Approvato con Del. C. C.
N. 115 del 28.10.2002
Modificato con Del. C. C.
N. 87 del 28.07.2003
Premessa
A partire dagli anni ’90 parallelamente ad un sempre maggiore interesse da parte
dell’opinione pubblica italiana nei confronti delle sempre più pressanti problematiche
ambientali, si è assistito a livello internazionale all’emergere della necessità di un
sempre maggior raccordo sulle politiche ambientali ed energetiche dei singoli stati ed
alla definizione ed al ruolo di una nuova modalità di sviluppo che, viene attualmente
oggi definita come “Sviluppo Sostenibile”.
In Italia il primo segnale Pubblico di adesione alle direttive internazionali in materia di
sviluppo sostenibile venne dato dal Governo che, alla fine del 1993, con delibera del
Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) ha varato il
Piano Nazionale di Sviluppo sostenibile (PNSS), attualmente in fase di revisione da
parte dell’ENEA, su incarico del Ministero dell’Ambiente.
Questo piano tratta al suo interno di agricoltura, energia, industria, infrastrutture,
territorio, turismo, ecc. ed evidenzia quindi una unicità di approccio e la necessità di
una visone sistemica e coordinata, propria di una visione ambientalmente compatibile.
A fronte di tutto ciò appare quindi sempre più evidente che a voler individuare la
modalità cogente, condivisa e concretamente capace di assicurare elementi comuni e
trasversali all’attuale apparato programmatorio non possa che essere una visione
ecosistemica e bioecologica che, trova nello sviluppo sostenibile elemento di raccordo
e di unicità di visione.
La sostenibilità può infatti essere vista come una nuova chiave di lettura che consente
di riesaminare e reinterpretare le modalità di approccio alla pianificazione territoriale
ed urbana.
La sfida che questa modalità di visione, si trova oggi a raccogliere è quella di
dimostrare che l’attenzione all’ambiente e, l’innovatività di intervento a questa visione
legata, sono oggi concretamente capaci di determinare sviluppo e competitività e che
all’interno di questa logica è possibile determinare strategie di intervento e di gestione
estranee alla logica dello sfruttamento delle risorse e del territorio e che
contribuiscono a determinare una riqualificazione ambientale e sociale.
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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Questo
necessario
intreccio
tra
pianificazione,
programmazione,
gestione,
sostenibilità, socialità e partecipazone presenta ovviamente priorità di temi di ricerca e
di intervento che possono succintamente evidenziarsi in:
-
approccio trasversale ai temi ambientali legato ad un’idea di sostenibilità come
processo;
-
assunzione di strumenti operativi legati ad una visone ecologica ed
ecosistemica del territorio;
-
controllo dei consumi e degli usi delle risorse ambientali rinnovabili e non
rinnovabili;
-
innovazione
degli
interventi
progettuali
urbanistici
ed
edilizi,
contemporaneamente capaci di affrontare i temi della bioecologicità e della
ecosostenibilità;
-
attenzione ed implementazione alla comunicazione e partecipazione dei
cittadini alla costruzione delle decisioni e alla diffusione delle scelte effettuate
La responsabilità della qualità edilizia in Italia è certamente delegata alle
Amministrazioni Comunali ma, relativamente alle questioni prettamente edificatorie
solo di recente cominciano ad essere definiti provvedimenti operino concretamente
nella direzione di un controllo della sostenibilità del processo edilizio e dove gli
approcci più interessanti puntano a determinare condizioni di vantaggio per gli
interventi che producono un contributo nella direzione della qualificazione energetico
ambientale degli edifici e degli spazi aperti.
In questo normative tecniche e piani urbanistici avanzati possono dare un contributo
reale e concreto nell’innescare un sistema realmente virtuoso che contribuisca, grazie
ai vantaggi economici o procedurali a “riconvertire” il settore delle costruzioni in questa
direzione.
L’iniziativa
legata
alla
realizzazione
di
queste
“LINEE
GUIDA
PER
LA
PIANIFICAZIONE E LA EDIFICAZIONE SOSTENIBILE E PER LA TUTELA DEL
TERRITORIO” vogliono muoversi in questa direzione ed attraverso queste
l’Amministrazione Comunale intende informare, supportare ed indirizzare i cittadini e
gli operatori culturali ed imprenditoriali ad attivarsi affinché lo sviluppo sostenibile
diventi pratica cogente per tutti coloro che interagiscono all’interno del territorio
comunale di Cadenzano.
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Qualità energetica ed ambientale devono trovare idonea individuazione e sia gli
interventi di recupero che i nuovi interventi devono prevedere il sostegno e
l’integrazione dei parametri di sostenibilità negli interventi e garantire quindi:
-
una relazione coerente con il sito;
-
Il controllo dei consumi energetici e l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili;
-
la corretta gestione delle risorse idriche;
-
l’utilizzo di materiali ecocompatibili preferibilmente locali e tecnologie ed
impianti energetico-efficienti;
-
una gestione ecologica dei caratteri dell’area ed una considerazione degli spazi
esterni quali parte integrante e non complementare del progetto degli edifici;
-
la minima permeabilità dei suoli;
-
l’attenzione ai fattori inquinanti presenti o ipotizzabili (inquinamento indoor, da
radon, acustico, elettromagnetico ecc.).
Per consentire tutto ciò le Linee guida stesse sono state realizzate con una
articolazione in due volumi che consente con il primo una facile lettura delle stesse e
l’interiorizzazione quindi dei temi di sostenibilità nelle proposte di intervento e, un
secondo volume più tecnico e di indirizzo che individua delle modalità attuative che
l’Amministrazione prevede affinché gli intervento proposti possano godere di
agevolazioni ed incentivi.
Il primo volume quindi descrive, definisce ed individua i temi e gli argomenti che
necessitano di essere conosciuti ed approfonditi da tutti coloro che intendano avere
un quadro si spera esaustivo delle modalità di intervento sostenibile nel territorio, Il
secondo più tecnico riprende gli argomenti trattati nel primo volume ed individua
modalità e strumenti da introdurre nelle progettazioni per aver diritto agli incentivi ed
alle agevolazioni.
Appare inoltre utile ancora annotare come quella della “Sostenibilità” sia una modalità
di sviluppo tesa ad assicurare un uso corretto e consapevole del territorio e delle sue
risorse e questo per l’attuale e per le future generazioni e che quindi la pratica della
stessa dovrebbe in ogni caso essere interiorizzata all’interno delle proposte e delle
iniziative anche al di là di incentivi ed agevolazioni.
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Fonti energetiche tradizionali e problematiche ambientali
Quello dei consumi energetici legati alla gestione corrente degli edifici rappresenta
probabilmente il più importante capitolo di interesse e di attenzione nella progettazione
di “edifici ambientalmente consapevoli”, per cui a questo tema dedicheremo particolare
attenzione.
Il percorso che queste linee guida si propongono di attuare parte dalla illustrazione e
descrizione delle diverse fonti di energia rinnovabile (1); delle modalità del loro utilizzo
ed integrazione nella edilizia corrente e, prosegue evidenziando la necessità
imprescindibile di progettare edifici meno energivori e più rispettosi dell’ambiente
(edilizia bioclimatica), in cui l’integrazione delle tecnologie per il risparmio energetico
attivo e passivo è più efficace e, prosegue ancora illustrando la possibilità e la
convenienza di utilizzare impianti di climatizzazione che meglio riescono a coniugare
risparmio energetico e benessere ambientale.
Riteniamo indispensabile nell’evidenziare questo percorso descrivere sinteticamente il
“macro tema” energetico e le motivazione imprescindibile di promuovere edifici
energeticamente consapevoli.
La problematica energia
Le problematiche connesse al risparmio energetico sono varie e diverse e, non sempre
le informazioni a questo proposito sono utili a precisare e definire la fondamentale
importanza che l’affrontare ed il cercare di risolvere questo problema ha per il nostro
pianeta.
Rispetto alle problematiche ambientali il tema energia è centrale rispetto a qualsiasi
politica tesa a promuovere uno sviluppo durevole e sostenibile e dovrebbe essere
impegno preciso e costante ciascun governo e di ogni cittadino il tentare di ridurre i
consumi energetici.
1 Per definire le principali fonti rinnovabili di energia utilizzeremo le definizioni ufficiali date dal
Ministero Dell’Ambiente.
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E’ utile sottolineare come il consumo di energia è tra i principali fattori responsabili del
degrado ambientale a livello mondiale e contribuisce a ciò e in fase di produzione che in
fase di approvvigionamento di materie prime.
Relativamente all’approvvigionamento basti pensare che i principali combustibili oggi
utilizzati sono quelli fossili (petrolio, metano ecc.) ed il legno.
Relativamente a questo ultimo prodotto, nella società occidentale non si tiene spesso
conto che questa fonte energetica è a volte l’unica fonte di approvvigionamento per
gran parte dei paesi in via di sviluppo e questo si traduce spesso in dissennato taglio
delle foreste (quasi la metà delle foreste che ricoprivano la terra sono andate perse e,
solo tra il 1980 ed il 1995 sono stati tagliati circa 200 milioni di ettari di foresta vergine).
Relativamente all’uso di combustibili fossili è bene sottolineare che il loro bruciare è
responsabile della maggior produzione mondiale di gas climalteranti (il principale dei
quali è l’anidride carbonica), responsabili e dell’effetto serra, e della produzione dei
principali composti che determinano l’inquinamento dell’aria nelle nostre città.
Relativamente a queste produzioni i dati di seguito riportati possono essere utili a
meglio definire alcune problematiche:
-
il quinto della popolazione mondiale che vive nei paesi a reddito più elevato
contribuisce per il 50% alle emissioni di CO2, il quinto più povero per il 3%;
-
i paesi industrializzati sono responsabili del 76% delle emissioni cumulative di
carbonio in tutto il mondo a partire dal 1976;
-
l’anidride carbonica provocata dalla combustione dei fossili ha raggiunto il valore
record di 6,2 miliardi di tonnellate nel 1996, con un aumento di circa quattro volte
rispetto al 1950 e, una previsione fatta dall’Agenzia Internazionale per l’Energia
(IEA), indica una produzione di 9 miliardi di tonnellate all’anno;
In pratica già oggi ogni uomo sulla terra è responsabile mediamente della produzione di
una tonnellata di CO2 all’anno, in realtà un cittadino americano è responsabile della
produzione di 20,5 tonnellate negli Stati Uniti, di 10,2 in Germania, di 0,4 in Angola.
Sottolineare le variazioni climatiche che l’effetto serra sta producendo in tutti i paesi del
mondo ed i suoi effetti disastrosi sulle economie mondiali e sulle vite umane, è del tutto
superfluo.
Segno della necessità imprescindibile di una modifica sostanziale della attuale politica
energetica a livello mondiale è rappresentata dal Summit di Kioto, avvenuto nel
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Dicembre 1997, in questo incontro i rappresentanti di oltre 160 nazioni si sono riuniti per
firmare un protocollo teso a bloccare ed a ridurre la produzione mondiale di CO2.
L’accordo di Kioto prevedeva la riduzione media del 7% di CO2 entro il 2000 in Europa
e del 6,5% per l’Italia in particolare e questo ad emissioni bloccate ai livelli del 1990
(così come prevedeva la sottoscrizione della “Convenzione quadro sul cambiamento
climatico” siglata in occasione del Summit di Rio del 1992).
In realtà in Italia, dopo il Summit di Rio, nulla era stato fatto per mantenere inalterata la
produzione di CO2 e quindi l’Italia dopo la firma dell’accordo di Kioto si era impegnata a
ridurre per il 2000 del 13% la produzione nazionale di CO2 cosa ovviamente del tutto
disattesa e non conseguita.
Appare ora utile evidenziare in che modo la produzione di CO2 si ripartisce
percentualmente tra le varie fonti di produzione ed è interessante vedere come il 21% di
questa produzione è imputabile alla combustione dei motori delle sole auto private e
che un restante 30% di produzione è dovuto ai consumi energetici di edifici ed
elettrodomestici.
Basterebbe quindi avere edifici meno energivori, utilizzare meno l’auto, vestirsi di più in
casa, e tenere meno acceso l’impianto di riscaldamento e soprattutto puntare di più
l’attenzione sulle fonti rinnovabili (sole, vento, bio masse, ecc.).
Tutto questo darebbero il segno tangibile di una reale intenzione al cambiamento e di
attenzione e cura per l’ambiente, per avviare tutto ciò è ovviamente indispensabile che
vi sia una corretta politica ambientale ed energetica a livello nazionale, regionale e
locale di cui le presenti linee guida vogliono essere uno strumento efficace, se pur
limitato.
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IL RISPARMIO ENERGETICO E LA QUALITA’AMBIENTALE OUTDOOR ED
INDOOR
Attualmente in Italia un terzo dei consumi finali di energia deriva dal settore civile e
sono quindi direttamente responsabili del 30-40% delle emissioni di CO2.
Da ciò deriva l’importanza che questo tema ha all’interno di tutte le politiche di
sviluppo sostenibile ed il motivo per il quale questo tema apre l’excursus di argomenti
di sostenibilità trattati da queste linee guida.
Per quanto già detto una corretta politica di gestione degli utilizzi civili dell’energia ha
un grande impatto sui consumi energetici; attualmente per soddisfare questa richiesta
energetica vengono principalmente utilizzati i combustibili fossili, risorse non
rinnovabili e che nella loro combustione generano emissioni di sostanze nocive
all’ambiente ed ingenti emissioni di CO2 .
Per rimediare a questa situazione di consumi energetici insostenibili per il nostro
pianeta è necessario modificare e ri-orientare il nostro modo di porci nei confronti di
questa problematica e bisogna che ciò avvenga a tutte le scale di intervento antropico.
A livello globale i vari summit mondiali, Rio, Kyoto, Istanbul, ecc. hanno individuato dei
limiti precisi nell’incremento dei livelli di produzione della CO2 nei diversi paesi e, ciò
sottende che, se non si vogliono penalizzare gli attuali stili di vita, bisogna che molta
parte dell’energia utile attualmente necessaria venga prodotta attraverso attente
politiche di risparmio energetico e di produzione di energia da fonti alternative.
Tutto ciò richiede un rapido e fondamentale riordinamento del nostro modo di
pensare, progettare, costruire e gestire e mantenere le città e i suoi edifici e sottende
quindi una precisa assunzione di responsabilità ambientale da parte di tutti noi.
Per ottemperare a questa fondamentale esigenza è necessario indirizzare le attuali
politiche territoriali ed urbane verso uno sviluppo sostenibile, cosa questa che le
amministrazioni più attente e responsabili hanno attivato dotandosi o mettendosi nella
condizione di dotarsi a breve di strumenti operativi di indirizzo e/o di pianificazione che
operano in questa direzione.
Nel presente lavoro non possiamo quindi non citare il Piano Energetico Regionale
della Toscana che, “dà attuazione all’art 2 della Legge Regionale n° 45/97 orientando
e promovendo la riduzione dei consumi energetici nonché l’innalzamamento dei livelli
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di razionalizzazione di efficienza energetica della domanda,……………, favorisce e
promuove l’uso delle fonti rinnovabili, la loro integrazione, insieme alle assimilate, con
le attività produttive, economiche ed urbane……….ed ha come finalità generale il
contenimento dei fenomeni di inquinamento ambientale,…………. Con particolare
riferimento alle risoluzioni assunte in occasione della conferenza di Kyoto del
dicembre 97…….”
Per dar corso a tutto ciò è comunque necessario che le indicazioni e le prescrizioni
individuate da questi strumenti diventino realmente operative e che quindi
amministratori e tecnici, soprattutto quelli interni alle Amministrazioni interiorizzino e
propongano, all’interno dei propri ambiti di applicazione ciò che le normative e le leggi
vigenti già contemplano.
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La gestione e l’uso razionale dell’energia
L'uso razionale dell'energia può essere definito come quella operazione tecnologica
con la quale si intende conseguire l’obiettivo di realizzare gli stessi prodotti o servizi
(in quantità e qualità) con un minor consumo di energia primaria ed eventualmente
con un maggior impegno di risorse d’altro tipo (capitale, lavoro, materiali, ecc.).
Questa definizione distingue l'uso razionale dell'energia dal sacrificio energetico, che
è invece un’operazione economico-sociale con la quale si intende incentivare gli utenti
(con la propaganda, con le tariffe, con il razionamento) a modificare le loro abitudini
di consumo nel senso di soddisfare i propri bisogni finali con modalità che comportino
minori consumi di energia primaria. In questo caso quindi il servizio offerto è di
qualità diversa.
Si configura dunque un’operazione di riallocazione delle risorse volte ad ottenere una
data finalità. Qualunque progetto ingegneristico è concettualmente riconducibile a
questo luogo decisionale, in cui le varie soluzioni offerte dalla tecnologia si incontrano
per confrontarsi fra loro, in termini di rese, di rendimenti e di costi specifici.
È lasciato all’esperienza del progettista dare alle varie realizzazioni un assetto tale che
per ciascuna di esse si abbia un dato consumo di energia ed un correlato consumo di
strutture, consumi che si tradurranno poi, nei conti economici, in costi-energia e costicapitale. Risparmiare energia comporterà, a parità di condizioni economiche, un
maggiore costo capitale e viceversa. Per ogni situazione economica esisterà un
rapporto ottimale fra questi due costi che darà luogo al conseguimento dello stesso
risultato col minor onere monetario: in tempi di elevati costi dell’energia si cercherà di
razionalizzare il consumo di energia e si abbonderà in oneri capitale e viceversa in
tempi di energia a buon mercato rispetto al costo dei manufatti e del capitale. Queste
considerazioni impongono al progettista un lavoro di analisi che può risultare delicato
perché privo dell’assistenza e della guida di un’esperienza precedente. Questa, infatti,
può non essere disponibile in quanto la variazione dei prezzi dell’energia può avvenire
in maniera troppo rapida perché i vari adeguamenti tecnologici possano ricevere il
confronto e la conferma da parte dei risultati ottenuti. E’ quindi importante una
diffusione delle conoscenze energetiche affinché le varie soluzioni di
razionalizzazione dei consumi energetici proponibili in proposito possano essere
esaminate dai tecnici. Nel diagramma che segue, sono indicati i principali passi logici
che portano da un uso razionale dell'energia visto come opportunità all’intervento, che
permette di conseguire in termini effettivi tale risparmio.
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Solare Termico
Quadro sintetico della tecnologia e degli impianti
La tecnologia per l'utilizzo termico dell'energia solare ha raggiunto maturità
ed affidabilità tali da farla rientrare tra i modi più razionali e puliti per
scaldare l'acqua o l'aria, nell'utilizzo domestico e produttivo. La radiazione
solare, nonostante la sua scarsa densità (che raggiunge 1kW/m² solo nelle
giornate di cielo sereno), resta la fonte energetica più abbondante e pulita
sulla superficie terrestre. Il rendimento dei pannelli solari è aumentato di un
buon 30 % nell'ultimo decennio, rendendo varie applicazioni nell'edilizia, nel
terziario e nell'agricoltura commercialmente competitive. L'applicazione più
comune è il collettore solare termico utilizzato per scaldare acqua sanitaria.
Un metro quadrato di collettore solare può scaldare a 45÷60 °C tra i 40 ed i
300 litri d'acqua in un giorno a secondo dell'efficienza che varia con le
condizioni climatiche e con la tipologia di collettore tra 30 % e 80%.
Le tecnologie per utilizzare l'energia solare per produrre calore sono di tre
tipi: a bassa, media ed alta temperatura.
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1. Stato dell'arte
Nel mondo sono installati oltre 30 milioni di metri quadri di pannelli solari di
cui 3 milioni nell'Unione europea.In Italia l'applicazione dei pannelli solari
per scaldare l'acqua può essere ancora molto potenziata. Nel 2000 sono stati
installati circa 25.000 m², molto pochi anche rispetto a paesi più freddi (per
esempio l'Austria), ma più sensibili a questioni economico ambientali relative
a questo settore. Il parco del solare termico in Italia è oggi di 350.000 m²,
l'utilizzo maggiore è dovuto all'utenza domestica, ad impianti di prevalente
utilizzo estivo ed alle piscine.
2. Applicazioni
Le applicazioni più comuni sono relative ad impianti per acqua calda
sanitaria, riscaldamento degli ambienti e piscine; sono in aumento casi di
utilizzo nell' industria, nell'agricoltura e per la refrigerazione solare. I
collettori solari ad aria calda si differenziano da quelli ad acqua per il fatto
che in essi il fluido termovettore è costituito da aria. I campi d'applicazione
per tali impianti sono tipicamente quelli di riscaldamento dell'aria per la
climatizzazione ambientale e, in campo industriale, per i processi
d'essiccazione di prodotti alimentari.
Nel campo della climatizzazione ambientale il vantaggio di utilizzare i
collettori ad aria consiste nel fatto che l'aria in essi riscaldata può essere
inviata direttamente all'ambiente senza scambiatori di calore intermedi. Ciò
permette un notevole aumento di efficienza del sistema, basti pensare che, di
solito, con un sistema ad acqua, per riscaldare un ambiente a 20÷22 °C,
occorre portare l'acqua almeno a 60÷70 °C. Il principio di funzionamento dei
collettori ad aria è pressoché lo stesso di quelli ad acqua, ma i parametri di
dimensionamento variano sostanzialmente, in quanto l'aria scambia calore
con maggiore difficoltà dell'acqua.
Occorre perciò assicurare all'aria un tempo di permanenza più lungo
all'interno del collettore; per questo motivo il percorso di solito è tortuoso,
per rallentare il flusso dell'aria. Per il resto, il collettore ad aria, come quello
ad acqua, è costituito da una piastra captante, una o più coperture trasparenti e
l'isolamento
termico.
I collettori solari per piscina possono fornire fino al 100% delle necessità
termiche delle piscine. Sono inoltre i più semplici da installare della
categoria. La combinazione di un sistema di riscaldamento solare e l'utilizzo
di una copertura notturna può accrescere sensibilmente la lunghezza della
stagione balneare con un incremento dei costi gestionali molto contenuto.
3. Potenzialità
Possibilità di copertura del fabbisogno energetico annuo mediante
collettore solare termico
Le tipologie di collettori solari termici variano molto in termini di costo e di
prestazioni. Per di più, essendo l'energia solare una fonte aleatoria sulla
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superficie terrestre, i collettori solari termici vanno realisticamente
considerati integrativi rispetto alle tecnologie tradizionali; essi vanno quindi
considerati capaci di fornire direttamente solo parte dell'energia necessaria
all'utenza, energia che altrimenti dovrebbe essere prodotta dalla caldaia
tradizionale. La percentuale di energia termica prodotta annualmente da un
collettore solare termico prende il nome di fattore di copertura del fabbisogno
termico annuo.
A Roma, per un sistema che ottimizzi il rapporto costi/energia prodotta,
questo fattore non supera il 65%. Questo limite è comune a moltissime
tecnologie basate su fonti rinnovabili, il più delle volte caratterizzate da
disponibilità aleatoria o periodica. A causa di ciò, con il crescere delle
dimensioni dell'impianto, cresce il fattore di copertura del carico termico, ma
la relazione tra il costo dell'energia e l'energia prodotta resta lineare fino al
55%÷60%. Superato questo valore, il costo continua ad aumentare
linearmente con le dimensioni dell'impianto, mentre l'energia prodotta
aumenta meno rapidamente, il che si traduce in un maggiore costo dell'unità
di superficie di collettore. E' per questo motivo che un collettore solare
termico per la produzione di acqua calda sanitaria dimensionato
correttamente viene progettato per soddisfare il 60÷65% del fabbisogno
termico.
Paragone tra diverse tipologie di impianti per la produzione di acqua calda
In ambito urbano l'acqua calda sanitaria è per la maggior parte dei casi
prodotta con scaldabagni elettrici o caldaie a gas. La produzione di acqua
calda sanitaria, con l'uso di energia elettrica dissipata dalla resistenza presente
nello scaldabagno, risulta un processo costoso dai punti di vista energetico,
ambientale ed economico, se confrontato con la produzione di acqua calda
con caldaie a gas. L'introduzione aggiuntiva di un collettore solare termico,
che sostituisca parte della produzione di calore, comporta benefici ancora
maggiori.
Di seguito vengono analizzati brevemente gli effetti energetici, economici ed
ambientali che l'introduzione di tre diverse tipologie di impianti per il
riscaldamento per acqua sanitaria possono conseguire, in relazione
all'introduzione di un sistema solare termico attivo, in particolare si
analizzeranno le seguenti possibili soluzioni:
1. sostituzione dello scaldabagno elettrico con un sistema integrato
solare/gas
2. integrazione del sistema gas preesistente con impianto solare
3. integrazione del sistema elettrico con impianto solare (per
impossibilità di sostituzione con sistema gas).
Il primo caso interessa molte utenze domestiche e pubbliche, di piccola taglia,
che non hanno ancora affrontato la questione e, di conseguenza, potrebbero
essere incentivate, in analogia con i provvedimenti sulle rottamazioni, ad una
sostituzione dello scaldabagno elettrico. Nel secondo caso l'integrazione del
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sistema gas preesistente con impianto solare, prevede un costo di integrazione
ridotto al minimo; si tratta di fatto di utenze che hanno già scelto il gas e
potrebbero, con sistemi solari termici, risparmiare il 60 % annuo di gas
combusto. Il terzo caso è relativo a realtà in cui il sistema di riscaldamento
non può che essere elettrico, per ragioni urbanistiche o per la particolarità
dell'utente; per esempio campi nomadi o altre strutture di accoglienza.
Per le tre soluzioni impiantistiche verrà eseguito, a scopo indicativo, un
bilancio energetico ed ambientale (in termini di emissioni di CO² evitate).
Analisi energetica: calcolo dell'energia pro capite necessaria
In media, in Italia si consumano circa 50 litri al giorno di acqua calda
sanitaria pro capite, alla temperatura di 45°C. Ipotizzando una temperatura
dell'acqua proveniente dall'acquedotto pari a 15 °C si può calcolare il
quantitativo
pro
capite
Q,
di
energia
termica
necessaria:
Q=G*cs*(Tu-Ta)=50 lt*1kcal/lt°C*30°C=1500kcal
Avendo indicato con:
G, massa d'acqua da scaldare (l)
cs, calore specifico dell'acqua (kcal/l),
Tu, temperatura di utilizzo, pari a 45°C,
Ta, temperatura acqua dell'acquedotto (°C).
Caso di Produzione di acqua calda con scaldabagno elettrico
In questo caso, l'utilizzo di energia termica per produrre acqua sanitaria
comprende una doppia trasformazione. In una prima fase occorre produrre
energia elettrica (tipicamente, in centrali termoelettriche, più raramente in
idroelettriche). L'energia elettrica prodotta, poi, trasportata all'utenza, dovrà a
sua volta trasformarsi in energia termica per effetto Joule per essere conferita
all'acqua. Per produrre con uno scaldabagno elettrico 1500 kcal (1,7 kWh
termici) sono necessari circa 1,94 kWh elettrici, avendo stimato l'efficienza di
conversione dello scaldabagno elettrico pari al 90%. Mediamente, una
famiglia di quattro persone utilizza, quindi, 7,74 kWh elettrici al giorno per la
produzione di acqua calda sanitaria. Ma è da considerare che, per la
produzione di ogni kWh elettrico, vengono consumati dal parco di centrali
elettriche italiane, circa 2,54 kWh, sotto forma di energia primaria.
Considerando questa doppia trasformazione da energia primaria in energia
elettrica e da elettrica a termica, emerge che, per produrre l'acqua calda
necessaria giornalmente per soddisfare il fabbisogno pro capite sono
necessarie 2,54-1,94 = 4,93 kWh primari equivalenti a 4.240 kcal. In tal
modo solo il 35% dell'energia primaria consumata viene effettivamente
utilizzata dall'utente. Nel caso, poi, di una famiglia di quattro persone, si
arriva a 16.960 kcal/giorno, pari a 17,72 kWh (termici).
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Caso di produzione di acqua calda con caldaia a gas
Una caldaia a gas ha ovviamente una resa energetica diretta più alta, perché
evita la conversione più energivora (e più exergivora), che consiste nel
passaggio energia termica in energia elettrica. Per questo la resa globale si
aggira sull'80÷85%. La produzione di calore e il conseguente riscaldamento
dell'acqua sanitaria avviene per combustione diretta del metano. Nel caso
peggiore di rendimento del 80%, per produrre 1500 kcal sono quindi
necessarie in un giorno 1875 kcal (ossia 2,18 kWh). Nel caso di una
famiglia di quattro persone si arriva a 7500 kcal/giorno.
Confronto di consumi energetici tra i casi esaminati
La figura seguente mostra il risultato del confronto tra il fabbisogno
energetico necessario per la produzione di acqua calda sanitaria con uno
scaldabagno elettrico, con una caldaia a gas, un sistema caldaia gas/collettore
solare termico ed un sistema scaldabagno elettrico/collettore solare termico,
ferme restando le ipotesi sopra enunciate ed il quantitativo procapite di acqua
necessaria.
Si osserva allora che, nel passaggio dalla soluzione con scaldabagno elettrico
a quella con caldaia a gas integrata da collettori solari, il consumo energetico
procapite passa da 4,93 a 0,87 kWh. E' il caso più interessante, dunque, che
porta ad una riduzione dell'82% del consumo energetico, a parità di
servizio reso.
Nel confronto tra il sistema basato sull'integrazione di collettore solare con
una caldaia a gas e la caldaia stessa, si nota come il consumo passi da 2,18
kWh, per il caso della sola caldaia, a 0,87 kWh, per il sistema integrato. Nel
passaggio dal solo scaldabagno elettrico ad uno scaldabagno integrato da
collettori solari, il consumo energetico scende da 4,93 a 1,97 kWh.
4. Costi
Nel caso dei collettori solari il costo al metro quadro è in realtà, poco
indicativo, poiché il vero costo deve essere correlato alla quantità di acqua
calda prodotta in un anno. Una famiglia di 4 persone che consuma 50÷60 litri
di acqua calda a persona ogni giorno, per un totale di 80÷100 mila litri annui
spende circa 1 milione per riscaldare l'acqua con energia elettrica e 750.000 £
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se la scalda con caldaia a metano. Se l'impianto solare integra la caldaia per
un 60÷70% il risparmio annuo oscilla tra 500 e 700 mila lire ed in 5 anni si
ammortizza una spesa di 2,5 ÷ 3,5 milioni di lire. Le agevolazioni statali
consentono, inoltre, di detrarre dalle tasse parte delle spese di acquisto e di
installazione.
5. Vantaggi ambientali
Un primo indicatore di confronto tra le diverse tecnologie a disposizione può
essere ritenuta la quantità di anidride carbonica mediamente immessa
nell'ambiente per produrre, nelle stesse condizioni, acqua calda sanitaria. Nel
corso dell'analisi energetica, si è stimato che il fabbisogno di energia elettrica
di un'utenza monofamiliare (4 persone) per produrre acqua calda sanitaria con
uno scaldabagno elettrico è pari a 7,74 kWh (elettrici) /giorno. In Italia, per
produrre un kWh elettrico, le centrali termoelettriche emettono nell'atmosfera
in media 0,58 kg di anidride carbonica (CO²), uno dei principali gas
responsabili dell'effetto serra [Dati ENEL 1999]. Pertanto, lo scaldabagno in
esame è indirettamente responsabile dell'immissione nell'atmosfera di:
0,58 kg CO² / kWh (elettrico)*7,74 kWh (elettrici) /giorno = 4,5 kg
CO²/giorno.
Questo significa che, per la sola acqua calda sanitaria, utilizzando lo
scaldabagno elettrico, una famiglia immette quotidianamente nell'ambiente
4,5 kg CO² (con una media procapite di 1,125 kgCO²/giorno).
Nel caso di una caldaia a metano, nella combustione si formano 0,25 kg CO²
per ogni kWh termico; una famiglia di 4 persone dà quindi origine alla
seguente produzione giornaliera di anidride carbonica:
0,25 kg CO² *6.97 kWh (termici) = 1,74 kg CO² /giorno
con una media procapite di 0,435 kg CO²giorno.
Nel caso di impianti ibridi solare /gas, ossia impianti solari posti ad
integrazione della caldaia a gas, assicurando lo stesso comfort durante tutto
l'arco dell'anno, è possibile risparmiare, a Roma, il 60% del consumo di gas:
la stessa famiglia produrrà, allora, giornalmente 0,69 kg CO² con una media
procapite di 0,174 kg CO²/ giorno.
La figura seguente riepiloga le emissioni di anidride carbonica generate nei
diversi casi analizzati. La riduzione delle emissioni di CO² ottenuta con il
sistema ibrido è notevole soprattutto rispetto al primo scenario: si passa da
1,125 kg di CO² emessi a 0,22 kg di CO² , con una riduzione percentuale
dell'80%. Tra il caso di impiego della caldaia a metano e quello di
integrazione di questa con i collettori si verifica una riduzione, in valore
assoluto, di 0,33 kg di CO² procapite, mentre lo scaldabagno elettrico, se
impiegato con il solare, porta ad una riduzione di 0,675 kg di CO²
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Fotovoltaico
1. Quadro sintetico della tecnologia e degli impianti
Sviluppata alla fine degli anni 50 nell'ambito dei programmi spaziali, per i quali
occorreva disporre di una fonte di energia affidabile ed inesauribile, la tecnologia
fotovoltaica (FV) si va oggi diffondendo molto rapidamente anche per applicazioni
terrestri, come l’alimentazione di utenze isolate o gli impianti installati sugli edifici e
collegati ad una rete elettrica preesistente. Il funzionamento dei dispositivi fotovoltaici si
basa sulla capacità di alcuni materiali semiconduttori, opportunamente trattati, di
convertire l’energia della radiazione solare in energia elettrica in corrente continua senza
bisogno di parti meccaniche in movimento. Il materiale semiconduttore quasi
universalmente impiegato oggi a tale scopo è il silicio. Il componente base di un
impianto FV è la cella fotovoltaica, che è in grado di produrre circa 1,5 Watt di potenza
in condizioni standard, vale a dire quando essa si trova ad una temperatura di 25 °C ed è
sottoposta ad una potenza della radiazione pari a 1000 W/m². La potenza in uscita da un
dispositivo FV quando esso lavora in condizioni standard prende il nome di potenza di
picco (Wp) ed è un valore che viene usato come riferimento. L’output elettrico reale in
esercizio è in realtà minore del valore di picco a causa delle temperature più elevate e dei
valori più bassi della radiazione. Più celle assemblate e collegate tra di loro in una unica
struttura formano il modulo fotovoltaico. Il modulo FV tradizionale è costituito dal
collegamento in serie di 36 celle, per ottenere una potenza in uscita pari a circa 50 Watt,
ma oggi, soprattutto per esigenza architettoniche, i produttori mettono sul mercato
moduli costituiti da un numero di celle molto più alto e di conseguenza di più elevata
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potenza, anche fino a 200 Watt per ogni singolo modulo. A seconda della tensione
necessaria all’alimentazione delle utenze elettriche, più moduli possono poi essere
collegati in serie in una “stringa”. La potenza elettrica richiesta determina poi il numero
di stringhe da collegare in parallelo per realizzare finalmente un generatore
fotovoltaico. Il trasferimento dell'energia dal sistema fotovoltaico all'utenza avviene
attraverso ulteriori dispositivi, necessari per trasformare ed adattare la corrente continua
prodotta dai moduli alle esigenze dell'utenza finale. Il complesso di tali dispositivi
prende il nome di BOS (Balance of System). Un componente essenziale del BOS, se le
utenze devono essere alimentate in corrente alternata, è l’inverter, dispositivo che
converte la corrente continua in uscita dal generatore FV in corrente alternata.
2. Mercato dei sistemi fotovoltaici
Il mercato fotovoltaico mondiale ha conosciuto negli ultimi anni un notevole sviluppo,
passando dai 45 MWp del 1990 ai 290 MWp del 2000. Questo grande risultato è stato
possibile grazie al parallelo sviluppo di due tipologie di applicazioni: gli impianti isolati
e quelli installati sugli edifici ed integrati alla rete elettrica. Gli incrementi più elevati
nella potenza installata sono stati senza dubbio quelli del Giappone, degli Stati Uniti e
della Germania, soprattutto grazie ai programmi di incentivazione da parte dello stato
che, non solo hanno fornito sussidi per l’installazione di impianti FV, ma in alcuni casi
(come in Germania) hanno comprato l’elettricità in eccesso prodotta da tali impianti e
riversata in rete ad un prezzo molto maggiore di quello di vendita dell’elettricità
tradizionale, come a voler “premiare” le caratteristiche ecologicamente compatibili di
tale energia. In Italia, dopo una fase di grande fermento della prima metà degli anni '90
in cui l'ENEL ha installato diverse centrali fotovoltaiche (la più grande delle quali la
centrale di Serre nel salernitano di 3,3 MWp), il mercato ha vissuto un forte
rallentamento soprattutto per l'assenza di adeguati meccanismi di incentivazione. Il
Programma Tetti Fotovoltaici sarà in grado di dare a tutto il comparto fotovoltaico una
forte accelerazione: per il 2001 sono previsti 2000 impianti fotovoltaici installati presso
soggetti pubblici e privati. Se questa prima fase di avvio del programma avrà successo si
prevede la realizzazione di 50.000 impianti fotovoltaici entro il 2007.
