Luglio/Agosto 2010 • Anno 3 • Numero 7/8 Le vacanze, occasione per rinascere a nuova vita interiore «Per ritrovare un’idea dell’uomo, ossia una vera fonte di energia, bisogna che gli uomini ritrovino il gusto della contemplazione, diga che fa risalire l’acqua nel bacino e permette di accumulare l’energia di cui l’azione rende poveri».Le parole dello scrittore Alberto Moravia sono un invito alla meditazione per quanti, in mezzo ad una drammatica crisi economica e sociale che a molti toglie il sonno ed il pane, possono concedersi di programmare le loro vacanze. Non è raro che ciò avvenga interrogandosi, a volte con ansia, su quale località o albergo scegliere, ma omettendo di chiedersi di cosa il corpo e lo spirito abbiano bisogno in giorni che, inspiegabilmente, vengono intesi come eccezione alle regole della buona condotta e dai doveri quotidiani, come tuffo nell’ozio anche intellettivo, quasi a voler coscientemente dimenticare che i bisogni dell’esistenza terrena non concedono tregua neppure sotto il solleone. Eppure, a quanti sin dall’antichità idolatravano il riposo sabbatico, già Gesù faceva osservare che «il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato; e che il Figlio dell’uomo è signore del sabato» (Mc 2, 27-28). All’uomo, dunque, spetta decidere come impiegare il proprio tempo, e se usarlo, anche sotto l’ombrellone ed in montagna, per accrescere la propria libertà, imparando a discernere di cosa e di chi si sia schiavi. È possibile: dipende solo da noi. C’è un architettura del tempo che si fonda sui bisogni primari di ogni essere umano, ed è questa architettura che le vacanze possono aiutare a ricostruire. Certo, non è facile cambiare in pochi giorni ritmi e mentalità, privarsi dei normali mezzi di comunicazione per ritrovare la ricchezza del dialogo fraterno; misurarsi su quello che si è anziché su quello che si fa o si possiede; assaporare la semplicità di una vita più legata alla natura ed alle sue esigenze; lasciare che silenzi e suoni ormai dimenticati colpiscano ancora i cuori e le menti, rievocando un mondo interiore celato da quell’oblio che, come ammoniva il romanziere Finn Carling, «è precursore della morte», del vuoto, dell’inconsistenza, dell’attesa vana. La pausa vacanziera, allora, dovrebbe permetterci di ritrovare idee, temi, verità e insegnamenti che la melassa della banalità televisiva e della chiacchiera ha soffocato. Nel cuore dell’autentico cristiano non campeggerà mai il cartello «Chiuso per ferie»: chi ama, non può non trasmettere la gioia della testimonianza anche nei luoghi dove si trovi a villeggiare, aprendo il tempo del riposo a Cristo e trasformando le vacanze in tempo per Dio, per gli altri e per un arricchimento personale e familiare. A voi tutti, allora, cristianamente, buone vacanze. X Vincenzo Bertolone 1 • luglio/agosto 2010 • Le doti umane, doni da vivere di Annamaria Partepilo Cari lettori, arriviamo nelle vostre case con un numero caratterizzato dalla parabola dei talenti, un passo del Vangelo che ci piace più di altri poiché lo riteniamo un importante stimolo a fare bene, migliorarsi, guardarsi dentro per cercare le ricchezze che ciascuno di noi ha, e lavorare per valorizzarle come meritano. Prendiamo spunto dalle parole della Sacra scrittura per scoprire i talenti del nostro territorio, raccontare la storia di chi i talenti li ha trovati e fatti fruttare, e di chi li ha scoperti ma non ha potuto incentivarli come avrebbe voluto. Questo numero de “l’Abbraccio”, che tra l’altro sarà l’ultimo prima della breve pausa estiva, offre ampio spazio ai Grest che si sono svolti a Cassano e Lauropoli portando in piazza centinaia di ragazzi e ragazzini che si sono divertiti esagerando in positivo e non come fanno molti, troppi loro coetanei. E come raccontano malinconicamente, un giorno dopo l’altro, i mezzi di comunicazione di massa. Il blocco al 30 marzo 2010 delle tariffe agevolate deciso dal governo Berlusconi ha provocato un aumento del 400% dei costi di spedizione de “l’Abbraccio”. Un colpo mortale per un giornale come il nostro che si regge sul volontariato dei redattori, dei collaboratori, del grafico e degli altri, oltre che sui vostri abbonamenti e sul sostegno degli sponsor che mensilmente ci danno una mano. Un colpo letale che forse riusciremo a superare, dopo tre anni e mezzo di vita, anche e soprattutto grazie al vostro contributo. Ecco perché vi chiediamo di aiutarci a sopravvivere sottoscrivendo un abbonamento. Un abbraccio. d.m. 2 • luglio/agosto 2010 • Due interrogativi emergono imperiosi nell’ascolto della parabola dei talenti. Primo, in cosa consiste un talento: è dote naturale e fatto squisitamente umano, o dono elargito da Dio? Secondo, ammesso che sia dono divino, perchè tanta iniquità nella distribuzione? In risposta al primo quesito, oltrepassando, al momento, la derivazione di esso, talento è tutto ciò che fa crescere l’individuo e la comunità, abilità politica, oratoria, maestria nella scrittura, nel creare arte, nel canto, nello sport, nella stessa bellezza fisica e spirituale. Dote, dunque, che prende corpo ed esprime possanza, affermava il nostro conterraneo Tommaso Campanella ne “La città del Sole”, solo mediante l’impegno e più concretamente con il lavoro. Fermandoci, tuttavia, alla possibile genesi umana delle doti, considerate qualità congenite, ed escludendone la matrice divina, accettiamo una visione della vita fondata sulla proprietà di beni e di qualità. Svanisce, pertanto, la meraviglia di fronte ad un essere che palpita, respira, ad un’intelligenza capace di plasmare il mondo, alla bellezza in tutte le sue forme. Tutto diventa una fatto dovuto e, di conseguenza, scontato. Si perde di vista che anche un respiro è un dono, e come tale va vissuto, ovvero non un bene da tesaurizzare (il servo che riceve un talento, per paura di perdere quello che a lui appare poco, lo sotterra), ma da vivere e condividere. Il secondo dubbio è riferito alla disparità dell’elargizione dei talenti. Tale appare la condotta del padrone, fuor di metafora Dio, in una prospettiva razionale e, al contempo, semplicistica. Oggi diremmo “perchè non a me”, perchè “l’altro ha più di me”? Sfugge che Dio è presente nella distribuzione dei doni, e che anche il più piccolo di essi ha un valore intrinseco. La diversità, che non è disparità, semmai, scaturisce dalla differente risposta dell’uomo alla donazione, dalla capacità di gratitudine e di valutazione della finalità della propria esistenza (il mio talento a cosa serve, sono capace di investirlo e farlo fruttare?). Non imprese eroiche, sforzi sovraumani, saremmo tutti martiri e santi, ma impegno costruttivo, capacità di apprezzare anche il poco che, curato, diventerà molto, questa è la risposta. I talenti vengono immessi nella nostra natura come germogli, è il mancato sviluppo di essi che va analizzato nelle sue cause. La superba considerazione di contesti immeritevoli della condivisione dei doni (il luogo in cui vivo non merita il mio tempo e le mie