟espansione di ISAF IV nelle provincie settentrionali dell‟Afghanistan (Fase I). 31 DICEMBRE 2003: la NATO assume il comando del Provincial Reconstruction Team (PRT) di Kunduz. ISAF V Feb. 2004 – Ago. 2004 28 GIUGNO 2004: in occasione della Conferenza di Istanbul, la NATO annuncia di voler espandere ulteriormente la propria presenza in Afghanistan mediante altri 4 PRTs. 17 SETTEMBRE 2004: il Consiglio di Sicurezza ONU adotta la ris. n. 1563(2004) ed estende il mandato di ISAF per altri 12 mesi. 10 FEBBRAIO 2005: la NATO decide di espandere ISAF nelle provincie ad Ovest dell‟Afghanistan (Fase II). Ten. Gen. Rick Hillier (Canada) ISAF VI Ago. 2004 – Feb. 2005 Ten. Gen. Jean-Louis Py (Francia), EUROCORPS 213 Fonte: sito della NATO riguardante http://www.nato.int/isaf/topics/history/index.html la 127 missione in Afghanistan, ISAF – History, ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA ISAF VII 8 GIUGNO 2005: I Ministri della difesa dei Paesi NATO dichiarano che l‟Alleanza fornirà ulteriore supporto in occasione delle elezioni politiche di settembre e affermano che è in preparazione l‟espansione di ISAF a Sud. ISAF VIII Ago. 2005 – Mag. 2006 13 SETTEMBRE 2005: il Consiglio di Sicurezza ONU adotta la ris. n. 1623(2005) con cui estende il mandato di ISAF di altri 12 mesi. 8 DICEMBRE 2005: i Ministri della difesa dei Paesi NATO adottano una revisione del Piano Strategico dell‟Alleanza in previsione dell‟espansione a sud di ISAF e concordano nello sviluppare un Afghan cooperation programme. Feb. 2005 – Ago. 2005 Ten. Gen. Ethem Erdagi (Turchia), NRDC-T Gen. C.A. Mauro Del Vecchio (Italia), NRDC-IT ISAF IX Mag. 2006 – Feb. 2007 Ten. Gen. David Richards (Regno Unito), Headquarters Allied Rapid Reaction Corps ISAF X Feb. 2007 – Nov. 2007 8 GIUGNO 2006: primo incontro tra i Ministri della difesa dei Paesi NATO e non-NATO che contribuiscono alla missione ISAF. I 37 rappresentanti confermano l‟intento di espandere la missione nel sud dell‟Afghanistan. 31 LUGLIO 2006: l‟ISAF assume il controllo di sei province del sud dell‟Afghanistan sostituendosi a Enduring Freedom a guida statunitense; inizia la Fase III dell‟espansione. 24 AGOSTO 2006: Daan Everts viene nominato nuovo NATO Senior Civilian Representative in Afghanistan. 12 SETTEMBRE 2006: il Consiglio di Sicurezza dell‟ONU adotta la ris. n. 1707(2006) con cui estende di ulteriori 12 mesi il mandato di ISAF, riconoscendo la necessità che tutti gli Stati membri contribuiscano con ogni mezzo al fine di rafforzare l‟efficacia della missione. 5 OTTOBRE 2006: ISAF assume il comando dei contingenti militari nelle provincie dell‟est dell‟Afghanistan (Fase IV) completando l‟espansione della missione in tutto il territorio afghano. 19 SETTEMBRE 2007: il Consiglio di Sicurezza dell‟ONU adotta la ris. n. 1776(2007) con la quale estende il mandato di ISAF di ulteriori 12 mesi ed esorta la missione a sostenere lo sviluppo delle forze di sicurezza afghane. Ten. Gen. Dan K. McNeill (Stati Uniti) 128 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA Allegato VIII CRONOLOGIA GENERALE 1747 – Nasce la prima monarchia dell‟Afghanistan fondata da Amhed Shah Abdali, della dinastia dei Durrani. 1839-42 – Prima guerra anglo-afghana. Gli afghani respingono le truppe britanniche. 1878-79 – Seconda guerra anglo-afghana. La Gran Bretagna esce vincitrice dal conflitto ed impone il proprio controllo sulla politica estera dell‟Afghanistan. 1893 – L‟Emiro afghano, Abdur Rahman Khan, e il Regno Unito, rappresentato da Sir Mortimer Durand, firmano l‟accordo con cui viene stabilito il confine, noto come “Linea Durand”, tra l‟Afghanistan e il subcontinente indiano sotto dominio britannico. 