3. Applicazioni
Data la loro modularità, i sistemi fotovoltaici presentano una estrema flessibilità di
impiego. La principale classificazione dei sistemi fotovoltaici divide i sistemi in base alla
loro configurazione elettrica rispettivamente in:
sistemi autonomi ("stand alone")
sistemi connessi alla rete elettrica ("grid connected")
I sistemi connessi alla rete elettrica si dividono a loro volta in:
Centrali fotovoltaiche
Sistemi integrati negli edifici
Il diagramma seguente mostra le principali applicazioni dei dispositivi FV classificate secondo
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la potenza elettrica.
4. Potenzialità del fotovoltaico
La quantità di energia elettrica prodotta da un sistema fotovoltaico dipende da numerosi
fattori:
superficie dell’impianto
posizione dei moduli FV nello spazio (angolo di inclinazione rispetto
all’orizzontale ed angolo di orientamento rispetto al Sud)
valori della radiazione solare incidente nel sito di installazione
efficienza dei moduli FV
efficienza del BOS
altri parametri (p.es. temperatura di funzionamento)
A titolo di esempio viene calcolata la quantità di energia elettrica mediamente prodotta
dai sistemi fotovoltaici in un anno di funzionamento nei tre siti di Roma, Milano e
Trapani. Ai fini del calcolo si può ragionare indifferentemente per m² di pannelli o per
unità di potenza installata (ad es. 1 kWp). Si ipotizza che i pannelli FV siano inclinati di
30° sull’orizzontale ed orientati verso Sud. Per l'efficienza dei moduli si è preso un
valore conservativo di 12.5% (i moduli possono avere efficienze anche fino al 16 –
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17%), mentre per quella del BOS un valore dell'85% (include l'efficienza dell'inverter ed
altri fattori di perdita, come ad esempio le perdite nei cavi elettrici di collegamento.
Calcolo dell’energia elettrica mediamente prodotta in corrente alternata in un anno
da 1 m² di moduli:
Tabella.1
Insolazione
media annua
X Efficienza
moduli
X Efficienza
del BOS
= Elettricità prodotta
mediamente in un anno
MILANO
1372.4 kWh/m²
anno
12,5%
85%
145.8 kWhel/m² anno
ROMA
1737.4 kWh/m²
anno
12,5%
85%
184.6 kWhel/m² anno
TRAPANI
1963.7 kWh/m²
anno
12,5%
85%
208.6 kWhel/m² anno
Calcolo dell’energia elettrica in corrente continua mediamente prodotta in un anno
da 1 kWp di moduli:
X superficie
X Efficienza
occupata da 1
moduli
kWp di moduli
= Elettricità prodotta
mediamente in un anno in
corrente continua
Tabella.2
Insolazione
media annua
MILANO
1372.4 kWh/m²
12,5%
anno
8 m²
1372.4 kWhel/kWp anno
ROMA
1737.4 kWh/m²
12,5%
anno
8 m²
1737.4 kWhel/kWp anno
TRAPANI
1963.7 kWh/m²
12,5%
anno
8 m²
1963.7 kWhel/kWp anno
Calcolo dell’energia elettrica in corrente alternata mediamente prodotta in un anno
da 1 kWp di moduli:
Elettricità prodotta
Tabella.3 mediamente in un anno in
corrente continua
= Elettricità prodotta
X efficienza
mediamente in un anno in
del BOS
corrente alternata
MILANO 1372.4 kWhel/kWp anno
85%
1167 kWhel/kWp anno
ROMA
1737.4 kWhel/kWp anno
85%
1477 kWhel/kWp anno
TRAPANI 1963.7 kWhel/kWp anno
85%
1669 kWhel/kWp anno
5. Costi
Le voci che costituiscono il costo di un sistema fotovoltaico sono: costi di investimento,
costi d'esercizio (manutenzione e personale) e altri costi (assicurazioni e tasse). Il costo
d'investimento è in prima approssimazione diviso al 50% tra i moduli ed il resto del
sistema. Nel corso degli ultimi due decenni il prezzo dei moduli è notevolmente
diminuito al crescere del mercato. Tuttavia, il prezzo del kWp installato, prossimo ai
16.000.000 Lire, è ancora tale da rendere questa tecnologia non competitiva dal punto di
vista economico con altri sistemi energetici, se non in particolari nicchie di mercato o in
presenza di meccanismi di incentivazione (vedi grafico sotto).
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Nel seguito si riporta l'esempio di calcolo del costo del kWh elettrico prodotto da un tetto
fotovoltaico a Trapani.
Sono stati assunti i seguenti parametri di calcolo:
tasso di sconto reale 5% (credito agevolato);
tempo di ammortamento dell'impianto uguale al tempo di vita dello stesso,
stimato in 25 anni (valore valido solo per moduli in silicio cristallino);
efficienza del B.O.S.: 85%;
costo annuo di manutenzione: 1% del costo capitale
dai costi è sempre escluso il sistema di acquisizione dati, il cui prezzo è molto variabile;
Tipo di impianto
Potenza impianto (kWp)
Costo moduli (Lit/Wp)
Costo BOS (Lit/Wp)
Costo totale impianto (Lit/Wp)
Costo totale impianto (Lit)
Costo annuo di manutenzione/
gestione
Energia prodotta annua (kWh)
Costo del kWh prodotto (Lit/kWh)
Integrato negli edifici
3
6,825
7,175
14,000
42,000,000
420,000
5062
672
6. Vantaggi ambientali
I vantaggi dei sistemi fotovoltaici sono la modularità, le esigenze di manutenzione ridotte
(dovute all’assenza di parti in movimento), la semplicità d'utilizzo, e, soprattutto, un
impatto ambientale estremamente basso. In particolare, durante la fase di esercizio,
l'unico vero impatto ambientale è rappresentato dall'occupazione di superficie. Tali
caratteristiche rendono la tecnologia fotovoltaica particolarmente adatta all'integrazione
negli edifici in ambiente urbano. In questo caso, infatti, sfruttando superfici già
utilizzate, si elimina anche l'unico impatto ambientale in fase di esercizio di questa
tecnologia. I benefici ambientali ottenibili dall’adozione di sistemi FV sono
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proporzionali alla quantità di energia prodotta, supponendo che questa vada a sostituire
dell'energia altrimenti fornita da fonti convenzionali.
Per produrre un chilowattora elettrico vengono bruciati mediamente l'equivalente di 2,56
kWh sotto forma di combustibili fossili e di conseguenza emessi nell'aria circa 0,53 kg di
anidride carbonica (fattore di emissione del mix elettrico italiano alla distribuzione). Si
può dire quindi che ogni kWh prodotto dal sistema fotovoltaico evita l'emissione di 0,53
kg di anidride carbonica. Questo ragionamento può essere ripetuto per tutte le tipologie
di inquinanti. Per quantificare il beneficio che tale sostituzione ha sull'ambiente è
opportuno riferirsi ad un esempio pratico. Si considerino degli impianti fotovoltaici
installati sui tetti di abitazioni a Milano, Roma e Trapani con una potenza di picco di 1
kWp (orientati a Sud con inclinazione 30°). L'emissione di anidride carbonica evitata in
un anno si calcola moltiplicando il valore dell'energia elettrica prodotta dai sistemi per il
fattore di emissione del mix elettrico. Per stimare l'emissione evitata nel tempo di vita
dall'impianto è sufficiente moltiplicare le emissioni evitate annue per i 30 anni di vita
stimata degli impianti. La tabella seguente riporta l'esempio di calcolo:
Emissioni evitate da un kWp di moduli nel tempo di vita degli impianti
=
X Tempo di = Emissioni
Energia elettrica X Fattore del
Emissioni
vita
evitate nel
Tabella 6.1 generata in c.a .in mix elettrico
evitate in
dell’impianto tempo di vita
un anno
italiano
un anno
Milano
Roma
1167.4kWhel/kWp
1477.4kWhel/kWp
Trapani 1669.7kWhel/kWp
0,531kg
CO2/kWhel
729kg CO2 30anni
0,531kg CO2/kWhel
18590kg CO2
922kg CO2 30anni 23529kg CO2
0,531kg CO2/kWhel 1043kg CO2 30anni 26587kg CO2
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Eolico
1. Quadro sintetico della tecnologia, degli impianti e delle macchine eoliche
La bassa densità energetica, dell'energia eolica per unità di area della superficie di
territorio, comporta la necessità di procedere alla installazione di più macchine per lo
sfruttamento della risorsa disponibile. Questo ovviamente non costituisce una
preclusione agli impianti con macchina singola.
L'esempio più tipico di impianto eolico è costituito dalla wind farm (cluster di più
aerogeneratori disposti variamente sul territorio, ma collegati ad una unica linea che li
raccorda alla rete locale o nazionale).
La concezione della wind farm è legata allo sfruttamento della risorsa eolica e deve
commisurarsi ad alcuni concetti base: risorsa accessibile, tecnicamente ed
economicamente sfruttabile.
Ma soprattutto deve strutturarsi sulla base delle esigenze dell'utenza cui si riferisce.
Gli impianti possono essere sostanzialmente delle tipologie che seguono:
A. Isolati
B. In Cluster (in genere collegati alla rete di potenza o ad una rete locale con
sistemi diesel);
C. Combinati o Integrati
Le macchine eoliche sono classificabili in diversa maniera e cioè in funzione della
tipologia di energia sfruttata, della posizione dell'asse di rotazione, della taglia di
potenza, del numero di pale etc.
Abbiamo così:
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
in funzione dell'energia sfruttata
in funzione della posizione dell'asse di rotazione
in funzione della taglia di potenza
in funzione della velocità del rotore
in funzione del numero di pale
in funzione della regolazione
Altre variabili utili alla classificazione riguardano per esempio la tipologia della torre
(metallica tubolare o a traliccio, in cemento) ed il tipo di progetto delle macchine soft o
hard in funzione della rigidezza del rotore, ma riguardano in genere le macchine ad asse
orizzontale. Esiste oggi una ulteriore classificazione in macchine a velocità variabile o a
velocità fissa ed, inoltre, in funzione del tipo di generatore elettrico:
In questa ultima ripartizione esistono macchine che posseggono due generatori e
macchine con generatori a numero di coppie polari variabili.
Ancora, esistono macchine dotate di inverter e macchine che ne sono prive.
Dal punto di vista della linea d'assi: con o senza moltiplicatore del numero di giri.
Gli impianti eolici di potenza sono sostanzialmente costituiti dalle wind farm con cluster
più o meno densamente popolato.
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Dall'esame di diversi esempi di parchi eolici, diversi per disposizione delle macchine e
per densità di popolazione del cluster delle stesse, risulta un gran numero di tipologie
possibili che, tuttavia possono raggrupparsi in un insieme discreto di cui quelle che
seguono sono le principali componenti:
A.
B.
C.
D.
E.
disposizione su reticolo quadrato o romboidale;
disposizione su una unica fila;
disposizione su file parallele;
disposizione su file incrociate (croce di S. Andrea);
disposizione risultante dalla combinazione e sovrapposizione delle precedenti
tipologie;
F. apparentemente casuale;
la prima tipologia è caratteristica delle installazioni più vecchie (specie in USA), mentre
l'ultima è caratterizzata da disposizioni in pianta secondo linee e figure molto articolate
e si presta alle installazioni in ambiente "complex terrain" (cioè con orografia
complessa).
Le file possono risultare con un minor numero di elementi in larghezza nella forma detta
di "pine-tree array". La centrale di Alta Nurra (Sardegna) appartiene alla tipologia "E"
("C" con sovrapposizione di "D").
La interdistanza fra gli aerogeneratori può variare da (3-5)D a (5-7)D a seconda se si
tratti della distanza entro la fila o tra file diverse.
Al fine di completare l'excursus sulle macchine eoliche, vale la pena di elencare, con un
approccio da "teoria dei sistemi", le componenti dell'intero aerogeneratore, guardando ai
sistemi e sottosistemi dello stesso.
Ne risulta l'elenco che segue:
A.
B.
C.
D.
E.
sistema della "Torre" e delle fondazioni o struttura di sostegno;
sistema "Navicella" o struttura di alloggiamento o contenimento;
sottosistema di orientamento;
sottosistema di protezione esterna;
sistema "Rotore";
i.
sottosistemi del rotore:
ii.
il moltiplicatore di giri;
iii.
il generatore elettrico;
iv.
il sottosistema di regolazione;
v.
il sistema di attuazione;
vi.
il freno;
F. sistema di controllo macchina;
G. sistema connessione alla rete o sistema di collegamento.
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2. Stato dell'arte
La tab. 1 che segue riporta lo sviluppo attuale (aggiornato alla fine del 1999) degli
impianti eolici installati nel Mondo con le previsioni per l'anno 2000.
Tab. 1
La tab. 2 successiva riporta i dati delle installazioni nei principali paesi che sfruttano le
tecnologie eoliche.
Tab.2
Anche in Italia sono stati installati numerosi impianti prevalentemente in Puglia,
Campania, Sicilia, Abruzzo .già fino all’anno 1999, e molti altri sono in corso di
realizzazione.
3. Applicazioni
Le principali applicazioni riguardano, nel caso delle piccole macchine, aerogeneratori o
aeromotori installati come sistemi isolati a servizio di una utenza isolata (per esempio
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una aeropompa azionata da un motore elettrico, nel caso dell'aerogeneratore, o una
aeropompa, propriamente detta, ed in genere lenta nel caso dell'aeromotore.
Nel caso delle macchine di media e grande taglia, l'applicazione tipica è in cluster (in
genere collegati alla rete di potenza o ad una rete locale con sistemi diesel), ed è questo
il caso delle grandi wind farm americane ed europee e, più di recente, italiane.
Le wind farm nel Nostro Paese, dopo qualche esempio realizzato in aree pianeggianti
(Alta Nurra), si stanno sviluppando in aree appenniniche anche al di sopra di 1.000 m
s.l.m. In un prossimo futuro potrebbero aversi anche centrali off-shore su fondali non
oltre i 10 m e entro 1-2 km dalla linea della costa.
4. Potenzialità
Per valutare le potenzialità di sfruttamento della fonte eolica è interessante mostrare un
raffronto con altre tecnologie basate sulle fonti rinnovabili: come illustrato nella tab. 4
che segue.
Tab. 4
Scenario per sviluppo dei settori-chiave (1999-2003)
Settore
ENERGIA SOLARE
Iniziative della Campagna TakeOff
650.000 sistemi FV in U.E.
350.000 sistemi FV nei PVS
__________________________
15 milioni m² di collettori solari
ENERGIA EOLICA
ENERGIA DA
BIOMASSE
10.000 MW di turbine eoliche
10.000 MW per produzione
combinata calore ed elettricità
__________________________
1.000.000 abitazioni riscaldate con
biomassa
__________________________
1.000 MW di installazioni biogas
__________________________
5 milioni di t di biocombustibili
TOTALE
Stima capacità
installata
650 MW
350 MW
Stima investimenti
totali(mld di Euro)
2,85(2,45)
Sostegno medio del
settore pubblico (%)
45%
-
______________
15 Mm²
______________
4,7
______________
15%
10.000 MW
10,1
20%
10.000 MW
5,5
30%
______________
10.000 MWt
______________
4,4
______________
10%
______________
1.000 MW
______________
1,2
______________
25%
______________
5 milioni di t
______________
1,25
______________
50%
30 mld Euro
Fonte: Campaign for the Take-Off
(documento elaborato dal Consiglio Europeo, 8 Giugno 98 )
La tab. 5 mostra alcune possibili evoluzioni stimate in termini di potenza installata.
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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Tab. 5
5. Aspetti economici
Attualmente, in Italia, il costo di installazione, ipotizzando l'impiego di aerogeneratori
da almeno 600 kW di potenza nominale, si può ritenere compreso fra un minimo di
1.650.000 ed un massimo di 2.500.000 £/kW andando da siti pianeggianti a siti
caratterizzati da orografia complessa. Il costo della macchina può ritenersi,
prudenzialmente, compreso fra 2/3 e 3/4 del costo totale di installazione in funzione
delle caratteristiche orografiche del sito. Quando saranno disponibili rilevazioni di
mercato ufficiali anche in Italia sarà possibile fornire indicazioni più precise.
Attualmente, in linea di principio, può dirsi che una centrale da circa 10 MW, allacciata
quindi alla rete elettrica in AT, potrebbe avere un costo di realizzazione compreso fra i
16 e i 25 miliardi di lire in funzione dell'orografia del sito. Applicazioni sempre in rete
ma allacciate a quella di MT (impianti con potenza di circa 2-3 MW) potrebbero avere
un costo di realizzazione compreso tra 1,8 e 2,1 miliardi di lire per MW installato. Il
costo di produzione varia in funzione della taglia delle macchine e della ventosità del
sito. Dopo essere stato, nel corso degli ultimi anni, a livelli di 85 - 141 £/kWh, stime più
recenti lo indicherebbero in un range compreso fra 65 e 85 £/kWh. Presto il costo del
kWhe da fonte eolica, potrebbe raggiungere anche le 55 £/kWh divenendo così
confrontabile con quello proveniente dagli impianti turbogas. Bisogna ricordare che
l'energia prodotta varia con il cubo della velocità del vento, il costo del kWh prodotto
dipende fortemente dalla ventosità del sito e quindi la sua scelta è fondamentale e deve
basarsi su una corretta campagna anemologica.
Oggi, sulla base di valutazioni economiche e tecniche, si comincia a parlare di "valore"
dell'energia elettrica da fonte eolica, in contrapposizione ai "costi", per meglio
specificare il ruolo degli impianti eolici nel sistema energetico d'un paese.
Alcuni degli elementi costitutivi del valore si possono evincere nel paragrafo 6.
6. Impatto ambientale degli impianti eolici
Gli impianti eolici producono un impatto sull'ambiente estremamente limitato e fondato
sui seguenti fattori di impatto:
1.
2.
3.
4.
5.
occupazione del territorio;
variazione al paesaggio;
emissioni acustiche;
interferenze elettromagnetiche;
disturbo all'avifauna stanziale e migratoria;
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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6. produzione di energia da immettere direttamente sulla rete locale (impatto
positivo);
7. disponibilità di potenza direttamente vicino ai centri di carico locali (impatto
positivo);
8. emissioni inquinanti evitate dalla sostituzione di una quota parte del parco
termoelettrico (impatto positivo).
Di questi fattori solo i primi due possono in qualche modo considerarsi particolarmente
significativi e provati.
Tuttavia il fattore rappresentato dall'occupazione del suolo di fatto non esclude gli altri
usi del territorio in quanto solo l'1-2% del territorio occupato dalla wind farm è
materialmente indisponibile per l'esistenza stessa delle macchine.
Gli impianti eolici, insieme agli impianti idraulici (anche di piccola taglia), sono gli
unici in grado di sostituire quote significative di impianti basati su fonti fossili, per cui
per ogni unità di energia elettrica prodotta verrebbero risparmiati quantitativi di
emissioni come da tab. 6 (fattori di emissioni per tipologia di impianto a fonte fossile).
Tab.6
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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Biomasse
1. Quadro sintetico della tecnologia e degli impianti
Biomassa è un termine che riunisce una gran quantità di materiali, di natura
estremamente eterogenea. In forma generale, si può dire che è biomassa tutto ciò che ha
matrice organica, con esclusione delle plastiche e dei materiali fossili, che, pur
rientrando nella chimica del carbonio, non hanno nulla a che vedere con la
caratterizzazione che qui interessa dei materiali organici. La biomassa rappresenta la
forma più sofisticata di accumulo dell’energia solare. Questa, infatti, consente alle
piante di convertire la CO² atmosferica in materia organica, tramite il processo di
fotosintesi, durante la loro crescita. In questo modo vengono fissate complessivamente
circa 2·1011 tonnellate di carbonio all’anno, con un contenuto energetico dell’ordine di
70·103 Mtep. La biomassa utilizzabile ai fini energetici consiste in tutti quei materiali
organici che possono essere utilizzati direttamente come combustibili ovvero
trasformati in altre sostanze (solide, liquide o gassose) di più facile utilizzo negli
impianti di conversione. Altre forme di biomassa possono, inoltre, essere costituite dai
residui delle coltivazioni destinate all’alimentazione umana o animale (paglia) o piante
espressamente coltivate per scopi energetici. Le più importanti tipologie di biomassa
sono residui forestali, scarti dell’industria di trasformazione del legno (trucioli,
segatura, etc.) scarti delle aziende zootecniche, gli scarti mercatali, ed i rifiuti solidi
urbani.
2. Stato dell'arte
Ad oggi, le biomasse soddisfano il 15% circa degli usi energetici primari nel mondo,
con 55 milioni di TJ/anno (1.230 Mtep/anno). L’utilizzo di tale fonte mostra, però, un
forte grado di disomogeneità fra i vari Paesi. I Paesi in Via di Sviluppo, nel complesso,
ricavano mediamente il 38% della propria energia dalle biomasse, con 48 milioni di
TJ/anno (1.074 Mtep/anno), ma in molti di essi tale risorsa soddisfa fino al 90% del
fabbisogno energetico totale, mediante la combustione di legno, paglia e rifiuti animali.
Nei Paesi Industrializzati, invece, le biomasse contribuiscono appena per il 3% agli usi
energetici primari con 7 milioni di TJ/anno (156 Mtep/anno). In particolare, gli USA
ricavano il 3,2% della propria energia dalle biomasse, equivalente a 3,2 milioni di
TJ/anno (70 Mtep/anno); l’Europa, complessivamente, il 3,5%, corrispondenti a circa
40 Mtep/anno, con punte del 18% in Finlandia, 17% in Svezia, 13% in Austria, l’Italia,
con il 2% del proprio fabbisogno coperto dalle biomasse, è al di sotto della media
europea.
L’impiego delle biomasse in Europa soddisfa, dunque, una quota piuttosto marginale
dei consumi di energia primaria, ma il reale potenziale energetico di tale fonte non è
ancora pienamente sfruttato.
All’avanguardia, nello sfruttamento delle biomasse come fonte energetica, sono i Paesi
del centro-nord Europa, che hanno installato grossi impianti di cogenerazione e
teleriscaldamento alimentati a biomasse. La Francia, che ha la più vasta superficie
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agricola in Europa, punta molto anche sulla produzione di biodiesel ed etanolo, per il
cui impiego come combustibile ha adottato una politica di completa defiscalizzazione.
La Gran Bretagna invece, ha sviluppato una produzione trascurabile di biocombustibili,
ritenuti allo stato attuale antieconomici, e si è dedicata in particolare allo sviluppo di un
vasto ed efficiente sistema di recupero del biogas dalle discariche, sia per usi termici
che elettrici. La Svezia e l’Austria, che contano su una lunga tradizione di utilizzo della
legna da ardere, hanno continuato ad incrementare tale impiego sia per riscaldamento
che per teleriscaldamento, dando grande impulso alle piantagioni di bosco ceduo
(salice, pioppo) che hanno rese 3÷4 volte superiori alla media come fornitura di materia
prima. Nel quadro europeo dell’utilizzo energetico delle biomasse, l’Italia si pone in
una condizione di scarso sviluppo, nonostante l’elevato potenziale di cui dispone, che
come esposto nel prosieguo risulta non inferiore ai 27 Mtep.
3. Applicazioni
I processi di conversione biochimica permettono di ricavare energia per reazione
chimica dovuta al contributo di enzimi, funghi e micro-organismi, che si formano nella
biomassa sotto particolari condizioni, e vengono impiegati per quelle biomasse in cui il
rapporto C/N sia inferiore a 30 e l'umidità alla raccolta superiore al 30%. Risultano
idonei alla conversione biochimica le colture acquatiche, alcuni sottoprodotti colturali
(foglie e steli di barbabietola, ortive, patata, ecc.), i reflui zootecnici e alcuni scarti di
lavorazione (borlande, acqua di vegetazione, ecc.), nonché la biomassa eterogenea
immagazzinata nelle discariche controllate.
I processi di conversione termochimica sono basati sull'azione del calore che
permette le reazioni chimiche necessarie a trasformare la materia in energia e sono
utilizzabili per i prodotti ed i residui cellulosici e legnosi in cui il rapporto C/N abbia
valori superiori a 30 ed il contenuto di umidità non superi il 30%. Le biomasse più
adatte a subire processi di conversione termochimica sono la legna e tutti i suoi derivati
(segatura, trucioli, ecc.), i più comuni sottoprodotti colturali di tipo ligno-cellulosico
(paglia di cereali, residui di potatura della vite e dei fruttiferi, ecc.) e taluni scarti di
lavorazione (lolla, pula, gusci, noccioli, ecc.).
Tra le varie tecnologie di conversione energetica delle biomasse alcune possono
considerarsi giunte ad un livello di sviluppo tale da consentirne l’utilizzazione su scala
industriale, altre necessitano invece di ulteriore sperimentazione al fine di aumentare i
rendimenti e ridurre i costi di conversione energetica.
Le tecnologie attualmente disponibili sono sinteticamente:
•
•
•
•
•
•
•
combustione diretta
carbonizzazione
pirolisi
gassificazione
la digestione anaerobica
digestione aerobica
fermentazione alcoolica
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•
•
estrazione di olii e produzione di biodiesel
steam explosion
La digestione anaerobica,
processo di conversione di tipo biochimico, avviene in assenza di ossigeno e consiste
nella demolizione, ad opera di micro-organismi, di sostanze organiche complesse
(lipidi, protidi, glucidi) contenute nei vegetali e nei sottoprodotti di origine animale, che
produce un gas (biogas) costituito per il 50÷70% da metano e per la restante parte
soprattutto da CO² ed avente un potere calorifico medio dell'ordine di 23.000 kJ/Nm3. Il
biogas così prodotto viene raccolto, essiccato, compresso ed immagazzinato e può
essere utilizzato come combustibile per alimentare caldaie a gas per produrre calore o
motori a combustione interna (adattati allo scopo a partire da motori navali a basso
numero di giri) per produrre energia elettrica.
Al termine del processo di fermentazione nell'effluente si conservano integri i principali
elementi nutritivi (azoto, fosforo, potassio), già presenti nella materia prima, favorendo
così la mineralizzazione dell'azoto organico; l'effluente risulta in tal modo un ottimo
fertilizzante. Gli impianti a digestione anaerobica possono essere alimentati mediante
residui ad alto contenuto di umidità, quali le deiezioni animali, i reflui civili, i rifiuti
alimentari e la frazione organica dei rifiuti solidi urbani. Tuttavia, anche in discariche
opportunamente attrezzate per la raccolta del biogas sviluppato, solo il 40% circa del
gas generato può essere raccolto, mentre la rimanente parte viene dispersa in atmosfera:
poiché il metano, di cui è in gran parte costituito il biogas, è un gas serra con un effetto
circa venti volte superiore a quello della CO², le emissioni in atmosfera di biogas non
sono desiderabili; quando invece la decomposizione dei rifiuti organici è ottenuta
mediante digestione anaerobica nei digestori (chiusi) degli appositi impianti, quasi tutto
il gas prodotto viene raccolto ed usato come combustibile.
La fermentazione alcoolica
è un processo di tipo micro-aerofilo che opera la trasformazione dei glucidi contenuti
nelle produzioni vegetali in etanolo. L’etanolo risulta un prodotto utilizzabile anche nei
motori a combustione interna normalmente di tipo “dual fuel”, come riconosciuto fin
dall’inizio della storia automobilistica. Se, però, l’iniziale ampia disponibilità ed il
basso costo degli idrocarburi avevano impedito di affermare in modo molto rapido l’uso
di essi come combustibili, dopo lo shock petrolifero del 1973 sono stati studiati
numerosi altri prodotti per sostituire il carburante delle automobili (benzina e gasolio);
oggi, tra questi prodotti alternativi, quello che mostra il miglior compromesso tra
prezzo, disponibilità e prestazioni è proprio l’etanolo, o più probabilmente il suo
derivato ETBE (EtilTertioButilEtere), ottenuto combinando un idrocarburo petrolifero
(l’isobutene) e l’etanolo.
Il processo di digestione aerobica
consiste nella metabolizzazione delle sostanze organiche per opera di micro-organismi,
il cui sviluppo è condizionato dalla presenza di ossigeno. Questi batteri convertono
sostanze complesse in altre più semplici, liberando CO² e H²O e producendo un elevato
riscaldamento del substrato, proporzionale alla loro attività metabolica. Il calore
prodotto può essere così trasferito all’esterno, mediante scambiatori a fluido. In Europa
viene utilizzato il processo di digestione aerobica termofila autoriscaldata (Autoheated
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Termophilic Aerobic Digestion) per il trattamento delle acque di scarico. Più
recentemente tale tecnologia si è diffusa anche in Canada e Stati Uniti.
La carbonizzazione è un processo di tipo termochimico che consente la trasformazione
delle molecole strutturate dei prodotti legnosi e cellulosici in carbone (carbone di legna
o carbone vegetale), ottenuta mediante l’eliminazione dell’acqua e delle sostanze
volatili dalla materia vegetale, per azione del calore nelle carbonaie, all’aperto, o in
storte, che offrono una maggior resa in carbone.
Il processo di gassificazione
consiste nell'ossidazione incompleta di una sostanza in ambiente ad elevata temperatura
(900÷1.000°C) per la produzione di un gas combustibile (detto gas di gasogeno) di
basso potere calorifico inferiore, variabile tra i 4.000 kJ/Nm3, nel caso più diffuso dei
gassificatori ad aria ed i 14.000 kJ/Nm3, nel caso dei gassificatori ad ossigeno. Valori
intermedi (10.000 kJ/Nm3) si ottengono nel caso di gassificatori a vapor d’acqua. I
problemi connessi a questa tecnologia, ancora in fase di sperimentazione, si incontrano
a valle del processo di gassificazione e sono legati principalmente al suo basso potere
calorifico ed alle impurità presenti nel gas (polveri, catrami e metalli pesanti).
L’utilizzazione del gas di gasogeno quale vettore energetico pone alcune limitazioni
legate essenzialmente ai problemi connessi con il suo immagazzinamento e trasporto,
causa il basso contenuto energetico per unità di volume. Ciò fa sì che risulti
eccessivamente costoso il trasporto su lunghe distanze. Tali inconvenienti possono
essere superati trasformando il gas in alcool metilico (CH³OH), che può essere
agevolmente utilizzato per l’azionamento di motori. Il metanolo, caratterizzato da un
potere calorifico inferiore dell’ordine di 21.000 kJ/kg, può essere successivamente
raffinato per ottenere benzina sintetica, con potere calorifico analogo a quello delle
benzine tradizionali.
La pirolisi
è un processo di decomposizione termochimica di materiali organici, ottenuto mediante
l’applicazione di calore, a temperature comprese tra 400 e 800°C, in completa assenza
di un agente ossidante, oppure con una ridottissima quantità di ossigeno (in
quest’ultimo caso il processo può essere descritto come una parziale gassificazione). I
prodotti della pirolisi sono sia gassosi, sia liquidi, sia solidi, in proporzioni che
dipendono dai metodi di pirolisi (pirolisi veloce, lenta, o convenzionale) e dai parametri
di reazione. Uno dei maggiori problemi legati alla produzione di energia basata sui
prodotti della pirolisi è la qualità di detti prodotti, che non ha ancora raggiunto un
livello sufficientemente adeguato con riferimento alle applicazioni, sia con turbine a gas
sia con motori diesel. In prospettiva, anche con riferimento alle taglie degli impianti, i
cicli combinati ad olio pirolitico appaiono i più promettenti, soprattutto in impianti di
grande taglia, mentre motori a ciclo diesel, utilizzanti prodotti di pirolisi, sembrano più
adatti ad impianti di piccola potenzialità.
La combustione diretta viene generalmente attuata in apparecchiature (caldaie) in cui
avviene anche lo scambio di calore tra i gas di combustione ed i fluidi di processo
(acqua, olio diatermico, ecc.). La combustione di prodotti e residui agricoli si attua con
buoni rendimenti, se si utilizzano come combustibili sostanze ricche di glucidi
strutturati (cellulosa e lignina) e con contenuti di acqua inferiori al 35%. I prodotti
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utilizzabili a tale scopo sono i seguenti:
•
•
•
•
•
•
•
legname in tutte le sue forme;
paglie di cereali;
residui di raccolta di legumi secchi;
residui di piante oleaginose (ricino, catramo, ecc.);
residui di piante da fibra tessile (cotone, canapa, ecc.);
residui legnosi di potatura di piante da frutto e di piante forestali;
residui dell’industria agro – alimentare.
Le caldaie a letto fluido rappresentano la tecnologia più sofisticata e dispendiosa che sta
ricevendo, però, notevoli attenzioni, infatti essa permette il conseguimento di numerosi
vantaggi quali la riduzione degli inquinanti e l’elevato rendimento di combustione.
Gli olii vegetali
possono essere estratti dalle piante oleaginose (soia, colza, girasole, ecc.). Caratteristica
comune di tutte le oleaginose è quella di essere ricche di materie proteiche che, dopo
l’estrazione dell’olio, sono impiegabili nell’alimentazione animale sotto forma di
panelli. Le principali piante che si trovano in Europa sono la colza e il girasole (i
principali Paesi produttori europei sono, per la colza, la Germania, la Francia, la Gran
Bretagna e la Danimarca; per il girasole, la Francia, la Spagna e l’Italia); la coltivazione
della soia, invece, si trova principalmente in America (Stati Uniti, Brasile e Argentina).
Gli olii possono essere utilizzati come combustibili nello stato in cui vengono estratti
oppure dopo esterificazione, ed il loro utilizzo ha destato ormai da tempo un notevole
interesse, sia per la disponibilità di tecnologie semplici di trasformazione ed
utilizzazione, sia perché consentono bilanci energetici accettabili, sia, infine, per la
riutilizzazione dei sottoprodotti di processo (es. la glicerina, utilizzata dall’industria
farmaceutica).
Lo Steam Explosion (SE)
è un trattamento innovativo, a basso impatto ambientale, mediante il quale si può
ottenere una vasta gamma di prodotti, utilizzando come materia prima le biomasse
vegetali. Rispetto agli altri processi di pretrattamento, lo SE presenta il vantaggio
fondamentale di separare in tre differenti correnti le frazioni costituenti i comuni
substrati vegetali (emicellulosa, cellulosa, lignina) rendendo possibile l’utilizzazione
totale delle biomasse. Il processo consiste nell’uso di vapore saturo ad alta pressione
per riscaldare rapidamente legno, o qualsiasi altro materiale lignocellulosico, in un
reattore che può essere ad alimentazione continua o discontinua.
4. Potenzialità
Lo sfruttamento a fini energetici delle biomasse può assumere un ruolo strategico,
contribuendo ad uno sviluppo sostenibile ed equilibrato del pianeta. Un impiego diffuso
delle biomasse può comportare notevoli ricadute a livello economico, ambientale ed
occupazionale, in quanto esse possono garantire: a valorizzazione di residui
agroindustriali;
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•
•
•
•
nuove opportunità di sviluppo per zone marginali e/o riduzione di surplus
agricoli con sostituzione di colture tradizionali con colture energetiche;
la possibilità di sviluppo di nuove iniziative industriali;
contributo nullo all’incremento del tasso di CO² in atmosfera;
l’autonomia energetica locale di Aziende agricole o di lavorazioni del legno
In tale ottica, la Campagna della Commissione europea per il decollo delle fonti
energetiche rinnovabili (Take off Campaign) individua l’energia da biomasse come uno
dei settori-chiave per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Libro Bianco
europeo.
Nell’ottica della diversificazione delle fonti rinnovabili, inoltre, lo sfruttamento a fini
energetici delle biomasse rappresenta, in particolare per l’Italia, un importante
giacimento energetico potenziale, che potrebbe permettere di ridurre la vulnerabilità
nell’approvvigionamento delle risorse energetiche e limitare l’importazione di energia
elettrica. Si valuta, infatti, che la disponibilità di biomasse residuali (legno, residui
agricoli e dell’industria agroalimentare, rifiuti urbani e dell’industria zootecnica), in
Italia, corrisponde ad un ammontare di circa 66 milioni di t di sostanza secca l’anno
equivalente a 27Mtep.
