Rosario Livatino “Il giudice Ragazzino” “Un martire della giustizia e, indirettamente, anche della fede...” (Giovanni Paolo II) La sua vita… Rosario Livatino, nato a Canicattì, in Sicilia, il 3 ottobre 1952, consegue la laurea in Giurisprudenza, diviene uditore giudiziario a Caltanissetta, e poi dal 29 settembre 1979 al 20 agosto 1989 sostituto procuratore della Repubblica al Tribunale di Agrigento,uno dei più giovani in Italia: anche per questo fu chiamato il ”giudice ragzzino”. Si occupa di indagini antimafia, di criminalità comune ma anche di quella che poi sarebbe scoppiata come la "Tangentopoli siciliana". Livatino è giudice al Tribunale di Agrigento e della sezione misure di prevenzione. Fu ucciso in un agguato mafioso, la mattina del 21 settembre 1990. “Eroe per caso” Un viso dai lineamenti dolci, il sorriso appena accennato, i capelli neri pettinati con la riga di lato. Gli occhi scuri e profondi; lo sguardo fermo, penetrante. Un fisico minuto, da adolescente Semplice e austero. Sobrio persino nel vestire. Rosario Livatino: un giovane, un giudice, un cristiano. Non un santo a tutti i costi, ma un uomo come mille altri. Innamorato della vita, della giustizia, della verità. Eroe per caso… “Uomo di legge, uomo di Cristo” Prima di entrare in ufficio, non tralasciava mai la visita puntuale alla chiesa di S. Giuseppe, vicino al Palazzo di Giustizia, dove si fermava a pregare raccolto e concentrato nelle sue preghiere. I casi più difficili del suo lavoro di giudice, Rosario li risolveva lì, ai piedi dell’altare. Lì invocava l’assistenza dello Spirito Santo per poter giudicare con retto giudizio, per scegliere ciò che era meglio da farsi. Lavorava infaticabilmente al punto che, il giorno di ferragosto non esitò a presentarsi in Procura solo per poter firmare un ordine di scarcerazione, così da non lasciare neppure un’ora di più in prigione un imputato. Lavorava senza alcuna smania di protagonismo, senza ostentazione. Rifuggiva, anzi, con ogni mezzo la notorietà. Non solo codici e leggi ma anche e soprattutto il Vangelo: Rosario aveva voluto che nell’aula delle udienze vi fosse sempre un crocefisso, come richiamo di carità e rettitudine. Inoltre egli teneva un crocefisso anche sul suo tavolo, insieme con una copia del Vangelo tutto annotato, segno che doveva frequentarlo piuttosto spesso. Concretizzazione della sua fede era l’ impegno nell’ Azione Cattolica e l’assiduità all’ Eucaristia domenicale.Inoltre l’essere laico, chiamato da Dio a contribuire, mediante l’esercizio del proprio ufficio e sotto la guida dello Spirito, a manifestare Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della propria vita. Una vita spesa per gli altri, il suo Amore per gli ultimi e per i poveri che in segreto puntualmente aiutava; un Amore che sarà metro per essere giudicati: “Saremo tutti, indistintamente, giudicati sull’Amore. Non sulla ricchezza, sull’intelligenza, sulle capacità personali o su altre cose, ma soltanto sull’Amore. Il banco di prova è, e resta, la carità: la carità nel giudicare, la carità nella verità, la carità che è sorella della contrizione, figlia dell'umiltà”; «la carità è tutto» è un concetto molto caro a Livatino. “La sua era una missione e un missionario deve avere una sola meta, tendere ad un solo traguardo. Il suo profondo senso del dovere messo al servizio della giustizia ne fa una specie di missionario: il "missionario" del diritto.” Dai suoi scritti… «Il più alto simbolo e il più alto segno giuridico è la dettatura dei dieci comandamenti, il decalogo, nel quale il legislatore, il "facitore del diritto", è Dio della giustizia e dell’amore» «La vita è tutta tessuta di ideali, di fini da conseguire che, puri o impuri, hanno un solo scopo: il raggiungimento del bene. Il bene per noi, per il prossimo» «Tutto l’universo, per quanto immenso, si identifica in questo essere. Dio è come un perno su cui gira tutto ciò che è. Tutto viene e ritorna a Dio, Dio è principio e fine. L'uomo nella sua follia peccaminosa pensa spesso al principio, ma molto raramente alla fine... » «La giustizia è necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità che è la legge dell’amore, amore verso il prossimo e verso Dio, ma verso il prossimo in quanto immagine di Dio, quindi in modo non riducibile alla mera solidarietà umana. » «Riformare la giustizia, in senso soggettivo ed oggettivo, è compito non di pochi magistrati, ma di tanti: dello Stato, dei soggetti collettivi, della stessa opinione pubblica. Recuperare infatti il diritto come riferimento unitario della convivenza collettiva non può essere, in una democrazia moderna, compito di una minoranza.» Fine L’equipe diocesana