1 L’arrivo di Enea (I, 1) La narrazione di Livio si apre con il racconto mitico dell’arrivo di Enea, fuggito da Troia al momento della conquista greca, sulle coste del Lazio, dove fonderà la città di Lavinio. testi 1.1. Anzitutto concordemente si tramanda che dopo la presa di Troia i Greci infierirono contro tutti gli altri Troiani, e nei riguardi di due soli, Enea e Antenore1, si astennero dal trattamento di guerra, sia per antichi legami di ospitalità, e sia perché sempre erano stati fautori della pace e della restituzione di Elena; 2. dopo varie vicende poi, insieme con un gruppo di Eneti, i quali, cacciati in seguito ad una rivoluzione dalla Paflagonia2 e perduto sotto le mura di Troia il re Pilemene3, cercavano una sede e un capo, Antenore pervenne nella parte più interna dell’Adriatico, e cacciati gli Euganei, 3. che abitavano fra il mare e le Alpi, gli Eneti e i Troiani occuparono quelle terre. Il luogo in cui dapprima presero piede fu chiamato Troia, ed è rimasto il nome di Troiano a quel distretto; l’intera gente prese il nome di Veneti. 4. Profugo dalla patria dopo la stessa rovina, ma guidato dai fati a fondare una maggiore potenza, Enea dapprima giunse in Macedonia, poi sempre cercando una sede approdò in Sicilia, e dalla Sicilia per via di mare si diresse verso il territorio di Laurento. Anche la località dove avvenne questo sbarco ha il nome di Troia. 5. Mentre i Troiani qua approdati stavano facendo preda nelle campagne, poiché dopo quelle interminabili peregrinazioni nulla più rimaneva loro se non le armi e le navi, il re Latino e gli Aborigeni4, che allora abitavano 1.1. Iam primum omnium satis constat Troib captb in ceteros saevitum esse Troianos, duobus, Aenfae Antenorique, et vetusti iure hospitii et quia pacis reddendaeque Helenae semper auctores fuerant, omne ius belli Achjvos abstinuisse; 2. casibus deinde variis Antenorem cum multitudine Enetum, qui seditione ex Paphlagonib pulsi et sedes et ducem rege Pylaemene ad Troiam amisso quaerebant, venisse in intimum maris Hadriatici sinum, Euganeisque qui inter mare Alpesque incolebant pulsis Enetos Troianosque eas tenuisse terras. 3. Et in quem primo egressi sunt locum Troia vocatur pagoque inde Troiano nomen est: gens universa Veneti appellati. 4. Aenfam ab simili clade domo profugum sed ad maiora rerum initia ducentibus fatis, primo in Macedoniam venisse, inde in Siciliam quaerentem sedes delatum, ab Sicilib classe ad Laurfntem agrum tenuisse. Troia et huic loco nomen est. 5. Ibi egressi Troiani, ut quibus ab immenso prope errore nihil praeter arma et naves superesset, cum praedam ex agris agerent, Latjnus rex Aboriginesque qui tum ea tenebant loca ad arcendam vim advenarum armati ex 1. Enea e Antenore: i due soli risparmiati dagli Achei dopo la presa di Troia: Enea, progenitore dei Romani; Antenore fondatore di Padova, patria di Livio. 2. Paflagonia: regione sita sulla costa meridionale del Mar Nero. 3. il re Pilemene: la morte di Pilemene è narrata in Iliade V, vv. 576 ss. Livio Ab Urbe condita Ab Urbe condita 4. gli Aborigeni: mitica popolazione che avrebbe per prima abitato il Lazio. 1 quei luoghi, accorsero in armi dalle città e dalle campagne per respingere l’aggressione degli stranieri. 6. Sui fatti successivi si ha una duplice tradizione: alcuni narrano che Latino conchiuse la pace e strinse vincoli di parentela con Enea dopo di essere stato vinto in battaglia; 7. altri che, mentre gli eserciti erano già schierati in campo, prima che squillasse il segnale dell’attacco, Latino si fece avanti nelle prime file e invitò ad un colloquio il capo degli stranieri; e dopo aver domandato che gente fossero, donde venissero e per quali eventi fossero usciti dalla loro patria, e con quali intenzioni fossero giunti nel territorio di Laurento, 8. quando udì che quegli uomini erano Troiani, che il loro capo era Enea, figlio di Anchise e di Venere, e che dopo l’incendio delle loro case fuggiti dalla patria cercavano una dimora e una terra per fondare una città, ammirando la nobiltà dell’eroe e della sua gente e l’animo pronto sia alla guerra che alla pace, porgendo la destra si impegnò a rispettare fedelmente la futura amicizia. 9. Quindi fu stretto un patto fra i capi, e gli eserciti si scambiarono il saluto; Enea fu accolto come ospite da Latino, il quale presso gli dèi Penati aggiunse al patto pubblico un vincolo domestico5, dando in isposa la figlia ad Enea. 10. Così fu resa più certa nei Troiani la fiducia di poter porre termine finalmente all’errare in una stabile e sicura sede. 11. Fondarono una città che Enea dal nome della moglie chiamò Lavinio. Dopo breve tempo dal nuovo matrimonio nacque un erede maschio, cui i genitori posero il nome di Ascanio. (Trad. L. Perelli) urbe atque agris concurrunt. 6. Duplex inde fama est. Alii proelio victum Latjnum pacem cum Aenfb, deinde adfinitatem iunxisse tradunt: 7. alii, cum instructae acies constitissent, priusquam signa canerent processisse Latjnum inter primores ducemque advenarum evocasse ad conloquium; percontatum deinde qui mortales essent, unde aut quo casu profecti domo quidve quaerentes in agrum Laurentjnum exissent, 8. postquam audierit multitudinem Troianos esse, ducem Aenfam filium Anchjsae et Veneris, crematb patrib domo profugos, sedem condendaeque urbi locum quaerere, et nobilitatem admiratum gentis virique et animum vel bello vel paci paratum, dextrb datb fidem futurae amicitiae sanxisse. 9. Inde foedus ictum inter duces, inter exercitus salutationem factam. Aenfam apud Latjnum fuisse in hospitio; ibi Latjnum apud penates deos domesticum publico adiunxisse foedus filib Aenfae in matrimonium datb. 10. Ea res utique Troianis spem adfirmat tandem stabili certbque sede finiendi erroris. Oppidum condunt; Aenfas ab nomine uxoris Lavinium appellat. 11. Brevi stirpis quoque virilis ex novo matrimonio fuit, cui Ascanium parentes dixfre nomen. L’ETÀ DI AUGUSTO 5. un vincolo domestico: il matrimonio fra Enea e Lavinia. 2 LINGUA E LESSICO 1. Livio riferisce il racconto mitologico senza prendere posizione sulla sua attendibilità o meno. Rintraccia FORME E COSTRUTTI FUNZIONE SINTATTICA ut quibus ... superesset (par. 5) priusquam ... canerent (par. 7) percontatum (par. 7) cremata patria (par. 8) TEMI E CONFRONTI 4. Con l’aiuto di un dizionario mitologico ricostruisci la figura di Antenore e le sue vicende, fino all’arrivo in territorio italiano e alla fondazione di Padova. Cerca poi di spiegare perché Livio menzioni la sua vicenda in unione con quella di Enea, quale realtà distingua i due dagli altri eroi troiani e perché Livio insista su di essa. 5. Livio propone qui due ipotesi sui primi contatti tra Enea e gli Aborigeni. Quale fra esse sembra preferire? Quale appare più aderente alle linee della politica augustea? STILE E RETORICA 6. Nella ricostruzione delle notizie mitiche Livio impiega uno stile alto, talora addirittura solenne, dimo- strando come anche la prosa possa ricorrere a numerosi artifici retorici: rintraccia in questo capitolo almeno un esempio delle seguenti figure retoriche, spiegandone la funzione nel contesto: FIGURA RETORICA PARAGRAFO FUNZIONE ipallage zeugma chiasmo allitterazione 3 testi nel brano tutte le espressioni da lui utilizzate nel riferirsi a quanto “è noto” per tradizione e giustificale in riferimento alle affermazioni programmatiche, a proposito dell’atteggiamento che Livio si ripromette di tenere nei confronti del mito, contenute nella praefatio. 2. Analizza i paragrafi 7 e 8, ricostruendone la struttura sintattica e producendo uno schema che la rappresenti nei suoi rapporti di reggenza e dipendenza. Indica quindi se tali strutture rientrano nel modello stilistico della simmetria e regolarità sintattica (concinnitas) o piuttosto in quello dell’asimmetria e variazione statistica (variatio). 3. Esamina i seguenti costrutti e forme, indicandone la funzione nel contesto in cui si trovano: Livio Ab Urbe condita GUIDA ALL’ANALISI 2 Il rapimento delle donne (I, 9) Dopo aver fondato la nuova città sul Palatino e averla munita di leggi e di un consiglio di cento senatori, Romolo raduna attorno a sé molte genti di diversa provenienza, fino a rendere Roma assai popolosa e forte. Mancano però le donne e questo mette a rischio la nuova potenza, destinata, senza figli, a durare una sola generazione. Si provvede allora con l’astuzia. 9.1. Già la potenza di Roma era così solida da poter fare fronte in guerra a qual- siasi delle città confinanti, ma mancando le donne la sua grandezza sarebbe durata lo spazio di una generazione, non avendo né speranza di prole in patria né facoltà di connubio con i vicini. 2. Allora per consiglio del Senato Romolo mandò ambasciatori alle genti vicine, a chiedere alleanza e diritto di matrimonio per il nuovo popolo: 3. dicevano che anche le città, come ogni altra cosa, nascono dal basso; poi quelle che sono aiutate dalla virtù e dagli dèi raggiungono grande potenza e fama; 4. sapevano che gli dèi avevano assistito il sorgere di Roma e che la virtù non sarebbe mancata, quindi non disdegnassero di mescolare, uomini con altri uomini, il sangue e la stirpe. 5. In nessun luogo l’ambasceria fu accolta benevolmente; a tal punto disprezzavano e insieme temevano per sé e per i discendenti quella così grande potenza che cresceva in mezzo a loro1. I più congedavano i Romani domandando se mai avessero aperto un asilo anche per le femmine: quello davvero sarebbe stato un degno accoppiamento2. 6. La gioventù di Roma mal sopportò l’affronto, e decise senza indugio di ricorrere alla violenza; per offrire a questa tempo e circostanze opportune, Romolo dissimulando l’interna amarezza preparò a bello studio dei giochi solenni in onore di Nettuno equestre3, cui diede il nome di Consuali4. 7. Quindi fa bandire lo spettacolo presso i vicini, e lo allestisco- 9.1. Iam res Romana adeo erat valida ut cuilibet finitimarum civitatum bello par L’ETÀ DI AUGUSTO esset; sed penurib mulierum hominis aetatem duratura magnitudo erat, quippe quibus nec domi spes prolis nec cum finitimis conubia essent. 2. Tum ex consilio patrum Romulus legatos circa vicinas gentes misit qui societatem conubiumque novo populo peterent: 3. urbes quoque, ut cetera, ex infimo nasci; dein, quas sua virtus ac di iuvent, magnas opes sibi magnumque nomen facere; 4. satis scire, origini Romanae et deos adfuisse et non defuturam virtutem; proinde ne gravarentur homines cum hominibus sanguinem ac genus miscere. 5. Nusquam benigne legatio audita est: adeo simul spernebant, simul tantam in medio crescentem molem sibi ac posteris suis metuebant. Ac plerisque rogitantibus dimissi ecquod feminis quoque asyˉ lum aperuissent; id enim demum compar conubium fore. 6. Aegre id Romana pubes passa et haud dubie ad vim spectare res coepit. Cui tempus locumque aptum ut daret Romulus aegritudinem animi dissimulans ludos ex industrib parat Neptvno equestri sollemnes; Consualia vocat. 7. Indjci deinde finitimis spec- 1. potenza … in mezzo a loro: il rifiuto dei vicini è interpretato da Livio come segno di disprezzo (spernebant), ma soprattutto di timore nei confronti della nuova potenza (tantam crescentem molem). 4 2. degno accoppiamento: come in Roma si erano raccolti criminali da ogni parte, così avrebbero potuto raccogliere anche donne di malaffare, che sarebbero state le loro degne compagne. 3. Nettuno equestre: spesso il dio greco Poseidone (Neptunus) è rappresentato sotto forma equina. 4. Consuali: nella Roma storica questa festa era celebrata due volte l’anno, il 21 agosto e il 15 dicembre, in occasione della trebbiatura e della semina. Livio Ab Urbe condita no con la maggior grandiosità di cui allora fossero capaci, per accrescerne la fama e l’attesa. 8. Molta folla accorse, attirata anche dal desiderio di vedere la nuova città, soprattutto dalle città più vicine, da Cenina, da Crustumerio e da Antemna5; 9. venne poi tutta la popolazione dei Sabini con i figli e le mogli. Invitati ospitalmente nelle abitazioni, dopo aver osservato la posizione, le mura e il gran numero degli edifici, si stupirono che in così breve tempo già tanto Roma si fosse sviluppata. 10. Quando giunse il momento dello spettacolo, mentre l’attenzione e gli occhi di tutti su quello erano concentrati, allora secondo il piano prestabilito cominciò il tumulto, e al segnale convenuto i giovani romani si gettarono a rapire le vergini. 