1919 – Fine della terza guerra anglo-afghana, che si conclude con la firma del Trattato di Rawalpindi in base al quale la Gran Bretagna, pur avendo vinto la guerra, riconosce la piena indipendenza dell‟Afghanistan. 1921 – Firma del Trattato di Amicizia tra l‟Afghanistan e la Russia. 1923 – Il re Amanullah Khan promulga la prima Costituzione afghana, la quale prevede l‟introduzione di riforme politiche, sociali e religiose molto innovative. 1929 – A causa delle forti opposizioni all‟impostazione filo-occidentale della sua politica, re Amanullah è costretto ad abbandonare Kabul. Muhammad Nadir Khan viene proclamato re. 1931 – Il re Mohammad Nadir Shah approva una nuova Carta costituzionale. 1933 – Nadir Khan viene assassinato e gli succede il figlio Muhammad Zahir, il quale avvia un programma di moderata modernizzazione e conduce l‟Afghanistan nelle Nazioni Unite. 1947 – A seguito della partizione dell‟India nasce il Pakistan. La linea Durand viene denunciata dall‟Afghanistan. 1949 – Le popolazioni pashtun residenti in Pakistan proclamano l‟indipendenza del Pashtunistan, che però non viene riconosciuto dalla comunità internazionale. 1953 – Mohammad Daoud, cugino del re, diviene Primo Ministro; chiede e ottiene dall‟Unione Sovietica, dopo il rifiuto degli USA, assistenza militare e finanziamenti per lo sviluppo del Paese. 1963 – A causa dei contrasti con re Zahir Shah, Daoud è costretto a dimettersi dalla carica di Primo Ministro. 1964 – Viene emanata una nuova Costituzione che pone il divieto ai membri della famiglia reale di far parte del governo, garantisce la libertà di parola e di stampa, il diritto di voto alle donne e la libertà di formare partiti politici, anche se in merito a quest‟ultimo diritto il re si rifiuterà sempre di firmare la legge di attuazione. 1965 – Viene formato il Partito Democratico del Popolo dell‟Afghanistan (PDPA), di ispirazione comunista, guidato da Nur Mohammad Taraki. 1973 – Mohammad Daoud, con l‟aiuto dell‟Unione Sovietica, attua un colpo di stato, esilia re Zahir e istituisce la Repubblica. Avvia un programma di politica estera volto a rafforzare la posizione dell‟Afghanistan in ambito internazionale e si oppone ai tentativi di ingerenza dell‟URSS negli affari interni dello Stato, incontrando l‟opposizione delle ali estreme della corrente di sinistra. Nascono i 129 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA gruppi rivoluzionari comunisti, sulla base del modello sovietico, e parallelamente si costituiscono gruppi fondamentalisti islamici. 1978 – Il PDPA organizza, con l‟appoggio dell‟URSS, un colpo di stato. Daoud viene ucciso; Taraki, leader dell‟ala pashtun ed estremista del partito, viene nominato Presidente della Repubblica Democratica dell‟Afghanistan e Babrak Karmal, capo della fazione tagika e moderata, diviene Primo Ministro. Nello stesso anno nasce il movimento dei mujahiddin. 1979 – Le due fazioni del partito comunista entrano in conflitto tra loro e il Presidente Taraki viene assassinato dal suo Vice, Hafizullah Amin. L‟Unione Sovietica, con il pretesto di sedare il conflitto in atto, invade l‟Afghanistan. Amin viene ucciso e Karmal diventa Presidente. 1980 – Inizia la resistenza contro i sovietici. I movimenti afghani, tutti di matrice islamica, ricevono ingenti aiuti dal Pakistan, dagli USA, dalla Cina, dall‟Arabia Saudita e dall‟Iran. Milioni di afghani fuggono all‟estero, soprattutto in Iran e Pakistan. 1986 – Mosca sostituisce Karmal con Mohammad Najibullah alla guida del Paese. 