Luglio/Agosto 2010 • Anno 3 • Numero 7/8
Le vacanze, occasione per rinascere
a nuova vita interiore
«Per ritrovare un’idea dell’uomo, ossia una vera fonte di energia,
bisogna che gli uomini ritrovino il gusto della contemplazione,
diga che fa risalire l’acqua nel bacino e permette di accumulare
l’energia di cui l’azione rende poveri».Le parole dello scrittore
Alberto Moravia sono un invito alla meditazione per quanti, in
mezzo ad una drammatica crisi economica e sociale che a molti
toglie il sonno ed il pane, possono concedersi di programmare le
loro vacanze. Non è raro che ciò avvenga interrogandosi, a volte
con ansia, su quale località o albergo scegliere, ma omettendo
di chiedersi di cosa il corpo e lo spirito abbiano bisogno in giorni
che, inspiegabilmente, vengono intesi come eccezione alle regole
della buona condotta e dai doveri quotidiani, come tuffo nell’ozio
anche intellettivo, quasi a voler coscientemente dimenticare che
i bisogni dell’esistenza terrena non concedono tregua neppure
sotto il solleone. Eppure, a quanti sin dall’antichità idolatravano
il riposo sabbatico, già Gesù faceva osservare che «il sabato è
stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato; e che il Figlio
dell’uomo è signore del sabato» (Mc 2, 27-28).
All’uomo, dunque, spetta decidere come impiegare il proprio
tempo, e se usarlo, anche sotto l’ombrellone ed in montagna,
per accrescere la propria libertà, imparando a discernere di cosa
e di chi si sia schiavi. È possibile: dipende solo da noi. C’è un
architettura del tempo che si fonda sui bisogni primari di ogni
essere umano, ed è questa architettura che le vacanze possono
aiutare a ricostruire. Certo, non è facile cambiare in pochi giorni
ritmi e mentalità, privarsi dei normali mezzi di comunicazione per
ritrovare la ricchezza del dialogo fraterno; misurarsi su quello
che si è anziché su quello che si fa o si possiede; assaporare la
semplicità di una vita più legata alla natura ed alle sue esigenze;
lasciare che silenzi e suoni ormai dimenticati colpiscano ancora i
cuori e le menti, rievocando un mondo interiore celato da quell’oblio
che, come ammoniva il romanziere Finn Carling, «è precursore
della morte», del vuoto, dell’inconsistenza, dell’attesa vana. La
pausa vacanziera, allora, dovrebbe permetterci di ritrovare idee,
temi, verità e insegnamenti che la melassa della banalità televisiva
e della chiacchiera ha soffocato. Nel cuore dell’autentico cristiano
non campeggerà mai il cartello «Chiuso per ferie»: chi ama,
non può non trasmettere la gioia della testimonianza anche nei
luoghi dove si trovi a villeggiare, aprendo il tempo del riposo a
Cristo e trasformando le vacanze in tempo per Dio, per gli altri
e per un arricchimento personale e familiare. A voi tutti, allora,
cristianamente, buone vacanze.
X Vincenzo Bertolone
1
• luglio/agosto 2010 •
Le doti umane, doni da vivere
di Annamaria Partepilo
Cari lettori,
arriviamo
nelle
vostre case con un numero
caratterizzato dalla parabola dei
talenti, un passo del Vangelo che
ci piace più di altri poiché lo
riteniamo un importante stimolo
a fare bene, migliorarsi, guardarsi
dentro per cercare le ricchezze
che ciascuno di noi ha, e lavorare
per valorizzarle come meritano.
Prendiamo spunto dalle parole della
Sacra scrittura per scoprire i talenti
del nostro territorio, raccontare la
storia di chi i talenti li ha trovati e
fatti fruttare, e di chi li ha scoperti
ma non ha potuto incentivarli come
avrebbe voluto. Questo numero
de “l’Abbraccio”, che tra l’altro
sarà l’ultimo prima della breve
pausa estiva, offre ampio spazio ai
Grest che si sono svolti a Cassano
e Lauropoli portando in piazza
centinaia di ragazzi e ragazzini che
si sono divertiti esagerando in
positivo e non come fanno molti,
troppi loro coetanei. E come
raccontano
malinconicamente,
un giorno dopo l’altro, i mezzi di
comunicazione di massa.
Il blocco al 30 marzo 2010
delle tariffe agevolate deciso dal
governo Berlusconi ha provocato
un aumento del 400% dei costi di
spedizione de “l’Abbraccio”. Un
colpo mortale per un giornale come
il nostro che si regge sul volontariato
dei redattori, dei collaboratori, del
grafico e degli altri, oltre che sui
vostri abbonamenti e sul sostegno
degli sponsor che mensilmente ci
danno una mano.
Un colpo letale che forse riusciremo
a superare, dopo tre anni e mezzo
di vita, anche e soprattutto grazie
al vostro contributo. Ecco perché vi
chiediamo di aiutarci a sopravvivere
sottoscrivendo un abbonamento.
Un abbraccio.
d.m.
2
• luglio/agosto 2010 •
Due
interrogativi
emergono
imperiosi
nell’ascolto della parabola dei talenti.
Primo, in cosa consiste un talento: è dote
naturale e fatto squisitamente umano, o dono
elargito da Dio?
Secondo, ammesso che sia dono divino,
perchè tanta iniquità nella distribuzione?
In risposta al primo quesito, oltrepassando,
al momento, la derivazione di esso, talento
è tutto ciò che fa crescere l’individuo e la
comunità, abilità politica, oratoria, maestria
nella scrittura, nel creare arte, nel canto, nello
sport, nella stessa bellezza fisica e spirituale.
Dote, dunque, che prende corpo ed esprime
possanza, affermava il nostro conterraneo
Tommaso Campanella ne “La città del Sole”,
solo mediante l’impegno e più concretamente
con il lavoro.
Fermandoci, tuttavia, alla possibile genesi
umana delle doti, considerate qualità
congenite, ed escludendone la matrice divina,
accettiamo una visione della vita fondata
sulla proprietà di beni e di qualità. Svanisce,
pertanto, la meraviglia di fronte ad un essere
che palpita, respira, ad un’intelligenza capace
di plasmare il mondo, alla bellezza in tutte le
sue forme. Tutto diventa una fatto dovuto e, di
conseguenza, scontato. Si perde di vista che
anche un respiro è un dono, e come tale va
vissuto, ovvero non un bene da tesaurizzare
(il servo che riceve un talento, per paura
di perdere quello che a lui appare poco, lo
sotterra), ma da vivere e condividere.
Il secondo dubbio è riferito alla disparità
dell’elargizione dei talenti. Tale appare la
condotta del padrone, fuor di metafora Dio,
in una prospettiva razionale e, al contempo,
semplicistica.
Oggi diremmo “perchè non a me”, perchè “l’altro
ha più di me”? Sfugge che Dio è presente nella
distribuzione dei doni, e che anche il più piccolo
di essi ha un valore intrinseco.
La diversità, che non è disparità, semmai,
scaturisce dalla differente risposta dell’uomo
alla donazione, dalla capacità di gratitudine e
di valutazione
della
finalità
della
propria
esistenza
(il
mio talento a
cosa
serve,
sono capace di
investirlo e farlo
fruttare?).
Non
imprese
eroiche, sforzi
sovraumani,
saremmo tutti
martiri e santi,
ma
impegno
costruttivo,
capacità
di
apprezzare
anche il poco
che,
curato,
diventerà
molto, questa
è la risposta. I
talenti vengono
immessi nella
nostra natura
come germogli,
è il mancato
sviluppo
di
essi che va
analizzato nelle
sue
cause.