11. Per gran parte furono rapite a caso, secondo che a ciascuno capitavano sotto mano, ma alcune che si distinguevano per bellezza, destinate ai più eminenti senatori, furono portate alle case di questi da uomini della plebe cui era stato affidato quest’incarico. 12. Narrano che una fanciulla di gran lunga superiore alle altre per la bellezza dell’aspetto fu rapita dalla squadra di un certo Talassio, e ai molti che domandavano dove mai la portassero ripetutamente gridavano, perché nessuno le recasse molestia, che la portavano a Talassio; da allora in poi questo grido divenne rituale nelle cerimonie nuziali6. 13. Dopo che sui giochi fu gettato lo scompiglio e lo spavento, i genitori delle vergini afflitti fuggono, lamentando la violazione del patto di ospitalità e invocando il dio del quale erano venuti a celebrare la festa e i giochi, rimanendo poi ingannati in dispregio della legge divina e della parola data. 14. Non migliore speranza nella loro sorte né minore sdegno avevano le rapite. Ma lo stesso Romolo andava in giro a convincerle che ciò era avvenuto per la superbia dei genitori, i quali avevano negato il diritto di matrimonio ai loro vicini; testi taculum iubet; quantoque apparatu tum sciebant aut poterant, concelebrant ut rem claram exspectatamque facerent. 8. Multi mortales convenfre, studio etiam videndae novae urbis, maxime proximi quique, Caeninfnses, Crustumjni, Antemnbtes; 9. iam Sabinorum omnis multitudo cum liberis ac coniugibus venit. Invitati hospitaliter per domos cum situm moeniaque et frequentem tectis urbem vidissent, mirantur tam brevi rem Romanam crevisse. 10. Ubi spectaculi tempus venit deditaeque eo mentes cum oculis erant, tum ex composito orta vis signoque dato iuventus Romana ad rapiendas virgines discurrit. 11. Magna pars forte in quem quaeque inciderat raptae: quasdam formb excellentes, primoribus patrum destinatas, ex plebe homines quibus datum negotium erat domos deferebant. 12. Unam longe ante alias specie ac pulchritudine insignem a globo Thalbssi cuiusdam raptam ferunt multisque sciscitantibus cuinam eam ferrent, identidem ne quis violaret Thalassio ferri clamitatum; inde nuptialem hanc vocem factam. 13. Turbato per metum ludicro maesti parentes virginum profugiunt, incusantes violati hospitii foedus deumque invocantes cuius ad sollemne ludosque per fas ac fidem decepti venissent. 14. Nec raptis aut spes de se melior aut indignatio est minor. Sed ipse Romulus circumibat docebatque patrum id superbib factum qui conubium finiti- 5. da Cenina … e da Antemna: sono gli abitanti di Caenina, tra Roma e Tivoli, di Crustumium, oggi Monterotondo, e di Antemnae, alla confluenza dell’Aniene con il Tevere; i Sabini abi- tavano la valle del Tevere, immediatamente a nord di Roma. 6. nelle cerimonie nuziali: parenti e amici rivolgevano questo “grido nuziale” alla sposa quando, giunta nella casa nuziale, veniva deposta nell’atrio su una pelle di pecora. Livio riferisce qui un’altra spiegazione mitica, atta a giustificare il grido Thalassio, divenuto da tempo incomprensibile. 5 esse tuttavia sarebbero state considerate come mogli legittime, e avrebbero condiviso con gli uomini il possesso di tutti i beni, della cittadinanza, e dei figli, cosa di cui nessun’altra è più cara all’umano genere; 15. placassero dunque lo sdegno, e offrissero il loro animo a coloro cui la sorte aveva concesso il corpo. Spesso da un’offesa nasce poi un maggiore affetto, ed esse avrebbero trovato i mariti tanto più premurosi, in quanto ciascuno, oltre all’adempiere i suoi doveri di sposo, si sarebbe sforzato di non far sentire la lontananza dei genitori e della patria. 16. Alle parole di Romolo si aggiungevano le blandizie dei mariti, i quali adducevano a giustificazione dell’accaduto la passione amorosa, argomento quanto mai efficace a piegare gli animi femminili. (Trad. L. Perelli) mis negbssent; illas tamen in matrimonio, in societate fortunarum omnium civitatisque et quo nihil carius humano generi sit liberum fore; 15. mollirent modo iras et, quibus fors corpora dedisset, darent animos; saepe ex iniurib postmodum gratiam ortam; eoque melioribus usuras viris quod adnisurus pro se quisque sit ut, cum suam vicem functus officio sit, parentium etiam patriaeque explfat desiderium. 16. Accedebant blanditiae virorum, factum purgantium cupiditate atque amore, quae maxime ad mulifbre ingenium efficaces preces sunt. ANALISI DEL TESTO DIFFICOLTÀ DELLE ORIGINI Narratore interessato e partecipe dei difficili esordi della potenza romana, Livio sottolinea nei primi paragrafi di questo celebre capitolo (parr. 1-6), il rischio di un rapido esaurimento della giovane potenza territoriale fondata da Romolo e descrive l’ostilità dei popoli confinanti, restii ad avviare rapporti di connubio con Roma per disprezzo delle sue umili origini e per timore della sua potenza sempre crescente. Le parole dei messaggeri romani, inviati alle genti vicine per chiedere di stringere rapporti matrimoniali, riflettono ancora, in un’articolata sequenza distesa in quattro membri di crescente ampiezza e complessità (urbes quoque ... nasci; magnas opes ... magnumque nomen facere; ... et deos adfuisse et non defuturam virtutem; ... homines ... ac) l’idea cara allo storico patavino del favore concesso dagli dèi al sorgere della potenza romana, garanzia certa di un glorioso avvenire. L’ETÀ DI AUGUSTO BONARIA IRONIA SUGLI ANTENATI Nel racconto del ratto (parr. 7-12) Livio lascia trasparire qua e là una certa ironia come quando afferma, a proposito delle sabine rapite, che per la maggior parte furono portate via dal primo uomo in cui si erano imbattute, mentre quando ricorda che “alcune, che si distinguevano per la bellezza (forma excellentes), destinate ai più eminenti senatori, furono portate alle case di questi da uomini della plebe cui era stato affidato quest’incarico”, emerge con evidenza il carattere classista di quella primitiva società romana. Sapida è anche la considerazione finale, al par. 16, “si aggiungevano le blandizie dei mariti, i quali adducevano a giustificazione dell’accaduto la passione amorosa, (cupiditate atque amore) argomento (preces) quanto mai efficace a piegare gli animi femminili”. 6 EZIOLOGICI Non manca mai, in Livio, e specie nel racconto delle origini, un qualche spunto eziologico con cui l’autore spiega le cause originarie (in greco áitia) di un rito, di un nome, di un modo di dire. È il caso, al par. 12, del racconto della bella sabina rapita dalla combriccola di Talassio (a globo Thalassi): la sbrigativa, ripetuta giustificazione che la squadra di questo Talassio rivolgeva a chiunque si avvicinasse (“la portiamo a Talassio perché nessuno le faccia violenza”), spiega infatti l’origine del triplice o duplice grido thalassio thalassio <thalassio>, che veniva rivolto a mo’ di augurio alle fresche spose e che divenne pertanto, come dice lo stesso Livio, una vox nuptialis, un grido ripetuto in occasione delle cerimonie e delle feste nuziali. Si tratta di un tipico esempio di paretimologia, o etimologia di fantasia, legata al suono della parola, spesso praticata dagli antichi nei testi eziologici. A Roma queste paretimologie erano complicate dal carattere “formulare” della religione, che portava a ripetere alla lettera formule di preghiera anche quando, come in questo caso, il loro significato era divenuto ormai incomprensibile. SPUNTI POSITIVO Ancora una volta emerge infine la figura di Romolo come eroe positivo, nella descrizione (parr. 14-16) del suo affannarsi a rassicurare le fanciulle rapite, giustificando l’azione con l’accusa di superbia rivolta ai loro padri, colpevoli di avere rifiutato il connubio con Roma, e a garantire che avrebbero goduto di tutti i diritti di mogli, di cittadine e di madri: nasce così il fondamento, anche giuridico, della grandezza di Roma. L’EROE (XXI, 5) 5.1. Dal giorno poi in cui fu proclamato comandante, come se gli fosse stata decre- testi tata l’Italia come sfera d’azione e gli fosse stata affidata una guerra contro i Romani, 2. pensando di non doverla differire oltre, per evitare che un qualche incidente gliela impedisse, come era accaduto a suo padre Amilcare e poi ad Asdrubale1, decise di portar guerra a Sagunto2. 3. Per attaccarla, poiché ciò significava indubbiamente destare le armi romane, fece prima entrare l’esercito nel territorio degli Olcadi – popolazione che si trovava al di là dell’Ebro, nella sfera d’influenza dei Cartaginesi più che sotto la loro effettiva giurisdizione – perché si potesse credere che egli non aveva assalito Sagunto, ma era stato tratto a quella guerra dagli eventi e dalla necessità di annettere territori confinanti a quelli già sottomessi. 4. Espugna e saccheggia la ricca città di Cartala, capitale degli Olcadi; atterrite, le città minori si lasciarono assoggettare con l’imposizione di una indennità di guerra. L’esercito vincitore e carico di bottino fu condotto a svernare a Cartagine Nuova. 5. Dopo essersi quivi assicurata la fiducia di tutti, concittadini e alleati, distribuendo con larghezza il bottino e pagando lealmente il soldo arretrato, all’inizio della primavera mosse guerra ai Vaccei. Le loro città, Ermandica e Arbocala, furono prese con la forza. 6. Arbocala fu a lungo difesa dal valore e dal numero degli abitanti; 7. i fuggiaschi di Ermandica, unitisi ai fuoriusciti degli Olcadi – la popolazione assoggettata l’estate precedente – sollevarono i Carpetani 8. e, assalito nei pres- 5.1. Ceterum ex quo die dux est declaratus, velut Italia ei provincia decreta bellumque Romanum mandatum esset, 2. nihil prolatandum ratus ne se quoque, ut patrem Hamilcarem, deinde Hasdrubalem, cunctantem casus aliquis opprimeret, Saguntjnis inferre bellum statuit. 3. Quibus oppugnandis quia haud dubie Romana arma movebantur, in Olcbdum prius fines – ultra Hibfrum ea gens in parte magis quam in dicione Carthaginiensium erat – induxit exercitum, ut non petisse Saguntjnos sed rerum serie finitimis domitis gentibus iungendoque tractus ad id bellum videri posset. 4. Cartalam, urbem opulentam, caput gentis eius, expugnat diripitque; quo metu perculsae minores civitates stipendio imposito imperium accepfre. Victor exercitus opulentusque praedb Carthaginem Novam in hiberna est deductus. 5. Ibi large partiendo praedam stipendioque praeterito ex fide exsolvendo cunctis civium sociorumque animis in se firmatis vere primo in Vaccaeos promotum bellum. 6. Hermandica et Arbocala, eorum urbes, vi captae. Arbocala et virtute et multitudine oppidanorum diu defensa; 7. ab Hermandicb profugi exsulibus Olcbdum, priore aestate domitae gentis, cum se iunxissent, 8. concitant 1. Amilcare … Asdrubale: secondo Livio, Annibale temeva la possibilità di morire soprattutto perché non avrebbe potuto portare a termine l’impresa contro Roma. 2. guerra a Sagunto: con il trattato dell’Ebro era stato stabilito quel fiume come linea di demarcazione tra la zona di influenza romana e quella di influenza cartaginese. Sagunto era allea- Ab Urbe condita Ottenuto il comando supremo delle truppe cartaginesi, il primo obiettivo che Annibale si prefigge per attaccare Roma è Sagunto, città sita a sud dell’Ebro, cioè nella zona di influenza cartaginese secondo il trattato del 226 a.C., ma alleata dei Romani. Per accostarsi alla città senza creare immediati sospetti comincia una serie di operazioni militari dirette contro le tribù stanziate nei pressi della città. Livio 3 L’esordio al comando ta di Roma, ma si trovava a sud dell’Ebro, nella zona cartaginese: un’occasione ottima per iniziare le ostilità. 7 L’ETÀ DI AUGUSTO si del fiume Tago Annibale di ritorno dal territorio dei Vaccei, cagionarono scompiglio nell’esercito carico di bottino. 9. Annibale non accolse la provocazione a combattere e posto il campo sulla riva del Tago3, non appena ci furono quiete e silenzio da parte dei nemici, fece passare a guado il fiume e, fatto costruire un vallo discosto dal fiume quel tanto da consentire ai nemici il passaggio, decise di attaccarli quando attraversassero il fiume. 10. Diede ordine ai cavalieri di attaccare i fanti nemici quando li vedessero entrare in acqua; dispose sulla riva gli elefanti – ce n’erano quaranta. 