Nonostante l’Italia sia un Paese abbastanza ricco di foreste, le loro caratteristiche
energetiche sono scarse ed inoltre solo 1/3 della naturale produttività di queste è
attualmente sfruttato. Con un adeguato programma di rimboschimento e mantenimento
delle foreste, potrebbero rendersi disponibili nuove biomasse per circa 2 Mtep/anno.
Oltre alle foreste esistenti, si potrebbero ottenere nuove superfici boschive
convenzionali, sfruttando una parte degli oltre 2.000.000 ha non destinati all’agricoltura
perché troppo poco produttivi. Inoltre, potrebbero essere piantati boschi cedui e colture
erbacee a precipuo uso energetico, riconvertendo parte dei 250 mila ettari lasciati
attualmente incolti nel rispetto delle direttive comunitarie emanate con riferimento al
problema delle eccedenze agricole: l’attuale superficie destinata alle colture
energetiche, estremamente limitata, dovrebbe essere estesa a 3.500÷5.000 ha di colture
legnose a corto ciclo, ma la superficie potenziale è dell’ordine del milione di ha.
5. Costi
La difficoltà di sviluppo del settore dello sfruttamento energetico delle biomasse è
legata principalmente al superamento delle barriere non-tecniche (finanziamenti dei
costi di investimento alquanto elevati, Politica Agricola Comunitaria, diffusione delle
informazioni).
Il costo dell'energia da biomassa è, attualmente, ancora generalmente maggiore di
quello derivante dalle fonti fossili, ma vi è una tendenza verso la competitività, in tempi
ragionevolmente brevi, da sostenere e valorizzare.
In tutti i casi, tuttavia, il gap di costo tra le fonti rinnovabili e quelle fossili, sarebbe
invertito se venissero considerati nell'analisi costi-benefici gli aspetti ambientali ed i
costi sociali connessi alla combustione dei materiali fossili.
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6. Vantaggi ambientali
La biomassa è ampiamente disponibile ovunque e rappresenta una risorsa locale, pulita
e rinnovabile. L’utilizzazione delle biomasse per fini energetici non contribuisce
all’effetto serra, poiché la quantità di anidride carbonica rilasciata durante la
decomposizione, sia che essa avvenga naturalmente, sia per effetto della conversione
energetica, è equivalente a quella assorbita durante la crescita della biomassa stessa;
non vi è, quindi, alcun contributo netto all’aumento del livello di CO² nell’atmosfera. In
tale ottica, quindi, aumentare la quota di energia prodotta mediante l’uso delle
biomasse, piuttosto che con combustibili fossili, può contribuire alla riduzione della
CO² emessa in atmosfera.
Minidraulica
1. Quadro sintetico della tecnologia, degli impianti e delle macchine
Energia idroelettrica è un termine usato per definire l'energia elettrica ottenibile a
partire da una caduta d'acqua, convertendo con apposito macchinario l'energia
meccanica contenuta nella portata d'acqua trattata. Gli impianti idraulici, quindi,
sfruttano l'energia potenziale meccanica contenuta in una portata di acqua che si trova
disponibile ad una certa quota rispetto al livello cui sono posizionate le turbine.
Pertanto la potenza di un impianto idraulico dipende da due termini: il salto (dislivello
esistente fra la quota a cui è disponibile la risorsa idrica svasata e il livello a cui la
stessa viene restituita dopo il passaggio attraverso la turbina) e la portata (la massa
d'acqua che fluisce attraverso la macchina espressa per unità di tempo).
In base alla taglia di potenza nominale della centrale, gli impianti idraulici si
suddividono in:
I.
II.
III.
IV.
Micro-impianti: P < 100 kW;
Mini-impianti: 100 < P (kW) < 1000;
Piccoli-impianti: 1000 < P (kW) < 10000;
Grandi-impianti: P > 10000 kW.
Gli impianti possono essere poi:
A. ad acqua fluente;
B. a bacino;
C. di accumulo a mezzo pompaggio.
In funzione del salto gli impianti idraulici possono essere:
1. a bassa caduta (H > 50 m);
2. a media caduta (H = 50 ÷ 250 m);
3. ad alta caduta (H = 250 ÷ 1000 m);
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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4. ad altissima caduta ( H > 1000 m).
Mentre in funzione della portata si parla di:
i.
ii.
iii.
iv.
piccola portata (Q > 10 m³/s);
media portata (Q = 10 ÷ 100 m³/s);
grande portata (Q = 100 ÷ 1000 m³/s)
altissima portata (Q > 1000 m³/s).
Una centrale è composta in genere da un'opera di derivazione (contenente uno
sbarramento), un'opera di adduzione (condotte di collegamento), una condotta forzata,
una centrale elettrica che contiene il macchinario di conversione e generazione e
un'opera
di
restituzione.
La derivazione di acque è regolata per legge sulla base di apposite concessioni
governative che risultano sempre a titolo oneroso e che sono soggette a rinnovo con
durata, in genere, almeno ventennale. La portata derivata da un bacino deve essere tale
da rispettare l'ambiente e l'idrologia del corpo idrico intercettato. Il cosiddetto
Deflusso Minimo Vitale (DMV) rappresenta il limite posto alla portata derivabile
affinché l'impianto sia compatibile con l'ambiente. La potenza effettivamente ritraibile
da un impianto idraulico si esprime secondo la seguente formula:
P = µ*Q*H*9,81*(1)
ove µ rappresenta il rendimento globale dell'impianto, Q la portata espressa in m³/s e
H il salto geodetico espresso in m.
Una delle particolarità salienti di questi impianti è legata al fatto che per tipologia
impiantistica e taglia si prestano ad essere del tutto automatizzati. L'impiego di
macchinario elettromeccanico realizzato ad hoc consente in qualche modo di
ottimizzarne i costi ma va comunque tenuto presente che i costi legati a questa voce
non superano in genere il 10-15% del totale.
Il macchinario è costituito in genere da piccole turbine Francis e Pelton per gli
impianti con maggiori salti.
Nel campo delle portate più elevate e dei salti contenuti, si sono assai diffuse le turbine
dette Banki-Mitchell che in un prossimo futuro potrebbero essere sostituite da nuovi
prototipi studiati e progettati presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" da
Carmelo Caputo.
2. Stato dell'arte
Per avere un quadro significativo in merito allo stato dello sviluppo del mini-hydro in
Italia non è fuori luogo compiere l'excursus rappresentato dalle tabelle che seguono.
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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Tab.1
Tab.2
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Tab.3
Tab.4
Tab.5
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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3. Applicazioni
In genere molti impianti di piccola taglia si trovano realizzati in aree montane su corsi
d'acqua a regime torrentizio o permanente e l'introduzione del telecontrollo,
telesorveglianza e telecomando ed azionamento consentono di recuperarli ad una piena
produttività, risparmiando sui costi del personale di gestione, che in genere si limita
alla sola manutenzione ordinaria con semplici operazioni periodiche (ad es. la
sostituzione dell'olio per la lubrificazione delle parti). Molti impianti di piccola taglia
attuano il cosiddetto recupero energetico. I sistemi idrici nei quali esistono possibilità
di recupero sono assai diversi e possono essere indicativamente raggruppati nelle
seguenti tipologie:
a.
b.
c.
d.
e.
acquedotti locali o reti acquedottistiche complesse;
sistemi idrici ad uso plurimo (potabile, industriale, irriguo, ricreativo, etc.);
sistemi di canali di bonifica o irrigui;
canali o condotte di deflusso per i superi di portata;
circuiti di raffreddamento di condensatori di impianti motori termici.
In linea generale, nei sistemi idrici in cui esistono punti di controllo e regolazione
della portata derivata o distribuita all'utenza, come pure dei livelli piezometrici,
attraverso organi del tipo di paratoie, valvole, opere idrauliche (vasche di
disconnessione, sfioratori, traverse, partitori), cioè sistemi di tipo dissipativo, è
possibile installare turbine idrauliche che siano in grado di recuperare salti altrimenti
perduti.
Si può dire che esiste la convenienza a realizzare impianti di piccola taglia ove le
condotte già esistano insieme a salti e portate interessanti, sotto questo punto di vista
gli acquedotti rappresentano una significativa possibilità di sfruttamento.
4. Potenzialità
Secondo le analisi condotte da TONDI et al. (1999) esistono quote significative di
possibile crescita per gli impianti idraulici in Italia, e tali stime trovano conferma
anche nelle valutazioni dell'ENEA (1998) secondo cui sarebbe possibile realizzare in
Italia, entro il 2010, 850 MWe di impianti idraulici di taglia small (P > 10 MW),
avendone messi in funzione per circa 311 MWe entro il 2001 insieme a 450 MWe di
impianti di taglia superiore a 10 MWe.
Non è noto se tali stime abbiano tenuto conto, in una qualche maniera, del fatto che nel
Nostro Paese risultino in scadenza, proprio nel biennio 1998-2000, numerose
concessioni governative alla derivazione di risorse idriche per uso elettrico. Questa
questione potrebbe essere suscettibile di creare una qualche barriera allo sviluppo dei
nuovi impianti oppure al riavvio di quelli legati alle concessioni in scadenza.
Nonostante l'esistenza delle graduatorie del CIP 6/'92, e quindi la possibilità di
sviluppare impianti della potenza inferiore a 10 MW fino ad un totale di 3300 MW
[ENEA (1998)]1, non è chiaro come sia possibile sviluppare nuovi impianti idraulici
se non saranno definiti i rapporti con il sistema delle concessioni alla derivazione e sul
1 Al 1998 esisteva una quota di impianti con potenza fino a 10 MW pari a 2530 MW e quindi si avrebbe un incremento
del 23% circa.
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meccanismo attuativo dei certificati verdi.
La tab. 6 offre il panorama della crescita impiantistica stimata da TONDI et al. (1999),
che risulta esser stato basato su un censimento dei corsi d'acqua attraversanti aree
urbane ed aree di interesse idroelettrico effettuato in Italia nell'ambito del Progetto
THERMIE della UE. Sui 350 corpi idrici censiti ed interessanti aree di tipo urbano
(400), sono stati individuati 814 siti potenziali di cui circa 450 in aree di tipo urbano e
suburbano e 107 nella sola Regione Valle d'Aosta, per un totale di circa 921 siti.
In tali siti potrebbero sorgere nuovi impianti oppure si potrebbe procedere al recupero
ed al potenziamento di quelli esistenti che risultano dismessi o comunque abbandonati
anche per problemi inerenti alle concessioni.
Tab.6
Dai 456 siti potenziali rilevati sarebbe possibile, attraverso l'installazione di impianti
per una potenza stimata pari a 115 MW1, generare circa 500 GWh/anno con un fattore
di utilizzazione medio pari a circa 4500 h/anno.
L'investimento totale per tutti i siti esaminati assommerebbe a circa 880 miliardi di lire
italiane, mentre per le sole aree urbane si dovrebbero spendere solo 283 miliardi di
lire.
È particolarmente significativo il fatto che, sugli 814 siti ipotizzati, solo 31
consentirebbero l'installazione di impianti con una potenza superiore a 1 MW.
1 Ogni impianto avrebbe una potenza media di circa 250 kW
2 Ubicati in posizioni assai vicine ai centri di utilizzazione massiva dell'energia elettrica (aree urbane assai densamente
popolate o aree industriali caratterizzate da intensi prelievi elettrici).
3 Quello dovuto agli impianti a bacino è di gran lunga superiore agli altri, ovviamente, per la presenza della diga e
dell'invaso che creano una rilevante modificazione territoriale.
4 È stato osservato sperimentalmente che in vicinanza delle pareti cementate di una diga si arrivi facilmente in acqua a
condizioni di anossia; la mancanza di ombreggiatura della superficie delle acque di un corpo idrico, imputabile alla
mancanza di vegetazione sulle rive, tende ad aumentare la temperatura diminuendo così la quantità di ossigeno disciolto
5 Si tratta di un concetto che, prima ancora che tecnico, è giuridico, essendo stato introdotto, per esempio in Italia,
attraverso una legge dello stato [v. art. 3, punto 1, lettera i) della L. n° 183/'89]; questo parametro stabilisce "...la quota
minima di acqua necessaria al mantenimento dei valori ambientali del corpo idrico ad un livello accettabile".
6 La portata di DMV calcolata dal punto di vista idrologico può essere molto maggiore di quella basata sui microhabitat
(la prima può essere 6 volte la seconda), per cui sembrerebbe di poter dire che "...la metodologia dei microhabitat
garantisca il massimo sfruttamento della risorsa idrica".
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5. Aspetti economici
Il costo medio del kWh degli impianti mini-hydro varia dalle 85 alle 115 £ in funzione
delle caratteristiche del sito (salto e portata).
Per uno sviluppo di tutti gli impianti individuati nel precedente par. si è stimata una
somma pari a circa 880 miliardi di lire, con un costo unitario della potenza installata
pari a circa 2.086.821 lire.
Alcune turbine Banki, realizzate in Italia, per impianti micro-hydro hanno costi
compresi fra 1,5 e 2,5 milioni di lire/kW nella classe da 10 a 60 kW.
Un possibile incentivo alla realizzazione degli impianti, ipotizzati per le aree urbane
e/o suburbane, potrebbe venire dalla loro integrazione in sistemi DPS (piccoli impianti
distribuiti di accumulo a mezzo pompaggio2) del tipo proposti da REYNOLDS (1995)
ed in questo caso tali impianti potrebbero, significativamente, partecipare al
miglioramento della qualità del sistema di distribuzione elettrica a livello locale,
specie nelle aree appenniniche della penisola.
6. Impatto ambientale degli impianti mini-hydro
A parità di energia prodotta, una centrale idroelettrica che genera 6 GWh permette di
ridurre l'emissione di anidride carbonica di 4.000 t/anno rispetto ad una centrale a
carbone. Per una generazione di 1.900 GWh/anno, quale quella che si realizzerebbe
sviluppando il potenziale prima detto, si avrebbe una riduzione di 1,27 Mt/anno di
diossido di carbonio e 3.800 t di ossidi di azoto oltre a 535 t di particolati vari.
L'impatto ambientale degli impianti è comunque legato alla trasformazione del
territorio e alla derivazione o captazione di risorse idriche da corpi idrici superficiali.
Il deflusso minimo vitale costituisce come anticipato un elemento di valutazione
notevole per la stima della effettiva incidenza che hanno le derivazione sui corpi idrici
assoggettati.
L'impatto ambientale degli impianti idraulici è ben diverso e varia in misura notevole a
seconda che si tratti di impianti a bacino3 o meno. Fermo restando la presenza di
notevoli opere di captazione e contenimento, e la stessa esistenza del bacino, che
mutano il paesaggio e la fruibilità del territorio, esistono due aspetti che sono
strettamente collegati con il prelievo di acque superficiali e che possono generare
impatti notevoli di due diversi ordini:
I.
II.
impatto relativo alla variazione (diminuzione) della quantità dell'acqua, con
possibili conseguenze conflittuali per gli utilizzatori;
impatto relativo alla variazione di qualità dell'acqua in conseguenza di
variazioni di quantità ed anche in conseguenza di modificazioni della
vegetazione ripuaria4.
La limitazione dell'entità e della rilevanza di queste due voci può esser conseguita
sfruttando il concetto di deflusso minimo vitale (DMV) negli alvei sottesi5. L'impiego
tecnico di un criterio di progetto basato su tale parametro non è facile, in quanto lo
stesso può essere valutato sulla base di due diversi punti di vista: quello idrologico e
quello basato sugli equilibri biologici (microhabitat) del corpo idrico in esame. Fra i
due esiste una notevole diversità6 In ogni caso la stima del DMV è assai delicata ed il
parametro va impiegato con notevole cautela.
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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In genere, gli impianti mini-hydro presentano un impatto più contenuto di quelli di
dimensioni maggiori, specie nella versione a recupero, in quanto si inseriscono entro
schemi idrici già esistenti e quindi, eventualmente, già caratterizzati da un impatto
mitigato in altre maniere.
La loro presenza sul territorio può contribuire alla regolazione e regimazione delle
piene sui corpi idrici a regime torrentizio, specie in aree montano ove esista degrado e
dissesto del suolo e, quindi, possono contribuire effcaciemente alla difesa e
salvaguardia del territorio.
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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ARCHITETTURA BIOCLIMATICA E SISTEMI SOLARI PASSIVI
Dopo questo excursus è importante evidenziare lo stato dell’arte dell’architettura che
si è appropriata di questi sistemi di fonti energetiche rinnovabili, assimilandoli con
l’intento di ridurre i risparmi energetici, individuando così un linguaggio proprio.
L’architettura bioclimatica è quella modalità di progettare che si preoccupa di
interiorizzare nella realizzazione dell’edificio soluzioni tipologiche, formali, materiche e
tecnologiche che consentano il raggiungimento di adeguati standards di benessere
all’interno degli edifici grazie e soprattutto mediante l’interazione di questi con il suo
intorno ambientale e senza abusare di risorse energetiche non rinnovabili.
Gli edifici progettati quindi, conformemente a questi indirizzi, si caratterizzano per
l’utilizzazione di componenti e/o sistemi edilizi in grado di assolvere oltre alla loro
funzione specifica anche a funzioni energetiche, ossia di riuscire a captare,
accumulare, conservare e restituire l’energia termica della radiazione solare.
Nello stesso tempo i progetti sono tesi a considerare lo stato del luogo (il clima, le
temperature, il vento, il suolo,…), per consentire sia il raffrescamento naturale degli
ambienti interni (ventilazione naturale, protezione dai raggi solari, dissipazione del
calore, coibentazione, ecc.), sia per ottimizzare, anche attraverso l’uso di sistemi
appropriati, l’illuminazione naturale degli ambienti interni.
In relazione alla necessità di ridurre l’impiego di energie non rinnovabili negli ultimi
anni sono stati individuati componenti edilizi che, sull’esempio di architetture
tradizionali, sono in grado di sfruttare al meglio gli apporti diretti e indiretti dell’
l’energia solare, e al contempo di assicurare la ventilazione, l’ombreggiamento e il
raffrescamento degli ambienti.
I modelli teorici di riferimento oramai consolidato nell’uso attuale afferiscono a due
modelli differenti:
1) sistemi solari attivi, ossia con captatori “applicati” all’edificio;
2) sistemi solari passivi, ossia legati alla definizione spaziale, alla forma,
all’orientamento, alla collocazione ambientale dell’edifico.
Le presenti linee guida raccomandano fortemente l’uso di sistemi solari passivi, si
ritiene quindi ancora utile precisare meglio schematicamente cosa si intende per
architettura bioclimatica e quindi per sistemi solari passivi e, per far ciò ci avvaliamo
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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della definizione presente nel sito del Ministero dell’Ambiente ed anche di quella
proposta all’interno della pubblicazione dell’ENEA “architettura bioclimatica” a cura di
Cettina Gallo.
Architettura Bioclimatica
Definizione di Architettura Bioclimatica
Possiamo definire "architettura bioclimatica" quel tipo di architettura che ottimizza le relazioni
energetiche con l'ambiente naturale circostante mediante il suo disegno architettonico. La parola
"bioclimatica" vuole mettere in relazione l'uomo, "bios", come utente dell'architettura davanti
all'ambiente esterno, il "clima", essendo l'architettura un risultato della interazioni fra entrambi.
L'architettura bioclimatica è quella che sfrutta le brezze estive per raffrescare e ventilare gli
ambienti interni, quella che si apre al sole in inverno e si chiude in estate. In questa architettura
le superfici vetrate si orientano verso sud e si schermano durante la notte per evitare le fughe di
calore. La forma dell'edificio e le sue aperture si adeguano in modo da difendersi dal freddo e
dai venti invernali. L'edificio si adatta alle caratteristiche dell'ambiente circostante (vegetazione,
rilievi, edifici esistenti, ecc.) per ottenere il maggior vantaggio dal punto di vista termico e
luminoso, e sfrutta lo stesso "intorno" per migliorare le proprie condizioni di comfort.
È sufficiente un veloce sguardo alle strategie architettoniche popolari applicate nel passato per
renderci conto che i principi bioclimatici non sono affatto nuovi. Infatti, davanti alla scarsità di
risorse energetiche e alla limitazione tecnologica, l'unico modo in cui l'uomo poteva proteggersi
dalle condizioni climatiche avverse era attraverso l'architettura stessa. Ma purtroppo, dopo la
scoperta dell'energia elettrica, tutti questi principi sono andati perduti. Per citare solo alcuni
esempi italiani antichi: nella Villa di Adriano a Tivoli, i cortili e le stanze venivano orientati a
seconda delle diverse esigenze termiche estive e invernali, nelle ville di Costozza in Veneto,
costruite a partire del 1550, un interessantissimo sistema di raffrescamento sfrutta l'aria fredda
proveniente da grandi cavità sotterranei ("covoli") situate all'interno delle colline in cui sorgono
le Ville; il noto "trullo pugliese" sfrutta la capacità termica dei materiali dell'involucro edilizio per
mantenere quasi costante la temperatura interna.
Ora però tutto è cambiato. Il problema energetico ci influenza solo in modo relativo e le risorse
tecnologiche costruttive sono numerose e diverse. Oggi sono i problemi legati soprattutto
all'inquinamento ambientale quelli che ci costringono a ripensare il modo in cui usiamo le risorse
energetiche. Basta pensare che attualmente il 22% delle emissioni di CO² della Unione Europea
è legato al settore edilizio; inferiore è la produzione di emissioni dell’intero settore industriale.
Dobbiamo quindi affrontare la situazione sotto un'ottica diversa, cercando di offrire buoni livelli
di comfort ambientale ma allo stesso tempo minimizzando l'uso delle risorse energetiche
inquinanti e aumentando l'uso di fonti energetiche rinnovabili pulite, come l'energia solare.
Condotti d'aria sotterranei per climatizzare l'aria, superfici vetrate o serre rivolte a sud per
intrappolare il calore in inverno, materiali trasparenti innovativi per "selezionare" la radiazione
solare ed aumentare l'uso dell'illuminazione naturale negli ambienti interni, camini solari per
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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aumentare la ventilazione naturale, uso di pannelli fotovoltaici per produrre elettricità ed uso di
pannelli solari per produrre l'acqua calda, sono solo alcune delle strategie progettuali che
possono essere applicate per diminuire i nostri consumi energetici, ma soprattutto migliorare la
nostra qualità di vita.
Ecco alcuni esempi significativi di architettura bioclimatica contemporanea: il padiglione inglese
della Expo '92 di Siviglia, in Spagna, progettato dall'architetto Sir Nicholas Grimshaw dove ogni
facciata è stata studiata a seconda dell'orientamento: elementi di ombreggiamento a strati a
sud, superfici bagnate dall'acqua per rinfrescare l'ambiente circostante ad est, elementi
fotovoltaici per la produzione di energia elettrica sono solo alcune delle strategie utilizzate in
questo curioso edificio. Un altro esempio, un edificio per uffici a Lubeck, in Germania, progettato
dagli architetti tedeschi Behnish & Behnish, dove una grande serra come hall d'ingresso riscalda
gli uffici in inverno mentre in estate viene rinfrescata da una accurata ventilazione naturale, che
conta tra l'altro anche con una originalissima "fontana di aria fredda" che espelle l'aria
proveniente dal sottosuolo e che aumenta la sua efficacia tramite un alto camino solare che ha
anche il compito di mantenere sotto pressione la hall. Infissi non più in alluminio (fonte
esauribile e di lavorazione energivora) e fissi, bensì in legno (materiale totalmente rinnovabile e
di più semplice ed economica lavorazione) e apribili per permettere all'utente di regolare il
proprio microclima interno senza consumare energia per gli impianti di climatizzazione. Anche
l'architetto Richard Rogers, nel complesso edilizio da lui progettato a Berlino a Postdamer Platz,
e attualmente in costruzione, sfrutta i flussi d'aria naturale all'interno dell'atrio per migliorare le
condizioni di comfort interne, elementi di ombreggiamento e mensole riflettenti per assicurare il
comfort visivo.
Ci sono anche gli insediamenti bioclimatici, spesso chiamati eco-villaggi, e cioè, interi quartieri
che vengono progettati in modo da assicurare il comfort non solo all'interno degli edifici, ma
anche all'interno dell'intero quartiere; al riguardo si realizzano studi accurati delle ombre portate
dagli stessi edifici e dai venti invernali e brezze estive, sfruttando la vegetazione come elemento
moderatore del microclima e dei rumori ed anche per il miglioramento della qualità dell'aria e,
quindi, una maggiore qualità ambientale urbana.
Pubblicazione dell’ENEA “architettura bioclimatica” a cura di Cettina Gallo.
L’architettura bioclimatica può essere sintetizzata come quel complesso di soluzioni
progettuali che consente di assicurare in un edificio il mantenimento di condizioni di
benessere facendo uso quanto meno sia possibile di impianti che richiedono consumi
energetici da fonti esauribili.”
L’edificio deve quindi essere in grado di stabilire un rapporto con l’ambiente esterno tale
da produrre le necessarie alterazioni delle condizioni ambientali principalmente in virtù
delle sue caratteristiche morfologiche, dimensionali, termofisiche ecc.
Poiché le condizioni esterne variano con il sito e, per un dato sito variano nel tempo, un
edificio “bioclimatico” ideale dovrebbe modificarsi di conseguenza, disperdendo
pochissimo calore quando fa freddo, captando energia solare che lo investe nelle ore
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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diurne dei mesi invernali, respingendo la radiazione solare nei periodi caldi, nei quali,
invece, dovrebbe cedere calore quanto possibile.
Relativamente ai sistemi solari passivi, possiamo definirli come processi di accumulo o
di dispersione del calore che avvengono naturalmente, senza la mediazione di
componenti meccanici o consumo di energia e quindi essenzialmente sfruttando la
forma dell’edificio, la sua collocazione ambientale, l’involucro edilizio (coibentazione).
Il tutto tenendo presente la finalità ultima di un edificio che deve essere quella di
assicurare un adeguato livello di confort abitativo che, relativamente alle caratteristiche
climatiche degli edifici possiamo definire come “ sensazione di completo benessere
fisico e mentale”.
Poiché relativamente ad un gruppo di persone non è possibile creare una situazione
pienamente soddisfacente per tutte, in quanto esistono differenze biologiche, fisiche ed
emotive, occorre ricercare un confort termico ottimale, cioè le condizioni per le quali la
maggior parte delle persone si trovi a proprio agio.
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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Di seguito si descrivono brevemente alcuni elementi fondamentali legati alla
volontà di conseguire significativi risparmi energetici.
Per contenere le emissioni inquinanti e il consumo di fonti energetiche non rinnovabili, è
fondamentale ridurre i consumi per il riscaldamento e il raffrescamento degli edifici,
questo è uno degli aspetti basilare di cui si occupa la bioclimatica.
La prima strategia da intraprendere è quella di minimizzare il fabbisogno energetico,
solo in seguito si possono implementare sistemi per lo sfruttamento delle risorse
rinnovabili (serre, captatori solari ecc.). Buona parte dei consumi energetici degli edifici
situati nella fascia mediterranea è dovuta al raffrescamento estivo, sempre più spesso
ottenuto meccanicamente con impianti di condizionamento dell’aria, con conseguenti
consumi energetici rilevanti e inquinamento ambientale.
Una efficace progettazione energeticamente consapevole, deve tenere conto anche del
comportamento degli edifici nel periodo estivo, al fine di evitare il surriscaldamento
riducendo (se non eliminando del tutto) l’impianto meccanico.
Per questo la prima azione da intraprendere è la riduzione dei carichi termici per mezzo
di opportune strategie, mentre i “carichi” rimanenti verranno asportati con tecniche
naturali parzialmente meccanizzate (per esempio sistemi di ventilazione forzata).
La maggior parte dell’energia nei climi continentali europei è invece utilizzata per il
riscaldamento invernale, che quindi è il più importante campo di intervento.
I sistemi solari passivi
Le serre
Questo spazio diviso dall’edificio e addossato ad esso sulla facciata esposta a Sud, più
esposta ai raggi solari, funziona come un vero serbatoio di accumulo del calore. Gli
ambienti adiacenti alla serra beneficiano del calore da questa trattenuto con notevoli
vantaggi sulla riduzione di richiesta di riscaldamento, ovvero di consumi energetici. E’
importante ricordare che il principio di funzionamento delle serre è legato all’accumulo
termico di pareti (spessore 35cm) e pavimento del vano, laddove la radiazione solare si
converte in calore non disperdendosi all’esterno grazie alla presenza della serra stessa,
e che viene rilasciata lentamente nel corso della giornata. L’aria calda trattenuta nella
serra, una volta accumulatasi, può a sua volta trasferirsi negli ambienti adiacenti
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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attraverso le finestre e anche con delle griglie collocate in basso e in alto alla muratura
(min. 10% area vetrata totale), sì da garantire il naturale flusso dell’aria in ingresso e in
uscita. Inclinando le vetrate della serra tra i 40°-50°C a seconda della latitudine, si
aumentano i rendimenti, anche se ciò può comportare maggiori difficoltà per le
schermature.
In
estate
infatti,
le
serre
devono
necessariamente essere spazi ben schermati
con
sistemi
di
ombreggiamento
fissi
o
meccanici o con alberature a foglie caduche. E’
buona regola considerare che nel periodo estivo
almeno il 40% della serra debba essere apribile.
La serra deve essere comunque dotata di
griglie di aerazione, che normalmente vengono
progettate in base ad una serie di criteri
(dimensione, forma, clima,…), mediamente le
griglie inferiori e quelle superiori non sono al di
sotto del 5%dell’area vetrata totale della serra.
Un sistema efficace che sfrutta il principio della
serra, molto diffuso soprattutto nel nord Europa,
è quello di chiudere gli spazi tra gli edifici (microzone) con coperture vetrate, e trattare
questi spazi come eventi architettonici, per attività commerciali per esempio, oppure,
come in questo caso come giardini d’inverno, ove lo spazio comune fruibile è esterno
all’edificio, ma coperto. (Kronsberg 2000).
Un sistema già sperimentato in passato è il muro Trombe, che sfrutta il principio di
funzionamento della serra, permettendo cioè l’accumulo di calore sulla parete della
facciata esposta a Sud, e sfruttando l’apporto diretto dei raggi solari. Si distingue per la
posizione della parete vetrata realizzata a distanza di cm.10-15 dalla parete piena in
muratura (parete di accumulo) di spessore notevole, sì da formare una sorta di
intercapedine. La parete non è dotata di finestrature, ma solo di aperture (griglie) in
basso per la fuoriuscita di aria fredda e in alto per garantire l’ingresso all’aria calda
proveniente dall’intercapedine, inoltre di solito per aumentarne la capacità captante
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viene dipinta di colori scuri. Il principio si autoregola senza aggiunte di mezzi meccanici,
poiché sfrutta quello della differenza di pressione tra l’aria calda e quella fredda.
Durante la notte nel periodo invernale, le griglie vengono chiuse poichè è necessario
non dissipare il calore accumulato durante il giorno.
Le Schermature solari
Il metodo più efficace per ridurre il surriscaldamento
estivo è quello di schermare opportunamente le aperture
dalla radiazione solare diretta. Infatti è necessario che le
superfici verticali esposte a sud e quelle esposte ad sudovest abbiano un buon irraggiamento invernale e un
basso
irraggiamento
estivo,
proprio
per
ottenre
i
guadagni termici invernali e per evitare surriscaldamento
estivo.
Questo vale anche per le superfici verticali,
Un sistema di schermatura di tipo fisso, per esempio gli aggetti orizzontali sopra le
finestre o le vetrate permettono una buona protezione delle facciate esposte a sud, ma
il sistema non è del tutto efficace nelle stagioni intermedie (sfasamento fra altezze del
sole e cicli di temperatura).
Una alternativa può essere costituita dalle piante esterne o interne agli ambienti più
esposti al sole.
I sistemi di schermatura mobili (regolabili) anche interne, possono risolvere i problemi
nelle stagioni intermedie e sulle facciate orientate anche se in modo non ottimale.
La massima efficacia si ottiene con schermature esterne (il caldo viene bloccato prima
che entri nell’edificio).
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Per contro, i sistemi mobili esterni possono presentare
problemi di manutenzione o funzionamento (in quelle di
tipo meccanico) con condizioni climatiche avverse.
I sistemi di schermatura presentano notevoli vantaggi
dal punto di vista climatico, per certi versi dovrebbero
essere
obbligatori
nella
progettazione
di
edifici
ecocompatibili.
Infatti, progettando caso per caso gli edifici, si permette
la regolazione individuale del clima interno, e la
riduzione dei carichi termici nelle situazioni estreme.
E’ evidente che a seconda delle scelte progettuali effettuate i costi possono essere più
o meno elevati, ma considerando il risparmio energetico assicurato per tutta la durata
della vita dell’edificio, ciò dovrebbe essere tale da compensare i sovracosti in tempi utili.
Le vetrate
Il ruolo delle vetrate o più nello specifico delle finestre in un alloggio è quello la
captazione dell'energia solare (v. L.10/91), come un apporto gratuito di energia e quello
di consentire un adeguato livello di illuminazione e di ventilazione garantendo nello
stesso un controllo della dispersione termica. Non bisogna ricadere nell’errore fatto in
passato di utilizzare serramenti a tenuta d'aria poiché questi non favoriscono il ricambio
d'aria con il conseguente peggioramento della salubrità degli ambienti confinati. Per
questo è bene ricordare che il controllo delle dispersioni di calore nei serramenti
prevede l’utilizzo di:
1. vetri doppi o vetri camera;
2. Rinnovo dell’aria ambiente attraverso infiltrazione controllate degli
infissi(per le residenze pari a 0,5 volumi ambiente ora, ogni due ore);
3. solamento dei cassonetti degli avvolgibili.
Doppie facciate vetrate
Una delle applicazioni delle tecniche di controllo climatico sono le doppie facciate
vetrate, anche dette pareti a “doppia pelle”
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Questi sistemi hanno costi più elevati, ma è da valutare caso per caso la reale
efficienza energetica degli stessi, e comportano notevoli costi dovuti ai consumi
energetici sia per riscaldare che raffrescare. Basti pensare a titolo d’esempio agli uffici
pubblici, o a quegli edifici destinati in parte ad uso pubblico, le banche, i supermercati, i
grandi centri commerciali.
Il sistema delle doppie facciate ricalca
l’esempio del doppio
infisso, diffuso soprattutto nelle zone più fredde e/o ventilate.
Questi sistemi hanno ottimizzato i rendimenti attraverso l’uso di
vetri-camera
più
spessi
nella
prima
pelle,
un’accurata
progettazione dello spazio lasciato tra una parete finestrata e la
sua “seconda pelle”, solitamente trattata con vetri semplici o vetro
strutturale. Inoltre tra le due pelli vengono spesso inseriti sistemi
di ventilazione naturale, che prendono l’aria dall’esterno e la
mettono in circolo, garantendo una ventilazione anche a quando le finestre vengono
lasciate chiuse (ventilazione notturna).
La ventilazione naturale
E’ uno dei principi base su cui si fonda la bioclimatica, poiché un’attenta progettazione
del sistema di ventilazione di un ambiente riduce i costi energetici e riduce l’impatto
ambientale dell’intervento.
Ventilare significa permettere il giusto ricambio d’aria in
grado di eliminare gli inquinanti derivati dai prodotti presenti (arredamento, materiali,
strutture) dagli utenti e dalle loro attività, onde evitare rischi per la salute degli
occupanti. I fabbisogni di ventilazione sono dunque condizionati da differenti fattori:
•
numero degli occupanti;
•
temperatura e tasso di umidità interno ed esterno;
•
permeabilità dell’edificio all’aria;
•
fattori climatici (ventosità, soleggiamento,…).
Tuttavia in generale si può dire che ad alte temperature la velocità dell’aria di 1m/s
risulta ancora piacevole, per valori superiori si avverte fastidio; a basse temperature
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invece, una velocità superiore a 0,25 m/s produce sensazione di benessere, e a 0,10
m/s si ha una sensazione di eccessivo ristagno1.
Un sistema molto utilizzato anche in passato per sfruttare la ventilazione naturale ai fine
di migliorare il raffrescamento degli edifici è l’effetto camino (Stack Effect). Questo
sistema determina architettonicamente il carattere dell’edificio, basti pensare alle torri
del vento o alla tipologia a corte di certe residenze dei climi caldi, o ancora ai sistemi di
case interrate che sfruttavano sia l’inerzia termica del terreno che l’aria proveniente
dall’esterno attraverso canali scavati nella roccia.