La
superba
considerazione
di contesti immeritevoli della condivisione dei
doni (il luogo in cui vivo non merita il mio tempo
e le mie energie).
Condizioni di svantaggio che impediscono
il dispiegamento della potenzialità (giovani
talentuosi nello sport che non trovano gli
sbocchi giusti per sfondare).
La paralizzante paura di non essere compresi,
accettati, il timore di essere giudicati. Sforzarsi
di superare tutto ciò, ponendosi di fronte agli
altri anche con scelte paradossali (la possibilità
di non essere compresi), questo impone il
riconoscimento e il dispiegamento del dono.
La parabola dei talenti
di Francesco Oliva
Tra le parabole di Gesù quella dei talenti
è tra le più note. Riscontriamo sul piano
metaforico temi molto importanti ed
attuali: il tema dei doni che ogni persona
riceve da Dio ed il modo in cui li esercita e
l’atteggiamento con cui si pone davanti a
Dio che elargisce questi doni.
La parabola racconta la storia di un uomo
che, prima di mettersi in viaggio, distribuisce
i suoi beni agli impiegati, dando cinque,
due ed un talento, secondo la capacità
di ognuno. Tutti ricevono la stessa cosa,
perché ognuno riceve «secondo la sua
capacità». Chi ha la tazza grande la riempie,
chi ha la tazza piccola la riempie anche lui.
Il primo dato che emerge è il diverso modo
di agire di ciascun impiegato. I primi due
lavorano e raddoppiano i talenti. Ma colui
che ha ricevuto un talento lo seppellisce,
per conservarlo bene e non perderlo.
«Dopo molto tempo», il padrone, «partito
per un viaggio» si presenta per fare i conti. I
primi due impiegati dicono: «Signore, mi hai
consegnato cinque/due talenti; ecco ne ho
guadagnati altri cinque/due». Ed il padrone
risponde allo stesso modo: «Bene, servo
buono e fedele, sei stato fedele nel poco,
ti darò potere su molto; prendi parte alla
gioia del tuo padrone». Il terzo impiegato
si presenta con un diverso stato d’animo:
«Signore, so che sei un uomo duro, che
mieti dove non hai seminato e raccogli
dove non hai sparso. Ho avuto paura e
sono andato a nascondere il tuo talento
sotto terra; ecco ciò che è tuo». Agendo in
questo modo pensava di evitare il giudizio
e la severità del padrone. Ma così non
è stato. Egli aveva un’immagine strana
del padrone (Dio), quella di un padrone
severo. Era una persona che si dimostrava
di non avere fiducia in Dio, ma in se stessa
e nella sua osservanza della legge. Questa
falsa immagine lo isola, non gli fa vivere la
gioia ed impoverisce la sua vita. In ultima
istanza, il suo comportamento non è stato
coerente con l’immagine severa che aveva
del padrone. Se avesse immaginato un
padrone così severo, avrebbe dovuto per
lo meno depositare il denaro in banca.
Per questo la sua condanna non viene dal
padrone, ma dall’idea sbagliata che aveva
di lui. Quando ci si chiude in se stessi per
paura di perdere il poco, si perde perfino
quel poco che si ha, perché l’amore muore,
la giustizia si indebolisce, la condivisione
sparisce. Al contrario, la persona che
dispensa i talenti ricevuti, cresce e riceve
sorprendentemente tutto ciò che ha dato e
molto di più.
In ultimo ci chiediamo: cosa sono i talenti?
Di primo acchito il pensiero va alle doti
naturali di intelligenza, bellezza, forza,
capacità artistiche. Ma
questo non è esatto. I
talenti di cui parla Gesù
sono riferiti all’avvento
del Regno di Dio e
sono principalmente
doni
spirituali:
la
Parola di Dio, la fede
e i sacramenti. Gesù
infatti non intendeva
parlare dell’obbligo di
sviluppare le proprie
doti naturali, quanto
di far fruttare i doni
spirituali ricevuti. La
parabola è un invito
ad un esame di vita.
Per molti i doni ricevuti
sono talenti sotterrati,
un pacco-dono ricevuto, ma dimenticato
in un cantuccio, senza essere stato mai
scartato e aperto.
La testimonianza
Parlare delle meraviglie che il Signore
compie nella vita dei Suoi figli non
è mai facile. Si corre il rischio di
omettere qualcosa, o al contrario
di aggiungerne di superflue. La mia
vocazione al Diaconato permanente
parte da lontano e precisamente
nel 2002, anno in cui mi trovavo
al campeggio di Millepini insieme
alla mia famiglia e ai fratelli della
comunità “Magnificat” di cui faccio
parte insieme a mia moglie dal 1996.
In quel periodo sentivo il desiderio
di servire il Signore e la Chiesa, in
modo diverso, più da vicino. Grazie
al mio Padre spirituale e ai fratelli di
Comunità compresi che il Signore mi
chiamava al Diaconato permanente.
Chiaramente ne parlai anche in casa
con mia moglie, i miei figli erano
troppo piccoli per comprendere.Non
fu facile credetemi, fino all’ultimo ho
trepidato per avere il consenso della
mia consorte. Pregavo il Signore
d’illuminarla di farle capire che era
una grazia particolare per tutta la
famiglia. Chiesi aiuto al mio Parroco,
il quale parlò con mia moglie e dopo
questo colloquio finalmente firmò il
consenso.
Le cose ottenute con fatica sono le
più belle. Oggi i figli sono divenuti più
grandi e mi fanno tante domande:
«Pà, ma ti devi fare prete? E allora
perché vai sempre in Chiesa e ti
vesti come i preti?». Non è semplice
spiegare a parole quello che il
Signore ti mette nel cuore, è più
semplice testimoniarlo con l’azione.
La chiamata del Signore rappresenta
una novità di vita non solo per chi la
riceve, ma anche per chi ti sta accanto,
moglie e figli. Non basterebbe una
vita per ringraziare il Signore per le
Sue meraviglie che mai ci fa mancare
cui io rispondo: «Quanto a me e alla
mia casa, vogliamo servire il Signore».
(Gs 24,15)
Leonardo Aita, diacono
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• luglio/agosto 2010 •
Fiore, storia di sacrifici che ripagano
di Vittorio Scarpelli
Il calciatore del Cosenza Stefano Fiore è il
simbolo di come i sacrifici nella vita portino
frutto. Al grande impegno da professionista
vero, il centrocampista rossoblù abbina
un talento da fare invidia a chiunque.
Caratteristica che gli ha permesso di
raggiungere il massimo delle aspirazioni per
qualsiasi calciatore: giocare con la maglia
della Nazionale. Chi non ricorda la sua
perla al Belgio negli Europei del 2000? Un
orgoglio per tutti i cosentini.
credere. Tuttavia, per arrivare al top servono
tante componenti. «Non ho lasciato la mia
città troppo presto», afferma il giocatore
silano, «considerando che molti aspiranti
calciatori abbandonano casa molto prima.
Tuttavia, a diciotto anni, ho fatto le valigie
con un sogno che mi frullava nella testa».
Obiettivo centrato. Non senza dover sudare
le proverbiali sette camicie. «Nella vita
senza sacrifici non si va da nessuna parte»,
precisa il fantasista, «spesso il talento, da
solo, non basta. Conosco
ragazzi forti quanto me
che non hanno sfondato. A
dire il vero ci vuole anche
un pizzico di buona sorte.
Ma gli allenamenti, ad
esempio, sono necessari
per chi vuole diventare
almeno
un
discreto
calciatore. La volontà è una
caratteristica essenziale
per riuscire a emergere.
La passione, poi, deve
essere il pane quotidiano
che accompagna ogni
giorno».