11. I Carpetani, con i piccoli contingenti degli Olcadi e dei Vaccei, erano centomila, e il loro esercito sarebbe stato invincibile, se si fosse combattuto in campo aperto.12. Perciò, tratti dalla loro naturale baldanza, fidando nel numero e – poiché credevano che il nemico si fosse ritirato per paura – pensando che soltanto l’ostacolo del fiume ritardasse la loro vittoria, con alte grida, senza che nessuno desse ordini, si precipitarono alla rinfusa nel fiume, ciascuno nel punto a lui più vicino. 13. Ed ecco dall’altra riva4 si lanciò nel fiume una massa enorme di cavalieri, 14. e in mezzo alla corrente fu la lotta, del tutto impari, poiché lì i fanti, vacillanti e malsicuri nel cercare a guado un equilibrio, potevano essere fatti cadere perfino da un cavaliere disarmato su di un cavallo condotto alla cieca, i cavalieri invece, non impacciati nei movimenti del corpo né nell’uso delle armi, con i cavalli ben fermi anche nei vortici della corrente, potevano combattere da vicino e da lontano. 15. Molti furono inghiottiti dal fiume; alcuni, portati in mezzo ai nemici dalla corrente vorticosa, furono calpestati dagli elefanti. 16. Mentre quelli che per ultimi erano scesi nel fiume – e per i quali più sicura fu la ritirata verso la loro riva – si raccoglievano in un sol punto dalle varie parti in cui lo scompiglio li aveva gettati, Annibale, prima che si riavessero [da] tanto spavento, entrato nel fiume con Carpetbnos adortique Hannibalem regressum ex Vaccaeis haud procul Tago flumine agmen grave praedb turbavfre. 9. Hannibal proelio abstinuit castrisque super ripam positis, cum prima quies silentiumque ab hostibus fuit, amnem vado traiecit valloque ita praeducto ut locum ad transgrediendum hostes haberent invadere eos transeuntes statuit. 10. Equitibus praecepit ut, cum ingressos aquam viderent, adorirentur impeditum agmen; in ripb elephantos – quadraginta autem erant – disponit. 11. Carpetanorum cum appendicibus Olcbdum Vaccaeorumque centum milia fufre, invicta acies si aequo dimicaretur campo. 12. Itaque et ingenio feroces et multitudine freti et, quod metu cessisse credebant hostem, id morari victoriam rati quod interesset amnis, clamore sublato passim sine ullius imperio qub cuique proximum est in amnem ruunt. 13. Et ex parte alterb ripae vis ingens equitum in flumen immissa, medioque alveo haudqubquam pari certamine concursum, 14. quippe ubi pedes instabilis ac vix vado fidens vel ab inermi equite, equo temere acto, perverti posset, eques corpore armisque liber, equo vel per medios gurgites stabili, comminus eminusque rem gereret. 15. Pars magna flumine absumpta; quidam vorticoso amni delati in hostes ab elephantis obtriti sunt. 16. Postremi, quibus regressus in suam ripam tutior fuit, ex varib trepidatione cum in unum colligerentur, priusquam in tanto pavore reciperent animos, Hannibal 3. sulla riva del Tago: in latino super ripam, cioè alla sinistra del Tago. 8 4. dall’altra riva: cioè dalla destra. Livio l’esercito in ordine di battaglia, li volse in fuga dalla riva e, saccheggiati i campi, in pochi giorni ebbe la resa anche dei Carpetani. 17. Ormai tutto, al di là dell’Ebro, tranne Sagunto, era dei Cartaginesi5. 5. era dei Cartaginesi: in questo modo la città alleata di Roma si venne a trovare circondata da ogni parte dalle popolazioni sottomesse a Cartagine. GUIDA ALL’ANALISI LINGUA E LESSICO 1. Il capitolo è tutto incentrato sulla descrizione di mosse strategiche e azioni diplomatiche attuate dal giovane Annibale. Ricostruiscine la tessitura, raccogliendo espressioni e termini chiave di questi due àmbiti e inserendoli in uno schema. 2. La necessità di sintesi spinge lo storico ad utilizzare per la sua narrazione strutture sintattiche, costrutti ed espressioni che condensano in pochi termini molteplici azioni. Indicane alcune e accompagnale con una traduzione italiana. Quali caratteristiche dello stile liviano e, più in generale, della lingua latina emergono dal confronto? 3. Esamina i paragrafi 13, 14 e 15, ricostruendo in uno schema i rapporti di reggenza e dipendenza delle diverse proposizioni presenti. 4. Analizza le seguenti strutture. STRUTTURE ANALISI ne se quoque ... opprimeret (par. 2) quia ... Romana arma movebantur (par. 3) ut ... posset (par. 3) cunctis ... firmatis (par. 5) cum viderent (par. 10) quippe ... perverti posset (par. 14) priusquam ... reciperent animos (par. 16) TEMI E CONFRONTI 5. Per quale motivo, secondo Livio, Annibale ha fretta di fare guerra ai Romani? Che cosa ci vuol dire lo sto- rico fornendoci questo particolare? Come si concretizza questo progetto del condottiero cartaginese? 6. Qual è l’occasione che provoca il casus belli tra Roma e Cartagine in Spagna? Quale il progetto di Anni- bale per non apparire il responsabile della violazione del trattato? 7. Quali osservazioni formula Livio in merito alla tattica militare seguita da Annibale contro la popolazione dei Carpetani? Quali scelte dimostrano la sua abilità tattica, quali la sua intelligenza strategica? 8. Servendoti di un vocabolario e di un atlante storico, individua correttamente la collocazione delle località indicate nel capitolo, in particolare Cartagena (Cartagine Nuova) e il fiume Tago. STILE E RETORICA 9. Nel par. 1 è evidente una figura di allitterazione: rintracciala e spiegane l’effetto. 10. Rintraccia e analizza esempi di brevitas che rendono più incalzante la narrazione. 9 testi agmine quadrato amnem ingressus fugam ex ripb fecit vastatisque agris intra paucos dies Carpetbnos quoque in deditionem accepit; 17. et iam omnia trans Hibfrum praeter Saguntjnos Carthaginiensium erant. Ab Urbe condita (Trad. P. Ramondetti) Testi a confronto La favola del topo di campagna e del topo di città La ricezione di questo apologo, che chiude la Satira II, 6 di Orazio (Testo 2), è molto ampia nella letteratura europea, in cui assieme al modello oraziano, vengono spesso recuperate le versioni dei favolisti antichi, Fedro ed Esopo. Jean de La Fontaine (1621-1695) Un celebre esempio di riscrittura è offerto da una delle Fables di Jean de La Fontaine, pubblicate nel 1692. La Fontaine vive alla corte di Luigi XIV, in un’epoca in cui la letteratura francese, intrisa di classicismo, intrattiene un rapporto particolarmente stretto con i testi antichi. Lo scrittore ha di certo avuto la possibilità di accedere a tutte le versioni antiche della favola, ma quella di Orazio, secondo gli interpreti, ha inciso in modo determinante. Una volta il Topo di città invitò molto garbatamente il Topo di campagna: c’eran da gustare avanzi di Ortolani. Su un tappeto di Turchia la mensa fu allestita; vi lascio immaginare la scorpacciata che fecero i due amici. Magnifica l’imbandigione1; nulla mancava al banchetto; ma sul più bello c’è qualcuno che viene a disturbare il festino. Odono rumore alla porta della sala; il Topo di città se la dà a gambe; il compagno lo segue. Il rumore s’acqueta, la gente è andata via: lesti i Topi ritornano all’assalto e il Cittadino dice: “Finiamoci tutto quanto l’arrosto”. “Basta, basta” fa il villico “domani verrete da me; non che io la pretenda di offrirvi simili banchetti da Re, ma nulla là viene a interrompermi e mangio con tutto il mio comodo. Addio dunque, al diavolo i piaceri guasti2 dalla paura”. (Trad. M. Zini) L’ETÀ DI AUGUSTO 1. imbandigione: apparecchiatura. 2. guasti: rovinati. CONFRONTI Come viene descritto l’ambiente del topo “cittadino” nella favola di La Fontaine? 1 Quali differenze si possono cogliere nella descrizione di ambiente, rispetto alle altre versioni della favola che hai letto? Orazio Epistole Carlo Porta (1755-1821) In ambito italiano l’apologo è stato ripreso nella poesia dialettale (per esempio da Trilussa p. 516), che è spesso incline a riflessioni moraleggianti a cui il genere “popolare” della favola si presta particolarmente. Riportiamo qui la versione del milanese Carlo Porta, che è purtroppo rimasta incompleta (compare tra i testi inediti dell’autore): la favola si interrompe infatti in corrispondenza del prevedibile finale, l’arrivo del gatto. Una notte un topolino ha invitato un ratto contadino per pappare quattro assaggi di salame e di formaggi, che i padroni della sua abitazione hanno gettato in terra a colazione. Ratt paisan mezz mort de famm el sent nanch a dì salamm ch’el respond on tocch d’on sì grand e gross pussee che mi. Ditt, e fatt ratt zittadin menna el picch in d’on stanzin, Il ratto di campagna, mezzo morto di fame, appena sente parlar di salame risponde con un pezzo di sì grande e grosso più di così. Detto e fatto, il topo cittadino conduce lo zoticone in uno stanzino, E lì subet ghe dan dent coj ranzai allegrament. in sto menter tutt a on tratt solta foera on porch d’on gatt ch’el trà salt d’on mia l’un … e lì subito ci danno dentro con gli avanzi allegramente. In quel mentre, tutto a un tratto salta fuori un maledetto gatto che fa dei balzi di un miglio l’uno ... (C. Porta) testi Ona nocc on Moriggieu L’ha invidaa on ratt campagnoeu à paccià quatter ranzaj de salamm, e de formaj, che i Patron della soa cà han traa in terra in del disnà. (Trad. L. Pirovano) CONFRONTI Come viene caratterizzato il topo di campagna nel testo di Porta? In tutte le versioni della favola, il banchetto dei due topi è disturbato dall’intervento di un agente esterno (in questo caso un gatto). Confronta la conclusione della favola in ognuno dei testi proposti: rifletti sulle differenze e prova a fornire una spiegazione. 2 Testi a confronto La fonte della poesia L’ode del fons Bandusiae, in cui l’immagine della sorgente, soprattutto in ambito romantico e simbolista, è stata connessa all’idea dell’ispirazione poetica, ha dato luogo a traduzioni e riscritture anche nella tradizione poetica italiana; proponiamo qui le celebri rielaborazioni di Giovanni Pascoli e di Gabriele d’Annunzio. Giovanni Pascoli (1855-1912) Nell’ampia ricezione dell’ode 3, 13 è molto interessante in Italia il caso di Giovanni Pascoli, autore di un poemetto in latino intitolato Fanum Vacunae, “Il tempio di Vacuna”, composto nel 1911, che ha per protagonista proprio Orazio. Pascoli immagina che il poeta latino nella sua villa di Sabina (dove si trova il tempietto di Vacuna, menzionato anche in una epistola di Orazio) ripensi in uno stato di dormiveglia alla casa natale, in Puglia. Tra i ricordi d’infanzia affiora quello della fonte a cui lui stesso ha dato il nome di Bandusia, in onore della ninfa che allora abitava la sorgente e che Orazio considerava l’ispiratrice della sua poesia. Pascoli, che nel poemetto rievoca il momento della consacrazione, sembra dunque proporre una lettura in chiave simbolica dell’ode oraziana, ricordando probabilmente analoghi usi della metafora della fonte come ispirazione poetica. Proponiamo il testo pascoliano (vv. 266 ss.) con la traduzione a fronte di A. Mocchino. Fanum Vacunae (XII, Bandusia) 270 275 280 Il tempio di Vacuna (XII, Bandusia) Te quocumque vocant nomine rustici, iamnunc Bandusiae fons eris, et tuas undas Appula puras pura fundat ab amphora, quae dempsit puero nympha sitim mihi, quae longis tenuit garrula fabulis aurem: quas utinam nunc ex te grandior audiam! Dic montes patrios, dic tenues lares, oro, dic ioca, dic seria, quot diu nobis abdita, mixtum nunc risum lacrimis cient: quot percepta semel corde pio, memor dicam digna piis cordibus. Hauriam sic ex fonte canorae vates rite puertiae! Quale sia il nome con cui ti chiamano i contadini, d’ora innanzi sarai la fonte di Bandusia, e le tue pure onde versi da una pura anfora la ninfa di Puglia. che tolse la sete a me fanciullo, che incantò il mio orecchio, chiacchierina, con lunghe fole: deh possa ora, fatto uomo, riudirle da te! Narra i monti del mio paese, narra la povera casa, narra ti prego le mie gioie e le mie pene: tutte le cose che, a lungo dimenticate, ora mi destano un riso misto di lacrime: le cose che, apprese una volta con cuore pio, memore io trasmetterò ai cuori pii, a cui si confanno. E che io poeta possa così attingere alle fonti della canora fanciullezza! L’ETÀ DI AUGUSTO (G. Pascoli) (Trad. A. Mocchino) CONFRONTI Pascoli immagina Orazio intento a consacrare la sorgente Bandusia alla ninfa sua ispiratrice: nella descrizione della sorgente noti delle analogie con il testo oraziano? Quali? 