energie). Condizioni di svantaggio che impediscono il dispiegamento della potenzialità (giovani talentuosi nello sport che non trovano gli sbocchi giusti per sfondare). La paralizzante paura di non essere compresi, accettati, il timore di essere giudicati. Sforzarsi di superare tutto ciò, ponendosi di fronte agli altri anche con scelte paradossali (la possibilità di non essere compresi), questo impone il riconoscimento e il dispiegamento del dono. La parabola dei talenti di Francesco Oliva Tra le parabole di Gesù quella dei talenti è tra le più note. Riscontriamo sul piano metaforico temi molto importanti ed attuali: il tema dei doni che ogni persona riceve da Dio ed il modo in cui li esercita e l’atteggiamento con cui si pone davanti a Dio che elargisce questi doni. La parabola racconta la storia di un uomo che, prima di mettersi in viaggio, distribuisce i suoi beni agli impiegati, dando cinque, due ed un talento, secondo la capacità di ognuno. Tutti ricevono la stessa cosa, perché ognuno riceve «secondo la sua capacità». Chi ha la tazza grande la riempie, chi ha la tazza piccola la riempie anche lui. Il primo dato che emerge è il diverso modo di agire di ciascun impiegato. I primi due lavorano e raddoppiano i talenti. Ma colui che ha ricevuto un talento lo seppellisce, per conservarlo bene e non perderlo. «Dopo molto tempo», il padrone, «partito per un viaggio» si presenta per fare i conti. I primi due impiegati dicono: «Signore, mi hai consegnato cinque/due talenti; ecco ne ho guadagnati altri cinque/due». Ed il padrone risponde allo stesso modo: «Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». Il terzo impiegato si presenta con un diverso stato d’animo: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; ecco ciò che è tuo». Agendo in questo modo pensava di evitare il giudizio e la severità del padrone. Ma così non è stato. Egli aveva un’immagine strana del padrone (Dio), quella di un padrone severo. Era una persona che si dimostrava di non avere fiducia in Dio, ma in se stessa e nella sua osservanza della legge. Questa falsa immagine lo isola, non gli fa vivere la gioia ed impoverisce la sua vita. In ultima istanza, il suo comportamento non è stato coerente con l’immagine severa che aveva del padrone. Se avesse immaginato un padrone così severo, avrebbe dovuto per lo meno depositare il denaro in banca. Per questo la sua condanna non viene dal padrone, ma dall’idea sbagliata che aveva di lui. Quando ci si chiude in se stessi per paura di perdere il poco, si perde perfino quel poco che si ha, perché l’amore muore, la giustizia si indebolisce, la condivisione sparisce. Al contrario, la persona che dispensa i talenti ricevuti, cresce e riceve sorprendentemente tutto ciò che ha dato e molto di più. In ultimo ci chiediamo: cosa sono i talenti? Di primo acchito il pensiero va alle doti naturali di intelligenza, bellezza, forza, capacità artistiche. Ma questo non è esatto. I talenti di cui parla Gesù sono riferiti all’avvento del Regno di Dio e sono principalmente doni spirituali: la Parola di Dio, la fede e i sacramenti. Gesù infatti non intendeva parlare dell’obbligo di sviluppare le proprie doti naturali, quanto di far fruttare i doni spirituali ricevuti. La parabola è un invito ad un esame di vita. Per molti i doni ricevuti sono talenti sotterrati, un pacco-dono ricevuto, ma dimenticato in un cantuccio, senza essere stato mai scartato e aperto. La testimonianza Parlare delle meraviglie che il Signore compie nella vita dei Suoi figli non è mai facile. Si corre il rischio di omettere qualcosa, o al contrario di aggiungerne di superflue. La mia vocazione al Diaconato permanente parte da lontano e precisamente nel 2002, anno in cui mi trovavo al campeggio di Millepini insieme alla mia famiglia e ai fratelli della comunità “Magnificat” di cui faccio parte insieme a mia moglie dal 1996. In quel periodo sentivo il desiderio di servire il Signore e la Chiesa, in modo diverso, più da vicino. Grazie al mio Padre spirituale e ai fratelli di Comunità compresi che il Signore mi chiamava al Diaconato permanente. Chiaramente ne parlai anche in casa con mia moglie, i miei figli erano troppo piccoli per comprendere.Non fu facile credetemi, fino all’ultimo ho trepidato per avere il consenso della mia consorte. Pregavo il Signore d’illuminarla di farle capire che era una grazia particolare per tutta la famiglia. Chiesi aiuto al mio Parroco, il quale parlò con mia moglie e dopo questo colloquio finalmente firmò il consenso. Le cose ottenute con fatica sono le più belle. Oggi i figli sono divenuti più grandi e mi fanno tante domande: «Pà, ma ti devi fare prete? E allora perché vai sempre in Chiesa e ti vesti come i preti?». Non è semplice spiegare a parole quello che il Signore ti mette nel cuore, è più semplice testimoniarlo con l’azione. La chiamata del Signore rappresenta una novità di vita non solo per chi la riceve, ma anche per chi ti sta accanto, moglie e figli. Non basterebbe una vita per ringraziare il Signore per le Sue meraviglie che mai ci fa mancare cui io rispondo: «Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore». (Gs 24,15) Leonardo Aita, diacono 3 • luglio/agosto 2010 • Fiore, storia di sacrifici che ripagano di Vittorio Scarpelli Il calciatore del Cosenza Stefano Fiore è il simbolo di come i sacrifici nella vita portino frutto. Al grande impegno da professionista vero, il centrocampista rossoblù abbina un talento da fare invidia a chiunque. Caratteristica che gli ha permesso di raggiungere il massimo delle aspirazioni per qualsiasi calciatore: giocare con la maglia della Nazionale. Chi non ricorda la sua perla al Belgio negli Europei del 2000? Un orgoglio per tutti i cosentini. credere. Tuttavia, per arrivare al top servono tante componenti. «Non ho lasciato la mia città troppo presto», afferma il giocatore silano, «considerando che molti aspiranti calciatori abbandonano casa molto prima. Tuttavia, a diciotto anni, ho fatto le valigie con un sogno che mi frullava nella testa». Obiettivo centrato. Non senza dover sudare le proverbiali sette camicie. «Nella vita senza sacrifici non si va da nessuna parte», precisa il fantasista, «spesso il talento, da solo, non basta. Conosco ragazzi forti quanto me che non hanno sfondato. A dire il vero ci vuole anche un pizzico di buona sorte. Ma gli allenamenti, ad esempio, sono necessari per chi vuole diventare almeno un discreto calciatore. La volontà è una caratteristica essenziale per riuscire a emergere. La passione, poi, deve essere il pane quotidiano che accompagna ogni giorno». Passione, volontà, sacrifici. I momenti difficili non mancano. Fiore, specie agli inizi, è riuscito anche a ritagliare uno spazio importante per gli studi. «Non ho mollato la scuola. Non avevo certo la garanzia di diventare un giocatore di serie A e ho preferito far combaciare il calcio e gli studi. Anche questo ha comportato un notevole sacrificio». Un’altra componente determinante per la crescita umana di ogni atleta che il calciatore