Passione,
volontà,
sacrifici. I momenti difficili
non
mancano.
Fiore,
specie agli inizi, è riuscito
anche a ritagliare uno
spazio importante per gli
studi. «Non ho mollato la
scuola. Non avevo certo
la garanzia di diventare un
giocatore di serie A e ho
preferito far combaciare
il calcio e gli studi. Anche
questo ha comportato
un notevole sacrificio».
Un’altra
componente
determinante per la crescita
umana di ogni atleta che
il calciatore Stefano Fiore si rispetti è rappresentata
dall’ambiente di cui ci si
Fiore è transitato da piazze importanti, in circonda. «Vero», sottolinea il campione,
particolare per il mondo del calcio, come «senza la presenza di persone importanti
Cosenza (è rientrato alla base lo scorso ed equilibrate non si va molto lontano.
anno), Chievo, Parma, Udine, Roma (sponda Specie quando si è ragazzi le guide
Lazio), Valencia, Fiorentina, Torino, Livorno giocano un ruolo di grande importanza».
e Mantova. Una carriera di alto profilo. La sua carriera volge al termine. E allora,
Caratterizzata anche da momenti negativi. il centrocampista silano ha voluto togliersi
Come quando, dopo il passaggio dalla l’ultima grande soddisfazione: rientrare alla
Lazio al Valencia, non venne apprezzato base. Quest’anno, dopo l’ultima stagione
abbastanza. La Spagna non rimarrà tra i caratterizzata da alti e bassi, proverà
ricordi migliori di una carriera, comunque, nuovamente a regalare la promozione in
da incorniciare. La parentesi iberica ha fatto serie B ai suoi tifosi. E lo farà giocando
maturare ulteriormente il giocatore. Rientrato fianco a fianco con il fratello Adriano.
in Italia con grandi motivazioni. Proprio Che grande avventura quella di Fiore. Storia
dalle difficoltà è riuscito a trarre un grande di un calciatore cosentino che ha saputo
insegnamento: quando si tocca l’apice, coltivare il suo talento, realizzando il sogno
cadere è più facile di quel che si possa di una vita. Non senza sacrifici.
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• luglio/agosto 2010 •
Traccia di spiritualità
Avere o essere?
«Avere o Essere non sono qualità a se
stantii un soggetto; sono al contrario
due fondamentali modalità esistenziali,
due diverse maniere di rapportarsi a
se stessi o al mondo, due diversi tipi
di strutture caratteriali, la rispettiva
preminenza dei quali determina la
totalità dei pensieri, dei sentimenti e
delle azioni di una persona».
(Erich Fromm)
L’estate è un tempo di girovaghi: ne
incontro tanti o per le strade o se mi
capita di celebrare messa in qualche
luogo di villeggiatura. Osservo,
annoto, rifletto. Mi accompagna una
convinzione: la nostra è una vita tra
vere ed essere.
L’alternativa tra avere ed essere
serve a molti come strumento per
comprendere ciò che, più o meno
consciamente, è al centro di quegli
interessi che si perseguono con
passione. In un commento al Libro
di Fromm mi capita di leggere le
rispettive forme di chi ha costruito la
vita sull’essere: l’attività interiore, la
creatività, una religiosità umanistica
e, infine, l’amore per la vita. Al
contrario, chi ha costruito la propria
vita sull’avere rivela atteggiamenti
negativi e preoccupanti: la paura
di perdere le cose, la passività del
vivere, una profonda irreligiosità, la
paura della morte, il dominio sulla
gente.
Mi vengono in mente tali parole
tutte le volte che medito sui talenti
che Dio ci ha donato: nasconderli
o investirli rivela o nasconde le
logiche appena descritte. Talento è
quelle che tu sei o vuoi diventare;
non-talento sono tutte le cose che
ne ostacolano l’espressione. Ciò
che conta è saper vivere, investendo
con coraggio. Chi ha paura è solo
perché ha troppo, sceglie di vivere
da ingordo e teme di perdere tutto.
Ma la vita è solo a perdere… per
qualcosa di più grande. Sapete? Lo
ha detto Gesù!
Giovanni Maurello
Come riconoscere il talento
di Giuseppe Roseti
Parlare di talento ha sempre suscitato
grande passione e fervore. In fondo, spesso
e volentieri, in maniera quasi erronea si ha
a che fare anche con il mondo dei desideri,
delle passioni, dei sogni da raggiungere.
Il talento non è certo solo questo, e in questo
numero de “L’Abbraccio” ne abbiamo
parlato ampiamente. Negli adolescenti è
spesso confuso con il successo, con la
popolarità, con la
fama e tutto ciò è
frutto anche di una
noncuranza
da
parte del mondo
degli adulti; i figli
sono intrattenuti
da
trasmissioni
t e l e v i s i v e
abbastanza
fuorvianti
e
poco importa al
genitore, in alcuni
casi, della qualità
del messaggio.
Qual è la formula
giusta
per
riconoscere
un
talento in una in
individuo?
Per
noi cristiani il
talento è un dono
di Dio. Ricercarlo,
c u s t o d i r l o
e
portarlo
a
compimento è la
nostra vocazione.
Ma come aiutare
tale
ricerca?
Come accorgersene? Nel meraviglioso
viaggio della nostra vita diversi sono i
segnali di cui abbiamo bisogno, svariati gli
indizi e gli stimoli che occorono. Il luogo
in cui viviamo ci aiuta? La perifericità che
contraddistingue il nostro Sud può essere
un punto a favore o a sfavore per il nostro
talento?
Viviamo in una regione bellissima è vero,
ma... Realmente, quali sono i numeri e i
dati che testimoniano che i nostri talenti
rimangono nella nostra terra o sono aiutati
ad investire nel nostro territorio? Un giovane
che scopre di essere chiamato ad essere
medico, cosa può fare se non scegliere
di andar via? Gli esempi sono infiniti, ma
la risposta è una. Il territorio purtroppo
influisce sul cammino di formazione
di un individuo. Un altro aspetto molto
fondamentale è quello delle contingenze,
delle relazioni sociali. E’ possibile che un
individuo si appassioni e scopra il proprio
talento nel momento in cui frequenta o
viene a contatto con una determinata
persona che a sua volta le trasmette
l’amore per una determinata predilezione.
La mia vita sarebbe
stata diversa se non
avessi
incontrato
quella
persona
in quel momento
particolare. Non è
una ovvietà. L’uomo
è un essere sociale
per sua natura, ha
bisogno
dell’altro.
Solo attraverso di
esso si scopre nella
sua totalità. Ecco
perchè il cammino
per scoprire i talenti
della nostra Diocesi
è
percorso
da
condividere con le
nostre comunità nei
nostri paesi. Al fine di
migliorare la qualità
di
ogni
talento
e favorire il suo
inserimento
nella
società calabrese e
poi cassanese. Un
fisico molto noto,
Albert Einstein ,che
viene ricordato per
altri motivi, spesso diceva che «soltanto una
vita vissuta per gli altri è una vita che vale la
pena vivere». Riconosciamo allora i nostri
talenti e aiutiamoli a crescere.
L’angolo della lettura
Un grande re ricevette in omaggio due pulcini di falco e si affrettò a consegnarli al Maestro
di Falconeria perché li addestrasse. Dopo qualche mese, il maestro comunicò al re che
uno dei due falchi era perfettamente addestrato. «E l’altro? », chiese il re. «Mi dispiace,
sire, ma l’altro falco si comporta stranamente; forse è stato colpito da una malattia rara,
che non siamo in grado di curare. Nessuno riesce a smuoverlo dal ramo dell’albero su cui
è stato posato il primo giorno. Un inserviente deve arrampicarsi ogni giorno per portargli
cibo». Il re convocò veterinari e guaritori ed esperti di ogni tipo, ma nessuno riuscì a far
volare il falco. Incaricò del compito i membri della corte, i generali, i consiglieri più saggi,
ma nessuno potè schiodare il falco dal suo ramo. Dalla finestra del suo appartamento, il monarca poteva vedere il falco immobile sull’albero,
giorno e notte.