1987 – Najibullah propone il cessate il fuoco che però viene rifiutato dai mujahiddin, che non riconoscono il “governo fantoccio” e continuano la guerra ottenendo numerose successi. 1988 – L‟Unione Sovietica subisce ingenti perdite e accetta un accordo di pace, firmato a Ginevra con la partecipazione di rappresentanti degli USA e del Pakistan. 1989 – Il Presidente sovietico Mikhail Gorbachev ordina il ritiro delle ultime truppe sovietiche dall‟Afghanistan. Termina la guerra afghano-sovietica, ma prosegue la lotta dei mujahiddin contro il governo di Najibullah. 1992 – I mujahiddin conquistano Kabul, provocano la caduta del regime di Najibullah e proclamano la nascita dello Stato Islamico dell‟Afghanistan. Burhanuddin Rabbani, di etnia tagika, ne diviene il Presidente. I leader pashtun, che storicamente avevano detenuto la guida del Paese, chiedono aiuto al Pakistan per riconquistare le posizioni di governo. Le altre etnie afghane, preoccupate di rimanere escluse, si mobilitano anch‟esse. Ha così inizio la guerra civile tra le fazioni mujahiddin. 1994 – Mentre il governo di Rabbani, a Kabul, deve difendersi dagli attacchi delle forze del generale Abdul Rashid Dostum e di Gulbuddin Hekmatyar, nasce a Kandahar il movimento dei taliban, sostenuto dal Pakistan. In pochi mesi prendono il controllo della provincia, da dove iniziano l‟offensiva verso ovest (Herat) e verso nord (Kabul). 1996 – I taliban conquistano Kabul, uccidono Najibullah, assumono il potere e impongono un regime islamico radicale. Rabbani e il governo si rifugiano nella parte nord-orientale del Paese. 1997 – I taliban conquistano Mazar-e Sharif, dove massacrano migliaia di hazara; di fatto controllano circa due terzi dell‟Afghanistan. La comunità internazionale, ad eccezione del Pakistan, degli Emirati Arabi Uniti e dell‟Arabia Saudita, non riconosce il regime taliban ma continua a considerare Rabbani il capo legittimo dello Stato, che mantiene il seggio all‟ONU. Nelle regioni del nord-est del Paese, Rabbani e Ahmad Shah Massud riuniscono i gruppi dell‟opposizione anti-taliban nel movimento di resistenza “Fronte Islamico Unito per la Salvezza dell‟Afghanistan”, anche detto “Alleanza del Nord”. 1998, agosto – A seguito degli attentati alle ambasciate statunitensi in Kenya e in Tanzania rivendicati da alQaida, gli USA bombardano i campi di addestramento delle milizie di Osama bin Laden nelle province di Khowst e Nangarhar. 1998, 21 agosto – Un gruppo taliban apre il fuoco sul convoglio ONU su cui viaggiano il Ten. Col. Carmine Calò, funzionario di UNSMA (United Nations Special Mission in Afghanistan), e un suo collega francese. Calò muore il giorno successivo a causa delle ferite riportate. 130 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 1998, agosto – L‟abolizione della Loya Jirga (Grande Assemblea) e del codice Pashtunwali è causa di gravi risentimenti tra la popolazione nei confronti dei taliban. 1999 – Al fine di ottenere l‟estradizione di Osama bin Laden, l‟ONU impone sanzioni economiche e decreta l‟embargo aereo contro il regime dei taliban. 2001, gennaio – Le sanzioni internazionali vengono inasprite. 2001, marzo – I taliban distruggono le due enormi statue di Buddha a Bamiyan. 2001, 9 settembre – Il Comandante Massud viene ucciso in un attentato. 2001, 11 settembre – Attentati terroristici negli USA contro il World Trade Centre di New York ed il Pentagono, a Washington D.C. L‟organizzazione terroristica di al-Qaida, guidata da Osama bin Laden e ospitata dal regime taliban, viene immediatamente ritenuta responsabile della strage. 