Stefano Fiore si rispetti è rappresentata dall’ambiente di cui ci si Fiore è transitato da piazze importanti, in circonda. «Vero», sottolinea il campione, particolare per il mondo del calcio, come «senza la presenza di persone importanti Cosenza (è rientrato alla base lo scorso ed equilibrate non si va molto lontano. anno), Chievo, Parma, Udine, Roma (sponda Specie quando si è ragazzi le guide Lazio), Valencia, Fiorentina, Torino, Livorno giocano un ruolo di grande importanza». e Mantova. Una carriera di alto profilo. La sua carriera volge al termine. E allora, Caratterizzata anche da momenti negativi. il centrocampista silano ha voluto togliersi Come quando, dopo il passaggio dalla l’ultima grande soddisfazione: rientrare alla Lazio al Valencia, non venne apprezzato base. Quest’anno, dopo l’ultima stagione abbastanza. La Spagna non rimarrà tra i caratterizzata da alti e bassi, proverà ricordi migliori di una carriera, comunque, nuovamente a regalare la promozione in da incorniciare. La parentesi iberica ha fatto serie B ai suoi tifosi. E lo farà giocando maturare ulteriormente il giocatore. Rientrato fianco a fianco con il fratello Adriano. in Italia con grandi motivazioni. Proprio Che grande avventura quella di Fiore. Storia dalle difficoltà è riuscito a trarre un grande di un calciatore cosentino che ha saputo insegnamento: quando si tocca l’apice, coltivare il suo talento, realizzando il sogno cadere è più facile di quel che si possa di una vita. Non senza sacrifici. 4 • luglio/agosto 2010 • Traccia di spiritualità Avere o essere? «Avere o Essere non sono qualità a se stantii un soggetto; sono al contrario due fondamentali modalità esistenziali, due diverse maniere di rapportarsi a se stessi o al mondo, due diversi tipi di strutture caratteriali, la rispettiva preminenza dei quali determina la totalità dei pensieri, dei sentimenti e delle azioni di una persona». (Erich Fromm) L’estate è un tempo di girovaghi: ne incontro tanti o per le strade o se mi capita di celebrare messa in qualche luogo di villeggiatura. Osservo, annoto, rifletto. Mi accompagna una convinzione: la nostra è una vita tra vere ed essere. L’alternativa tra avere ed essere serve a molti come strumento per comprendere ciò che, più o meno consciamente, è al centro di quegli interessi che si perseguono con passione. In un commento al Libro di Fromm mi capita di leggere le rispettive forme di chi ha costruito la vita sull’essere: l’attività interiore, la creatività, una religiosità umanistica e, infine, l’amore per la vita. Al contrario, chi ha costruito la propria vita sull’avere rivela atteggiamenti negativi e preoccupanti: la paura di perdere le cose, la passività del vivere, una profonda irreligiosità, la paura della morte, il dominio sulla gente. Mi vengono in mente tali parole tutte le volte che medito sui talenti che Dio ci ha donato: nasconderli o investirli rivela o nasconde le logiche appena descritte. Talento è quelle che tu sei o vuoi diventare; non-talento sono tutte le cose che ne ostacolano l’espressione. Ciò che conta è saper vivere, investendo con coraggio. Chi ha paura è solo perché ha troppo, sceglie di vivere da ingordo e teme di perdere tutto. Ma la vita è solo a perdere… per qualcosa di più grande. Sapete? Lo ha detto Gesù! Giovanni Maurello Come riconoscere il talento di Giuseppe Roseti Parlare di talento ha sempre suscitato grande passione e fervore. In fondo, spesso e volentieri, in maniera quasi erronea si ha a che fare anche con il mondo dei desideri, delle passioni, dei sogni da raggiungere. Il talento non è certo solo questo, e in questo numero de “L’Abbraccio” ne abbiamo parlato ampiamente. Negli adolescenti è spesso confuso con il successo, con la popolarità, con la fama e tutto ciò è frutto anche di una noncuranza da parte del mondo degli adulti; i figli sono intrattenuti da trasmissioni t e l e v i s i v e abbastanza fuorvianti e poco importa al genitore, in alcuni casi, della qualità del messaggio. Qual è la formula giusta per riconoscere un talento in una in individuo? Per noi cristiani il talento è un dono di Dio. Ricercarlo, c u s t o d i r l o e portarlo a compimento è la nostra vocazione. Ma come aiutare tale ricerca? Come accorgersene? Nel meraviglioso viaggio della nostra vita diversi sono i segnali di cui abbiamo bisogno, svariati gli indizi e gli stimoli che occorono. Il luogo in cui viviamo ci aiuta? La perifericità che contraddistingue il nostro Sud può essere un punto a favore o a sfavore per il nostro talento? Viviamo in una regione bellissima è vero, ma... Realmente, quali sono i numeri e i dati che testimoniano che i nostri talenti rimangono nella nostra terra o sono aiutati ad investire nel nostro territorio? Un giovane che scopre di essere chiamato ad essere medico, cosa può fare se non scegliere di andar via? Gli esempi sono infiniti, ma la risposta è una. Il territorio purtroppo influisce sul cammino di formazione di un individuo. Un altro aspetto molto fondamentale è quello delle contingenze, delle relazioni sociali. E’ possibile che un individuo si appassioni e scopra il proprio talento nel momento in cui frequenta o viene a contatto con una determinata persona che a sua volta le trasmette l’amore per una determinata predilezione. La mia vita sarebbe stata diversa se non avessi incontrato quella persona in quel momento particolare. Non è una ovvietà. L’uomo è un essere sociale per sua natura, ha bisogno dell’altro. Solo attraverso di esso si scopre nella sua totalità. Ecco perchè il cammino per scoprire i talenti della nostra Diocesi è percorso da condividere con le nostre comunità nei nostri paesi. Al fine di migliorare la qualità di ogni talento e favorire il suo inserimento nella società calabrese e poi cassanese. Un fisico molto noto, Albert Einstein ,che viene ricordato per altri motivi, spesso diceva che «soltanto una vita vissuta per gli altri è una vita che vale la pena vivere». Riconosciamo allora i nostri talenti e aiutiamoli a crescere. L’angolo della lettura Un grande re ricevette in omaggio due pulcini di falco e si affrettò a consegnarli al Maestro di Falconeria perché li addestrasse. Dopo qualche mese, il maestro comunicò al re che uno dei due falchi era perfettamente addestrato. «E l’altro? », chiese il re. «Mi dispiace, sire, ma l’altro falco si comporta stranamente; forse è stato colpito da una malattia rara, che non siamo in grado di curare. Nessuno riesce a smuoverlo dal ramo dell’albero su cui è stato posato il primo giorno. Un inserviente deve arrampicarsi ogni giorno per portargli cibo». Il re convocò veterinari e guaritori ed esperti di ogni tipo, ma nessuno riuscì a far volare il falco. Incaricò del compito i membri della corte, i generali, i consiglieri più saggi, ma nessuno potè schiodare il falco dal suo ramo. Dalla finestra del suo appartamento, il monarca poteva vedere il falco immobile sull’albero, giorno e notte. Un giorno fece proclamare un editto in cui chiedeva ai suoi sudditi un aiuto per il