3 Sia il componimento oraziano che quello di Pascoli sviluppano il tema della funzione della poesia: con quali differenze? Orazio Epistole Gabriele D’Annunzio (1863-1938) Anche Gabriele D’Annunzio rivolge attenzione all’ode oraziana, di cui inserisce una traduzione nell’appendice alla raccolta poetica giovanile Primo vere (1878-1880), significativamente intitolata Tradimenti. La traduzione, in effetti, è una vera e propria riscrittura, in uno stile solenne e aulico, molto ricco di ripetizioni e di marcati effetti fonici, ben lontano quindi dalla sobrietà oraziana. testi Al fonte di Bandusia [da Orazio] A te di un limpido rivo vetro più limpido, degno di ambrosio1 vino e di florei serti2, io darò domane3, o fonte di Bandusia, 5 10 15 20 un capro giovine a cui dal turgido fronte ora i tenui4 corni ora spuntano, invan pronto ad amori e ad aspre invan battaglie, ché del vermiglio5 suo sangue tingere dovrà i tuoi gelidi, o fonte, rivoli6 diman questo rampollo di lascivietta greggia7. Tu doni a’ tauri stanchi del vomere e al gregge libero frescure amabili; ché te le fiamme atroci del solleon non ardono, te pari a’ nobili fonti, s’io celebri ne’ carmi l’ilice instante8 a’ concavi sassi onde via loquaci le tue linfe9 fluiscono. 1. ambrosio: fatto di ambrosia, il nettare degli dèi. 2. florei serti: corone di fiori. 3. 4. 5. 6. domane: domani. tenui: sottili. vermiglio: rosso vivo. rivoli: le acque correnti. 7. rampollo … greggia: cio che incombe. il figlio del gregge che sal- 9. linfe: acque. tella qua e là. 8. l’ilice … instante: il lec- CONFRONTI La traduzione/“tradimento” di D’Annunzio, composta in uno stile estremamente aulico, abbonda di latinismi, alcuni dei quali ricalcano termini impiegati da Orazio: per esempio “lascivietta”, al v. 12, rende lasci- vus (v. 8 dell’ode oraziana). Rileggi il componimento e trova qualche altro esempio del genere; ritieni che ci sia una differenza tra il livello stilistico del termine latino e quello del suo calco italiano? 4 Testi a confronto A fuggir l’età spendendo Accanto alla ripresa leopardiana dell’epistola I, 11 (p. 542), proponiamo qui un altro esempio di riscrittura moderna del componimento oraziano: l’idea che visitare luoghi celebri non giovi alla serenità interiore (il topos antico della mutatio loci) viene ancora una volta rivisitata e rielaborata. G. Meason e G. F. Whicher L’epistola I, 11 è chiaramente echeggiata in un componimento tratto dalla raccolta On the Tibur Road. A Freshman’s Horace (1912), degli americani George Meason e George Frisbie Whicher. È chiaro che siamo di fronte a una riscrittura “attualizzante” della poesia oraziana, come rivela immediatamente la strofa iniziale in cui all’elenco delle località famose visitate da Bullazio subentrano alcune importanti città americane. Anche in questo caso, alla rassegna delle prestigiose città, segue l’elogio la solitudine di campagna, presentata come la scelta di vita preferibile. I temi oraziani sono trasposti nella realtà americana con un tono scherzoso e ironico che attenua notevolmente l’inquietudine propria del modello antico. La mia fattoria sabina Alcuni parlano di Niuu York, di Cleveland pochi l’hanno mai fatto; cantano Baltimora a profusione, Chicago, Pittsburgh, Washington. Altri senz’invito si son cimentati per stendere lodi infinite di Boston, di piante di fagiolo che si snodano per miglia e strade curve dove ci si perde. Non darmi stridio di macchine o camion non fumo di città e rumore di mulini; piuttosto il lento flusso del Connecticut e giardini assolati sui pendii. Là, come nella foschia dei giorni d’estate, col vento svaniscono affanni e dolori. Ogni giorno passa contento e sicuro, incurante di ciò che porti il domani. L’ETÀ DI AUGUSTO (Trad. A. Ziosi) CONFRONTI Il componimento di Meason e Whicher “alleggerisce” Orazio: quali aspetti inquietanti della riflessione oraziana vengono “rimossi” dai poeti americani? 5 Confronta il componimento di Meason e Whicher con quello di Leopardi e sottolinea le differenze nel rielaborare il topos antico della mutatio loci. (I, 38) È un carme di congedo, che chiude il primo libro delle Odi: la collocazione di per sé è estremamente significativa, perché il poeta nelle odi iniziali e finali di ogni libro della sua raccolta, si concentra su se stesso, sulle proprie scelte esistenziali e poetiche. Nell’ode di apertura, ricorrendo allo schema del Priamel (Testo 3), ha presentato, tra le diverse possibilità di vita, la sua scelta personale, quella di un’esistenza dedicata alla poesia. Ora, nell’ode conclusiva, Orazio rappresenta se stesso come un placido commensale che chiede al proprio servo di preparargli un simposio semplice, senza lussi: a lui piace bere, incoronato di semplice mirto, all’ombra di una vite. Di certo il simposio semplice richiama un ideale di vita modesto, ma a questo significato potrebbe aggiungersene un altro: quello di rivendicare per la propria poesia uno stile semplice, lineare, privo di inutili ornamenti. Del resto, per Orazio, la semplicità non è solo uno stile di vita (in linea con i precetti filosofici seguiti dal poeta), ma anche una scelta poetica; secondo questa interpretazione, avremmo, alla fine del primo libro un manifesto di poetica speculare a quello di apertura. METRO ■ strofe saffiche 5 Persecos odj, puer, adparatus, displicent nexae philyrb coronae, mitte sectari, rosa quo locorum sera moretur. Simplici myrto nihil adlabpres sedulus curo: neque te ministrum dedecet myrtus neque me sub artb vite bibentem. 1 ss. Persicos ... moretur, “Odio, ragazzo, lo sfarzo persiano (Persicos ... adparatus), non mi piacciono le corone intrecciate (nexae) con fili di tiglio (philyra), smetti di cercare in qual luogo indugi (quo locorum... moretur) la rosa tardiva (rosa ... sera)”. – odi: “detesto”, perfetto logico. – Persicos: il lusso e la ricercatezza, nella cultura antica, erano tipicamente associati all’Oriente. – displicent: cambio di sogg. (dall’io del poeta si passa alle coronae). – philyra: è il nome greco del tiglio, dalla cui corteccia si ricavava un filo per cucire. – mitte: per omitte, con l’inf. oggetto sectari, corrisponde a un imperativo negativo. – quo locorum: l’avv. interrogativo + genitivo partitivo (= quo loco) introduce l’interrogativa indiretta. – rosa ... sera: iperbato; la rosa tardiva era particolarmente rara e ricercata. 5 ss. Simplici ... bibentem, “Desidero che tu non ti adoperi (adlabores sedulus) ad aggiungere nulla al semplice mirto: il mirto non è inadatto (neque ... dedecet) né a te che mi servi a tavola (ministrum) né a me che bevo sotto un breve pergolato (sub arta vite)”. – Simplici myrto: dativo retto da adlaboro (“sforzarsi di aggiungere”). – sedulus: pred. riferito al sogg. di adlabores (cioè il puer) secondo l’interpretazione prevalente. – curo: regge la volitiva nihil adlabores, con il cong. senza ut. – neque … dedecet: lìtote; il mirto, sacro a Venere, si addice perfettamente al poeta che canta l’amore. – te ministrum: acc. retto da dedecet, come il successivo me … bibentem; minister (da minus + -ter) è qualunque persona sottoposta a un’altra, e dunque un servo, un funzionario, qui il coppiere. – sub arta vite: c’è chi intende artus nel senso di “folto”, “fitto” (e quindi ombroso), ma l’interpretazione “sotto il pergolato ristretto” è più coerente con la scelta di semplicità del poeta. 1 testi 1 Congedo Orazio Odi Odi ANALISI DEL TESTO FORMALE L’estrema eleganza formale della poesia oraziana è evidente nell’ordine studiatissimo delle parole, che conferisce ad ogni singolo termine la massima incisività: al v. 1 il sostantivo adparatus e il suo attributo Persicos sono separati dall’iperbato e respinti ai due estremi del verso; al centro, altrettanto in evidenza, il verbo odi (“detesto”). Un altro iperbato espressivo è RoSA… SeRA (vv. 3-4): i termini coinvolti, per di più, sono isosillabici e quasi anagrammatici. Simplici myrto, un’espressione che si lega al tema portante del carme – la semplicità – è collocato primo piano, in incipit del v. 5; notevole, inoltre, la corrispondenza “verticale” o “colonnare” di neque te … / … neque me – vengono qui richiamate la persona del poeta e il suo destinatario – che, in due versi successivi (vv. 6-7), occupano esattamente la stessa posizione. ELEGANZA COLLOQUIALE Alla raffinatezza della forma corrisponde il tono colloquiale con cui il poeta si rivolge al puer: nell’esprimere le sue preferenze il poeta ricorre a verbi in uso nel linguaggio quotidiano, come odi (v. 1), displicent (v. 2), curo (v. 6). Sul piano semantico, odi ha qui il valore attenuato di “non mi piace”, proprio della conversazione confidenziale, e quindi funge da sinonimo di displicent; quest’ultimo da dis + placeo, indica la disapprovazione, qui espressa in base al gusto. Anche la perifrasi mitte sectari (v. 3), equivalente a una forma di imperativo negativo (“non cercare”), è L’ETÀ DI AUGUSTO TONO 2 un grecismo sintattico tipico della lingua familiare (lo si incontra spesso in Plauto e in Terenzio). Del resto la poesia ricorre sovente a espressioni del sermo cotidianus. SIMPOSIO “METAPOETICO” Come osserva F. Citti, “ode e libro si chiudono nel segno del simposio”. Il simposio è uno dei temi più significativi della poesia oraziana, che pervade di sé la raccolta dei Carmina: Orazio lo eredita dai lirici greci arcaici (significativa, in questo senso, la scelta del metro: l’ode saffica), ma lo rielabora sempre in modo originale. Nel caso specifico, la richiesta di un convito semplice assume un preciso significato simbolico: rinvia alla semplicità dello stile di vita, più volte Testo 2). rivendicata nelle Odi, ma anche nelle Satire ( A questo simbolismo potrebbe però aggiungersene un altro, di tipo “metapoetico”, ossia inerente alla poesia stessa: “metapoetico” è appunto quel particolare genere di riflessione che il poeta svolge sulla propria poesia. Non c’è dubbio, infatti, che la scelta di uno stile semplice – e viceversa il rifiuto di tutto ciò che è pomposo ed eccessivo – caratterizzi la poesia oraziana: simplex è una Testo 4). parola chiave del suo lessico “metapoetico” ( Dunque, la richiesta di un simposio semplice è anche la rivendicazione di una poesia semplice. Questa interpretazione sarebbe poi confermata dalla posizione che l’ode occupa nella raccolta: in chiusura di libro, e dunque in corrispondenza con l’ode di apertura, in cui Orazio aveva affermato la sua identità di poeta. UN (II, 14) Ahimè fugaci1, Postumo, Postumo2, scorrono gli anni, né la pietà per gli dèi3 ritarderà le rughe e l’incalzante vecchiezza, e l’indomata morte: 5 10 5 10 neppur se con trecento tori, quanti vanno via i giorni4, tu tenterai, amico, di placare Plutone illacrimabile5. Il tricorpore Gerione6 e Tizio7 egli rinserra con l’onda trista8 che tutti dovremo navigando attraversare, quanti dei frutti della terra ci nutriamo9, sia che saremo re10, sia che saremo miseri coloni. Eheu fugaces, Postume, Postume, labuntur anni nec pietas moram rugis et instanti senectae adferet indomitaeque morti, non si trecenis quotquot eunt dies, amice, places inlacrimabilem Plutpna tauris, qui ter amplum Gfryonen Tityonque tristi conpescit undb, scilicet omnibus, quicumque terrae munere vescimur, enavigandb, sive reges 1. fugaci: “che tendono a fuggire”; l’aggettivo latino fugax deriva dal tema di fugio, con la desinenza in -ax che sottolinea (spesso in senso negativo) la propensione a compiere l’azione indicata dal verbo. 2. Ahimè … Postumo, Postumo: l’effetto dell’interiezione di dolore è accresciuto dalla geminatio del nome proprio. 3. la pietà per gli dèi: devozione religiosa, con cui si cerca in genere di scongiurare la morte (vv. 6 ss. del testo latino). 4. quanti … i giorni: ossia per ogni giorno che passa; il poeta immagina un iperbolico sacrificio di trecento tori al giorno. 5. Plutone illacrimabile: il dio sovrano dell’Ade è restio alle lacrime, implacabile. 6. Il tricorpore Gerione: mostruoso gigante che, dalle anche in su, aveva il corpo triplicato; fu ucciso da Ercole nella sua decima fatica. 7. Tizio: un altro gigante, figlio della Terra, ucciso da Artemide. 8. onda trista: è la cupa palude dello Stige, da cui si accede all’Oltretomba. 