2001, 18 settembre – Il Presidente USA George W. Bush dichiara guerra al terrorismo e a qualsiasi Stato appoggi o finanzi gruppi terroristici. Un forte dispositivo militare viene schierato nel Golfo Persico. La NATO invoca per la prima volta l‟applicazione del principio di legittima difesa collettiva ex art. 5 del Trattato di Washington in favore degli USA. 2001, 7 ottobre – Ha inizio l‟operazione Enduring Freedom. Gli USA, alla guida di una coalizione di Stati, attaccano l‟Afghanistan e in poche settimane, in cooperazione con le milizie dell‟Alleanza del Nord, liberano le province settentrionale. I taliban fuggono nelle loro roccaforti a sud, verso il confine con il Pakistan. 2001, 13 novembre – Kabul viene liberata e il Presidente afghano Rabbani vi fa ritorno come “leader delle province liberate”. 2001, 5 dicembre – I gruppi afghani riuniti a Bonn sotto l‟egida delle Nazioni Unite, firmano l‟Accordo che disciplina il percorso di ricostruzione istituzionale e prevede la composizione ed il funzionamento di un nuovo governo ad interim. 2001, 7 dicembre – A seguito della caduta di Kandahar, la guerra contro i taliban viene dichiarata conclusa. Si perdono le tracce del mullah Mohammad Omar e di Osama bin Laden. 2001, 22 dicembre – Hamid Karzai, di etnia pashtun, viene nominato Presidente dell‟Amministrazione ad interim. 2002, 2 gennaio – Viene schierato a Kabul il primo contingente della missione International Security Assistance Force (ISAF). 2002, 23-24 gennaio – A Tokyo si svolge una Conferenza tra 60 Paesi donatori che pianificano il programma di finanziamenti per l‟Afghanistan per i cinque anni successivi. 2002, aprile – Re Zahir Shah rientra in Afghanistan dall‟esilio. Viene nominato “Padre della Patria”. 2002, 13 giugno – La Loya Jirga d‟emergenza elegge Karzai Presidente dell‟Amministrazione Transitoria, confermando in tal modo la decisione adottata durante la Conferenza di Bonn. 2002, luglio – Viene assassinato il Vice-Presidente Haji Abdul Qadir. 2002, settembre – Il Presidente Karzai scampa ad un attentato nella città di Kandahar. 2002, dicembre – Il Presidente Karzai firma insieme ai leader del Pakistan e del Turkmenistan un accordo per la costruzione di un gasdotto che, passando per l‟Afghanistan, porta il gas dal Turkmenistan al Pakistan. 2003, agosto – La NATO assume il controllo della missione ISAF. 131 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 2004, 4 gennaio – La Loya Jirga costituente approva la nuova Costituzione che insatura una Repubblica islamica e un sistema presidenziale. 2004, 26 gennaio – Il Presidente Karzai promulga la nuova Carta costituzionale. 2004, settembre – Il Presidente Karzai sfugge ad un nuovo attentato. 2004, 3 ottobre – Nei pressi di Kabul, il Cap. Magg. Giovanni Bruno, impegnato nella missione ISAF, muore in un incidente stradale. 2004, 9 ottobre – Si tengono le elezioni presidenziali e Hamid Karzai viene eletto al primo turno. 2005, 3 febbraio – A seguito di un incidente aereo nei pressi di Kabul perdono la vita il Capitano di Vascello Bruno Vianini e altri due funzionari italiani. 2005, 13 maggio – Clementina Cantoni, collaboratrice della ONG “Care International”, viene sequestrata a Kabul da un gruppo criminale guidato da Timor Shah. Viene rilasciata dopo 24 giorni. 2005, 4 agosto – L‟Italia assume il comando di ISAF con il Generale C.A. Mauro Del Vecchio (l‟incarico termina il 4 maggio 2006). 2005, 18 settembre – Si svolgono le elezioni parlamentari e provinciali. 2005, 11 ottobre – Muore a Kabul il Caporal Maggiore Capo Michele Sanfilippo a seguito di un colpo sparato accidentalmente. 2005, dicembre – Si tiene l‟inaugurazione della prima sessione del Parlamento afghano. 