problema. Il mattino seguente, il re spalancò la finestra e, con grande stupore, vide il falco che volava superbamente tra gli alberi del giardino. «Portatemi l’autore di questo miracolo”, ordinò. Poco dopo gli presentarono un giovane contadino. «Tu hai fatto volare il falco? Come hai fatto? Sei un mago, per caso? », gli chiese il re. Intimidito e felice, il giovane spiegò: «Non è stato difficile, maestà. Io ho semplicemente tagliato il ramo. Il falco si è reso conto di avere le ali ed ha incominciato a volare». Bruno Ferrero 5 • luglio/agosto 2010 • Puoi volar! Speciale grest a Cassano di Delia Lanzillotta Indimenticabile, stupendo, meraviglioso, fantastico: ecco ciò che è stato il grest per i piccoli, protagonisti principali di questa avventura. Sorrisi, giochi, balli sono stati una costante. Il risultato? Un’esperienza di crescita sia per i grandi che per i bambini. Troppo spesso presi da svaghi solitari e monotoni, il grest è stato un’occasione per capire le dinamiche del gioco di squadra, l’unica arma segreta che dava la possibilità di far vincere un gruppo. Si è fatto spazio al “Noi”, mettendo da parte l’“io”, anche durante gli incitamenti verso i compagni di gruppo impegnati in un determinato gioco. Colori a dita, cartelloni, canzoni, spaghetti, cucchiai, bersagli, acqua, pallone: questi gli ingredienti per poter vedere visi entusiasti ed entusiasmati. Appuntamento quotidiano di una settimana intera, che ha coinvolto anche i genitori. «Quando ci sono dei ragazzi che si incontrano e giocano facendo comunione e scambiandosi le proprie esperienze è sempre un momento importante e privilegiato per chi conduce questa 6 • luglio/agosto 2010 • esperienza e per chi è guidato», così si esprime un genitore a riguardo. Ma anche una zia: «In quei giorni, la mia nipotina, era molto presa dalla manifestazione che si faceva al Seminario, mi raccontava di giochi e di intrattenimenti davvero divertenti per i piccoli e io ne ero felice perché vivo in relazione alla sua felicità». Chi è che cresce in questi momenti? Un po’ tutti. Chi bisogna ringraziare? Forse, soprattutto i piccoli. Certo, la fatica dell’animatore nel tener a bada circa duecento bambini è molta, la rinuncia a seguire i propri coetanei al mare è notevole: ma non vale di più un sorriso o un abbraccio di un bambino? E quegli occhi ridenti ritornano ogni volta che ci si incontra con il piccolo, che fa già il conto alla rovescia per il prossimo grest. Agli animatori va il riconoscimento di una mamma, voce rappresentativa di tante altre: «La possibilità di conoscere ragazzi che si prendono cura dei miei bambini gratuitamente: è proprio a questi ragazzi volontari a cui va il mio più sentito ringraziamento». Nuovo modo per evangelizzare: l’immagine è quella di una Chiesa giovane, di una Chiesa che esce fuori le proprie mura e che porta la gioia di Cristo. Commenta soddisfatto don Francesco De Marco: «E’ stato un modo nuovo per far conoscere Gesù a piccoli e grandi anche attraverso tecniche di animazioni ludico-ricreative». La Chiesa era piena di bambini e ragazzi, che lodavano il Signore con canti e gesti: Chiesa che annuncia la gioia della risurrezione! E in un momento in cui le famiglie si allontanano sempre di più dall’incontro domenicale, in un momento in cui essere genitori uniti è una novità, occorre incentivare ed aiutare queste esperienze: c’erano, sì i bambini, ma c’erano anche le famiglie, sorridenti, partecipi. _______________ Nelle foto: alcuni momenti di animazione durante il Grest Parola agli educatori Nella seconda metà di giugno presso il seminario di Cassano si sono riuniti oltre duecento bambini e ragazzi per dare nuovamente vita al grest, evento organizzato dal viceparroco della Cattedrale, don Francesco Di Marco, e da don Nunzio Laitano con l’aiuto del gruppo giovani, dell’Azione Cattolica e degli scout. Manifestazione nata al fine di poter rendere piacevoli le mattinate estive di bambini dai 5 ai 12 anni: un’esperienza unica che ha dato modo a molti ragazzi di responsabilizzarsi ricoprendo il ruolo degli animatori. Tema centrale di tutte le attività la favola di Peter Pan, attraverso la quale sono state rappresentate al meglio pregi e difetti che si rispecchiano nella nostra società; le squadre, i motti, i giochi e i disegni si rifacevano alla favola del folletto volante. Indispensabile la collaborazione della Caritas e del centro San Domenico e la disponibilità dell’uso dei locali del seminario; impareggiabile la simpatia e l’accoglienza dei coniugi Bloise e di don Alessio De Stefano. La chiusura, cioè l’arrivederci a nuovi appuntamenti, ha visto l’organizzazione di una festa conclusiva con genitori e bambini. Tutti coloro che hanno partecipato a questa iniziativa si sono ritenuti davvero soddisfatti ed entusiasti, poiché hanno avuto l’opportunità di poter fare nuove amicizie e di confrontarsi con altre persone. Per noi animatori l’organizzazione e la preparazione dei giochi e delle altre attività ha richiesto tempo e ha impegnato ciascuno di noi ad essere puntuale e ad accettare le conseguenti responsabilità. Pensiamo che sia stata un’esperienza entusiasmante perché abbiamo potuto creare un legame diretto con ogni bambino sforzandoci di fare la cosa opportuna per ogni esigenza; sacrificio ripagato con molte dimostrazioni di affetto. Noi animatori crediamo che grazie a questa avventura siamo riusciti a maturare traendo insegnamenti validi dai nostri due carissimi sacerdoti. Riteniamo, inoltre, che il Grest sia molto educativo e che perciò debba ripetersi, magari prolungandone la durata. Giuliana Graziadio - Gianluca Santagada 7 • luglio/agosto 2010 • L’oratorio estivo per pregare giocando di Elide Piazza L’attività dell’oratorio estivo esiste da quattro anni e viene organizzata ogni estate nell´oratorio “Don Bosco”, della parrocchia dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria di Lauropoli, per i ragazzi del territorio d’età compresa tra i 6 e i 14 anni. Le attività oratoriane sono state realizzate dai giovani e giovanissimi animatori, con il sostegno delle suore della comunità “Serve di Gesù Cristo”, del parroco e del vice-parroco. Premettendo che l’obiettivo dell’oratorio è quello di insegnare ai più piccoli come stare insieme, amandosi gli uni con gli altri, indipendentemente dalle proprie origini, dalle diversità caratteriali, fisiche, sociali o religiose, gli animatori hanno voluto far propria un’affermazione di Don Bosco: «Non esiste nessun bambino e nessun ragazzo che non abbia in sé un punto accessibile al bene». Quindi lo scopo prefissato è stato quello di dare fiducia alle forze del bene, presenti in loro, per farli crescere e maturare, sottolineando l’importanza di un sistema educativo capace di offrire loro la possibilità di giocare, ma al tempo 8 • luglio/agosto 2010 • stesso di nutrire il proprio spirito, attraverso la preghiera, anche all’interno del nostro territorio gravemente svantaggiato. “Musica maestro” è stato il titolo dell’oratorio Estivo 2007. I ragazzi