Introduzione Presentazione Prefazione INDICE di Vincenzo Borgomeo di Marco Petrone di Maurizio De Tilla 7 9 11 PARTE PRIMA - Anni 50-60 Capitolo 1 - Tutto inizia dai sogni Capitolo 2 - Venire dal nulla Capitolo 3 - Scelte coraggiose e difficili Capitolo 4 - L’infanzia, il periodo più buio Capitolo 5 - L’uscita dal tunnel: Italia 61 Capitolo 6 - Non mollare mai 15 16 18 20 22 25 PARTE SECONDA - Anni 70-80 Capitolo 7 - L’evoluzione del pensiero Capitolo 8 - La scintilla Capitolo 9 - Tutto cambia, giorno dopo giorno Capitolo 10 - Elettronica: «Intra l’industri, aintrerà mai» Capitolo 11 - Tutto cominciò dall’elettronica industriale Capitolo 12 - Una scelta difficile per inseguire un sogno Capitolo 13 - E tutto succede Capitolo 14 - La rivincita, nell’elettronica professionale Capitolo 15 - Barca, mare, navigare, metafora di vita 28 30 32 33 37 39 42 44 48 PARTE TERZA - La visione globale - Anni 90-2000 Capitolo 16 - Anticipare il futuro Capitolo 17 - I valori e il bello della vita Capitolo 18 - Rimpianti, e ricerca delle origini Capitolo 19 - Petrone, quanti nomi Capitolo 20 - Superstizione o casualità? Capitolo 21 - Il 2000 Capitolo 22 - La missione aziendale 56 57 60 63 64 65 69 PARTE QUARTA - La nuova era Capitolo 23 - Il Sogno diventa realtà Capitolo 24 - Fissare i paletti: principi e progetti Capitolo 25 - Gruppo ELEM: trentesimo anniversario Capitolo 26 - Evolution IPO. Viasat Group 74 79 81 83 Capitolo 27 - La profanazione del tempio dell’elettronica Capitolo 28 - Di nuovo nella tempesta Capitolo 29 - Uno sguardo dall’esterno Capitolo 30 - Il nostro futuro Capitolo 31 - Il nuovo inizio Capitolo 32 - Riassumendo Capitolo 33 - Sviluppi, acquisizioni, partecipazioni 85 88 90 95 98 101 103 PARTE QUINTA - Le strategie evolutive Capitolo 34 - Creatività, principi e valori: ecco il segreto Capitolo 35 - La nostra bandiera Capitolo 36 - Più protezione, sicurezza, assistenza Capitolo 37 - Sicurezza, risparmio e antifrode Capitolo 38 - La scatola nera Capitolo 39 - Il decreto Monti «Sviluppo Italia» Capitolo 40 - Scatola nera, la nostra visione Capitolo 41 - Telematics Service Providers Association Capitolo 42 - Scatola nera, il punto 108 109 111 112 113 115 116 119 122 PARTE SESTA - La politica Capitolo 43 - Riflessioni su Olivetti Capitolo 44 - 2012, la grande crisi: cambiare o morire Capitolo 45 - Monti, Montezemolo, Grillo e non solo Capitolo 46 - E i giovani? Capitolo 47 - Perché la società è in crisi e incattivita? Capitolo 48 - Impegno sinergico di competenze eccellenti Capitolo 49 - Vivere, vivere intensamente 129 132 135 137 139 142 148 PARTE SETTIMA - La parola alla squadra Capitolo 50 - Compagni di viaggio Capitolo 51 - Il gioco di squadra 153 168 PARTE OTTAVA - Epilogo Capitolo 52 - Viaggio nel futuro, di Marco Petrone 173 PARTE NONA - Un bel film Indice 178 206 Supplemento del mensile Specchio Economico n.9/2013- Reg. Tribunale di Roma n. 255/1982 Ciuffa Editore Via Rasella 139 - 00187 Roma - Direttore responsabile Victor Ciuffa Copyright © Domenico Petrone - 13 aprile 2013 - Vietata la riproduzione anche parziale senza formale autorizzazione - [email protected] COLLANA DI SAGGISTICA E NARRATIVA 33 diretta da Romina Ciuffa Dedico questo manoscritto alla mia dolce e tenera Gianna, amore, moglie e compagna del viaggio della mia vita, ai miei figli Barbara e Marco, che sono il presente - fuggente -, e ai nipoti e pronipoti che rappresentano il futuro evolutivo del nostro passato. Pedro Un ringraziamento particolare a Vincenzo Borgomeo per l'amichevole aiuto e il supporto professionale datomi, che ha reso possibile la buona riuscita di questo libro Domenico Petrone Tutto inizia dai sogni Navigare mari in tempesta, avere il coraggio di osare, sognare, fare, seguendo la passione, il cuore, l’istinto, le onde… Lo straordinario percorso del Gruppo Viasat Testo raccolto da Vincenzo Borgomeo CIUFFA EDITORE «Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.» Albert Einstein INTRODUZIONE Albert Einstein è un genio, sia. E le sue teorie affascinanti, come i suoi scritti. Però la rilettura di questa storia e di un’impresa tutta italiana rendono questi concetti più credibili perché realizzabili. Non da qualcuno che abita nella Silicon Valley, non da una specie di marziano che ha inventato un algoritmo per un motore di ricerca o un social network per milioni di persone, ma da un italiano che è partito dal basso, che ha sofferto, stretto i denti. Uno di noi, in cui è facile riconoscersi, se non personalmente almeno attraverso un padre, un parente, un amico. Una volta Domenico mi disse che «la cosa più importante è reagire, reagire. Reagire alle calamità degli eventi con grinta e convinzione. Bisogna sempre crederci, valicando l’impossibile, seguendo il cuore, l’istinto, il vento, le onde». Stavamo parlando di barche, di mare. Ma era davvero così? O era un discorso riferito all’altra sua passione, la sua azienda? Nessuna delle due: Domenico parlava della vita, l’ho capito dopo. Di come si possono superare le difficoltà di ogni giorno, spesso le più difficili, con uno spirito particolare. Senza mai arrendersi, darsi per vinti. Questo libro mi ha fatto scoprire una persona che non molla mai, con una forza di carattere rara. Per questo è stato divertente scriverlo in prima persona. È stato stimolante immaginarsi irriducibili, sognare di vedere realizzati i propri sogni e di mettere in campo tante idee. Quello che facciamo tutti, ogni giorno. Il libro è nato da una rilettura di «Pedro’s Trip, trucioli di vita», un diario che Domenico aveva scritto per parenti e amici. E che, come tutti i diari, parlava di cose personali, a volte molto personali, ma che aveva già quel seme di universalità e di insegnamenti che ho cercato di raccontare. Il sottotitolo del diario («I sogni, le svolte, gli eventi») spiegava che la vita è un viaggio che tutti dobbiamo fare. Partiamo tutti dallo stesso punto. I sogni. Ma poi sta a noi scegliere il modo di progettare e fare quel viaggio. E dal «modo» in cui lo facciamo dipendono le 7 svolte e gli eventi. Come dice Petrone, la cosa più importante è uscire dal porto, affrontare le onde e iniziare a navigare. Provarci. Osare. Facile a dirsi, ovvio, difficile a farsi perché poi, nella maggior parte dei casi, rimaniamo tutti in quel porto. Ecco, parlare, scambiarsi mail, SMS e Twitter con uno che invece da quel porto è uscito più volte è stato molto interessante. «Istruttivo», direte voi? Sì, certo, anche: tutti noi abbiamo un porto in cui riparare ma un mare d’affrontare: la «vita». Per questo penso che il libro alla fine sia interessante e divertente da leggere (cosa rara per i volumi autobiografici): se chi l’ha scritto si è divertito, si divertirà anche chi lo leggerà. Il punto è che questo libro non parla della storia di Petrone o della sua Viasat. È la storia di tutti noi. O, almeno, quella che poteva essere la nostra storia se avessimo osato. Se avessimo fatto quello che ha fatto Domenico. Il porto, però, è sempre lì. E la decisione di uscire e affrontare il mare può essere ancora presa. Non è mai troppo tardi per iniziare a navigare. A vivere davvero. Questo libro non vuole essere un racconto autobiografico fine a se stesso, ma una specie di manuale per far capire a chiunque - e specialmente ai giovani - che i meccanismi del successo sono perseguibili e replicabili. Ci sono «molle» che spingono un individuo, a sapere e a saper fare, a crescere, cambiare, creare una famiglia, lottare per la propria affermazione, conquistare mete insperabili. Ma anche generare stimoli, emozioni e motivazioni che hanno consentito cambiamenti, progressi, formazione, esperienze. Poi c’è stata una conseguente crescita economica. Forte e impressionante, certo. Ma è stato l’ultimo tassello di un puzzle complicato. E se si parte solo da quest’ultimo tassello come molti pretendono oggi, è impossibile avere una visione d’insieme e capire come sia stata possibile la realizzazione di questa impresa così complicata. Il segreto è nella storia, nell’approccio ai problemi, nella quantità di tempo e dell’impegno dedicato, nella forza di volontà, ai valori e all’etica. Quelli che racconto in questo libro. Vincenzo Borgomeo 8 PRESENTAZIONE Scrivere una biografia non è mai facile, e scriverne una che non sia noiosa lo è ancora meno. Se poi il protagonista è una persona che ancora si impegna ogni giorno per percorrere strade che nessuno ha mai percorso, l’intento diventa quasi proibitivo. Eppure Borgomeo è riuscito nell’impresa, cogliendo l’animo del pittore nel momento dell’atto creativo, a tela non ancora ultimata. Un giorno qualcuno cercò di rappresentarmi la sua esperienza personale e professionale parlando delle tappe che aveva superato negli anni, citando tra l’altro queste parole di Steve Jobs: «Non è possibile unire i puntini guardando avanti, potete unirli solo girandovi e guardando indietro. Quindi dovete avere fiducia nel fatto che in futuro i puntini in qualche modo si uniranno. Dovete credere in qualcosa, nel vostro intuito, nel destino, nella vita, nel karma, in qualunque cosa. Questo tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e ha sempre fatto la differenza nella mia vita». Mi piacque molto, anche perché personalmente cito spesso parole di Don Bosco, simili ma pronunciate molto prima, che grosso modo suonavano così: «Vivere la vita è come fare il gioco dei puntini; mentre lo fai sei concentrato sul punto dal quale sei partito a tracciare la linea e su quello successivo. Quando arrivi all’ultimo, ti volti e vedi il disegno, e tutto ti è chiaro». Se l’ha detto un visionario come Steve Jobs, sulla falsariga di un visionario ancora più grande come Don Bosco, allora vale proprio la pena fermarsi un attimo, interrompere la stesura della linea che ognuno di noi sta tracciando, e riflettere. In questo senso consiglio a tutti di leggere le pagine che seguono, perché le parole contenute in ogni capitolo sono come la descrizione di un puntino, fatti che magari sono sembrati slegati, e che invece a posteriori connaturano un disegno, stimolando nel lettore una revisione e reinterpretazione della propria vita. Un vero e proprio stimolo alla riflessione. Ci sono poi i puntini del presente 9 e del futuro, quelli che l’imprenditore cerca ogni giorno di comprendere e collegare, per poi lasciarseli alle spalle e proseguire nel disegno. Alla fine dei capitoli sulle strategie evolutive e sulla politica non si ha una visione chiara di cosa stia succedendo in Italia, in particolare nel settore in cui opera Viasat Group, ma si colgono diversi stimoli per prepararsi a vivere il futuro e, possibilmente, a scriverlo. Questa mancanza di chiarezza è una carenza dell’opera? No di certo, è un fatto connaturato all’esistenza umana. Del resto, se fosse tutto chiaro, vorrebbe dire che i puntini sono uniti, che il disegno è completo, che la vita è compiuta. E invece ci sono ancora tante cose da fare. Buona lettura e buon lavoro. Marco Petrone PREFAZIONE Nel leggere ed apprezzare il libro «Tutto inizia dai sogni», che narra l’impresa impossibile di Domenico Petrone, ho avuto la piacevole sensazione di percorrere un sentiero che dimostra quanto sia meraviglioso ed arduo il compito di chi, partendo dal nulla, e quindi sfavorito, finisce per raggiungere forti ed ambiziosi traguardi. A volte, il sogno di ognuno di noi può diventare realtà. Ma ciò non è, né può essere il frutto della contemplazione di un esito, casualmente e fortunosamente, felice e positivo. Alla volontà e determinazione si accompagna un «plus» che appartiene al Dna ed al carattere personale, che ti spinge a cambiare, ad innovarti in continuazione, nel segno di una metamorfosi che appena si percepisce nel cammino quotidiano. Non è, infatti, casuale che un autodidatta - che già da bambino «inventava» con il meccano oggetti e prodotti da stupire - sia poi diventato un esperto di fine intelligenza ed acuta preparazione, con un sano spirito di imprenditore. Non è casuale l’uscita dal porto per navigare nel mare poco conosciuto, con tuffi ed emersioni, se non ci si affida all’intuizione propria di chi percepisce quali sono i giusti mezzi e strumenti che segnano la propria attività. Domenico Petrone si mette sempre in discussione per nuove sfide, spesso impossibili, senza mai arrendersi, né darsi per vinto. Facendo cose nuove e non ripetitive, per consolidare l’apparente «vecchio» nella «liquidità» di una società moderna che nulla lascia inalterato. A Domenico si adatta bene il linguaggio di Albert Einsten che si esprime affermando che «non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose». Invece che abbattersi con il pessimismo per cicliche crisi, che sono per tutti inevitabili, Domenico si rialza sempre. E da ciascuna crisi alimenta il proprio coraggio ad osare di più. Nulla gli è pesante, perché ha tratto dalle difficoltà le migliori motivazioni. Consapevole 11 che il sogno utopico non può non realizzarsi, almeno in parte, in percezioni reali. Con la pazienza di chi sa bene che «la cosa migliore del futuro è che arriva un giorno alla volta». La gradualità è l’arte della saggezza e non fa commettere errori, più del dovuto e del necessario. Una gradualità unita alla perseveranza, in un miscuglio di ingredienti che comunemente si chiamano dedizione, impegno, approccio accurato, forza di volontà, perseguimento di un’etica particolare che non viene spesso considerata, quella del lavoro. Una gradualità che nasce dai momenti di angoscia, di solitudine e da notti prolungate ed oscure. Per percepire al risveglio, nell’illuminazione del giorno, il senso di una vita umile, operosa e legata alle proprie radici e agli affetti familiari. Bravo Domenico, leggendoti ho imparato qualcos’altro anche per la mia gioia di lettore cauto ma non indifferente alle emozioni di un amico sincero. Nel segno della condivisione della entità dell’«essere» di un imprenditore di successo che viene prima dell’«avere» non ricercato. Maurizio De Tilla 12 PARTE PRIMA ANNI 1950-1960 CAPITOLO 1 Tutto inizia dai sogni Credo che tutto inizi dai sogni. Dai sogni nascono i primi stimoli e la voglia del fare; ma è fondamentale ripromettersi di compiere opportune azioni concrete. La convinzione, la perseveranza, l’ostinazione e tanto, tanto lavoro, potranno consentire il raggiungimento degli obiettivi. Se non si perseguono comportamenti tenaci, difficilmente si otterrà quel che si desidera e con scarsa probabilità i sogni si potranno realizzare. Solo l’azione e tanto lavoro potranno dare origine ad eventi e cambiamenti. Ricordate le parole di Einstein? Non bisogna mai dimenticare che circostanze e macroeventi straordinari hanno sempre la forza di originare opportunità o minacce che potranno condizionarci, a prescindere dal nostro volere. In tal caso è indispensabile reagire. È importante capire i cambiamenti e la situazione ambientale in cui ci si trova e le sue circostanze per lanciarsi al volo in scelte opportune, aggiornando il proprio progetto in sintonia con la realtà del momento: insomma razionalità, passione e intuizione. La mia storia, come quella di tanti d’altra parte, è intrecciata a doppio filo con le difficoltà e con le crisi. A partire dalla vita del mio nonno paterno, Domenico Petrone che emigrò, visse e lavorò a New York negli anni successivi alla guerra del 15-18 e della grande depressione economica del 1929 per finire con la mia esperienza personale che, partendo dal classico «poco o niente», è riuscita a dar corso ad una sequenza di eventi clamorosi. Un percorso che, disegnando e plasmando giorno dopo giorno la mia vita e quella di chi mi ha creduto e seguito, ma anche supportato e sopportato, ha visto concretizzarsi un progetto che, credo, condizionerà a lungo il futuro di molte persone. 15 CAPITOLO 2 Venire dal nulla «Fatto da solo», «venuto dal nulla». Lo si sente dire spesso, talmente spesso che ormai questi due concetti sono talmente abusati da suonare stonati, triti e ritriti al punto da perdere qualsiasi significato. È il mito americano che si realizza, il percorso dell’uomo qualunque che può diventare presidente degli Stati Uniti o fondare una società più grande e potente della General Motors. Però è sempre bene non generalizzare troppo: «Mimm», Mimmo, da bambino mi chiamavano così. Sono nato il 13 aprile del 1950, in Puglia, a Corato, provincia di Bari. Un paese fatto di sole, tanto sole, case di colore bianco giallastro e asini. Sì, asini perché allora le case erano formate da un cucinotto, un caminetto e da stanzoni intercomunicanti, con accanto la stalla per il cavallo o per l’asino, anzi «u’ ciucc». Il bianco giallastro? Derivava dai blocchi di tufo con cui erano fatte le case, un materiale biancastro, isolante, leggero, friabile e molto malleabile. In casa non c’era riscaldamento, non c’era l’acqua corrente e neppure il bagno. I bisogni si facevano in un grosso vaso di coccio, «u’ pris», nascosto in uno sgabuzzino. Un po’ prima che traboccasse, veniva versato in un vascone, trasportato su un carretto ambulante trainato da un mulo, e guidato da un addetto comunale che si adoperava anche nell’operazione di versamento. L’acqua? Si attingeva alle fontane rionali, che normalmente erano nel centro di un piazzale. Ed erano talmente tante le case in queste condizioni a Corato che in quelle piazze c’era sempre un caos tremendo e occorreva aspettare con pazienza il proprio turno per riempire le grandi e pesanti brocche metalliche, «la quartar», e assicurarsi la scorta quotidiana. Questo compito normalmente era assegnato ai ragazzini e indovinate chi di noi andava alla fontana..? «A Mimm». 16 Ho trascorso a Corato i miei primi sette anni d’infanzia, mio papà aveva una piccola falegnameria, era un bravo mastro-ebanista, un creativo. Però di questo paese ho pochi ricordi, dissolti dal tempo. Sono scene che sembrano quelle di un film in bianco e nero: strade strette, donne vestite di nero sedute davanti all’uscio che ricamano merletti o passano al setaccio fave e lenticchie secche. Gli anziani tagliavano il raccolto di «pomodori butalini» per fare la salsa da conservare in «boccacci di vetro», o li essiccavano al sole, per poi metterli sott’olio con i peperoncini tremendamente piccanti, «la cumpost». Un’operosità instancabile: in ogni momento facevano sempre qualche cosa d’utile alla famiglia. L’equazione «vecchi = persone inutili» ai tempi era impensabile: quante cose si dovrebbero recuperare di quella cultura. Ricordo, un po’ come in un sogno, il mio primo giorno di scuola. Vestivo di tutto punto con grembiulino bianco e un enorme fiocco blu. L’aula era grandissima e rimbombante, i banchi enormi, rispetto agli alunni di prima classe e il maestro era «cattivo», urlava sempre con voce minacciosa e non capivo mai il perché «malmenava» tutti con severità. Chi disubbidiva veniva bacchettato sulle mani con una verga di canna, «la fedr», e poi in castigo, in piedi nell’angolo della classe, con la faccia rivolta verso il muro. A me capitava spesso. L’ho subito odiato questo modo di fare e, forse, per questo, non ho mai frequentato volentieri la scuola. Un peccato perché ben presto avrei scoperto sulla mia pelle che Heirich Heine, quando scriveva che «l’esperienza è una buona scuola, ma le sue rette sono più alte», aveva davvero ragione. 17 CAPITOLO 3 Scelte coraggiose e difficili «L’ominicchio», «uomo piccolino». Da bambino mi chiamavano così, perché mi atteggiavo nel comportamento, come se fossi già adulto. Dicono che il carattere delle persone si formi già nei primi anni della vita. E hanno ragione: le vicende trascorse dei primi anni nel piccolo paese furono difficili, una lezione di vita e innescarono in me la voglia di reagire e di sopravvivere. Caricarono una «molla biologica», la compressero fino ai limiti del sopportabile. Poi quando quella molla poté scattare... Ma andiamo per gradi: un cambiamento stravolgente per me fu la scelta che fece mio padre di chiudere la bottega di falegnameria e di cambiare completamente vita emigrando nel nord: una scelta che ovviamente non riguardava solo lui ma tutti noi. Mio padre mise in vendita tutto. L’amata Lambretta, l’unico mezzo di locomozione della famiglia, la casa della nonna dove si viveva, la nuova casa in costruzione sovrastante la bottega, molto desiderata da mia madre, ma mai abitata e goduta: mollò tutto ed emigrò a Torino. All’inizio papà partì solo, ospitato da mia cugina Nicoletta che si era trasferita lì già da qualche anno. La speranza era di trovare presto un lavoro e un appartamento e di organizzare, in seguito, il viaggio di trasferimento di tutta la famiglia. Una scelta difficile e dolorosa perché già mia nonna paterna aveva sofferto la partenza nel 1920 di suo marito, Domenico, che emigrò in America, a New York, con la promessa che sarebbe ritornato. Ed invece non tornò mai più. E a mia nonna rimase solo una vaga speranza e il rammarico di tutta una vita sofferta in attesa del nulla. Mio padre stesso non si era mai dato pace per quella scelta del suo genitore e sperava che un giorno sarebbe andato in America a cercarlo, per farsi spiegare il perché di quell’abbandono. 18 Ironia della sorte, un giorno lui stesso si ritrovò a sua volta a decidere e a ripetere le stesse scelte. Il destino, profetico, intanto però lo spingeva in un altro luogo: a Torino. Nonostante i ricordi negativi, gli eventi andarono diversamente e nella calda estate del 1957, tutta la famiglia Petrone, con nonna, mamma e figli, partirono in un interminabile viaggio, su un treno a vapore, stracolmo di persone, emigrando nello sperato Settentrione, a Torino, raggiungendo il papà Francesco che, nel frattempo, aveva trovato un lavoro in una fabbrica di falegnameria e affittato un piccolo appartamento. Un nuovo inizio. 19 CAPITOLO 4 L’infanzia, il periodo più buio Papà aveva ottenuto un’occupazione precaria, presso una falegnameria artigianale che lavorava all’interno di una fabbrica di macchine da stampa, la Nebiolo. All’inizio la situazione pareva accettabile, sembrava migliore rispetto alle condizioni del paese appena abbandonato, ma il peggio venne dopo qualche mese. Iniziò il periodo più brutto della mia vita. Ancora oggi ricordo quei momenti come sogni spaventosi, mai cancellati dal tempo, terribili incubi. Era quello il periodo del boom industriale, delle fabbriche d’auto che a Torino richiamavano fiumi di operai, in particolare napoletani, siciliani, calabresi, abruzzesi, pugliesi. E nacque quasi immediatamente un tremendo senso d’intolleranza verso i meridionali. Ma «intolleranza» non rende bene il concetto: si trattava di razzismo bello e buono: agli ingressi di alcuni condomini c’erano cartelli tipo «Affittasi appartamento. No meridionali», e in qualche bar comparivano targhe «Vietato l’ingresso ai cani e ai terroni». Insomma per usare un sottile eufemismo non era un bel vivere, noi del sud non riuscivamo a fare amicizie; io non legavo molto con i miei coetanei, ero timido, intimorito, non parlavo bene l’italiano e le combriccole già affiatate non mi facevano giocare con loro, anzi mi prendevano in giro, insultandomi: «terrun, terrun…» e giù botte. Spesso, la notte, sognavo che ritornavamo tutti a Corato. Io tornavo felice, volavo. Sì, volavo leggero, sui campi fioriti, di bellissimi papaveri rossi; oppure giocavo, gioioso, con i miei amici d’infanzia, facendo volare un variopinto aquilone, costruito dal mio papà. È curioso ricordare che per anni i sogni ricorrenti avevano come caratteristica un particolare: in caso di pericolo, riuscivo a volare. Volavo sollevandomi in verticale, semplicemente vibrando i piedi, come si fa sott’acqua con le pinne e sorvolando e saltando al di là dell’ostacolo. La situazione familiare si aggravò quando mio padre 20 perse il lavoro. Non voleva però rinchiudersi alla Fiat. Non avendo una specializzazione in meccanica, non voleva andare in linee di montaggio e fare il semplice operaio o ancor peggio il manovale. Era un ebanista, un’artista del legno a suo modo, un artigiano capace di progettare, disegnare favolosi armadi costruiti a mano e quant’altro, partendo dal tronco di un albero. Ma il mestiere di ebanista di fatto non esisteva più, così si adattò nella ricerca di un qualcosa che consentisse di mantenere la famiglia. Provò, in un disperato tentativo, la vendita di garofani, all’uscita della chiesa di Madonna di Campagna: mi chiese di accompagnarlo, perché da solo si vergognava. Così, su una vecchia bicicletta, assicurò la cesta dei garofani sul portapacchi mentre io mi mettevo davanti, seduto per traverso sul tubolare. Davanti alla chiesa, però, non trovammo clienti e in tutta la mattinata non vendemmo neanche un fiore. Tornammo a casa in silenzio e lì mio padre disperato afferrò i mazzi di fiori e li ridusse a pezzettini, imprecando e gettandoli qua e là per tutta la casa. Tragico, devastante. Tanto per peggiorare la situazione, la padrona di casa ci sfrattò, probabilmente intuendo che non avremmo più potuto pagare l’affitto. Bisognava anche trovare un altro appartamento. 