Un giorno fece proclamare un editto in cui chiedeva ai suoi sudditi un aiuto per il problema. Il mattino seguente, il re spalancò la finestra
e, con grande stupore, vide il falco che volava superbamente tra gli alberi del giardino. «Portatemi l’autore di questo miracolo”, ordinò.
Poco dopo gli presentarono un giovane contadino. «Tu hai fatto volare il falco? Come hai fatto? Sei un mago, per caso? », gli chiese il re.
Intimidito e felice, il giovane spiegò: «Non è stato difficile, maestà. Io ho semplicemente tagliato il ramo. Il falco si è reso conto di avere
le ali ed ha incominciato a volare».
Bruno Ferrero
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• luglio/agosto 2010 •
Puoi volar! Speciale grest a Cassano
di Delia Lanzillotta
Indimenticabile, stupendo, meraviglioso,
fantastico: ecco ciò che è stato il grest per
i piccoli, protagonisti principali di questa
avventura. Sorrisi, giochi, balli sono stati
una costante. Il risultato? Un’esperienza di
crescita sia per i grandi che per i bambini.
Troppo spesso presi da svaghi solitari e
monotoni, il grest è stato un’occasione per
capire le dinamiche del gioco di squadra,
l’unica arma segreta che dava la possibilità
di far vincere un gruppo. Si è fatto spazio
al “Noi”, mettendo da parte l’“io”, anche
durante gli incitamenti verso i compagni di
gruppo impegnati in un determinato gioco.
Colori a dita, cartelloni, canzoni, spaghetti,
cucchiai, bersagli, acqua, pallone: questi gli
ingredienti per poter vedere visi entusiasti
ed entusiasmati.
Appuntamento quotidiano di una settimana
intera, che ha coinvolto anche i genitori.
«Quando ci sono dei ragazzi che si
incontrano e giocano facendo comunione
e scambiandosi le proprie esperienze
è sempre un momento importante e
privilegiato per chi conduce questa
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• luglio/agosto 2010 •
esperienza e per chi è guidato», così si
esprime un genitore a riguardo. Ma anche
una zia: «In quei giorni, la mia nipotina,
era molto presa dalla manifestazione che
si faceva al Seminario, mi raccontava di
giochi e di intrattenimenti davvero divertenti
per i piccoli e io ne ero felice perché vivo in
relazione alla sua felicità».
Chi è che cresce in questi momenti?
Un po’ tutti. Chi bisogna ringraziare?
Forse, soprattutto i piccoli. Certo, la fatica
dell’animatore nel tener a bada circa
duecento bambini è molta, la rinuncia a
seguire i propri coetanei al mare è notevole:
ma non vale di più un sorriso o un abbraccio
di un bambino? E quegli occhi ridenti
ritornano ogni volta che ci si incontra con
il piccolo, che fa già il conto alla rovescia
per il prossimo grest. Agli animatori va
il riconoscimento di una mamma, voce
rappresentativa di tante altre: «La possibilità
di conoscere ragazzi che si prendono cura
dei miei bambini gratuitamente: è proprio a
questi ragazzi volontari a cui va il mio più
sentito ringraziamento».
Nuovo modo per evangelizzare: l’immagine
è quella di una Chiesa giovane, di una
Chiesa che esce fuori le proprie mura e
che porta la gioia di Cristo. Commenta
soddisfatto don Francesco De Marco: «E’
stato un modo nuovo per far conoscere
Gesù a piccoli e grandi anche attraverso
tecniche di animazioni ludico-ricreative». La
Chiesa era piena di bambini e ragazzi, che
lodavano il Signore con canti e gesti: Chiesa
che annuncia la gioia della risurrezione! E in
un momento in cui le famiglie si allontanano
sempre di più dall’incontro domenicale, in
un momento in cui essere genitori uniti è
una novità, occorre incentivare ed aiutare
queste esperienze: c’erano, sì i bambini,
ma c’erano anche le famiglie, sorridenti,
partecipi.
_______________
Nelle foto: alcuni momenti di animazione durante il
Grest
Parola agli educatori
Nella seconda metà di giugno presso il seminario di Cassano si sono
riuniti oltre duecento bambini e ragazzi per dare nuovamente vita
al grest, evento organizzato dal viceparroco della Cattedrale, don
Francesco Di Marco, e da don Nunzio Laitano con l’aiuto del gruppo
giovani, dell’Azione Cattolica e degli scout. Manifestazione nata al fine
di poter rendere piacevoli le mattinate estive di bambini dai 5 ai 12 anni: un’esperienza unica che ha dato modo a molti ragazzi di
responsabilizzarsi ricoprendo il ruolo degli animatori.
Tema centrale di tutte le attività la favola di Peter Pan, attraverso la quale sono state rappresentate al meglio pregi e difetti che si
rispecchiano nella nostra società; le squadre, i motti, i giochi e i disegni si rifacevano alla favola del folletto volante. Indispensabile la
collaborazione della Caritas e del centro San Domenico e la disponibilità dell’uso dei locali del seminario; impareggiabile la simpatia e
l’accoglienza dei coniugi Bloise e di don Alessio De Stefano. La chiusura, cioè l’arrivederci a nuovi appuntamenti, ha visto l’organizzazione
di una festa conclusiva con genitori e bambini.
Tutti coloro che hanno partecipato a questa iniziativa si sono ritenuti davvero soddisfatti ed entusiasti, poiché hanno avuto l’opportunità
di poter fare nuove amicizie e di confrontarsi con altre persone. Per noi animatori l’organizzazione e la preparazione dei giochi e delle
altre attività ha richiesto tempo e ha impegnato ciascuno di noi ad essere puntuale e ad accettare le conseguenti responsabilità. Pensiamo
che sia stata un’esperienza entusiasmante perché abbiamo potuto creare un legame diretto con ogni bambino sforzandoci di fare la
cosa opportuna per ogni esigenza; sacrificio ripagato con molte dimostrazioni di affetto. Noi animatori crediamo che grazie a questa
avventura siamo riusciti a maturare traendo insegnamenti validi dai nostri due carissimi sacerdoti. Riteniamo, inoltre, che il Grest sia
molto educativo e che perciò debba ripetersi, magari prolungandone la durata.
Giuliana Graziadio - Gianluca Santagada
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• luglio/agosto 2010 •
L’oratorio estivo per pregare giocando
di Elide Piazza
L’attività dell’oratorio estivo esiste da
quattro anni e viene organizzata ogni estate
nell´oratorio “Don Bosco”, della parrocchia
dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria di
Lauropoli, per i ragazzi del territorio d’età
compresa tra i 6 e i 14 anni. Le attività
oratoriane sono state realizzate dai giovani
e giovanissimi animatori, con il sostegno
delle suore della comunità “Serve di Gesù
Cristo”, del parroco e del vice-parroco.