hanno imparato ad utilizzare al meglio gli strumenti che hanno seguito con fervida partecipazione Gesù unico direttore d’orchestra. “Passi in piazza” è stato il titolo dell’oratorio estivo 2008. I ragazzi hanno scoperto che nella piazza bisogna vivere e quindi animare, costruire relazione, valorizzare ogni persona e ambiente. “Nasinsù” è stato il titolo dell’oratorio estivo 2009. I ragazzi osservando il cielo con gli occhi del loro cuore, hanno compreso che ognuno rappresenta una stella e ciò ha aiutato grandi e piccoli a guardarsi dentro,a purificare la vita da tutto ciò che non la fa brillare e non permette di stare a testa alta. Con questo replay gli animatori e le suore hanno voluto far sapere a genitori e adulti che l´’esperienza dell’oratorio estivo,iniziato quattro anni fa,ha inciso nella formazione educativa dei ragazzi,facendo comprendere loro la vera essenza del viversi e del vivere gli altri nello Spirito di Gesù, seguendo il Maestro di musica che ci aiuta a esplorare l’Universo lasciandoci mettere Sottosopra. _________ Nella foto: alcuni momenti dell’oratorio “Sottosopra” non va mai in ferie Per tutto il periodo dell’oratorio estivo, gli animatori hanno proposto canti, balli e giochi diversi assicurando ai bambini e ai ragazzi un luogo sicuro, tranquillo ed estremamente allegro. Per favorire la socializzazione e l’integrazione, i ragazzi sono stati suddivisi in squadre creando il proprio nome ed inno. In tal modo si è potuta stimolare una buona dose di competitività e di spirito di unione. Oltretutto, non è stata data per scontata l’importanza dei momenti di preghiera, che con l’accurata riflessione offerta dalle suore, ha permesso ad ognuno di meditare sulla Parola di Dio. In particolare, durante il mese di giugno è stato organizzato l’oratorio estivo 2010 intitolato “Sottosopra”. L’oratorio estivo è stato un vero pellegrinaggio, in cui i ragazzi hanno scoperto che è bello fidarsi degli altri e condividere un tratto di strada insieme ad altre persone. Adulti e giovani si sono lasciati mettere sottosopra da Gesù, l’unico che può farlo perché conosce il verso giusto delle cose. Inoltre hanno compreso che bisogna essere sempre disposti a cambiare per una cosa migliore. Durante le tre settimane, oltre ad animare i pomeriggi con canti, balli e attività di pittura, i ragazzi sono stati suddivisi in quattro squadre corrispondenti a quattro luoghi della terra: montagna, deserto, mare, città ed ogni squadra ha ideato il proprio nome ed inno, in tal modo si è potuta stimolare una buona dose di competitività e di spirito di unione. I ragazzi hanno risposto bene all’esperienza dell’oratorio estivo, con la loro partecipazione e voglia di mettersi in gioco. Per la chiusura dell’oratorio estivo 2010 è stato proposto ai ragazzi di rivivere l´esperienza dei quattro oratori estivi, attraverso il replay del significato di ciascun oratorio e il replay del proprio inno oratoriano. E. P. 9 • luglio/agosto 2010 • Ho una bella notizia. Io l’ho incontrato di Michele Munno Si è svolto dal 12 al 17 luglio, presso il seminario di Mormanno, il campo scuola vocazionale, organizzato dal centro diocesano vocazioni. Si tratta della quinta esperienza di un’iniziativa che dal 2007 rappresenta un momento forte per l’animazione vocazionale diocesana. I ragazzi e i giovani che hanno partecipato al campo sono stati ben 55, provenienti da diverse comunità della Diocesi: Albidona, Amendolara, Cassano, Castrovillari, Francavilla, Trebisacce, Laino Borgo, Montegiordano, Lauropoli. Il tema di quest’anno, sulla linea delle indicazioni nazionali del Cnv, è stato “Ho una bella notizia: Io l’ho incontrato”. Gli educatori ed animatori hanno accompagnato i ragazzi a “salire sul monte”, ad ascoltare, per scoprire l’identikit dell’Uomo delle Beatitudini e ritrovarsi nei suoi tratti di povero in spirito, afflitto, mite, affamato e assetato di giustizia, misericordioso, puro di cuore, costruttore di pace, perseguitato per la giustizia, ed individuare per questa via il progetto di felicità che Dio ha per ciascuno. 10 • luglio/agosto 2010 • Preghiera, riflessione, gioco, condivisione, allegria contagiosa hanno animato i sei giorni trascorsi insieme, durante i quali i ragazzi hanno avuto modo di approfondire il progetto di Dio e l’amicizia con i loro coetanei. Il 16 luglio è stato davvero un giorno speciale. Il nostro vescovo, monsignor Vincenzo Bertolone, ha presieduto la festa del perdono: la liturgia penitenziale, durante la quale tutti hanno avuto la possibilità di accostarsi al sacramento della confessione. La gioia si è prolungata durante la lauta cena ed anche oltre. Ha animato la serata un ospite speciale: il giovane cantautore romano Jacopo Ratini. Le note del bravo artista, che ha preso parte nella sezione “Nuova generazione” all’ultima edizione del festival di Sanremo, ci hanno fatto sognare – in continuità con le tematiche del campo – un mondo da favola, un mondo semplice e colorato, come le “biglie” del brano sanremese “Su questa panchina”, un mondo che fa da “controcanto” alla piatta monotonia delle guerre e rivela il bambino nascosto nel cuore di ciascuno, capace di regalare un sorriso colorato di arcobaleno. L’Eucaristia del sabato, presso la grotta di Lourdes di Mormanno, ha chiuso l’esperienza del campo. Guardando a Maria, la più somigliante a Gesù, tutti si sono impegnati a vivere le “otto beatitudini” per gridare agli altri: “Ho una bella notizia! Io l’ho incontrato!”. I FURBI I furbi sanno le notizie in anticipo. I furbi fanno le vacanze gratis. I furbi chiedono una sigaretta e pure d’accendere. I furbi chiedono sempre lo sconto. I furbi bluffano a poker. I furbi danno le mance ai portieri. I furbi predicano bene e razzolano meglio. I furbi non perdono tempo a pensare ma agiscono. I furbi sono prima a destra e poi a sinistra, come tira il vento. I furbi collezionano biglietti da visita. I furbi sono amici di tutti. I furbi hanno sempre qualcuno pronto a fargli un favore. I furbi prima fanno parlare gli altri, poi, se gli conviene, dicono la loro. I furbi fanno i complimenti a tutti. I furbi anche se non fa ridere sorridono. I furbi anche se non gli piace battono le mani. I furbi si vestono bene. I furbi si sentono belli. I furbi non si sposano per poi divorziare. I furbi non fanno figli. I furbi hanno sempre una ragazza diversa, oppure hanno una ragazza fissa e diverse amanti. I furbi baciano solo se fanno l’amore. I furbi si fanno sempre telefonare e chiamano solo se è indispensabile. I furbi, quando hai bisogno di loro, li trovi sempre in riunione o fuori città per lavoro. I furbi in periodi di crisi non sono mai in crisi. I furbi trovano sempre un modo per non pagare. I furbi sanno vivere senza rimorsi né rimpianti. La furbizia è un arte che, per fortuna, non tutti posseggono. Jacopo Ratini La musica che “fa bene” “Ho fatto i soldi facili”. Sono queste le parole della canzone di Jacopo Ratini che dà il titolo al suo primo album ufficiale. Jacopo scrive testi semplici e profondi