9. quanti … ci nutriamo: la perifrasi, che indica il genere umano, deriva da Omero (Odissea VIII, v. 222, “i mortali … che mangiano il pane sulla terra” e altrove). 10. re: il termine indica genericamente i potenti, come “miseri coloni” designa le persone di umile condizione. 3 testi Orazio rivolge all’amico (amice, v. 6) Pòstumo un cupo monito: gli anni fuggono inesorabili, mentre si avvicinano la vecchiaia e la morte. La morte, soprattutto, non può essere evitata in nessun modo: è inutile cercare di ingraziarsi gli dèi con cospicui sacrifici, e anche evitare i pericoli delle guerre e delle malattie; tutti gli uomini, ricchi o poveri che siano, sono destinati a incontrare, prima o poi, le squallide presenze che popolano l’Oltretomba. La fuga del tempo, un tema centrale nella poesia oraziana (si pensi alle Odi I, 9 e I, 11), è in genere associato all’invito a godere la vita; in questo caso l’esortazione a concentrarsi sul presente è implicita nell’immagine finale dell’erede che si berrà il vino pregiato messo da parte. Quasi a dire, che se Pòstumo non si affretterà a godere del suo vino, qualcuno lo farà al posto suo. Orazio Odi 2 La fuga degli anni 15 Invano dal cruento Marte11 ci terremo lontani, e dai rotti flutti dell’Adriatico roco12. Invano, negli autunni, temeremo lo scirocco13 che fa male alle ossa. 20 Dobbiam vederlo il nero fiume languido Cocìto14 errante, e di Danao la stirpe infame15 e Sisifo16, figlio di Eolo, condannato alla lunga fatica. Dobbiam lasciare la terra e la casa e la piacente sposa! E di questi alberi17 che tu coltivi, nessuno fuor che gli invisi cipressi18 seguirà te fuggevole padrone. 25 15 20 L’ETÀ DI AUGUSTO 25 Si avrà19 un erede più degno i Cécubi20 sotto chiave invecchiati, e il pavimento tingerà21 con un vino superbo migliore che alle cene dei pontefici22. sive inopes erimus coloni. Frustra cruento Marte carebimus fractisque rauci fluctibus Hadriae, frustra per autumnos nocentem corporibus metuemus Austrum: visendus ater flumine languido Coˉ cyˉ tos errans et Danai genus infame damnatusque longi Sisyphus Aeolides laboris, linquenda tellus et domus et placens uxor, nequeharum quas colis arborum te praeter invjsas cupressos ulla brevem dominum sequetur. Absvmet heres Caecuba dignior servata centum clavibus et mero tinguet pavimentum superbo, pontificum potiore cenis. 11. cruento Marte: metonimia per la guerra. 12. roco: evoca il rumore della tempesta marina. 13. scirocco: questo vento rendeva particolarmente malsano il mese di settembre a Roma. 14. Cocìto: uno dei quattro fiumi infernali (dal gr. kokytós: “gemito”). 15. di Dànao la stirpe infame: le cinquanta figlie di Dànao, che, istigate dal padre, uccisero i mariti nella prima notte di nozze; esse furono con- 4 (Trad. P. Bufalini) dannate per l’eternità a versare acqua in un recipiente senza fondo. 16. Sisifo: figlio del re dei venti, Eolo, era stato condannato nell’Ade a sospingere in eterno un masso fino alla cima di un monte, da cui questo ricadeva nuovamente a valle. 17. questi alberi: il dimostrativo suggerisce che Orazio sia nella villa di Postumo, e indichi gli alberi che il padrone coltiva con amore. 18. invisi cipressi: per i Romani, come per noi, il cipresso era associato alla morte. 19. Si avrà: avrà. 20. Cècubi: il plurale indica che si tratta di molte anfore di Cécubo (pregiato vino del Lazio). 21. tingerà: le prime gocce di vino venivano versate a terra come offerta propiziatoria agli dèi; o forse l’erede scialerà il vino in spregio dell’antenato che lo aveva tenuto sotto chiave. 22. cene dei pontefici: erano rinomate per la loro raffinatezza. LINGUA E LESSICO 1. L’idea dell’ineluttabilità della morte è sottolineata da un ricorso insistito alla perifrastica passiva: sottoli- TEMI E CONFRONTI 3. L’ode offre al lettore un’immagine dell’aldilà: che caratteristiche presenta l’Oltretomba oraziano? Come sono rappresentate le creature che lo popolano? 4. Che funzione ha la figura dell’erede, evocata nell’ultima strofa dell’ode? 5. Il tema della fugacità della vita è presente in altre odi oraziane: quali, tra quelle che hai letto? STILE E RETORICA 6. L’incipit dell’ode è caratterizzato da un tono lugubre che evoca un’atmosfera funebre: nei primi due versi in particolare si accumulano un’interiezione di lamento, un’espressiva geminatio e l’insistita ripetizione del suono cupo /u/: individua e sottolinea ciascuno di questi stilemi. L’anafora e l’allitterazione sono presenti anche in altre parti dell’ode: rintracciane qualche esempio e illustrane la funzione. 7. La figura dell’iperbole (l’esagerazione) è presente ai vv. 5 e 26: individuala e spiegane la funzione. 5 testi nea le forme di gerundivo presenti nell’ode e osservane la posizione nel verso: ti sembra che contribuisca a sottolinearne l’incisività? 2. Anche in questa ode Orazio ricorre frequentemente ai grecismi (in particolare nomi propri), con lo scopo di impreziosire il suo stile. Rintracciali e sottolineali; a quale ambito si riferiscono tutti questi nomi greci? Orazio Odi GUIDA ALL’ANALISI Epistole 3 La micidiale accidia (I, 8) Orazio affida alla Musa una lettera per l’amico Celso, segretario e compagno di viaggio del principe Tiberio in una spedizione in Oriente compiuta nel 21 a.C. (la lettera dunque risalirà al 21/20). Il tono scherzoso, con la trovata di utilizzare la Musa come intermediaria, lascia però ben presto spazio all’amarezza, quando il poeta si trova a parlare di sé, della sua vita: nel suo podere di Sabina, Orazio è tutt’altro che sereno. Le preoccupazioni che lo assillano non sono di ordine pratico, ma psicologico ed esistenziale: è insofferente, annoiato, ansioso e se la prende anche con chi cerca di occuparsi di lui. Ormai anziano, non può che trarre un bilancio negativo della sua esperienza esistenziale: fallito il tentativo di conquistare la serenità attraverso la filosofia (v. 3), si ritrova oppresso da una “micidiale accidia” (v. 10). 5 10 15 A Celso Albinovano1, compagno e segretario di Nerone2, riferisci, Musa, te ne prego, il mio saluto e il mio augurio3: che stia bene. Se ti chiederà che faccio, tu rispondi che malgrado tante belle promesse la mia vita non conosce né saggezza né piacere4: e non perché la grandine abbia flagellato la mia vigna o la calura corroso l’uliveto, o perché su pascoli lontani soffra il bestiame di un’epidemia5. Ma perché, nella mente malato più che in tutto il corpo, non voglio udire, non voglio saper nulla di quanto mi potrebbe risanare6. L’impegno dei medici mi urta; m’irrita l’affetto degli amici, il loro prodigarsi per strapparmi a questa micidiale accidia7 Macché, mi attirano le cose dannose, mi respinge quello che potrebbe farmi bene. Sono come un vento: a Roma mi manca Tivoli, a Tivoli Roma8. Voltando pagina, chiedigli un po’ come sta, come svolge Il suo ruolo, come riesce a ingraziarsi il giovane capo e i sodali9. Se dice “benone”, ricorda: dopo esserti congratulata, sussurra subito dietro il suo orecchio questo mio messaggio: “Come ti regolerai con la tua sorte, Celso, anch’io così con te”10. L’ETÀ DI AUGUSTO (Trad. M. Beck) 1. Celso Albinovano: ci è noto solo da Orazio, che altrove (nell’epistola I, 3, vv. 15-20) accenna alle sue velleità poetiche e lo esorta a smetterla di copiare i versi altrui. 2. Nerone: Tiberio Claudio Nerone, il futuro imperatore (nel 14, alla morte di Augusto); Celso lo accompagnava in Oriente in qualità di segretario personale. 3. Musa … augurio: l’epistola si apre con una formula di saluto convenzionale che Orazio affida alla Musa. 4. né saggezza né piacere: Orazio allude qui ai precetti fondamentali della scuola stoica (“saggezza”) ed epicu- 6 rea (“piacere”) e ammette di non aver raggiunto la felicità né con una né con l’altra. 5. non perché … epidemia: il poeta non è afflitto da preoccupazioni di ordine materiale (i campi e il bestiame del suo piccolo podere in Sabina), ma psicologico, come precisa nei versi successivi. 6. non voglio … risanare: alla malattia si aggiunge il rifiuto della cura. 7. micidiale accidia: in latino funestus veternus; il veternus, da vetus, è la “malattia dei vecchi”, una specie di apatia, di disgusto per la vita. 8. sono come un vento … Roma: Orazio desidera di continuo cambiare luogo; inutilmente, perché il problema Testo 12). Tivoli era un poè l’ansia ( sto di villeggiatura particolarmente amato dal poeta. 9. i sodali: gli amici, i compagni della corte di Tiberio. 10. come ti regolerai … con te: se Celso saprà comportarsi bene anche nella felice condizione in cui si trova, Orazio si comporterà bene con lui; si tratta di una ammonizione scherzosa a non diventare superbo per la fortuna di essere alla corte del potente Tiberio. TEMI E CONFRONTI 1. Nell’ode Orazio ammette il suo fallimento sul piano esistenziale e filosofico: non è riuscito a conquistare né la sapienza degli Stoici né il piacere degli Epicurei. Il rapporto con la filosofia (soprattutto epicurea) è un tema che pervade tutta la produzione poetica di Orazio: prova a rintracciare qualche precetto filosofico nei testi che hai letto. 2. L’invocazione alla Musa, tradizionalmente tipica della poesia epica di tono solenne ed elevato, ha qui una funzione scherzosa: quale? 3. Orazio segue le convenzioni tipiche del genere epistolare: indica il nome del destinatario, introduce una formula di saluto, infine, un congedo. Individua questi elementi nel testo in questione. 7 testi STILE E RETORICA Orazio Epistole GUIDA ALL’ANALISI Ovidio Tristia (I, 3, vv. 1-26) 5 10 15 5 10 15 Quando mi torna in mente la visione tristissima di quella notte, delle ultime ore1 che passai a Roma, quando ripenso a quella notte in cui lasciai tanti miei affetti, ancora adesso2 mi si riga il viso di lacrime. Si era quasi levato il giorno in cui per ordine di Augusto dovevo allontanarmi dagli estremi confini d’Italia3. Non c’erano stati né tempo né condizioni di spirito adatte per fare i preparativi necessari: l’animo mio era rimasto intorpidito in un lungo indugio. Non mi curai di scegliere degli schiavi, un compagno, delle vesti o delle cose adatte a un profugo. Ero attonito come quando una persona colpita dalla folgore4 resta viva e non si rende conto d’esserlo. Quando però il dolore stesso rimosse questa nebbia che mi avvolgeva l’animo, e tornai infine ad avere percezione di quel che succedeva, rivolsi le ultime parole5 di commiato agli amici desolati, appena uno o due6 Cum subit illjus tristissima noctis imago, quae mihi suprfmum tempus in Urbe fuit, cum repeto noctem, qub tot mihi cara reljqui, labitur ex oculis nunc quoque gutta meis. Iam prope lux aderat, qub me discedere Caesar finibus extrfmae iusserat Ausoniae. Nec spatium nec mens fuerat satis apta parandi: torpuerant longb pectora nostra morb. Non mihi servorum, comitis non cura legendi, non aptae profugo vestis opisve fuit. Non aliter stupui, quam qui Iovis ignibus ictus vivit et est vitae nescius ipse suae. Ut tamen hanc animi nubem dolor ipse removit, et tandem sensus convalufre mei, adloquor extrfmum maestos abitvrus amicos, 1. ultime ore: traduce il latino supremum tempus, termine che indica spesso “il momento supremo” del trapasso dalla vita alla morte e qui suggerisce implicitamente l’idea che la vita del poeta sia finita con la partenza da Roma. 2. ancora adesso: anche a distanza di tempo Ovidio piange, quando pensa allo strazio della sua partenza. 3. Italia: traduce il latino Ausonia, con cui, propriamente, si indicava la terra degli Ausoni (o Aurunci), popolazione che era stanziata tra Liri e Volturno; indicherà poi l’Italia centro-meridionale e, presso i poeti, l’Italia in genere. 4. dalla folgore: l’ordine di Augusto che gli imponeva di lasciare Roma per la lontana Tomi giunse per Ovidio assolutamente inatteso, lasciandolo stordito come un uomo colpito da un fulmine. 5. rivolsi le ultime parole: traduce il latino adloquor extremum; la frase è adatta a una scena di commiato funebre, sia per l’avverbio extremum, “per l’ultima volta”, sia per la connotazione maestos. 6. uno o due: Ovidio lamenta che nel momento della disgrazia, di tanti amici che lo circondavano nel successo, appena uno o due erano venuti a salutarlo e a confortarlo. 