Premettendo che l’obiettivo dell’oratorio
è quello di insegnare ai più piccoli come
stare insieme, amandosi gli uni con gli altri,
indipendentemente dalle proprie origini,
dalle diversità caratteriali, fisiche, sociali
o religiose, gli animatori hanno voluto far
propria un’affermazione di Don Bosco: «Non
esiste nessun bambino e nessun ragazzo
che non abbia in sé un punto accessibile
al bene». Quindi lo scopo prefissato è
stato quello di dare fiducia alle forze del
bene, presenti in loro, per farli crescere
e maturare, sottolineando l’importanza
di un sistema educativo capace di offrire
loro la possibilità di giocare, ma al tempo
8
• luglio/agosto 2010 •
stesso di nutrire il proprio spirito, attraverso
la preghiera, anche all’interno del nostro
territorio gravemente svantaggiato.
“Musica maestro” è stato il titolo dell’oratorio
Estivo 2007. I ragazzi hanno imparato
ad utilizzare al meglio gli strumenti che
hanno seguito con fervida partecipazione
Gesù unico direttore d’orchestra. “Passi in
piazza” è stato il titolo dell’oratorio estivo
2008. I ragazzi hanno scoperto che nella
piazza bisogna vivere e quindi animare,
costruire relazione, valorizzare ogni
persona e ambiente. “Nasinsù” è stato il
titolo dell’oratorio estivo 2009. I ragazzi
osservando il cielo con gli occhi del loro
cuore, hanno compreso che ognuno
rappresenta una stella e ciò ha aiutato
grandi e piccoli a guardarsi dentro,a
purificare la vita da tutto ciò che non la
fa brillare e non permette di stare a testa
alta. Con questo replay gli animatori e le
suore hanno voluto far sapere a genitori
e adulti che l´’esperienza dell’oratorio
estivo,iniziato quattro anni fa,ha inciso nella
formazione educativa dei ragazzi,facendo
comprendere loro la vera essenza del
viversi e del vivere gli altri nello Spirito di
Gesù, seguendo il Maestro di musica che
ci aiuta a esplorare l’Universo lasciandoci
mettere Sottosopra.
_________
Nella foto: alcuni momenti dell’oratorio
“Sottosopra” non va mai in ferie
Per tutto il periodo dell’oratorio estivo, gli animatori hanno proposto
canti, balli e giochi diversi assicurando ai bambini e ai ragazzi un
luogo sicuro, tranquillo ed estremamente allegro. Per favorire la
socializzazione e l’integrazione, i ragazzi sono stati suddivisi in squadre
creando il proprio nome ed inno. In tal modo si è potuta stimolare
una buona dose di competitività e di spirito di unione. Oltretutto, non
è stata data per scontata l’importanza dei momenti di preghiera, che
con l’accurata riflessione offerta dalle suore, ha permesso ad ognuno
di meditare sulla Parola di Dio.
In particolare, durante il mese di giugno è stato organizzato l’oratorio estivo 2010 intitolato “Sottosopra”. L’oratorio estivo è stato un
vero pellegrinaggio, in cui i ragazzi hanno scoperto che è bello fidarsi degli altri e condividere un tratto di strada insieme ad altre persone.
Adulti e giovani si sono lasciati mettere sottosopra da Gesù, l’unico che può farlo perché conosce il verso giusto delle cose. Inoltre hanno
compreso che bisogna essere sempre disposti a cambiare per una cosa migliore. Durante le tre settimane, oltre ad animare i pomeriggi
con canti, balli e attività di pittura, i ragazzi sono stati suddivisi in quattro squadre corrispondenti a quattro luoghi della terra: montagna,
deserto, mare, città ed ogni squadra ha ideato il proprio nome ed inno, in tal modo si è potuta stimolare una buona dose di competitività
e di spirito di unione.
I ragazzi hanno risposto bene all’esperienza dell’oratorio estivo, con la loro partecipazione e voglia di mettersi in gioco. Per la chiusura
dell’oratorio estivo 2010 è stato proposto ai ragazzi di rivivere l´esperienza dei quattro oratori estivi, attraverso il replay del significato
di ciascun oratorio e il replay del proprio inno oratoriano.
E. P.
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• luglio/agosto 2010 •
Ho una bella notizia. Io l’ho incontrato
di Michele Munno
Si è svolto dal 12 al 17 luglio, presso
il seminario di Mormanno, il campo
scuola
vocazionale,
organizzato
dal
centro
diocesano
vocazioni.
Si tratta della quinta esperienza di
un’iniziativa che dal 2007 rappresenta un
momento forte per l’animazione vocazionale
diocesana. I ragazzi e i giovani che hanno
partecipato al campo sono stati ben 55,
provenienti da diverse comunità della
Diocesi: Albidona, Amendolara, Cassano,
Castrovillari,
Francavilla,
Trebisacce,
Laino Borgo, Montegiordano, Lauropoli.
Il tema di quest’anno, sulla linea delle
indicazioni nazionali del Cnv, è stato “Ho
una bella notizia: Io l’ho incontrato”. Gli
educatori ed animatori hanno accompagnato
i ragazzi a “salire sul monte”, ad ascoltare,
per scoprire l’identikit dell’Uomo delle
Beatitudini e ritrovarsi nei suoi tratti di
povero in spirito, afflitto, mite, affamato e
assetato di giustizia, misericordioso, puro di
cuore, costruttore di pace, perseguitato per
la giustizia, ed individuare per questa via il
progetto di felicità che Dio ha per ciascuno.
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• luglio/agosto 2010 •
Preghiera, riflessione, gioco, condivisione,
allegria contagiosa hanno animato i sei
giorni trascorsi insieme, durante i quali i
ragazzi hanno avuto modo di approfondire il
progetto di Dio e l’amicizia con i loro coetanei.
Il 16 luglio è stato davvero un giorno
speciale. Il nostro vescovo, monsignor
Vincenzo Bertolone, ha presieduto la festa
del perdono: la liturgia penitenziale, durante
la quale tutti hanno avuto la possibilità di
accostarsi al sacramento della confessione.
La gioia si è prolungata durante la lauta
cena ed anche oltre. Ha animato la serata
un ospite speciale: il giovane cantautore
romano Jacopo Ratini. Le note del bravo
artista, che ha preso parte nella sezione
“Nuova generazione” all’ultima edizione
del festival di Sanremo, ci hanno fatto
sognare – in continuità con le tematiche del
campo – un mondo da favola, un mondo
semplice e colorato, come le “biglie” del
brano sanremese “Su questa panchina”, un
mondo che fa da “controcanto” alla piatta
monotonia delle guerre e rivela il bambino
nascosto nel cuore di ciascuno, capace di
regalare un sorriso colorato di arcobaleno.
L’Eucaristia del sabato, presso la grotta
di Lourdes di Mormanno, ha chiuso
l’esperienza del campo. Guardando
a Maria, la più somigliante a Gesù,
tutti si sono impegnati a vivere le “otto
beatitudini” per gridare agli altri: “Ho
una bella notizia! Io l’ho incontrato!”.
I FURBI
I furbi sanno le notizie in anticipo.
I furbi fanno le vacanze gratis.
I furbi chiedono una sigaretta e pure d’accendere.
I furbi chiedono sempre lo sconto.
I furbi bluffano a poker.
I furbi danno le mance ai portieri.
I furbi predicano bene e razzolano meglio.
I furbi non perdono tempo a pensare ma agiscono.
I furbi sono prima a destra e poi a sinistra, come tira
il vento.
I furbi collezionano biglietti da visita.
I furbi sono amici di tutti.
I furbi hanno sempre qualcuno pronto a fargli un
favore.
I furbi prima fanno parlare gli altri, poi, se gli
conviene, dicono la loro.
I furbi fanno i complimenti a tutti.
I furbi anche se non fa ridere sorridono.
I furbi anche se non gli piace battono le mani.
I furbi si vestono bene.
I furbi si sentono belli.
I furbi non si sposano per poi divorziare.
I furbi non fanno figli.