a cui sono sottesi i valori fondamentali dell’esistenza umana come l’amore, il rispetto e l’onestà. L’album comprende dieci brani. Fresco e primaverile risulta il ritmo delle sue canzoni, cantabili e orecchiabili. Dalla musica coinvolgente affiorano pennellate di realtà colorata di ironia e scintille fiabesche, come in “Ti”, dove, attraverso Peter Pan o Robin Hood, canta un amore genuino e pieno di tenerezza. Il nostro cantautore vuole essere un bravo ragazzo ed un cittadino modello, che differenzia i rifiuti, decide di eliminare gli sprechi e di avere solo l’essenziale, e per farlo inizia dalle piccole cose per fare con il tempo opere più virtuose, così in “La raccolta differenziata”. È un artista, un ragazzo con tanti sogni da coltivare, ma con la consapevolezza che la strada che si prospetta davanti è tutta in salita. E non si da per vinto neanche davanti ai soliti schemi imposti dalla società. Vuole provare ad andare oltre, a credere nei sogni! L’universo musicale raccontato da Jacopo rappresenta non solo una tappa della sua carriera, ma anche un pezzetto della sua vita, ed è racchiuso nella semplicità delle “biglie” del brano sanremese “Su questa panchina”, dove, protestando il canto piatto del mondo che fa guerra ed orrori, ritorna bambino, rievocando attraverso alcuni versi cantilenati il tradizionale “tutti giù per terra”, e canta i colori di un amore che assume sfumature diverse ad ogni età, un amore che non ha paura di guardarsi dentro e di soffrire per essere autentico, e che è capace, goccia dopo goccia, di scalfire la monotonia granitica di un mondo che ha perso i colori dell’arcobaleno. Bravo, Jacopo! È di canzoni come queste che abbiamo bisogno! M . M. 11 • luglio/agosto 2010 • C’è campo! Sintonizzati sulla santità Si è svolto a Mormanno, presso il seminario estivo, il campo dell’Azione cattolica ragazzi, con circa venti acierrini dalle parrocchie di “San Girolamo” (Castrovillari), “Presentazione del Signore” (Lauropoli), “San Giuseppe” (Sibari) pieni di gioia e voglia di stare insieme per conoscere la figura di Santa Chiara, fare nuove amicizie e pregare con letizia e semplicità attraverso letture del Vangelo, guidati dall’assistente diocesano don Francesco Di Marco. Al centro del mini campo, la figura di santa Chiara “pianticella di Dio”. Infatti don Di Marco e gli educatori, per mezzo di video e tecniche di animazione, hanno raccontato la storia della santa e aiutato i ragazzi a capire che ognuno può tendere alla santità se vive in modo semplice e sotto la luce di Dio. Il momento che maggiormente è piaciuto ai ragazzi è stata la caccia al tesoro, organizzata con prove riguardanti tutto ciò che il giorno precedente si era detto su santa Chiara e avvalendosi della loro fantasia e creatività. Non potevano mancare i giochi all’aperto con palloncini e il famoso gioco del tiro alla fune in cui si sono cimentati anche gli educatori. Durante il campo si leggeva nei volti di ognuno, piccoli o grandi, la gioia di essere lì e la consapevolezza che Gesù fosse presente. Al termine del campo è stata celebrata insieme ai genitori la Santa Messa. Quindi si è ritornati nelle proprie parrocchie con il desiderio di ripetere l’esperienza e di crescere come “pianticelle di Dio”. Proprio come diceva santa Chiara. RedA Pellegrinaggio a San Pio Nei giorni 19 e 20 giugno, il gruppo di preghiera di Padre Pio di Montegiordano, guidato dal direttore spirituale don Pierino De Salvo, ha effettuato l’annuale pellegrinaggio e oltre a rendere omaggio a san Pio nella nuova Cripta, ha partecipato direttamente alla fiaccolata mariana ed alla celebrazione Eucaristica. Giovanni Lattuca 12 • luglio/agosto 2010 • Cara redazione Cara redazione, sono uno dei componenti del comitato spontaneo che fino a qualche tempo fa si occupava di dare decoro alla villetta di Piazza 15 Agosto in Sibari, dove esiste la statua della Madonna che veglia le povere e sfortunate anime che si trovano sul sottosuolo. Inutile rievocare la storia, perché essa è già nota. Direi che, dallo sguardo, la Madonna piange. Si, piange perché si trova in un pessimo stato di abbandono. I margini interni dello spiazzo sono diventati zone di parcheggio per macchine. Non si può più tenere lucida una lapide di marmo che portava la dedica dell’accaduto in ricordo delle povere anime del 15 Agosto del 1943, cadute in seguito ad un bombardamento, nè si può più tenere eretta un’altra lapide che porta la scritta “luogo sacro”, perché non esiste più nulla. Ora, il mio rammarico è anche per il periodico “l’Abbraccio”, di cui sono un abbonato, perché tutti gli articolisti parlano di tanti argomenti e mi compiaccio con tanta stima e rispetto per le illustre firme, però allo scadere di un altro anno dalla ricorrenza di piazza 15 Agosto mi sarei aspettato che qualche voce venisse fuori a raccontare come stanno le cose, perché tutto è fermo e non si muove nulla. Allora dico: interroghiamoci, principalmente per chi crede in Dio. Ognuno di noi ha dei cari che ci hanno lasciati e si trovano al di là e sappiamo quanto è dura la loro mancanza. Perciò cerchiamo di non dimenticare i defunti e preghiamoli con stima e doverosa preghiera affinchè chi di competenza si scuota a dare una svolta decorosa e umana al rifacimento della piazza, perché le anime attendono. Mi scuso per avere osato, forse non toccava a me. Con affetto, stima e rispetto Francesco Iacobini – Sibari La redazione risponde Non si scusi, signor Iacobini. Osare è un compito che spetta a tutti: a noi, a voi lettori, alle autorità, alla pubblica opinione, alle forze politiche e culturali. Nei mesi scorsi, quando “l’Abbraccio” e, per parte sua, il vescovo, hanno ripreso e sollevato la questione di piazza XV agosto, si sono ritrovati attorniati dal silenzio del resto della comunità e delle sue istituzioni. Questo, però, non ci convince della bontà del silenzio, alla cui logica non ci pieghiamo. Ci auguriamo, tuttavia, che insieme a noi, ed a lei, possa essere in tanti, d’ora in avanti, ad osare rivendicare il rispetto dei sentimenti di pietas cristiana e dei più elementari diritti di cittadinanza. Viva voce [ il concerto ] Rende, 18 giugno 2010; 21:30. Il maestro non si fa aspettare e puntuale compare sul palco. Il pubblico intona un caloroso “Tanti auguri a te” per i settant’ anni del Maestro, che scherza quasi in modo familiare. Inizia il concerto (rigorosamente seduti!), “a bordo” della “Locomotiva”. Nel corso della serata si susseguono diverse emozioni:la dolcezza con “Farewell” e “Incontro”, la tristezza mista a rabbia con “Cyrano”, il ricordo con Auschwitz e la speranza con “Don Chisciotte”. In cielo, nel frattempo, spicca una falce di luna, alla quale il Maestro dedica il classico di Fred Buscaglione, “Guarda che luna”, naturalmente accompagnato dal coro del pubblico, vasto e vario. Nello stadio Lorenzon di Rende si verifica una specie di incontro generazionale: giovani, adulti, anziani e bambini si ritrovano uniti nelle parole del Guccio, il poeta. L’atmosfera è allegra e