21 CAPITOLO 5 L’uscita dal tunnel: Italia 61 I miei genitori decisero di cambiare quartiere, sperando di trovare un ambiente più favorevole. Cercarono e trovarono un discreto appartamento nella borgata di Lucento, in Via Bernardini Luini 157, una zona popolata prevalentemente da meridionali. Fu una svolta: erano gli anni Sessanta, Torino si stava preparando ad un macroevento d’eccezionale portata, il Centenario dell’Unità d’Italia, circostanza straordinaria che avviò finalmente una serie di fatti che generarono una situazione prosperosa. Nascevano ovunque nuovi quartieri, condomini, ma soprattutto Palazzo Vela e il polo fieristico: finalmente c’era di nuovo un gran bisogno di manufatti di legno. Mio padre trovò infatti un’occupazione presso un’azienda appaltatrice e iniziò a guadagnare bene. La nostra condizione economica divenne accettabile e migliorava di mese in mese, al punto che papà frequentò una scuola guida, ottenne la patente e comprò la prima automobile: la storica Topolino. L’Italia stava cambiando. Noi stavamo cambiando. Finalmente anch’io cominciavo a vivere momenti felici. Cambiai scuola e m’inserii subito con i miei coetanei, anche perché erano quasi tutti figli d’emigrati, ci capivamo. Nicola era il mio amico di giochi - giochi impegnativi -, aveva qualche anno più di me, e da lui imparavo tutto, condividevo l’impegno in passatempi complicati: montaggio e smontaggio di meccanismi realizzati col Meccano. Per chi non lo ricorda (e il discorso vale solo se è molto giovane) il Meccano era un insieme di piastre e piastrine forellate e numerosi particolari di piccole carrucole, ruote e accessori vari, con cui avvitare e imbullonare miniature di macchinine, biciclette, elicotteri e quant’altro immaginabile, una sorta di lego meccanico. Era il mio gioco preferito. Stavo per ore e ore a trafficare, montare e 22 smontare. È proprio vero che l’infanzia è formativa, e che le prime influenze sono la chiave e le tendenze per il futuro: nel mio caso è proprio andata così. Questa tendenza a eseguire attività manuali e complicate mi ha sempre appassionato ed è sempre stata la spinta propulsiva e la chiave di tutto ciò che avvenne negli anni successivi. Avevo sempre voglia di costruire qualcosa, oltre al Meccano mi piaceva il Traforo del legno, che con seghetti e limette consentiva di costruire casette, torri, aeroplanini e barchette. In quest’ultimo gioco il mio compagno e maestro fu mio padre, che però, per esperienza vissuta, non m’incoraggiava a far da grande il falegname. Il gioco, che divenne un hobby ed una passione trasportante, per gli anni successivi fu il cablaggio d’interruttori collegati a pile, lampadine, zoccoli «octal» e valvole elettroniche. A soli dodici anni chiesi ed ottenni da mio padre di iscrivermi al corso per corrispondenza della Scuola Radio Elettra Torino. Mi piaceva un sacco e facevo con entusiasmo gli esperimenti pratici, mentre invece trascuravo gli studi d’obbligo, che ad onor del vero non mi entusiasmavano per niente. Anziché giocare a pallone, come facevano quasi tutti i miei coetanei, mi rinchiudevo nella mia lunga cameretta, dove in fondo, allestii un banco di lavoro ed attrezzai un piccolo laboratorio, con tanto d’impianto elettrico, saldatore a stagno, e attrezzi vari; assemblai e costruii, su indicazioni dei manuali del corso, un amperometro, un voltmetro, un frequenzimetro, inserendoli successivamente su una consolle di compensato e formica, sempre da me ideata e costruita. A quindici anni, realizzai una magnifica, grossa radio a valvole, con mobile in noce e frontalino in plexiglas, perfettamente funzionante sulle diverse frequenze; completai tutto il corso con il massimo dei voti, ricevendo il riconoscimento con tanto di diploma rilasciato dalla scuola. La mia operosità e la voglia di aiutare i miei genitori crescevano col passare degli anni. Nel dopo 23 scuola, mio padre, per non vedermi gironzolare per le strade, mi trovò un’occupazione come garzone, presso il barbiere Ignazio di Via Luini, attività che io facevo volentieri, perché guadagnavo qualcosina e incassavo delle mancette che conservavo e accumulavo gelosamente, fino a raccogliere una sommetta, che mi consentì l’acquisto di un orologio da donna, che regalai alla mia mamma, per la sua festa. La grande opportunità avvenne casualmente. Un giorno, in occasione dell’avviamento di un nuovo distributore di benzina dell’AGIP, vicino a casa, in Corso Potenza angolo Via Luini, venne proposta a mio padre l’opportunità di rilevare la licenza e gestire il punto vendita. I miei genitori dopo una breve considerazione, decisero, istintivamente, di accettare la proposta. In un primo momento l’impegno fu di mia madre, col mio aiuto. In seguito, se l’attività fosse stata appetibile economicamente, sarebbe sopraggiunto mio padre, sempre col mio aiuto, nel dopo scuola. Fu per la famiglia una svolta importante. Molto impegnativa, per i lunghi orari, e per i giorni festivi e prefestivi lavorativi, e specialmente per mia mamma. Però si guadagnava molto. Dopo un po’, verificata la convenienza, papà si licenziò, smise di fare il falegname dipendente, attività che ormai non l’entusiasmava più tanto, e decise così di gestire, in proprio, il distributore di benzina, assieme alla mamma. È stato un periodo nel quale la situazione economica andava alla grande, lo ricordo bene, perché aiutavo la sera mio padre, anche nella conta dei soldi che incassava. Mazzette e pacchetti di cento, mille, e cinquemila lire, in filigrana, e il confezionamento di pacchetti tubolari di monete e monetine, il tutto ordinato per taglie. Riempivamo tutte le sere un borsello di pelle a tracolla, che poi l’indomani mattina mio padre versava tutto sul conto in banca. Il benessere che cresceva era tangibile. Mio padre e noi tutti eravamo felici ed entusiasti. 24 CAPITOLO 6 Non mollare mai Si lavorava tanto (14 ore al giorno, sabato e domenica compresi), però si guadagnava discretamente. I miei genitori decisero presto l’acquisto del frigorifero, del televisore e la sostituzione della Topolino con una nuova automobile, la Simca 1000. Con grande orgoglio e soddisfazione andammo in ferie ad agosto, in un campeggio di Marina di Misano e qualche giorno anche a Corato. Alla mia promozione arrivò una bicicletta tutta cromata, e l’anno dopo una Vespa 50, nuova fiammante. Tutto sembrava volgere per il meglio ma, anche stavolta, il destino aveva in serbo l’ennesimo colpo. Un colpo durissimo, la scomparsa improvvisa del motore della nostra famiglia: mia madre. Si era sposata con mio padre che aveva vent’anni. Era il punto di riferimento e di saggezza della famiglia, il pilastro portante. Non comprava mai niente se non otteneva lo sconto desiderato. E fu, per me, una buona scuola. Curava, consolava e coccolava mio padre, anche quando, non trovando lavoro, egli beveva qualche bicchiere di vino in più, o quando soffriva di crisi asmatiche, causate dall’eccessivo vizio del fumo. Fin da ragazzo aveva fumato infatti oltre due pacchetti di sigarette al giorno. Mia madre non si tirò indietro quando giunse l’opportunità di lavorare in proprio al distributore di benzina, seppur col mio marginale aiuto. Ma nel giugno del 1967 per un banale intervento di ernia, a causa di una doppia anestesia mal riuscita e di una cattiva assistenza post-intervento, mia madre, a 39 anni, morì. Un caso classico di malasanità in quello squallido ospedale, il Maria Vittoria di Torino, che avrei voluto demolire. Il dolore fu straziante, lo ricordo ancora, e tutti fummo assaliti dalla disperazione. Il mondo ci precipitò addosso, eravamo allo sfascio, bisognava ricominciare tutto da capo. Senza una guida, senza più il 25 faro della nostra vita. Fu dura, durissima e ci rialzammo anche quella volta. Mio padre, non potendo accudire personalmente in particolare il terzo figlio, il piccolo Tony, accolse in casa una compagna (per noi un’intrusa) e da quel momento cominciammo a non vedere l’ora di andar via di casa, che, in fondo, era quello che sperava la terribile matrigna. Presto mi sposai con la dolcissima Gianna. Qualche anno dopo mia sorella Liliana andò a vivere assieme al piccolo Tony, finché entrambi si sposarono felicemente: Tony con Patrizia, e successivamente Liliana con Matteo. Fu l’inizio di un nuovo ciclo di un’altra vita. Non vorrei sembrare bigotto, ma io «credo e sento», specialmente nei momenti di difficoltà, che lo spirito della mia mamma era ed è sempre presente, che ci ha seguiti e protetti nel percorso della vita. Spesso ho avuto e sentivo il bisogno di lei, ed io credo che quando la pensavo intensamente, lei c’era, sempre. 26 PARTE SECONDA ANNI 1970-1980 CAPITOLO 7 L’evoluzione del pensiero L’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta è un Paese dai due volti. Da un lato c’è l’Italia della lotta politica, della violenza e degli scontri, rappresentata in particolare dall’occupazione del 1950 da parte dei contadini delle terre dei latifondisti culminate con l’intervento delle forze dell’ordine; dagli scontri tra polizia e comunisti iniziati nel 1951 in occasione della visita di Eisenhower, comandante delle truppe americane schierate in Europa, da quelli del 1960, relativi al momento in cui il Movimento Sociale ratificò a Genova il proprio appoggio esterno al Governo democristiano e infine, naturalmente, dagli sconti derivanti dall’occupazione delle Università da parte della cosiddetta sinistra extraparlamentare del 1968 e dall’autunno caldo delle manifestazioni e degli scioperi del 1969. Dall’altro lato c’è però l’Italia del primo Festival di Sanremo, con la sua prima edizione del 1951 vinta da Nilla Pizzi, delle epiche ed appassionanti battaglie tra Coppi e Bartali al Tour de France del 1952, dell’inizio del miracolo economico, della nascita della Tv, del lancio della 600, la prima utilitaria per tutti, delle olimpiadi invernali del 1956 a Cortina d’Ampezzo e di quelle del 1960 a Roma, della Dolce Vita di Federico Fellini, e naturalmente dei nuovi fenomeni musicali che fanno impazzire i giovani di mezzo mondo, dai Beatles ai Rolling Stones, fino al concerto di Woodstock del 1969 con i suoi molti artisti, fra i quali impossibile non citare Jimi Hendrix. Un periodo difficile per compiere 18 anni. Eppure il 13 aprile del 1968 compii 18 anni. Con molto entusiasmo, iniziai a pensare da maggiorenne, sentivo il bisogno di comportarmi da emancipato, da indipendente. Sentivo la necessità di cambiare, di rompere gli schemi, volevo essere diverso: erano gli anni gloriosi, entrati poi nella storia moderna, gli anni della contestazione giovanile, benché diversa da come la si descrisse generalizzando e 29 assegnandole una connotazione politica, dando al ‘68 un senso di rivoluzione, di movimenti di destra o di sinistra, a seconda di chi la raccontava. Per me, più che un movimento rivoluzionario, è stato un’evoluzione del pensiero. C’era la voglia sfrenata di cambiare il modo di essere, di crescere, e tuttavia, anche di divertirsi. Della politica poco importava. Volevamo solo essere diversi dai nostri genitori, volevamo cambiare; vestiti originali, fai da te, pantaloni a zampa d’elefante, magliette sgargianti, tuniche alla figli dei fiori, capelli lunghi, tagliati alla Beatles o alla Jimi Hendrix, musica e musica, pop e «rhythm&blues» di Otis Redding, Joe Cocker, James Brown. Questi modi di agire, questi cambiamenti, diventavano nuove mode che, in generale, non erano né capite, né accettate dalla vecchia generazione e ancor meno da mio padre. Anzi le vietava e le disprezzava, le considerava negative per il corpo e per lo spirito. Fu motivo d’evidente malumore e contestazione in casa, e l’inizio di un progressivo distacco dalla figura paterna. Tramontava così ai miei occhi il mito, l’eroe, non accettai più il suo atteggiamento dominante e patriarcale. Era un’ulteriore svolta nel percorso del mio destino. Ad onor del vero, non avevo una gran voglia di studiare e tanto meno di lavorare. Facevo il minimo indispensabile, preferivo suonare il sax nel complesso rock «Gli Innominati» o andare a ballare nelle discoteche torinesi. Avevo anche fondato una sorta di Club, organizzando viaggi e gite domenicali: «Teen Agers of Turin Pedro’s Trips» con tanto di tessera personale, la «Personal Card» che dava la possibilità al socio di poter invitare amici. Il successo fu clamoroso. Le adesioni erano tali che alcune volte ho dovuto noleggiare due autobus, guadagnando i primi soldini. Emerse, proprio in quel periodo, un primo e spiccato senso del business. Avevo imparato per auto-apprendimento la formula commerciale: «Ricavi – Costi = Guadagno». 30 CAPITOLO 8 La scintilla In questo periodo della vita però prendeva anche corpo una piccola persecuzione: il furto delle mie cose. Mi «fregavano» sempre qualcosa. Il triciclo, le biciclette, poi la Vespa 50 nuova di zecca. Cominciavo a credere a mio padre che mi ripeteva sempre che ero un fesso a lasciare le cose incustodite. Forse lo ero davvero un po’ fesso? Non sapevo proprio come e cosa dovevo fare per diventare un po’ più furbo, però ci pensavo spesso. Ancor prima di compiere i diciotto anni, mi preparai da privatista, studiando da solo il Codice della strada e tutto quello che bisognava sapere per conseguire la patente. La pratica della guida me la fece fare mio padre con la sua Simca 1000. Fui promosso al primo colpo e appena maggiorenne mio padre mi regalò una splendida Innocenti spider rossa con capote bianca. Era usata, ovvio, ma era un vero spettacolo. Roba da vero «figlio di papà» e onestamente un po’ lo ero perché il distributore di benzina andava bene. Nel doposcuola, saltuariamente aiutavo, appunto, mio padre nel lavoro ma ovviamente preferivo sfrecciare col mio spider rosso, andare in discoteca e ritornare a casa sempre più tardi. Una notte, al rientro, c’era papà ad attendermi sul balcone di casa, mi seguì con lo sguardo salutandomi con un gesto. Parcheggiai la macchina nella strada, apprestandomi a salire in casa. Pochi minuti dopo ero già coricato nel letto quando, inspiegabilmente, sentii papà, che sul balcone, gridava, chiamandomi: «Mimmo, Mimmo... dove stai ancora andando, a quest’ora?». «Mimmo, Mimmo…», mentre lo spider partì sgommando come un missile. La mia bella spider rossa fu inghiottita dalla notte e non la ritrovai mai più. Cercai un lavoro e grazie al mio migliore amico, Stefano, «Ste», conobbi e fui assunto come «cablatore» da un’azienda di automazione industriale: la Fase del 31 Gruppo Comau. Con i risparmi dei primi stipendi, mi comprai una Cinquecento usata, che pagai cinquantamila lire, la trasformai in Abarth elaborando il motore e la carrozzeria e inventandomi il vero, il primo, originale antifurto a spinotto: se non s’inseriva lo spinotto, il Jack estraibile occultato sotto il cruscotto, non partiva il motorino di avviamento, poiché si interrompeva il polo elettrico positivo. Con quella semplice soluzione non ho più subito il furto d’auto, né io né i miei amici che l’adottarono. Non solo: il dispositivo mi fece anche capire che nella vita, piuttosto che subire, è meglio inventarsi qualcosa per prevenire. Credere, costruire e perseguire le proprie soluzioni. Preveggenza? Ironia della sorte? Decenni dopo, con Viasat mi ritrovai nuovamente a risolvere problemi di furti d’auto, utilizzando «sistemi satellitari» che tramite un semplice relé, interrompono il circuito elettrico, impedendo l’avviamento del motore ed inviando l’allarme alla centrale operativa. 32 CAPITOLO 9 Tutto cambia, giorno dopo giorno È incredibile come tutto possa cambiare nella vita, da un momento all’altro; ed è curioso e formativo analizzare le motivazioni e la forza propulsiva che spinge a fare determinate cose piuttosto che altre. Nella pratica e nella vita ne consegue l’andare in una direzione piuttosto che in un’altra e trovarsi, in un secondo tempo, in una realtà all’infuori d’ogni preventiva immaginazione, addossando il merito o la colpa al destino. Il destino in ogni caso, secondo me, è un qualcosa che ognuno, man mano, modella con le proprie mani, con la propria opera, con le proprie scelte. Giorno dopo giorno. Credo fermamente che tutto nasca dalle motivazioni. Fin dall’infanzia, da bambini si auto-apprende a mangiare, a camminare, a parlare, a scrivere, per la voglia naturale di crescere. Da ragazzi poi s’inizia a sognare. Io sognavo anche da sveglio, sognavo di fare sempre qualcosa di nuovo, di originale, pensando però sempre alle belle fanciulle. Ma poi, nell’arco di dodici mesi tra il 1973 e il 1974, accadde di tutto. Credo che quel periodo sia stato il più sconvolgente della mia vita. 33 CAPITOLO 10 «L’elettronica intra l’industri, aintrerà mai» L’elettronica dentro l’industria, non entrerà mai Era fondamentale completare gli studi. Diedi così l’esame di maturità che terminai con successo. Iniziai da subito altri esami, quelli della vita, quelli pratici, quelli del giorno dopo giorno. Con in mano il diploma d’elettronica, mi impegnai a fare qualcosa di coerente. Bisogna tuttavia ricordare che in quei tempi l’elettronica era un’attività da «marziani». Le industrie nel settore elettronico in Italia erano in pratica inesistenti, e pochi credevano in uno sviluppo imminente. Il mio primo (ed unico) datore di lavoro, Alfredo Pivi, amministratore della Fase del Gruppo Comau, società specializzata nella fornitura d’impianti d’automazione industriale per il Gruppo Fiat, mi ammoniva col dito puntato all’insù, dicendomi: «L’elettronica intra l’industri, aintrerà mai», («L’elettronica dentro l’industria, non entrerà mai»). «Con dui relè, a sfà tut» («Con due relè, si può fare di tutto»). Ovvero, secondo lui, l’elettronica non si sarebbe mai sviluppata. Bell’incoraggiamento per chi aveva frequentato sei anni sofferti di scuola serale e per chi si era appena diplomato in elettronica. Tuttavia, e forse fortunatamente, aggiunse: «Ca’ vol fè l’elettronic? Ca’ la fasa a ca’ sua!». «Vuol fare l’elettronica? Se la faccia a casa sua!». Lo presi in parola. Detto, fatto, trovai un locale predisposto allo scopo. Un appartamento al pianterreno del condominio di Via Pacchiotti 18, con un ampio locale dove attrezzai il primo laboratorio elettronico. Costituii così la Minuzzo Sas, ed iniziai a progettare e realizzare i primi prototipi e piccole serie di dispositivi e schede elettroniche per le apparecchiature elettriche che fornivamo alla Comau. Da quel momento avevo due attività; una come dipendente e l’altra come neo-imprenditore. Coinvolsi subito parenti ed amici: Gianni Schiavon compagno di 34 classe, mia sorella Liliana, la sorella di Gianna, Mariangela, mio suocero Lindo nel tempo libero, le tre sorelle Sia, e poi ancora altri amici e conoscenti. Iniziai ad insegnare loro tutti i concetti fondamentali di come si maneggiavano i micro-circuiti elettronici e a mostrargli come montare e saldare a mano i componenti sui circuiti stampati, assemblare gruppi e sottogruppi di dispositivi elettronici, nonché ad offrire e vendere le prime prestazioni di montaggio e assemblaggio di schede elettroniche, in sub-fornitura, con materiale fornito in conto lavorazione. Ero orgoglioso di cosa stavo realizzando. E la vita corse più veloce del pensiero: a meno di 24 anni contrassi un mutuo immobiliare e comprai un piccolo appartamento, mi sposai e presto diventai papà. In quel periodo l’intuito diceva certamente tante cose. Ho meditato subito sugli eventi stravolgenti. Ho pensato alla mia infanzia. Ho immaginato d’istinto che non dovevo assolutamente far mancare quello che era mancato a me da bambino. La mamma, le cose primarie, una bella casa. Insomma, far vivere bene la mia neo-famiglia. Dovevo ad ogni costo «realizzare qualcosa di speciale» per la mia dolce Gianna, per mia figlia Barbara e già pensavo ad un altro figlio per consolidare e rafforzare il nucleo familiare e presto arrivò Marco. Erano anni difficili, però, ancora una volta: l’Italia degli anni Settanta era ancora un Paese alla ricerca di un equilibrio tra le spinte politiche e sociali di destra e quelle di sinistra. Io credo comunque che fin da bambini si sia, in qualche modo, condizionati e «formattati» dai propri genitori e dalla realtà in cui si vive e si cresce, reagendo ed adeguandosi di conseguenza all’ambiente circostante. È così normalmente e naturalmente per ogni essere vivente, persino nel mondo animale e vegetale. C’è infatti una bella differenza tra vivere in un paesino del sud o in una periferia di una grande città, o in una casa lussuosa di Manhattan, piuttosto che in una giungla. A differenza di tutti gli altri esseri viventi, l’uomo può 35 reagire con intelligenza, cambiando habitat, abitudini e condizione di vita. Basta volerlo. Bisogna però lottare e perseverare per ottenere ciò che fortemente si desidera. Questo è quanto sosteneva mio padre. E questo principio, fin da ragazzo, ha caratterizzato il mio carattere. Da Corato alla periferia di Torino, grazie al coraggio e alle scelte di mio padre. Era già un bel successo, e tuttavia non ero soddisfatto. Desideravo e ambivo fare qualcosa di più importante: terminato definitivamente il periodo spensierato, dedicai anima e corpo a realizzare e migliorare lo status-quo, lavoravo come non mai, dalle dodici alle sedici ore per giorno. Con un doppio impegno: in Fase, come dipendente, lavorando dal mattino fino al tardo pomeriggio, e poi alla Minuzzo fino a tarda sera, a volte anche di notte, sabato e domenica, e ciononostante non mi pesava perché ero fortemente motivato. Stavo costruendo qualcosa di mio, lavorando, per consentire di operare e progettare per conto proprio. La quantità di lavoro aumentava ed in poco tempo il laboratorio di Via Pacchiotti diventò piccolo ed inadeguato. Decisi quindi di acquistare addirittura un nuovo locale. Cercai e ricercai, finché capitò un’opportunità di un ampio, basso fabbricato in Via G. Borsi. Ironia del destino, era il luogo dove una volta c’era un prato e da bambino andavo a giocare. Al momento della decisione, ricordai e mi rapportai alla storia della canzone, «Il ragazzo della Via Gluck». Ebbi fiducia nel destino, mi piaceva l’idea di realizzare qualcosa lì, proprio in quel luogo, dove avevo vissuto la mia infanzia. Così decisi di costituire la nuova sede, nacque la Elem (Elettrotecnica-Elettronica-Montaggi) trasferendo il laboratorio di Via Picchiotti e l’officina elettronica di Strada delle Vallette che nel frattempo avevo rilevato dalla Fase. Iniziai ad assumere, oltre ai dipendenti della Minuzzo, una decina di giovani promettenti ragazze. Dovevano essere belle, intelligenti ma soprattutto veloci. Le dattilografe erano ideali per i montaggi manuali, dovevano solo aver voglia di cambiare 36 specializzazione, imparare come manipolare i componenti elettronici ed avere tanta voglia di lavorare. Io facevo da formatore, allenatore e davo l’esempio. Bisognava «fare ed insegnare» un nuovo mestiere alle nuove leve. Ero entusiasta e caricato alla massima potenza; le cose giravano bene, nonostante la «crisi del petrolio» e la «guerra del Golfo». Mi convinsi che ognuno può costruirsi la propria nicchia esistenziale, a dispetto delle crisi sociali, anche nelle difficoltà circostanti, individuando opportunità e minacce del momento, e agire di conseguenza, sfruttando le possibili opportunità. Iniziai conseguentemente a consolidare anche la posizione economica. Acquistai per le vacanze un bell’appartamento a Torre del Mare, e poco dopo in montagna, alla Magdaleine. 