Una buona regola per garantire una ventilazione efficace e quindi il ricambio d’aria
adeguato è assicurarsi che questa avvenga in modo incrociato se si hanno ambienti
profondi sopra i mt.12, mentre tra mt.3 - 6 una ventilazione effettuata su un solo lato,
può risultare efficace.
I sistemi solari attivi:
Impianto a pannelli solari
Il funzionamento dei collettori solari è fra i più semplici ed ecologici: i collettori
“intrappolano”, per così dire, l’energia proveniente dal sole e la accumulano,
riscaldando dell’acqua ad una temperatura compresa fra i 40 °C ed i 70 °C.
1 Diagramma psicrometrico dott. Givoni
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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A queste temperature l’acqua può essere utilizzata, nel campo civile, per la produzione
dell’acqua calda sanitaria necessaria in casa e anche per il preriscaldamento
Un sistema solare per la produzione d’acqua calda sanitaria, nella forma più comune, è
composto da uno o più collettori, pannelli piani della superficie di 1 - 2 m² la cui
superficie è opaca e scura, per meglio assorbire la radiazione solare e trasferire il
calore al fluido che scorre in appositi canali interni al pannello e, da un serbatoio
d’accumulo dell’acqua calda.
Energia solare utilizzabile
La radiazione solare che giunge sulla terra è caratterizzata da onde di lunghezza
compresa tra circa 0,2 e 3 µm. che vanno dall’ultravioletto all’infrarosso.
La potenza della radiazione solare incidente su una superficie ad essa perpendicolare,
posta al di fuori dell’atmosfera terrestre, è praticamente costante ed è pari a 1,35
KW/m² (chilowatt al m²); detta potenza è chiamata costante solare. L’entità d’energia
solare che giunge sulla terra varia principalmente in funzione della latitudine del luogo
(massima all’equatore, minima ai poli) a causa della differente inclinazione con cui
giungono al suolo i raggi solari.
A maggiore inclinazione corrisponde uno spessore maggiore d’atmosfera attraversata e
quindi una minore intensità solare al suolo, che inoltre dipende delle condizioni
atmosferiche (nuvolosità).
L’atmosfera terrestre funge da filtro ai raggi solari e ne riduce in modo apprezzabile l’intensità,
così fuori dall’atmosfera la radiazione solare su una superficie perpendicolare alla radiazione è di
circa 1,4 KW/m², sulla superficie terrestre è minore o uguale a 1KW/m².
Energia gratuita
Il pannello solare serve a catturare l’energia che giunge dal Sole sulla Terra, rendendo
disponibile acqua ad una temperatura che può raggiungere i 70°C. L’acqua calda,
prodotta ed accumulata in un serbatoio di adeguata capacità, potrà essere utilizzata per
le esigenze delle diverse utenze (l’acqua che utilizziamo per una doccia non supera i
40-45°C. I pannelli sono composti da una superficie piana simile ad un radiatore
contenente al suo interno un liquido che, riscaldato dal sole, permette di trasferire il
calore assorbito all’acqua del serbatoio e di produrre quindi acqua calda per
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il pannello propriamente detto è realizzato a sua volta mediante l’unione di vari
elementi:
•
un assorbitore dei calore solare, costituito da una lastra simile ad un radiatore (che
può essere in acciaio o in rame), all’interno della quale è inserito un fascio di tubi in
cui scorre il fluido del circuito primario destinato ad essere riscaldato dal sole (tale
fluido è normalmente acqua addizionata con antigelo propilenico atossico per
tollerare il freddo invernale senza congelarsi);
•
una lastra di vetro, posta superiormente all’assorbitore, protegge l’apparato e
permette il passaggio dei raggi solari incidenti (l’assorbitore, scaldandosi, riemette
energia in forma di radiazione infrarossa, ma rispetto ad essa il vetro si comporta
come se fosse opaco, e quindi la trattiene ail’interno). Viene preferito il vetro di tipo
temperato a basso contenuto di piombo, in modo da riflettere di meno l’immagine;
infatti tanto meno i raggi sono riflessi,tanto maggiore sarà l’energia che attraversa il
vetro;
•
nella parte sottostante del pannello è inserito un isolante termico che riduce le
dispersioni di calore;
•
il pannello è chiuso posteriormente da una scocca, spesso realizzata in lamiera. Il
tutto (vetro, assorbitore e fascio tubiero, isolante termico e scocca posteriore) è
tenuto assieme da uno chassis, abitualmente realizzato in alluminio, che riunisce le
parti e conferisce al pannello robustezza e stabilità.
Nei nuovi modelli di collettore sono stati inseriti tra la vetrata superficiale e la piastra
assorbente
strati
di
materiale
isolante
alla
convezione
e
all’irraggiamento
sufficientemente trasparenti alle radiazioni solari, dove si crea l’effetto serra, al fine di
aumentare le prestazioni dello stesso componente.
Principi di base dei pannelli solari:
- Il circuito deve essere ben isolato termicamente ed essere il più corto possibile
- Il serbatoio d’accumulo deve essere ben isolato: come minimo l’equivalente di 8 cm di
lana di vetro
- Il rapporto tra superficie dei pannelli e serbatoio d’accumulo deve essere studiato ed
ottimalizzato
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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- La fonte energetica complementare non deve avere un influsso sulla temperatura del
serbatoio d’accumulo. Per questo deve essere prevista in serie con questo
- La temperatura della fonte complementare deve essere il più vicino possibile alla
temperatura di consumo
- L’inclinazione ottimale dei pannelli è di 60-70° per il riscaldamento e di 45°per la
produzione di acqua calda
- L’orientamento ottimale è generalmente sud. Si può anche prendere in considerazione
l’orientamento sud-est o sud-ovest, però il rendimento dell’impianto si riduce di un 20%
circa
- E’ meglio scegliere dei pannelli con una inerzia termica ridotta
-I pannelli devono essere raggiungibili per la loro manutenzione e pulizia
Dimensionamento dei pannelli solari :
L’acqua calda prodotta da un pannello solare è mediamente pari a 80-130 litri/giorno
per ogni metro quadro di pannello installato. Per riscaldare il serbatoio dell’acqua
occorre circa mezza giornata di sole nel periodo estivo ed una giornata nel periodo
invernale. Per calcolare le dimensioni del pannello solare da installare non si deve
tenere conto dei mq. della casa, ma del numero dei membri della famiglia e quindi del
prevedibile consumo di acqua calda della famiglia medesima, pari a 30-50 litri/giorno a
persona.
Mediamente occorre installare una superficie di pannelli solari di 2-3 metri quadri per
coprire il fabbisogno di acqua calda di una famiglia di 3-5 persone.
Per poter disporre sempre di acqua calda, anche nelle giornate nuvolose, si può inserire
nel serbatoio una resistenza elettrica di almeno 2kw con termostato tarato a circa 40° C.
In alternativa, se già esiste nella casa una caldaia istantanea a gas a controllo
elettronico per la produzione dell’acqua calda sanitaria, si può collegare il sistema
solare in serie all’impianto termico esistente, al quale fornirà acqua preriscaldata.
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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Inquadramento del settore e definizione degli indirizzi secondo il Piano
Energetico Regionale
Il solare termico rappresenta pertanto una risorsa di grande interesse collettivo, come è
pure sancito dalla Legge 10/91, che può contribuire in misura reale ed importante al
benessere collettivo.
Relativamente all’impatto visivo, se certamente vi è una modificazione del paesaggio
dei tetti, è possibile minimizzare al massimo tale impatto adagiando e quindi integrando
il pannello solare alla copertura, cosi da assimilarlo ad un abbaino di maggiore
dimensione. In tale modo l’impianto in genere non è più visibile da terra, e comunque è
integrato nella struttura.
Attualmente l’utilizzo della risorsa solare a scopo termico in Toscana registra valori di
diffusione che, se rientrano nella media nazionale, rimangono ben lontani dalle medie
Europee - 3,2 mq. ogni 1000 abitanti in Toscana ed Italia, 18,6 mq. ogni 1000 abitanti
nel U.E..
IL piano energetico regionale, nel fissare obbiettivi e indirizzi fà riferimento:
alle indicazioni ed obbiettivi stabiliti dalla U.E. nel Libro bianco sulle
rinnovabili,
ambito Nazionale agli obbiettivi fissati dal Governo nella Conferenza
Nazionale sull’Energia:
•
I valori indicati dall’U.E. sono di 100 milioni di mq. da installare entro il 2010
nell’intera Unione;
•
Il “Libro bianco sulle energie rinnovabili” predisposto dal Ministero dell’Industria
indica come riferimento i valori di diffusione e crescita dell’Austria che, con una
popolazione doppia di quella Toscana, registra una diffusione di 159,1 mq./1000
abitanti (3,2 in Toscana), e di quasi 219.000 mq./anno di nuove installazioni (1.000
mq./anno della Toscana), con l’obbiettivo di giungere nel 2010 ai 3.000.000 di mq
installati nell’intera penisola.
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Per “calare” tali valori alla realtà regionale, si consideri che sia la popolazione, come la
superficie regionale, risultano essere quasi il 7% della popolazione e della superficie
nazionale.
Correttamente bisogna sottolineare come le condizioni climatiche Toscane risultino
essere mediamente molto più vantaggiose di quelle registrate dalle Regioni padane,
mentre dal punto di vista delle risorse, il reddito medio ed in generale le condizioni
economiche, sono in Toscana ben più favorevoli di quelle delle regioni del sud della
penisola.
Appare dunque conseguente indicare per la Toscana un obbiettivo “ottimale” pari al
10% di quello nazionale - 300.000 mq. installati nel 2010, pari ad una densità di circa 85
mq./l 000 abitanti mentre un obbiettivo “minimo” dovrebbe essere il 6,5% (la
popolazione), pari a 200.000 mq. installati.
E’evidente come il livello attuale di circa 1000 mq./anno di nuove installazioni e di circa
12.000 mq. totali ad oggi installati ed operativi, non consenta di raggiungere
assolutamente gli ordini di grandezza necessari di 200 o 300.000 mq..
Essendo sufficiente 1 mq. di pannello solare per soddisfare le normali esigenze di un
cittadino, le potenzialità teoriche del solare termico in Toscana sono di circa 3.5 Milioni
di mq.
Rispetto alle “reali” potenzialità - già analizzate nel quadro conoscitivo - queste sono
determinate dalle utenze “vocate”, cioè quelle utenze dove l’utilizzo della fonte solare
non riscontra alcun significativo ostacolo tecnico (spazi adeguati nelle coperture, ecc.),
ed è per contro particolarmente conveniente dal punto di vista economico (e
termodinamico), cioè le utenze che richiedono energia termica a bassa temperatura mediamente di 43° Ci che si ottengono “facilmente” dal solare.
In particolare le utenze “vocate” al solare termico possono essere individuate tra:
•
le strutture ospedaliere,
•
le strutture sportive,
•
le strutture scolastiche,
•
le strutture turistiche,
•
le abitazioni monofamiliani occupate
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L’obbiettivo “ottimale” di 300.000 mq. installati al 2010 rappresenta dunque circa il
33,5% del parco installabile nelle utenze vocate, mentre l’obbiettivo “minimo” di 200.000
mq. rappresenta il 22.5% circa: entrambi gli obbiettivi sono in sostanza rilevanti rispetto
agli attuali livelli, ma modesti rispetto alle concrete potenzialità regionali.
La valutazione del risparmio energetico e delle emissioni evitate è stata fatta con
l’indirizzo di installare il 22,5 % dei pannelli necessari a produrre l’energia in
sostituzione di apparecchiature precedenti a combustibile tradizionale, alimentate per
metà con il metano e per metà con l’elettricità. Riguardo quest’ultima le emissioni sono
state
valutate
assumendo
che
l’elettricità
venga
prodotta
mediante
centrali
convenzionali ad olio combustibile con rendimento del 40%.
Nelle scuole l’obiettivo proposto è rappresentato dall’installazione di mq.1460 di pannelli
entro il 2010.
Standard tecnici e prescrizioni territoriali
•
in edifici storici gli impianti solari debbono essere adagiati sulla copertura inclinata e
gli eventuali serbatoi devono essere posizionati all’interno degli edifici stessi;
•
in edifici non storici gli impianti solari debbono essere adagiati sulla copertura
inclinata, mentre i serbatoi potranno essere sia adagiati sulla copertura inclinata
come posizionati nell’interno dell’edificio;
•
nel caso di edifici non storici a copertura piana, i pannelli solari ed i loro serbatoi
potranno essere installati con la inclinazione ritenuta ottimale, curandone comunque
l’installazione nella parte centrale della copertura, o comunque in quella meno
visibile dal piano stradale sottostante;
•
negli edifici ubicati nelle aree a parco e riserva naturale - in particolare nelle isole del
Parco dell’Arcipelago Toscana - è da considerarsi prioritaria l’installazione di impianti
solari al fine di raggiungere quanto più possibile l’autonomia energetica, quale
contributo ad una maggiore “qualità ambientale” della stessa area protetta.
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Impianti di climatizzazione di tipo radiante e Bioarchitettura
La filosofia progettuale a base della scelta di un impianto di riscaldamento ed
eventualmente di raffrescamento di tipo radiante è indirizzata alla realizzazione di un
impianto che è capace di assicurare un elevato risparmio energetico congiunto a
condizioni
di
benessere
ambientale
nettamente
e
di
superiori
salubrità
a
quelle
conseguibili attraverso l’adozione di impianti di
tipo più tradizionale a convezione .
Tali
risultati
attraverso
possono
una
attenta
essere
serie
conseguiti
di
scelte
tecnologiche relative:
-
alla scelta di un sistema di riscaldamento funzionante prevalentemente ad
irraggiamento e non a convezione (pannelli radianti);
-
all’eventuale collegamento dell’impianto a dei collettori solari;
-
alla modalità di produzione del calore;
-
alla tipologia del generatore di calore scelto (di tipo ad alto rendimento a
temperatura scorrevole).
In particolare, la scelta di utilizzare impianti a pannelli radianti risponde ad una
molteplicità di implicazioni.
Dal punto di vista della salubrità ambientale il riscaldamento ad irraggiamento
funzionante con acqua calda a bassa temperatura, induce un notevole vantaggio
fisiologico rappresentato
dall’alta percentuale di trasmissione del calore per
irraggiamento che, oltre che produrre un piacevole benessere esclude il movimento di
polvere nell’aria (proprio degli impianti a convezione) garantendo la massima igienicità.
agli ambienti.
Inoltre le superfici riscaldate sottraggono ai batteri e in particolare agli acari della
polvere il loro substrato vitale, l’umidità del supporto.
Altro effetto positivo dovuto ad un riscaldamento delle pareti esterne è rappresentato
dalla riduzione della possibilità che la temperatura di tali pareti scenda al di sotto del
punto inferiore di rugiada evitando così la formazione di muffe e di condense.
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Accanto a ciò l’impianto, lavorando con acqua a bassa temperatura non produce
secchezza nell’aria ed assicura quindi le migliori condizioni di qualità ambientale.
Dal punto di vista del risparmio energetico questa tipologia di impianto di
riscaldamento, non modificando l’umidità relativa dell’aria, rende possibile la condizione
che la temperatura di benessere ambientale (diagramma del benessere) venga
raggiunta a 18 °C e non a 20 °C (così come succede negli impianti a convezione) e,
questo assicura un congruo risparmio energetico.
Altro fattore di risparmio energetico è relativo alla possibilità di utilizzare, con maggior
profitto, per il riscaldamento ambiente anche l’acqua calda prodotta dai collettori solari.
Lavorando i pannelli radianti con acqua a bassa temperatura, anche di inverno e,
soprattutto nelle mezze stagioni, è facile prevedere una produzione di acqua calda da
parte dei collettori solari ad una temperatura tale da essere utilizzabile anche per il
riscaldamento ambiente, cosa che senz’altro contribuisce ad incrementare il risparmio
energetico.
Appare inutile soffermarsi sul risparmio energetico assicurato dai collettori solari,
specialmente nel periodo estivo, per la produzione di acqua calda sanitaria in quanto
già precedentemente illustrato.
Altro fattore che contribuisce alla riduzione dei costi energetici di questo impianto è
rappresentato dal fatto che, funzionando questi prevalentemente ad irraggiamento,
vengono progettati per mettere a regime termico (18 °C) gli ambienti sino ad un
massimo di due metri dal pavimento (zona di uso corrente dei vani), evitando in questo
modo di riscaldare volumi d’aria non direttamente interessati ad assicurare il confort
termico ambientale.
Ciò è possibile in quanto detta tipologia di impianto non richiede per il suo
funzionamento che l’intero volume d’aria venga riscaldato, fattore questi invece
indispensabile ad assicurare un efficace riscaldamento ambiente, nei sistemi a
convezione.
Ovviamente quanto sopra detto consente di risparmiare tutto il calore che di solito viene
utilizzato per riscaldare il volume d’aria sopra i due metri e, se si tiene in conto, così
come è giusto che si faccia che, in alto, si raccoglie l’aria a più alta temperatura si ha il
senso preciso del grosso risparmio energetico che questa tipologia di impianti consente
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e che lo rende estremamente conveniente soprattutto in ambienti a grandi altezze
(stanze voltate, palestre, chiese, opifici ecc.).
Relativamente al raffrescamento estivo degli alloggi che, questa tipologia di impianto
consente, questi si rende possibile tramite la messa in rete nei pannelli di acqua
raffreddata e ciò è possibile grazie all’inserimento sul circuito di centrale di un
refrigeratore.
Si può così ottenere un abbassamento di temperatura ma, non il controllo dell’umidità;
pertanto il posizionamento di un umidostato accoppiato al termostato ambiente limiterà
la
temperatura
dell’acqua
circolante
nei
pannelli
per
evitare
un
eccessivo
abbassamento della temperatura del pavimento e la conseguente formazione di
condensa,
così
come
risulta
indispensabile
prevedere per la climatizzazione estiva la presenza
di un deumidificatore.
Nel caso di impianto di climatizzazione estiva è
consigliabile inoltre utilizzare impianti di tipo radiante
posizionati a parete o a soffitto piuttosto che a
pavimento.
Si descrivono di seguito e sinteticamente i fattori
tecnologici e realizzativi, relativi a questa tipologia di
impianti, la cui esecuzione evita una serie di
inconvenienti che impianti simili, ma di vecchia
generazione manifestavano.
Rispetto alla possibilità che le tubazioni possano
deteriorarsi e forarsi, cosa spesso avvenuta nei
vecchi impianti con tubazioni in ferro zincato, viene
attualmente evitata attraverso l’utilizzo di tubazioni in
particolari polimeri plastici, del tutto imputrescibili e
non deteriorabili, i quali inoltre consentono il
posizionamento dei singoli circuiti, con tubo continuo
non giuntato (questo ovviamente rende impossibile
le perdite di acqua).
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Relativamente alla temperatura superficiale dei pannelli radianti, questa deve
mantenersi al di sotto dei 30°C (e quindi di molto inferiore a quella basale umana) ciò
impedisce il sorgere di fastidi dovuti al surriscaldamento di parti del corpo umano.
Mentre i movimenti di polvere che i vecchi impianti manifestavano, erano dovuti al
passo delle spire in metallo (circa 1 mt) che determinavano un gradiente di temperatura
tra spira e spira e quindi il generarsi di moti convettivi, mentre ora grazie all’uso di
tubazioni polimeriche si realizzano spire con passo compreso tra gli otto ed i dodici cm,
che ovviamente impediscono l’insorgere di moti convettivi.
Per concludere è possibile dire che questa tipologia di impianti radianti di “seconda
generazione”, ovviano sicuramente agli inconvenienti che i precedenti manifestavano
(tanto che molti fornitori di tale tipologia di impianto, non solo lì garantiscono ma li
commercializzano coperti già da polizza assicurativa), ma che in ogni caso per essere
capaci di lavorare al meglio delle loro potenzialità necessitano di una accurata
progettazione (tendente ad assicurare la corretta messa a regime termico gli ambienti,
nonché ad evitare le dispersioni, nonché di una posa in opera eseguita da personale
appositamente formato.
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Controllo dell'illuminazione naturale e artificiale
La luce naturale rappresenta un elemento fondamentale per la salute ed il benessere
visivo delle persone, non c’è vita sulla terra senza la luce del sole ed i ritmi biologici del
corpo umano (circadiani, produzione di vitamina D, ecc.) sono regolati dalla luce
naturale.
Inoltre la luce naturale ha molteplici influenze positive per quanto riguarda gli aspetti
psicologici e fisiologici rendendo le persone più attive ed aumentandone la
concentrazione nel lavoro al contrario, una esposizione ridotta alla luce naturale può
portare a forme depressive.
Comunque a parte queste considerazioni di tipo biologico e salutistico, il cattivo uso
dell’illuminazione artificiale può contribuire a determinare sino al 50% della spesa
energetica di un edificio.
Considerando
che
negli
edifici
scolastici
gli
ambienti
interni
sono
utilizzati
prevalentemente nelle ore diurne, è logico dedurre che una gran parte del suddetto
carico energetico potrebbe essere ridotto utilizzando al meglio la luce naturale.
Studi di settore mostrano come il miglioramento dei livelli di illuminazione naturale può
determinare risparmi compresi tra il 35% e
il 75% della spesa per l’illuminazione
elettrica
e
questo,
migliorando
contemporaneamente anche il controllo
dell’accensione
adeguandolo
delle
ai
luci
migliori
artificiali
livelli
di
sfruttamento della luce solare.
Tuttavia non dobbiamo dimenticare che
l’uso indiscriminato e non controllato di
finestrature e vetrature può determinare
una serie di problematiche quali perdite di
calore, surriscaldamento degli ambienti,
fenomeni
potrebbero
di
abbagliamento,
determinare
ecc.
l’inutilità
che
delle
soluzioni adottate.
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Affinché ciò non si determini è necessario quindi che nella progettazione di tali soluzioni
vengano tenuti in conto alcuni principi-guida che di seguito vengono brevemente
descritti:
-
Massimizzare l’ingresso di luce naturale attraverso finestre e coperture vetrate,
valutando le perdite di calore invernali e gli incrementi solari in estate ;
-
Progettare sistemi di ombreggiamento solare che consentano di evitare il
surriscaldamento in zone particolarmente esposte alla radiazione solare;
-
Valutare la possibile formazione di fenomeni di abbagliamento;
-
Utilizzare dispositivi che consentano una efficace distribuzione della luce solare
anche alle parti più interne degli ambienti;
-
Valutare l’efficienza dell’impianto d’illuminazione artificiale, progettandolo in
modo da essere in sintonia con l’utilizzo della luce diurna.
-
Inoltre, per ottimizzare la distribuzione interna di luce naturale, debbono essere
tenuti in conto i seguenti principi basilari:
-
in un ambiente, l’intensità della luce decresce rapidamente, man mano che ci
allontaniamo dalle finestre, rendendo oscure le parti più arretrate rispetto a quelle
più prossime agli elementi vetrati;
-
la profondità del corpo di fabbrica non deve essere superiore a mt 10;
-
la capacità riflettente delle superfici interne ha un considerevole effetto sulla
distribuzione dell’illuminazione naturale e artificiale, particolarmente in spazi
medio – grandi;
-
il colore delle superfici dei soffitti, delle pareti e degli arredamenti, determina in
parte la capacità della luce di giungere in profondità e riduce i contrasti di
luminosità tra le differenti parti di uno stesso spazio.
-
le superfici interne, in modo particolare il soffitto e le pareti, per quanto riguarda
l’illuminazione naturale è bene che abbiano colori chiari, se non bianco,
-
la presenza di materiali brillanti (alluminio, alluminio anodizzato, acciaio, ecc.)
deve essere evitata in prossimità delle finestre al fine di non provocare fenomeni
di sfolgorio e abbagliamento.
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Il Controllo dell'illuminazione artificiale
Per
meglio
valutare
le
possibilità
di
incrementare
l’uso
di
illuminazione naturale, è indispensabile poter considerare le
opportunità e i sistemi per ridurre al minimo l’utilizzo di luci artificiali.
Ad esempio alcuni dispositivi elettronici di controllo automatico degli
interruttori di luce, possono essere installati senza grossi incrementi
di costi aggiuntivi anche in ambienti di piccole dimensioni.
Questi sistemi possono effettivamente ottimizzare il funzionamento dell’illuminazione
artificiale interrompendo o attivando automaticamente gli interruttori, quando la luce
naturale è sufficiente e viceversa, oppure attraverso sensori che attivino l’illuminazione
artificiale, se necessaria, nel momento in cui rilevano la presenza delle persone, e
provvedendo a disattivarli in loro assenza.
Il primo sistema, di controllo automatico, si basa sul funzionamento di sensori
fotoelettrici che, misurando il livello di illuminazione in un determinato ambiente,
riescono in automatico a regolare al meglio l’intensità delle luci artificiali.
Il secondo tipo di controllo automatico si avvale dell’uso di rivelatori di presenza.
I sensori accertano se uno spazio è occupato da persone captando onde riflesse
(infrarosse, radar, ultrasuoni); i sistemi migliori interrompono e riattivano le luci in
automatico, altri spengono le luci in assenza di persone, dopodiché l’interruttore deve
essere riavviato manualmente. Questi rilevatori andrebbero installati preferibilmente nei
vano scala e negli spogliatoi.
I dispositivi per il controllo e la captazione della luce naturale
Un ruolo sempre più importante è assunto nella architettura
bioclimatica dai sistemi di schermatura e mitigazione esterni
all’edificio.
Frangisole orizzontali o verticali in: acciaio, alluminio, legno,
cotto o vetro possono contribuire a risolvere in maniera
efficace problemi per i quali in passato era necessario
utilizzare tecnologie pesanti oppure affidarsi a potenti sistemi
di condizionamento.
In particolare i frangisole esterni con lamelle vetrate sono
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un'alternativa efficace alle cosiddette veneziane spesso in uso nella scuola; l'uso del
vetro riflettente anzichè del metallo permette di avere una veduta verso l'esterno anche
quando queste sono chiuse. Nei giorni coperti le lamelle portate in posizione
orizzontale, guidano la luce naturale all'interno e provvedono ad illuminare in modo
uniforme l'ambiente.
Il vantaggio rispetto alle tende e alle persiane si ritrova anche nel caso si voglia
mantenere le finestre aperte in un giorno ventilato, trattandosi infatti di un sistema fisso
l'ombreggiamento non cambia.
Il funzionamento del sistema è assicurato attraverso la possibilità data alle lamelle di
poter ruotare (attraverso comandi manuali o meccanici) attorno a supporti di acciaio
ancorati su appositi profili antistanti alle finestre.
Esistono numerosi altri sistemi che permettono di ombreggiare e al contempo di
migliorare persino l'illuminazione naturale, evitando in questo modo di aumentare il
surriscaldamento estivo durante la stagione più calda.
Sistemi e tecnologie per il trasporto dell’energia luminosa
L’applicazione di sistemi per il trasporto della luce naturale possono fornire nuove
prospettive di utilizzo nell’uso di ambienti privi di aperture e/o scarsamente illuminati
perché interrati, interclusi o profondi.
Detti sistemi, possono quindi consentire sia una illuminazione naturale di ambienti non
illuminati direttamente e di uso discontinuo (bagni, depositi, spogliatoi, ecc.), sia per
realizzare una più uniforme distribuzione dei livelli di illuminazione naturale in ambienti
molto profondi.
Inoltre tali sistemi possono consentire una significativa riduzione dei costi energetici e
degli apporti di calore.
I sistemi per la captazione, la concentrazione ed il trasporto della luce naturale possono
essere suddivisi in sistemi mobili (o attivi) ed in sistemi fissi:
-
I sistemi mobili sono progettati e realizzati per essere costantemente orientati nella
direzione del sole, sono ovviamente più sofisticati e tecnologicamente più
complessi ed hanno significativi costi di manutenzione e gestione;
-
i sistemi fissi sono privi di parti mobili, privi di elementi meccanici ed elettronici e
risultano di più immediata, semplice ed economica gestione.
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IL GIARDINO E LE AREE VERDI
Il verde urbano è spesso visto quale elemento di decoro, di arredo e di dotazione
urbana di spazi per attività ricreative e/o ludiche.
In realtà ad una analisi più corretta ed esaustiva che tiene in conto il complesso
rapporto che intercorre tra sistema del verde e l’ambiente costruito, tra i pieni ed i
vuoti della città, non può sfuggire l’interazione dinamica ed ecosistemica esistente tra i
due sistemi e di come una corretta ed integrata impostazione progettuale può rendere
gli spazi verdi elementi qualificanti, capaci di essere contemporaneamente elemento
di costruzione dell’architettura, legante fondamentale per processi ecologici, indicatore
ambientale e contemporaneamente fattori attivi di disinquinamento fisico-chimico
dell’aria, di mitigatore dell’inquinamento acustico e ancora capace di determinare un
efficace controllo microclimatico e delle condizioni di comfort negli spazi aperti e negli
edifici.
Di seguito si tralasciano gli aspetti più strettamente ricreativi e ludici degli spazi verdi
in quanto ritenuti già noti e conosciuti, per approfondire invece gli aspetti del verde
legati al controllo microclimatico outdoor ed indoor.
Il verde ed il controllo climatico urbano
Scala urbana ed effetti microclimatici:
Il bilancio energetico delle aree urbane e’ diverso da quello dell’ambiente naturale
o agrario: cio’ e’ da attribuirsi alle cause seguenti:
1) presenza di strutture (edifici) con una grande capacità termica;
2) riduzione delle superfici evaporanti, aumento del ruscellamento a causa della
impermeabilizzazione del suolo;
3) aumento degli inquinanti, con introduzione di un effetto serra localizzato;
4) introduzione di un surplus di energia, per l’uso di combustibili
Le citta’sono mediamente piu ‘calde delle aree circostanti di 0.5-5 °C (Federer,
1970). Cio’ e dovuto al fatto che durante le ore di luce, la radiazione e’ assorbita
dalle superfici urbane(asfalto, cemento, edifici) che tendono ad assorbire e a
restituire il calore piu’ velocemente della vegetazione o del suolo; si crea quindi un
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differenziale termico notevole fra tali materiali e l’aria; il calore assorbito e’ poi
trasferito per convezione all’aria, o per conduzione al sottosuolo.
L’aumento di temperatura dell’aria, se puo’ risultare gradevole in inverno e,
senz’altro sgradevole in estate (inoltre determina un incremento dei consumi
elettrici per la climatizzazione degli ambienti); a tale scopo l’effetto mitigante della
vegetazione è senz’altro un fattore apprezzabile e dal punto di vista della qualità
ambientale che per il risparmio energetico.
La vegetazione puo’ infatti migliorare il clima urbano tramite la traspirazione: ad
esempio, un singolo albero puo’ traspirare fino a 400 litri di acqua al giorno; questo
è paragonabile all’effetto di 5 condizionatori d’aria, ciascuno con una capacita’ di
2500 kcal/ora (Kramer & KozIowski, 1970).
E’ da notare come esista un alto grado di correlazione fra la più alta temperatura
dell’ambiente urbano e la concentrazione di inquinanti: nelle aree piu’
intensamente edificate il movimento dell’aria e’ ridotto, cosicche’ il calore e gli
inquinanti non sono facilmente dispersi.
D’altra parte, l’innalzarsi di masse di aria piu’ calda (convezione) puo’ condurre alla
formazione di nubi, e ad un aumento delle precipitazioni (Schlaak, 1977); ricerche
svolte nella città di Berlino hanno mostrato come la temperatura media annuale
all’interno della città sia notevolmente maggiore di quella delle zone verdi
circostanti.
Il fenomeno è evidente per tutte le zone ad alta densità di edifici, non solo al centro
della citta’, ma anche in periferia, mentre temperature piu’ basse si riscontrano
nelle aree verdi, anche al centro della città.
A fronte di questa capacità data dal verde di migliorare le caratteristiche
microclimatiche urbane, si accenna di seguito alle diverse modalità con le quali ciò
può essere favorito.
La viabilità ed i percorsi pedonali (viali e pergolati) – rappresentano elementi
verdi prevalentemente lineari caratterizzati da manto verde deciduo capace di
ombreggiare il percorso di estate e consentire la permeabilità alla radiazione solare
in inverno.
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Consentono un miglioramento climatico, acustico, di miglioramento della qualità
dell’aria.
Il rapporto tra il verde e gli edifici
Il
verde
in
adiacenza
agli
edifici,
se
opportunamente progettato, riduce il carico
termico dell’edificio in estate, consente
l’arrivo della radiazione solare in inverno,
può fungere da elemento di barriera ai venti
freddi invernali, migliora in ogni caso le
condizioni di vivibilità negli spazi limitrofi agli
edifici.
Il verde può addirittura avvolgere e diventare
parte strutturale di un edificio individuando
quindi: pareti verdi e tetti verdi.
La parete verde assume prevalentemente
una
funzione
climatizzante,
evitando
l’irradiazione diretta delle superfici dell’edificio
e consentendo, anzi favorendo la ventilazione
della parete stessa, determinando di fatto una parete ventilata (camera d’aria tra
foglie e parete stessa).
In pareti a nord e con piantumazione di rampicanti sempre verdi rappresenta una
difesa dai venti e riduce la trasmissione di calore dalla parete, verso l’esterno.
Il tetto verde ed i giardini pensili
La sistemazione del tetto verde non ha solo finalità estetiche, ma si propone anche
quale efficace strumento per la creazione di condizioni microclimatiche favorevoli. Il
tetto verde consente infatti un miglior isolamento termico ed acustico e nel
contempo filtra ed ossigena l’aria e riduce la quantità di calore riemerso
nell’atmosfera. Inoltre, in una certa misura, lo strato drenante, il terreno vegetale e
la vegetazione (tappezzanti, erbacee e piccolo arbusti) contribuiscono anche al
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ripristino del ciclo naturale dell’acqua piovana, rallentandone il deflusso verso la
rete idrica di smaltimento e favorendone la lenta evapotraspirazione.
Vantaggi ecologici :
-
miglioramento del microclima;
-
influsso positivo sul clima degli ambienti interni;
-
regimazione idrica e conseguente alleggerimento del carico sulla rete di
canalizzazione dell’acque bianche;
-
protezione dal rumore attraverso minore riflessione e migliore in
sonorizzazione;
-
filtraggio delle polveri e fissaggio di sostanze nutritive dell’aria e dalle
piogge;
-
incremento della dotazione di verde urbano;
Vantaggi economici :
-
miglioramento della qualità di vita;
-
durata maggiore dell’impermeabilizzazione attraverso la protezione dagli
agenti atmosferici;
-
migliore isolamento termico e quindi risparmio energetico, funzionamento
più economico degli impianti di climatizzazione;
-
aumento del valore dell’immobile.
Normalmente un tetto verde è realizzato mediante
l’impiego di diversi strati, ciascuno dei quali assolve ad una
specifica funzione :
-
lo strato di vegetazione, o substrato;
-
lo strato filtrante;
-
lo strato drenante.
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Descrizione della pacchetto del tetto verde sopra il solaio :
Descrizione strato
1) “strato di vegetazione intensiva” (erbacee perenni, cespugli, tappeto erboso) Spessore: variabile;
2) “Substrato” : Terriccio con caratteristiche (valore del Ph, contenuto in
sostanze nutritive, volume dei pori, permeabilità all’acqua,..) perfettamente
calibrate, Resistente al fuoco portato (resistenza all’accensione) ed al calore
raggiante.-Spessore: 5-7 cm.;
3) Telo filtrante per impedire il dilavamenti delle particelle fini del substrato
mantenendo la stabilità dello strato drenante - Spessore: 0,5 cm.
4) Elementi drenanti, posati a tutta superficie per scaricare efficacemente
l’acqua in eccesso. Spessore: 5-7,5 cm
5) Strati protettivi in tessuto impermeabile offrono ai teli antiradice ed alle
impermeabilizzioni protezione meccanica e accumulano umidità e sostanze
nutritive – Spessore: 0,5 cm.
6) Protezione
antiradice
impediscono
che
le
radici
danneggiano
l’impermeabilizzazione sottostante – Spessore: 1cm.
7) Strato impermeabilizzazione – Spessore: 0,5 cm.
8) Strato isolante – Spessore: 5
9) Barriera al vapore – Spessore: 0,5 cm.
10) Pacchetto Solaio.