2006, 31 gennaio-1 febbraio – A Londra si svolge una Conferenza durante la quale i Paesi donatori pianificano il programma di aiuti per l‟Afghanistan per i cinque anni successivi e adottano l‟“Afghanistan Compact”. Vengono stanziati oltre 10 miliardi di dollari. 2006, 7 febbraio – Scoppiano a Kabul manifestazioni di protesta contro la pubblicazione, in Olanda, di vignette sull‟Islam. Vengono attaccate Ambasciate straniere e il Quartier generale di ISAF. Anche il PRT italiano ad Herat è oggetto delle dimostrazioni. 2006, 17 febbraio – Stefano Siringo e Iendi Iannelli, impiegati presso programmi italiani del settore giustizia, vengono trovati morti nella stanza di quest‟ultimo all‟interno della guest house dell‟IDLO. L‟inchiesta sulle cause della morte è tuttora in corso. 2006, 5 maggio – Nella provincia di Kabul, il Capitano Manuel Fiorito e il Maresciallo Capo Luca Polsinelli perdono la vita a seguito dell‟esplosione di un ordigno al passaggio dell‟automezzo sul quale i due i due militari si trovavano. 2006, 29 maggio – A Kabul scoppiano disordini a causa di un incidente provocato da un convoglio militare USA in cui hanno trovato la morte numerosi civili. 2006, 1 giugno – L‟Italia assume la guida del Regional Command West (RC-W) e il ruolo di Nazione guida del PRT di Herat. 2006, 2 luglio – Il Colonnello Carlo Liguori, Capo del settore Cimic del Cdo RC-W, muore a causa di un malore. 2006, 20 settembre – Il Caporal Maggiore Giuseppe Orlando perde la vita in un incidente stradale a Kabul. 2006, 26 settembre – A seguito dell‟esplosione di un ordigno al passaggio di una pattuglia del Contingente italiano, nel distretto di Chahar Asyab, a sud di Kabul, muoiono il Caporal Maggiore Capo Scelto Giorgio Langella, e successivamente (il 30 settembre 2006), a causa delle ferite riportate, il 1° Caporal Maggiore Vincenzo Cardella. 132 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA 2006 – ISAF/NATO espande il controllo delle operazioni militari alle regioni sud (luglio) e est (ottobre) dell‟Afghanistan subentrando o affiancandosi a Enduring Freedom. 2006, 12 ottobre – Lungo il tratto di strada che collega Laskhar Gah a Kandahar viene rapito il fotoreporter Gabriele Torsello, rilasciato dopo 23 giorni. 2007, 4 marzo – Nei pressi di Laskhar Gah i taliban rapiscono Daniele Mastrogiacomo, giornalista di “Repubblica”, insieme al suo interprete e all‟autista, entrambi afghani. Mastrogiacomo viene rilasciato dopo 20 giorni in cambio della scarcerazione di cinque combattenti taliban. I due collaboratori afghani sono uccisi. 2007, 10 marzo – Il Parlamento afghano approva la “Carta di riconciliazione”, una legge che conferisce una amnistia di fatto agli afghani che prima del 2002 abbiano commesso crimini di guerra. 2007, 10 luglio – I taliban rapiscono 23 operatori umanitari coreani che lavorano per un‟associazione caritatevole cristiana. Due sono uccisi; gli altri vengono liberati dopo sei settimane a seguito dell‟impegno del Governo di Seoul a ritirare le proprie truppe. 2007, 23 luglio – Muore re Zahir Shah, ex sovrano dell‟Afghanistan. 2007, 24 settembre – Il Maresciallo Capo Lorenzo D‟Auria, agente del Sismi, rapito due giorni prima insieme ad un collega da un gruppo taliban, viene ferito durante il blitz delle forze speciali britanniche compiuto per la sua liberazione; muore il 4 ottobre successivo per le ferite riportate. 2007, novembre – Oltre 70 persone muoiono a seguito di un attacco suicida nella città di Baghlan, nel nord del Paese, contro una delegazione parlamentare. È uno degli attentati più gravi mai verificatisi. 2007, 24 novembre – Nel distretto di Paghman, a ovest di Kabul, a causa di un attentato suicida muore il Maresciallo Capo dell‟Esercito Daniele Paladini. 