37 CAPITOLO 11 Tutto cominciò dall’elettronica industriale A trentatré anni, ottenni la dirigenza e la direzione generale della Fase. In quegli anni ero fortemente determinato a convincere ad introdurre progressivamente l’elettronica nel settore industriale, ambiente conservatore e molto ostile alle innovazioni elettroniche. Malgrado ciò, realizzammo il primo controllo di saldatura con tecnologia TTL, poi in Cmos; e successivamente a microprocessore, la prima centralina a logica programmabile, la Celp, il primo controllo numerico per i robot Polar e Smart, il controllore Flex Control per la Comau e poi ancora altro. E tutto ciò con un impegno e una fatica indescrivibile nel far funzionare sistemi innovativi così complessi e sensibili, in ambienti produttivi non perfettamente adeguati, con problemi elettrostatici e interferenze elettromagnetiche ed elettromeccaniche. Ciononostante, misi in pratica in pochi anni una quantità notevole di progetti. Parimenti, perseguii anche un gran numero di iniziative anche in ambito familiare, sempre con entusiasmo ed esaltazione. Ero molto soddisfatto, ciononostante non ero tranquillo, ero preoccupato. La situazione del lavoro, purtroppo, a mio avviso e sensazione, non era stabile; il tutto era troppo condizionato, nel bene e nel male, da fatti non dominabili. La Fase era limitata dalla Comau, che a sua volta dipendeva da Fiat, dove la situazione di «controllo» era molto instabile. Avevo «l’oppressione ed il timore» che da un giorno all’altro tutto poteva crollare, col rischio di ritrovarmi nuovamente a vivere in un borgo di periferia e ritornare al «punto d’origine». D’altronde, la situazione in Fase stava cambiando velocemente. Alfredo Pivi, amministratore ed azionista, aveva venduto le proprie quote azionarie, uscendo di scena, ed era stato sostituito da nuovi azionisti, i quali 38 dichiararono che non intendevano più investire in attività di progettazione e produzione. Preferivano, piuttosto che produrre, commercializzare l’elettronica, comprando e rivendendo i controllori americani della Texas Instrument e i robot giapponesi della Fanuc, con cui avevano un accordo di esclusiva. Pur non avendo certezze, intuii che la sopravvivenza della Fase era a rischio e conseguentemente anche quella della Elem. In un colloquio infuocato col nuovo amministratore, contestai e sconsigliai le nuove strategie non più industriali ma puramente finanziarie. In quell’occasione, capii che stavano raggruppando aziende con l’obiettivo di consolidarle e apportarle come dote per un concambio in un’importante operazione prettamente d’ingegneria finanziaria, da perseguire con una nota azienda industriale di cui preferisco non citare il nome. Mi chiesero, senza mezzi termini, di cedere a condizioni ridicole la maggioranza della Elem, per poi integrarla col nascente Gruppo, ma con l’intimidazione e la minaccia che, se non avessi accettato, non avrei più lavorato per loro, asserendo che senza la Fase sarei andato a chiedere l’elemosina davanti alla Gran Madre. Conclusioni: chiusi la conversazione, rispondendo con orgoglio e a tono, dicendo «che avevano bisogno della Elem e di me, più di quanto io avessi bisogno di loro». Subito dopo consegnai la lettera di dimissioni, ma per intere notti fui assalito dall’angoscia. 39 CAPITOLO 12 Per inseguire un sogno Lasciare la Fase fu una scelta difficile, ma va detto che ancora oggi la benedico. E ripenso a quei giorni nei colloqui di lavoro, quando mi trovo davanti dei giovani che vogliono lavorare con me. Se qualcuno mi dice «gestire», è finita, non c’è niente da gestire. Bisogna sviluppare, non cerco mai manager, ma «Intraprenditori». Quando mi trovo davanti un giovane che vuole entrare nel mondo del lavoro la prima cosa che guardo sempre è se è un tipo che sogna, che ha già in mente più o meno quello che vuole fare da grande. Spesso non è una cosa facile, non voglio mai offendere il mio interlocutore, ma capire se un giovane ha in testa della creatività, se ha dei sogni da realizzare è importantissimo. D’altra parte se dietro un sogno c’è un progetto perseguito con passione, quest’ultimo di sicuro inizia a prendere forma. La chiave del successo infatti è proprio il fatto che prima o poi bisogna sempre attivarsi per realizzarlo. Difficilmente un sogno si realizza da solo. Se infatti non fai mai nulla per inseguire i tuoi sogni non vai da nessuna parte. Se hai paura di uscire dal porto rimani sempre lì. Ma se invece hai il coraggio di mollare gli ormeggi e uscire dal porto, cominci a navigare. Cominci a vivere. Questa è la vita. La vita è fatta di imprevisti e ostacoli, di barriere da superare. Ecco, io un ragazzo lo misuro proprio da questa sua capacità di avere progetti, sogni, anche dal punto di vista della formazione: è importantissimo capire se sta seguendo un percorso legato al suo progetto o se invece si fa guidare dalla società, dal suo capo, dalla mamma o dal papà. Torniamo un po’ al concetto di dominare o di esser dominati, è vero, ma è sempre l’uomo che decide se subire o essere protagonista. Nei colloqui di lavoro poi è fondamentale anche vedere cosa sa il mio aspirante collaboratore del nostro Gruppo, 40 cosa sa di noi. Se si è informato. Sembra impossibile ma un gran numero di persone «bussa alla porta» con idee e progetti confusi e senza nemmeno sapere con chi sta parlando. Ed è chiaro che non c’è storia. Ai colloqui si viene a dire cose, non ad ascoltare. Non solo. Non solo bisogna aver studiato noi, ma anche i nostri competitor, un aspetto importantissimo specialmente per l’area commerciale. Chi è il più bello del reame? Ma torniamo ai sogni. È vero che se il sogno non si realizza mai si può trasformare in un incubo. Sono d’accordo. Ma non si può ignorare il fatto che quando una persona ha un progetto, può anche darsi che non lo realizzi, ma se insiste ci va vicino, ed è già qualcosa. Qualcosa di importante perché se poi non ti attivi rimani sempre lì. Sognare, progettare, attivarsi con determinazione e passione, perseguire i propri sogni, i propri progetti motiva la propria esistenza. Non accetto mai quando uno dice «hai avuto fortuna». Io sono arrivato a Torino che ero bambino. E mio papà ha avuto l’idea di osare, di fare un percorso. Di cambiare la vita. Lui era un ebanista, un artista che dal tronco faceva tutto. Il fatto di fare e realizzare le cose forse è nel sangue, nel Dna. La fortuna sei tu che la costruisci. Certo, ci rientra la salute. Ma è la quantità di tempo che dedichi al progetto che fa la differenza. Mettiamo di avere lo stesso sogno. Andiamo a scuola insieme. Due amici. Il mio amico è bravissimo, io un po’ meno. Ci diplomiamo insieme, poi andiamo a lavorare, ma la quantità di ore – fisiche – che io dedico alla mia attività è tripla a quella del mio amico. Io inseguo un sogno, lui no. Io ho fatto il mio percorso, lui faceva solo 5 ore di lavoro e io 15: non c’è stata partita. La morale? Se dedichi il doppio del tempo al lavoro, vale doppio. È come un atleta. C’è una differenza fra uno che si allena una sola volta alla settimana e uno che lo fa ogni giorno? Non è questione di essere stacanovisti, ma di mettere il cuore nelle cose: la differenza, in ogni caso, sta sempre nell’impegno che dedichiamo ad una certa cosa. 41 E poi c’è l’importanza di essere attivi, positivi. Personalmente ho l’esempio di un mio caro amico: era attivissimo, aveva un bel lavoro, era molto appassionato. Oggi è in pensione, afflitto. La positività e la voglia di guardare avanti sono invece fondamentali, non bisogna mai abbattersi, bisogna essere attivi, non mollare mai. Avere sempre stimoli. Tutto deve e può ancora succedere. 42 CAPITOLO 13 E tutto succede Ed è proprio con lo spirito del «tutto può succedere» che lasciai la Fase. Certo, c’era tanto rammarico e, anche, un po’ di delusione dopo dodici anni di duro ed intenso lavoro. Lasciavo un centinaio di «compagni di viaggio», di amici, che negli anni avevo selezionato: apprezzavo il loro valore, ciò nondimeno avevo anche appreso e imparato molto anch’io da loro. Volevo bene a tutti, e altrettanto loro mi volevano bene. Raccomandai loro, emozionato, di continuare a lavorare con impegno e professionalità, così come avevano sempre dimostrato. Fu un addio commovente. Mi regalarono una cartella in pelle (che ancora conservo). Lasciavo per sempre un pezzo del mio cuore, un pezzo del mio passato, della mia vita. Quello fu un altro momento fondamentale e decisivo del mio percorso: da questo momento planavo, solo, a volo libero e senza paracadute. Erano quelli gli anni del superamento del comunismo e la sua fine viaggiò a braccetto con la fine dell’imperialismo sovietico, grazie soprattutto alla politica illuminata di Mikael Gorbaciov e di Boris Eltsin. Agli inizi degli anni Ottanta il passo del cambiamento è segnato dal boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca da parte di quindici Paesi come segno di protesta contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan, che si tramuterà in decennale occupazione militare fino al 1988. Sono gli anni della fine del leader rumeno Ceausescu, del crollo del muro di Berlino e del giovane cinese che in Piazza Tienanmen tenne in scacco un carro armato piazzandoglisi davanti. Seppur l’Europa, almeno quella occidentale, ha sperimentato i benefici della pace duratura, la guerra continua ad essere un male dal quale gli uomini fanno fatica ad affrancarsi. Nel 1982 Israele invade il Libano, l’Argentina occupa le isole britanniche Falkland, tra Iraq e Iran scoppia una guerra decennale le cui conseguenze 43 dureranno ben oltre l’inizio del terzo millennio. Solo pochi anni dopo avranno luogo anche le due guerre del Golfo e le guerre dei Balcani, con tutti i loro orrori. Si diffondono i computer negli uffici e nelle abitazioni. Nel 1977 escono un nuovo Apple e il PC IBM che rivoluzionano il modo di lavorare. In quegli stessi anni escono i primi home computer Commodore 64, Amiga, Spectrum, Atari. Si diffondono inoltre i supporti magnetici a nastro VHS e musicassetta. I ragazzini con le cuffie del Walkman diventano un’icona del tempo. La mia situazione era difficile. Ero molto preoccupato, ma più che sperare ho iniziato a lottare disperatamente. Per orgoglio, per bisogno e per la sopravvivenza, volevo e dovevo dimostrare che potevo farcela anche senza la Fase. Sapevo benissimo che dovevo combattere duramente per ottenere ciò che volevo. Avevo in mente sogni, progetti, piani e competenze. Bisognava solamente lavorare, lavorare, lavorare. Voglia ed entusiasmo non mi mancavano. Ecco uno di quei momenti in cui bisogna «uscire dal porto», uno di quei momenti fondamentali della vita. In ogni caso nella Fase fui prontamente sostituito. Nell’arco di pochi mesi annullarono ordini e commesse di lavoro verso Elem. L’intenzione era chiara e dichiarata. Ognuno per la propria strada. L’ironia della sorte fu che la strada della Fase si restrinse, non si evolse più di tanto, anzi, come avevo anticipatamente intuito, terminò in un vicolo cieco. Dopo qualche anno alcuni rami aziendali furono smembrati e svenduti. In più occasioni mi chiesero, nientemeno, di acquisirla, ma non essendoci più le condizioni rinunciai. In seguito venne «spezzettata» e messa miseramente in liquidazione. 44 CAPITOLO 14 La rivincita, col focus nell’elettronica professionale 1984. Forte di un discreto bagaglio di conoscenze «tecnologiche-industriali» e di un’innata propensione a raccogliere le sfide nei cambiamenti e nell’innovazione, m’impegnai ancor di più, anima e corpo, nell’agire in prima persona, focalizzandomi in tutte le opportunità compatibili con le mie competenze e strutture produttive. E coerente con il core business della mia piccola e giovane azienda. Il primo obiettivo era il miglioramento di quanto avevo già realizzato, e in seconda battuta, lo sviluppo strutturale e organizzativo della Elem. Ma non era facile: i rischi e le incertezze erano enormi, senza avere ordini da parte di Fase, e in generale dal Gruppo Fiat, l’azienda aveva una strada tutta in salita. Nei primi mesi dormivo pochissimo, ma proprio in quel periodo da temerario ed esperto navigatore solitario di «mari agitati», maturai una metafora tra «navigazione e vita corrente», destreggiandomi nella realtà del momento e nella possibilità di assemblare schede elettroniche per la nascente industria informatica, individuando nuove rotte e nuovi obiettivi alternativi e sfruttando l’onda lunga del momento, cavalcandola con coraggio e determinazione. Così l’anno successivo trasferii le attività della Elem Elettronica dal basso fabbricato di Via Borsi a Via Massari, in un complesso con un’officina che inizialmente sembrava eccessivamente grande (circa ottocento metri quadrati). Realizzai così il primo sogno: il compimento del primo nucleo industriale, completo di struttura produttiva con esperti di ingegneria di produzione, di automazione, uffici direzionali ed amministrativi, il tutto arredato rigorosamente in stile moderno, con una visione futuristica, avvalendomi delle idee originali dell’architetto Gozzellino. Gran risalto era dato dall’arredamento e dall’impatto della bellissima reception, che mi affrettai poi ad 45 impreziosire con l’altrettanto bella centralinista Carmen più tardi sostituita dalla giovanissima e fedelissima Anna Mugavero la quale divenne la bella e attraente «icona della Elem», e in seguito, la mia efficiente assistente, sostituita nella reception e come immagin-design dall’altrettanto bella e creativa Susan, «l’olandesona». Sembra un vezzo o una cosa futile, ma già ritenevo l’immagine molto importante: il biglietto da visita per il futuro. Ho sempre creduto che Alexis Carrel avesse colto nel giusto quando sosteneva che «nella scienza abbiamo soprattutto bisogno di immaginazione. Non tutto è matematica, non tutto è logica, ma è piuttosto poesia e bellezza». Iniziai così a creare un’opportuna e adeguata immagine d’azienda, completa e autonoma, aumentando capability tecniche, produttive e gestionali, tali da poter operare con realtà multinazionali quali Tecnost, Bull e Olivetti, e creare i presupposti per lavorare per la mitica IBM. Furono anni fibrillanti. L’Olivetti produceva come non mai i primi computer «M20» col proprio marchio e per conto terzi, tra i quali l’americana AT&T. Per aumentare capacità produttive, flessibilità e nello stesso tempo ridurre i costi, utilizzava una miriade di fornitori esterni, tra cui la Elem che in breve tempo divenne il primo fornitore di schede elettroniche a livello nazionale, arrivando a produrre oltre cinquecentomila schede all’anno, tra Mother-Board per personal computer, schede per stampanti e fotocopiatrici Canon. Nel frattempo acquisimmo le prime nuove macchine automatiche per montare componenti Smd a tecnologia superficiale, una linea per saldatura rifusione, macchine per collaudo automatico «In-circuit Ict», e progettammo e realizzammo la prima linea completamente automatica per saldatura ed assemblaggio, velocizzando i tempi ciclo e riducendo conseguentemente i costi di produzione. Ma c’era la possibilità di fare molto di più, era chiaro. Solo che avevamo davvero poco tempo, stritolati come eravamo dal poco spazio e dalle limitate macchine 46 produttive disponibili. Per fare di più, occorreva un altro stabilimento e bisognava aumentare le risorse operative. Bisognava però fare presto per non perdere le opportunità del momento. Iniziai così una ricerca affannosa di nuovi spazi. Nelle vicinanze dell’uscita della tangenziale di Venaria, individuai uno stabilimento di oltre tremila metri quadrati, su un’area di oltre diecimila, in un recente comprensorio industriale, nei pressi del quale stavano iniziando la costruzione del nuovo Stadio delle Alpi. L’intuizione e la decisione furono immediate. Acquistai con un investimento rilevante il primo stabilimento di Via Aosta 20 a Venaria Reale, con l’obiettivo e il progetto di re-ingegnerizzare due aree produttive su due piani: l’impresa sembrava faraonica. C’era anche la possibilità, che sfruttai subito, di raddoppiare l’area utile con l’edificazione di un secondo piano, sfruttando la licenza di concessione e realizzare così un complesso di oltre seimila metri quadrati, con l’opportunità di aumentare contestualmente anche il valore commerciale dell’immobile. Così, a tempo di record, in appena 12 mesi completammo le strutture murali e, con sincronismo perfetto, arrivarono i moduli per le nuove isole automatiche d’assemblaggio, le nuove «Pick end place» Panasonic, le più veloci e le migliori al mondo, la nuova linea automatica di saldatura e lavaggio con controllo della contaminazione ionica, che garantiva un livello inferiore a «un microgrammo al centimetro quadrato». Lavorammo ininterrottamente, a turni, anche nei giorni festivi, trasferimmo al momento opportuno i reparti e tutte le attività produttive nell’arco di sette giorni, senza mai penalizzare le consegne delle forniture delle schede elettroniche, che intanto producevano a ritmo frenetico in tre turni. Ricordate il concetto di lavorare sodo, più degli altri? Non si riferisce solo alle persone, ma anche alle fabbriche. E con questo spirito realizzammo un layout produttivo futuristico, in un’enorme camera bianca, unica 47 nel suo genere, con ambiente controllato a temperatura e umidità costante, immancabilmente con pavimento antistatico e personale addetto rigorosamente in camice bianco e zoccoli antistatici. Particolare attenzione fu la scelta dei sistemi informatici, in grado di gestire e controllare la contabilità integrata con i flussi di materiale e cicli di produzione in logica giapponese just in time. Realizzammo così un’organizzazione avveniristica di massima efficienza, ottenendo - fra i primi in Italia - la famosa certificazione «Iso 2001» e questa qualificazione ci valse in seguito anche la qualifica «Babt» da parte dell’IBM e l’avvio di importanti e complesse forniture «top technology». Acquisimmo quindi nuove e complesse lavorazioni high tech da Olivetti, Canon, IBM, Ericsson, Telsy, partecipando all’evoluzione, all’integrazione e alla convergenza tecnologica tra microcomputer, automotive, telecomunicazione e satellitare Gps. 48 CAPITOLO 15 Barca, mare, navigare, una metafora di vita Ho sempre avuto voglia di stupire e di stupirmi, tutto ciò che desideravo e decidevo di fare l’ho sempre fatto con il massimo impegno ed entusiasmo; il fare, il realizzare mi gratificava e mi esalta ancora emotivamente e fisicamente, e questo vale sia nel lavoro che nel tempo libero che, purtroppo, è sempre stato esiguo. Quello che dicevo prima sul «lavorare tanto, sull’impegno», ovviamente ha qualche controindicazione. L’importante è non farsi prendere dall’egoismo e dedicare il poco tempo libero che si ha alla famiglia. Totalmente alla famiglia. Così ho fatto io. E quel tempo fuggente alla fine si scopre che è intenso, bellissimo. Nei primi anni di matrimonio abbiamo iniziato a frequentare la montagna, in particolare la Magdaleine, dove con un gruppo di conoscenti avevamo acquistato un terreno e costruito una casa. Unimmo e arredammo con gusto due appartamenti, creando un nostro nido rustico-montano, un luogo fantastico, dove ancora oggi d’estate pascolano le mucche, e d’inverno con la neve sembra di abitare in un presepio vivente. Gianna, io e i bambini facevamo lunghissime passeggiate per i sentieri che univano la valle della Magdaleine con Chamonix. Gianna preparava le provviste nello zaino da picnic, e poi su per il sentiero, che d’inverno si trasformava in pista da fondo, fino al lago Lood, a circa milleottocento metri. Era straordinario. Intorno al laghetto, azzurro come il cielo, c’erano pinete attrezzate con panche e tavoli rustici, fatti con tronchi d’abete, e barbecue di pietra. Bello, ma non nascondo però che la mia vera passione è il mare, la navigazione, la barca. Così acquistammo un appartamento a Torre del Mare. È proprio lì che stringemmo una cara amicizia con Enrico Beretta. Decidemmo assieme di comprare due barchette in resina e motore fuoribordo, per andare a pescare e fare gite in mare, tra l’isola di Bergeggi e l’isola Gallinara. 49 Con i Beretta, che avevano anch’essi due bambini, andavamo con le rispettive barchette ad ancorarci nelle baie più belle della zona. La più gettonata era la Baia dei Saraceni, dietro il capo di Varigotti. Venne naturale il fatto di andare con Marco in barca e di lasciare che Barbara andasse in montagna con i nonni. Era abbastanza frequente, tanto quanto è bastato per accentuare preferenze e tendenze, che credo perdurarono anche quando divennero ragazzi e poi adulti, a conferma che «sogni, tendenze e carattere si formano non a caso, fin da bambini». Oggi Barbara non ama il mare, preferisce la montagna. Mi chiedo se per caso sia stata mia la colpa. In effetti, qualche esagerazione sulle mie preferenze c’è stata. Il dubbio mi sorge pensando a quando era ancora bambina, e in particolare a quella volta, forse quell’unica volta che decidemmo di portare entrambi i bambini in crociera. In quel tempo avevo un motoscafo da otto metri con il quale, abitualmente anche se un po’ da incoscienti, riuscivo a sostenere l’attraversata del mar Ligure e navigare con rotta su Calvi, in Corsica (circa novanta miglia), per poi costeggiare verso Bonifacio, e attraverso le Bocche arrivare fino a Palau, in Sardegna. In una calda estate, di agosto, decidemmo, appunto, di raggiungere la Corsica partendo da Alassio, navigando in compagnia di amici che avevano una propria imbarcazione, ma con poca esperienza nautica. Fin dai primi giorni manifestarono problemi di navigazione e di ormeggio, fortunatamente superati, anche se con qualche difficoltà. Un giorno, poiché temevano l’attraversata delle bocche di Bonifacio, stabilimmo di dividerci per qualche giorno. Noi, veterani e «lupi di mare» proseguimmo per la Sardegna, con l’intesa di ricongiungerci qualche giorno dopo a Porto Vecchio, per poi ritornare assieme in Liguria, navigando dalla parte orientale della Corsica, meno esposta al vento Maestrale. Solcammo tranquillamente le imprevedibili Bocche di Bonifacio; il mare era bello, la navigazione piacevole. Le 50 Bocche erano e sono tristemente note ai naviganti perché spesso stravolte dal vento che soffia da Ovest, il Maestrale, e che può rinforzare fino a burrasca e durare da due a sei o anche a nove giorni. Quando succede, anche i traghetti entrano in difficoltà ed è preferibile non navigare e rifugiarsi velocemente in un porto sicuro. Eravamo ormeggiati nel porto di Palau, quando il Maestrale iniziò a rinforzare. Decisi istintivamente di partire subito, per evitare di restare eventualmente bloccati per giorni nel porto di Palau. La rotta era su Porto Vecchio, dove c’era l’amico Valesano che ci aspettava. Il tempo previsto per la traversata non superava i trenta minuti di navigazione. Decisione scellerata. Partimmo e dopo solo quindici minuti, quando ormai eravamo nel bel mezzo delle Bocche, vento e mare rinforzarono ad una velocità imprevedibile, si formarono improvvisamente onde da due a tre metri, troppo per quella barca. Quasi subito, un’onda di traverso ci sovrastò, spruzzando violentemente acqua nel pozzetto e nei bocchettoni di sfiato dei motori. Tragedia: i due motori improvvisamente si fermarono e non ci fu più verso di farli ripartire. La barca iniziò a oscillare e beccheggiare paurosamente. Che fare? Gianna, terrorizzata, strepitava e chiedeva aiuto. Aiuto a chi? In quel momento ed in quella zona non si vedevano altre imbarcazioni. I bambini rimasero senza parola, mente io cercavo di mantenere il controllo della situazione. Gianna non mi ascoltava, non mi sentiva, era sotto shock. Forse per il sibilo del vento, forse per le onde del mare che entravano violentemente nel pozzetto infradiciandoci e rintronandoci, Gianna tremava tutta ed era in stato di panico profondo. Per calmarla le dovetti dare un’energica sberla e sistemarla di peso sul sedile accanto a Barbara. Poi mi precipitai in cabina, afferrai i giubbotti di salvataggio e li infilai addosso a lei ed ai bambini. Rapidamente e con lucidità, mi misi alla radio WHS e lanciai l’SOS, sperando che qualcuno fosse in ascolto e si mettesse in contatto con noi. Purtroppo nessuno rispose. 