Gli effetti del tetto verde del giardino sul microclima
L’adozione del tetto verde è una efficiente tecnica di controllo del microclima
interno, di seguito riportiamo i vantaggi termici determinati dall’adozione di un tetto
verde collocato in un sito parzialmente protetto dalla radiazione solare, in un giorno
tipico del clima mediterraneo, unitamente alla valutazione di controllabilità’, con
interventi sul sito, dei fattori di scambio:
1) gli elementi posati a tutta superficie forniscono coibentazione termica e
proteggono meccanicamente l’impermeabilizzazione dalle sollecitazioni di taglio ;
2) questi elementi contribuiscono al risparmio dell’energia per il condizionamento
degli ambienti
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Fattore di scambio
termico
Generazione di calore
netta (metabolismo)
Apporti (W)
60
Radiazione solare globale
135
Scambio radioattivo ad
onde lunghe
35
Scambio convettivo
15
Apporti termici totali
245
% Controllabilità’
24
Non controllabile
55
controllabile
14
controllabile
7
controllabile
100
Verde e riduzione dell’Inquinamento acustico
Da studi effettuati risulta che le piante in città hanno la capacità di ridurre il rumore
fino ad un massimo di 10 dB, in relazione alla specie, all’altezza, e alle dimensioni
dello spazio verde. un parco urbano di media dimensione ha una notevole capacità
di filtrare ed abbattere l’inquinamento acustico.
Per poter diventare una efficace una barriera verde deve trovarsi vicina alla
sorgente di rumore, e non come si potrebbe pensare, vicina all’ ascoltatore.
Un’azione congiunta di più barriere consente una maggiore riduzione acustica, la
presenza di un terreno soffice ed erboso alla base della barriera aumenta l’efficacia
della barriera stessa (Cook & van Haverbeke, 1971).
E’ importante notare che la maggior efficacia nell’abbattimento del rumore è
raggiunta utilizzando materiale poco compatto, ecco perché una chioma ben
sviluppata è più efficace di qualsiasi barriera artificiale.
Per cio’ che riguarda le strade di grande comunicazione, un posizionamento
appropriato della carreggiata rispetto al suolo unito alla presenza di barriere verdi
può contribuire notevolmente al controllo del rumore (Cook & van Haverbeke,
1974).
Le piante possono inoltre attenuare il rumore influenzando il clima, soprattutto per
ciò che riguarda la stabilizzazione della temperatura e la modificazione del regime
dei venti (Weiner & Keast, 1959.E’ necessario inoltre ricordare che una barriera
verde non solo riduce i rumori, ma a sua volta produce suoni ai quali gli psicologi
attribuiscono un valore distensivo e rilassante quali lo stormire delle foglie, il
cinguettio degli uccelli ed altri.
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LA FITODEPURAZIONE
La fitodepurazione è un processo naturale di depurazione delle acque reflue che utilizza
le piante come filtri biologici che supportano i microrganismi in grado di ridurre le
sostanze inquinanti in esse presenti.
I trattamenti di fitodepurazione sono trattamenti biologici secondari e/o terziari (per
depurare le acque reflue si distinguono i trattamenti primari, che riguardano la
grigliatura, la dissabbiatura, disoleazione, sedimentazione, da quelli secondari o
biolaogici, tipo fanghi attivi, biodischi, ecc.e terziari che servono per un ulteriore
finissaggio che renda il refluo compatibile con gli standard di qualità delle acque di
scarico), che sfruttano la capacità di auto-depurazione degli ambienti acquatici.
In questi biotopi gli inquinanti vengono naturalmente rimossi attraverso processi fisici,
chimici e biologici tra cui filtrazione, adsorbimento, assimilazione da parte degli
organismi vegetali, degradazione batterica ed antibiosi sono le maggiormente efficaci
(Brix, 1993).
Gli impianti di fitodepurazione si figurano come ottime soluzioni, a basso impatto
ambientale e di facile gestione, per risolvere con cicli chiusi il problema della
depurazione delle acque reflue.
Meccanismo di funzionamento
Caratteristica comune degli impianti è che in essi il refluo percola verticalmente nel
medium di riempimento in cui viene immesso con carico alternato discontinuo. Dopo
una sedimentazione preliminare ottenuta con una fossa Imhoff, vasca tricamerale o
qualunque altro trattamento primario, il refluo da trattare viene pompato nel filtro
verticale con alimentazione intermittente, in modo da favorire l’ossigenazione del
medium e quindi limitare l’insorgenza di cattivi odori.
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Il filtro può essere costituito prevalentemente da ghiaia a diversa granulometria o da
sabbia, in cui la presenza di ferro facilita la rimozione del fosforo per assorbimento.
Prerogativa dei sistemi a flusso sub-superficiale è l’utilizzo della cannuccia di palude
(Phragmites australis) che, con il suo denso intreccio di rizomi consente una notevole
diffusione dell’ossigeno anche negli strati più profondi del filtro favorendo la crescita di
batteri aerobici, infatti durante il passaggio dei reflui attraverso la rizosfera la materia
organica viene decomposta dall’azione microbica. I contributi della vegetazione al
processo depurativo possono essere ricondotti anche all’azione di pompaggio di
ossigeno atmosferico dalla parte emersa all’apparato radicale: si creano così delle
microzone ossidate adese all’apparato radicale e un’alternanza di zone aerobiche,
anossiche ed anaerobiche nel filtro con conseguente scomparsa, pressoché totale, dei
patogeni.
Questi ultimi infatti sono particolarmente sensibili ai rapidi cambiamenti nel tenore di
ossigeno disciolto (Brix, 1993).
RENDIMENTO DI DEPURAZIONE
limiti di legge
(319/76)
u.m.abbattimento
%
SOSTANZE
ENTRATA
USCITA
BODs
150,0
2,0
20 mg
98,670
COD
253,0
0,0
50 mg/l
100,00
NHo-N
69,7
25,9
15 mg/I
62,84
N03-N
0,0
49,3
—
—
N02-N
0,0
0,0
—
—
Ptot
8,0
0,8
10,00
90,00
Perché la fitodepurazione
Dal momento in cui i costi per la depurazione delle acque di scarico sono sempre più
alti, gli impianti di fitodepurazione rappresentano una valida alternativa che,
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rispettando maggiormente l’ambiente, si rivelano vantaggiosi anche dal punto di vista
economico.
Gli impianti di fitodepurazione presentano caratteristiche tali da rappresentare una
ottima soluzione a basso costo e ad elevato potere depurante.
Tra queste citiamo una:
- ridotta e facile manutenzione che può essere
eseguita da personale non specializzato;
- la formazione di un’area verde perennemente
irrigata e di piacevole aspetto;
- l’assenza di insetti molesti e di cattivi odori;
- la possibilità di poter riutilizzare l’acqua depurata
ancora ricca di nutrienti per innaffiare l’orto o il
giardino,
- una fontana con alcuni pesci;
- acqua non potabile disponibile per la casa
(sciacquoni del bagno, per lavare l’auto, ecc.).
Inoltre un impianto di fitodepurazione, rispetto all’allacciamento ad un depuratore
tradizionale di rete pubblica fognaria, consente sia di risparmiare chilometri di costosi
tubi sia di consumare circa il 60% in meno di energia elettrica, poiché il trattamento si
esaurisce in un unico processo e non sono necessari clorazioni e trattamenti chimicofisici di finissaggio.
Vantaggi della fitodepurazione
-
facile manutenzione
-
risparmio energetico
-
bassa tecnologia
-
minimo impatto ambientale
-
riqualificazione di ambienti degradati
-
creazione di biotopi umidi
I costi
Per quel che riguarda i costi è difficile calcolare una spesa standard per un impianto di
fitodepurazione dato che, a seconda della tipologia dell’impianto, delle sue dimensioni
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e del volume di refluo da trattare, i fattori da tener presenti e le soluzioni progettuali
sono molteplici e condizionano enormemente il costo dell’impianto stesso.
Per un impianto di fitodepurazione a flusso sub-superficiale verticale (SFSv) come il
VIS, in linea di massima si calcola una spesa tra le 500.000 lire e i due milioni per
persona collegata.
La nuova normativa sulle acque
Il testo unico sulle acque (D.L. n° 152 del 11/05/1999) pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale del 29 maggio1999, con i successivi emendamenti ed integrazioni, sigla
ufficialmente la fine di un’epoca, quella in cui paradossalmente chi si preoccupava di
non inquinare costruendo un impianto di fitodepurazione veniva considerato un
“fuorilegge”. Sì perché la ormai famosa Legge Merli, la legge 3 19/76 a cui si faceva
riferimento prima del recepimento della normativa europea con il testo unico, la
fitodepurazione non la menzionava nemmeno.
Di conseguenza fino ad ora in Italia la fitodepurazione era considerata qualche cosa
ancora da sperimentare (moltissime esperienze che troviamo sul nostro territorio sono
infatti impianti pilota), quando ormai nel resto del mondo (Germania, Inghilterra, Svizzera, Stati Uniti, ecc.) è da dieci anni che la considerano un metodo tradizionale di
depurazione delle acque di scarico.
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IL RECUPERO DELLE ACQUE PIOVANE
Dispositivi di risparmio con raccolta delle acque
piovane
L’utilizzo ed il recupero dell’acqua piovana si basa
sui principi di massimo risparmio dell’acqua , di
abbattimento dell’inquinamento, nonché del tentativo
di chiusura del ciclo dell’acqua.
Gli interventi che si possono attuare per ridurre il
consumo
sono
applicazione
interrompono
molteplici
come
il
i
flusso
e
spesso
di
facile
temporizzatori
che
dopo
un
tempo
predeterminato, sciacquoni per wc a diversi livelli,
miscelatori del flusso d’acqua con aria (acceleratori di flusso) ed altri meccanismi,
che mantenendo o migliorando le caratteristiche del getto d’acqua, riducono
notevolmente il flusso utilizzato.
Tali sistemi se previsti in fase di progettazione possono consentire grandi risparmi
di risorsa con spesa di istallazione minima.
In modo del tutto generale, in presenza di superfici esterne di pertinenza agli edifici
è sempre possibile prevedere un sistema di incanalamento delle acque piovane
in un serbatoio di accumulo e il loro utilizzo per usi non domestici (riempimento
cassette wc, irrigazione del giardino ).
Questo accumulo di acqua può essere reso sinergico ed interagente con l’impianto
di fitodepurazione se presente o previsto.
In presenza di tali accumuli di acqua non potabile, possono essere esclusi dalla
rete di distribuzione, le cassette dei wc, ed i rubinetti per le utenze non potabili
(acque di lavaggio) per le quali è possibile prevedere una seconda rete di
distribuzione collegata ai serbatoi di raccolta dell’acqua.
Questo secondo impianto parallelo per l’acqua recuperata consentirebbe di
differenziare gli usi finali e quindi di limitare il consumo dell’acqua.
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Uso razionale dell'acqua e permeabilità dei suoli
Nelle presenti linee guide una delle raccomandazioni importanti riguarda la
funzionalità naturale. Si raccomanda negli interventi di tenere conto dei cicli
naturali propri dell’area e, ove possibile, contribuire al ripristino della funzionalità
naturale dell’ambito urbano di pertinenza.
In particolare, si consiglia:
di limitare l’occlusione dei suoli nelle parti non edificate garantendo, a
seconda delle destinazioni previste, la permeabilità profonda dei suoli ed
utilizzando il tipo di pavimentazione più vicino alle condizioni di naturalità
(pavimentazioni permeabili all’acqua e all’aria, pavimentazioni discontinue
con presenza di vegetazione, superfici a verde sui solai di copertura e dei
piani interrati);
di prevedere, ove possibile, la creazione di piccoli bacini di raccolta e
trattamento, mediante tecnologie naturali, delle acque meteoriche da
riutilizzare per irrigazione o restituire in loco alla circolazione superficiale.
Inquinamento indoor: i principali fattori di inquinamento presi in esame in una
progettazione Bioecologica
Di seguito si vogliono evidenziare i principali fattori di inquinamento indoor che in una
programmazione ecologicamente consapevole di interventi devono venire affrontati e
risolti e, di cui sia le imprese che gli addetti ai lavori devono tenere necessariamente
conto.
Verranno inoltre sottolineati gli aspetti normativi che cominciano a prendere in
considerazione queste problematiche e come, alcuni aspetti relativi alla salubrità degli
ambienti interni sino a qualche anno fa trascurati e disattesi, vengono oggi accolti e
recepiti anche dalle normative tecniche e resi obbligatori nella loro osservanza.
Con il D.L. 626/94 infatti, anche per l’Italia parametri quali il livello di comfort ed il
benessere degli abitanti sono diventati obbligatori, per cui aspetti una volta non
considerati nella progettazione e realizzazioni edilizie, quali la valutazione della
salubrità dell’aria interna diventano ora oggetto di attenzione e di studio.
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La definizione di inquinamento indoor, nonché la evidenziazione degli effetti tossici e
nocivi che molti prodotti e componenti per l’edilizia possono determinare, viene
demandata, per chi volesse approfondire l’argomento all’ALLEGATO A del II° volume.
I MATERIALI DA COSTRUZIONE
per quanto riguarda la presente trattazione riteniamo utile sottolineare i seguenti
aspetti di problematicità relativi al rapporto tra materiali da costruzione e
l’inquinamento indoor:
-
l’emissione di particolari sostanze tossiche varia da materiale a materiale ed è
funzione della volatilità dei composti e dalla turbolenza dell’aria sovrastante il
materiale;
-
i materiali possono anche assorbire prodotti tossici presenti nell’aria (in fase di
produzione ad esempio) per poi rilasciarli successivamente;
-
vanno considerati gli effetti sinergici determinati da più sostanze tossiche
liberate negli ambienti, anche se in quantità ciascuna inferiore ai limiti di
sicurezza e salubrità;
-
possono favorire la diffusione di insetti, muffe e batteri.
In funzione di tutto ciò diventa importante poter misurare la emissività delle sostanze
volatili dai materiali, nonché i meccanismi di emissione, per poter quindi adottare i
provvedimenti idonei a ridurre la quantità di sostanze inquinanti.
Ed è per questa finalità che ora le varie sostanze nocive sono obbligatoriamente
accompagnate da una “scheda di Sicurezza” compilata secondo la direttiva CEE
91/155 in applicazione della direttiva CEE 88/379, con indicazione della composizione
della sostanza, dei pericoli, delle misure di pronto soccorso ecc..
Detta scheda può essere richiesta ai produttori ed è indispensabile per la
compilazione dei piani di sicurezza.
Altre considerazioni
Il 5/05/2000 è entrato in vigore il D.M. 2 aprile 98, che rende operativa la Direttiva
Europea n° 89/106 CEE del 21/12/88, ed entra nel merito delle caratteristiche dei
materiali da costruzione presenti nell’articolo 32 della Legge n° 10/1991.
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La Direttiva comunitaria già recepita in Italia con il D.P.R. n° 246 del 21/04/1993
stabilisce che: le “opere di edilizia e di ingegneria civile siano concepite e realizzate in
modo da non compromettere la sicurezza delle persone, dove per sicurezza delle
persone si intende anche il rispetto di requisiti essenziali ai fini del benessere
generale, quali:
-
la salute;
-
la curabilità;
-
i risparmi energetici;
-
la tutela dell’ambiente.
In particolare nell’allegato I° per quanto riguarda le caratteristiche dei materiali
relativamente ad Igiene – Salute ed Ambiente precisa:
L’opera deve essere concepita e costruita in modo da non compromettere l’igiene e la
salute degli occupanti o dei vicini e in particolar modo non provocare:
-
sviluppo di gas tossici;
-
presenza nell’aria di particelle o di gas pericolosi;
-
emissioni di radiazioni pericolose;
-
inquinamento o tossicità dell’acqua o del suolo;
-
difetti nell’eliminazione delle acque di scarico, dei fumi e dei rifiuti solidi o
liquidi;
-
formazione di umidità su parti o pareti dell’opera.
Per quanto riguarda gli aspetti energetici l’art. 32 stabilisce che
“Ai fini della
commercializzazione, le caratteristiche e le prestazioni energetiche dei componenti
degli edifici devono essere certificate secondo le modalità stabilite con apposito
decreto”
Decreto oggi finalmente reso esecutivo e che precisa che: “l’inosservanza delle
prescrizioni di cui all’art. 32 della legge n° 10/91 è punita con sanzione amministrativa
da un minimo di cinque milioni ad un massimo di £ cinquanta milioni”.
ECOCOMPATIBILITÀ DEI MATERIALI EDILI
I materiali da costruzione, oltre a definire lo scheletro strutturale dell’edificio,
costituiscono anche la “pelle” dell’edificio stesso, segnando il confine tra interno ed
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esterno e delimitando l’involucro nel quale passiamo la maggior parte della nostra vita.
La scelta dei materiali edilizi è quindi di fondamentale importanza; insieme al metodo di
costruzione dell’edificio influisce sulla salute e sul benessere di coloro che vi abitano.
Fino a quando i trasporti sono stati difficoltosi i materiali edili venivano recuperati sul
posto. La scelta e l’uso dei materiali locali era basata su una profonda conoscenza
accumulata e tramandata nel corso del tempo.
L’avvento dell’industrializzazione ed i progressi dell’industria chimica hanno fornito
all’edilizia centinaia di nuovi materiali, rendendo più complesso il controllo sulla qualità e
la verifica della loro conformità alle esigenze di benessere degli abitanti.
Uno dei criteri base per valutare la salubrità dei materiali da costruzione è la loro
traspirabilità. Dovremmo immaginare le pareti esterne come i veri e propri “polmoni” della
casa, in grado di realizzare l’equilibrio igroscopico ed igrotermico dell’ambiente per
assicurare la salubrità dell’aria. È ovvio quindi che la “pelle” dell’edificio dovrà essere
costruita con materiali che permettano una traspirazione maggiore rispetto al cemento
armato, come ad esempio murature, blocchi microporizzati ecc.
Oltre a considerazioni di carattere tecnico, economico ed estetico, bisogna anche
valutare la compatibilità ambientale dei materiali edili, analizzando il loro contenuto
d’energia e materia prima, come anche l’emissione di sostanze tossiche, il consumo e
l’inquinamento delle acque, la contaminazione dei terreni e altri eventuali danni
ambientali.
I materiali ecocompatibili sono quelli che nel ciclo delle loro fasi di “vita”, cioè dalla
produzione all’uso, dalla manutenzione fino allo smaltimento, creano meno danni
possibili alla salute delle persone e all’ambiente.
Già la prima fase del processo di produzione dei materiali edili, cioè l’estrazione delle
materie prime, comporta danni ambientali (diminuzione della vegetazione esistente,
rimozione del suolo e di terreni, cambiamenti dell’equilibrio idrico). Le materie prime
vengono poi elaborate fino a renderle materiali edilizi. Spesso vengono aggiunti altri
“materiali” che sono senz’altro più inquinanti dei materiali naturali mentre durante la
realizzazione della costruzione, l’uso dei materiali edili è collegato con le diverse
emissioni tipiche del cantiere, soprattutto rumori e polveri.
Anche nella fase di utilizzo i diversi materiali influiscono sul benessere e sulla salute
delle persone. Un uso improprio dei materiali edilizi (per esempio l’innalzamento e
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l’isolamento di un muro fatti in maniera scorretta, nonostante l’impiego di materiali sicuri),
può avere conseguenze negative sulla qualità del microclima interno. Inoltre il potenziale
di pericolo dipende non solo dal materiale in sé, ma anche dalla sensibilità individuale,
dalla presenza di altre sostanze tossiche e dal loro grado di compatibilità (effetti
sinergici).
Nella valutazione dell’impatto ambientale dei materiali edili bisogna anche considerare la
loro durata, la manutenzione, le potenzialità di riciclaggio o i costi di smaltimento.
Interventi di risanamento o di sostituzione dei materiali edilizi devono essere necessari
solo dopo periodi più o meno lunghi. La valutazione ambientale dei materiali e prodotti
edili implica un’ampia serie di considerazioni perché uno stesso materiale edilizio può
avere qualità molto diverse fasi di “vita”, per esempio essere ecologicamente molto
vantaggioso nella fase di utilizzo,ma di produzione costosa o di difficile smaltimento.
Così, per esempio, le finestre di alluminio comportano un maggiore speco rispetto alle
finestre di legno nella fase di produzione, però nella fase di utilizzo l’inquinamento
ambientale è minore e anche la manutenzione è minima. Ogni materiale edilizio deve
quindi essere giudicato considerando tutte le alternative esistenti.
Nella fase di smaltimento, cioè nella demolizione di un edificio o di sue parti, la
tollerabilità ambientale dei materiali edilizi e dei metodi costruttivi può essere calcolata
rispondendo alle seguenti domande:
-
che inquinamento ambientale comporta la demolizione in sé?
-
i materiali possono essere riciclati? E in quale misura?
-
I rifiuti possono essere portati alle discariche o devono essere bruciati?
-
Fino a che punto è possibile portare il materiale di demolizione nelle discariche e
quali sono i pericoli potenziali che contengono?
-
Quali emissioni si formano negli inceneritori?
In modo ancora più schematico possiamo dire che criteri guida nella individuazione
dei materiali da costruzione sono quelli relativi della loro rispondenza a precise
richieste di corrispondenza prestazionale, e la assoluta certezza della loro non
nocività dal punto di vista delle emissioni nell'ambiente.
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Questa attenzione dovrebbe essere estesa all'intero ciclo di vita dei prodotti
esaminati, a partire dalla loro fabbricazione per finire al loro smaltimento o al
auspicabile loro riciclo, metodo detto "Dalla culla alla tomba".
Entrando nel merito dei materiali bioedili possiamo dire che, la pietra ed il laterizio
crudo o cotto sono materiali biocompatibili per eccellenza, usati sin dai tempi più
remoti per la costruzione delle dimore umane, tuttavia come abbiamo già visto alcuni
tipi di pietra debbono essere evitati per la loro possibile emissione di radon (graniti,
basaltina, sieniti, secondo recenti studi, sono quelle che mostrano maggiori livelli di
attività).
Altro materiale da evitare è il tufo di origine vulcanica, mentre il tufo marino e
sedimentario non mostra segni di attività radioattiva, Il laterizio è ancora più sicuro
della pietra dal punto di vista biologico, non mostra alcun segno di emissioni
pericolose, ha lunga durata, può essere recuperato e riciclato, ha caratteristiche
tecniche eccellenti.
Occorre solamente essere certi che nel processo di fabbricazione vengano rispettati
alcune metodologie che consentano di non avere emissioni nocive nella fase di
cottura (cfr. laterizi alveolati ottenuti mediante inserimento di polistirolo che alle alte
temperatura brucia completamente provocando emissioni nocive).
E' possibile comunque utilizzare per l'alveazione dei laterizi prodotti naturali di risulta
(scorie agricole, alghe, cascami, etc.) che consentono di ottenere il medesimo
risultato (anticamente si usava la paglia impastata con l'argilla). Il processo è però
conveniente solo se si possono reperire nelle immediate vicinanze dello stabilimento
di produzione i componenti volatili biologici in quantità sufficiente altrimenti i costi di
trasporto incidono pesantemente sul prodotto finito.
Per quanto riguarda i leganti sono da preferire le malte a base di calce, con
particolare accortezza nella scelta delle calci, che devono essere prodotte con sistemi
tradizionali, utilizzando calcari marnosi oppure un miscuglio di calcari puri ed argilla,
con cottura a bassa temperatura, (900 gradi), per ottenere quindi malte di minore
resistenza a compressione ma di maggiore modulo elastico, che sembra proprio
essere il segreto della longevità di tante costruzioni antiche (Quarneti, 1991).
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Il legno è un altro materiale che ha sempre accompagnato l'uomo fino dai tempi più
remoti oggi però la sua aumentata richiesta non permette più di seguire le tecniche di
stagionatura naturale, e così anche il legno massiccio viene sottoposto a trattamenti
chimici necessari ad aumentarne la resistenza ai batteri ed all'umidità.
Sono quindi da evitare legni trattati con impregnanti e biocidi che sono tutti a base di
sostanze dannose per l'uomo (arsenico, composti fluorati, PCB, ecc.).
Vanno usati, se possibile, legni stagionati naturalmente e trattati con una soluzione
calda di borace in acqua al 10% per la protezione contro gli insetti, ed utilizzate colle
viniliche, o ancora meglio ridurre al minimo le colle adoperando le tecniche di
giunzione a spina, infine se si desidera proteggere ulteriormente il legno, vanno usati
trattamenti naturali come cera d'api in trementina, oppure gommalacca sciolta in
alcool o altri trattamenti con componenti naturali non tossici attualmente facilmente
reperibili in commercio.
Per quanto riguarda la protezione dai parassiti, evitare tutti i composti a base di DDT,
idrocarburi, etc, dal momento che le loro emissioni nell'ambiente continuano per molto
tempo.
E’ preferibile usare legname rinnovabile, proveniente cioè da piantumazioni artificiali
(faggio, rovere, pioppo, olmo, etc), al posto di essenze provenienti da importazione sia
per evitare la incentivazione della deforestazione sia perchè i legnami importati
subiscono trattamenti tossici all'origine che consentono al materiale di sopportare
lunghi viaggi via mare senza subire alterazioni.
I pannelli in truciolato ed i compensati sono usualmente addensati con colle a base di
formaldeide che, a diretto contatto con fonti di calore ed umidità viene rilasciata
nell'ambiente.
Le tecniche di incapsulamento, non appaiono del tutto sicure in quanto utilizzano
resine alchidiche o poliuretaniche. sarebbero quindi da usare truciolati o compensati
incollati con colle meno tossiche.
SUGGERIMENTI PER I VARI MATERIALI EDILI
Dei numerosi materiali edilizi con differenti funzioni (isolamento, tamponatura, finitura,
ecc.), vengono esaminati solo i materiali più importanti, che presentano problemi
specifici o che sono convenienti dal punto di vista ecologico. Essi sono:
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-
intonaci
-
pitture
-
materiali edilizi con contenuto di amianto e in fibre di cemento
-
protettivi del legno
-
colle
-
argilla
-
prodotti edili in PVC
-
truciolato
-
carta da parati
-
legni tropicali
-
pavimenti ed altre finiture
INTONACI
L’edilizia corrente utilizza esclusivamente intonaci a base di cemento per la rapidità della
lavorazione e l’economicità, trascurando l’impiego degli intonaci naturali a calce che
invece sono stati sempre usati nella storia della architettura.
Il problema del cemento, che in partenza è un prodotto naturale, è rappresentato dalle
sostanze e additivi che vengono aggiunti (ad esempio i polimeri) per accelerare il
processo di essiccamento, per ridurre la deformazione plastica del processo di
maturazione e per renderlo osmotico e idrorepellente. Tutte queste sostanze sono
destinate nel tempo ad una degenerazione chimica che compromette l’integrità del
cemento stesso. A questo si aggiunge il fatto che per la produzione del cemento
vengono usate scorie di derivazione industriale che possono essere tossiche per
l’emissione nel tempo di sostanze addirittura radioattive.
Per questo è consigliabile l’uso di intonaci a basso o meglio ancora assente contenuto di
cemento, optando per un intonaco a calce che garantisce la permeabilità al vapore e non
all’acqua e quindi la traspirabilità della parete e l’assenza di umidità. Sono validi anche
gli intonaci con gesso, se si è certi della composizione naturale del prodotto.
Un intonaco per esterni, valido anche ai fini del contenimento della dispersione termica,
è l’intonaco minerale, di cui sono in commercio alcuni tipi senza additivi chimici.
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SUGGERIMENTI
- Evitare intonaci contenenti cemento.
- Usare preferibilmente intonaci a calce.
PITTURE
Gli smalti e le pitture, oltre ad avere una funzione decorativa, servono a proteggere i
materiali stessi dagli agenti atmosferici, dalle sostanze chimiche e dalle sollecitazioni
meccaniche.
Gli smalti e le pitture che contengono solventi sono, dopo l’inquinamento dovuto al
traffico cittadino, i più noti fattori di emissione di idrocarburi. Gli smalti possono contenere
altre sostanze tossiche, per esempio leghe di metalli pesanti, come i pigmenti o i
fungicidi. Anche i colori a dispersione acquosa, pur contenendo solo una minima
quantità di composti organici, contengono fungicidi per garantire la conservazione del
prodotto. Per questi motivi prima di utilizzare i colori, è consigliabile valutare bene le
sollecitazioni cui sono sottoposti i materiali per stabilire la protezione necessaria e le
eventuali alternative.
I colori e gli smalti che contengono solventi rappresentano un pericolo per l’ambiente e
per la salute soprattutto durante la loro lavorazione ed il loro essiccamento. Per questo
motivo è importante arieggiare molto frequentemente gli ambienti interni durante
l’applicazione e fino all’essiccamento totale (che può richiedere anche qualche
settimana). I residui delle tinteggiature non devono essere smaltiti con le acque di
scarico proprio perché contengono sostanze altamente tossiche. I diluenti e i solventi per
la pulizia dei pennelli dovrebbero essere usati solo in caso di assoluta necessità ed
essere smaltiti come rifiuti speciali.
Oggi esiste un’ampia gamma di smalti ecologici come anche i colori a dispersione
(solubili nell’acqua) , gli smalti di resina naturale, cere e oli densi. Negli interni possono
essere usati tranquillamente protettivi per legno a base di cera d’api.
Tra i principali tipi di pitture figurano le tempere a colla, facili da usare ed economiche,
hanno il difetto di essere poco resistenti all’acqua e il pregio di non impedire la
traspirazione. Pigmenti per la colorazione e leganti per la colla sono naturali e vegetali,
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in modo da non ammuffire e non creare problemi di fermentazione. Può essere usata per
rifinire gli intonaci trattati con calce o gesso. Le pitture a calce sono assolutamente
ecologiche, non hanno effetti tossici e non impediscono la traspirazione delle pareti.
Sono spesso usate nei locali con presenza di umidità, ma sono ottime anche per la
finitura degli esterni. Hanno un’ampia varietà di applicazione, dall’intonaco a calce o a
cemento fino ai mattoni, alle pietre naturali con capacità di assorbimento, fino alle lastre
di materiale leggero.
La migliore qualità delle pitture con leganti ed emulsioni risiede nella capacità
idrorepellente e infatti sono di facile ed efficace lavabilità. Proprio per questa
caratteristica sono adattissime all’uso esterno perché in grado di resistere agli agenti
atmosferici. È ovvio che tale caratteristica dipende da una composizione ottenuta da
composti sintetici che possono completamente annullare la traspirabilità di una parete.
Questo difetto è caratteristico anche delle pitture ad olio, così come la loro idrorepellenza
e resistenza agli agenti atmosferici.
SUGGERIMENTI
-
Valutare se le finiture e le tinteggiature possono essere evitate.
-
Usare colori con contenuto minimo di solventi dannosi e metalli pesanti.
-
Arieggiare le stanze durante la tinteggiatura fino al totale essiccamento dei
colori.
-
Evitare di eliminare i resti delle pitture e i resti di smalti induriti con le acque
di scarico; non gettarli nei rifiuti domestici ma eliminarli in modo differenziato.
-
Usare solventi, sverniciatori, soluzioni per pulire i pennelli solo in caso di
assoluta necessità.
MATERIALI CHE CONTENGONO AMIANTO E MATERIALI IN FIBRE DI CEMENTO
L’amianto è stato utilizzato in molti prodotti edilizi per le sue qualità di isolamento termico
e acustico. I materiali che contengono amianto si possono dividere in due gruppi
fondamentali:
-
amianto a spruzzo
-
prodotti in cementoamianto
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L’amianto a spruzzo e prodotti simili sono composti per almeno il 60% da amianto legato
molto debolmente. Oltre all’intonaco a spruzzo, l’amianto è presente anche in altri
rivestimenti, tappetini o lastre usati come isolanti termici e acustici, lastre leggere da
costruzione o indumenti ignifughi, corde o anelli per guarnizioni e pavimentazioni.
Numerose e gravi le patologie provocate dall’amianto: l’inalazione di polvere fina
d’amianto può causare il cancro ai polmoni e il mesotelioma (tumore della pleura).
Le fibre di amianto si liberano soprattutto durante la lavorazione, la manipolazione, lo
stoccaggio. La quantità di fibre liberata da prodotti d’amianto con lega leggera è in
relazione al degrado delle strutture e dei materiali causato anche dagli agenti esterni. Le
più alte quote d’emissione si manifestano su pannelli d’amianto senza rivestimenti
protettivi. È pericolosa anche la demolizione di edifici e lo smaltimento delle macerie
perché si forma una polvere fina ricca di fibre d’amianto. Anche il trasporto e lo
stoccaggio dei materiali di demolizione è una continua minaccia di emissioni nocive.
Anche molti elettrodomestici, come ad esempio stufe da notte elettriche, radiatori ecc.,
possono contenere amianto che inquina l’aria degli interni.
Ormai sono in commercio prodotti alternativi di cemento in fibre senza amianto. Vengono
anche prodotti pannelli per la protezione dal fuoco a base di silicato di calcio con una
riduzione di fibre. Sono usati anche isolanti di fibre minerali o pannelli di cartongesso.
Si ricorda che la Comunità Europea ha vietato l’uso dell’amianto nel 1993. Anche le leggi
italiane (D.M. 277/91, D.M. 257/92 e Decreto Ministero della Sanità 6/8/94) prevedono la
bonifica delle strutture in amianto.
Per la pericolosità della lavorazione le opere di risanamento e di bonifica dell’amianto a
spruzzo devono essere eseguite soltanto da esperti del settore.
SUGGERIMENTI
-
evitare di usare materiali in amianto; esistono materiali alternativi;
-
prendere contatto con gli uffici addetti per un’identificazione delle fonti di amianto
presenti nell’aria;
-
fare eseguire lavori di risanamento e di eliminazione dell’amianto a spruzzo solo
da specialisti;
-
non gettare nei depositi di rifiuti di cantiere prodotti che contengono amianto.
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I PROTETTIVI DEL LEGNO
Un utilizzo ecocompatibile del legno consiste:
-
nella scelta di legni adatti e della loro qualità;
-
negli accorgimenti edilizi e costruttivi;
-
in un trattamento corretto della superficie;
-
nell’uso di protezioni chimiche solo in casi particolari;
L’uso di prodotti chimici per proteggere il legno dai parassiti (fungicidi e insetticidi) deve
essere limitato al massimo per la tossicità che hanno anche rispetto all’uomo. La
presenza di funghi o insetti dannosi dipende molto dall’umidità del legno. Per questo è
importante la stagionatura in modo da utilizzare solo legno con un grado massimo di
umidità pari al 20%.
Il legno utilizzato per esterni, esposto agli agenti atmosferici o a contatto con terra e
acqua, deve essere ovviamente trattato con sostanze protettive. Alcuni accorgimenti
costruttivi possono proteggere il legno dall’umidità e facilitare la fuoriuscita dell’umidità
penetrata.
Ad esempio:
-
una perfetta disposizione del tetto per lo scorrimento delle acque meteoriche; è
opportuno creare tetti con bordi sporgenti e aprire le finestre in posizione arretrata
rispetto alla facciata;
-
uno zoccolo di almeno trenta centimetri fra il pavimento e le parti in legno;
-
realizzare pareti in legno ventilate;
-
grondaie funzionanti;
-
eliminazione di angoli umidi ;
-
taglio obliquo delle parti di legno sporgenti.
Un corretto trattamento delle superfici del legno richiede un trattamento meccanico della
superficie (l’acqua scivola meglio sul legno piallato che sul legno grezzo) unito ad un
trattamento chimico della superficie, ad esempio con uno smalto atossico che non
contenga biocidi, per creare una superficie liscia e proteggere il legno dalla polvere e
dall’acqua.
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In ambienti salubri e asciutti, l’impiego di essenze del luogo consiste di evitare l’uso di
sostanze a protezione del legno. In stanze e luoghi umidi, per esempio in cucina e in
bagno, è essenziale ventilare la parete; se si è in presenza di luoghi molto umidi è
consigliabile rinunciare all’uso del legno.
L’uso di protettivi chimici può essere evitato nei componenti in legno non portanti, o se si
prevede una sostituzione periodica degli stessi. Ma anche nelle strutture è possibile
evitare l’uso di sostanze chimiche per la protezione se lo si intonaca o lo si riveste con
cartongesso.
Nel caso in cui una protezione sia indispensabile, si deve evitare l’uso di prodotti
contenenti PCP (pentaclorofenolo), arsenico e mercurio o derivati del PCP. I protettivi
per il legno a base di miscele di boro sono abbastanza tollerati ma sconsigliati per il
legno usato all’esterno, il cui trattamento deve comunque evitare l’uso di carbon fossile o
impregnanti di sintesi petrolchimica.
Se il legno è già installato (ad esempio nelle travature del tetto), funghi o parassiti
possono essere eliminati con metodi ecologici, esponendo per almeno un’ora il legno al
vapore caldo ad una temperatura di 55°C.
Si ricorda che i residui delle sostanze protettive del legno devono essere smaltiti in modo
speciale e che l’incenerimento del legno trattato con protettivi può essere effettuato solo
in impianti speciali, con una potenza di almeno 100 kW.