2007, 26 dicembre – Due diplomatici europei (con incarichi di alta responsabilità nella missione dell‟Unione Europea e nell‟ UNAMA) vengono espulsi dall‟Afghanistan perché accusati di aver instaurato rapporti con i taliban 2008, 14 gennaio – Attentato all‟Hotel Serena nel centro di Kabul. L‟attacco ha un grande impatto mediatico e suscita forti preoccupazioni tra la comunità internazionale. 2008, febbraio – Karzai si oppone alla nomina del britannico Lord Paddy Ashdown a inviato speciale del Segretario generale dell‟ONU in Afghanistan , dotato di ampi poteri. 2008, 13 febbraio – Il Maresciallo Giovanni Pezzulo, del Cimic Group South, rimane ucciso durante un attacco dei taliban nella località di Rudbar, vicino Kabul. 2008, 17 febbraio – Un attentato suicida nel distretto di Arghandab (provincia di Kandahar) provoca circa 100 morti e altrettanti feriti. 2008, 18 febbraio – Un nuovo attentato suicida nella provincia di Kandahar provoca 37 vittime e circa 30 feriti. 2008, 11 marzo – Il Governo di Kabul approva la nomina del diplomatico norvegese Kai Eide al ruolo di inviato speciale del Segretario generale dell‟ONU in Afghanistan, dotato di maggiori poteri. 133 ARGO AFGHANISTAN LA NECESSITA’ DI UN CAMBIAMENTO DI STRATEGIA ALLEGATO IX ACRONIMI AIA AIHRC ANA ANDS ANP APPRJ ARTF ATA ATT BPHS BP CAS CIMIC CNTF COMISAF DEA DIAG DFID EUPOL Afghanistan FATA I-ANDS IDLO IED IJPO ISAF ISI ISISC JCMB LJE LOFTA MMA NATO NDS NEEP NJP NJSS NLTC NRF NSP NWFP OMLT OMS PAM PRT PTS RCIED SEAL UNAMA UNDP UNFPA UNHCR UNICEF UNIFEM UNODC USAID UTL Afghan Interim Authority Afghan Independent Human Rights Commission Afghan National Army Afghanistan National Development Strategy Afghan National Police Action Plan for Peace Reconciliation and Justice Afghanistan Reconstruction Trust Fund Afghan Transitional Authority Afghan Transit Trade Basic Package of Health Care Services Border Police Close Air Support Civil and Military Cooperation Counter Narcotics Trust Fund Comandante di ISAF Drug Enforcement Administration Disbandment of Illegal Armed Groups Department for International Development European Union Police Mission in Afghanistan Federally Administered Tribal Areas Interim Afghanistan National Development Strategy International Development Law Organisation Improvised Explosive Device Italian Justice Programme Office International Security Assistance Force Inter Services Intelligence International Institute of Higher Studies in Criminal Sciences Joint Coordination and Monitoring Board Loya Jirga di emergenza Law and Order Trust Fund for Afghanistan Muttahida Majlis-i Amal (coalizione di sei Partiti religiosi pakistani di orientamento radicale) North Atlantic Treaty Organization National Directorate for Security National Emergency Employment Programme National Justice Programme National Justice Sector Strategy National Legal Training Center NATO Response Force National Solidarity Programme North Western Frontier Province Operational Mentor and Liaison Team Organizzazione Mondiale per la Sanità Programma Alimentare Mondiale Provincial Reconstruction Team Programme Takhim-e Solh (Programma di riconciliazione nazionale) Remote Control Improvised Explosive Device Support to the Establishment of the Afghan Legislature United Nations Assistance Mission in Afghanistan United Nations Development Programme United Nations Population Fund United Nations High Commissioner for Refugees United Nations Children‟s Fund United Nations Development Fund for Women United Nations Office on Drugs and Crime United States Agency for International Development Unità Tecnica Locale 134