51 Ritentai. Niente da fare. Oltre a ciò, della serie che i guai non vengono mai da soli, l’antenna radio, per la furia e i sobbalzi delle onde si spezzò finendo in mare. Fine della trasmissione. Cosa fare? Reagire, evitare il panico, non arrendersi, sono le tre grandi livelle. Nella vita come nella navigazione. M’infilai nel vano motore, cercando con ragionevolezza di asciugare possibilmente le calotte, ma nel frattempo entravano altre onde ed era impossibile operare in quelle condizioni. Coprii spinterogeno e calotta con un asciugamano, sperando nella buona sorte e richiusi il gavone. Nel frattempo vidi in lontananza uno yacht che s’avvicinava. Cominciammo a gesticolare con le braccia e a sventolare asciugamani, come fanno i naufraghi nei film. Nel frattempo Gianna si era ripresa, Marco, il più tranquillo, m’incoraggiava col pensiero. Barbara sempre silenziosa, corrugata, impassibile, ma consapevole della gravità della situazione. L’imbarcazione poco dopo si accostò. A bordo c’erano un uomo un po’ inesperto e due donne. Appena ebbero capito il pericolo e la gravità della situazione, entrarono in panico, strillando terrorizzate mentre il capitano, sbagliando manovra, stava per speronarci. Era impossibile avvicinarsi con quel mare e con quell’equipaggio di imbranati, e tentare una manovra di salvataggio. Gli gridai di lanciare l’SOS, di chiedere aiuto via radio e di fornire le nostre coordinate. Mi ascoltò, diede l’allarme e fortunatamente un altro yacht, presente nelle vicinanze, venne in soccorso. Grazie a Dio era governato da «gente di mare». Si dispose sopravento, evitando la collisione per effetto del vento e della risacca generata dalle onde. Mi affrettai in prua, lanciai una cima e l’assicurai al verricello. Facile a dirsi, ma difficile a farsi. Nella fretta e incoscientemente non avevo neppure indossato il giubbotto di salvataggio. Se fossi finito in mare per me sarebbe stata la fine. In ogni caso l’operazione di aggancio riuscì bene, ma l’avventura non era finita, rimorchiare una barca in un mare in tempesta non è 52 semplice. La sorte oltretutto continuava a non essere favorevole. All’improvviso la cima, in trazione, subì uno strattone rabbioso che sradicò il verricello, aprendo uno squarcio sopra la prua. A quel punto non c’era più alcuna possibilità di rimorchiare l’imbarcazione con il rischio d’imbarcare acqua e affondare. Iniziai a pensare di trasbordare e metterci in salvo sullo yacht e abbandonare al proprio destino la nostra barca. In un barlume disperato, attivai un ultimo tentativo di messa in moto. Il motorino di avviamento gracchiò una volta, gracchiò una seconda volta, e… e incredibilmente avvenne il miracolo: il motore destro ripartì! Ci abbracciammo, ci baciammo. Gianna, stavolta, piangeva per la gioia. Eravamo tutti commossi. Ripresi il controllo dell’imbarcazione, anche se con un solo motore e con tutte le difficoltà del caso di riprendere la rotta in quelle precarie condizioni verso la baia protetta di Porto Vecchio. Dopo molte ore di sofferta e lenta navigazione, finalmente giungemmo in porto. Fu una grande drammatica esperienza e una maturazione del carattere. Ciononostante navigare è stata e resterà la mia passione. Avere una propria barca, decidere quando e dove andare, senza preavviso, liberi, senza vincoli, alla ricerca di baie accessibili solo dal mare e possibilmente deserte, navigare affrontando l’imprevedibilità dei venti e dei cambiamenti improvvisi del tempo e conseguentemente del mare è stato per me scuola di vita e ricarica naturale di adrenalina allo stato puro. Considero ancora impareggiabile l’emozione che si genera nelle fantastiche attraversate, specialmente quando non vedi più terra e intravedi lontano l’orizzonte che si confonde col cielo infinito, mentre il sole rossastro pian piano sorge dal mare e sale verso il cielo, scompare, ricompare veloce e raggiante, rassicurandoti per la sua presenza. L’inquietudine che cresce, sino al momento di scorgere finalmente l’attesa meta. Ogni navigazione è un’emozione, l’imprevisto è sempre in agguato e l’attenzione è d’obbligo, così come il viaggio della mia 53 vita. Il modo di agire in mare, secondo il mio immaginario, è equivalente al modo ideale di affrontare la quotidianità nella vita, nei viaggi, nei progetti: consapevolezza della condizione di partenza, mentre spesso non è certo il punto d’arrivo, nonostante piani di navigazione, analisi delle criticità e previsioni degli eventi. Fondamentale è la capacità di evitare le avversità o per lo meno la convinzione di controllarle e superarle. In ogni caso occorre reagire alle calamità degli eventi con grinta e convinzione. Bisogna sempre crederci, valicando e tentando l’impossibile, seguendo il cuore, l’istinto, il vento, le onde. La barca è una metafora di vita. Volevo vivere nuove esperienze, scoprire nuovi «orizzonti» nel vero senso della parola, e così negli anni pianificai navigazioni sempre più audaci: la circumnavigazione della Sardegna, Isole Porcherol, Golfo del Leone, Spagna, isola di Ventotene, isole Pontine, Capri, Ischia e non solo. Dopo oltre trentacinque anni di passione nautica e di belle avventure (a volte faticose, a volte traumatiche), Gianna non ne poteva più della barca e iniziò a ripetermi di cambiare hobby, di organizzare viaggi diversi e scoprire nuove mete. Accettai l’idea di trascorrere vacanze più tranquille ma fu una scelta sofferta, che non mi convinse mai del tutto perché ovviamente non sapevo se avrei potuto rinunciare del tutto alle mie traversate, ai miei viaggi. E se sarei riuscito a trovare un’altra «passione» che potesse soddisfarmi in termini d’emozioni, ambizioni, adrenalina, nonché di «esperienze e scuola di vita». Oggi spero solo che i miei viaggi non diverranno nel tempo solo tristi rimpianti che riaffiorano col trascorrere degli anni, nel solo ricordo della primavera della vita, quella della giovane età inebriante e frenetica. L’età del volere e del fare. sogni fantastici. Sogni straordinari. Credo che per ogni individuo, anche negli anni maturi, sia importante continuare a sognare, sempre. Se non sogni più, inizi un po’ a morire. 54 PARTE TERZA LA VISIONE GLOBALE ANNI 1990-2000 CAPITOLO 16 Anticipare il futuro «La cosa migliore del futuro è che arriva un giorno per volta», diceva Abraham Lincoln. E nella mia storia ho potuto toccare più volte questo fondamentale concetto. Producemmo il primo navigatore satellitare per la Sepa e poi per Magneti Marelli, e iniziammo a produrre le prime centraline elettroniche e di telemetria per la divisione «Competition», per le vetture partecipanti ai campionati mondiali di «Formula Uno», delle scuderie Ferrari, Renault, ed altre ancora, contribuendo con la nostra opera e con tanto orgoglio ai successi di questi team. Un passo per volta, come dicevamo, un giorno per volta, e ci trovammo dritti sul tetto del mondo. Una posizione invidiabile, ovvio, ma non certo raggiunta per caso in quanto la strategia era precisa. Talmente precisa che aveva anche un nome: «Vision e Progetti». Tutto si basava sulla necessità di puntare decisi sulla centralizzazione delle attività organizzative e gestionali per operare in ambito europeo e sviluppare nuovi mercati. Ma sempre mantenendo il rapporto «Qualità e Costo» ai vertici assoluti. Con questo spirito la crescita del Gruppo procedeva senza sosta, sia in termini d’attività che di fatturato e redditività, con incrementi superiori al trenta per cento, di anno in anno: così riuscivamo ad auto-finanziare le nuove iniziative, che ci permisero di affermarci in pochi anni a livello nazionale e che crearono le premesse per cogliere nuove sfide e nuove opportunità, con il potenziamento delle capacità tecnologiche e industriali interne e sviluppi esterni mediante progetti mirati a possibili acquisizioni ed integrazione di target di operatori del nostro core business. 57 CAPITOLO 17 I valori e il bello della vita Devo confessare una cosa: da studente non amavo leggere e, terminata la scuola ancor meno. Ma, per mia fortuna, in un giorno di relax, mi capitò di sfogliare un libro di filosofia di Dario Bernazza che si prefiggeva di rendere la filosofia chiara, pratica ed utile. Insomma un libro che puntava dritto a mettere nelle mani del lettore le chiavi per affrontare e risolvere, realisticamente, i tanti difficili problemi del vivere. Il titolo era «O si domina o si è dominati» e la premessa recitava: «Dedico questo libro alla grandezza morale di tutti coloro che per trovare e diffondere la Verità hanno lottato, hanno sofferto, o hanno immolato la loro vita. È esclusivo merito loro se l’uomo ha progredito e progredisce verso la logica, verso la vera civiltà e quindi verso una vita sempre migliore». La premessa era accattivante e, incuriosito, lessi con interesse ed entusiasmo. Quel libro mi ha trasportato e ha stimolato l’invito alla riflessione sui tabù della vita ad affrontare argomenti esistenziali, nonché a rispondere ad alcune domande: Che cos’è che io voglio veramente dalla vita? Qual è il senso reale e concreto dell’esistenza? Ci sono limiti ai miei desideri e alle mie ambizioni? È vero che, in sostanza, ognuno vive come merita di vivere? Che cosa fare per emergere, per affermarmi, per aver successo? Quali sono i valori, le persone, e le cose per le quali valga la pena d’esistere? Cosa devo fare per evitare una vita scialba, mediocre, noiosa, insoddisfacente: una vita in sostanza da perdente? In definitiva: Qual è il modo più intelligente e più interessante di vivere? Consiglio a tutti di rispondere a questi quesiti, presi in prestito dalla lettura del libro «O si domina o si è dominati». Certo, non è facile, ma il solo tentativo di farlo - specialmente per i giovani - è un invito a tener ben 58 presente che la vita è unica e irripetibile. E che viverla distrattamente e rassegnatamente, è un lento e blando sopravvivere. La vita invece va vissuta con la massima aspirazione, motivazione e convinzione. Spesso mi sono ispirato a queste domande per riflettere a lungo sui veri valori della vita. Qui, ognuno trova i propri. I miei? Sono stati e sono tuttora i «compagni di viaggio». Ho avuto una folta schiera di compagni. Intendo persone, animali, cose e luoghi, che ho veramente amato e amerò per tutta la vita. I compagni «veri», sono i compagni nati o conosciuti nel percorso della mia vita: amici fedeli, sempre interessanti, pronti ad ascoltarmi, a dare il meglio spontaneamente, a rendermi sereno, a far sorridere il mio cuore, ad infondermi la piacevolezza di vivere. Questi compagni non mi hanno mai deluso e, sono convinto, non mi deluderanno mai, non mi tradiranno mai e non mi abbandoneranno mai. La loro esistenza mi ha rallegrato e mi ha consolato sempre, e la loro vicinanza farà riscaldare e palpitare il mio cuore. Alcuni dei veri valori, che ritengo fondamentali, oltre che nella vita privata, mi hanno ispirato anche nel percorso professionale, determinando sani principi da far capire e seguire, anche nell’ambiente lavorativo. Non è un caso che proprio io e Marco concepimmo un breve «documento etico» che tutti i dipendenti hanno approvato e sottoscritto nel momento dell’ingresso in azienda, una specie di biglietto da visita delle idee e dei comportamenti che hanno valso all’azienda non solo meriti imprenditoriali, ma anche la stima degli operatori del settore. Il documento non voleva essere un impegno legale, bensì una linea guida di «Etica comportamentale», in cui azienda, dirigenti, funzionari, quadri, responsabili, impiegati, tecnici e operai ponevano fiducia, determinando progressivamente lo stile e la cultura del Gruppo Elem, pur sapendo che l’etica non la si può imporre, bensì la si deve maturare nel proprio spirito. 59 Cito alcuni passaggi importanti dell’attestato: «La direzione farà ogni sforzo per perseguire il Vero, il Giusto, il Bello, rendendo partecipe il proprio personale e agevolando lo sviluppo individuale, nel contesto aziendale. In tale ottica, c’è l’impegno di tutti nell’operare con onestà, correttezza ed etica professionale». «Nell’enunciato, non vi sono garanzie assolute, ma una grande volontà costruttiva e un approccio positivo, nel coinvolgere tutti, nell’apprendere, nel fare e nell’insegnare a fare, con lo spirito di facilitare e condividere le aspettative espresse, in cui la Direzione crede fortemente e di cui terrà sempre ben conto nelle proprie valutazioni…». Il documento fu sottoscritto dalla Presidenza, dalla Direzione Strategica, dal Management e da tutte le Maestranze, e credo che abbia rappresentato e che rappresenterà ancora una guida ispiratrice, anche in futuro, poiché i sani principi hanno consentito e consentiranno di raggiungere con serenità il successo, dando a maggior ragione un senso alla «propria esistenza». È vero, a volte si rischia di scadere nell’ovvio o nel banale, ma il valore del «bello» deve essere un concetto quasi assoluto. Ritengo che questo principio, praticamente e concretamente, mi abbia spinto e portato a sognare, volere, toccare, possedere, apprezzare le cose belle, le più belle, possibilmente bellissime, al limite del possibile, ma anche, inevitabilmente, le più costose. E ho lottato e lavorato molto per conquistarle. Una forte motivazione e una potente spinta propulsiva dei miei sogni, dei miei progetti, dei miei viaggi. 60 CAPITOLO 18 Rimpianti, e ricerca delle origini L’impegno ossessionante nel lavoro, per sviluppare i progetti che man mano aumentavano, ha consentito di raggiungere risultati impensati e insperati ma, nello stesso tempo, mi ha fatto bruciare e sacrificare del tempo, momenti preziosi e attenzioni particolari, che avrei dovuto dedicare maggiormente ai miei bambini, facendomi coinvolgere nei loro giochi, accudendoli nella loro crescita e nei loro progressi. Purtroppo ascoltavo e osservavo poco i miei bambini. Intanto, mentre io lavoravo, lavoravo affannosamente, i bambini diventavano dei bravi ragazzi, intelligenti, educati, profittevoli negli studi, grazie anche all’attenzione e alle cure di Gianna. Sono diventati adulti in un tempo incredibilmente veloce. È questo il prezzo che ho dovuto pagare. Questo è il mio rimpianto. Rimpianto di aver dedicato troppo poco tempo a Barbara e Marco, quando erano ancora bambini. Altrettanto poco tempo ho dedicato a capire le mie origini e forse è questo il motivo che un giorno mi ha spinto di nuovo a New York. Per andare a ricercare la casa del nonno Domenico, una caccia serrata ai luoghi dove aveva vissuto. Trovai on line l’elenco di persone di nome Petrone, con relativi indirizzi e residenze. Sfogliando documenti, nell’archivio storico di Ellis Island, scoprimmo esattamente il nome della città, distretto e luogo, dove mio nonno visse dagli anni venti agli anni sessanta: arrivò con la nave Aquitania della Built by John Brown & Company con 3.232 emigranti a bordo, partendo dal porto di Napoli, e viaggiando per un mese alla velocità media di ventitré nodi. Mio nonno, Dominick Petrone, giunse a New York il 20 settembre del 1920, all’età di trentatré anni, solo col suo sogno americano. L’emozione era altissima. Si trattava di continuare la ricerca andando fisicamente presso l’ufficio comunale 61 anagrafico, ricercare i luoghi e gli eventuali cambiamenti di residenza e seguire tangibilmente il percorso nei luoghi in cui era vissuto. Assoldai anche un detective che mi fece da guida e da interprete. Andai all’anagrafe di Newark City, sua presunta residenza, e da un vecchio archivio una gentilissima funzionaria, estrapolò efficacemente il certificato di morte e l’indirizzo dell’abitazione dove il nonno Domenico aveva trascorso gran parte della sua vita. E man mano che mi avvicinavo al luogo e percorrevo presumibilmente le strade frequentate da mio nonno, l’emozione mi assaliva. Sentivo qualcosa d’indescrivibile e di emozionante. Arrivai in una zona di contrasto inverosimile, tra nuovo e antico. La zona era popolata da moderni grattacieli, e tuttavia, in un’area limitrofa, c’era ancora un residuato, vecchio e piccolo rione, con vecchie casette indipendenti, dall’aspetto trascurato e vacillante. Nella strada, si spostavano a piedi persone di colore. La tristezza fu grande e non riuscii a trattenere l’emozione. Mi chiesi com’era possibile. Perché mio nonno, considerato un mito da mio padre, aveva abbandonato la famiglia e gli amici per andare a vivere e a morire lì? Ma perché? Non potevo crederci. Non soddisfatto, percorsi a piedi un tratto di strada ed entrai in un vecchissimo bar drogheria e chiesi all’anziano negoziante se aveva conosciuto un certo Dominick Petrone, che aveva abitato in quella strada. Ci disse che lui era italo-americano e che in passato aveva conosciuto Dominick Petrone. A suo dire era stato un grande uomo, un amico di suo padre, italiano anche lui. Mi indicò esattamente la casa in cui aveva abitato. L’emozione mi assalì fino alla commozione. Non ebbi più la forza di proseguire la ricerca e decisi di ritornare in hotel dalla mia famiglia. Ancor oggi, quando penso a quei momenti, mi viene la pelle d’oca. Mi piacerebbe un giorno ritornare a New York e completare la ricerca. Scoprire come ha vissuto in tutti quegli anni, se ha avuto una compagna, altri figli o nipoti, come si è risolto il sogno americano e se ne è valsa veramente la pena. Qual è stato 62 il suo sogno americano? Lo realizzò? Cosa accadde quando l’America dichiarò guerra all’Italia? Cosa sarebbe cambiato se non fosse mai partito? Quali sono le motivazioni per le quali non volle o non poté più tornare in Italia? Curiosità non solo personali perché poi mi chiedo anche: Cos’è successo durante la depressione economica del 1929? Chissà se c’è un’analogia, ed un ripetersi degli eventi e della storia, per quello che è capitato e si sta verificando drammaticamente in questi anni che sanciscono la fine del primo decennio degli anni 2000, in America per prima e a seguire nel resto del mondo? Crisi finanziaria, profonda recessione o bolla salutare e passeggera? Se si vuole superare la crisi bisogna fare molta attenzione ai macro-eventi, capirli per coglierne le opportunità e per evitarne le minacce. I macro-eventi non possono essere modificati dalle nostre scelte individuali, ma le nostre scelte individuali devono tenerne conto, per poter fare scelte che portano al successo piuttosto che al fallimento della propria vita. 63 CAPITOLO 19 Petrone, quanti nomi In relazione al mio nome è curioso constatare come in modo naturale si è creato un clima di confidenzialità e, a volte, di rispetto e riverenza: i miei genitori, fratelli e parenti mi chiamano Mimmo, «Mimm». Mia moglie e amici mi chiamano Pedro, nome d’arte di quando suonavo il sax da ragazzo nella band «Gli Innominati» e realizzato la card «Pedro’s Trip». Gli amici in ambito lavorativo Domenico. A Torino i miei più stretti collaboratori e conoscenti Petrone. A Roma mi chiamano dottore ed in ambienti politici ed istituzionali, con più rispetto, Presidente. Per me va bene così, come naturalmente avviene. Sarebbe imbarazzante d’altra parte se persone che non conosco mi chiamassero Mimm o Pedro oppure amici e parenti col titolo di dottore o presidente. Mi piace Pedro, «per gli amici». 64 CAPITOLO 20 Superstizione o casualità? Il 2000 coincide con i «miei primi 50 anni», una bella concomitanza. Io credo nelle coincidenze numeriche e mnemoniche, sono anch’esse circostanze, motivanti, quasi come un richiamo. Un segno del destino? Chi lo sa? Per me un nuovo punto di partenza. Tante operazioni, per esempio, le ho concluse nel giorno tredici del mese e tendenzialmente cerco sempre quel giorno per fare cose importanti. Sarò sciocco, banale o forse superstizioso? Poco importa, pensarlo non cambia la vita di nessuno. Per me è così, io sono nato il giorno tredici e ritengo che sia un numero fortunato pur non credendo nella fortuna. Il 13 aprile del 2000 fra i tanti regali ne ricevetti anche uno fantastico, perché fu una sorta di «concessione» di mia moglie, una Porsche 969, grigio metallizzato, un’auto laboratorio sulla quale la casa di Stoccarda decise di investire tutto il proprio know how in fatto di elettronica, meccanica e design. All’epoca era l’auto più avanzata e veloce del mondo, un pezzo rarissimo che curai e coccolai gelosamente per anni e che su di me aveva un effetto strano: quando la guidavo mi sentivo più giovane, anzi giovanissimo; provavo la stessa sensazione di quando avevo 18 anni e viaggiavo con il mio Innocenti spider rosso fiammante, la mia prima passione. Chissà se a Stoccarda sarebbero fieri di questo paragone: il loro missile con motore boxer biturbo da 400 Cv, la loro sofisticatissima trazione integrale gestita da computer, i mille controlli elettronici per tenere in strada questo laboratorio viaggiante paragonati a una spiderina con motore anteriore 4 cilindri in linea di 948 cc da 43 Cv. Ma, nelle auto, come nella vita, quello che conta sono le emozioni nel possedere «cose belle». E qui non si discute. 65 CAPITOLO 21 Il 2000 L’anno 2000 fu per me impetuoso. Presi coscienza del cinquantesimo anno di età e mi resi terribilmente conto di come era passato velocemente il tempo. Non potevo crederci. Pensavo che inevitabilmente stavo invecchiando, e mi venne una gran voglia di dimostrare che ero solo all’inizio del mio percorso. Da quel momento diventai ancor più irrequieto, esigevo di più da tutti e da me stesso, il mio motto divenne «know more, do more, be more», e volevo fare tutto più in fretta. L’inizio del nuovo millennio coincise con l’inizio di un’importante nuova svolta: l’evoluzione della Elem, da semplice produttore di piastre elettroniche ad una realtà capace di progettare prodotti e sistemi complessi, avviando un processo di sviluppo, procurando nuove capacità, con operazioni di acquisizioni. Iniziarono così i primi progetti per la costruzione del Gruppo Elem, con l’obiettivo di aggregare aziende specializzate e focalizzate sul core business, dando vita alla prima Business Unit: la Elem Sistemi, società indirizzata alla «Ricerca & Sviluppo, alla Progettazione, all’Ingegnerizzazione e alla Produzione di Sistemi Elettronici». Una prima partecipazione in altre aziende venne realizzata nella società Axis, spin-off di ingegneri, progettisti, inventori della SEPA, veri e propri guru d’elettronica, esperti in tecnologie militari e satellitari, che avevano già progettato ed ingegnerizzato il primo navigatore satellitare, il Route Planner, prodotto dalla Elem e commercializzato dalla Magneti Marelli. Decidemmo con gli ingegneri-progettisti-azionisti dell’Axis di dar il via ad un progetto innovativo, con l’integrazione e la convergenza di quattro tecnologie: Microcomputer, Gps, Gsm, CanBus, realizzando il primo sistema satellitare per la gestione delle flotte di mezzi pesanti E-Where, in concorrenza con i sistemi satellitari 66 della blasonata Viasat allora di proprietà di Seat (Telecom) e Magneti Marelli (Fiat). In ottica di aumentare le nostre capability progettative e produttive, di incrementare le risorse operative e di creare i presupposti per poter realizzare e produrre nuovi prodotti e sistemi, acquistammo un altro stabilimento, in Via Aosta 22, proprio innanzi al primo complesso, con l’idea predominante di suddividere e ampliare le competenze. Sviluppammo il progetto in meno di sei mesi! Delegai al Signor Carlo Suozzi la direzione dei lavori. Lui pianificò la road map di tutte le attività previste con la massima diligenza ed efficienza: progetto, licenze e permessi, opere murarie, infrastrutture tecnologiche, insegne, arredamenti, layout, logistica dei trasferimenti, e quanto altro. Furono rispettati i tempi grazie al pragmatismo ed alla concretezza del caro e compianto Suozzi, che purtroppo scomparve nel 2007. Lo ricordiamo ancora con affetto. In tempi record iniziammo a produrre ed assemblare, sulle nuove linee, i navigatori satellitari Route Planner, i localizzatori per Logosystems e successivamente i moduli Connect e i moduli Infotelematici per la Magneti Marelli. Fu la pietra miliare di un nuovo cambiamento, la svolta verso l’imponderabile, un mutamento del progetto originario, un’evoluzione che portò cambiamenti sostanziali alle prospettive di crescita, creando nuove ambizioni e aspettative. L’origine del progetto New Evolution. In occasione della cena di Natale con le maestranze, ci fu anche l’inaugurazione ufficiale del nuovo stabilimento con molti ospiti: clienti, fornitori ed amici. Un’occasione per confermare strategie future, ringraziare e congratularmi con tutti coloro che avevano collaborato e consentito, con successo, al raggiungimento dei primi importanti obiettivi. Ecco il discorso della serata, Lo voglio riproporre perché secondo me condensa alla perfezione in concetto di azienda diversa, familiare per certi aspetti. «Desidero congratularmi con lo staff che ha organizzato la festa del 67 22 dicembre e ringraziare tutti coloro che hanno aderito: maestranze, amici, clienti, fornitori. Vorrei ancora evidenziare che con l’avviamento del nuovo insediamento produttivo della Elem Sistemi, inizia per il Gruppo un Grande Progetto, un progetto di cambiamento strategico. Un progetto che trasforma le nostre attività da produttori di schede elettroniche, a produttori di Sistemi. Il mercato e i nostri Clienti ci chiedono forniture non solo di sottogruppi, ma anche di prodotti e sistemi complessi nel settore automobilistico e della telematica. Per intenderci, terminali Internet per auto e terminali Internet per la casa. Questo comporterà un maggiore impegno nella progettazione, nell’ingegnerizzazione e nella produzione; il che vuol dire incremento e potenziamento delle risorse umane, strutturali ed economiche. Una grande opportunità operativa che coinvolge clienti, fornitori e maestranze. Un impegno nello sviluppare nuovi prodotti ad alta tecnologia da produrre a Venaria in Elem Sistemi. Da sempre, sono convinto che prodotti ad alta tecnologia si possano produrre in Italia in competizione con altri Paesi e altre realtà, non è un’impresa facile, ma ci sono tutti i presupposti, e sarà un successo! Ringrazio in anticipo tutti quelli che ci aiuteranno a perseguire questo progetto che innalzerà la bandiera del Made in Italy. Esprimo affetto e riconoscenza a tutti i collaboratori che hanno già contribuito a realizzare una storia di successo industriale di oltre 27 anni. Con orgoglio offro in dono il marchio distintivo della Elem a chi ha compiuto nel corso dell’anno 2000 i primi 25 anni di attività, Minuzzo Mariangela; 15 anni Milesi Luisa e i 10 anni, Astori, D’Errico, Spina, Franzoso, D’Anna. Complimenti al Signor Barengo e al Signor Suozzi, e a tutti i collaboratori, per la professionalità ed il gran lavoro svolto rispettivamente per l’organizzazione dell’efficiente staff operativo e per la realizzazione del nuovo insediamento produttivo. Sono commosso e lusingato per la magnifica targa commemorativa ricevuta in dono dalle 68 maestranze cui esprimo la mia massima gratitudine. Grazie. Un caloroso abbraccio». La targa: 22-11-2000. «In occasione dell’inaugurazione del nuovo stabilimento produttivo le maestranze tutte ringraziano il presidente del Gruppo, Sig. Domenico Petrone per l’entusiasmo l’impegno ed il coraggio nell’aver affrontato e vinto le difficili sfide che hanno portato nel corso degli anni la Elem ad un incessante sviluppo. Oggi con orgoglio e professionalità sono tutti pronti ad iniziare il ‘grande progetto’ con la volontà di essere ancora una volta protagonisti di un nuovo successo. Grazie al nostro presidente ed insieme sempre più avanti. Le Sue Maestranze». 