I furbi hanno sempre una ragazza diversa,
oppure hanno una ragazza fissa e diverse amanti.
I furbi baciano solo se fanno l’amore.
I furbi si fanno sempre telefonare e chiamano solo se
è indispensabile.
I furbi, quando hai bisogno di loro, li trovi sempre in
riunione o fuori città per lavoro.
I furbi in periodi di crisi non sono mai in crisi.
I furbi trovano sempre un modo per non pagare.
I furbi sanno vivere senza rimorsi né rimpianti.
La furbizia è un arte che, per fortuna, non tutti
posseggono.
Jacopo Ratini
La musica che “fa bene”
“Ho fatto i soldi facili”. Sono queste le parole della canzone di Jacopo Ratini che dà il titolo
al suo primo album ufficiale. Jacopo scrive testi semplici e profondi a cui sono sottesi i valori
fondamentali dell’esistenza umana come l’amore, il rispetto e l’onestà. L’album comprende
dieci brani. Fresco e primaverile risulta il ritmo delle sue canzoni, cantabili e orecchiabili. Dalla
musica coinvolgente affiorano pennellate di realtà colorata di ironia e scintille fiabesche, come
in “Ti”, dove, attraverso Peter Pan o Robin Hood, canta un amore genuino e pieno di tenerezza.
Il nostro cantautore vuole essere un bravo ragazzo ed un cittadino modello, che differenzia i
rifiuti, decide di eliminare gli sprechi e di avere solo l’essenziale, e per farlo inizia dalle piccole
cose per fare con il tempo opere più virtuose, così in “La raccolta differenziata”. È un artista,
un ragazzo con tanti sogni da coltivare, ma con la consapevolezza che la strada che si prospetta
davanti è tutta in salita. E non si da per vinto neanche davanti ai soliti schemi imposti dalla
società. Vuole provare ad andare oltre, a credere nei sogni! L’universo musicale raccontato da
Jacopo rappresenta non solo una tappa della sua carriera, ma anche un pezzetto della sua vita,
ed è racchiuso nella semplicità delle “biglie” del brano sanremese “Su questa panchina”, dove,
protestando il canto piatto del mondo che fa guerra ed orrori, ritorna bambino, rievocando
attraverso alcuni versi cantilenati il tradizionale “tutti giù per terra”, e canta i colori di un amore
che assume sfumature diverse ad ogni età, un amore che non ha paura di guardarsi dentro e
di soffrire per essere autentico, e che è capace, goccia dopo goccia, di scalfire la monotonia
granitica di un mondo che ha perso i colori dell’arcobaleno.
Bravo, Jacopo! È di canzoni come queste che abbiamo bisogno!
M . M.
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C’è campo! Sintonizzati sulla santità
Si è svolto a Mormanno, presso il seminario estivo, il campo dell’Azione cattolica ragazzi,
con circa venti acierrini dalle parrocchie di “San Girolamo” (Castrovillari), “Presentazione
del Signore” (Lauropoli), “San Giuseppe” (Sibari) pieni di gioia e voglia di stare insieme per
conoscere la figura di Santa Chiara, fare nuove amicizie e pregare con letizia e semplicità
attraverso letture del Vangelo, guidati dall’assistente diocesano don Francesco Di Marco.
Al centro del mini campo, la figura di santa Chiara “pianticella di Dio”. Infatti don Di Marco
e gli educatori, per mezzo di video e tecniche di animazione, hanno raccontato la storia
della santa e aiutato i ragazzi a capire che ognuno può tendere alla santità se vive in
modo semplice e sotto la luce di Dio. Il momento che maggiormente è piaciuto ai ragazzi
è stata la caccia al tesoro, organizzata con prove riguardanti tutto ciò che il giorno
precedente si era detto su santa Chiara e avvalendosi della loro fantasia e creatività. Non
potevano mancare i giochi all’aperto con palloncini e il famoso gioco del tiro alla fune in
cui si sono cimentati anche gli educatori. Durante il campo si leggeva nei volti di ognuno,
piccoli o grandi, la gioia di essere lì e la consapevolezza che Gesù fosse presente.
Al termine del campo è stata celebrata insieme ai genitori la Santa Messa. Quindi
si è ritornati nelle proprie parrocchie con il desiderio di ripetere l’esperienza
e di crescere come “pianticelle di Dio”. Proprio come diceva santa Chiara.
RedA
Pellegrinaggio a San Pio
Nei giorni 19 e 20 giugno, il gruppo di preghiera di Padre Pio di Montegiordano, guidato
dal direttore spirituale don Pierino De Salvo, ha effettuato l’annuale pellegrinaggio e
oltre a rendere omaggio a san Pio nella nuova Cripta, ha partecipato direttamente alla
fiaccolata mariana ed alla celebrazione Eucaristica.
Giovanni Lattuca
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Cara redazione
Cara redazione,
sono uno dei componenti
del comitato spontaneo che fino a qualche
tempo fa si occupava di dare decoro alla
villetta di Piazza 15 Agosto in Sibari, dove
esiste la statua della Madonna che veglia le
povere e sfortunate anime che si trovano sul
sottosuolo. Inutile rievocare la storia, perché
essa è già nota. Direi che, dallo sguardo, la
Madonna piange. Si, piange perché si trova
in un pessimo stato di abbandono. I margini
interni dello spiazzo sono diventati zone
di parcheggio per macchine. Non si può
più tenere lucida una lapide di marmo che
portava la dedica dell’accaduto in ricordo
delle povere anime del 15 Agosto del 1943,
cadute in seguito ad un bombardamento, nè
si può più tenere eretta un’altra lapide che
porta la scritta “luogo sacro”, perché non
esiste più nulla.
Ora, il mio rammarico è anche per il
periodico “l’Abbraccio”, di cui sono un
abbonato, perché tutti gli articolisti parlano
di tanti argomenti e mi compiaccio con
tanta stima e rispetto per le illustre firme,
però allo scadere di un altro anno dalla
ricorrenza di piazza 15 Agosto mi sarei
aspettato che qualche voce venisse fuori
a raccontare come stanno le cose, perché
tutto è fermo e non si muove nulla. Allora
dico: interroghiamoci, principalmente per
chi crede in Dio. Ognuno di noi ha dei cari
che ci hanno lasciati e si trovano al di là e
sappiamo quanto è dura la loro mancanza.
Perciò cerchiamo di non dimenticare i
defunti e preghiamoli con stima e doverosa
preghiera affinchè chi di competenza si
scuota a dare una svolta decorosa e umana
al rifacimento della piazza, perché le anime
attendono.
Mi scuso per avere osato, forse non
toccava a me. Con affetto, stima e rispetto
Francesco Iacobini – Sibari
La redazione risponde
Non si scusi, signor Iacobini. Osare è un compito
che spetta a tutti: a noi, a voi lettori, alle autorità,
alla pubblica opinione, alle forze politiche e
culturali. Nei mesi scorsi, quando “l’Abbraccio”
e, per parte sua, il vescovo, hanno ripreso e
sollevato la questione di piazza XV agosto, si
sono ritrovati attorniati dal silenzio del resto
della comunità e delle sue istituzioni. Questo,
però, non ci convince della bontà del silenzio,
alla cui logica non ci pieghiamo. Ci auguriamo,
tuttavia, che insieme a noi, ed a lei, possa essere
in tanti, d’ora in avanti, ad osare rivendicare il
rispetto dei sentimenti di pietas cristiana e dei
più elementari diritti di cittadinanza.