SUGGERIMENTI
-
nella scelta del legno considerare l’uso a cui è destinato;
-
avvalersi di accorgimenti costruttivi come la sporgenza del tetto, la posizione
errata di porte e finestre e la realizzazione di pareti ventilate;
-
ridurre l’uso di prodotti chimici per proteggere il legno;
-
usare prodotti che abbiano il marchio di controllo di qualità ecologica;
-
considerare metodi meccanici e fisici per l’eliminazione di eventuali parassiti;
-
smaltire in modo differenziato i residui dei prodotti per il trattamento del legno.
COLLE
Al settore edilizio spetta il 20% del consumo di colle, che vengono usate soprattutto per
la posa in opera dei pavimenti.
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L’inquinamento prodotto dall’uso delle colle contenenti solventi deriva dalle emissioni di
idrocarburi liberati dai solventi. Se usate in grande quantità possono causare irritazioni
delle mucose, cefalee e capogiri. È quindi molto importante la ventilazione degli ambienti
durante la lavorazione.
Si ricorda che le colle contenenti solventi devono essere smaltite in modo differenziato.
Un’alternativa a questo tipo di colle sono le colle a dispersione povere di solventi; l’unico
inconveniente è rappresentato dalla loro inferiore capacità collante, per cui il processo di
incollaggio e asciugatura è più lungo con il vantaggio però di non danneggiare la salute e
l’ambiente.
Nel caso di posa di pavimenti vanno evitati collanti ureici e fenolici. Per la posa dei
parquet possono essere usate colle viniliche o alla caseina e per le ceramiche colle
all’acqua o alla caseina.
SUGGERIMENTI
-
usare colle povere di solventi.
ARGILLA
Le più antiche costruzioni in argilla risalgono a circa 800 anni fa e diverse tecniche di
costruzione che utilizzano questo materiale sono diffuse in tutto il mondo. L’argilla è un
misto di minerali argillosi e sabbia: è quindi un materiale assolutamente ecologico. A
seconda della dimensione dei granuli si distingue l’argilla grossa da quella fina; a
seconda della quantità di acqua contenuta si distingue l’argilla plastica da quella fluida; il
suo peso specifico può variare da 3000 a 200 Kg/mc a seconda dei composti. L’argilla
può essere usata come isolante e come elemento per murature. Per la produzione di
pareti d’argilla massicce occorre solo l’1% dell’energia necessaria per una parete simile
di mattoni o di cemento. Può essere estratta direttamente durante gli scavi di
sbancamento per la costruzione, azzerando così i costi di trasporto, carico e scarico.
L’argilla non inquina e può essere riportata in natura senza problemi.
Una volta asciugata è molto importante assicurare l’isolamento dall’umidità: infatti se
resta asciutta crea un clima equilibrato, se diventa umida crea un clima dannoso per la
salute.
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A parte i vantaggi per l’ambiente, l’uso dell’argilla comporta anche alcuni inconvenienti:
-
le costruzioni con l’argilla devono essere eseguite nelle stagioni calde, perché
l’essiccazione deve concludersi prima della gelatura;
-
costruire con l’argilla richiede anche molta lavorazione. Questo comporta costi più
alti o prestazioni particolari sul cantiere. Le imprese che offrono costruzioni con
argilla sono rare e le industrie edilizie hanno poco da offrire. L’argilla è quindi un
materiale edile tipico delle autocostruzioni.
Escludendone la funzione portante, esistono varie tecniche e metodi di utilizzo; per
esempio il metodo dell’argilla pestata, della lavorazione dell’argilla bagnata con pani
d’argilla, il metodo di costruzione con argilla leggera, o ancora i mattoni d’argilla secca o
l’argilla su pali o su grigliato.
Oltre che per la produzione di tramezzi, l’argilla può anche essere usata come materiale
per il riempimento dei soffitti grazie alla sua alta capacità di isolamento termo-acustico.
Nella pavimentazione può essere usata solo se la superficie viene protetta dall’acqua.
L’argilla può essere usata anche negli interni, ad esempio possono essere modellati,
pestati e murati stufe, cucine e scaffali d’argilla.
SUGGERIMENTI
-
Verificare dove l’argilla può essere eventualmente usata come materiale edilizio.
PRODOTTI I N PVC
Milioni di tonnellate de PVC (policloruro di vinile) vengono usati annualmente in tutta
Europa in diversi ambiti produttivi. Circa il 50% viene impiegato nell’industria edilizia, in
particolare nella produzione di tubi, pezzi speciali e telai per finestre. Negli anni 80 i telai
per finestre in PVC occupavano circa il 40% del mercato. In decine di impianti in tutta
Europa vengono annualmente lavorate tonnellate di PVC con oltre il 50% di emmoliente.
L’inquinamento provocato dal PVC deriva dalle parti di emollienti e altri elementi di
plastisol che vengono liberati nell’aria. In un’analisi dell’aria presente sopra una
pavimentazione in PVC sono state identificate 27 delle 62 sostanze chimiche scoperte
liberatesi sotto forma di gas. In caso di incendio i prodotti in PVC sono estremamente
dannosi per l’uomo e l’ambiente a causa del loro alto contenuto di cloro; inoltre i residui
contengono diossina e furano.
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I prodotti in PVC possono andare a finire sia nei rifiuti domestici (per esempio le
pavimentazioni), sia nelle discariche di rifiuti edilizi (per esempio le finestre). Circa il 6%
dei rifiuti domestici è composto da materie plastiche, delle quali il PVC rappresenta il
12/15%. Circa il 50% del cloro presente nell’aria degli inceneritori delle discariche
pubbliche è causato da prodotti in PVC. Nello smaltimento dei prodotti in PVC, oltre al
contenuto di cloro, sono presenti anche metalli pesanti come il cadmio e il piombo.
Prodotti alternativi al PVC sono il legno, le pietre e le materie plastiche maggiormente
ecocompatibili come il polietilene, il polipropilene e il linoleum per la pavimentazione.
Esistono anche prodotti composti da materie plastiche e gomma riciclate.
SUGGERIMENTI
-
l’uso di prodotti in PVC deve essere studiato per ogni caso specifico. Ad esempio
dal punto di vista ambientale il PVC può anche essere considerato positivamente
per prodotti che devono durare nel tempo ma per prodotti soggetti a frequenti
sostituzioni è consigliato l’uso di prodotti alternativi.
TRUCIOLATO
A partire dagli anni 50 il truciolato ha sostituito il legno massiccio in gran parte della
produzione mobili, di case prefabbricate e nella produzione di vari componenti per
l’edilizia. Questo grazie alla sua economicità, alla facilità di lavorazione e alla notevole
resistenza a compressione e deformazione in relazione allo spessore.
Le lastre di truciolato contengono piccoli pezzi di legno, trucioli e/o materiali fibrosi che
vengono pressati insieme con leganti. Questi ultimi contengono soprattutto resina
sintetica con varie quantità di formaldeide. Le resine sintetiche usate sono soprattutto
resine di urea, melanina, fenolo e formaldeide. Oltre ai mobili, alle sigillature del parquet,
agli smalti, anche i truciolati sono una delle fonti più pericolose di inquinamento da
formaldeide negli interni.
La liberazione di formaldeide sotto forma di gas avviene soprattutto in ambienti molto
umidi e caldi.
La formaldeide è dannosa per la salute e provoca irritazioni delle mucose (inalazione),
mal di testa e reazioni allergiche (contatto con la pelle). C’è anche il sospetto che la
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formaldeide sia cancerogena. L’alternativa al truciolato con collanti contenenti
formaldeide sono i truciolati impastati con cemento, magnesite e gesso.
Sui truciolati esistenti si possono applicare coperture o pitture per ridurre o evitare la
liberazione dei gas pericolosi.
SUGGERIMENTI
-
usare truciolati senza formaldeide;
-
coprire o pitturare i truciolati già esistenti.
PIETRE
Esempi di pietre naturali sono il marmo, il granito, i tufi, i calcari, i calcareniti. Le pietre
artificiali sono i mattoni, le ceramiche , le piastrelle, il calcestruzzo ecc.
Le pietre naturali sono normalmente dei buoni conduttori e accumulatori di calore, non
sono infiammabili e non si caricano elettrostaticamente. In genere non hanno una buona
capacità di isolamento termico; sono quindi inadatti per la costruzione di murature, a
meno che non si usino spessori consistenti. Le pietre vengono usate soprattutto per
pavimenti, facciate, davanzali, sia per interni che per esterni.
Solo durante la lavorazione le pietre possono rappresentare un pericolo per la salute.
Infatti la levigatura produce una polvere di pietruzze che, se inalata in certe quantità, può
danneggiare i polmoni.
Il riciclaggio di pietrame usato è quasi sempre possibile ma ovviamente richiede un
dispendio di energia in termini di ore/lavoro. Inoltre, al contrario delle pietre artificiali, che
spesso provengono dalla regione stessa in cui vengono prodotte, per la pietra naturale
bisogna anche considerare le spese di lunghi trasporti.
Le pietre artificiali si dividono in laterizi e in mattoni prodotti con l’utilizzo di leganti.
I laterizi contengono materie minerali naturali come l’argilla, la creta, la sabbia e la calce.
La cottura e il processo di vetrificazione dei laterizi comportano un grande consumo di
energia (circa 500-1750 kWh/mc) e, a seconda del metodo di cottura, un inquinamento
dell’aria per le emissioni di anidride solforosa, combinazioni di fluoro sotto forma di gas e
polveri silicogene.
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I laterizi, avendo una buona capacità di accumulare calore, sono utilizzati per la
costruzione di pareti e coperture.
I mattoni che per la loro produzione richiedono leganti sono quelli composti da sabbia,
calce e cemento. La ghiaia, la sabbia, la breccia o il pietrisco vengono mescolati con
leganti come il cemento o la calce; vengono aggiunti anche materiali porosi come il
polistirolo e l’alluminio.
Ad eccezione delle pietre contenenti polistirolo (dannose per la salute perché liberano
gas di idrocarburi), i mattoni artificiali in calce e cemento contengono materie prime
naturali. Per la loro produzione il consumo di energia è di circa 200/720 kW/mc. Dal
punto di vista ecologico il cemento viene valutato in modi molto diversi da biologi e
costruttori. Infatti durante la produzione del cemento si liberano prodotti tossici e, una
volta in opera, presenta la restituzione lenta di umidità. D’altra parte il cemento ha una
proprietà positiva, cioè la versatilità nelle costruzioni, la capacità di realizzare strutture
importanti e grandi coperture e la possibilità di ricevere additivi di varia natura (p.e.
pomice e argilla espansa) per renderlo osmotico o maggiormente traspirante.
SUGGERIMENTI
-
Usare pietre del luogo quando presenti.
CARTE DA PARATI
Il clima interno di un edificio è un elemento fondamentale del benessere delle persone e
dipende dalla temperatura, umidità e qualità dell’aria. Le carte da parati sono materiali
determinanti per il clima interno, perché assorbono e rilasciano vapore. Le carte da
parati possono essere composte da carta, materiali sintetici, tessili, metalli, erba e
sughero. Quelle che contengono vinile e altre fibre sintetiche (acriliche) influiscono
negativamente sulla traspirazione del muro, provocando non solo un aumento di umidità
dell’aria (soprattutto nel bagno e in cucina) ma anche la formazione di funghi. Possono
anche liberare gas di formaldeide. Poiché le carte da parati sintetiche si caricano
velocemente di elettrostaticità, trattengono molta polvere e attirano parassiti e funghi
che, in un calo di tensione, tornano nell’aria e diventano fattori inquinanti.
La carta da parati a base di composti vegetali e sughero è abbastanza tollerabile, anche
se può provocare reazioni allergiche in persone ipersensibili.
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Esistono parati ecologici in fibre grezze in cui la percentuale di carta riciclata nelle fibre
grezze è almeno dell’80%. Al contrario di altre carte da parati, quelle in fibre grezze
devono in genere essere dipinte.
Le comuni colle per carta da parati sono solubili in acqua e non contengono solventi. Per
eliminare la carta da parati dai muri esistono una serie di sostanze chimiche, anche se
una miscela di detersivo per piatti e acqua ha la stessa funzione de è anche più
economica.
Una volta rimossa, soprattutto se attraverso l’uso di solventi chimici, dovrebbe essere
smaltita in raccoglitori speciali.
SUGGERIMENTI
-
evitare di applicare carta da parati a causa delle conseguenze negative sul clima
interno;
-
eventualmente usare carta da parati in fibre grezze e in carta riciclata che non
ostacolano la traspirazione dei muri;
-
smaltire i resti delle carta da parati in modo ecologico.
LEGNI TROPICALI
La veloce distruzione delle foreste tropicali non rappresenta solo un furto di questa
materia prima, ma ha anche conseguenze negative sull’ecologia regionale e globale. Le
foreste tropicali coprono circa il 6% della superficie della Terra; il loro valore come
biotopo è inestimabile perché ci vivono il 60-70% di tutte le specie di flora e fauna.
Poiché il sistema ecologico delle foreste tropicali dispone di un’enorme quantità d’acqua,
preservarle significa anche salvaguardare le condizioni climatiche globali, dipendenti in
gran parte proprio dalle foreste tropicali.
Incendi, spesso dolosi, distruggono grandi estensioni di foreste tropicali; il taglio del
legno incide solo parzialmente nella loro distruzione ma contribuisce significativamente
al loro degrado perché implica la costruzione di insediamenti, collegamenti stradali e
stazioni commerciali e anche la probabilità di completi disboscamenti, giustificati
dall’esigenza di coltivazioni estensive per i nuovi insediati e l’esportazione.
Circa il 5% dei legni abbattuti sono destinati all’esportazione. Circa la metà del legno
tropicale importato viene utilizzato nella produzione di mobili e nell’edilizia.
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Una caratteristica dei legni tropicali e dei loro derivati è rappresentata dalla loro
maggiore durata rispetto ad altri legni. Esempi di legni tropicali sono il mogano, il khaya,
il palissandro, il merenti, il teak e il bongossi.
Anche se con caratteristiche diverse, i legni locali, opportunamente trattati e
possibilmente prodotti in aree controllate e destinate a continui rimboschimenti in
relazione ai tagli effettuati, possono sostituire egregiamente i legni tropicali.
Adottare il boicottaggio delle importazioni o degli acquisti non è un metodo intelligente
per salvare le foreste tropicali. La mancata possibilità di commercio diminuirebbe
l’interesse verso i Paesi in via di sviluppo e bloccherebbe i finanziamenti per
l’organizzazione di aree coltivabili. Si tratta piuttosto di introdurre dei sistemi di
contenimento delle coltivazioni attraverso un ciclo intensivo e pianificato, diminuendo
così la necessità di distruggere le foreste per creare terreno coltivabile.
SUGGERIMENTI
-
usare legni locali.
PAVIMENTI E ALTRE FINITURE
Se si devono sostituire i pavimenti, bisogna evitare di posarli sopra quelli esistenti. Se
proprio non c’è la possibilità di procedere alla rimozione del vecchio, è importante che
così
facendo
non
si
appesantisca
troppo
il
solaio
del
locale
interessato,
compromettendone la capacità di portata; questa verifica è indispensabile per i vecchi
solai in legno e comunque ostacola la traspirazione del locale.
Le moquette sintetiche vanno eliminate o sostituite con altre in lana o fibre naturali. Una
costante e profonda pulizia è comunque necessaria per evitare l’accumulo di elementi
patogeni.
In caso di applicazione di stucchi ci si deve assicurare che siano composti da elementi
naturali, garanzia di un prodotto sano e duraturo, e che siano certificati secondo qualità
Tra i materiali per rivestimenti, molto interessante e assolutamente naturale è il linoleum.
Nasce in Inghilterra dove viene prodotto già dal 1860 attraverso la composizione di tre
materiali: un telo di juta, olio di lino, polvere di sughero. L’industria attuale ottiene il
prodotto additivandolo anche con pigmenti per la colorazione e con gomma di kauri, e
confezionandolo in rotoli con spessori variabili dai 2 ai 6mm. Adatto per pavimenti e
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rivestimenti, è resistente all’usura ed adattissimo per ospedali, scuole e luoghi pubblici
bisognosi di disinfezione continua.
MATERIALI PER L’ISOLAMENTO ACUSTICO E TERMICO
I componenti scelti per le facciate murarie e vetrate incidono sul risparmio energetico e
sull’isolamento acustico dell’abitazione. La scelta degli isolanti deve non solo rispettare i
requisiti del risparmio energetico e dell’economicità, ma anche la tollerabilità da parte
della salute dell’ambiente e cioè i cicli di produzione e di smaltimento dei materiali.
I tradizionali materiali isolanti sono: lana di vetro, lana di roccia (insieme a leganti e
solventi organici), ma soprattutto materiali d’espansione (schiume). Vengono suddivisi in
due categorie: materiali d’espansione dura e materiali d’espansione morbida.
Nell’isolamento termico si usano soprattutto materiali d’espansione dura. Come
propellenti vengono utilizzati gas come l’anidride carbonica e l’azoto ma soprattutto
clorofluorocarburi (CFC), pentano e in minor misura clorocarburi. Gli isolanti usati in
edilizia e contenenti CFC continuano a rilasciare sostanze tossiche anche dopo molto
tempo. Né il riciclaggio né lo smaltimento dei CFC sono controllabili.
Esistono alternative all’uso di isolanti a base di CFC. Ad esempio invece della schiuma
di polistirolo estruso si può usare schiuma di polistirolo espanso. Per isolare l’edificio
dall’umidità e dall’acqua si possono usare schiume di vetro (in particolare quelle prodotte
dal vetro usato) e isolanti in carta riciclata non trattata chimicamente, da qualche tempo
sul mercato.
Il miglioramento delle tecnologie dei componenti per l’isolamento termico, generalmente
basate sull’esistenza di microcavità d’aria nello spessore del materiale ridotto a pochi
centimetri, contrasta con un efficiente isolamento acustico, che richiede uno spessore
maggiore.
Lastre leggere di lana di legno o altre lastre simili che vengono posate a cemento per
intero o con rinzaffi per punti, peggiorano la qualità dell’isolamento acustico se le lastre
sono ad esempio coperte da intonaci o da altre lastre, da piastrelle ecc. Migliorare
l’isolamento acustico significa distaccare l’isolante termico dal muro avvitando le lastre
isolanti ad un’orditura di supporto sui soffitti e sui muri.
Riguardo alle finestre ad isolamento acustico, che hanno bisogno di una chiusura
perfettamente ermetica di tutti i componenti del serramento, devono avere un dispositivo
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di ventilazione continua naturale ed acusticamente isolata per evitare di ricorrere alla
ventilazione forzata.
Va ricordato che il calore disperso tramite finestre e vetrate può corrispondere anche ad
un terzo dell’intera dispersione termica di un edificio. Devono quindi essere adottati vetri
termici superisolanti. Infatti il componente a cui prestare maggiore attenzione per
l’isolamento termoacustico è il vetro mentre il materiale del telaio incide pochissimo
nell’isolamento termico ed è praticamente irrilevante per l’isolamento acustico.
Le qualità dei materiali isolanti naturali permettono all’edificio di respirare pur
mantenendo un ottimo livello di isolamento termoacustico con un basso coefficiente di
conducibilità termica; non permettono la proliferazione di funghi, batteri e microrganismi
perché permeabili al vapore e con un equilibrato rapporto di igroscopicità; sono
elettricamente neutri, lasciando inalterato il campo magnetico naturale terrestre che è
positivo per l’organismo umano; sono inattaccabili da ratti ed insetti, inalterabili nel
tempo, resistenti al fuoco, non radioattivi. Sono inoltre riciclabili, biodegradabili, non
depauperano le risorse e l’ambiente.
SUGGERIMENTI
-
usare isolanti privi di CFC (per esempio polistirolo espanso, EPS);
-
per isolamenti esterni di cantine o per locali con forte presenza di umidità usare
schiuma di vetro;
-
evitare uno stretto contatto fra gli isolanti ed i muri per non peggiorare l’isolamento
acustico;
-
nell’isolamento acustico di finestre usare vetro isolante a più strati.
Ecco alcune descrizioni, con le relative caratteristiche, dei principali isolanti naturali.
IL LATERIZIO
Il laterizio ha ottime capacità di assorbimento dell’acqua unita alla caratteristica di veloce
evaporazione dell’acqua assorbita. Sono proprio queste due caratteristiche, capacità di
assorbimento e velocità di evaporazione ed espulsione dell’acqua, ad aumentare o
meno la capacità di isolamento di un materiale. Tuttavia il laterizio, in rapporto al
calcestruzzo, ha una maggiore permeabilità rispetto alle radiazioni naturali e per questo
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ha il difetto di poter presentare valori di radon eccessivi. È un materiale naturale ma a
volte, purtroppo, vengono usati additivi tossici nell’impasto che provocano di
conseguenza la necessità di un controllo qualitativo del prodotto finito.
SUGHERO
Estratto dalla corteccia della quercia da sughero, è un materiale spugnoso, molto
leggero ed elastico, e possiede naturali proprietà ignifughe. La lavorazione delle placche
prevede un iniziale stoccaggio per ridurre la loro naturale curvatura; successivamente le
placche vengono poi sottoposte a bollitura per aumentarne la caratteristica di elasticità. Il
suo naturale e più diffuso utilizzo è come materiale termoisolante grazie alla capacità di
mantenere costante la propria temperatura sia con alte che con basse temperature
ambientali. Ha anche caratteristiche di isolamento acustico e per la sua qualità di
materiale imputrescibile e impermeabile è adatto anche in locali in presenza di forte
umidità.
FIBRA DI COCCO
Deriva dalla separazione dal guscio e dalla successiva immersione in acqua per vari
mesi per eliminare la parte putrescibile, viene poi lavorata fino ad ottenere filamenti
sottili. La fibra finale che si ricava dalla lavorazione finale è imputrescibile, inattaccabile
da funghi e tarme e resistente all’umidità. Oltre ad essere un ottimo isolante
termoacustico, è anche ignifuga.
YUTA
Dagli steli della pianta si ottiene la fibra attraverso un processo di macerazione. Può
essere usata per il riempimento delle intercapedini dei telai di porte e finestre come
alternativa alle schiume sintetiche. È anche un buon isolante acustico per rumori da
calpestio.
LANA NATURALE
È un materiale che posto in opera in materassine è adatto all’isolamento termico delle
coperture e possiede anche qualità di isolamento acustico. Il suo alto costo e
l’attaccabilità da parte dei parassiti ne consigliano l’uso solo in situazioni particolari.
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LA POMICE
Per la sua struttura alveolare che le conferisce straordinaria leggerezza e proprietà di
coibenza termoacustica è usata come inerte leggero per la produzione di calcestruzzi e
blocchi microporizzati e come isolante di sottofondo.
VERMICULITE ESPANSA
Così detta perché sottoposta, dopo l’estrazione in blocchi irregolari, ad una cottura ad
alte temperatura (tra 800 e 1100°C) grazie alla quale subisce una espansione variabile
rispetto al materiale estratto in partenza e comunque compresa tra 20 e 50 volte
l’originario volume. Una volta pronta, resiste fino a temperature di 1000°C ed è utilizzata
per il confezionamento di intonaci antincendio, per il confezionamento, come inerte
leggero, di calcestruzzi, per il riempimento di intercapedini e per i massetti di sottofondo.
ARGILLA ESPANSA
Il nucleo interno ha una struttura cellulare chiusa e dopo la cottura dell’argilla in granuli di
varie dimensioni forma una scorza esterna dura e resistente. È un ottimo isolante
termico ed acustico, non si deteriora, non marcisce e restando inalterata nel tempo è
usata per alleggerire il calcestruzzo e come isolante.
FIBRA DI CELLULOSA
È un ottimo materiale per realizzare isolamenti di pareti tramite insuflaggio di cellulosa
(composto per 80% da giornali riciclati e con additivi chimici che eliminano il rischio di
incendio). Subisce tutta una serie di trattamenti minerali per preservarla dai batteri, dai
ratti e dai funghi, non contiene amianto e formaldeide, non ha odore. In virtù delle
microscopiche celle d’aria permette la traspirazione dell’edificio lasciando asciutte pareti
e soffitti.
PERLITE RIOLITICA
È un vetro vulcanico che ancora non ha subito processo di cristallizzazione. Di struttura
sferica, caratterizzata da presenza di micropori e cellule chiuse è un prodotto inorganico
e stabile, altamente poroso con elevata traspirabilità e chimicamente inerte.
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Durante la lavorazione non vengono emesse sostanze tossiche e con la sola aggiunta di
resine saponose si ottengono calcestruzzi alleggeriti per realizzare massetti a
essiccazione rapida.
Ha una buona capacità di isolamento termoacustico e buona resistenza al fuoco per cui
viene utilizzata anche per intonaci a protezione antincendio.
VETRO CELLULARE ESPANSO
Durante il processo di fusione il vetro viene sottoposto ad espansione ottenendo come
risultato un materiale alveolare leggero. Impermeabile ed incombustibile, resiste alla
compressione e alle altre temperature. Rigido ed inalterabile con elevata caratteristica di
isolante è anche imputrescibile e non contiene gas tossici o inquinanti. Può essere
utilizzato per isolare coperture piane e lastrici solari, rivestimenti di condutture, murature
di contenimento ed interrate.
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Altre fonti di inquinamento
Inquinamento Acustico
Il rumore era sino a poco tempo fa una delle fonti di inquinamento meno riconosciute
e controllate e solo da poco è stato riconosciuto come una grave minaccia per la
salute e per il benessere psico-fisico dell’uomo e sono state quindi elaborate ed
approvate leggi che regolamentano i livelli di rumore ed i suoi limiti di tollerabilità.
Di seguito si evidenziano le principali enunciazioni di legge relative a questa fonte di
inquinamento:
D.P.C.M. 18/09/1997 (determinazione dei requisiti delle sorgenti sonore nei luoghi di
intrattenimento danzante;
D.P.C.M. 14/11/97 (determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore);
D.P.C.M. 5/12/1997 (determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici);
Legge 26/10/1995 n° 447 (legge quadro sull’inquinamento acustico);
Decreto 16/03/98 (tecniche di rilevamento e di misurazione dell’inquinamento
acustico);
Decreto 26/06/1998 n° 308 (regolamento recante norme di attuazione della direttiva
95/27/CE in materia di limitazione del rumore dei mezzi da cantiere.
Il vero problema è che a fronte di tutta questa produzione legislativa, non è seguita
una concreta attività di monitoraggio, controllo ed eliminazione dell’inquinamento del
rumore.
Il libro verde della Comunità Europea individua in 65 dB un riferimento oltre il quale vi
è una grave compromissione della qualità dell'ambiente.
Tuttavia, il limite rispetto al quale valutare lo stato di degrado delle aree scolastiche, è
molto più basso ed è fissato dalla normativa nazionale, in base alla classificazione
acustica del territorio comunale peraltro richiesto dalla legge quadro 447/95, come
prima tappa dei compiti in materia di inquinamento da rumore, spettanti alle
Amministrazioni locali. La classificazione acustica prevede che i limiti nelle diverse
aree, varino in funzione della caratterizzazione urbanistica del territorio, suddiviso allo
scopo in sei categorie. I limiti per ciascuna zona sono fissati nel DPCM del 14/11/97.
Nel caso di aree nelle quali la quiete rappresenta un elemento di base per la loro
utilizzazione, come le scuole, è prevista la I classe, con limiti 50 dB diurni e 40 dB
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notturni, lì dove questi vengono superati si evidenzia una situazione di manifesto
degrado, peraltro frequente in ambito urbano. Ciò detto, i criteri per la zonizzazione
acustica dei Comuni (Deliberazione del Consiglio Regionale della Toscana del
22/2/00) sottolineano come l'individuazione di aree in I classe, vada fatta con estrema
attenzione, dopo averne accertata la sostenibilità, dati i limiti particolarmente bassi.
Tale scelta, si aggiunge, verrà adottata soltanto ove questa sia effettivamente
indispensabile al corretto utilizzo delle strutture.
I parchi e i giardini adiacenti a tali strutture, specialmente se integrati con la funzione
educativa delle stesse, qualora siano difendibili dall'inquinamento acustico delle aree
circostanti, potranno essere oggetto di una classificazione più protettiva rispetto a
quella dell'immobile anche valutando la possibile adozione di opportuni piani di
risanamento.
Inoltre, a parziale deroga a una rigida classificazione in I zona, le linee guida regionali
prevedono che, qualora alcune parti dell'immobile richiedano una particolare tutela, è
legittimo classificare l'area nella classe superiore, purché si faccia menzione della
necessità di maggiore tutela per le parti o le facciate sensibili.
Ciò detto, tutti gli interventi da prevedere andranno tesi nella direzione del più basso
livello di rumore ambientale possibile, anche in vista della futura zonizzazione dei
Comuni
nonché
dei
piani
di
risanamento
acustico
che
questi
dovranno
necessariamente adottare (art. 7, l. 447/95)
Possibili interventi di bonifica
Il rumore derivante da traffico veicolare nei centri urbani, ha caratteristiche tali che la
ricerca di un intervento tecnico risolutore del problema, risulta spesso fuorviante.
In alternativa a un approccio eccessivamente semplicistico, l’obbiettivo di mitigare
l’incidenza del rumore, potrà essere raggiunto con la realizzazione e l’integrazione di
molteplici provvedimenti, di natura tecnica e amministrativa. Alcuni di questi
rappresentano strategie di natura globale, che consentirebbero di migliorare il clima
acustico di una vasta area, mentre altri sono di efficacia locale.
Di seguito, si segnalano alcuni interventi possibili:
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-
Riassetto della viabilità complessiva, finalizzati a migliorare il “clima acustico” di
un ambito urbano;
-
L’obbiettivo precedente può essere raggiunto anche attraverso una diversa
sagomazione della sede stradale in corrispondenza dell’ambito prescelto (sezione
stradale ridotta e/o chicane), oppure prevedendo il controllo automatico della
velocità in un tratto che comprenda l'area di interesse. Questi provvedimenti
avrebbero inoltre il vantaggio di consentire un più sicuro attraversamento
pedonale, anche da parte dei cittadini.
-
Utilizzazione di attraversamenti pedonali ben visibili, anche utilizzando un dosso
pedonale di notevole estensione al pari con il marciapiede, volto a garantire una
area sicura e a ridurre la larghezza della sede da attraversare. Una tale misura
avrebbe in aggiunta il benefico effetto di ridurre la velocità dei veicoli.
-
Stesura di asfalti drenanti - fonoassorbenti a doppio strato;
-
Sostituzione degli infissi con “finestre fonoisolanti ventilate”.
-
Inserzione di barriere acustiche per tutelare le aree adibite a giardino ed in
prossimità degli edifici scolastici o altri edifici pubblici.
Di seguito vengono meglio descritti solo questi ultimi due punti in quanto questi
interventi, e l’inserimento di barriere in particolare, rappresentano certamente il
provvedimento più efficace per risanare un’area circoscritta.
Valutazione di barriere
Per la valutazione delle barriere si può fare riferimento alla norma ISO 9613-2, nella
quale viene fornito l’algoritmo di calcolo per determinare l’attenuazione prodotta da una
barriera, inserita fra una sorgente schematizzata come puntiforme, e il ricevitore. Tale
norma prende in considerazione solamente il fenomeno della diffrazione del suono alle
estremità della barriera (perdite d’inserzione) trascurando la propagazione delle onde
acustiche attraverso il corpo dello schermo interposto. L’ammontare di energia sonora
che si trasmette per questa seconda via, è funzione del cosiddetto potere fonoisolante,
la cui entità dipende dai materiali utilizzati e dalle soluzioni tecniche di realizzazione.
Il rumore residuo, a valle della barriera, dovuto alla componente trasmessa per via
strutturale è generalmente molto minore di quello ottenuto per diffrazione sullo spigolo
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superiore. Pertanto, la bonifica mediante inserimento di barriere, potrà tenere conto
soltanto di quest’ultima modalità di propagazione del suono, supponendo trascurabile il
rumore proveniente per altra via. Per questo, esiste una semplice regola di carattere
generale a cui si può in prima approssimazione fare riferimento: l’indice di
fonoisolamento dei pannelli deve risultare di almeno 10 dB superiore all’attenuazione
che si prevede di ottenere per semplice diffrazione.
Per quanto riguarda l’abbattimento sulle perdite per inserzione, esso dipende dalla
porzione di superficie della barriera compresa fra l’estremità dello schermo e il punto in
cui la linea sorgente – ricevitore interseca il piano dello schermo: quanto maggiore è
questa porzione, tanto maggiore sarà l’abbattimento. Se ne ricava alcune indicazioni di
buona tecnica e in particolare l’opportunità di collocare i dispositivi di protezione acustica
il più possibile vicini alla sorgente.
Per la valutazione delle barriere, devono essere fatte alcune ipotesi, relativamente alla
loro altezza, una volta rappresentate opportunamente le fonti di disturbo.
Il rumore prodotto dal traffico veicolare può essere schematizzato come una sorgente
lineare collocata al centro della strada e posta ad una certa altezza rispetto a questa (40
cm nel caso dei veicoli leggeri.
Tale modello comporta di adattare l’algoritmo della norma ISO che prende in esame solo
il caso di una singola sorgente puntiforme. Per questo, la linea di traffico è stata
rappresentata come una distribuzione discreta di sorgenti elementari, poste a distanza
fissa, piccola rispetto al cammino sorgente – ricevitore.
La formula di calcolo è può quindi essere applicata iterativamente a tale distribuzione, e i
contributi relativi a ogni singola sorgente puntiforme, possono essere sommati per
ottenere l’abbattimento complessivo della barriera.
Le altre valutazioni da condurre riguardano gli aspetti connessi al dimensionamento,
geometria e collocazione degli interventi. In particolare i seguenti parametri: altezza e
lunghezza della schermatura.
Le simulazioni da effettuare devono prendere in esame almeno tre diverse altezze delle
barriere, al fine di ottimizzarne l'ingombro, pur garantendo la necessaria efficacia
acustica.
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I risultati di una generica simulazione sono mostrati in figura 1, dove l'attenuazione è
valutata in funzione della distanza dalla schermatura.
10.0
attenuazione barriera (dB)
9.0
8.0
7.0
6.0
5.0
4.0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
20
distanza barriera - ricevitore (metri)
1.5 m
2m
2.5 m
Figura 1: Abbattimento dovuto all’inserimento di una barriera di altezza 1.5 metri, 2 metri
e 2.5 metri, a distanza via via crescente da essa.
Il grafico consente di stimare l'efficacia degli interventi in tutta l'area di fruizione man
mano che ci si allontana dalle barriere e quindi dalla sede stradale che costituisce la
sorgente di rumore. In altre parole, la stima effettuata, anziché riguardare un singolo
punto di test, può coprire l'estensione di tutto l’intorno del sito oggetto di intervento.
I valori di attenuazione riportati in figura 1, sono stati calcolati ipotizzando una
schermatura molto estesa, tale cioè da coprire l'angolo con cui il ricevitore vede la linea
di traffico, prossimo a 180°.
La valutazione dell'attenuazione introdotta a seguito dell'adozione di barriere, fornisce
tuttavia ancora un'informazione parziale sull'adeguatezza o meno dell'intervento, ovvero
se esso sia in grado di riportare i livelli di rumore entro i limiti previsti per la classe più
bassa.
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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Per evidenziare questo aspetto, può essere applicato un algoritmo di propagazione del
campo sonoro, al fine di stimare i livelli che è possibile aspettarsi nel sito.
Il modello assunto è quello contenuto nella norma ISO 9613-2, prima richiamata. In
esso, si tiene conto dei vari effetti che influenzano la propagazione del suono, che è
supposta avvenire in condizioni favorevoli. Su piccole distanze è possibile trascurare
l'attenuazione dell'aria, e tenere in conto solo il cosiddetto "effetto suolo" e la presenza di
ostacoli interposti (barriere).
La figura 2 riporta i livelli predetti dall'algoritmo ISO, avendo utilizzato come dato di
origine per implementare il calcolo, la misura effettuata nel punto B di tabella 1, ovvero
quella più prossima alla sorgente.
70
livelli sonori (dBA)
65
60
55
50
45
0
2
4
6
senza barriere
8
10
12
distanza (metri)
barriera 1.5
14
barriera 2
16
18
20
barriera 2.5
Figura 2: Livelli sonori previsti a distanza progressiva dalla sorgente, trasversalmente ad
essa. Le distanze sono misurate dalla perimetrazione esterna del sito.
Le tre curve relative alle barriere sono state determinate applicando le corrispondenti
attenuazioni di figura 1.