69 CAPITOLO 22 La missione aziendale Non dobbiamo mai dimenticare che un’azienda è un’organizzazione industriale strutturata con unità operative specializzate ed orientate al Cliente. E la missione di chi la dirige deve sempre consistere nell’adeguarsi rapidamente alle esigenze della clientela e alla loro evoluzione. È questo il segreto. Non è un caso che il nostro successo dipende e dipenderà dalle conoscenze tecnologiche del nostro staff e di tutti i nostri uomini, dalla qualità e rapidità di risposta e dalla volontà di migliorare e sviluppare le nostre capacità. Questi concetti a volte sono anche usciti dalla mia azienda: qualche giornalista più scaltro degli altri ha afferrato il concetto. E ne ha fatto un servizio per il suo giornale. Ne cito uno per tutti: il titolo era «Quando i progetti diventano realtà». E l’articolo era questo: «È un 2001 pieno di promesse e rinnovati orizzonti quello che si è aperto per il Gruppo Elem che ha festeggiato i ventisette anni d’attività, caratterizzati da un trend estremamente positivo, confermando la tendenza della New Evolution, nel senso che rafforza le attività e la specializzazione del Gruppo con le società Axis ed Elem Engineering, che si occupano rispettivamente della R&S, della progettazione e dell’industrializzazione di prodotti e sistemi elettronici, inserendosi in una dimensione proiettata verso un futuro ricchissimo di possibilità e di prospettive. Nel settore dell’aftermarket, ad esempio, con progetti avanzati, come quello delle black-box per la localizzazione, controllo e la gestione delle flotte. Il ciclo viene così completato e l’anello si chiude: dalla fase della progettazione dell’hardware elettronico, alla produzione di prodotti finiti. E qui sta la novità, il salto ad una nuova era per il Gruppo Elem che si evolve e si rinnova nel proprio interno, trasferendo alla Elem Sistemi, società del Gruppo che si è sempre occupata di ricerca e sviluppo e 70 industrializzazione del prodotto, una nuova identità ed un nuovo ruolo. Ma anche una nuova sede: quella progettata nell’area prospiciente l’attuale struttura e di cui si sono conclusi i lavori di realizzazione. Si tratta di un nuovo complesso industriale di ulteriori quattromila metri quadrati che, affiancandosi alla struttura attuale, costituirà l’insediamento di una vera e propria cittadella tecnologica alle porte di Torino (un comprensorio di oltre ventimila metri), autonoma ed autosufficiente nei settori Automotive, Domotica e Technology Information. Obiettivi importanti che il presidente Domenico Petrone si era prefisso di raggiungere e che ora diventano una realtà operativa e che premiano l’impegno e la costanza di un’azienda che ha saputo focalizzare il proprio core business con una politica attenta alle giuste scelte ed al cammino da percorrere: scelte di partner di prestigio, diversificazione dei settori operativi ed estrema flessibilità dell’azienda per adeguarsi con sempre maggiore efficacia ai mutamenti e all’evoluzione del settore della subfornitura elettronica. Fino al ruolo di global supplier che concretizza un impegno nelle aree di attività che si sono progressivamente estese dal settore dell’elettronica industriale a quello dell’informatica, dalle telecomunicazioni all’automotive ad alto contenuto tecnologico. Da sottolineare anche il recentissimo annuncio di un accordo con un’importante azienda per la realizzazione di prodotti nel settore della domotica. Il futuro della webTV (Home Station), degli sviluppi e della diffusione inarrestabile di Internet, passa anche nel complesso industriale di Venaria. Proprio ad Internet il Gruppo si sta rivolgendo per un’azione di comunicazione esterna nei confronti della richiesta di sistemi OEM, ma anche per la ricerca e la selezione del personale che, come anticipato alla stampa dal presidente Petrone, verrà a contribuire allo sviluppo del nuovo polo aziendale. Potevano sembrare sogni nel cassetto di un’azienda silenziosamente consolidata nel sofferto settore elettronico, e invece l’annunciato balzo del fatturato (da dieci a 71 quaranta milioni di euro entro il 2004) diventa oggi una scommessa sempre più vicina alla realtà. Una realtà che sviluppa il processo di trasformazione dell’azienda di Via Aosta. Dalla fase di subfornitura nella produzione di schede elettroniche a quella di fornitura di prodotti e sistemi OEM (Original Equipments Manufacturing). Una verticalizzazione totale fortemente voluta e tenacemente perseguita con il potenziamento delle aree produttive frutto degli importanti accordi conclusi con aziende leader di tutto il mondo. Il futuro dell’industria piemontese degli anni Duemila passa anche da qui. Il resto è storia: una storia iniziata ventisette anni fa con rilevanti investimenti in risorse umane e strutturali in un settore sempre più consistente in rapporto agli assetti dell’economia italiana e mondiale, dal quale la Elem non vuole essere esclusa». 72 PARTE QUARTA LA NUOVA ERA CAPITOLO 23 Il sogno diventa realtà La grande novità di quel periodo fu la bella sorpresa che mia figlia Barbara, dopo otto anni d’esperienza in qualità di stilista nel settore della moda, dopo aver verificato che quel mondo non era poi così bello e luccicante come appariva, decise di prendere casa a Torino con Umberto, suo imminente sposo, e di lavorare in Elem Group, dando man forte nell’area amministrativa e nelle aree di organizzazione delle attività produttive. Incredibile ma vero: il mio desiderio originale, su cui ormai non contavo più di tanto, all’improvviso si realizzò, creando anche le premesse alla decisione di Marco che mi diede notizia che, completata la laurea in Giurisprudenza, avrebbe conseguito alla Bocconi di Milano un master in strategia aziendale, e che in seguito sarebbe anche lui sopraggiunto in Elem Group, con l’intento di rafforzare la «squadra», in considerazione dei presupposti sempre più motivanti che maturavano, tali da richiedere nuove professionalità anche nel comparto giuridico ed organizzativo. Queste circostanze hanno ulteriormente aumentato in me le motivazioni, la voglia e la necessità di far crescere il Gruppo, sia a livello nazionale che internazionale. Lavorare con le persone che ami è la cosa più importante e ti regala una motivazione fortissima, la classica marcia in più. Non è un caso che proprio in quel periodo scattò in me la molla della necessità di inventarsi qualcosa di nuovo e scatenante. Non era più accettabile una crescita solo nel comparto produttivo, anche se pur importante e qualificante. Era opportuno allungare la filiera e la catena dei valori, occorreva per accelerare la crescita acquisire nuovi mercati e aggregare nuove competenze. Iniziai così un’attenta ed ambiziosa analisi e considerazioni industriali ed economiche, valutando aziende in difficoltà in via di dismissioni, prime tra tutte la Olivetti Computer di Scarmagno, successivamente i due stabilimenti 75 Ericsson di Marcianise e Pagani, la Bull di Caluso e persino la grande Magneti Marelli Divisione Elettronica. Tutte registrarono situazioni organizzative e finanziarie drammaticamente critiche. Dedicai molto tempo e massima attenzione, studiando piani industriali di integrazione e possibili recuperi di impianti e competenze tecnologiche, in sinergia con l’esperienza, le conoscenze e l’eccellenza che avevamo raggiunto con l’Elem Group. La volontà era quella di concludere almeno un’operazione, ma la situazione ed il contesto non erano a me favorevoli. In quel periodo c’era sul mercato un «faccendiere» che «rastrellava di tutto e indipendentemente da tutto». Rapace e veloce, stipulava accordi non ortodossi e poco etici, agglomerando aziende disastrate ed obsolete in un chiacchierato Gruppo Finmek. Politici e capi d’azienda diedero molta fiducia e tanti «soldoni» pur di liberarsi di aziende passive e di assecondare alcuni sindacati sprovveduti, nonostante fossero più che evidenti diversi segnali negativi. Tardivamente capirono la drammaticità di scelte scellerate, purtroppo solo molti anni dopo, quando le notizie scandalose riguardanti quella faccenda comparvero in modo dirompente su tutti i giornali. Scorrettezze ed incapacità devastanti provocarono il collasso finanziario, mettendo sul lastrico migliaia di persone e dissolvendo nel nulla oltre mille milioni di euro. Il risultato fu che le più grandi aziende italiane nel settore elettronico, che avrebbero potuto riprendersi perseguendo con altre strategie e operando in nuovi contesti, si sgretolarono generando nel contempo opportunità per la Elem, che rimase una delle poche aziende italiane a produrre tecnologie sofisticate in termini profittevoli. La grande opportunità emerse nel 2002 con Viasat, proprio per le difficoltà della Finmek che non riusciva a fornire prodotti affidabili nei costi e nei tempi richiesti. Così mi venne proposto di rilevare la società romana. Viasat, grazie alle tecnologie di Telespazio, aveva 76 inventato e stava commercializzando in grandi volumi il primo antifurto satellitare orientato al mercato consumer, strategia realizzata tramite la joint-venture tra Telecom e Magneti Marelli, con l’obiettivo di conquistare il mercato europeo. In poco tempo Viasat era diventata leader di mercato, e tuttavia la sua situazione economica, organizzativa e commerciale era un vero disastro. Dalle mie analisi e considerazioni intuitive, mi resi subito conto che la situazione, se pur drammatica, era recuperabile nonostante le opinioni negative dei consulenti e dei massimi esperti che coinvolsi nella possibile operazione, sconsigliata da molti di loro. Mi impegnai giorno e notte e così ebbi modo di portarla a termine ugualmente, realizzando l’acquisizione della mitica Viasat. Ero convinto di poter ridurre ed ottimizzare gli ingenti costi fissi e variabili, creando una notevole sinergia con la Elem, e realizzando un progetto industriale all’insegna dell’ottimizzazione dei comparti produttivi e progettativi presso gli stabilimenti di Torino. Volevo inoltre realizzare una seconda centrale operativa, organizzare e potenziare la sede di Roma trasferendola in una nuova location, e poi ancora riorganizzare il servizio clienti, l’area commerciale e quella amministrativa. Un semplice giochino elementare. Oppure no? Il progetto prevedeva fin da subito una decisa svolta e significativi cambiamenti organizzativi, tali da consentire un formidabile sviluppo delle due importanti realtà industriali, con sostanziali efficienze operative e economiche, col fine di offrire al mercato infomobility, maggiore competitività e velocità di realizzazione di prodotti e servizi. Le attività del nuovo Gruppo aziendale da me costituito si estendevano trasversalmente dalla ricerca e sviluppo alla progettazione, alla ingegnerizzazione, all’industrializzazione e alla produzione di nuovi prodotti e di nuovi servizi, sia nell’aftermarket, sia nell’OEM, nonché ovviamente allo sviluppo nell’area commerciale con una rete di oltre 77 milleottocento dealer, autoconcessionari e installatori. Sui giornali comparvero molti articoli sull’operazione. Ecco alcuni titoli: La Stampa: «Viasat punta a raddoppiare i propri clienti da centomila a duecentomila»; Il Sole 24 Ore: «Storia di successo. Elem, da un garage all’Europa»; Italia Oggi: «Exefin compra Viasat»; La Repubblica: «Viasat apre a Venaria la seconda centrale operativa»; Torino Cronaca: «Da un garage alla conquista dell’Europa»; Quattroruote: «Viasat, il grande fratello della Tiburtina»; Il Giornale: «La Venaria Valley partorisce un piano per la sicurezza globale». Tra gli articoli che meglio individuano la mia euforia e il mio orgoglio di quel periodo, cito sopra tutti l’articolo dal titolo «Il progetto evolutivo del Gruppo Elem-Viasat» scritto personalmente dal Direttore di Torino Cronaca Beppe Fossati. Eccolo: «Quando Domenico Petrone mi confidò che stava acquisendo Viasat, ripensai ad un pomeriggio di qualche anno prima, ad una passeggiata nel centro di Torino con tutte le vetrine illuminate e cariche di tentazioni natalizie. Lui parlava e parlava dei suoi progetti, disegnava uno scenario di aziende in grado di progettare un sistema satellitare di protezione delle auto e delle case, di un intreccio di segnali e di input elettronici che mi confuse. Onestamente pensai che il mio amico era un gran sognatore. Ricordo che gli dissi: «Perché non scrivi un libro?». Lui il libro non lo scrisse ma, giuro, me lo raccontò per filo e per segno. E non era un libro di fantascienza. Oggi il progetto che aveva nella testa in quella passeggiata è diventato una realtà. Una realtà che si chiama Viasat ma non solo; che si chiama Gruppo Elem che vuol dire progettazione e produzione di elettronica high tech, ma non solo; che si chiama Venaria Valley, intesa come polo di eccellenza dell’industria elettronica alle porte di Torino. E potrei ancora aggiungere: ma non solo. Diceva Henry Ford che per crescere, per non doversi sostenere i pantaloni con una cordicella, occorre pensare in grande. Ebbene, il mio amico Petrone ha pensato in 78 grande. Con l’acquisizione del colosso Viasat, che ha curato come un medico paziente dai suoi acciacchi che gli venivano da un’infanzia industriale difficile seppur vissuta all’ombra di grandi gruppi industriali, vicino al vero traguardo europeo. Il passo che si sta compiendo in questi giorni con l’apertura della seconda centrale operativa Viasat a Venaria, ad un passo appena dagli stabilimenti dove si progettano e si realizzano i terminali, è molto significativo. Perché raddoppia le potenzialità invece di restringerle, perché allarga gli scenari territoriali invece di contrarli, perché è destinato – e lo sta facendo – a creare occupazione. In questo nostro Paese siamo abituati da tempo agli industriali che acquistano le aziende con il fine di ristrutturarle. E tutti sappiamo come: si tagliano i posti di lavoro, si valorizzano le aree e, dove prima sorgeva una fonte di produzione e dunque di benessere, nell’arco di qualche anno spunta una delle tante operazioni speculative. Domenico Petrone ha il vizio dell’impresa e il gusto della sfida. Non taglia, razionalizza certo, ma per crescere. Lo prova la seconda centrale operativa che nulla toglie alla sede storica di Roma, semmai la rafforza, lo proveranno la nuova realtà che dovrà sorgere nel Mezzogiorno d’Italia ed altri accordi che, via via, verranno realizzati in Europa. Viasat non è più un bambino intelligente ma gracile, è diventato un adulto forte e capace di assolvere ai propri compiti. E sta andando a scuola di tecnologia per diventare ancora più forte con il suo zaino di tecnologia pieno di informazioni satellitari che lo hanno trasformato in un vero sistema telematico e di tante altre cose ancora, come quella, fondamentale per garantire più sicurezza e più protezione, o di postino elettronico visto che può farci arrivare in auto anche messaggi, posta elettronica, informazioni sul traffico. Davvero un bel libro, caro Petrone. Adesso non mi resta che aspettare un’altra passeggiata natalizia. Per sognare ancora insieme a te. Beppe Fossati». 79 CAPITOLO 24 Fissare i paletti: principi e progetti Il clima era elettrizzante sia per i riscontri esterni, che all’interno delle aziende, reso ancor più motivante dalle iniziative di Marco che nel frattempo si destreggiava trasversalmente in tutti i comparti e reparti per raccogliere impressioni, suggerimenti e progetti di miglioramento sia nel contesto Elem che Viasat, affrontando argomenti che poi riportava a conoscenza di tutti scrivendo articoli sul nuovo Magazine Viasat-Elem Group. Marco, nel frattempo, come detto, si era laureato a Torino con una tesi dal titolo «Servizi Internet. Struttura di mercato e concorrenza», quasi lo stesso giorno in cui avevo siglato, sul finire del 2002, l’acquisizione di Viasat, e l’anno dopo aveva concluso con successo a Milano il master alla Bocconi, specializzandosi con un’approfondita ricerca dal titolo «Analisi del settore antifurto, assistenza e navigazione satellitare». Con il mio massimo orgoglio e felicità, entrò in azienda, iniziando ad occuparsi con Barbara dell’organizzazione delle Business Unit industriali, e più in particolare della Elem. Si distinse subito per il suo modo affabile di relazionarsi con le maestranze, in modo intelligente, discreto ed umile, nonché con una grande voglia dichiarata di lavorare per imparare da chi l’azienda l’aveva vista nascere, contribuendo alla sviluppo della stessa. Tra i primi progetti che si propose, ci fu quello volto al miglioramento della comunicazione trasversale tra le Unità operative di Torino e Roma, ed in particolare alla divulgazione a tutte le aziende del Gruppo dei sani principi etici che avevano contribuito a fare grande la Elem, usando sue parole e un nuovo modo di comunicare ed esprimere meglio i consolidati concetti e valori: - Principio dell’apprendere: «Impegno a sviluppare nuove idee e nuovi prodotti; a ricercare nuovi mercati e nuovi clienti; a migliorare continuamente la qualità del 80 processo operativo e gestionale; a partecipare con volontà e convinzione, ad una rapida crescita professionale e tecnologica nel contesto del proprio core business». - Principio del fare: «Impegno a realizzare attività di sviluppo con piani operativi innovativi e per concretizzare sul piano materiale tutti i miglioramenti acquisibili attraverso il principio dell’apprendere». - Principio dell’insegnare a fare: «Impegno nel trasferire agli altri membri della squadra le proprie conoscenze ed esperienze per farne un bene collettivo». - Principio del vero: «Impegno a perseguire sempre il vero, evitando di dedicare tempo e risorse perseguendo realtà illusorie manipolate e manomesse da millantatori e avventurieri». - Principio del giusto: «Impegno a perseguire ciò che è giusto, rifiutando la menzogna, la calunnia e l’invidia; a riconoscere le capacità e il valore degli altri, promuovendone il riconoscimento e la valorizzazione». - Principio del bello: «Impegno a sviluppare prodotti e servizi, non solo qualitativamente utili ma anche piacevoli e appaganti alla vista in termini di originalità e bellezza». Ciò detto, quando ci si lascia andare alla stesura di questi concetti chiave non bisogna mai ignorare il fatto di quanto poi possa essere difficile trasmettere questi stessi concetti a chi lavora con noi. «I principi enunciati – spiegò Marco in quell’occasione - però vanno difesi con le unghie e con i denti e sono spesso sulla bocca di chi ha partecipato alla formazione con una dura elaborazione quotidiana, sono il risultato di un processo che attraverso una serie di prove ed errori è giunta alla definizione di un giusto modo di pensare utile per membri della squadra, clienti, dealer, agenti, collaboratori, fornitori e stakeholder in genere. Di volta in volta spenderemo dunque qualche parola in più per ricordare il significato di quei valori che da oggi non dovranno più caratterizzare la sola Elem ma l’intero contesto che interagisce con il Gruppo ViasatElem». Finalmente non ero più solo. I miei figli lavoravano con me. Un altro sogno era diventato realtà. 81 CAPITOLO 25 Gruppo ELEM: Trentesimo anniversario «Vivete per il presente, sognate per l’avvenire, imparate dal passato». Ma esiste il presente? Io credo di no. È evidente che subito dopo un evento, il presente diventa subito passato, tutto scorre velocemente. Perché queste considerazioni? Penso che un pò di filosofia possa far capire meglio le idee che incoscientemente affiorano nella mente e che generano nuovi stimoli per l'esistenza. La mia vita d’altra parte parla un pò da sola: per la Elem la storia inizia nel 1973 in un laboratorio elettronico di via Pacchiotti a Torino. È l'inizio di un percorso in salita, di duro lavoro ma anche di successi e soddisfazioni; un viaggio che ha consentito di dar vita a un grande Gruppo industriale. La mia primogenita Barbara non era ancora nata, ma già si agitava nel pancino di Gianna, mia moglie, mentre lavoravamo in quel piccolo laboratorio dove si montavano le prime «schedine elettroniche» per la Comau-Fase e per la Fiat, proprio nel periodo in cui si diceva che l’elettronica non avrebbe avuto un futuro: «a intrerà mai… con dui relè a sfa tutt…». Nelle ore serali e notturne studiavo l’elettronica e sognavo un grande laboratorio di Ricerca e Sviluppo, la Elem Progetti, dove «concepire» la realizzazione di tanti piccoli sogni. Questi pensieri correvano nella mia mente nella serata primaverile dell’aprile 2004, in occasione del festeggiamento del trentesimo anniversario del Gruppo Elem. Si tenne nell’incantevole salone delle feste del Castello di Stupinigi (residenza della Famiglia Reale dei Savoia) con la partecipazione entusiasta di mia moglie Gianna, i miei figli Barbara e Marco e tanti amici, collaboratori e partner. Un evento di altissimo livello per la scenografia spettacolare, l'organizzazione e l'entusiasmo. Tutto perfetto: dallo svolgimento della cena agli intermezzi, dalle premiazioni dei collaboratori allo spettacolo 82 organizzato per il dopocena. Emozionatissimo, rivolsi dal palco un breve discorso, ma più che con le parole esprimevo felicità ed emozione con lo sguardo per l’importante significato della serata. I miei occhi dicevano: «Sono felice di festeggiare un importante traguardo del mio Gruppo, grazie anche al contributo di tutti i collaboratori che hanno creduto in me e nell'Azienda. Sono felice ripensando al viaggio intrapreso, dai primi inizi, in una garage di pochi metri quadrati, fino agli ultimi importanti traguardi raggiunti». Un’emozione travolgente che contagiò tutti i partecipanti. È bello festeggiare per il successo ottenuto, ma la vera soddisfazione nasce dalla consapevolezza di averlo cercato, inseguito, di avere faticato e lavorato molto per ottenerlo. Un bel sogno diventato una grande realtà. Per un momento fissai ipnotizzato gli occhi di Lindo e Maria, i genitori di Gianna, e ripensai a mio padre e mia madre che purtroppo non c’erano più. Eppure «sentivo» la loro presenza, come se fossero seduti in prima fila. Mia mamma che dice a papà: «Titill, si vist Mimm...!» (Franco, hai visto Mimmo…!). Da quella sera la storia del Gruppo Elem è diventato magicamente la storia di tutti noi, pronti a partecipare al «nuovo viaggio», consapevoli che «il bello deve ancora arrivare». In occasione di quell’evento, avevo divulgato pubblicamente il sogno, il progetto, il percorso da seguire. Da quel momento «il sogno» si è avviato verso un nuovo ciclo e un nuovo viaggio. Un progetto evolutivo apprezzato e metabolizzato da tutti. Quella festa è stata anche l'occasione per consegnare un Premio alla Carriera ai miei più stretti collaboratori per celebrare la fiducia reciproca, nata nei lontani tempi della fondazione del Gruppo. Ricevetti a mia volta una targa molto divertente: «Al nostro Presidente IN: perennemente in-soddisfatto, in-stancabile, in-contentabile, in-saziabile, ma per noi, in-sostituibile, in-traprendente, in-vincibile, incontentabile. Con affetto e profonda stima da tutti i suoi collaboratori della Elem Group e Viasat che le augurano nuovi successi in-sieme». 