cordiale; sembra di esser tornati a quegli anni fatati di miti incantati e di contestazioni. Sul palco, assieme a Guccini, troviamo gli immancabili “compagni di sventura”: Ellade Bandini, Juan Carlos “Flaco” Biondini, Roberto Manuzzi, Antonio Marangolo, Pierluigi Mingotti, Vince Tempera, tutti grandi Musicisti. Il concerto continua e due ore trascorrono velocissime, scandite dal ritmo dei grandi capolavori del Maestro. Quindi si conclude con il brano che aveva aperto la serata, “La locomotiva”. In quest’epoca dove la musica è soggetta a restrizioni, dove prevale la musica commerciale e scialba su quella vera, quella che emoziona, un cantante, un musicista, un poeta come Guccini è indispensabile per la salvaguardia di quella specie in estinzione nota come quella degli Artisti. Rossana Lanzillotta [ l’idea ] Esiste un modo per rimanere informati e allo stesso tempo tutelati dal modo in cui acquistiamo e sprechiamo i nostri risparmi. Altroconsumo è la rivista dell’associazione di consumatori nata nel 1973. Con uscita mensile il giornale informa i consumatori su sicurezza, salute e qualità di numerosi prodotti. Giornale al servizio dei consumatori, riporta test, prove e schede comparative di numerosi articoli e prodotti. E’ presente dal 2001 anche sul web con il “Portale del Consumatore” e con il sito www.altroconsumo.it Il cuore del mensile Altroconsumo è rappresentato dai test effettuati sui più svariati prodotti, beni di consumo e servizi.Vi sono una serie di prove sempre molto ben approfondite e dettagliate, vengono effettuati test di laboratorio ma anche prove di utilizzo, prendendo in considerazione tutti i parametri possibili come la sicurezza e a salute dei consumatori e l’etica di consumo. I giudizi per ogni caratteristica provata all’interno dei test svolti e riportati nel giornale vanno dall’ottimo al pessimo senza badare al nome o al prestigio di marchi e produttori. Alla fine delle schede e articoli viene sempre fornita una tabella riepilogativa in cui si riportano per ogni prodotto sia il giudizio globale che il range di prezzi trovati sul mercato. Il giornale Altroconsumo per ogni scheda pubblica evidenzia il miglior prodotto e il miglior acquisto che raggruppa al suo interno il parametro della convenienza come rapporto tra qualità e prezzo dell’articolo preso in esame. Giuseppe Roseti [ il libro ] Un giorno, per caso in libreria mi capita tra le mani il libro “Silenzio” di Romano Battaglia. Senza esitare lo acquisto e inizio subito a leggere qualche riga. Tornando a casa, sento che mi prende e ho voglia di andare avanti, e tra queste pagine ho ritrovato e sperimentato l’importanza del silenzio. Questo libro appunto è dedicato al silenzio, uno spazio necessario per ritrovare la nostra identità, per non perderci in sterminati campi incolti dove i sogni, come le piante inaridiscono e muoiono. Pensandoci bene, la nostra vita scorre in mezzo al chiasso, tra fiumi di parole spesso inutili, tra rumori assordanti che non ci permettono più di sentire il magico sottofondo della nostra natura. Il silenzio, ci insegna Battaglia, si trova la notte, nel nostro giardino, sotto il cielo stellato, in mezzo alle piante e al profumo delle rose, nelle ore notturne si posso rievocare episodi vicini o lontani, rivedere i volti di tante persone e risentire le loro voci, oppure si può riflettere sugli errori che hanno condizionato la nostra vita, sui sentimenti, sui dubbi che fermano l’azione. Il silenzio, dunque, non deve essere vissuto come sinonimo di solitudine o di paura ma semplicemente come qualcosa che di tanto in tanto ci viene concesso per rintracciare un dialogo sereno con noi stesso e con gli altri. Affascinante è la descrizione che di esso fa Mario Luzi nella sua introduzione al libro: «Com’è difficile a trovarsi il silenzio; è la voce dell’universo che parla all’universale, l’uomo. Il silenzio è un armonia, una concordia inesprimibile in parole». Spero che la lettura di questo libro, magari in una delle magnifiche notti d’estate che si avvicinano, sappia trasmettere a chi lo legge la stessa serenità che ho provato io. Antonella Gatto 13 • luglio/agosto 2010 • Verso la beatificazione La Santa Sede ha autorizzato l’avvio del processo di canonizzazione di don Carlo De Cardona. L’annuncio, ufficiale, è stato dato dal vescovo, monsignor Vincenzo Bertolone, nel corso della visita pastorale a Nocara, il 7 luglio, giorno del centoquindicesimo anniversario dell’ordinazione sacerdotale del prete moranese, avvenuta il 7 luglio 1895 nella Cattedrale cassanese, per l’imposizione delle mani dell’allora vescovo Evangelista Di Milia. Celebrando la santa messa nel monastero degli antropici alla presenza, tra gli altri, del parroco di Nocara, don Pierfrancesco Diego, e del Postulatore della causa di beatificazione del sacerdote moranese, don Giovanni Maurello, il vescovo ha spiegato che «l’autorizzazione della Santa Sede consentirà, entro il prossimo autunno, l’avvio della causa di beatificazione, con la costituzione di un vero e proprio tribunale che avrà il compito di vagliare le testimonianze e la documentazione dalle quali emergerebbero le virtù di don De Cardona». Nato a Morano nel 1871, De Cardona si formò nel solco tracciato dall’enciclica Rerum Novarum, promulgata da Leone XIII nel 1891. La sua opera fu incessante, incisiva, instancabile in ambito apostolico ed economico: creò cooperative, associazioni, Casse rurali e artigiane per alleviare le pene della sua gente, i rurali, riscuotendo consensi ma anche critiche ed ostilità, non esclusa la diffidenza dell’autorità ecclesiastica vaticana, oltre che di gran parte del Clero locale. Avversato dal Fascismo, fu costretto praticamente all’esilio in casa del fratello Ulisse a Todi, prima del ritorno a casa e della morte, che lo colse ottantasettenne nel suo borgo natìo, nel 1958. «Il sacerdote moranese – commenta il Presule cassanese – è stato un modello di spiritualità e coerenza: s’impegnò nell’opera di formazione delle coscienze dei lavoratori, nella tutela dei più elementari diritti e nella piena e leale adesione alla Chiesa Sempre fedele a se stesso ed alla sua missione, fu prete esemplare che ebbe un solo fine: testimoniare il volto del Cristo sofferente e perseguitato in quello logoro e pieno di rughe dei contadini calabresi». Conclude monsignor Bertolone: «Questo era don De Cardona, innamorato di Cristo e in Lui dei poveri, degli Il busto di don Carlo De Cardona a Morano ultimi, degli sfruttati dal potere. Questo fu il progetto di Dio su di lui ed egli lo afferrò a 25 anni, facendone col sacerdozio una scelta ed un impegno irreversibile di vita. Vita d’un uomo, vita d’un santo». Gianpaolo Iacobini In ricordo di don Puglisi «Era un uomo buono, solo, disarmato. In quattro andarono a sparargli. Lo spiarono, lo seguirono, lo raggiunsero sul portone di casa. In silenzio gli andarono alle spalle. Per rabbia lo uccisero. Per rabbia, per paura, per invidia. Perché dall’altare li aveva chiamati animali». Così, con le parole