1 testi Ovidio descrive la sua ultima notte romana, rievocando appassionatamente lo sbigottimento di fronte a un ordine di cui non si rendeva conto e l’ultimo doloroso addio ai suoi familiari e agli amici: il poeta parla di questo suo congedo con i termini che si usano per coloro che partono per l’ultimo viaggio, congedandosi dai vivi. Tristia 1 Roma, addio 20 25 dei tanti che avevo. Piangevo, e più straziato del mio era il pianto della mia sposa che con amore mi abbracciava7, mentre le lacrime scendevano incessanti a rigare quelle guance che non meritavano tanto dolore. Mia figlia era altrove, lontano sulla costa libica8, e non poteva aver saputo del mio destino. Dovunque si volgeva lo sguardo c’erano lutto e gemiti, e l’atmosfera dentro la casa era quella di un rito funebre, e in tono non sommesso9. Uomini, donne, anche i fanciulli10 piangono per la mia perdita, in ogni angolo ci sono lacrime. Se per piccole vicende si possono fare paragoni11 con grandi eventi, questo era l’aspetto di Troia mentre era espugnata. (Trad. F. Lechi) 20 25 qui modo de multis unus et alter erat. Uxor amans flentem flens acrius ipsa tenebat, imbre per indignas usque cadente genas. Nata procul Liby˘cis aberat diversa sub oris, nec poterat fati certior esse mei. Quocumquekaspiceres, luctus gemitusque sonabant, formaque non taciti funeris intus erat. Femina virque meo, pueri quoque funere maerent, inque domo lacrimas angulus omnis habet. Si licet exemplis in parvis grandibus uti, haec facies Troiae, cum caperftur, erat. 7. mi abbracciava: Ovidio rappresenta la situazione dei suoi cari di fronte alla terribile notizia: la moglie lo abbraccia piangendo, mentre la figlia, che era in Africa insieme al marito, non poteva partecipare al lutto della famiglia; l’uxor era Fabia, terza moglie del poeta, mentre la figlia Perilla aveva sposato Fido Cornelio, che in quel periodo era governatore della provincia d’Africa. 8. costa libica: per indicare genericamente l’Africa settentrionale (sineddoche). 9. in tono non sommesso: traduce il latino non taciti, lìtote per indicare “clamoroso”; il funerale romano, infatti, era accompagnato dai pianti delle prefiche e dal suono di flauti, corni e trombe. 10. anche i fanciulli: tutte le persone presenti nella casa, donne, uomini e bambini, erano tristi. 11. Se per piccole … paragoni: la premessa Si licet … uti vuole sminuire un po’ l’iperbole del v. 26, che paragona il trambusto della casa di Ovidio a quello di Troia presa e incendiata dai Greci. GUIDA ALL’ANALISI LINGUA E LESSICO 1. Che differenza c’è tra i superlativi supremus ed extremus (cfr. i vv. 2 e 6)? Da quali forme sono derivati? In quale accezione li impiega qui Ovidio? 2. L’elegia presenta svariati termini che indicano dolore e lutto: raccogliene quanti più puoi e, con l’aiuto del vocabolario, cerca di precisare le rispettive sfumature di significato. 3. Due aspetti, tra loro contrastanti, convivono in questo brano: da un lato, Ovidio si propone di trasmettere tutta la tristezza e tutto il dolore che l’allontanamento da Roma provoca in lui; dall’altro, non sembra rinunciare a uno sguardo autoironico e disincantato sulle proprie vicende. Da quali elementi linguistici (termini, espressioni, costrutti, figure retoriche) sono espressi questi due atteggiamenti? Quale sentimento ti sembra prevalente? Motiva le tue opinioni con riferimenti a partire dal testo. TEMI E CONFRONTI L’ETÀ DI AUGUSTO 4. Individua il pubblico esplicito del componimento. Quale, a tuo avviso, sarà stato, invece, il pubblico implicito? 5. Quello di Ovidio non fu un esilio in senso proprio, piuttosto una relegatio. Che differenza c’era fra le due condizioni? STILE E RETORICA 6. Riporta esempi di anafora, antitesi, metonimia, lìtote, iperbole, poliptoto, sineddoche e spiega quale valore abbiano nel contesto dei versi. 2 Ovidio Epistulae ex Ponto (I, 1) 5 10 15 20 25 Nasone1, abitante non nuovo2 del suolo di Tomi, ti manda questo libro dal getico lido3. Ospita, Bruto4, se puoi, le poesie fuggitive e trova un luogo qualunque dove riporle. In pubbliche sedi non osano entrare temendo che vieti loro l’ingresso la firma. Ah, quante volte ho detto: “Niente insegnate di sconcio5: andate. Quei posti si aprono ai versi puliti!”. Ma non ci vanno, e, come tu vedi, credono meno rischioso nascondersi dentro una casa. Ti chiedi dove tenerle senza offesa per gli altri? Dov’era l’Arte6: spazio là te ne resta. Sei forse sorpreso che ti siano arrivate. Prendile, per come sono; non vi si parla d’amore. Ma non troverai questo libro, che non annuncia dolore, meno triste7 dell’altro che già ti ho donato. Uguale l’argomento, diverso il titolo; e la lettera porta il nome del destinatario8. Tu non vuoi questo, ma non puoi impedirlo, Pur non accetta la Musa porta i suoi ossequi. Metti anche questa fra le mie cose. Niente proibisce, salva la legge, ai figli d’un esule d’essere a Roma. Non hai da temere. Gli scritti d’Antonio si leggono ancora e di scaffali non manca il colto Bruto9. Né ho la follia di credermi uguale a quei grandi nomi; io non ho mosso guerra tremenda agli dèi. 1. Nasone: Ovidio si riferisce a se stesso impiegando il suo cognomen Naso. 2. non nuovo: ovvero, residente qui da tempo. 3. getico lido: il riferimento non è al solo litorale, ma all’intera regione dei Getuli, a nord del Mar Nero. 4. Bruto: Bruttedio Bruto, oratore. A lui sono dedicati i primi tre libri delle Epistulae ex Ponto. Era un amico di Ovidio. 5. di sconcio: possibile allusione alla causa della relegatio, ovvero il carmen, forse licenzioso, che avrebbe involontariamente offeso Augusto. 6. Arte: nei Tristia si ricorda il divieto di conservare nelle biblioteche pubbliche le opere di Ovidio. Il riferimento qui è ai tre libri dell’Ars Amatoria. Da quando Ovidio sperimentò la relegatio a Tomi, nelle biblioteche non poterono più essere conservate le sue opere, né statue che lo ritraessero. 7. meno triste: di certo il titolo, in questo caso, non richiama l’idea di tristezza. Tuttavia, l’opera non è certo meno triste dei Tristia. 8. destinatario: differentemente dai Tristia, le Epistulae presentano il nome del destinatario. 9. Bruto: il ragionamento è il seguente: se gli scritti denigratori di Marco Antonio e M. Giunio Bruto vengono ancora letti a Roma, allora tanto più devono essere letti quelli di Ovidio che non ha mai attaccato né Augusto, né Cesare. 3 testi Nelle Epistulae ex Ponto, Ovidio aveva ormai perduto ogni speranza di tornare a Roma. La lingua è più libera, i destinatari delle lettere e le loro risposte (di norma taciuti nei Tristia) sono serenamente nominati, i dettami del genere epistolare (formule di saluto iniziale e di congedo, topoi correlati) sono più strettamente rispettati. E tuttavia, Ovidio continua a riflettere e a piangere sulla propria sorte, e su quella pesante damnatio memoriae che sembra incombere anche sulla sua opera. Ed è proprio per i suoi versi che, pur esiliato, egli chiede “diritto di cittadinanza” nell’Urbe, in questa commossa lettera proemiale a Bruto. Epistulae ex Ponto 2 A Bruto, dal mar Nero 30 35 40 45 50 55 L’ETÀ DI AUGUSTO 60 Infine a Cesare, che pur non ne è privo, tutti i miei libri rendono onore. Se di me dubiti, accogli le lodi divine; e prendi, tolto il nome, il mio canto. Giova in guerra l’ulivo della pace10; parlare di chi l’ha firmata non servirà? Dopo che Enea si fu caricato il padre sul collo, le fiamme stesse, si dice, gli fecero strada. Un libro porta un Eneade e non gli è aperto il cammino11? Ma questo è padre della patria, quello di un uomo. Chi è mai tanto audace che cacci dalla sua porta uno che agiti il sistro sonoro di Faro12? Quando il flautista canta davanti la Madre dei Numi13 con corno ricurvo, chi gli nega una piccola offerta? Ben sappiamo che non è volontà delle dèe, eppure non manca da vivere all’indovino. Il potere dei celesti mi turba il cuore ma vergogna non è l’averne credenza. Ecco, in luogo del sistro e del flauto di bosso frigio, io reco il sacro nome dei Giulii. Io predico e rivelo. Ammettete chi porta il rituale! Non è mia richiesta ma di un dio possente. Né perché meritai e patii l’ira del principe dovete pensare che io non voglia onorarlo. Vidi davanti al fuoco di Iside avvolta di lino14 chi confessava15 d’avere violato il suo nume. Un altro, privato degli occhi per simile causa, gridava in mezzo alla strada di averlo meritato. Godono di tali proclami i celesti, che sia data testimonianza della loro forza. Spesso alleviano la pena e rendono la vista tolta quando vedono un pentimento sincero. Oh, mi pento, se a un infelice si vuole credere, mi pento, torturato dal mio misfatto16. È dolore l’esilio, ma più ancora la colpa; meno è scontare la pena che meritarla. Per quanto mi aiutino i numi, di lui meno visibili, può essere tolta la pena, ma eterna è la colpa. 10. ulivo della pace: se un ramoscello di ulivo protegge la vita, tanto più dovrebbe essere capace di farlo la menzione di Augusto, auctor pacis, nell’opera di Ovidio. Il fatto che l’ulivo giovi in guerra è legato al messaggio simbolico a esso associato: in battaglia, l’invio di un ramoscello di ulivo stava a significare un’offerta di pace. 11. cammino: se le fiamme, durante la caduta di Troia, permisero il pas- 4 saggio di Enea che portava sulle spalle il vecchio Anchise, tanto più dovrebbe essere aperto il varco al libro di Ovidio che celebra i discendenti di Enea e lo stesso pater patriae, Augusto. Infatti, Augusto è il padre della patria, Anchise è solo il padre di Enea. 12. sistro ... Faro: è l’isola omonima vicina ad Alessandria ed è epiteto di Iside, la dea egiziana il cui attributo tradizionale era il sistro, un sonaglio bronzeo. 13. la Madre dei Numi: si tratta della Magna Mater, la dea frigia Cibele celebrata al suono della tibia Phrygia, una specie di oboe. 14. avvolta di lino: di fatto, i sacerdoti di Iside vestivano con abiti di lino. 15. confessava: Iside pretendeva una confessione pubblica. 16. misfatto: allusione al misterioso error che causò l’allontanamento di Ovidio da Roma. 80 testi 75 Epistulae ex Ponto 70 La morte impedirà che il mio esilio continui: non che io abbia commesso il mio errore. Dunque non meravigli che il mio cuore si strugga e sciolga come di goccia in goccia la neve. È corroso come nave da tarlo segreto, come l’onda salata scava gli scogli, come il ferro smesso è mangiato da ruggine scabra, come al buio il verme bruca il libro, così il mio petto sente sempre l’angoscia rimorderlo e i rimorsi non avranno mai fine. La vita, non il tormento lascerà l’anima; verrà meno il respiro, non lo strazio. Se i celesti, ai quali appartengo, mi credono, forse sarò ritenuto degno di un piccolo aiuto e finirò lontano dagli archi sciti17. Se chiedessi di più, sarei spudorato. Ovidio 65 (Trad. N. Gardini) 17. archi sciti: gli Sciti sono un altro popolo nordorientale, collocato a Nord del Mar Nero, famosi per la loro abilità come arcieri. GUIDA ALL’ANALISI TEMI E CONFRONTI 1. 2. 3. 4. Quali sono i motivi per i quali i libri di Ovidio avrebbero dovuto continuare a essere letti? Indica i riferimenti ad Augusto presenti nel testo. Come viene presentato l’imperatore? Come Ovidio presenta se stesso? Colpevole o innocente? Realizza una breve scheda sulla figura di qualche esule, per motivi di ordine politico, della storia contemporanea. STILE E RETORICA 5. Rileggi le similitudini presenti ai vv. 68 ss. e commentale alla luce del contenuto dei versi. 5 1 Didone scopre la sua passione (IV, vv. 1-89) METRO ■ esametri dattilici 5 10 At regina gravi iamdvdum saucia curb vulnus alit venis et caeco carpitur igni. Multa viri virtus animo multusque recursat gentis honos; haerent infixi pectore vultus verbaque nec placidam membris dat cura quietem. Postera Phoebfb lustrabat lampade terras umentemquekAurpra polo dimoverat umbram, cum sic unanimamkadloquitur male sana sororem: “Anna soror, quae me suspensamkinsomnia terrent! Quis novus hic nostris successit sedibus hospes, 1-2 At regina ... igni, “Ma la regina, già da gran tempo (iamdudum) ferita da una terribile pena (cura), nutre la ferita nelle sue vene ed è consumata (carpitur) dal fuoco nascosto (caeco)”. L’immagine della ferita come quella del fuoco d’amore sono correnti nella poesia erotica greca e latina. – venis: perché il sangue è sede dell’anima; si tratta di un ablativo di luogo senza in. – carpitur: questo verbo, all’attivo, indica l’atto con il quale si coglie e consuma un frutto. – caeco: l’aggettivo è usato in valore passivo, per indicare ciò che non è visto (non colui che non vede, come di solito). 