83 CAPITOLO 26 Evolution IPO. Viasat Group Nei primi mesi del 2006, Gianfilippo Cuneo, cofondatore della Bain & C. mi chiese spontaneamente un incontro, per prospettarmi un interessante scenario di sviluppo di Elem Group, avvalendosi della collaborazione del fondo Synergo. Questo fondo, attraverso operazioni di leveraggio, finanziava società esemplari nate da realtà imprenditoriali e predisposte al cambio generazionale coi propri figli, o a strutturare l’azienda affidando allo staff manageriale compiti gestionali, e ancor meglio definire strategie di sviluppo con piani triennali in un contesto internazionale. Gli obiettivi, oltre allo sviluppo delle capacità interne, prevedevano anche sinergie con altri gruppi industriali, aprendo nuovi canali, potenziando la rete commerciale, creando nuovi prodotti, utilizzando il network e le storiche relazioni industriali e finanziarie di Synergo. Le prospettive furono attraenti ed interessanti. Musica per le mie orecchie. Sarebbe stato da sprovveduto non approfondire proposte ed ipotesi da farsi con esperti consulenti. In ogni caso lo studio avrebbe costituito un interessante esercizio utile per riflettere su possibili scenari futuri. Dichiarai la mia disponibilità ed insieme a Marco avviammo le consultazioni, con analisi dei bilanci dei tre anni precedenti, pre-chiusura dell’anno in corso, business plan dei futuri anni e quant’altro. Trascorsero così alcuni mesi, ricevendo idee, proposte ed offerte economiche molto allettanti. Altri eventi mi convinsero ancor di più sull’opportunità di finalizzare intese strategiche con altre realtà industriali e finanziarie, al fine di rafforzare il Gruppo Elem e realizzare una realtà dalle dimensioni mondiali. Ituran, società israeliana, quotata al Nasdaq di New York, leader nel settore dei servizi a tecnologie satellitari, operante in Usa, America latina, Asia e propensa allo sviluppo del 84 mercato europeo, mi presentò un progetto d’integrazione e manifestò l’interesse ad acquisire il cinquantuno per cento di Viasat con una proposta economica allettante. Nel frattempo, conobbi l’amministratore di ABM Finance, società di consulenza e di M&A, il quale mi sconsigliò fermamente di accettare proposte «capestro» di quel genere, poiché, a parer suo, mi avrebbero fatto perdere, immancabilmente, la padronanza ed il controllo del Gruppo. Questo parere era fondato sulla ragione che chiunque avesse terminato l’operazione, certamente, l’avrebbe fatto per convenienza e a proprie condizioni favorevoli, e quindi a valori sensibilmente inferiori a quelli di mercato. Alternativamente, suggerì interessanti prospettive e l’opportunità del momento per un rapido percorso di quotazione in borsa con un progetto di IPO. La circostanza consentiva di monetizzare in modo allettante una quota da destinare all’imprenditore e ottenere dal mercato una valorizzazione di tutte le società del Gruppo, con meccanismi di multipli dell’Ebitda superiore a proposte proveniente da fondi o società già quotate. Di ciò, ebbi la piena conferma a seguito dello studio e delle valutazioni da parte di esperti analisti delle più importanti banche italiane. Tutte concordavano. Ricevemmo pareri favorevoli e prospettive di valori economici decisamente superiori alle prime proposte, anche in considerazione del particolare momento favorevole e d’euforia di tutte le Borse mondiali. Pertanto presi la decisione di procedere e correre in tal senso. Nel mese d’ottobre affidai l’incarico d’advisor all’ABM, avviando l’ambizioso progetto «Evolution IPO», con l’obiettivo di terminare l’operazione già nell’aprile del 2007. Credo che questa decisione entrerà nella mia storia, nel bene e nel male, come un fatto d’eccezionale portata, tale da dar seguito ad una serie di eventi evolutivi che in futuro trasformeranno completamente strategie, dimensione, perimetro, visibilità e approcci operativi di tutto il Gruppo. 85 CAPITOLO 27 La profanazione del tempio dell’elettronica La prima fase dell’operazione mi obbligò a ridisegnare la struttura organizzativa e industriale, instaurando una collaborazione con le banche Sanpaolo-Imi, Unicredit e Intermonte, alle quali accordai il compito di Sponsor e Global Coordinator nell’ambito della quotazione della società presso il Mercato Telematico Azionario di Borsa Italiana nel settore Star. Pur esprimendo considerazioni lusinghiere per l’attività ed i risultati conseguiti in oltre trentatré anni di successo, chiesero di revisionare totalmente l’organizzazione manageriale, strutturandola con nuove competenze amministrative e commerciali, nominando un nuovo CDA strategico ed un team capace di esprimere ed incrementare ulteriori capacità, garantire il progetto IPO nei termini prefissati e dar manforte all’imprenditore. Affidai alla società Replay la stesura dei piani, la riprogettazione dell’organizzazione strategica ed operativa, e la costituzione dell’holding capogruppo, trasformando l’Exefin in Viasat Group Spa, a cui furono assegnate e centralizzate tutte le funzioni comuni delle società del Gruppo, assumendo ed inserendo nel contempo nuove figure professionali e nuove competenze, indispensabili per il conseguimento del progetto. Avviammo così il processo di quotazione, con una road map che comprendeva una lunga serie d’attività estenuanti e massacranti da concludersi nell’arco di sei mesi: incontri con le banche, nomine legali, chiusura bilancio civilistico, nomina revisore e certificazione bilancio 2006 e dei tre anni pregressi, assemblee straordinarie, incarico a società di comunicazione, incontro con Consob e Borsa Italiana, aggiornamento del Prospetto Informativo e del Piano Industriale, richiesta formale per la quotazione, domande e risposte ai quesiti della Borsa e della Consob. Fu un momento molto duro. 86 A titolo d’esempio, la sola stesura del Prospetto Informativo, curato in prima persona da Marco in collaborazione con gli studi legali Chiomenti, Allen & Overy e da ABM, richiese oltre cinque mesi d’estenuante impegno con oltre tremila ore di lavoro, sacrificando molti giorni prefestivi e festivi. L’inconveniente di quel clima fibrillante lo subì in generale tutta l’organizzazione. Le riunioni, i piani operativi, i cambiamenti, le attese, i ritardi e i tentativi di recupero furono tormentanti. Per fare tutto nei termini, ci avvalemmo di risorse esterne, sostenendo costi per oltre due milioni di euro. Impressionante, assurdo, ma vero. Pareva che ne valesse la pena. Struttura ed organizzazione ne risentirono. Reception, sale riunioni, uffici, officina e magazzini della «Inviolata Elem», furono violati ed usurpati, giorno dopo giorno da oltre «quaranta consulenti», che «volevano conoscere di tutto senza capirne molto del nostro processo». L’impressione era quella che stessimo patendo un’invasione di campo. Pareva che stessimo subendo «la profanazione del tempio dell’elettronica da parte dei Filistei». L’obiettivo principale fu quello di fare tutto velocemente. Eppure, più ci agitavamo per far prima, più aumentava il ritardo. Probabilmente sbagliammo nell’approccio, non eravamo capaci a fare bene e veloci, tanto è vero che mancammo davvero tutte le tempistiche, inconsciamente cumulando ritardi che non riuscimmo più a recuperare. Nonostante tutto, anche se in affanno, portammo a compimento tutto il lavoro, rispondemmo ad oltre cento quesiti richiesti dai funzionari di Borsa. Ricevemmo nel mese di giugno apprezzamenti positivi dagli Analisti Istituzionali e dal direttore generale della Consob. Sembrava ormai fatta. Festeggiammo persino con grande euforia con tutto lo staff al prestigioso ristorante Aleph di Roma per la quasi conclusione del progetto. Non bisognerebbe mai cantar vittoria prima del tempo. E infatti successe l’imprevedibile. Un machiavellico chiarimento richiesto da una funzionaria della Consob 87 proprio negli ultimi giorni di luglio, nell’imminente periodo feriale, ci mise in difficoltà e ci fece perdere l’attimo fuggente. La lunga stesura di prospetti e dettagli della lunga lista dei «crediti incagliati», causò il rinvio del Prospetto Informativo nel mese di settembre. Rinvio che si rivelò fatale. Nel mese di agosto avvenne la prima avvisaglia di una catastrofe finanziaria di portata mondiale. Negli USA scoppiò la crisi dei fondi subprime, con il conseguente primo crollo di tutte le Borse mondiali. La conseguenza fu progressivamente disastrosa per quasi tutte le società già presenti a listino. Crollo delle quotazioni e praticamente il blocco di ogni iniziativa IPO in corso. Avvenne una coincidenza di microeventi, eventi e macroeventi di portata eccezionale. Difficoltà e tematiche, emerse in alcuni reparti, problematiche di normale amministrazione, affrontabile in tempi e termini accettabili, che potevano rientrare nelle classiche routine, recuperabili con opportune azioni correttive e progetti di miglioramento. Ma nel bel mezzo della navigazione, c’imbattemmo in una tempesta d’inaudita potenza. Accadde proprio ciò che spesso raccontavo nelle mie metafore. Un macro evento fenomenale al quale non si poteva opporre resistenza. Era impossibile conoscere in anticipo dimensione e durata di quella tempesta che si stava per scatenare su tutte le Borse mondiali. 88 CAPITOLO 28 Di nuovo nella tempesta Si capiva la provenienza e la direzione del vento ed il verso delle onde, e si poteva solo confusamente intuire cosa fare. Si poteva decidere di tornare indietro al punto di partenza, buttando in mare tutto il superfluo, vanificando il lavoro fatto sino a quel momento, oppure rallentare la velocità e dirigere la prua in direzione e a favore del vento, cercando di prendere le onde di «mascone» e non frontalmente, cercando di assecondare e cavalcare le risacche. L’intuito, il buon senso, e l’esperienza nella navigazione erano le speranze del momento. Naturalmente decisi di proseguire, adagio, con tutte le cautele e il buon senso, non avevo nessuna intenzione di rinunciare alla meta programmata. La decisione era di procedere, magari a «zig-zag», cambiando velocità, punto di arrivo e tempistiche, però non la destinazione. Mai decisione fu così sofferta. È stata una gran delusione ed un vero peccato non essere riuscito a raggiungere l’obiettivo nei termini e tempi pianificati nella road map iniziale. È stata persa una grande e irripetibile opportunità. Da quel momento tutto divenne più difficile, e le tempistiche purtroppo non dipendevano e non sarebbero più dipese da noi tutti coinvolti. Le analisi e le riflessioni nel bene e nel male di quel ritardo non mancheranno, così come gli apprezzamenti ai cambiamenti positivi conseguiti e le critiche negative all’operato di alcuni collaboratori e consulenti che si rilevarono inadeguati e di conseguenza rimossi. Tutto rimarrà in ogni caso più che utile e servirà per consolidare le esperienze necessarie per il conseguimento del Grande Progetto, forse ancor più grande, d’ogni mia immaginazione. Stavolta non più per le mie intuizioni, bensì per le professionalità, le capacità e la 89 consapevolezza di tutta la squadra e dell’equipaggio che saremmo riusciti a coinvolgere e a motivare. Fatalmente tanti, anzi troppi eventi accaddero. I miei pensieri galoppavano, i sogni, tutti, sembravano svanire, e poi di colpo risorgevano all’improvviso. Occorreva rivedere e attualizzare la strategia, valutando minacce e opportunità. 90 CAPITOLO 29 Uno sguardo dall’esterno Fin qui è stata questa la mia lettura dei fatti. Ma come è stata vista da un «occhio» diverso tutta la vicenda? Ho chiesto così a mio figlio Marco di scrivere questo capitolo. Eccolo. «Il 2007 e il 2008 furono gli anni dei grandi cambiamenti. La collaborazione con Mediobanca aprì degli scenari molto importanti sia a livello finanziario che di partnership industriale. Ricordo ancora che mio padre mi aveva spesso detto: per trentacinque anni siamo cresciuti in un silenzio religioso, nel nostro piccolo acquario. Il mondo è però cambiato e ora, che piaccia o meno, il vetro si è rotto e siamo finiti nell’oceano. O ci adattiamo, o verremo mangiati dai pesci più grossi. I problemi da risolvere furono tanti, anche perché non avevamo l’esperienza necessaria per quei cambiamenti. Da quel punto di vista posso dire che la mancata quotazione del 2007 ci aveva comunque arricchiti di professionalità, e che le nottate passate a Milano tra avvocati, banche, advisor, revisori e compagnia bella, non erano passate invano. A pensarci ora mi fa una certa impressione. Avevo appena 30 anni, tra persone di un grande spessore, ed ero il solo a rappresentare l’azienda, eppure le parole uscivano da sole, e come una spugna che si contrae, rilasciavo tutto ciò che avevo inconsapevolmente assorbito negli anni da mio padre senza neanche essermene reso conto. I cambiamenti del 2008 furono stravolgenti anche perché non eravamo riusciti a dare la giusta organizzazione all’azienda. Molte delle persone che avevamo scelto per fare squadra si erano dimostrate non adeguate al progetto, e forse fu anche colpa nostra quella di aver voluto forzare la mano sui ritmi di sviluppo. Le aziende sono come le persone, e si evolvono in modo naturale. Alcune decisioni possono accelerare questo processo, ma 91 ci sono tappe in successione che non possono essere raggirate. Un grosso ostacolo fu quello della resistenza al cambiamento, in particolare tra il personale di Roma. A distanza di sei anni dall’acquisizione c’era ancora chi diceva che Viasat era Viasat, Elem era Elem e Movitrack era Movitrack, quando invece c’era una sola azienda che lottava sul mercato per crescere più della concorrenza. Alla fine fummo costretti ad accelerare il processo di trasferimento del baricentro a Torino: prima la parte di progettazione, poi quella amministrativa e infine quella commerciale, anche perché a Roma non si rendevano conto che il mondo era cambiato e che ormai i satellitari erano diventati un prodotto assicurativo, e come tale andava distribuito in comodato d’uso nelle sue versioni più semplici attraverso le agenzie come fornitori delle compagnie, nei nostri punti vendita nella versione Top a marchio Viasat, e negli autoconcessionari in partnership. Possibile che nessun altro si rendesse conto che i concessionari vendevano sempre più accessori e polizze? L’auto stava diventando un prodotto a marginalità ridottissime, però aveva il grande vantaggio di servire come «cavallo di Troia» per vendere accessori e polizze Furto e Incendio a buona marginalità. In più i concessionari cercavano un modo per fidelizzare i clienti. E qualcuno a Roma continuava a dire che il prodotto costava troppo, che i concorrenti facevano pubblicità alle fiere, che le soluzioni tecniche non funzionavano; insomma, il problema era sempre di un altro ente. Sulla Elem invece avevamo le idee molto meno chiare. Da un lato era l’azienda che aveva dato da mangiare a tutti noi, e senza la quale non avremmo potuto fare le acquisizioni di Viasat e Movitrack; dall’altro si era orientata sull’automotive, ossia in un settore dove di marginalità se ne vedeva ormai proprio poca. Personalmente non avevo particolari ambizioni a farmi protagonista nello sviluppo della parte di produzione industriale. Tanto per dire, avevo studiato legge e maturato 92 esperienze in attività di mergers and acquisitions in Pegaso, società di cui ero membro del consiglio di amministrazione, partecipata dalla Fondazione CRT e dalla Banca Unicredit. Al contrario, Barbara e Umberto erano decisamente operativi in Elem, e con l’ausilio di un buon commerciale avrebbero tranquillamente potuto sviluppare la parte industriale in modo autonomo. A quanto detto si aggiunga che da tempo ero convinto che il futuro dell’azienda si sarebbe giocato sullo sviluppo della parte relativa ai servizi consumer, alla valorizzazione delle Centrali operative, allo sviluppo della Customer Base e al continuo rafforzamento del marchio. Ero convinto che muovendomi su quelle direttive, apparentemente divergenti dal mondo della produzione elettronica, avrei potuto apportare un grande valore aggiunto proprio alla Elem. A distanza di un anno ebbi conferma di aver correttamente interpretato la strategia: gli accordi siglati con le più importanti compagnie assicurative italiane ci diedero modo di produrre nel 2008 oltre quarantamila sistemi satellitari. La Business Unit che mi era stata affidata era diventata il primo cliente della Elem, e ne aveva rilanciato il bilancio da qualche anno in contrazione a causa della concorrenza cinese, impareggiabile per le produzioni di grandi volumi. La customer base crebbe di quasi il 50 per cento in un anno, il miglior risultato di sempre, e il fatto ci confermò che lavorando sul progetto industriale, mettendo in naftalina quello finanziario di quotazione, ci saremmo potuti ripresentare ancora più forti ai nastri di partenza una volta passata la grave crisi finanziaria ed economica italiana e mondiale di quegli anni. Al via, noi saremmo scattati in avanti. Certo, avevamo perso una grande opportunità. Che dire però di tutte quelle aziende che ci avevano anticipato di un mese, quotandosi quindi prima del grande crash dei mercati, e che dopo uno o due anni avevano già perso tra il sessanta o l’ottanta per cento del loro valore? Qualche 93 «squalo» della finanza ci fece notare che il problema non sarebbe stato nostro, ma dei piccoli azionisti. E con questo? L’operazione avrebbe certo comportato un importante beneficio economico, ma i sogni e non i soldi avevano motivato i nostri spiriti, sostenuti i nostri pensieri, dato forza ai nostri corpi per sopportare i sacrifici del lavoro. Noi volevamo realizzare un progetto. Quotare una delle più belle aziende italiane, creare valore per gli azionisti, creare occupazione, esportare in tutta Europa un modello italiano fatto di eticità, di concretezza, di risultati. Quanti anni avrebbe ancora lavorato mio padre? Lui diceva pochi, io dicevo tanti. Per quanti che fossero, avrebbero dovuto rappresentare la ciliegina sulla torta della sua vita di sacrifici lavorativi. L’ultimo splendido atto, coerente con i suoi valori del vero, del bello e del giusto. A causa di quel ritardo fummo costretti a lavorare duramente altri anni per farci trovare pronti al momento giusto, anni di sudore e sangue, fatti di giornate che la sera sembravano troppo faticose e che in vacanza sembravano quasi mancarci. Quella era la nostra vita. Quello era il nostro progetto. Quello era l’unico mondo dove potevo sentire, toccare, vivere un padre che quello stesso mondo mi aveva rubato per anni. E quel mondo, noi l’avremmo conquistato. Insieme. La crisi durò più a lungo del previsto e le azioni necessarie per continuare a crescere divennero più complesse e articolate. Quando il mare è calmo e la rotta tracciata, per navigare basta tenere il timone e far girare i motori, ma quando infuria la bufera, il vento e i tuoni ti assordano, la pioggia ti frusta il viso, le onde cercano di buttarti a terra, devi capire immediatamente cosa fare e farlo. Questo avevo imparato nell’estate delle Bocche di Bonifacio e questo oggi siamo chiamati a fare. Dopo la collaborazione con Mediobanca mi sentivo arricchito di tante nuove esperienze e conoscenze, e da imprenditore avevo colto gli aspetti di debolezza del lavoro svolto. Come Viasat decidemmo di interrompere il 94 mandato e di iniziare a lavorare con una società di advisory di Torino, con un team di giovani pieni di voglia di fare, di vedere i propri clienti sempre più forti e importanti nel contesto internazionale, che non si facevano spaventare dalle sfide dell’incognito, che avevano il coraggio di sognare terre lontane nonostante le tempeste incombenti. Con quello staff mi trovai talmente bene, che nel 2011 decidemmo di costituire una nostra società di consulenza aziendale specializzata in operazioni di mergers and acquisitions e di corporate finance, la New Advisory Services Horizon Srl, più comunemente nota come NASH Advisory. Credo che ci sia una sottile analogia tra la mia scelta del 2011 e quella di mio padre relativa a quando rinunciò alla stazione di benzina di mio nonno Francesco. Entrambe le scelte sono spinte dallo spirito imprenditoriale, quello che ti porta a voler costruire qualcosa che ti viene da dentro e che ti spinge a voler trasformare un’idea nella tua testa in una realtà tangibile. La differenza concettuale più grossa sta nel fatto che la stazione sarebbe stata venduta ad altri, mentre per Viasat Group abbiamo l’ambizione di poterne fare una pubcompany, per la crescita della quale la famiglia continui a impegnarsi, certo, ma strutturata su un team manageriale con competenze specifiche sulle diverse aree di business; della quale tante persone e società possano avere comprato azioni, certo, ma in cui la famiglia Petrone possa continuare ad essere azionista di riferimento». 