Viva voce
[ il concerto ]
Rende, 18 giugno 2010; 21:30. Il maestro non si fa aspettare e puntuale
compare sul palco. Il pubblico intona un caloroso “Tanti auguri a te” per
i settant’ anni del Maestro, che scherza quasi in modo familiare. Inizia il
concerto (rigorosamente seduti!), “a bordo” della “Locomotiva”. Nel corso
della serata si susseguono diverse emozioni:la dolcezza con “Farewell” e
“Incontro”, la tristezza mista a rabbia con “Cyrano”, il ricordo con Auschwitz
e la speranza con “Don Chisciotte”. In cielo, nel frattempo, spicca una falce di
luna, alla quale il Maestro dedica il classico di Fred Buscaglione, “Guarda che
luna”, naturalmente accompagnato dal coro del pubblico, vasto e vario. Nello
stadio Lorenzon di Rende si verifica una specie di incontro generazionale:
giovani, adulti, anziani e
bambini si ritrovano uniti
nelle parole del Guccio,
il poeta. L’atmosfera è
allegra e cordiale; sembra
di esser tornati a quegli
anni fatati di miti incantati
e di contestazioni. Sul
palco, assieme a Guccini,
troviamo gli immancabili
“compagni di sventura”:
Ellade
Bandini,
Juan
Carlos “Flaco” Biondini,
Roberto Manuzzi, Antonio
Marangolo,
Pierluigi
Mingotti, Vince Tempera,
tutti grandi Musicisti.
Il concerto continua e
due ore trascorrono
velocissime, scandite dal ritmo dei grandi capolavori del Maestro. Quindi si
conclude con il brano che aveva aperto la serata, “La locomotiva”.
In quest’epoca dove la musica è soggetta a restrizioni, dove prevale la musica
commerciale e scialba su quella vera, quella che emoziona, un cantante, un
musicista, un poeta come Guccini è indispensabile per la salvaguardia di
quella specie in estinzione nota come quella degli Artisti.
Rossana Lanzillotta
[ l’idea ]
Esiste un modo per rimanere informati e allo stesso tempo tutelati dal modo in cui acquistiamo e
sprechiamo i nostri risparmi.
Altroconsumo è la rivista dell’associazione di consumatori nata nel 1973.
Con uscita mensile il giornale informa i consumatori su sicurezza, salute
e qualità di numerosi prodotti. Giornale al servizio dei consumatori,
riporta test, prove e schede comparative di numerosi articoli e prodotti.
E’ presente dal 2001 anche sul web con il “Portale del Consumatore” e
con il sito www.altroconsumo.it
Il cuore del mensile Altroconsumo è rappresentato dai test effettuati sui più svariati prodotti, beni di
consumo e servizi.Vi sono una serie di prove sempre molto ben approfondite e dettagliate, vengono
effettuati test di laboratorio ma anche prove di utilizzo, prendendo in considerazione tutti i parametri
possibili come la sicurezza e a salute dei consumatori e l’etica di consumo.
I giudizi per ogni caratteristica provata all’interno dei test svolti e riportati nel giornale vanno
dall’ottimo al pessimo senza badare al nome o al prestigio di marchi e produttori. Alla fine delle
schede e articoli viene sempre fornita una tabella riepilogativa in cui si riportano per ogni prodotto
sia il giudizio globale che il range di prezzi trovati sul mercato.
Il giornale Altroconsumo per ogni scheda pubblica evidenzia il miglior prodotto e il miglior acquisto
che raggruppa al suo interno il parametro della convenienza come rapporto tra qualità e prezzo
dell’articolo preso in esame.
Giuseppe Roseti
[ il libro ]
Un giorno, per
caso in libreria mi
capita tra le mani
il libro “Silenzio”
di
Romano
Battaglia.
Senza
esitare
lo acquisto e
inizio subito a
leggere qualche riga. Tornando
a casa, sento che mi prende e
ho voglia di andare avanti, e tra
queste pagine ho ritrovato e
sperimentato l’importanza del
silenzio.
Questo libro appunto è dedicato
al silenzio, uno spazio necessario
per ritrovare la nostra identità,
per non perderci in sterminati
campi incolti dove i sogni, come
le piante inaridiscono e muoiono.
Pensandoci bene, la nostra vita
scorre in mezzo al chiasso, tra
fiumi di parole spesso inutili,
tra rumori assordanti che non
ci permettono più di sentire il
magico sottofondo della nostra
natura.
Il silenzio, ci insegna Battaglia,
si trova la notte, nel nostro
giardino, sotto il cielo stellato, in
mezzo alle piante e al profumo
delle rose, nelle ore notturne si
posso rievocare episodi vicini o
lontani, rivedere i volti di tante
persone e risentire le loro voci,
oppure si può riflettere sugli
errori che hanno condizionato
la nostra vita, sui sentimenti, sui
dubbi che fermano l’azione.
Il silenzio, dunque, non deve
essere vissuto come sinonimo
di solitudine o di paura ma
semplicemente come qualcosa
che di tanto in tanto ci viene
concesso per rintracciare un
dialogo sereno con noi stesso
e con gli altri. Affascinante è la
descrizione che di esso fa Mario
Luzi nella sua introduzione al
libro: «Com’è difficile a trovarsi
il silenzio; è la voce dell’universo
che parla all’universale, l’uomo.
Il silenzio è un armonia, una
concordia
inesprimibile
in
parole».
Spero che la lettura di questo
libro, magari in una delle
magnifiche notti d’estate che si
avvicinano, sappia trasmettere a
chi lo legge la stessa serenità che
ho provato io.
Antonella Gatto
13
• luglio/agosto 2010 •
Verso la beatificazione
La Santa Sede ha autorizzato l’avvio del processo di canonizzazione di don Carlo
De Cardona.
L’annuncio, ufficiale, è stato dato dal vescovo, monsignor Vincenzo Bertolone,
nel corso della visita pastorale a Nocara, il 7 luglio, giorno del centoquindicesimo
anniversario dell’ordinazione sacerdotale del prete moranese, avvenuta il 7 luglio
1895 nella Cattedrale cassanese, per l’imposizione delle mani dell’allora vescovo
Evangelista Di Milia. Celebrando la santa messa nel monastero degli antropici
alla presenza, tra gli altri, del parroco di Nocara, don Pierfrancesco Diego, e del
Postulatore della causa di beatificazione del sacerdote moranese, don Giovanni
Maurello, il vescovo ha spiegato che «l’autorizzazione della Santa Sede consentirà,
entro il prossimo autunno, l’avvio della causa di beatificazione, con la costituzione
di un vero e proprio tribunale che avrà il compito di vagliare le testimonianze e la
documentazione dalle quali emergerebbero le virtù di don De Cardona».
Nato a Morano nel 1871, De Cardona si formò nel solco tracciato dall’enciclica Rerum
Novarum, promulgata da Leone XIII nel 1891. La sua opera fu incessante, incisiva,
instancabile in ambito apostolico ed economico: creò cooperative, associazioni, Casse
rurali e artigiane per alleviare le pene della sua gente, i rurali, riscuotendo consensi
ma anche critiche ed ostilità, non esclusa la diffidenza dell’autorità ecclesiastica
vaticana, oltre che di gran parte del Clero locale. Avversato dal Fascismo, fu
costretto praticamente all’esilio in casa del fratello Ulisse a Todi, prima del ritorno
a casa e della morte, che lo colse ottantasettenne nel suo borgo natìo, nel 1958.
«Il sacerdote moranese – commenta il Presule cassanese – è stato un modello di
spiritualità e coerenza: s’impegnò
nell’opera di formazione delle
coscienze dei lavoratori, nella
tutela dei più elementari diritti
e nella piena e leale adesione
alla Chiesa Sempre fedele a se
stesso ed alla sua missione, fu
prete esemplare che ebbe un
solo fine: testimoniare il volto del
Cristo sofferente e perseguitato in
quello logoro e pieno di rughe dei
contadini calabresi». Conclude
monsignor Bertolone: «Questo
era don De Cardona, innamorato
di Cristo e in Lui dei poveri, degli
Il busto di don Carlo De Cardona a Morano ultimi, degli sfruttati dal potere.