3-5 Multa ... quietem, “Le torna in mente (animo ... recursat) il molto valore dell’eroe e la molta gloria della sua gente, le restano infissi (haerent infixi) nel cuore il suo viso e le parole e la pena non le consente un sonno tranquillo”. – recurso: è intensivo di recurro, verbo in cui già il prefisso re- indica la ripetizione dell’azione, come anche il poliptoto Multa ... multus. – viri virtus: figura etimologica, giacché la virtus è, nell’etica tradizionale romana, la qualità specifica del vir. – haereo: significa “aderire strettamente”, “esser piantato”, e quindi il suo significato è ribadito da infixi (part. pf. di in-figo, “piantar dentro”). – vultus / verbaque: l’allitterazione è marcata dall’enjambement. – placidam ... quietem, “un sonno che riposa”. – placidam: l’aggettivo placidus ha il valore etimologico da placo, “placare”, “calmare”. 6-8 Postera ... sororem, “L’aurora seguente (Postera) già illuminava con la luce del sole (Phoebea ... lampade) la terra e aveva allontanato dal cielo l’ombra umida, quando, fuori di sé, si rivolge alla (adloquitur) affezionata sorella”. – Phoebea ... lampade: lett. “con la lampada di Febo”; Phoebus era un appellativo di Apollo. – terras: il plurale è analizzante, per indicare diversi paesi. – polo: il termine polus indica propriamente l’asse della sfera celeste. – male sana: come insana, “fuor di sé”. – unanimam, “che condivide con lei tutti i sentimenti”: l’aggettivo preannuncia la confessione di Didone ad Anna. 9-12 Anna ... deorum, “Anna, sorella mia, quali sogni mi agitano e mi atterriscono! Chi è mai questo ospite 1 testi Il libro IV coincide con il dramma di Didone, dalla passione per l’eroe venuto da Troia all’abbandono e al suicidio. Nell’economia generale dell’opera virgiliana, la vicenda funge anche da “causa” dell’inimicizia mortale tra Cartagine e Roma, trasferendo sul piano del mito quello che fu lo scontro mortale tra le due potenze che, durante il III e il II secolo a.C., aspiravano all’egemonia nell’Occidente del Mediterraneo. Come si è visto, Virgilio riprende da Nevio l’idea di una sosta di Enea in Africa e di un incontro con la fondatrice di Cartagine, ma inventa la vicenda amorosa tra l’eroe troiano e la regina (già Timeo aveva raccontato che costei si era rifugiata in Africa dopo che suo marito Sicheo era stato ucciso a tradimento dal fratello di lei). Molti i modelli narrativi cui il poeta latino poteva ispirarsi per la storia d’amore: la prossimità del genere tuttavia gli suggeriva in particolare la storia di Medea e Giàsone dalle Argonautiche di Apollonio Rodio. In ambedue i casi l’amore nasce per un intervento divino, ma in Virgilio l’interesse della regina per lo straniero che è approdato in seguito alla tempesta sulle spiagge del suo paese è dettato anzitutto da un senso di umanità e partecipazione emotiva alle sue sventure. Nel corso del racconto delle peregrinazioni affrontate da Enea, questa simpatia umana per l’eroe coraggioso e sfortunato si trasforma in passione, e questa erompe quando Enea ha finito di raccontare. Didone, sotto l’influsso congiunto di Giunone e di Venere, è rimasta profondamente colpita dalla straordinaria personalità dell’ospite troiano. Tutta la notte ella è agitata e, al mattino, chiede consiglio alla sorella che la incoraggia a seguire l’impulso del suo cuore. Didone allora si adopera a trattenere il più possibile Enea presso di sé, e a interessarlo alla nuova città che sta sorgendo, guidandolo a visitare le nuove costruzioni e intrattenendosi con lui in prolungati convivi serali. Virgilio Eneide Eneide 15 20 25 quem sesekore ferens, quam forti pectoreket armis! Credokequidem, nec vana fides, genus esse deorum. Degeneres animos timor arguit. Heu, quibus ille iactatus fatis! Quae bellakexhausta canebat! Si mihi non animo fixumkimmotumque sederet ne cui me vinclo vellem sociare iugali, postquam primus amor deceptam morte fefellit; si non pertaesum thalami taedaeque fuisset, huic uni forsan potui succumbere culpae. Anna – fatebor enim – miseri post fata Sychaei coniugis et sparsos fraternb caede Penatis solus hic inflexit sensus animumque labantem impulit. Agnosco veteris vestigia flammae. Sed mihi vel tellus optem prius ima dehiscat vel pater omnipotens adigat me fulminekad umbras, pallentis umbras Erebo noctemque profundam, ante, pudor, quam te violokaut tua iura resolvo. L’ETÀ DI AUGUSTO straordinario (novus) che è venuto da noi? Come si presenta nell’aspetto (ore), come è forte nel petto e nel braccio! Credo davvero, e non è vana la mia convinzione, che egli sia discendente degli dèi”. – quae ... terrent: lett. “quali sogni atterriscono me agitata”. – suspensam: è part. cong. con me. – Quis ... hospes: lett. “Quale questo nuovo ospite è venuto (successit) nelle nostre sedi”. – novus: implica in questo caso l’idea di “mai visto”, quindi “straordinario”. – quem ... ferens: lett. “quale presentandosi (sese ... ferens) nell’aspetto”. – quam ... pectore ... armis: sono abl. di qualità, e armis deriverà da armus, “braccio”, piuttosto che da arma, -orum, “armi”. – equidem: rafforza l’affermazione. – genus, “discendenza”: il costrutto sarà “che (egli) sia prole ... ”. 13-14 Degeneres ... canebat!, “Il timore scopre gli animi ignobili. Ahimè, da quali vicende egli è stato tormentato! Quali guerre sostenute raccontava!”. – degener: può significare “colui che non ha un genus” oppure “colui che è moralmente inferiore ai suoi antenati”; l’italiano “degenere” si rapporta al secondo valore, mentre qui è più pertinente il primo. – iactatus: come nel proemio del poema (Aen. I, v. 3), dove il participio è più propriamente riferito alle tempeste marine. – exhausta, “portate a termine”: il verbo ex-haurio significa propriamente “attingere acqua fino in fondo da un recipiente”. 15-19 Si mihi ... culpae, “Se non mi stesse fisso e irremovibile nell’animo di non volermi (ne ... vellem) unire ad alcuno (cui) con un vincolo nuziale, dopo 2 che il primo amore mi è venuto meno, abbandonandomi con la morte, se non mi fossero venuti in odio (si non pertaesum ... fuisset) la camera e la fiaccola nuziale, a questa sola colpa, forse, avrei potuto cedere”. – Si ... non sederet, ... si non pertaesum ... fuisset, ... potui: periodo ipotetico dell’irrealtà (terzo tipo), in cui l’apodosi ha l’indicativo perché c’è potui, il cosiddetto “falso condizionale”. – sederet: l’espressione metaforica sottolinea l’intenzione ferma di Didone, marcata intenzionalmente da lei nel momento in cui quella fermezza vacilla. – iugali: l’immagine dello iugum per il matrimonio è corrente in latino come in greco. – postquam ... fefellit, “dopo che mi ingannò”: temporale; il perfetto è da fallo, -is, fefelli, falsum, -ere. – deceptam, “(me) delusa”: part. congiunto, concordato con me sottinteso; sia in fefellit sia in deceptam Didone sottolinea la sua condizione di vittima nella sua esperienza nuziale con Sicheo. – pertaesum ... fuisset: l’immagine è fortemente marcata, e il cong. fuisset al posto di esset vuole indicare che la repulsione per il matrimonio da tempo è profondamente radicata nell’animo della regina. 20-23 Anna ... flammae, “Anna, infatti lo confesserò, dopo la morte dell’infelice marito Sicheo e dopo che i Penati erano stati sparsi (di sangue) per l’assassinio di un fratello, solo costui ha scosso i miei sentimenti e ha spinto (impulit) il mio animo in modo da farlo vacillare (labantem). Riconosco le tracce dell’antica fiamma”. – Anna: la ripresa del vocativo introduce la confessione della passione. – miseri: perché era stato assassinato. – fraterna caede: Pigmalione era fratello di Didone. – caedes: è il sangue della strage, come in Catullo 64, v. 181, in cui Tèseo, che ha abbattuto il Minotauro, fratello di Arianna, è respersum ... fraterna caede. – labantem, “in modo da farlo vacillare”: predicativo; labor, -aris è intensivo di labor, -eris. – agnosco ... flammae: è ripetuto da Dante per descrivere la sua emozione nel momento in cui, alla sommità del Purgatorio, gli appare Beatrice: “conosco i segni de l’antica fiamma” (Pg. XXX, 48). 24-27 Sed mihi ... resolvo, “Ma vorrei (optem) che per me si spalancasse (dehiscat) la profondità della terra (tellus ... ima), o che il Padre onnipotente mi sprofondasse con il fulmine tra le ombre, le pallide ombre dell’Erebo e la profonda notte, prima che io offenda (violo) te, o Pudore, e infranga le tue leggi (tua iura)”. – optem: è cong. potenziale, che regge i due cong. volitivi (senza ut) dehiscat e adigat. – pater omnipotens: Giove viene invocato nella sua onnipotenza in questa terribile imprecazione che Didone rivolge a se stessa; la maledizione non sarà senza effetto. – Erebus: è uno dei nomi del regno dei morti. – ante ... quam violo aut ... resolvo: questa proposizione temporale dovrebbe avere il cong. dell’eventualità, ma forse Didone sentiva presente e reale l’evento che mostra di paventare, e perciò usa l’indicativo. – Pudor: è personificato come una divinità tutrice della moralità, e del resto a Roma la Pudicitia godeva di culto, differenziato tra una Pudicizia patrizia e una plebea (si veda Livio, Ab Urbe condita X, 23). 40 45 28-30 Ille ... obortis, “Quello che mi unì per primo a sé si è portato via il mio amore; egli lo tenga con sé e lo conservi nella tomba”. Dopo aver così parlato riempì il grembo delle lacrime sgorgate”. – meos ... amores: al plurale perché indica i “sentimenti amorosi”. – habeat ... servet: cong. desiderativi. – effata: è termine aulico da un non attestato effor. – lacrimis ... obortis: abl. di mezzo; il participio viene da oborior, -iris, ortus sum, iri. 31-34 Anna ... sepultos?, “Anna replica: “O tu che sei più cara della luce a tua sorella, dunque da sola ti consumerai in una perpetua verginità, e non conoscerai i dolci figli, né i doni di Venere? Credi che di questo si preoccupi(no) la cenere o i Mani defunti?”. – luce: il termine lux indica la luce del giorno, e per metonimia corrente la vita. – solane ... carpere, “forse che ti consumerai?”: la particella interrogativa si appoggia alla parola più importante, collocata enfaticamente all’inizio di verso. – carpere = -eris: il verbo è medio. – natos: sta per filios, ma su un registro più alto. – Veneris praemia: sono i “doni di Afrodite”: in Iliade III, v. 54 indicano i pregi della bellezza, ma poi costantemente le gioie dell’amore; Virgilio ha messo al primo posto i dulces nati, nella prospettiva austera dell’etica tradizionale romana. – noris: forma sincopata per noveris, futuro anteriore con valore di futuro semplice, dal pf. novi con valore di presente. – Manis (= -es, acc. plur.) sono le ombre divinizzate dei morti. 35-38 Esto ... amori?, “Sia pure, nessun pretendente mai ha piegato la tua afflizione, non in Africa, non prima a Tiro; è stato disprezzato Iarba e gli altri capi, che l’Africa nutre, terra ricca di trionfi: contrasterai anche un amore che ti piace?”. – Esto: l’imperativo futuro ha tono solenne, apparentemente senza repliche. – nulli ... mariti: mariti non di fatto, ma nella loro intenzione. – flexere = -erunt: forma arcaizzante. – despectus: sott. est; il verbo de-spicio, “guardare dall’alto in basso”, assume per metafora corrente il valore del nostro “disprezzare”. – Libyae, “di Libia”: genitivo; così i Romani chiamavano l’Africa settentrionale. – Tyro: abl. d’origine; si noti la variatio. – placitone: ancora la particella interrogativa sulla parola rilevante; placito ... amori è dat. di relazione; Anna suggerisce implicitamente l’idea che gli altri pretendenti erano sgraditi a Didone, a differenza di questo. 39-44 Nec venit ... minas?, “E non ti viene in mente nei territori (arvis) di chi ti sei insediata (consederis)? Da una parte ti cingono (cingunt) le città dei Getùli, razza invincibile in guerra, e i Nùmidi scatenati (infreni) e la Sirte inospitale, dall’altra una regione deserta per aridità (siti) e i Barcei che per gran spazio impazzano. Perché dovrei ricordare (Quid ... dicam) le guerre che sorgono da Tiro e le minacce di tuo fratello (germani)?”