Dal grafico, si vede che anche utilizzando una schermatura alta 2.5 metri, non si
raggiunge mai il valore limite della I classe, indipendentemente dalla distanza. In altre
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parole, tutto lo spazio rimane sovraesposto, se pur con livelli molto più bassi rispetto a
quelli iniziali.
Soluzione da adottare. Si suggerisce pertanto di impiegare barriere non inferiori a 2 metri
di altezza, ben consapevoli che questo non costituisce un intervento risolutore. Un tale
provvedimento, infatti, potrà conseguire l'obbiettivo di rispettare i limiti della prima classe,
solo programmando fin da subito altre misure di mitigazione mirate alla sorgente, da
prevedere nell'ambito del piano comunale di risanamento acustico.
D'altra parte, la semplice adozione di barriere, pur apportando un significativo
contenimento dell'inquinamento nell'area esterna che si trova sul piano strada, non
protegge affatto gli eventuali piani superiori a quello terra della scuola, a meno di non
utilizzare una schermatura molto alta, che di solito si sconsiglia per non avere non
desiderate riduzioni del livelli di illuminazione naturale.
Acustica dei locali
Oltre alle problematiche legate all’inquinamento esterno, devono essere considerate
quelle relative agli ambienti interni in modo da poter determinare la qualità acustica dei
locali, in termini di tempo di riverberazione.
Per i limiti di questo parametro, il DPCM del 5/12/97, "Determinazione dei requisiti
acustici passivi degli edifici", rimanda alla circolare del Ministero dei lavori pubblici n°
3150 del 22/5/67,
Le due normative citate sono attualmente coesistenti, quindi non sono chiari i limiti
massimi a cui fare riferimento, fermo restando il metodo di misura adottato.
Il protocollo seguito per determinare i tempi di riverbero, prevede di collocare una
sorgente sonora all'interno del locale da esaminare; essa emette un rumore di elevata
intensità e viene messa in funzione per alcuni secondi, sufficienti a saturare l'ambiente in
questione.
Un analizzatore di spettro inizia a registrare il rumore ambientale dal momento dello
spegnimento della sorgente, caratterizzandone così le modalità di decadimento nel
tempo.
L'acquisizione viene fatta in bande di ottava centrate in 125, 250, 500, 1000, 2000 e
4000 Hz.
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Il tempo di riverbero viene calcolato mediante interpolazione.
Nei locali eventualmente presi in esame, tale parametro può essere ottenuto dalla media
delle misure effettuate in tre punti diversi, distanti fra loro più di 1.5 metri e, in ciascun
punto si andrà a calcolare il tempo medio su due prove successive.
La scelta dei locali dove effettuare le misure dovrebbe essere stata indirizzata sugli
ambienti più vasti (volumi maggiori) ovvero su quelle situazioni dove a priori è possibile
aspettarsi i tempi di riverbero più alti
Supponendo di eseguire una generica misurazione che produca il caso di monitoraggio
evidenziato nei grafici allegati ed in cui i dati di misura vengono confrontati con i valori
"ottimali" previsti dal DM 18/12/75. Come si vede, il tempo di riverbero risulta
ampiamente superiore ai limiti fissati da entrambe le normative citate in precedenza, ad
eccezione dell'aula presa in esame che risulta conforme a quanto prescritto nei due
decreti, e nella quale, come nelle altre, è già è presente una contro soffittatura
fonoassorbente.
In quest'ultimo caso, è stato stimato anche il livello critico secondo Houtgast, ovvero un
indice per valutare la possibilità di udire correttamente una lezione tradizionale. In base a
una relazione valida per le aule scolastiche, che lega il tempo di riverbero ed il volume
del locale, è possibile determinare un livello sonoro "critico", oltre il quale il rumore di
fondo riduce la comprensibilità del parlato (misurata come indice di articolazione.
Soluzione da adottare nel caso in cui degli ambienti presentano problemi di tipo
acustico
Per poter garantire una funzionalità piena degli ambienti con le finestre chiuse durante
tutto l’anno risulta utile sostituire gli infissi di tipo tradizionale con “finestre fonoisolanti
ventilate” ovvero costruite con feritoie afone che consentono il passaggio dell’aria senza
immissione di rumore.
Inoltre potrebbe essere necessario installare controsoffittature fonoassorbenti, riguardo
al cui dimensionamento si danno le indicazioni che seguono.
In base all'acustica di Sabine, il tempo di riverbero e la superficie assorbente equivalente
di un locale, sono legati da una ben nota relazione, con la quale è possibile determinare
quante unità fonoassorbenti occorre introdurre per raggiungere i valori ottimali del DM
18/12/75.
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I risultati di una valutazione esemplificativa sono contenuti in tabella 2, dove per ciascun
locale, viene stimata l’area assorbente attualmente disponibile e quella ottimale che
produrrebbe il raggiungimento del limite fissato. Il calcolo è stato condotto in funzione
delle bande di frequenza comprese fra 125 e 4000 Hz.
Superficie equivalente assorbente (m2)
Locale
1
2
3
4
5
6
presente
ottimale
presente
ottimale
presente
ottimale
presente
ottimale
presente
ottimale
presente
ottimale
125 Hz
250 Hz
500 Hz
1000
Hz
2000
Hz
4000
Hz
17
34
43
83
56
57
37
61
23
24
34
18
16
42
48
104
55
71
37
76
21
30
37
23
17
49
43
121
53
83
35
89
22
35
37
27
19
56
45
138
55
95
35
101
24
40
40
31
22
59
51
145
62
100
35
107
28
42
45
32
31
56
62
138
72
95
42
101
32
40
46
31
Tabella 2: Stima degli interventi da prevedere nei vari locali.
Il dimensionamento dei pannelli da inserire, deve essere effettuato calcolandone l’area in
base alla seguente formula
Ai =
Si
αi
,
1
dove Ai rappresenta l’area (m2) da determinare, Si è la superficie ottimale riportata in
tabella 2 e αi il coefficiente di assorbimento acustico del materiale che si intende
utilizzare. Tale parametro è caratteristico della particolare soluzione tecnica che verrà
messa in opera, e può essere fornito dal costruttore, che lo certifica. L’indice corrente i
individua le singole bande di frequenza prese in esame. La stima dell’area
fonoassorbente, infatti, dovrà essere estesa a tutta la gamma 125 – 4000 Hz, ovvero il
rispetto dei requisiti dovrà essere garantito in corrispondenza di tutte le bande di ottava
considerate.
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Nel valutare l’estensione dei pannelli da utilizzare per le controsoffittature, è opportuno
non limitarsi allo stretto necessario, ricavato sulla base dell’equazione 1, tenendo conto
di un certo margine di tolleranza.
L’INQUINAMENTO DA RADON
Il radon e' un gas radioattivo presente nel suolo e nei materiali da costruzione una
volta prodotto tende a diffondersi nelle abitazioni.
Quando viene inalato, decade emettendo particelle radioattive ed aumenta il rischio di
cancro ai polmoni. L'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'Agenzia Internazionale
per la Ricerca sul Cancro e l'EPA hanno classificato il Radon come uno dei 75 agenti
di cui vi è evidenza certa di cancerogenità per l'uomo.
Il radon decade velocemente emettendo particelle radioattive (alfa) le quali anche
legandosi al particolato presente nell'aria, si fissano sulle superfici del tessuto
polmonare.
Le radiazioni così emesse, danneggiano il DNA cellulare, lunghe esposizioni al radon
sono causa certa di cancro.
Come il radon entra negli ambienti
Il radon si espande liberamente nell'atmosfera e di solito in ambienti aperti non
raggiunge mai concentrazioni considerate pericolose.
Negli ambienti chiusi quali le abitazioni ed i luoghi di lavoro si concentra risalendo dal
sottosuolo ed entrando attraverso il contatto terreno fondazioni tramite fessure
anche microscopiche. Il radon e' presente anche nei materiali da costruzione
provenienti da terreni particolarmente ricchi di uranio ed in alcuni casi nelle acque.
La legislazione Italiana
Il Decreto Legislativo 241 del 26 Maggio 2000, rappresenta l’attuazione della Direttiva
96/29/Euratom in materia di protezione sanitaria della popolazione contro i rischi
derivanti dalle radiazioni ionizzanti.
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Tale decreto prevede, tra l’altro, l’individuazione delle attività lavorative e dei luoghi in
cui esiste un reale pericolo di esposizione a prodotti di decadimento del radon e
del toron.
Per quanto riguarda le abitazioni private non esiste un obbligo di legge, ma nel 1990
sia la ICRP (International Commission on Radiological Protection) che la
Commissione Europea hanno raccomandato che non venga superato il limite di 200
Bq/m3 nelle abitazioni di nuova costruzione e di 400 Bq/m3 in quelle esistenti e che
vengano prese immediate misure qualora il presente limite sia superato.
Come si misura il radon
Esistono diversi modi per misurare la presenza di radon nelle abitazioni, si possono
eseguire con strumenti e dosimetri passivi. I primi danno una misura puntuale e
immediata, spesso sono utili per approfondire l’indagine o per eseguire uno screening
veloce, di contro non danno una misura mediata nel tempo (a meno di non
immobilizzare uno strumento assai costoso in un solo luogo per molti giorni). I
dosimetri passivi, molto economici, danno invece una
media misurata durante il
periodo di esposizione (da due settimane a tre mesi), ne esistono di vari tipi, ma i
dosimetri a tracce CR-29 sono i più usati al mondo perché ritenuti i più affidabili.
Non esiste un metodo standard per il posizionamento dei dosimetri in un ambiente,
due tipologie abitative diverse, ubicate sugli stessi terreni e costruite con gli stessi
materiali, possono avere concentrazioni di radon molto differenti.
Comunque, si può suggerire di posizionare i dosimetri nelle stanze ove si risiede più a
lungo (ricordarsi che in camera da letto trascorriamo almeno 6-8 ore al giorno),
almeno uno per piano, e di non variare le abitudini di vita. Posizionare un dosimetro in
una casa che si chiude per le vacanze, darà sicuramente un risultato diverso dalla
situazione standard, perché nessuno per giorni aprirà porte e finestre. Bisogna anche
tener conto delle condizioni ambientali e della stagione durante la quale si operano le
misurazioni, infatti durante le stagioni invernali, è minore il ricambio d’aria, la
pressione atmosferica aumenta o diminuisce l’espansione del gas radon, terreni umidi
o ghiacciati, aumentano la pressione di radon sotto le fondazioni delle abitazioni.
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I dosimetri
I dosimetri sono costituiti da lastrine poste in contenitori di plastica antistatica in cui il
radon entra per diffusione.
I dosimetri vengono trasportati in buste sigillate in alluminio per permettere una lunga
conservazione. Il tempo di esposizione va da 1 a 3 mesi per i dosimetri Alpha TrackDetector e da 10 a 40 giorni per i Rapidos™
L’analisi della scansione dell’immagine avviene tramite le tecniche più moderne.
Entrambi i dosimetri forniscono un’esatta misurazione della concentrazione di Radon
attraverso una semplice procedura: dopo averli estratti dal loro contenitore protettivo
(una busta di alluminio a chiusura ermetica), si annota il numero riportato sul
dosimetro, dell’ora e della data di inizio dell’esposizione e si posizionano nell’ambiente
da rilevare per il tempo necessario.
Al termine dell'esposizione, prima di richiuderli nel loro involucro protettivo, si annota
data e ora di fine esposizione, si inviano al laboratorio competente ed entro pochi
giorni viene fornito il dato certificato espresso in Bq/m3.
Questi strumenti non sono soggetti ad urto, non necessitano di corrente, non possono
essere in alcun modo pericolosi per i bambini o gli animali, si possono toccare e
spostare (non di molto) durante le pulizie di casa.
Come si elimina il radon
Se la concentrazione di radon risulta elevata il primo intervento di facile realizzazione
è di aumentare la ventilazione degli ambienti, ma se la provenienza è il sottosuolo
(cantine), spesso è sufficiente sfruttare la ventilazione spontanea semplicemente
aprendo delle piccole prese d’aria negli scantinati, Si può anche forzare il ricambio
d’aria, sotto le abitazioni, inserendo delle apposite tubature.
Nei casi in cui le concentrazioni risultino molto elevate si può isolare, con le tecnologie
adeguate l'abitazione dal sottosuolo e, specialmente quando la presenza di radon nei
terreni ove si intende costruire è nota, è più economico, isolare le fondazioni. Se il
radon proviene dai materiali di costruzione, oltre alla ventilazione degli ambienti, si
possono isolare tali materiali, con apposite guaine e vernici, anche in questo caso, la
preventiva scelta di materiali di costruzione garantiti radon freee, non influiscono di
molto sulle spese iniziali e risolvono il problema alla base.
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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L’inquinamento da Amianto
L’inquinamento da Amianto è sicuramente quello più conosciuto, ma non per questo
esso ha smesso di rappresentare un pericolo per i cittadini.
L’amianto è un minerale naturale che ha la caratteristica di scomporsi in piccole o
piccolissime fibre.
Queste fibre, una volta respirate penetrano nei polmoni provocando malattie
respiratorie ed anche il cancro.
In passato è stato molto utilizzato in edilizia e non solo perché è un materiale dalle
molte proprietà e dal basso costo, per cui l’industria lo ha molto usato, ma al prezzo di
moltissime vite umane.
Nel 1992 ne è stato proibito l’ uso in Italia ma ancora oggi è possibile trovarlo nelle
nostre case, fabbriche, scuole, treni, ecc..
La pericolosità di questo materiale è legata al fatto che si deteriora facilmente e che,
disperde conseguentemente le sue fibre mortali nell’aria. Andrebbe quindi, lì dove
presente, rimosso e sostituito con tutte le precauzioni e gli avvertimenti che la legge
definisce.
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L’INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO
Premessa
Relativamente all’inquinamento elettromagnetico molto è stato
scritto ed enorme è l’attenzione di tutti i cittadini sulle possibili
aggressioni
alla
salute
che
l’esposizione
ai
campi
elettromagnetici può generare.
Di certo si può dire che non esiste da parte del mondo
scientifico una presa di posizione univoca e condivisa e che
risulta quindi complesso e forse privo di senso esprimere
pareri e proporre soluzioni.
Nelle società preindustriali, o almeno fino a qualche decennio
fa, le principali fonti di magnetismo erano quello terrestre e le
radiazioni solari; successivamente, con la costruzione di
elettrodotti e di antenne, con l'utilizzo massiccio e costante di
televisori, telefoni cellulari, computer ecc. le radiazioni non
ionizzanti
sono
aumentate
fino
a
doverle
considerare
pericolose per la salute.
Attualmente
è
riconosciuto
come
probabile
l'associazione
di
inquinamento
elettromagnetico e danno alla persona ma non si hanno ancora sufficienti certezze
scientifiche per valutare il livello di rischio.
L'incertezza nel campo scientifico si ripercuote in quello legislativo dove le norme per
disciplinare tale rischio sono frammentarie e insufficienti. Nella stessa premessa del
D.M. 391/98 l'Istituto Superiore di Sanità, pur condividendo l'esigenza di una politica
cautelativa che individui obiettivi di qualità anche al di la' dell'adozione di limiti di
esposizione mirati alla tutela degli effetti acuti, sono state manifestate perplessità, in
considerazione dell'attuale stato di conoscenza scientifica, nei riguardi dell'adozione di
misure più restrittive specifiche per l'esposizione a campi modulati in ampiezza.
Dal 2 gennaio 1999 è in vigore il decreto 381/98 che contiene le norme per
determinare i tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana e fissa i valori
limite di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici connessi al
funzionamento ed all'esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi
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operanti nell'intervallo di frequenza compresa fra 100 kHz e 300 GHz. I limiti di
esposizione non si applicano ai lavoratori esposti per ragioni professionali.
Successivamente a questo D.L. è stata emanata una legge nazionale la 36/2001 del
22 marzo 2001 che recepisce il decreto stesso.
Fermi restando i limiti dell'articolo 3 del Decreto, la progettazione e la realizzazione
dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell'intervallo di
frequenza compresa fra 100 kHz e 300 GHz e l'adeguamento di quelle preesistenti,
deve avvenire in modo da produrre i valori di campo elettromagnetico piu' bassi
possibile, compatibilmente con la qualita' del servizio svolto dal sistema stesso al fine
di minimizzare l'esposizione della popolazione.
In corrispondenza di edifici frequentati per più di 4 ore non devono essere superati i
seguenti valori, indipendentemente dalla frequenza, mediati su un'area equivalente
alla sezione verticale del corpo umano e su qualsiasi intervallo di sei minuti: 6 V/m per
il campo elettrico, 0,016 A/m per il campo magnetico intesi come valori efficaci e, per
frequenze comprese tra 3 Mhz e 300 GHz, 0,10 W/m (elevato a 2) per la densita' di
potenza dell'onda piana equivalente.
Nelle zone abitative o sedi di attivita' lavorativa per lavoratori non professionalmente
esposti o nelle zone comunque accessibili alla popolazione ove sono superati i limiti
fissati dall'art.3 dall'articolo 4, comma 2, del decreto, devono essere attuate azioni di
risanamento a carico dei titolari degli impianti. Le modalita' ed i tempi di esecuzione
per le azioni di risanamento sono prescritte dalle regioni e province autonome.
Il decreto 381/98 individua quindi dei limiti di esposizione alle alte frequenze, nulla
dice sulla esposizione alle basse frequenze, siano queste generate da elettrodotti
esterni, dagli impianti elettrici interni agli edifici, dai vari elettrodomestici.
Radiazioni elettromagnetiche artificiali
L’organizzazione mondiale della sanità avverte che grossa parte delle patologie a
carattere “ambientale” sono dovuti agli effetti dell’inquinamento elettromagnetico o
elettrosmog.
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Per correttezza di esposizione riteniamo opportuno evidenziare l’esistenza di questa
problematicità su quattro diversi aspetti del problema e cioè:
-
i campi elettrici alternati a bassa frequenza;
-
i campi magnetici alternati a bassa frequenza;
-
le onde elettromagnetiche ad alta frequenza;
-
i dipoli magnetici (magnetostatica) e quelli elettrici (elettrostatica).
Brevemente descriviamo le problematiche più frequenti:
I campi elettrici alternati a bassa frequenza sono generati dalle linee ad alta
tensione (elettrodotti) e dai campi generati all'interno delle abitazioni dai cavi e dagli
apparecchi non schermati. Le preoccupazioni della comunità scientifica internazionale
in ordine agli effetti dei campi elettromagnetici (C.E.M.) sui sistemi biologici (in
particolare gli effetti oncogenetici) ricevono sempre maggiori conferme sperimentali in
studi e pubblicazioni recenti che citiamo brevemente di seguito.
Fin dal 1975 il biochimico Adey, direttore del laboratorio di biologia spaziale della
N.A.S.A., raccoglie una considerevole quantità di prove che dimostrano l'effetto diretto
dei C.E.M. sul sistema nervoso dei vertebrati, alterando la memoria e la chimica
cerebrale.
Marzo 1990: l'E.P.A. (Agenzia di Protezione Ambientale Americana) in un suo studio
specifico conclude che i C.E.M. sono un "probabile" fattore di rischio superiore al DDT
e alle diossine, pari alla formaldeide ed al cadmio, appena inferiore all'arsenico, al
cloruro di vinile, all'amianto.
Febbraio 1992: una ricerca effettuata dall'Università della Southern California su 232
ragazzi fino agli 11 anni colpiti da leucemia conclude che fra i bambini che vivono
nelle abitazioni vicine alle linee elettriche ad alta tensione si è riscontrata una
frequenza della malattia doppia rispetto ai non esposti.
Ottobre 1992: uno studio effettuato dagli epidemiologi M. Feychting e A. Ahlbom dello
Stockholm's Karolinska Instiute su 500.000 persone residenti dal 1960 al 1985 a
meno di 300 metri da linee ad alta tensione in Svezia rileva un alto rischio di leucemia
nei bambini.
In particolare quelli esposti a campi elettromagnetici di 2milliGauss (pari a 0.2 micro
tesla) mostrano un aumento triplo del rischio rispetto ai non esposti.
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Il rischio diventa quadruplo per esposizioni di 0.3 microTesla.
Un secondo studio condotto da B. Floferus dello Sweden National Institute of
Occupational Health su 1632 uomini, di cui 511 affetti da leucemia o tumore al
cervello, conclude che la maggior parte dei casi aveva avuto esposizioni professionali
ai campi elettromagnetici.
Dopo questi risultati Stan Sussman responsabile degli studi sui C.E.M. dell' Electric
Power Institute della California (istituto fondato da società produttrici di energia
elettrica) ha dichiarato: "diventa sempre più chiaro che esiste qualcosa che influenza
la vita umana vicino alle linee elettriche ad alta tensione, con particolare riguardo alla
leucemia dei bambini".
Gli stessi governi sotto la spinta di questi studi sono costretti a legiferare normative
più severe.
La CEE dal 1985 ha inserito gli elettrodotti tra le opere di rilevante impatto da
sottoporre a V.I.A.;
l'EDF (Ente elettrico nazionale francese) ha firmato recentemente un accordo con il
governo in cui si impegna ad interrare una quota parte delle linee e a risarcire i danni
ai cittadini vicini alle linee aeree.
In Italia il D.P.R. del 23/4/1992 fissa i limiti massimi di esposizione ai campi
elettromagnetici alla frequenza di 50 Hertz negli ambienti esterni ed abitativi e
modifica inoltre le distanze di rispetto tra i fabbricati e le linee esterne, precisa inoltre
le procedure ed i termini per il risanamento delle linee esistenti e siamo in attesa di
una prossima legge nazionale che meglio regolamenti i limiti di esposizione a tali
radiazioni artificiali.
Problemi analoghi sorgono per gli impianti elettrici interni e quindi va posta la
massima cura per minimizzare l'inquinamento elettromagnetico interno.
E’ utile evidenziare come un recente studio effettuato dall’Istituto Superiore della
Sanità ha denunciato la nocività delle radiazioni elettromagnetiche alle basse
frequenze (quelle sviluppate dagli impianti domestici) a fronte del quale la Regione
Lazio ha emanato una Legge Regionale a tutela dei cittadini, relativamente a questi
impianti.
La individuazione dei valori di pericolosità delle radiazioni, non sono facilmente
individuabili e le varie normative nazionali, riconoscono valori di pericolosità ai C.E.M.
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molto diversi tra loro ed in generale è possibile dire che i valori di campo
elettromagnetico individuati come pericolosi dalla normativa italiana sono meno
prudenziali da quelli individuati dalla normativa Tedesca a sua volta meno prudenziali
di quelli previsti dalla normativa Svedese.
Detta normativa prevede nella così detta norma MPR-2, che il limite per il campo
elettrico alternato a bassa frequenza ad una distanza di 50 cm dalla sorgente debba
essere no superiore a 25V/m (per lo spettro di frequenza compreso tra 5 e 200 Hz ed
in 2,5 V/m per frequenze comprese fra i 400 e i 2000 Hz.
Questa norma dovrebbe a breve essere sostituita dalla MPR-3, molto più restrittiva
della attuale.
Onde Elettromagnetiche ad alta frequenza
Le Onde Elettromagnetiche ad alta frequenza vengono generate da emittenti di vario
tipo quali, emittenti radiotelevisive, radiomobili, ponti radio, telefoni cellulari, radar ecc.
Questa continua emissione di onde elettromagnetiche producono inquinamento
ambientale ed elettrosmog. Le normative americane individuano un flusso di radiazioni
massimo ammissibile per le microonde pari a 10mW/cmq e, nonostante questo limite
sia in ogni caso molto alto, esso nelle aree urbane dei paesi industrializzati viene
spesso notevolmente superato.
A fronte di tutto ciò si ritiene opportuno concludere che, sull’argomento in questione,
riteniamo corretto assumere un atteggiamento estremamente prudenziale e, sempre
tenendo ben presenti i limiti e le indicazioni presenti nelle leggi e nelle normative
nazionali e regionali, procedere con prudenza adottando tutti i dispositivi e le attenzioni
utili a minimizzare per quanto possibile l’esposizione ai campi elettromagnetici sia ad
alta che a bassa frequenza.
A completamento di quanto sopra di seguito si inseriscono anche le linee guida sul
risanamento dei siti non a norma redatte dal Ministero dell’Ambiente e l’elenco attuale
dei siti non a norma della Regione Toscana.
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Linee guida di risanamento di "siti non a norma" Redatte dal Ministero
dell’Ambiente
1. Campo di applicazione
Le linee guida vanno considerate come un riferimento per gli organismi ai quali
compete l'adozione di provvedimenti atti a risanare i siti, ove vengono superati i limiti
di esposizione ai campi elettromagnetici previsti dal decreto 10 settembre 1998, n.
381. L’ Allegato A contiene un primo provvisorio elenco, aggiornato al 25 luglio 2000,
dei siti suddivisi per regione, nei quali sono state effettuate indagini e misurazioni dei
valori di campo elettromagnetico ai sensi del D.M. 381/98 ed è emerso un
superamento dei limiti.
2. Definizione di sito non a norma
Un sito viene definito "non a norma" allorché si verifica il superamento dei limiti del
D.M. 381/98. Nel caso in cui da esposti o denunce venga evidenziato un grave disagio
per la popolazione, il risanamento va attuato se le misure effettuate da un ente
pubblico competente abbiano mostrato il superamento dei limiti previsti dalle norme
vigenti.
3. Verifiche
Prima di attuare le procedure di risanamento dei siti definiti non a norma è opportuno
verificare che la situazione esistente nel sito corrisponda a quella prevista nelle
concessioni o nelle autorizzazioni rilasciate. Pertanto gli Organi periferici del Ministero
delle comunicazioni, competenti per territorio (Ispettorati Territoriali), accertano il
rispetto delle condizioni tecniche imposte negli atti di concessione, verificando in
particolare che la potenza irradiata (mediante controllo, in prima approssimazione,
sulla potenza di uscita e sul sistema di antenna) sia quella assentita nei suddetti atti.
Qualora siano riscontrate difformità dagli atti di concessione o dalle modifiche
autorizzate dagli stessi Ispettorati, si deve procedere anche a riportare gli impianti alla
situazione di conformità.
4. Misure
Dopo l'accertamento delle situazioni esistenti nei siti i competenti organi territoriali
(ARPA, APPA o PMP-ASL, ISPESL) provvedono all'effettuazione delle verifiche, con
l'impiego di metodologie normalizzate e possibilmente in contraddittorio. Qualora
ritenuta necessaria, può essere richiesta per l'esecuzione di misure la collaborazione
degli Ispettorati Territoriali del Ministero delle Comunicazioni. Al riguardo si ricordano
le modalità di esecuzione delle misure e delle valutazioni descritte al paragrafo 7
dell'edizione 1999 delle "Linee guida applicative" predisposte dal Gruppo di Lavoro,
istituito con decreto del Ministero dell'Ambiente 2 giugno 1997, nel seguito indicate
come "Linee guida applicative".
5. Risanamento
Le procedure per il risanamento dei siti, cioè l'adozione dei provvedimenti che
consentano l'abbattimento dei livelli di campo elettromagnetico entro i limiti previsti
dalla normativa, sono adottate dalle regioni o dalle province autonome e dai sindaci.
Nel caso in cui in una stessa area di competenza esista una pluralità di siti da risanare,
va accordata priorità temporale ai siti ove il superamento dei limiti è maggiore. Le
modalità da applicare per il risanamento sono quelle previste dal già citato D.M.
10.9.1998, n.381, ed in particolare nell'allegato C, seguendo le indicazioni contenute
nei paragrafi 8 e 9 delle "Linee guida applicative".
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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6. Interventi successivi al risanamento dei siti per le stazioni di terra per il servizio di
radiodiffusione televisiva o radiofonica
Nel caso in cui dalla riduzione a conformità prevista dal D.M. 381/98 si dovessero
verificare significative riduzioni delle aree servite dagli impianti del sito in questione,
tali da richiedere interventi correttivi per ripristinare il grado e la qualità del servizio
vanno individuate, caso per caso, adeguate soluzioni per la corretta fruizione, nella
misura del possibile, da parte dell’utenza dei servizi forniti nella zona interessata dal
sito risanato. L'individuazione di tali soluzioni è di norma competenza del Ministero
delle comunicazioni, d'intesa con le regioni e le province autonome e gli Enti locali
competenti.
6.1. Siti aggiuntivi
Se dall'opera di risanamento dovessero riscontrarsi limitazioni ritenute gravose in
porzioni delle aree di servizio degli impianti, si può ipotizzare l'individuazione di siti
aggiuntivi, ove collocare impianti di potenza ridotta.
6.2. Il trasferimento in siti conformi
La soluzione, che di norma va prevista, è quella del trasferimento degli impianti in siti
ove non siano prevedibili, per il rispetto dei limiti, vincoli eccessivi per la potenza degli
impianti. Prima di attuare concretamente lo spostamento degli impianti nel nuovo sito
vanno verificate le aree di rispetto relative ai seguenti valori di campo elettromagnetico
previsti dal D.M. 381/98 : 60 V/m e 0,2 A/m nella banda di frequenze 0,1 - 3 MHz 20
V/m e 0,05 A/m nella banda di frequenze >3 - 3000 MHz 40 V/m e 0,1 A/m nella
banda di frequenze >3 - 300 GHz 6 V/m e 0,016 A/m indipendentemente dalla
frequenza, in corrispondenza di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore.
6.2.1. Il trasferimento di impianti televisivi
Nel caso di impianti di radiodiffusione televisiva il trasferimento va previsto nei siti
indicati nel piano nazionale di assegnazione delle frequenze, sui quali già è stato
ottenuto il consenso (in forma esplicita o mediante silenzio assenso) delle regioni e
delle province autonome. La valutazione di compatibilità degli impianti da collocare nel
sito di piano con la situazione esistente è effettuata dal Ministero delle comunicazioni.
Se il trasferimento verso siti previsti dal piano riguarda siti che non sono attualmente
utilizzati dalle emittenti televisive, le Autonomie regionali e gli Enti locali potrebbero
facilitarne l'operazione prevedendo la realizzazione delle necessarie infrastrutture.
6.2.2. Il trasferimento di impianti di radiodiffusione sonora
Nel caso di impianti di radiodiffusione sonora il sito ove prevedere il trasferimento è
indicato dagli enti locali competenti, tenendo presente che di norma i bacini
dell'emittenza sonora sono di dimensioni provinciali, pertanto dovranno essere evitati
quei siti, dai quali possa essere effettuata una copertura multiprovinciale. Il Ministero
delle comunicazioni verificherà l'idoneità al servizio del sito individuato ed, ove la
verifica avesse esito positivo, ne sarà data comunicazione all'Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni, che ha in corso di predisposizione il piano nazionale di
assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione sonora, perché ne venga valutato
l'inserimento nello schema di piano. Nel caso di risanamento di siti, che sono già
previsti dal piano di assegnazione per la radiodiffusione televisiva, nei quali coesistano
impianti di radiodiffusione sia sonora sia televisiva, si può ipotizzare il trasferimento
dei soli impianti di radiodiffusione sonora, se questo consente di conservare il sito nel
piano vigente con il numero e le caratteristiche degli impianti previsti nel piano stesso.
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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Regione Toscana
MAPPA PROVVISORIA DEI SITI RADIO - TV NON A NORMA
CONTROLLI
SITI (4)
Sopralluoghi
effettuati
ARPA
APPA
ISPESL
Superamento limiti DM 381/98
da 6
a 20
V/m
ALTRO
MONTALBUCCIO (SI)
3
*
*
SAN GIMIGNANO ULIGNANO - VILLA
CASTELLI (SI)
2
*
*
*
*
*
*
I POGGETTI (LI)
MONTE SERRA (PI) E
ABITATO DI CALCI
1
da 20
a 27
V/m
>
27
V/
m
Superamento
Il sito non a norma è identificato da : a) superamento limiti DM 381/98
MAPPA PROVVISORIA DEI SITI RADIO - TV NON A NORMA
N.B. I superamenti dei limiti, in questa mappa, sono stati riscontrati prima dell'entrata in vigore del D.M. 381/98
SITI (4)
CONTROLLI
Sopralluoghi
effettuati
ARPA
APPA
ISPESL
Superamento limiti DM 381/98
ALTRO
da 6 a 20
V/m
SAN ZIO (AR)
*
*
FIESOLE (FI)
*
*
MONTE
MORELLO (FI)
*
*
MONTE
CALVANA (PO)
*
*
da 20 a
27 V/m
> 27
V/m
Superamento
MAPPA PROVVISORIA DEI SITI SRB NON A NORMA
CONTROLLI
SITI (2)
Sopralluoghi
effettuati
ARPA
APPA
ISPESL
Superamento limiti DM 381/98
ALTRO
da 6 a
20
V/m
S.GIMIGNANO-VILLA
CASTELLI (SI)
2
*
*
VIA XX SETTEMBRE
(FI)
1
*
*
da 20 a
47,5
V/m
>
47,5
V/m
Superamento
Il sito non a norma è identificato da : a) superamento limiti DM 381/98
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Campi elettromagnetici naturali
Esiste intorno a noi un campo elettromagnetico naturale determinato dalla radiazione
solare, da fasce magnetiche che circondano la terra secondo fenomeni non ancora
pienamente conosciuti, dalla radiazione di fondo extragalattica residuo della
radiazione fotonica emessa dall'esplosione universale, dai processi di decadimento
radioattivo degli isotopi presenti nella crosta terrestre emessi sotto forma di radiazioni
a microonde.
Tra i più profondi studiosi di tali fenomeni e della loro ripercussione sull'uomo, vi è il
dott. Ernst Hartmann, che ha legato il suo nome alla individuazione di una rete
energetica che avvolge il pianeta con una maglia ortogonale orientata in cui la
radiazione si manifesta con maggiore intensità nei nodi di intersezione
Le ricerche dell'equipe Hartmann, sostanzialmente confermate da risultati ottenuti
autonomamente da altri istituti di ricerca, hanno dimostrato il legame che unisce la vita
biologica a tali campi naturali ed è stata anche, verificata statisticamente, l'insorgenza
di alcune malattie in soggetti abitualmente stazionanti su punti "disturbati" della rete.
Nella presente trattazione non si vuole entrare nel merito di questo problema, né
accettare per vero quanto dal dott. Hartmann asserito, si vuole solo, per fedeltà di
cronaca evidenziare un tema sempre presente all’interno della disciplina bioecologica.
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ALLEGATO 1
RISPARMIO ENERGETICO, USO RAZIONALE DELL’ENERGIA
E LA NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Una corretta politica di gestione degli utilizzi civili dell’energia ha un grande impatto sui
consumi energetici, attualmente per soddisfare la richiesta energetica vengono
principalmente utilizzati i combustibili fossili; risorse non rinnovabili e che nella loro
combustione generano emissioni di sostanze nocive all’ambiente ed ingenti emissioni di
CO2.
Per rimediare a questa situazione di consumi energetici insostenibili per il nostro
pianeta è necessario modificare e riorientare il nostro modo di porci nei confronti di
questa problematica e bisogna che ciò avvenga a tutte le scale di intervento
antropico.
A livello globale i vari summit mondiali, Rio, Kyoto, Istanbul, ecc. hanno individuato dei limiti
precisi nell’incremento dei livelli di produzione della CO2 nei diversi paesi e, ciò sottende
che, se non si vogliono penalizzare gli attuali stili di vita, bisogna che molta parte
dell’energia utile attualmente necessaria venga prodotta attraverso attente politiche di
risparmio energetico e di produzione di energia da fonti alternative.
Tutto ciò richiede un rapido e fondamentale riordinamento del nostro modo di pensare,
progettare, costruire e gestire e mantenere le città e i suoi edifici e sottende quindi una
precisa assunzione di responsabilità ambientale da parte di tutti noi.
Per ottemperare a questa fondamentale esigenza è necessario indirizzare le attuali
politiche territoriali ed urbane verso uno sviluppo sostenibile, cosa questa che le
amministrazioni più attente e responsabili hanno attivato dotandosi o mettendosi nella
condizione di dotarsi a breve di strumenti operativi di indirizzo e/o di pianificazione che
operano in questa direzione.
Nel presente lavoro non possiamo quindi non citare il recente Piano Energetico Regionale
della Toscana che, “dà attuazione all’art 2 della Legge Regionale n° 45/97 orientando e
promuovendo la riduzione dei consumi energetici nonché l’innalzamento dei livelli di
razionalizzazione di efficienza energetica della domanda,……………, favorisce e promuove
l’uso delle fonti rinnovabili, la loro integrazione, insieme alle assimilate, con le attività
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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produttive, economiche ed urbane……….ed ha come finalità generale il contenimento dei
fenomeni di inquinamento ambientale,…………. Con particolare riferimento alle risoluzioni
assunte in occasione della conferenza di Kyoto del dicembre 97…….”