prese a prestito dal libro della giornalista Bianca Stancanelli, monsignor Vincenzo Bertolone ha voluto ricordare padre Pino Puglisi il 2 luglio scorso, giorno del cinquantesimo, simbolico anniversario dell’ordinazione sacerdotale del parroco del quartiere palermitano di Brancaccio, ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993. «Don Puglisi – il Presule cassanese - era un uomo pulito, inviso alle cosche, ma soprattutto un prete di Cristo, testimone del Vangelo, interprete della verità e della gioia santamente povera del vivere cristiano». Ha quindi concluso monsignor Bertolone: «La sua radiosa memoria, oltre ad aver risvegliato le coscienze addormentate, è stata causa della conversione del suo assassino, che non ha dimenticato il sorriso che gli rivolgeva il sacerdote morente. Ed ogni giorno il Servo di Dio, di cui auspichiamo la beatificazione, continua ad additare ai credenti e agli uomini di buona volontà la via della solidarietà e della fratellanza nel nome del Vangelo: da un seme che è morto, stanno maturando migliaia di spighe». G. I. 14 • luglio/agosto 2010 • L’agenda del Vescovo AGOSTO 12 agosto: santa messa per la festa della Madonna della Salute, ad Amendolara marina; 15 agosto: h. 10.30, solennità dell’Assunta, a Mormanno; 17 agosto: amministrazione Sacramento della Confermazione, ad Alessandria del Carretto; dal 20 al 29 agosto: predicazione del Novenario al Santuario della Madonna della Guardia, a Tortona; SETTEMBRE 4 settembre: partecipa al cinquantesimo anniversario dell’ordinazione sacerdotale di don Francesco Papasso; 7 settembre: incontro con il Clero, a Mormanno; 10 e 11 settembre: partecipa ai lavori del convegno catechistico, a Castrovillari; 12 settembre: in mattinata, amministrazione del Sacramento della Confermazione, parrocchia Spirito Santo, a Laino Borgo; h. 18, amministrazione del Sacramento della Confermazione, chiesa di sant’Eusebio a Sibari. UNA TERRA DAI MOLTI TALENTI Se in questa estate vi capiterà di andare in giro per i nostri territori noterete la ricchezza di cui il cielo ha dotato nel nostre zone e la Calabria intera. Mari e coste per chilometri, parchi naturali e nazionali, aree di protezione speciale e di grande interesse archeologico, faunistico, florovivaistico, cultura, patrimoni immateriali di alto valore, buona cucina, ottima ospitalità, e chi più ne ha più ne metta. Vista nell’ottica del senso cristiano tutto questo potrebbe definirsi talento, anzi talenti, i nostri talenti. Chi avrà il coraggio, la miopia e la mancanza di lucidità anche imprenditoriale e politica per nasconderli sotto terra per paura di perderli avrà mancato una occasione che il buon Dio ha donato ai popoli che su questi luoghi deliziosi abitano da tempo. Chi avrà la voglia, la speranza, la volontà piena di metterli a frutto, avrà colto la grazia che da esse il cielo ha regalato a noi tutti. Su questi talenti abbiamo notato che le giovani generazioni stanno cercando di costruire il proprio futuro e lo sviluppo, anche imprenditoriale, di questa terra. Con i loro occhi abbiamo saputo riscoprire il frutto di un agire che parte dal basso con la bellezza degli occhi giovani che di questi territori sono innamorati con la passione ardente di chi vuole farli rifiorire, con le idee, il sudore, la volontà di scommettere. Eccoli i talenti. Bellezze naturali e bellezze umane. Che si incontrano, si amano, si desiderano e amandosi fanno scintille, capaci di incendiare anche i cuori più spenti. Lasciamoci infiammare dalla voglia giovane di chi vuole scommettere sui talenti calabresi, E diamogli, tutti, una mano a far fiorire i germogli nuovi di una Calabria che vuole guardare al domani. Vincenzo Alvaro CATECHISTI Rubrica a cura di don Nunzio Laitano Registrazione presso il Tribunale di Castrovillari n° 1/08 del 10 gennaio 2008 ~ FORMARE VALORIZZANDO L’APPORTO DELLE SCIENZE UMANE E DELLA FORMAZIONE Nel mondo della formazione si sono verificati negli ultimi anni dei cambiamenti significativi. Oggi si vanno affermando teorie e tecniche che si orientano con sempre maggiore convinzione verso concezioni in cui gioca un ruolo da protagonista il soggetto, disponibile alla formazione e corresponsabile di essa. Coerentemente, nel processo pedagogico l’attenzione si è trasferita dai requisiti richiesti ad un buon formatore alle modalità attraverso cui l’educando perviene alla propria maturità: l’accento viene messo non tanto sulla trasmissione, ma sulla appropriazione. In quest’ottica, acquista rilevanza il termine apprendere, concetto cruciale che ha il pregio di rivalutare la dimensione soggettiva di chi partecipa e di mettere in luce la rilevanza dell’inter-azione, dello scambio, del dialogo, dell’apprendere insieme. Così viene a modificarsi anche l’immagine di processo formativo. Ad un’idea deterministica che intendeva il percorso come un insieme concatenato di attività orientate al conseguimento di obiettivi definiti in anticipo, si sostituisce una prospettiva dinamica che vede il processo come un fluire di eventi i cui tratti essenziali, gli svolgimenti, le direzioni, sono stabiliti in corso d’opera dagli stessi attori sociali, in modo più aderente alle condizioni reali in cui concretamente si opera. Anche se la loro trasposizione in ambito ecclesiale non è priva di problematicità, tali acquisizioni possono aprire nuove prospettive nella formazione dei catechisti. ABBONAMENTI ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ L’Abbraccio è iscritto alla Federazione Italiana Settimanali Cattolici Direttore responsabile: Domenico Marino Capo redattore: Gianpaolo Iacobini Segretario di redazione: Giuseppe Malomo Redazione: S.E. Vincenzo Bertolone, Vincenzo Alvaro, don Francesco Candia, Roberto Fittipaldi, Delia Lanzillotta, don Giovanni Maurello, Annamaria Partepilo, Giuseppe Roseti, Raffaele Vidiri, Gaetano Zaccato Hanno collaborato a questo numero: Leonardo Aita, Bruno Ferrero, Antonella Gatto, Giuliana Graziadio, don Nunzio Laitano, Rossana Lanzillotta, Giovanni Lattuca, Michele Munno, don Francesco Oliva, Elide Piazza, Gianluca Santagada, Vittorio Scarpelli. Impaginazione: Vincenzo Alvaro Stampa: AGM, Via Daniel Bovè 5, 87012 Castrovillari (CS) www.agm.calabria.it Direzione, redazione, amministrazione: Via Torto Ospizio, 1 - 87011 Cassano all’Ionio tel e fax 0981.71442 mail: [email protected] [email protected] Per sottoscrivere l’abbonamento al periodico di informazione della Diocesi di Cassano all’Ionio basta versare la cifra di 15 € (ordinario), 30 € (ordinario fuori diocesi), 40€ (socio sostenitore) sul c/c n° 13001870 intestato a Curia Vescovile - Cassano all’Ionio e spedire la ricevuta di versamento a : Ufficio Comunicazioni Sociali, Via Torto Ospizio, 1 - 87011 Cassano Allo Ionio (CS) Il trattamento dei dati personali è assicurato in conformità alla normativa vigente. Il materiale inviato, anche se non pubblicato, non sarà restituito. La collaborazione è da intendersi a titolo gratuito. 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