Questo fu il progetto di Dio su di
lui ed egli lo afferrò a 25 anni, facendone col sacerdozio una scelta ed un impegno
irreversibile di vita. Vita d’un uomo, vita d’un santo». Gianpaolo Iacobini
In ricordo di don Puglisi
«Era un uomo buono, solo, disarmato. In quattro andarono a sparargli. Lo spiarono,
lo seguirono, lo raggiunsero sul portone di casa. In silenzio gli andarono alle spalle.
Per rabbia lo uccisero. Per rabbia, per paura, per invidia. Perché dall’altare li aveva
chiamati animali».
Così, con le parole prese a prestito dal libro della giornalista Bianca Stancanelli,
monsignor Vincenzo Bertolone ha voluto ricordare padre Pino Puglisi il 2 luglio
scorso, giorno del cinquantesimo, simbolico anniversario dell’ordinazione
sacerdotale del parroco del quartiere palermitano di Brancaccio, ucciso dalla
mafia il 15 settembre del 1993. «Don Puglisi – il Presule cassanese - era un uomo
pulito, inviso alle cosche, ma soprattutto un prete di Cristo, testimone del Vangelo,
interprete della verità e della gioia santamente povera del vivere cristiano». Ha quindi
concluso monsignor Bertolone: «La sua radiosa memoria, oltre ad aver risvegliato
le coscienze addormentate, è stata causa della conversione del suo assassino, che
non ha dimenticato il sorriso che gli rivolgeva il sacerdote morente. Ed ogni giorno
il Servo di Dio, di cui auspichiamo la beatificazione, continua ad additare ai credenti
e agli uomini di buona volontà la via della solidarietà e della fratellanza nel nome del
Vangelo: da un seme che è morto, stanno maturando migliaia di spighe».
G. I.
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• luglio/agosto 2010 •
L’agenda del Vescovo
AGOSTO
12 agosto: santa messa per la festa della
Madonna della Salute, ad Amendolara
marina;
15 agosto: h. 10.30, solennità dell’Assunta,
a Mormanno;
17 agosto: amministrazione Sacramento
della Confermazione, ad Alessandria del
Carretto;
dal 20 al 29 agosto: predicazione del
Novenario al Santuario della Madonna
della Guardia, a Tortona;
SETTEMBRE
4 settembre: partecipa al cinquantesimo
anniversario dell’ordinazione sacerdotale
di don Francesco Papasso;
7 settembre: incontro con il Clero, a
Mormanno;
10 e 11 settembre: partecipa ai lavori
del convegno catechistico, a Castrovillari;
12
settembre:
in
mattinata,
amministrazione del Sacramento della
Confermazione, parrocchia Spirito Santo,
a Laino Borgo; h. 18, amministrazione del
Sacramento della Confermazione, chiesa
di sant’Eusebio a Sibari.
UNA TERRA DAI MOLTI TALENTI
Se in questa estate vi capiterà di andare in giro per i nostri territori noterete la ricchezza di cui il cielo ha
dotato nel nostre zone e la Calabria intera. Mari e coste per chilometri, parchi naturali e nazionali, aree
di protezione speciale e di grande interesse archeologico, faunistico, florovivaistico, cultura, patrimoni
immateriali di alto valore, buona cucina, ottima ospitalità, e chi più ne ha più ne metta.
Vista nell’ottica del senso cristiano tutto questo potrebbe definirsi talento, anzi talenti, i nostri talenti. Chi
avrà il coraggio, la miopia e la mancanza di lucidità anche imprenditoriale e politica per nasconderli sotto
terra per paura di perderli avrà mancato una occasione che il buon Dio ha donato ai popoli che su questi
luoghi deliziosi abitano da tempo. Chi avrà la voglia, la speranza, la volontà piena di metterli a frutto, avrà colto la grazia che da esse il cielo ha
regalato a noi tutti. Su questi talenti abbiamo notato che le giovani generazioni stanno cercando di costruire il proprio futuro e lo sviluppo,
anche imprenditoriale, di questa terra. Con i loro occhi abbiamo saputo riscoprire il frutto di un agire che parte dal basso con la bellezza
degli occhi giovani che di questi territori sono innamorati con la passione ardente di chi vuole farli rifiorire, con le idee, il sudore, la volontà di
scommettere. Eccoli i talenti. Bellezze naturali e bellezze umane. Che si incontrano, si amano, si desiderano e amandosi fanno scintille, capaci di
incendiare anche i cuori più spenti. Lasciamoci infiammare dalla voglia giovane di chi vuole scommettere sui talenti calabresi, E diamogli, tutti,
una mano a far fiorire i germogli nuovi di una Calabria che vuole guardare al domani. Vincenzo Alvaro
CATECHISTI
Rubrica a cura di don Nunzio Laitano
Registrazione presso il Tribunale di Castrovillari n°
1/08 del 10 gennaio 2008
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FORMARE VALORIZZANDO L’APPORTO
DELLE SCIENZE UMANE E DELLA FORMAZIONE
Nel mondo della formazione si sono verificati negli ultimi anni dei cambiamenti
significativi. Oggi si vanno affermando teorie e tecniche che si orientano con sempre
maggiore convinzione verso concezioni in cui gioca un ruolo da protagonista il soggetto,
disponibile alla formazione e corresponsabile di essa. Coerentemente, nel processo
pedagogico l’attenzione si è trasferita dai requisiti richiesti ad un buon formatore
alle modalità attraverso cui l’educando perviene alla propria maturità: l’accento viene
messo non tanto sulla trasmissione, ma sulla appropriazione.
In quest’ottica, acquista rilevanza il termine apprendere, concetto cruciale che ha il
pregio di rivalutare la dimensione soggettiva di chi partecipa e di mettere in luce la
rilevanza dell’inter-azione, dello scambio, del dialogo, dell’apprendere insieme. Così
viene a modificarsi anche l’immagine di processo formativo. Ad un’idea deterministica
che intendeva il percorso come un insieme concatenato di attività orientate al
conseguimento di obiettivi definiti in anticipo, si sostituisce una prospettiva dinamica
che vede il processo come un fluire di eventi i cui tratti essenziali, gli svolgimenti, le
direzioni, sono stabiliti in corso d’opera dagli stessi attori sociali, in modo più aderente
alle condizioni reali in cui concretamente si opera. Anche se la loro trasposizione in
ambito ecclesiale non è priva di problematicità, tali acquisizioni possono aprire nuove
prospettive nella formazione dei catechisti.
ABBONAMENTI
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L’Abbraccio è iscritto
alla Federazione Italiana Settimanali Cattolici
Direttore responsabile: Domenico Marino
Capo redattore: Gianpaolo Iacobini
Segretario di redazione: Giuseppe Malomo
Redazione: S.E. Vincenzo Bertolone, Vincenzo Alvaro,
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Roseti, Raffaele Vidiri, Gaetano Zaccato
Hanno collaborato a questo numero: Leonardo Aita,
Bruno Ferrero, Antonella Gatto, Giuliana Graziadio, don
Nunzio Laitano, Rossana Lanzillotta, Giovanni Lattuca,
Michele Munno, don Francesco Oliva, Elide Piazza, Gianluca Santagada, Vittorio Scarpelli.
Impaginazione: Vincenzo Alvaro
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Le vacanze, occasione per rinascere a nuova vita interiore