Per dar corso a tutto ciò è comunque necessario che le indicazioni e le prescrizioni
individuate da questi strumenti diventino realmente operative e che quindi amministratori e
tecnici, soprattutto quelli interni alle Amministrazioni interiorizzino e propongano, all’interno
dei propri ambiti di applicazione ciò che le normative e le leggi vigenti già contemplano.
Aspetti legislativi in materia di uso razionale dell’energia
Da un punto di vista legislativo la voce uso razionale dell’energia si può considerare come
una vera e propria fonte energetica. Le norme in materia fanno riferimento principalmente
alle leggi N. 9 del 9 gennaio 1991 e N. 10 sempre del 9 gennaio 1991. La legge N. 9 è cosi’
intitolata: “Norme per l’attuazione del nuovo piano energetico nazionale: aspetti istituzionali,
centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni
fiscali”.
Gli aspetti più rimarchevoli della legge sono espressi dagli Art. 20, 22, 23, 29 e 31. Tra
essi, ad esempio, l’Art. 31 istituisce il marchio “Risparmio Energetico” per gli apparecchi
domestici e per i sistemi di illuminazione ad alto rendimento. La legge N. 10 è cosi’
intitolata: “Norme per l’attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale
dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”. L’Art. 1
definisce finalità e ambito di applicazione della legge, favorendo e incentivando:
L’uso razionale dell’energia.
Il contenimento dei consumi di energia nella produzione e nell’utilizzo di manufatti.
L’utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia.
La riduzione dei consumi specifici di energia nei processi produttivi.
La sostituzione degli impianti nei settori a più elevata intensità energetica.
Ai fini della citata legge sono considerate fonti rinnovabili di energia o assimilate le
seguenti:
Sole.
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Vento.
Energia idraulica.
Risorse geotermiche.
Maree e moto ondoso.
Trasformazione di rifiuti organici, inorganici e vegetali.
Sono considerate, inoltre, fonti di energia assimilate alle rinnovabili le seguenti:
La cogenerazione, intesa come produzione combinata di energia elettrica o meccanica
e calore.
Il calore recuperabile dai fumi di scarico, impianti termici, elettrici e da processi
industriali.
I risparmi di energia conseguibili nella climatizzazione e nell’illuminazione degli edifici
con interventi sull’involucro edilizio e sugli impianti. In un certo senso, dunque, l’uso
razionale dell’energia può essere considerato come una vera e propria fonte
energetica rinnovabile.
Stato dell'arte
Per descrivere i principali interventi di razionalizzazione energetica è conveniente
identificare quei settori degli usi finali dell'energia, nei quali tali interventi risultano
maggiormente vantaggiosi.
Consumi di energia per riscaldamento e preparazione di acqua calda sanitaria nel
settore civile
Molte delle tecnologie innovative ritenute alcuni anni fa in grado di fornire un apprezzabile
risparmio energetico nel settore del riscaldamento e della produzione di acqua sanitaria
(collettori solari, pompe di calore, cogenerazione diffusa, ecc.) hanno in realtà trovato
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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grossi ostacoli ad affermarsi sul mercato, anche a causa della scarsa economicità di
gestione. Si è assistito pertanto, a partire da paesi quali Francia, Germania, Olanda, ad un
rilancio tecnologicamente qualificato dei generatori di calore a combustibili tradizionali e
all’introduzione di sistemi di contabilizzazione individuale e di telegestione delle centrali
termiche. È così nata una serie di componenti avanzati, con elevate prestazioni
energetiche, in grado di far fronte a tutta una gamma di impieghi domestici e terziari, quali
ad esempio:
caldaie murali a gas con produzione di acqua calda sanitaria;
caldaie a condensazione a gas di piccola e grande taglia, aventi a regime un
rendimento fino al 105-106% rispetto al p.c.i. (95-96% rispetto al p.c.s.);
caldaie tradizionali con rendimenti a regime superiori al 90% rispetto al p.c.i. (“caldaie
ad alto rendimento”);
caldaie a legna ad alta efficienza;
gruppi termici a gasolio con bruciatori con fiamma blu (fumosità zero);
sistemi affidabili di contabilizzazione individuale;
sistemi di telegestione per centrali termiche.
Naturalmente i costi per lo sviluppo e la messa in produzione di un componente
tecnologico avanzato si riflettono in un maggior prezzo iniziale rispetto ai componenti
tradizionali, costi che tuttavia potrebbero abbattersi con una serie combinata di azioni quali
la promozione industriale, l’ampliamento della normativa e la diffusione dell’informazione
tra le utenze residenziali e terziarie.
Uso razionale dell'energia su scala urbana: il teleriscaldamento e la metanizzazione
La razionalizzazione energetica trova nei centri urbani, uno dei maggiori bacini potenziali di
intervento. In questo quadro va preso in considerazione il patrimonio tecnologico
disponibile e in particolare il teleriscaldamento (TR), particolarmente adatto, come insegna
l’esperienza, per interventi a scala di quartiere coordinati con la pianificazione urbana.
Il TR è già in se stesso una tecnologia fortemente legata al fattore spaziale, visto che la
sostanza di questo modo di provvedere al riscaldamento sta nel distanziamento del punto
di produzione del calore dal punto di fruizione, che è l’edificio. È questo distanziamento che
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permette di utilizzare il combustibile in modo più concentrato e tecnicamente più avanzato
(caldaie a maggior rendimento, cogenerazione di energia elettrica e calore), con vantaggio
sia energetico sia ambientale. In pratica con il TR si tende ad ottenere una soluzione
impiantistica aggregata che sia appropriata rispetto al fattore territoriale e nello stesso
tempo
sia
in
grado
di
attuare
determinate
possibilità
tecnologiche.
Il distanziamento implica la distribuzione del calore (come acqua calda) attraverso una
apposita rete sistemata sottoterra, a bassa profondità (una specie di acquedotto caldo) e
non più come combustibile per il rifornimento delle caldaie di edificio. Vi è dunque anche un
vantaggio di decongestionamento della città, in quanto vengono eliminati molti centri di
combustione, con relativi problemi di inquinamento e di sicurezza e vengono evitate anche
molte corse di autobotti per il rifornimento del gasolio. È chiaro che anche nella centrale di
cogenerazione vi sarà un’emissione inquinante, ma la situazione è assai diversa sotto
l’aspetto del controllo della combustione, della presenza di filtri, della funzione del camino,
ecc. Non c’è solo, dunque, un discorso di risparmio energetico, dunque, ma c’è un vero e
proprio servizio tecnologico energetico su scala urbana. Una soluzione infrastrutturale del
problema della distribuzione del calore agli edifici può essere ottenuta, oltre che con il TR,
anche con la distribuzione con rete di metano destinato alla combustione tal quale.
sOccorre tuttavia tener conto di differenze importanti tra le due soluzioni. Assumendo il
gasolio come soluzione “convenzionale”, verifichiamo il grado di vantaggiosa innovazione
che possiamo conseguire con i due tipi di servizi a rete, cioè TR e metanizzazione tal
quale.
Il TR rispetto alle caldaie a gasolio, realizza tre innovazioni:
si distribuisce acqua calda, invece che combustibile, con alleggerimento della necessità
di intervento diretto (auto-servizio) da parte degli utenti;
l’attuale rete distributiva del calore nella città, realizzata soprattutto attraverso le corse
di autobotti che trasportano gasolio, viene materializzata e stabilizzata — sottoterra —
come rete fissa di tubi (acquedotto caldo), con doppio vantaggio di recupero di una quota
dello spazio pubblico di superficie e di fornitura a contatore;
la produzione di calore avviene con un processo più avanzato, con vantaggio
energetico ed ambientale.
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La metanizzazione, da parte sua, realizza pienamente una sola di queste tre innovazioni,
cioè la seconda, con relativi vantaggi e realizza inoltre una parte sostanziale del vantaggio
ambientale, grazie all’impiego di una fonte in sé pulita, come il metano. Non è il caso, in
ogni modo, di contrapporre TR e metanizzazione, che vanno tutti e due impiegati per
risolvere il problema energetico urbano. Si può comunque dire che laddove, per le
condizioni d’utenza, territorio, ecc., il TR si presenta urbanisticamente ed economicamente
fattibile, conviene realizzarlo. Nelle situazioni di minore concentrazione edilizia o comunque
non adatte al TR conviene puntare sulla metanizzazione.
Uso razionale dell’energia nel terziario
Il problema dei consumi energetici nell’edilizia adibita ad attività terziarie si presenta
particolarmente interessante a causa degli elevati consumi specifici ad essa relativi in
termini di energia primaria; essi sono da imputarsi principalmente al condizionamento e
all’illuminazione artificiale degli ambienti, e risultano fortemente condizionati dal tipo di
vetratura adottata. La ricerca energetica ha, per lungo tempo, posto un rilievo decisamente
maggiore al problema dei consumi legati al riscaldamento degli edifici piuttosto che ai
consumi imputabili al condizionamento e all’illuminazione artificiale. La minore attenzione
dedicata finora a questi consumi è parzialmente giustificata dalla diffusione degli impianti di
condizionamento in Italia, decisamente scarsa se rapportata alla corrispondente diffusione
in altri paesi industrializzati. Questa scarsa diffusione comporta principalmente due
conseguenze:
l’incidenza sui consumi energetici nazionali è meno sensibile di quanto si verifica per il
riscaldamento;
il problema non è così evidente e quotidiano per tutti com’è invece il problema del
riscaldamento degli ambienti e dell’acqua calda per usi sanitari, anche perché il tipo di
utenza interessato è quasi esclusivamente il settore terziario.
Si vede che l’incidenza del condizionamento è decisamente rilevante, né può essere
trascurata, ai fini di un intervento di razionalizzazione, la voce relativa all’illuminazione
artificiale. Il tipo di utenza terziaria che sembra più adatta ad un’analisi più approfondita dei
flussi energetici e che presenta i più convenienti rapporti tra costi di intervento e benefici
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conseguibili è quella relativa agli edifici adibiti ad uffici. Questo è dovuto a diversi fattori: la
maggiore incidenza, specifica (costo annuo a metro cubo) ed assoluta, delle spese di
gestione (riscaldamento, condizionamento, illuminazione artificiale); la grande sensibilità
degli utenti alla qualità dell’ambiente di lavoro; la possibilità, nel caso di retrofit, di inserire a
bilancio le spese relative, come un delineato investimento di capitale, con precisi tempi di
ammortamento.
Applicazioni e potenzialità
Nella prima fase di attuazione degli interventi di razionalizzazione dell’uso dell’energia,
questi erano molto semplici, soprattutto perché erano macroscopici gli sprechi; con il
passare del tempo, però, essi sono diventati sempre più complessi e costosi. Attualmente
assumono importanza crescente gli interventi pubblici di finanziamento ed incentivazione,
così da coprire le spese per ricerche e studi in tecnologie avanzate. Le possibili forme
d’intervento sono rimaste, invece, pressoché invariate; nel caso in esame, le principali sono
le seguenti:
razionalizzazione degli usi finali
miglioramenti tecnologici
recuperi e risparmi energetici
diversificazione delle fonti
Per enunciare i principali interventi conviene ancora riferirsi separatamente all’energia
termica e a quella elettrica.
Energia termica
Tenuto conto delle diverse condizioni di consumo, si possono distinguere due gruppi di
utenze per l’energia termica:
utenze per le quali i consumi sono variabili in funzione delle condizioni climatiche
(impianti di riscaldamento e di ventilazione);
utenze per le quali il consumo di energia è costante durante l’anno (cucine, produzione
di acqua calda sanitaria).
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La corretta gestione della produzione di energia termica costituisce un passo fondamentale
per l’uso razionale dell’energia. In generale si possono individuare i seguenti livelli di
intervento, in relazione agli investimenti necessari agli interventi stessi:
interventi che possono essere eseguiti con investimenti modesti o nulli; tra questi si
riportano, a titolo di esempio, i seguenti:
interventi per migliorare l’isolamento termico del fabbricato;
interventi, a costo praticamente nullo, di manutenzione, atti ad aumentare il rendimento
ed a diminuire i consumi;
interventi di miglioramento o sostituzione di componenti impiantistici considerati minori.
interventi che, comportando investimenti consistenti, impongono la consulenza di
personale specializzato; tra questi si possono indicare:
interventi di una certa rilevanza economica, che prevedono la ristrutturazione di intere
parti della struttura
interventi sulla centrale termica, per ottimizzare i rendimenti (caldaie modulari)
installazione di pompe di calore e/o di impianti di cogenerazione
interventi che incidono sull’organizzazione dell’intera struttura, sulla gestione degli
impianti e sull’amministrazione generale.
Accanto ad interventi mirati, è di primaria importanza l’ottimizzazione dei contratti di
fornitura dell’energia termica (e/o del combustibile), insieme alla contemporanea
ottimizzazione del contratto di fornitura elettrica. L’esperienza dimostra che con gli
interventi standard più frequentemente necessari, si possono ottenere risparmi dell’ordine
del 20%. I valori di riferimento variano soprattutto con la diversa posizione geografica e
climatica.
Energia elettrica
In genere, gli interventi di uso razionale dell'energia di questa forma di energia possono
essere in qualche caso meno importanti di quelli riferiti al risparmio di energia termica.
Tuttavia risulta che siano realizzabili risparmi tra il 10% ed il 30% con i seguenti interventi:
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rifasamento dei carichi elettrici;
ottimizzazione dei contratti;
ottimizzazione della distribuzione dell’energia;
economia di illuminazione (mediante interventi mirati in fase di progettazione e di
esercizio).
Appare opportuno, infine, evitare la produzione di calore mediante elettricità (riscaldamento
elettrico per la cucina e per la produzione di acqua calda sanitaria, ecc.), collegando questi
sistemi all’impianto termico, oppure installando piccoli elementi che provvedono al
riscaldamento
istantaneo
dei
volumi
di
acqua
di
cui
abbisognano
gli
utenti.
Importanza dell’Energy Management
L’energia deve essere gestita in modo consapevole e con criteri tecnico-scientifici rigorosi,
affinché possa portare a miglioramenti significativi dal punto di vista economico ed
ambientale. La legge 10/91, attuativa del Piano Energetico Nazionale, per la prima volta ha
istituito la figura del Tecnico responsabile per la conservazione e la gestione dell’energia (o
Energy Manager), di fondamentale importanza per la corretta gestione del settore
energetico di complessi industriali o terziari, pubblici o privati, che hanno consumi annui di
entità rilevante. Le funzioni che l’Energy Manager deve ricoprire vengono definite nell’art.
19 della legge 10/91 e sono qui di seguito riportate sinteticamente:
individuazione delle azioni, degli interventi, delle procedure e di quanto altro necessario
per promuovere l’uso razionale dell’energia;
predisposizione dei bilanci energetici in funzione anche dei parametri economici e degli
usi finali;
predisposizione dei dati energetici eventualmente richiesti dal Ministero dell’Industria ai
soggetti beneficiari dei contributi previsti dalla legge stessa.
Come si è detto, la valutazione della convenienza di realizzare o meno qualsiasi intervento
di risanamento energetico, deve essere fatta applicando un metodo scientifico, valutando
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tutti i fattori tecnico-economici che entrano in gioco nel bilancio energetico di ciascun
impianto.
Costi
Si è detto che per razionalizzazione energetica s’intende quella operazione tecnologica che
si ripromette l’obiettivo di ottenere la stessa produzione di beni e servizi con il minor
consumo di energia, eventualmente a fronte di maggiori oneri d’altra natura. In generale,
infatti, il risparmio energetico non è un’operazione gratuita, ma può comportare:
una maggiore attenzione di esercizio;
un maggior onere d’investimento;
una minore flessibilità d’impianto;
una maggiore contaminazione ambientale.
Un razionale atteggiamento in proposito sarà quello di ricercare, per ciascun caso, il miglior
compromesso fra il vantaggio energetico e le suddette controindicazioni. La tematica in
esame è sostanzialmente diversa a seconda che sia volta all'ottimizzazione del consumo di
energia elettrica oppure termica: in generale può dirsi che è più difficile ottenere un
risparmio nel primo caso, rispetto al secondo. Molti provvedimenti, vantaggiosi dal punto di
vista energetico complessivo, comportano un relativo maggiore dispendio di energia
elettrica: basti pensare alle pompe di calore e al teleriscaldamento, che sono tecniche nelle
quali, a fronte di un’economia di calore, insorge un nuovo consumo di energia elettrica (o
termica). Il punto di partenza di ogni seria operazione di razionalizzazione energetico è una
rigorosa contabilità energetica, in sede sia di progettazione degli interventi, che di verifica
ad impianti realizzati o modificati. Per dichiarare conveniente un intervento è necessario
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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indicare su quale specifico consumo agisca e verificare, a livello di sistema, tutte le sue
conseguenze, calcolandone attentamente l’importanza. Il puro e semplice confronto fra i
livelli di consumo riscontrati prima e dopo l’intervento non è sufficiente a permettere la
formulazione di giudizi definitivi: infatti i consumi energetici complessivi dipendono da molti
fattori (come il carico di lavoro degli impianti, la distribuzione temporale del fabbisogno
energetico, le condizioni ambientali), la cui accidentale variazione può, in alcuni, casi dare
effetti più rilevanti di quelli ascrivibili al provvedimento adottato. Esistono molte possibilità di
utilizzazione razionale dell’energia già a partire dalla scelta della fonte cui attingere e
dall’impianto di captazione e conversione ritenuto più idoneo al caso specifico, senza
prescindere ovviamente dagli oneri economici relativi alle successive politiche di intervento
sugli impianti in attività, ad esempio di tipo manutentivo.
Nella pratica, non è scontata la corrispondenza tra beneficio energetico e beneficio
economico ed allora è da considerare che non si ritiene di interesse un intervento che, pur
realizzando un vantaggio energetico, non comporti anche un ritorno economico. È proprio
l’aspetto economico a costituire il più delle volte un freno alla libera espansione sul mercato
di sistemi energetici ad alto rendimento e del tutto innovativi rispetto a quelli convenzionali.
La realizzazione di un intervento di uso razionale dell'energia comporta quasi sempre un
investimento economico, la cui convenienza deve essere preventivamente valutata a fronte
del “valore” del risparmio energetico ottenibile; si tratta in sostanza di determinare quanto
“costa” risparmiare energia. Diverse tecniche di analisi permettono di ricavare indici di
efficienza economica legati alle diverse strategie di razionalizzazione energetica, tra le
quali il calcolo del costo dell’unità di combustibile risparmiata, il calcolo del risparmio netto
attualizzato e del tempo di pay-back di un dato investimento. Nei vari settori degli usi finali
energetici, soprattutto in quelli civili, purtroppo, manca ancora un cultura diffusa del
risparmio energetico. Ciò implica costi energetici superiori a quelli altrimenti ottenibili con
un migliore utilizzo delle risorse. Ad esempio, l’adozione delle tecnologie di misurazione dei
consumi e della qualità della fornitura elettrica può fruttare risparmi del 20%-30%, cui
vanno aggiunti i risparmi ulteriori generati dalla riduzione dei guasti.
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Fonti legislative per gli incentivi sull'uso razionale dell'energia
L’attuazione del Piano Energetico Nazionale, che ha avuto luogo in Italia con l’emanazione
della legge 10/91, ha dato origine ad una politica di incentivi per l’Uso Razionale
dell’Energia. Tali incentivi, negli anni successivi, sono poi stati rinnovati con le Leggi
Finanziarie. I finanziamenti previsti sono soprattutto di competenza regionale; in particolare
l’art. 12 della legge 537/93, ascrive alla gestione regionale i finanziamenti previsti dall’art.
11 della citata legge 10/91.
Questo articolo prevede finanziamenti per impianti con potenze superiori a 10 MW termici
o a 3 MW elettrici, relativamente a studi di fattibilità e progetti esecutivi di impianti civili e
industriali o misti.
Anche la concessione e l’erogazione dei contributi previsti dagli articoli 8, 10 e 13 è
delegata alle Regioni, che operano secondo direttive impartite dal Ministero dell’Industria
(uniformità di criteri, procedure e modalità). Gli interventi incentivati dai suddetti articoli
sono sintetizzati nella seguente tabella:
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Decreto n. 106 del 16 Marzo 2001 del Ministero dell'ambiente del Servizio IAR:
Programma "Tetti Fotovoltaici" (GU della Repubblica Italiana n° 74 del 29 Marzo 2001)
Decreto n. 100 del 22 Dicembre 2000 del Ministero dell'ambiente del Servizio IAR:
Finanziamenti ai comuni e alle aziende del gas per l'installazione di sistemi per la produzione di
calore a bassa temperatura (GU della Repubblica Italiana n. 81 del 6 Aprile 2001)
Vantaggi ambientali
I principi guida su cui si fondano le moderne tecniche di uso razionale dell'energia, senza
dubbio si possono collocare storicamente come reazione dei mercati energetici alla crisi
economica che si trovarono ad affrontare all'indomani della crisi energetica che all'inizio
degli anni '70 segnò profondamente il mondo industrializzato occidentale. Oggi quelle
necessità economiche sembrano tramontate, ma si sono aggiunte nuove e più pressanti
esigenze di razionalizzazione dei consumi e di sfruttamento delle risorse energetiche,
dettate dalla sempre più delicata situazione ambientale che sta ormai assumendo
proporzioni globali. Senza soffermarsi sulle ovvie ripercussioni positive che l'uso razionale
dell'energia permette di conseguire sull'ambiente, occorre considerare che esso
rappresenta uno dei pochi strumenti per evitare le disastrose conseguenze prospettate dal
vertiginoso aumento dei consumi energetici mondiali, determinati soprattutto dagli elevati
tassi di sviluppo industriale che negli ultimi anni hanno interessato alcuni paesi terzi.
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ALLEGATO 2
L’INQUINAMENTO INDOOR: I PRINCIPALI INQUINANTI.
Da una stima effettuata dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), si evince come
una grossa percentuale degli edifici presenti nei paesi industrializzati possiede un elevato
grado di tossicità degli ambienti interni.
Pare, infatti, che una delle cause dell'insorgere di alcuni mali (allergie, intossicazioni,
emicranie, cancerogenesi, etc.) risieda nel grado di inquinamento presente negli ambienti
in cui normalmente si trascorre gran parte della giornata.
Tecniche costruttive che utilizzano prodotti sviluppanti sostanze tossiche, rumori, gas,
impianti di climatizzazione, fornelli da cucina, detergenti per la pulizia della casa, campi
magnetici, sono da considerarsi, fra le principali fonti di inquinamento indoor capaci di
turbare il delicato equilibrio esistente tra gli esseri viventi e gli ambienti di residenza e di
lavoro.
L'impatto sull'uomo degli inquinanti indoor può, quindi, produrre una vasta gamma di effetti
indesiderati che vanno dal disagio avvertito a livello sensoriale, alle gravi affezioni dello
stato di salute.
Fin dal 1979 l'Agenzia Americana per la Protezione Ambientale (EPA) ha evidenziato la
pericolosità insita negli ambienti confinati, denunciandola come un problema "assai serio di
salute pubblica che non ha ricevuto sinora una sufficiente attenzione".
Il Prof. Lance Wallas dell'EPA, in uno studio sugli effetti degli inquinanti negli ambienti
interni, rileva che "l'attività quotidiana nel proprio ambiente domestico ed alcuni prodotti di
consumo usuale rappresentano la gran parte delle nostre esposizioni ai prodotti chimici
tossici", quantificandola nel 75% del totale delle cause di esposizione ad agenti nocivi.
Da alcune stime si è riscontrato che circa l'85% della giornata viene trascorsa in ambienti
chiusi (casa, lavoro) e questo incrementa il rischio di malattie da inquinamento indoor.
In Italia il solo ambiente domestico corrisponde ad una superficie di oltre 2mila kmq, pari al
6% della superficie nazionale (poco meno delle dimensioni della regione Abruzzo).
Ebbene, in questo così importante luogo di vita si verificano fenomeni che fanno affermare
al Prof. Henning Ruden, Igienista dell'Università di Berlino, che se si facessero rispettare i
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valori limite per le sostanze pericolose all'interno degli spazi abitativi, il 10% delle abitazioni
dovrebbero essere evacuate!
Quali sono dunque i rischi che si vengono a determinare a contatto con l'ambiente
confinato, ed in particolare con quello domestico?
Esse si possono distinguere in due grandi categorie:
gli Infortuni (eventi dannosi improvvisi, violenti ed occasionali)
le Malattie (danni derivanti da cause che agiscono continuativamente o ripetutamente
sull'organismo).
Entriamo quindi nel merito dei danni che si determinano alla salute umana a causa delle
malattie da inquinamento indoor.
Definiamo quindi inquinante una sostanza estranea all'ambiente o che, pur normalmente
presente, assume in esso concentrazioni rilevanti (Gilli).
Il danno biologico da inquinanti indoor si verifica per la concomitanza di quattro fattori
la tossicità potenziale dell'inquinante;
la concentrazione della sostanza nociva nell'ambiente;
la durata dell'esposizione all'inquinante;
lo stato dell'organismo nel periodo durante il quale risulta esposto.
A sua volta, però, la concentrazione dell'inquinante dipende direttamente dalle
caratteristiche fisico-chimiche della sostanza tossica e dalla capacità di rilasciare tale
sostanza da parte della fonte di emissione, ma anche dalla velocità di ricambio di aria
nell'ambiente.
Il primo di questi elementi è correlato alle caratteristiche dei materiali e delle sostanze
usate, il secondo alla natura del prodotto, il terzo dalle componenti strutturali dell'ambiente
confinato e dalle consuetudini di chi lo utilizza.
Le sorgenti di inquinamento indoor sono molteplici, esterne ed interne all'ambiente
confinato; ed in queste deve essere compreso l'uomo, con le sue abitudini (come nel caso
del fumo di tabacco) e con gli stessi fattori inquinanti derivanti dal metabolismo del corpo
umano.
Le cause delle malattie da inquinamento indoor sono ancora più numerose; esse possono
essere classificate in:
chimiche (inorganiche ed organiche)
biologiche (batteriche e virali, parassitarie, fungine)
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radianti (ionizzanti, fotoniche, elettomagnetiche).
All’interno di queste cause la Commissione Veronesi individua tra le principali sostanze
nocive:
l'amianto
l'ossido di carbonio e gli altri prodotti della combustione
la formaldeide
i prodotti del "fumo passivo"
il radon
i contaminanti biologici.
Per alcune di queste (radon) sono state riconosciute, in alcuni pazienti esaminati, delle
genotossicità, cioè la capacità di indurre alterazioni al genoma cellulare con insorgenza di
cancro oppure teratogenesi.
Queste e numerose altre cause provocano una vasta gamma di malattie che si riflettono
negativamente anche in termini economici e produttivi.
L'OMS ha valutato che il 30% dell'assenteismo nel lavoro deriva da cause presenti
nell'ambiente domestico.
L'ISPESL ha rilevato che il 40% della forza lavoro è esposta ad agenti inquinanti e, negli
Stati Uniti l'EPA ha calcolato che, nel solo 1988, sono stati spesi l'equivalente di 1300
miliardi di lire per cure mediche per patologie dovute ad inquinamento indoor, con una
perdita di produttività di oltre 6000 miliardi di lire.
Tra le tante malattie da ambienti confinati interessante è la "Sick building syndrome" o
Sindrome da edificio malato, che si può riscontrare sia nel contesto abitativo residenziale
che in quello di lavoro.
Tale patologia si manifesta con cefalea, affaticamento, vertigini, sonnolenza, ma anche con
fenomeni irritativi agli occhi, sulla cute e a carico delle prime vie respiratorie.
Sintomi questi che possono essere passeggeri o permanenti e che si riscontrano in coloro
che frequentano per lunghi periodi edifici nuovi o ristrutturati.
Le cause sono molteplici e fondamentalmente dovute alle sostanze presenti nei materiali
usati per la costruzione e l'arredo ed a quelle generate dagli impianti e dai materiali d'uso;
ma elementi indispensabili risultano essere la eccessiva e non corretta coibentazione
dell'edificio e l'uso di condizionatori che, oltre ad aumentare la concentrazione di sostanze
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nocive, provocano aumento di anidride carbonica emessa dagli stessi frequentatori degli
edifici malati.
Di particolare rilievo appare il problema delle neoplasie, la relazione tra tumori e numerosi
agenti inquinanti sono ormai note nel mondo scientifico ed alcune di esse sono certe: ad
esempio quelle con l'amianto, il benzene, il radon.
Altre sono state ipotizzate sul piano sperimentale e tuttora sono oggetto di verifica come
nel caso della formaldeide, dei composti organici clorati (cloroformio, tetracloroetilene,
paradiclorobenzolo), delle radiazioni elettromagnetiche artificiali.
Resta, al proposito, un elemento obiettivo su cui meditare.
Osservando l'andamento delle cause di morte, in Italia, tra il 1980 e il 1987, appare
eclatante l'aumento di 4,3 punti percentuali per i tumori; questo dato, è bene ricordarlo,
corrisponde a circa 22000 morti in soli otto anni.
Ebbene, ad un così marcato aumento delle morti per tumore, concorrono numerose
motivazioni; tra queste un ruolo di non poco conto gioca l'inquinamento degli ambienti
confinati che si dimostra essere un fenomeno più persistente e subdolo dell'inquinamento
dell'aria, dell'acqua e del suolo esterno.
Gli esperti, infatti, hanno rilevato che negli ambienti chiusi sono presenti delle sostanze
altamente tossiche (sono circa settecento le sostanze chimiche utilizzate nei processi
industriali).
Queste possono essere presenti sia nei materiali utilizzati per effettuare opere di
rivestimento e di finiture interne sia in quelli utilizzati per gli arredi
Inoltre, altre sorgenti tossiche sono quelle emanate nei processi di combustione, legati
principalmente al riscaldamento degli ambienti (gas, kerosene, etc.)
Determinanti sono, anche, le sorgenti legate alle attività svolte dagli occupanti:
attività di manutenzione (uso di prodotti da pulizia),
normali operazioni di vita quotidiana (uso di cucine a gas),
utilizzo di macchine (fotocopiatrici, computers ecc.)
A questo si aggiunge il contributo offerto dall'ambiente esterno (l'aria esterna ed i composti
che naturalmente vengono rilasciati dal suolo su cui vengono costruite le abitazioni).
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Principali sostanze responsabili di inquinamento indoor.
Le sostanza responsabili di inquinamento indoor sono numerosissime, di seguito si
evidenziano le più importanti e quelle che hanno la maggior probabilità di essere
individuate nei nostri edifici.
Ossidi di Azoto (Nox)
Le emissioni di NOx sono dovute principalmente ai trasporti, all’uso di combustibili e ad
alcune attività industriali.
Il biossido di azoto in particolare è responsabile in atmosfera di generare ozono.
Effetti sulla salute: possono provocare irritazioni ai polmoni, causando problemi respiratori
gravi.
Monossido di Carbonio (CO)
È un gas incolore e inodore. La sua presenza è dovuta principalmente a fonti naturali; la
combustione dei carburanti in particolare.
Effetti sulla salute: è assorbito rapidamente dagli alveoli polmonari, può provocare mal di
testa, nausea o disturbi alla concentrazione. In ambienti chiusi può essere mortale.
Biossido di zolfo (SO2)
Deriva dal riscaldamento domestico e dai motori alimentati a gasolio; gli interventi sulla
qualità dei combustibili hanno recentemente ridotto sensibilmente l’emissione di questa
sostanza nelle aree urbane:
Effetti sulla salute: irritazione alle prime vie respiratorie, alterazioni del gusto e dell’olfatto,
senso di stanchezza.
Benzene, toluene, xilene, idrocarburi policiclici aromatici
Fanno parte dei composto organici volatili (VOC) insieme ad altri idrocarburi che evaporano
velocemente. Benzene e toluene sono entrambi presenti nella benzina, lo cilene è un gas
prodotto naturalmente anche dalle piante.
Tutte queste sostanze sono presenti in tutti i tradizionali prodotti di finitura in edilizia:
pitture, vernici, smalti, colle, ecc.
Effetti sulla salute: sono tutti potenzialmente cancerogeni ed interagiscono con i
meccanismi metabolici di crescita, favoriscono inoltre i disturbi alle vie respiratorie.
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Polveri totali sospese (PTS)
Il particolato (così è definito l’insieme di polveri, fumo e vapor d’acqua presenti nell’aria) è
sia di origine naturale sia il prodotto delle attività umane (combustioni principalmente).
Effetti sulla salute: attaccano soprattutto le vie respiratorie superiori, possono essere il
veicolo di trasporto di altre sostanze cancerogene nell’organismo umano.
Polveri fini (PM 10 e PM 25)
Le polveri fini sono una frazione delle polveri totali, a causa della loro ridotta dimensione
sotto il profilo sanitario sono ancora più pericolose perché sono respirabili (sono cioè
metabolizzate).
Effetti sulla salute: attaccano principalmente gli occhi e le vie respiratorie. Le polveri fini,
attaccandosi agli alveoli polmonari trasportano sostanze altamente inquinanti e spesso
cancerogene.
Ozono (O3)
E’ un gas che si trova sia nella zona alta dell’atmosfera, dove funziona da filtro per i raggi
UV, sia nella zona bassa dell’atmosfera, dove se respirato in alte concentrazioni, diventa
un inquinante pericoloso. Si sviluppa per effetto delle radiazioni solari in presenza di altri
inquinanti (gas provenienti da combustioni, solventi, NOx, ecc.). Può venir prodotto da
alcune apparecchiature (vedi fotocopiatrici).
Effetti sulla salute: l’ozono altera le funzioni respiratorie, provoca mal di testa, irritazione
agli occhi, alla gola ed al naso.
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INDICE
Premessa.............................................................................................................................2
Fonti energetiche tradizionali e problematiche ambientali ...................................................5
I sistemi solari passivi .................................................................................................47
Le serre ......................................................................................................................47
Le vetrate....................................................................................................................50
La ventilazione naturale..............................................................................................51
I sistemi solari attivi:....................................................................................................52
Impianto a pannelli solari ............................................................................................52
Inquadramento del settore e definizione degli indirizzi secondo il Piano Energetico
Regionale ...................................................................................................................56
Impianti di climatizzazione di tipo radiante e Bioarchitettura..............................................59
Controllo dell'illuminazione naturale e artificiale.................................................................63
Il Controllo dell'illuminazione artificiale .......................................................................65
IL GIARDINO E LE AREE VERDI......................................................................................67
Il verde ed il controllo climatico urbano.......................................................................67
Il tetto verde ed i giardini pensili .................................................................................69
Gli effetti del tetto verde del giardino sul microclima...................................................71
Verde e riduzione dell’Inquinamento acustico ............................................................72
LA FITODEPURAZIONE ...................................................................................................73
Meccanismo di funzionamento ...................................................................................73
RENDIMENTO DI DEPURAZIONE ............................................................................74
Perché la fitodepurazione ...........................................................................................74
Vantaggi della fitodepurazione ...................................................................................75
I costi ..........................................................................................................................75
La nuova normativa sulle acque .................................................................................76
IL RECUPERO DELLE ACQUE PIOVANE........................................................................77
Dispositivi di risparmio con raccolta delle acque piovane ...........................................77
Uso razionale dell'acqua e permeabilità dei suoli .......................................................78
Inquinamento indoor: i principali fattori di inquinamento presi in esame in una
progettazione Bioecologica................................................................................................78
I MATERIALI DA COSTRUZIONE..............................................................................79
Altre considerazioni ....................................................................................................79
ECOCOMPATIBILITÀ DEI MATERIALI EDILI............................................................80
SUGGERIMENTI PER I VARI MATERIALI EDILI..................................................84
Altre fonti di inquinamento ........................................................................................103
Inquinamento Acustico .............................................................................................103
Possibili interventi di bonifica....................................................................................104
Valutazione di barriere..............................................................................................105
Acustica dei locali .....................................................................................................109
L’INQUINAMENTO DA RADON ...............................................................................112
Come il radon entra negli ambienti ...........................................................................112
La legislazione Italiana .............................................................................................112
Come si misura il radon ............................................................................................113
I dosimetri .................................................................................................................114
Come si elimina il radon ...........................................................................................114
L’inquinamento da Amianto ......................................................................................115
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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L’INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO ...................................................................116
Premessa .................................................................................................................116
Radiazioni elettromagnetiche artificiali......................................................................117
Onde Elettromagnetiche ad alta frequenza ..............................................................120
Regione Toscana .....................................................................................................123
Campi elettromagnetici naturali ................................................................................124
Linee Guida per la pianificazione e la edificazione sostenibile e per la tutela del territorio
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Linee guida Bioarchitettura - vol. 1