95 CAPITOLO 30 Il nostro futuro Chi guiderà il Gruppo Viasat in futuro? Andiamo per gradi. Mio figlio Marco, dopo sette anni di lavoro insieme e dopo il difficile percorso per quotare in Borsa la nostra azienda, ha capito che questo non è il suo percorso, si è lanciato quindi anima e corpo nel suo mondo, quello delle mergers and acquisitions e finance, costituendo assieme ad altri soci la NASH Advisor. Ma siamo sempre rimasti legati in quanto gestisce la Ba.Ma, ossia la Holding Finanziaria di famiglia - fondata nel lontano 1979, avevo visto lungo - con lo scopo di acquisire e gestire patrimoni immobiliari, mobiliari e partecipazioni in settori industriali diversi dal core business di Viasat Group. In qualche modo quindi ci siamo divisi i compiti: io sto portando avanti lo sviluppo del Gruppo per capability interna, mentre Marco porta avanti una strategia di acquisizioni per consentire uno sviluppo per capacità esterna, e per integrazione con ulteriori competenze e potenzialità, e non solo a livello nazionale, quanto piuttosto a livello internazionale. Quindi una cosa è certa: il passaggio di leadership nel Gruppo non sarà un passaggio «familiare», dobbiamo insomma passare da una conduzione per così dire «imprenditoriale» a una conduzione manageriale, possibilmente «intraimprenditoriale». Questo passaggio del progetto è quindi cruciale perché dobbiamo fare del Gruppo Viasat una company con una partecipazione nel capitale dei più meritevoli del management stesso, anche questo un modo per realizzare in completezza parte dei miei sogni: valorizzare chi ha creduto e ha lavorato a lungo in questa azienda. Devo dire che questa scelta, che in molte aziende si fa per evidente incapacità della famiglia di gestire le cose, nel nostro caso al contrario è stata condivisa proprio per creare una task force manageriale per costituire, in futuro, una maggiore 96 forza e competenza settoriale. Proprio come è successo nel caso della Apple e di altri colossi di riferimento mondiale. Questo passaggio storico motiva i manager a tutti i livelli, sia i giovani che le new entry e sia coloro che entreranno nel Gruppo in futuro: nella nostra azienda nessuna carriera sarà bloccata «dalla famiglia», da un manager che mette il figlio al posto del capo solo perché è suo figlio. Marco stesso ritiene e ha deciso che sia giusto così. Che questa strategia dia molte più possibilità di crescita al Gruppo perché solo così si riescono a miscelare al meglio le capacità individuali con quelle generali. Certo, a essere proprio sinceri, la cosa non mi lascia proprio indifferente, anzi. Mi fa soffrire, sia sul piano emotivo che professionale perché – ovvio – la «squadra» che prenderà la guida del Gruppo non è ancora compiutamente configurata, anche se molte partite nazionali le vinciamo, ma puntiamo al «campionato mondiale». E questo significa che dovrà ancora lavorare, come giocatore e allenatore, ma è il bello della vita, si sa. Marco in ogni caso ha dimostrato di avere una visione più aperta della mia: fare meglio del padre è sempre difficile, ma quello di separare le nostre strade professionali non è stato semplice. Quando mio figlio ha preso questa decisione mi ha scritto una lettera molto commovente, non ha avuto il coraggio di dirmelo di persona. Temeva che io non sarei più stato orgoglioso di lui. E invece no. Non è così. Io penso che sia giusto che i figli facciano il proprio percorso così come ho fatto io. Certo, il mio rimpianto è che li ho visti crescere troppo velocemente e che non ho gustato come avrei voluto la loro infanzia. Ma sono orgoglioso di come è cresciuto: io stesso ho sempre cercato di dare una forte impostazione, come dire, «etica» al lavoro. E Marco mi ha subito superato, dando una svolta all’azienda in questo senso e portando sempre la sua esperienza personale. Quale? Basti dire che il viaggio di nozze lo ha passato a fare volontariato con i bambini orfani in Brasile. Così alla fine 97 mi ha superato anche nel rapporto con i figli perché lui oggi è quello che si dice «un padre presente», quello, per concludere, che avrei voluto essere anche io. 98 CAPITOLO 31 Il nuovo inizio Ottobre 2008. Vorrei fare un’ultima considerazione sul «presente - fuggente» che giorno dopo giorno, come non mai, sta sconvolgendo ogni sogno, ogni progetto. Il primo scossone della borsa dell’agosto 2007 sono state inezie e avvisaglie in confronto a quanto è accaduto nel corso del 2008. Le copertine dei giornali economici di tutto il mondo proclamano la fine del capitalismo. La conseguenza dell’uragano scatenato dalla crisi dei muti subprime ha rinvigorito la necessità dell’intervento dello Stato a favore delle banche in difficoltà anche a scapito del liberalismo puro, con l’obiettivo di sottrarsi il tracollo dei mercati ed infondere un po’ di fiducia tra i risparmiatori, evitando la corsa al ritiro dei depositi e scongiurare gli eventi del 1929. È evidente che il «Big Crash» cambierà sostanzialmente i connotati del capitalismo mondiale, con interventi di emergenza e la volontà di riscrivere nuove regole, nel mondo bancario, creando la voglia di interventi di salvataggio, entrando nel capitale delle aziende in crisi. Situazione come quella che ha visto il Governo Italiano sponsorizzare cordate come quella dell’Alitalia con la tentazione di entrare nelle gestioni col rischio di replicare il disastroso assistenzialismo statalista della vecchia Iri. È quanto sta succedendo negli Stati Uniti a favore di General Motors, Chrysler e Ford, per impedire che scompaia l’industria automobilistica americana. Per le stesse ragioni e per riequilibrare i rapporti della forza competitiva, potrebbe avvenire anche in Europa. Il rischio è che le privatizzazioni, faticosamente realizzate negli anni passati, potranno essere spazzate via in un baleno, ritornando al passato e conseguentemente alla lotta politica nell’occupare le poltrone al vertice delle grandi imprese. Questo non è sicuramente un bello scenario. Il pericolo plausibile è che il virus del terremoto 99 subprime, e successive crisi, dopo aver sconvolto il mondo finanziario, coinvolgano anche quello industriale e commerciale. È certo pertanto, che quanto accaduto toccherà anche l’economia reale, quella fatta da imprese vere e serie che basano il proprio sviluppo su fatti concreti, sulle proprie capacità tecnologiche, sul saper fare, sviluppare e creare concretamente ricchezza e valore. È mia convinzione che questo terremoto dopo il disastro, oltre alle minacce creerà comunque nuovi equilibri e nuove opportunità, ancora difficili da recepire e codificare ma che potrebbe portare vantaggi, alle citate imprese virtuose. Altro segnale chiaro e forte della volontà di cambiare è la scelta epocale degli Americani. Il cinque novembre del 2008, Barack Obama ha vinto le presidenziali e diventa il primo presidente democratico di colore degli Stati Uniti d’America. Non ci sono più dubbi, termina il vecchio ciclo del 68 ed inizia quaranta anni dopo il nuovo, il vero cambiamento, annunciato e proclamato da Kennedy e da Martin Luther King. Rinasce il sogno americano e la voglia di cambiare il mondo. I giovani americani finalmente si sono svegliati e sono andati a votare per cambiare il loro futuro, e quello degli Stati Uniti, e hanno preso coscienza che «cambiare si può». Hanno festeggiato commossi, piangendo, ballando e cantando e certamente l’euforia e la voglia crescerà e diventerà planetaria. Cosa fare? Sicuramente bisogna stare all’erta, capire come saranno i nuovi scenari che cambieranno e rimodelleranno la nuova era. Sì, perché si tratterrà proprio del «nuovo inizio» di un nuovo ciclo storico, di un nuovo mondo che si evolverà nuovamente e di conseguenza. Chi ha intuito e si è mosso in anticipo o fortuitamente è già predisposto per cogliere le nuove opportunità, avrà il vantaggio di essere pronto ai «nuovi macroeventi». Tutti gli altri, se non vorranno essere travolti, dovranno fare attenzione alle minacce e dovranno traumaticamente reagire. I giochi saranno tutti da reimpostare, le partite tutte da 100 giocare e solo i migliori che hanno la volontà e la passione di fare potranno vincere. D’altronde questa non è una novità, «è sempre stato così». Riflettendo su quanto sta succedendo, mi si riaccende l’entusiasmo, anche se divento malinconico, penso e ripenso. «C’era un ragazzo che come me, amava i Beatles e i Rolling Stones…». Così recitava la vecchia canzone di Gianni Morandi: «Stop a Beatles, stop a Rolling Stones. Stop?». Stop alla mia passione per i viaggi marittimi? Stop alla barca? Stop ai vecchi sogni? Assolutamente no! Neanche per «sogno: «Anzi, è giunto il momento per inventarne di nuovi». Il mondo sta nuovamente cambiando, bisogna reagire, bisogna risognare: «Il presente-fuggente è il nuovo inizio». E chi sogna è vivo. Ed io già fantastico, creando nella mente nuove puntate ai miei progetti. 101 CAPITOLO 32 Riassumendo Quella raccontata fin qui è una storia appassionante, talmente veloce e coinvolgente che spesso io stesso ho bisogno di fermarmi un secondo per guardarmi alle spalle, studiare il percorso. Un esercizio utile anche per il lettore per capire nel profondo il percorso. Ed è per questo, che in estrema sintesi, lo ripropongo. Dal 1973 al 2004 il piccolo laboratorio è progressivamente cresciuto attraverso una costante politica della Qualità che ha conquistato clienti di assoluto prestigio e ha permesso il consolidamento di rapporti fondati sulla reciproca stima. Nel 1974 abbiamo posto la prima pietra per poter dar corso a piccole e medie produzioni e per una quindicina di anni abbiamo vissuto una crescita che ci ha spinti alla costituzione di un’organizzazione più complessa (nascono Elem Sistemi per attività di ricerca e sviluppo e Exefin per attività strategiche e d’investimento) e a traslocare cinque volte alla ricerca di spazi più ampi per le nostre linee produttive. Negli anni 90 sono arrivati il salto dimensionale con il trasloco nell’insediamento di seimila metri quadrati di Venaria Reale alle porte di Torino, la certificazione Uni Iso 29002 rilasciata da Imq-Csq e EqNet (già nel 1992), quella Babt by IBM (1997) e l’Avsq ‘94 automotive (1999). Con il nuovo millennio è poi nato il progetto NewEvolution che ci ha visti protagonisti di una serie di iniziative dal peso prima regionale, poi nazionale e infine internazionale, e che ci hanno fatti evolvere da subfornitori elettronici a produttori di prodotti finiti hitech e di sistemi telematici, per aziende di assoluto prestigio e per nostri stessi brand che ci stanno permettendo di arrivare direttamente al cliente finale con una capillare rete commerciale. Si pensi ad esempio all’acquisizione del secondo insediamento produttivo di quattromila metri quadrati; 102 all’entrata nel capitale di AXIS, società di progettazione e R&D costituita da ingegneri di altissimo livello; alla costituzione della Elem Engineering (2001); alla certificazione Uni Iso 9001: 2000 Vision 2000 Avsq ‘94 a livello di Corporate (2001); all’entrata nell’EMS-Alliance che ci ha permesso di instaurare nuove collaborazioni in Polonia, Svezia, Stati Uniti, Brasile, Cina, India (2002); alla costituzione di Elem Polska a Varsavia; all’acquisizione di Viasat dopo un testa a testa con una compagine straniera che avrebbe messo in discussione diversi posti di lavoro in Italia e che avrebbe fatto rischiare al nostro Paese l’emigrazione di una tecnologia di assoluto prestigio a livello mondiale (2003); all’acquisizione della maggioranza della Movitrack e all’inizio dell’offerta di servizi satellitari, in ambito assistenza stradale, in collaborazione con Aci Global, società dell’Automobil Club Italia (2004). Da quel momento, a maggior ragione, bisognava impegnarsi al massimo tutti insieme per sviluppare nuove competenze, per accelerare possibili ulteriori acquisizioni, per aggregare nuove forze per completare e allungare la filiera al fine di «sviluppare nuove opportunità e nuovi business». 103 CAPITOLO 33 Sviluppi, acquisizioni, partecipazioni Fondata nel 1974, la Elem rappresenta la pietra miliare; oggi conta due stabilimenti produttivi a Venaria Reale (Torino) in un comprensorio di oltre 20.000 metri quadrati. Progetta, ingegnerizza e produce schede, prodotti, moduli, sistemi elettronici e device satellitari per esigenze di tutte le società del Gruppo e per terzi produttori di elettronica nei settori auto, sicurezza, difesa, navale, aeronautico, spaziale. Exefin fondata nel 1988, per la gestione consolidata delle attività e del patrimonio aziendale del Gruppo Elem. Rinominata nel 2007 in Viasat Group, è la capogruppo della filiera. Detiene quote societarie, disegna i piani di espansione, sviluppa strategie di marketing, decide la politica amministrativa e coordina le attività delle aziende collegate mediante l’acquisizione di quote di partecipazione. Viasat Group è un’organizzazione industriale strutturata con unità operative specializzate ed orientate al mercato. «La nostra missione consiste nell’adeguarci prioritariamente alle esigenze dei clienti. Il nostro successo dipende e dipenderà dalle conoscenze tecnologiche del nostro staff e di tutti i nostri uomini, dalla qualità e rapidità di risposta e dalla volontà di migliorare e sviluppare le nostre capacità». Viasat nasce nel 1987 come Com.Net, società del Gruppo Telespazio; nel 1998 assume il brand Viasat in seguito alla joint venture tra Magneti Marelli e Seat-Telecom. Forte del proprio know how, s’impone nel mercato, divenendo sinonimo di «Sistema di sicurezza e protezione satellitare» sia per l’auto sia per chi viaggia. Alla fine del 2002 Viasat viene acquisita da Exefin (Gruppo Elem). Movitrack nasce nel 1988 come iniziativa del Gruppo Olivetti per sviluppare prodotti e servizi basati sulla localizzazione dei veicoli con l’uso delle tecnologie GPS e 104 della telefonia mobile GSM. Nel 1996, con l’ingresso di ACI, inizia la propria operatività nel mercato dei servizi. Nel 2004 entra a far parte del Gruppo Elem. Nel 2009 viene incorporata in Viasat e diventa divisione B2B e B2A, con focus sui servizi assicurativi e sui servizi di sicurezza per la gestione delle flotte di autonoleggio. Vem Solutions, azienda che riunisce know-how ed Expertise storiche di Viasat, Elem, Movitrack e Redco, nasce con la missione di sviluppare progetti di sistemi e servizi innovativi nell’ambito della protezione e sicurezza satellitare (SPLS), sia per esigenze del Gruppo che per terzi. Negli anni progetta una moltitudine di terminali di bordo ed integra le diverse soluzioni telematiche del Gruppo, realizzando la piattaforma MultiDevice, MultiService, «Vespucci». Redco Infomobility nasce nel 2001, offrendo servizi di sicurezza e fleet management basati sulla tecnologia di localizzazione satellitare e comunicazione «wireless». Progetta e produce terminali di bordo, modem e accessori (transponder, chiavi elettroniche ecc.), soluzioni e sistemi di sicurezza (auto, moto, imbarcazioni), piattaforme, portali, protocolli di comunicazione, sistemi e tools applicativi dedicati alla gestione di flotte di veicoli. Nel 2009 viene acquisita da Viasat Group e nel 2010 incorporata in Viasat. Nel 2007 nasce dall’esperienza di Viasat nei servizi satellitari e dalla forte presenza di Redco nei servizi per l’autotrasporto la Business Unit FMS. La mission è quella di fornire servizi a valore aggiunto e servizi di sicurezza specifici per il fleet management, offrendo soluzioni, dati ed informazioni per monitorare e gestire in sicurezza il trasporto e la tracciabilità delle merci, pericolose e non, in conformità alle normative vigenti. Pointer Telelocation, quotata a Tel-Aviv e al Nasdaq, è un provider leader di tecnologie e servizi per l’industria automobilistica e assicurativa. Offre servizi di assistenza stradale, stolen vehicle recovery e fleet management. Ha una crescente customer base di prodotti installati in tutto 105 il mondo: Regno Unito, Grecia, Messico, Argentina, Brasile, Russia, Croazia, Germania, Repubblica Ceca, Lettonia, Turchia, Hong Kong, Singapore, India, Costa Rica, Norvegia, Venezuela, Ungheria, Israele e altri Paesi. Cellocator, Products Division di Pointer, rappresenta, in partnership con Viasat, uno dei principali operatori AVL (Automatic Vehicle Location) del mondo. Nel 2010 Viasat Group entra nel capitale sociale diventando il terzo azionista di riferimento. Ba.Ma è la holding finanziaria fondata nel 1979 con lo scopo di acquisire e gestire patrimoni immobiliari, mobiliari e partecipazioni in settori industriali diversi dal core business di Viasat Group. Dopo il consolidamento della leadership in Italia, nel mese di ottobre del 2011 viene inaugurata in Spagna, a Madrid, la costituzione della Viasat Servicios Telemàticos in joint venture con Zenithal, società specializzata in soluzioni business to business. 106 PARTE QUINTA LE STRATEGIE EVOLUTIVE CAPITOLO 34 Creatività, principi e valori: ecco il segreto «La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nascono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie». I concetti di Einstein sono quanto mai attuali e quanto mai realizzabili. Viasat Group ha sempre avuto un approccio filosofico al mondo del lavoro. Dal punto di vista pratico la nostra missione è ideare, realizzare e diffondere sistemi e servizi di sicurezza e protezione con applicazione di tecnologie satellitari; Essere riconosciuti dal mercato come leader affidabili e innovativi, grazie a una storia di successo che compie 40 anni. E, ovviamente, attraverso l’evoluzione e il miglioramento continuo delle nostre tecnologie assicurare ai mezzi e alle persone la massima protezione, sicurezza e assistenza. Tuttavia un’azienda, secondo me, non deve essere solo questo. Mi spiego meglio, tornando ancora una volta all’esempio concreto della Viasat. Il Gruppo fonda la propria storia su solide basi costruite sull’esperienza nella ricerca e nella produzione all’interno dei segmenti di mercato nei quali riveste un ruolo di riferimento. Va bene, ma non è tutto: elemento fondante di questo percorso è stata anche l’attenzione riservata ai principi e valori di natura etica. In sostanza posso dire che l’attività di ricerca di tutto il Viasat Group non è tesa esclusivamente all’efficienza tecnologica, ma l’intento è stato quello di sviluppare prodotti e servizi interessanti e importanti anche in termini di originalità, utilità e innovazione. Insomma le basi del Gruppo si fondano su di uno stile lavorativo che valorizza creatività e capacità dell’individuo e lo pone al centro della sua strategia. Una direzione che ho sempre seguito e ho avuto sempre molto chiara. Al punto che ho schematizzato il tutto in una specie di linea guida, messa poi nel nostro sito ufficiale, in modo tale da «spiegare» anche all’esterno la nostra filosofia, il nostro modo di lavorare, divulgando lo 109 schema consolidato basato su alcuni Valori per noi fondamentali: - Principio dell’atteggiamento positivo: impegno a superare ogni ostacolo con spirito positivo. - Principio dell’apprendere: impegno a sviluppare nuove idee e nuovi prodotti. - Principio del fare: impegno a realizzare attività di sviluppo con piani operativi innovativi. - Principio dell’insegnare a fare: impegno a trasferire agli altri colleghi le proprie conoscenze. - Principio del vero e del giusto: impegno a perseguire e a promuovere comportamenti che valorizzino il vero e il giusto. - Principio del bello: impegno a sviluppare prodotti e servizi non solo qualitativamente utili, ma anche originali, appaganti, belli. Potrà sembrare una ripetizione e potrebbe suonare strano che un’azienda insista su principi e valori, perseguendo questa strada. Ma la mia non è un’azienda normale, è un’azienda che nasce da esperienze, spesso autodidattiche, da una vita di sacrifici, da eventi che hanno portato alla trasformazione e crescita di un bambino, alla formazione di un ragazzo, alla maturazione dell’adulto. «Dalle infelici privazioni di un tempo, all’orgogliosa realtà dei successi raggiunti» con il coinvolgimento e contributo di tutte le persone che hanno fatto parte del processo di crescita, in perfetta simbiosi con l’evoluzione tecnologica e strutturale. 110 CAPITOLO 35 La nostra bandiera Il bilancio sociale, annual report che Viasat Group, come tante altre società, redige annualmente, è la nostra bandiera. Per noi questo documento economico è molto di più che un elemento contabile, è una specie di strumento per dare visibilità alle domande e alla necessità di informazione e trasparenza interna e verso tutti i nostri interlocutori. Una sorta di certificazione del profilo etico, l’elemento che legittima il ruolo aziendale, non solo in termini strutturali, organizzativi, tecnologici, ma soprattutto morali, agli occhi della comunità di riferimento, un momento per enfatizzare il proprio legame con il territorio e il Paese, un’occasione per affermare il concetto di impresa con «sani principi». Strategia perseguita concretamente negli anni, che ha consentito di ottenere nel 2010 il prestigioso «Oscar del Bilancio» e nel 2011 il riconoscimento di «Imprenditore dell’anno 2011», premio Ernst & Young categoria Technology & Innovation. Impostazione e attenzione valgono poi anche per le scelte sia sociali che ambientali. Vivere e lavorare «green», come va di moda dire oggi, per Viasat Group è un impegno che va al di là del semplice rispetto della normativa, perché promuovere il miglioramento continuo delle nostre «prestazioni ambientali» deve essere una vera e propria missione. Non sono un caso i continui impegni nella riduzione dei costi e in progetti per abbattere i consumi idrici ed elettrici attraverso un’attenzione maniacale dei consumi e degli sprechi durante tutte le lavorazioni industriali. Abbiamo rivolto una grande attenzione proprio alle emissioni, i cui punti confluiscono in un impianto centralizzato dal quale, attraverso filtri che abbattono le sostanze organiche, viene immessa nell’atmosfera esclusivamente CO2. Stesso discorso per la gestione dei rifiuti che in Viasat 111 Group avviene in modo controllato attraverso tutte le fasi di produzione, trasporto e smaltimento. I nostri piani logistico-produttivi operano, infatti, realizzando una perfetta tracciabilità di tutti i rifiuti prodotti. Rientrano in tale contesto sia le materie prime, sia gli altri materiali necessari al corretto svolgimento dei processi industriali, per realizzare così programmi di sviluppo delle politiche ambientali (raccolta differenziata, utilizzazione, consorzi di smaltimento) delle Pubbliche Amministrazioni. E, poi, come dicevamo, c’è l’impegno per il settore sociale con un numero considerevole di iniziative. Fra le più importanti voglio ricordare la Campagna Fondazione Ania-Scatola Rosa, un dispositivo telematico per il pronto soccorso immediato in caso di incidente e per la prevenzione delle aggressioni alle donne. O la collaborazione tecnologica con associazioni ed enti istituzionali per l’erogazione di servizi innovativi nell’ambito della sicurezza stradale e del soccorso in caso di incidente, anticipando di un decennio l’emanazione della normativa europea (il famoso dispositivo eCall). Senza dimenticare il sostegno a varie attività di impegno sportivo ed educativo, e il «Viasat for Children» che supporta progetti umanitari in situazioni di indigenza seguiti dai centri delle Figlie di Maria Ausiliatrice. 112 CAPITOLO 36 L’idea di più protezione, più sicurezza, più assistenza Le tante sfide da affrontare quotidianamente ci hanno portato alla realizzazione di un nuovo progetto. Vivere in un contesto più sicuro, viaggiare per le strade riducendo i rischi da eventi traumatici generati da chi non rispetta le leggi o da fattori malavitosi, tutelare i cittadini onesti difendendo i loro beni, ridurre contemporaneamente i costi da sostenere, riorganizzare la filiera logistica in maniera più competitiva: sono questi alcuni obiettivi che ci prefiggiamo fin dalle origini di Viasat, dal 1987. La sensibilizzazione di tutti - istituzioni, operatori, consumatori - è una scommessa che intendiamo vincere anche grazie al contributo di questa iniziativa. Per agevolare l’automobilista nelle pratiche in seguito a un sinistro, Viasat Group ha messo così a disposizione un servizio innovativo: si chiama «Rimborso Facile». In caso di incidente, attraverso un numero verde (800 691 691) è possibile ottenere assistenza immediata. Il Servizio operativo 24 ore su 24, 365 giorni l’anno - supporta il cliente già al momento dell’incidente, guidandolo nella compilazione del CAI. In seguito verifica tutti gli elementi forniti, valuta le condizioni di ragione e attiva la pratica di rimborso, limitando il contenzioso per minimizzare i tempi di attesa. Gli esperti poi forniscono assistenza legale gratuita, prendendo in gestione l’intera pratica e mettendo eventualmente a disposizione medici legali convenzionati. Il numero verde è a disposizione anche per chi non ha installato un dispositivo Viasat sulla propria autovettura. Questa è la nuova visione di mercato: fornire più protezione e più servizi a beneficio dell’automobilista. 113 CAPITOLO 37 Sicurezza, risparmio e antifrode Da una parte gli automobilisti denunciano il caro RcAuto, a maggior ragione se confrontato con gli altri Paesi europei, e invocano giustamente una riduzione dei premi di polizza; dall’altra le imprese di assicurazione segnalano correttamente la frequenza dei fenomeni fraudolenti, primato tutto italiano, a giustificazione dei rincari. Tale contrapposizione si ripresenta ormai regolare e immutata da molti anni in occasione di ogni aggiornamento di tariffa, nonostante i dibattiti, i tavoli di lavoro, le consultazioni che puntualmente ne seguono a livello istituzionale e politico in risposta al clamore mediatico ed alle richieste delle associazioni dei consumatori. Le iniziative che scaturiscono, infatti, raramente segnano un cambiamento radicale del sistema, unica vera soluzione, ma più frequentemente promuovono semplici interventi correttivi dell’attuale modello, che si rivelano non risolutivi e, in alcuni casi, addirittura controproducenti. È la conferma della necessità di abbandonare la politica dei ritocchi e aggiustamenti a favore di un mutamento radicale e, in questa direzione, finalmente è parso muoversi il Governo Monti. Se infatti, in passato, un atteggiamento conservativo era inevitabile per l’assenza di strumenti di rinnovamento, adesso l’evoluzione della telematica di bordo permette di ripensare tutto il sistema dell’assicurazione auto: alle tradizionali funzioni antifurto si sono affiancate quelle per la sicurezza del conducente, dei passeggeri, delle merci trasportate e, soprattutto per la «gestione tecnologica» della garanzia RcAuto e dei relativi sinistri. Funzioni, queste ultime, che volutamente non si vogliono ricondurre semplicemente al concetto, spesso utilizzato in senso negativo, di scatola nera. 114 CAPITOLO 38 La scatola nera Il progetto di una scatola nera applicabile alle auto (che riprende concettualmente il principio del data recorder presente negli aerei e in molti altri mezzi di trasporto) come abbiamo visto non è proprio una novità, anche perché si ricollega al diffuso servizio degli antifurti satellitari, già sviluppato da Viasat negli anni 90. Un mondo e un mercato in piena evoluzione e crescita con previsioni di incrementi annuali a doppia cifra ed un valore mondiale previsto entro il 2016 di oltre 70 miliardi di euro, in cui le aziende italiane giocano un ruolo di assoluto rilievo. La scatola nera rappresenta fra l’altro anche una tappa in direzione del sistema eCall per la chiamata automatica di emergenza al 112, previsto dall’Unione Europea con la raccomandazione dell’8 settembre 2011 per l’adozione su tutte le auto dal 2015. La funzionalità di eCall, che mira a fornire assistenza immediata in caso d’incidente tramite la localizzazione satellitare, potrebbe facilmente essere integrata in un apparato più complesso, comprendente la scatola nera e altre funzioni di interfaccia tra veicolo e infrastrutture. I dispositivi non solo registrano le informazioni che consentono di ricostruire la dinamica di un incidente, ma ne rilevano in tempo reale il suo verificarsi (inviando contestualmente un allarme alla centrale operativa per l’attivazione, immediata e georeferenziata degli eventuali soccorsi) e memorizzano i dati statistici relativi all’uso del veicolo (dove, quando e come si guida). Tutto questo si traduce nella possibilità di concepire nuove formule tariffarie, finalmente capaci di creare la polizza su misura del cliente, ritornando a ponderare il premio in base all’effettivo e specifico rischio, e di riorganizzare completamente il processo di liquidazione dei sinistri in termini di efficienza e di efficacia. Inoltre è dimostrato che 115 l’installazione di tale tecnologia sui veicoli ha effetti positivi sulla sinistrosità e sull’annoso problema delle frodi. In particolare, per quanto riguarda il primo aspetto numerose sperimentazioni hanno permesso di riscontrare una riduzione della frequenza degli incidenti e della loro gravità grazie ad un miglioramento dello stile di guida indotto dalla presenza del dispositivo sulla vettura. In relazione invece al fenomeno delle frodi, la tecnologia ha una funzione preventiva come deterrente, e repressiva come validissimo strumento per l’accertamento e la contestazione del reato. La stessa Viasat, uno dei maggiori player del settore, quasi subito oltre all’originaria funzione di antifurto ha introdotto il sistema per contenere i costi per le compagnie assicurative grazie alla riduzione delle frodi sui sinistri, ma anche grazie al miglioramento dei processi di gestione ed alla possibilità di creare nuovi prodotti personalizzati e più convenienti per i clienti. È il caso delle polizze pay per use (premio in base ai chilometri percorsi), o delle più evolute polizze pay as you drive con il premio costruito in base al profilo specifico del cliente e determinato non solo dai chilometri percorsi, ma anche dalle tipologie di strade percorse (urbane, extraurbane, autostrade), dagli orari di percorrenza (notte, giorno, feriali o festivi), dalle ore consecutive di guida, dalla pericolosità delle strade, dallo stile di guida (più o meno rischioso). Tutti questi parametri, attraverso l’elaborazione da parte di un algoritmo specifico e brevettato, contribuiscono alla costruzione dell’indice di rischiosità Viasat. L’IRV attribuisce a ciascun assicurato un punteggio da 1 a 18 punti che, analogamente alle classe di merito bonus/malus, ma in maniera più specifica e predittiva, rappresenta l’effettiva propensione alla sinistrosità. 116 CAPITOLO 39 Il decreto Monti «Sviluppo Italia» Il decreto legge 24 gennaio 2012, poi convertito in legge nel marzo successivo, ha portato grandi cambiamenti nel settore assicurativo; ha finalmente individuato nella scatola nera la soluzione per il contrasto alle frodi e ne ha promosso il suo uso imponendo alle compagnie di applicare uno sconto significativo sulla tariffa RcAuto e attribuendo a quest’ultime, e non ai consumatori, tutti i costi annessi e connessi: di installazione, disinstallazione, funzionamento ecc. La novità ed il merito non stanno quindi nella scoperta del rimedio, che già era adottato da molte imprese di assicurazione e con ottimi risultati (tecnici e commerciali), ma nella istituzionalizzazione e promozione dello stesso consentendo di superare i timori che permanevano, soprattutto a livello istituzionale e politico, nell’avviare un rinnovamento radicale. Ho quindi accolto con estremo favore ed entusiasmo i principi e lo spirito contenuto nelle nuove disposizioni di legge che perseguono con forza proprio l’obiettivo di accelerare il percorso di risanamento. Purtroppo però con il passare del tempo ho incominciato ad avvertire un certo «raffreddamento» dell’euforia e della positività iniziale, in quanto in sede di attuazione della normativa gli addetti ai lavori si stavano concentrando su come doveva essere la scatola nera (nonostante tale tecnologia sia in uso da anni), e non, invece, su come garantire e quantificare un risparmio «significativo» all’assicurato; e si assisteva ad uno scontro interpretativo tra l’Isvap (l’Istituto di vigilanza del settore delle assicurazioni), che ribadiva con forza l’idea secondo cui la scatola nera doveva essere obbligatoria, e l’Ania che, al contrario, sosteneva che «la legge offre una facoltà all’assicurato, ma non impone alcun obbligo alle imprese, che restano libere di offrire questa tipologia di polizze». 117 CAPITOLO 40 Scatola nera, la nostra visione In questa bagarre, noi di Viasat abbiamo ritenuto opportuno uscire allo scoperto, per non vanificare la portata innovatrice del provvedimento, mettendo nero su bianco le nostre idee nell’interesse non solo della filiera di tutte le imprese coinvolte, ma soprattutto della collettività, per mettere a servizio delle Istituzioni la nostra esperienza e fornire un contributo affinché si porti a termine con coraggio ed energia questa opportuna e preziosa iniziativa del Legislatore. Così, con questo spirito, abbiamo proposto al Legislatore, alle Autorità competenti e all’opinione pubblica un decalogo per definire nel dettaglio il regolamento attuativo della legge. Eccolo in versione integrale. Decalogo del regolamento attuativo della legge 27/2012, articolo 32 comma 1: 1) Novità: le compagnie assicurative dovrebbero necessariamente disporre di almeno una formula assicurativa telematica che debba prevedere l’installazione della scatola nera che dovrà essere offerta in seguito ad ogni richiesta di preventivo RCA. 2) Costi: come da normativa i costi (scatola nera, installazione, servizi telematici ed eventuale disinstallazione) dovrebbero essere sostenuti dalle compagnie. 3) Riduzione delle tariffe: le compagnie dovrebbero praticare uno sconto base alle tariffe assicurative pari almeno al 20 per cento rispetto alla soluzione che non prevede l’installazione della scatola nera, al netto del costo del dispositivo (verificato dall’Isvap). 4) Ottimizzazione dei processi di gestione: le compagnie dovrebbero utilizzare la tecnologia telematica per la certificazione dei sinistri e l’ottimizzazione delle procedure al fine di accelerare le tempistiche dei risarcimenti relativi ai sinistri. 118 5) Privacy e relative normative: nel pieno rispetto della privacy del consumatore, i dati trasmessi dalla scatola nera dovrebbero essere criptati e secretati, pertanto sicuri. La scatola nera dovrà quindi essere conforme alle specifiche CEI 79/56 e ISOTS 16949:2009, e dovrà essere garantita la compatibilità elettromagnetica 99/05/CE. 6) Funzioni della scatola nera: come requisito minimo, il dispositivo dovrebbe rilevare il sinistro e la relativa dinamica, fornendo i dati necessari alla predisposizione di una Perizia telematica e di una Certificazione del sinistro, consentendo un miglioramento dei processi per la liquidazione dei sinistri. 7) Funzioni accessorie: oltre alle funzioni di base sopra descritte dovrebbe essere consentita la possibilità di offrire altri importanti servizi accessori tramite moduli o tools aggiuntivi, utili sia all’utente sia alla compagnia, al fine di garantire una maggiore protezione e sicurezza. 8) Portabilità ed interoperabilità: nell’ottica di una «vera liberalizzazione», la portabilità dovrebbe essere intesa come possibilità per il cliente di cambiare liberamente la compagnia assicurativa, mantenendo la scatola nera già installata sul veicolo con la garanzia di poter effettuare il trasferimento telematico dei dati storici e del profilo personale dalla vecchia alla nuova compagnia. 9) Liberalizzazione del mercato: per garantire la completa liberalizzazione del mercato, il cliente dovrebbe essere libero di scegliere sia la compagnia assicurativa sia il fornitore del servizio telematico. Potrebbe inoltre dotarsi autonomamente della scatola nera. In tale eventualità la compagnia avrebbe il dovere di praticare uno sconto maggiore sulla tariffa assicurativa. 10) Authority Isvap: sarebbe opportuno che vigilasse e richiedesse periodicamente il dettaglio delle azioni intraprese, l’adeguamento dei processi alla normativa, nonché il riconoscimento legale della perizia telematica. Questo decalogo ha avuto una risonanza mediatica inimmaginabile, ed ha suscitato molto clamore per la chiarezza e forza del messaggio, del tutto inusuale per certi 119 ambienti, rispetto ai quali anch’io ero del tutto estraneo fino a quel momento. Nel giro di poche ore il mio telefono cellulare ha incominciato a squillare ininterrottamente e ho ricevuto numerosi messaggi di apprezzamento e stima che mi hanno ulteriormente spronato a proseguire per questa strada. Anche il mondo politico e istituzionale ha accolto positivamente il mio intervento e ha incominciato ad individuare nella mia persona un punto di riferimento e un portavoce del settore con il quale dialogare e collaborare per una corretta traduzione in pratica della normativa. Proprio per queste ragioni Viasat è stata poco dopo chiamata in audizione presso la Commissione X del Senato per esporre le proprie considerazioni e proposte sull’argomento. In quell’occasione mi sono presentato in rappresentanza dell’azienda, non senza una certa emozione, ma anche con orgoglio e soddisfazione per il significato personale, e soprattutto collettivo, del mio intervento, e ho avuto modo di segnalare con forza che l’incertezza dettata dall’assenza dei provvedimenti attuativi, dalla mancanza di garanzie sull’emanazione degli stessi e dall’atteggiamento «attendista» delle Istituzioni, stava generando un rallentamento del nostro settore. 120 CAPITOLO 41 La Telematics Service Providers Association Come rappresentare la riforma del quadro legislativo italiano del Governo Monti, in particolare nella parte in cui si disciplina la proposizione commerciale da parte di Telematics Service Providers e di compagnie assicurative di Telematics Boxes? La risposta è: con la neonata Telematics Service Providers Association che, promossa e sostenuta inizialmente dalle società Viasat Group e da Cobra Telematics, è presieduta da Marco Petrone affiancato da Carmine Carella nelle vesti di vicepresidente; con un’Assemblea costituita dai soci fondatori Cobra Telematics e Viasat Group e dai successivi associati ordinari; e da un Comitato tecnologico esecutivo composto dal presidente e da quattro associati eletti dall’Assemblea stessa. Pertanto, le modalità di raccolta, gestione e uso dei dati non saranno più una discrezione dei Telematics Service Providers così come sempre è stato, ma dovranno essere conformi al regolamento in corso di definizione da parte delle suddette Istituzioni. La legge crea dunque grandi opportunità per il settore, ma nello stesso tempo può penalizzare gli operatori che non sapranno adeguarsi ai cambiamenti pianificati dal legislatore per il bene della collettività. Un’associazione di categoria è dunque necessaria per interloquire in modo oggettivo con dette Istituzioni. Il regolamento dovrà inoltre disciplinare l’interoperabilità dei meccanismi elettronici, nel senso che se nel 2012 Tizio si assicura con ALFA Assicurazioni, che gli installa una scatola nera riducendogli il premio, quando nel 2013 lo stesso Tizio decide di passare alla compagnia BETA Assicurazioni, questa deve poter operare con scatola nera anche se fino ad allora ha lavorato solo con scatola nera di un’altra società telematica! Il comma 1-ter disciplina che «con decreto del ministro 121 dello Sviluppo economico, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, è definito uno standard tecnologico comune hardware e software, per la raccolta, la gestione e l’uso dei dati raccolti dai meccanismi elettronici di cui al comma 1, al quale le imprese di assicurazione dovranno adeguarsi entro due anni dalla sua emanazione». Il terzo comma è quello più programmatico a medio termine, ma anche più incisivo sulle dinamiche del settore. Gli hardware e i software dovranno infatti diventare uno standard uguale per tutti i Telematics Service Providers entro due anni. L’Associazione ha formalmente interloquito con le Istituzioni e si propone come soggetto super partes rispetto ai singoli associati per favorire una piena maturazione del settore. Ecco quindi il progetto della Telematics Service Providers Association che punta a tutelare gli interessi della categoria coniugandoli con gli interessi generali della collettività nella costruzione di un modello di sviluppo sostenibile riconosciuto dalle Istituzioni, dall’opinione pubblica e dal mercato: valorizzare la telematica e l’innovazione tecnologica come fattori essenziali della qualità della vita degli automobilisti, dell’economia dei trasporti e dei servizi, nel rispetto delle regole di mercato e di competizione fra le imprese. Come? Qual è il programma di questa Associazione? L’idea è quella di svolgere ogni opportuna azione per diffondere una più ampia e approfondita conoscenza dei benefici dei servizi telematici sia per il consumatore, sia per l’industria automobilistica, assicurativa, della logistica e dei trasporti. Insomma un programma preciso, sintetizzato in alcuni punti. Eccoli: - promuovere la definizione di standard minimali di processi e di infrastrutture tecnologiche a garanzia della qualità di erogazione dei servizi telematici, della privacy e del trattamento dei dati; - rappresentare gli associati nei modi previsti dalla legge 122 o dai relativi statuti o regolamenti, in organismi pubblici, enti od associazioni nazionali, internazionali o sopranazionali, nei quali la categoria abbia o possa avere interessi diretti od indiretti; - promuovere iniziative nell’interesse comune degli associati; - promuovere attività di ricerca e studio, anche in collaborazione con altri enti o associazioni, dirette alla soluzione di problemi di ordine tecnico, economico, finanziario, amministrativo, fiscale, sociale, giuridico e legislativo, riguardanti l’industria telematica; - raccogliere ed elaborare tutti gli elementi, notizie e dati che possano comunque avere interesse per la categoria; - svolgere ogni altra attività comunque utile per il raggiungimento dello scopo sociale, non in contrasto con la normativa vigente e con il presente statuto; - aderire, con delibera da adottarsi dall’assemblea, ad altre associazioni od enti quando ciò torni utile al conseguimento dei fini associativi. 123 CAPITOLO 42 Scatola nera, il punto Continua la querelle intorno alla famigerata scatola nera. È tutto fermo dopo la prima fase in cui i principi e le indicazioni contenute nelle nuove disposizioni di legge (27-2012 art.32) sono state complessivamente accolte con favore ed entusiasmo, nella speranza di consentire un’accelerazione del processo di risanamento e di liberalizzazione con una maggiore protezione e sicurezza degli automobilisti. Il problema è l’eccessiva lentezza nella diffusione della scatola nera nonostante la consapevolezza che, se utilizzata correttamente ed integrata all’interno dei processi di gestione e «liquidazione del sinistro», consenta una riduzione sensibile dei costi assicurativi. Secondo me, ed insisto, la vera questione non è come deve essere la scatola nera, ma piuttosto come garantire e quantificare un risparmio «significativo» all’assicurato e a tal proposito operatori di settore, imprese di assicurazioni ed associazioni dei consumatori attendono dalle istituzioni «il regolamento» e indicazioni perentorie. L’Associazione TSP ha individuato tre punti cardine da seguire poiché, dopo molti mesi dall’emanazione della norma, regna ancora un clima di grande incertezza proprio perché l’assenza dei provvedimenti attuativi, la mancanza di garanzie sull’emanazione degli stessi e l’atteggiamento «attendista» delle istituzioni, hanno generato un rallentamento del nostro settore. Lo slancio iniziale del decreto si è tradotto in un freno bloccante. Alcune compagnie, che già adottavano la scatola nera, ne hanno rallentato o sospeso la diffusione ed altre imprese, che stavano avviando nuove iniziative, sono in attesa di conoscere le disposizioni attuative e perentorie per procedere. Questa fase di stallo sta generando un danno ai consumatori e all’intera filiera del settore telematico. Considerando anche la drammaticità congiunturale, e al 124 fine di evitare ulteriori penalizzazioni e perdite occupazionali, è urgente emanare il relativo provvedimento attuativo e rendere finalmente operativa la legge. C’è sempre in discussione il problema della sostenibilità del modello economico: nonostante la positiva e spontanea diffusione e l’uso di oltre un milione di scatole nere (da parte di circa il 3 per cento delle vetture circolanti), e pur dimostrando negli anni significativi risparmi che giustificano la sostenibilità e il recupero abbondante dell’investimento effettuato, temiamo che alcune compagnie, in attesa di misurare direttamente e concretamente i benefici di questa tecnologia, possano trasferire i costi indotti della scatola nera sul prezzo della polizza, con l’annullamento del risparmio ipotizzato per l’assicurato «virtuoso» e la conseguente inefficacia del provvedimento. Per evitare il più possibile questa ipotesi e per favorire nello stesso tempo la libera scelta del consumatore, sarebbe fondamentale offrire all’assicurato anche l’opportunità, nel caso desideri ulteriori servizi, di dotarsi autonomamente del dispositivo telematico o di contribuire ai suoi costi sgravando in questo modo la compagnia di una parte del peso economico, beneficiando però contestualmente di una «maggiore e significativa» riduzione del premio che consenta quantomeno di compensare gli oneri sostenuti direttamente. Per facilitare la sostenibilità del modello economico sarebbe inoltre interessante valutare, oltre alla riduzione «significativa» del premio, anche la possibilità di attuare una politica economica disincentivante per i «non virtuosi», al buon fine di contribuire alla copertura finanziaria del provvedimento. In altre parole, far pagare di più i «non virtuosi» e meno i «virtuosi» che adottano la scatola nera. Con l’interoperabilità si dovrebbe consentire il trasferimento dei dati e dei servizi telematici tra i vari Telematics Service Providers (TSP) attraverso la standardizzazione delle funzioni e dei protocolli di 125 comunicazione della scatola nera che la legge prevede venga attuata nell’arco di due anni. Nella fase transitoria, in assenza di standard, la possibilità per l’assicurato di cambiare compagnia senza sostituire il dispositivo (portabilità) potrà essere consentita, non attraverso il complesso meccanismo su indicato dell’interoperabilità, ma tramite una semplice «connettività» della compagnia con più providers. In questo modo, attraverso la semplice definizione del set minimo di dati telematici d’interesse assicurativo e l’unificazione dei flussi basilari di comunicazione tra le compagnie e i TSP, sarà possibile garantire sin da subito, al consumatore, la possibilità di transitare da una compagnia a un’altra senza sostituire la scatola nera e senza ulteriori costi. In merito alla definizione dei «requisiti minimi» della scatola nera e del «format e set dati basilari», si ritiene «incompatibile» con i fini del legislatore l’uso di «oggetti» troppo elementari non in grado di individuare e comunicare l’esatta posizione del mezzo nel momento del sinistro, impedendo di tracciare la puntuale dinamica dell’incidente e di effettuare la «perizia telematica». Tale limitazione tecnologica non consentirebbe inoltre di fornire prestazioni di valore sociale molto rilevante, quali la sicurezza, la protezione e l’assistenza dell’assicurato. Insomma, ancora una volta la mancanza del provvedimento attuativo da parte delle istituzioni è causa di uno stallo che non porta i benefici auspicati per i tartassatissimi automobilisti assicurati virtuosi. Poi c’è il tema della privacy. L’intervento del Garante della privacy per regolamentare il settore è da intendersi come una responsabilità prevista dal legislatore nell’ambito della definizione delle norme attuative della legge 27/2012. Un fatto accolto con grande positività da parte della TSP Association, perché contribuirà a rendere più trasparenti i rapporti tra i soggetti interessati, tutelando in particolare i consumatori da quei «providers improvvisati» che non possono contare su una base clienti 126 consolidata nei decenni, non sono in grado di garantire la sicurezza con proprie strutture tecnologiche e spesso adottano politiche poco chiare pur di conquistare quote di mercato. Il contratto di Viasat, ad esempio, stabilisce che «i dati relativi all’uso del veicolo verranno rilevati, elaborati e raccolti dalla società nonché trasmessi alla compagnia in formato analitico solo in occasione di eventuali sinistri. In tutti gli altri casi i dati di impiego saranno registrati dalla società e trasferiti alla compagnia esclusivamente in formato aggregato per analisi statistiche (ad esempio per il numero di viaggi, i chilometri e tempi di viaggio complessivi del periodo, la percentuale di chilometri e tempo in determinate fasce orarie e diverse tipologie di strade). I dati di uso del veicolo forniti alla compagnia saranno disponibili in forma sintetica per il cliente stesso via web tramite accesso riservato con apposita password personale rilasciata dalla società. Il cliente, ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo 196/2003, ha diritto di chiedere ed ottenere da Viasat la conferma dell’esistenza dei dati che lo riguardano, che saranno messi a sua disposizione in forma intellegibile, nonché la fonte, le finalità e la logica del loro trattamento. Egli può chiedere la cancellazione, l’anonimizzazione o il blocco degli stessi, se trattati in violazione di legge». Affrontare il tema della telematica parlando solo di privacy in modo superficiale è come parlare della telefonia mobile dicendo che le chiamate sono facilmente intercettabili e che gli operatori telefonici conoscono tutto quello che diciamo a chiunque, sapendo per giunta dove ci troviamo, conoscendo la cella che in quel momento il nostro cellulare sta utilizzando; oppure come parlare delle carte di credito dicendo che le banche sanno esattamente cosa compriamo e dove, oppure che il Telepass consente di calcolare se l’ora di entrata e di uscita in autostrada siano compatibili con i limiti di velocità. L’argomento merita sicuramente maggiore spazio sui 127 mezzi di comunicazione affinché si sviluppino un maggior dibattito e una maggiore conoscenza delle tecnologie e del settore, onde evitare il pericolo di diffondere miti negativi anziché conoscenze, problemi anziché soluzioni, obsolescenze anziché innovazioni. A pensare male si fa peccato, ma non è da escludere che, chi non vuole la scatola nera, ha interesse a non volerla. Quel che preme sottolineare è il fatto che in Italia si paghino le polizze più care d’Europa e forse del mondo, perché è ampiamente diffusa la pratica di denunciare i sinistri in modo falso o tendenzioso, così come il mancato ritrovamento di auto rubate. La telematica offre una soluzione ad entrambi i problemi: i consumatori che utilizzano una scatola nera possono dimostrare le modalità di un sinistro per provare che la richiesta di risarcimento avanzato dalle controparti non è coerente, così come possono ritrovare la propria auto rubata. I sistemi più avanzati, inoltre, possono consentire di ricevere soccorsi medici e meccanici in caso di incidente grazie ai dati trasmessi, quelli sì in tempo reale, ai call center dei Telematics Service Providers. È per queste ragioni che il legislatore prevede l’obbligo di ridurre le tariffe. Il beneficio economico conseguente a questa innovazione tecnologica deve andare a favore dei «consumatori virtuosi». 128