. Anna prospetta abilmente anche i vantaggi politici di una nuova unione della sorella, la- testi 35 Virgilio Eneide 30 Ille meos, primus qui me sibi iunxit, amores abstulit; illekhabeat secum servetque sepulcro”. Sic effbta sinum lacrimis implevit obortis. Anna refert: “O luce magis dilecta sorori, solane perpetub maerens carpfre iuventb nec dulcis natos Veneris nec praemia npris? Id cineremkaut Manis credis curare sepultos? Esto:kaegram nulli quondam flexfre mariti, non Libyae, non ante Tyrp; despectus Iarbas ductoresquekalii, quos Africa terra triumphis dives alit: placitoneketiam pugnabis amori? Nec venit in mentem quorum consederis arvis? Hinc Gaetvlaekurbes, genus insuperabile bello, et Numidaekinfreni cingunt et inhospita Syrtis; hinc deserta siti regio lateque furentes Barcaei. Quid bella Tyrp surgentia dicam germanique minas? Dis equidemkauspicibus reor et Ivnpne secundb hunc cursumkIliacas vento tenuisse carinas. sciando intendere che non si tratterebbe di una scelta egoistica e dettata da un’empia passione, ma al contrario di una mossa da grande statista. – quorum ... arvis: è una interr. indiretta con funzione soggettiva; Getuli e Numidi erano popolazioni dell’Africa settentrionale, di cui i Romani stessi – come narra Sallustio nel Bellum Iugurthinum – avevano conosciuto la ferocia sin dall’inizio del I secolo a.C. – infreni: è riferito propriamente all’usanza dei Numidi di cavalcare cavalli non bardati, “senza freni”, ma prospetta l’idea di combattenti abili e terribili. – Syrtis: maior e minor erano i due golfi di Sidra e di Gabes, nell’Africa settentrionale; l’agg. inhospita si riferisce al paese e, implicitamente, anche ai suoi abitanti. – Barcaei: abitavano la città di Barca in Cirenaica; erano lontani, ma temibili per le loro scorrerie. – Quid ... dicam: con il cong. dubitativo, è interrogazione retorica. – germanique minas: uno dei 58 versi dell’Eneide lasciati incompiuti da Virgilio (tibicines, “puntelli”), e che si era ripromesso di completare in un secondo tempo. 45-46 Dis equidem ... carinas, “Certo credo (reor) che con il favore degli dèi (dis ... auspicibus: abl. assoluto) e con la protezione di Giunone le navi iliache abbiano fatto (tenuisse) questa rotta”. – auspex è detto propriamente di chi prende gli auspici; qui indica gli dèi che li danno. – carinas, “carene”: per “navi”, è sineddoche. 3 50 55 60 65 Quam tukurbem, soror, hanc cernes, quae surgere regna coniugio tali! Teucrum comitantibus armis Pvnica se quantis attollet gloria rebus! Tu modo posce deos veniam, sacrisque litatis indulgekhospitio causasquekinnecte morandi, dum pelago desaevit hiems et aqupsus Orjon, quassataeque rates, dum non tractabile caelum”. His dictis incensumkanimum flammavit amore spemque dedit dubiae menti solvitque pudorem. Principio delubrakadeunt pacemque per aras exquirunt; mactant lectas de more bidentis legiferae Cereri Phoeboque patrique Lyaeo, Ivnpnikantekomnis, cui vincla iugalia curae. Ipsa tenens dextrb pateram pulcherrima Djdp candentis vaccae mediakinter cornua fundit, aut antekora deum pinguis spatiatur ad aras, instauratque diem donis, pecudumque reclusis pectoribvs inhians spirantia consulit exta. Heu, vatumkignarae mentes! Quid vota furentem, quid delubra iuvant? Est mollis flamma medullas intereaket tacitum vivit sub pectore vulnus. L’ETÀ DI AUGUSTO 47-49 Quam tu ... rebus!, “Quale tu vedrai questa città, o sorella, che regno vedrai sorgere in conseguenza di un simile matrimonio! A quale potenza (quantis ... rebus) si innalzerà la gloria di Cartagine con l’aiuto delle armi troiane!”. – Quam ... quae ... quantis: pronomi esclamativi, i primi due in anafora poliptotica; da cernes dipende prima l’acc. Quam ... urbem ... hanc, poi l’oggettiva quae surgere regna. – Teucrum = -orum. – comitantibus armis: abl. assoluto. – quantis ... rebus: dat. di termine. 50-53 Tu modo ... caelum, “Tu soltanto chiedi indulgenza (veniam) agli dèi e, compiuti i sacrifici propiziatori (sacris ... litatis), abbandònati all’ospitalità e intreccia (innecte) motivi di indugio, mentre l’inverno e Orione piovoso (aquosus) infuriano nel mare e le navi sono danneggiate, mentre il clima è sfavorevole’”. – modo, “soltanto”: per suggerire che la realizzazione del piano è agevole. – litatis: il verbo litare significa “fare un’offerta propiziatoria”; qui, in abl. assoluto, ha un complemento oggetto sottinteso (sacra: “riti sacri”). – innecte: intrecciare implica l’idea dell’inganno, e nel greco di Saffo (fr. 1, 1 V.) proprio Afrodite è “intrecciatrice di inganni”. – Orion: il tramonto di questa costellazione segna l’inizio della cattiva stagione. – caelum: è il clima. – non tractabile: lìtote, fa pensare a un cavallo indomito o a altro animale selvaggio. 4 54-55 His dictis ... pudorem, “Con queste parole infiammò l’animo ardente (incensum) d’amore e diede speranza alla (sua) mente incerta (dubiae) e (ne) sciolse il pudore”: Didone aveva detto in precedenza che voleva sprofondare tra i morti prima di sciogliere le leggi del Pudore (v. 27 ante ... quam ... tua iura resolvo). 56-59 Principio ... curae, “Anzitutto si recano ai templi (delubra adeunt: Didone e Anna) e chiedono pace di altare in altare (per aras); sacrificano pecore (bidentis), dopo averle scelte secondo il rito (lectas de more), a Cerere legislatrice, e a Febo, e a Bacco (Lyaeo) padre, e anzitutto a Giunone, cui stanno a cuore (cui ... curae) i vincoli coniugali”. – per aras: andando da un altare all’altro. – bidens: è la pecora di un anno, cui spuntano i due nuovi incisivi della dentizione definitiva; Cerere e Febo presiedevano alla fondazione di nuove città, e quindi sono invocati a propiziare la fondazione di Cartagine; Bacco è tradizionalmente associato a Cerere: dalla dea veniva il dono del pane, da Bacco quello del vino; per i Greci l’appellativo Lyaios era inteso in relazione al verbo lyein, “sciogliere”, “liberare”, in quanto Bacco era “liberatore dalle preoccupazioni”. – cui ... curae: doppio dativo. 60-64 Ipsa ... exta, “Didone stessa, bellissima, tenendo una tazza (pateram) nella (mano) destra, la riversa tra le corna (media inter cornua) di una bianca vacca o avanza (spatiatur) verso i pingui altari sotto lo sguardo degli dèi (ante ora deum), e inaugura il giorno con offerte e, aperti i petti delle vittime, consulta anelante le viscere palpitanti”. – patera: è una coppa dalla larga apertura (da pateo, “essere aperto”) . – ante ora deum (= deorum): l’idea dello “sguardo degli dèi” implica quella della benevolenza che ci si attende da loro. – candentis: agli dèi superi, come Giunone, si offrivano vittime candide; anche il versare il vino tra le corna era rituale; Virgilio si dimostra sempre molto attento a questi dettagli. – spatiatur: il verbo implica l’idea di un procedere solenne. – instaurat: il verbo si dice del “rinnovare” un rito (l’instauratio era obbligatoria in caso di errore), quindi qui forse si intende che Didone rinnova le offerte ogni giorno. – reclusis: il verbo recludo significa “aprire”. – pectoribus: la -u di questa desinenza è normalmente breve, ma Virgilio assume da Omero la libertà di allungare una breve per esigenze metriche. – inhians: implica l’idea della bocca aperta per la tensione, ma anche per l’incantamento amoroso (Lucrezio I, v. 36 lo dice di Marte inhians mentre contempla Venere). – spirantia, “palpitanti”: la pratica dell’aruspicina imponeva di osservare le viscere (exta) prima che l’animale sacrificato morisse. 65-67 Heu, vatum ... vulnus, “Ahimè, menti ignare degli indovini! A 80 85 che servono le preghiere, a che i templi a lei fuori di sé (furentem)? La fiamma divora (est) le tenere (mollis) midolla e la ferita nascosta (tacitum) vive nel cuore”. Le menti degli indovini sono ignarae perché nessuno di loro è in grado di sospettare la ragione per cui Didone interroga le viscere, e tutti pensano che sia per il futuro della città: proprio loro, cui i devoti si rivolgono per conoscere il futuro, ignorano del tutto il presente. La polemica contro l’aruspicina, gli indovini e le “superstiziose” religioni orientali (già tipica di un autore greco classico come Eurìpide, V secolo a.C.) non è infrequente nei poeti dell’età augustea (per es. Orazio, Carm. I, 11), in linea con un potere che mirava alla salvaguardia delle tradizioni “romane”. – Quid ... ?, “In che?”: acc. di relazione. – delubra: sta per templa, ma il vocabolo è tipico di un registro alto. – Eˉ st: da edo, “mangiare”, mentre e˘st viene da sum. – tacitum: Virgilio dice “silenzioso” per dire “invisibile”, con una trasposizione dell’organo di senso (sinestesia). 68-73 Uritur ... harundo, “Arde l’infelice Didone ed erra fuori di sé (furens) per tutta la città, come, dopo che è stata scagliata una freccia, una cerva, che un pastore, mentre lei non si guardava (incautam) ha colpito da lontano (procul) nei boschi di Creta (nemora inter Cresia), mentre la inseguiva con le frecce (agens telis) e, senza saperlo (nescius), ha lasciato (nella ferita) la freccia volante: quella nella sua fuga ( fuga) percorre le selve e le gole del Ditte (Dictaeos); la freccia letale resta infissa (haeret) nel suo fianco”. – infelix: ricorre otto volte a proposito di Didone, come un appellativo formulare epico; così furens riprende qui furentem del v. 65. – tota ... / urbe: compl. di stato in luogo senza in, per la presenza di totus. – incautam: da in, prefisso negativizzante, e caveo, “guardarsi”, “fare attenzione”. – Cresia: è la forma (di tipo greco) usata dai poetae novi per Cretensis; Creta era famosa per i suoi arcieri. – linquit: il verbo linquo è di uso poetico per relinquo: qui, la “freccia volante” è “lasciata” nella ferita; il pastore, cioè, “non sa” (nescius) di avere effettivamente colpito la cerva. – volatile, “che vola”: raramente è detto di oggetto inanimato; il monte Ditte era nell’isola di Creta. – harundo: lett. “canna”, di cui è composta la freccia (sineddoche). 74-76 Nunc media ... resistit, “Ora guida Enea con sé in mezzo alla città (media ... per moenia) e mostra le ricchezze sidonie e la città pronta; comincia a parlare (effari) e si arresta a mezzo del discorso” . – moenia: lett. “mura”, che cingono la città. – Sidonias: cartaginesi, perché Cartagine era colonia di Tiro, e questa era stata fondata da coloni venuti da Sidone; potrebbe anche trattarsi di indeterminatezza poetica, per indicare “fenicie”. – paratam: la città non era ancora compiuta, ma già “pronta” ad accogliere i Troiani. – mediaque ... resistit: tra i segni della passione amorosa c’era il venir meno della parola, come in Saffo “la lingua si spezza” (fr. 31, 9 V.) che Catullo traduce lingua sed torpet (51, 9). testi 75 Virgilio Eneide 70 Uritur infelix Djdp totbque vagatur urbe furens, qualis coniectb cerva sagittb, quam procul incautam nemorakinter Crfsia fixit pastor agens telis liquitque volatile ferrum nescius: illa fugb silvas saltusque peragrat Dictaeos; haeret lateri letalis harundo. Nunc mediakAenfan secum per moenia ducit Sidoniasquekostentat opes urbemque paratam, incipit effari medibquekin voce resistit; nunc eadem labente die convivia quaerit, Iliacosquekiterum demens audire labores exposcit pendetquekiterum narrantis ab ore. Post ubi digressi, lumenquekobscura vicissim luna premit suadentque cadentia sidera somnos, sola domo maeret vacub stratisque relictis incubat. Illumkabsens absentemkauditque videtque, aut gremiokAscanium genitoris imagine captb detinet, infandum si fallere possit amorem. 77-79 nunc eadem ... ab ore, “ora ella, al declinare del giorno (labente die) ricerca lo stesso convito (eadem ... convivia) e fuor di sé (demens: cfr. furens ai vv. 65 e 69) chiede di ascoltare nuovamente le vicende di Troia (Iliacos ... labores) e nuovamente pende dalle labbra del narratore” . – labor: il verbo esprime il “declinare” degli astri e lo scorrere silenzioso del tempo (cfr. Hor. Carm. 2, 14, 2 labuntur anni). – eadem ... convivia: il banchetto del giorno precedente con gli stessi convitati, ma uno in particolare, naturalmente Enea. – pendet ... ab ore: Virgilio aveva presenti le parole che Lucrezio (I, v. 37) rivolge a Venere, riferite a Marte che nel bacio dell’amplesso e ... tuo pendet ... ore; il ricordo di quel passo (cui si allude anche al v. 64), dove l’immagine ha valore proprio, accentua il tono erotico di questa situazione. 80-85 Post ubi ... amorem, “Poi, quando sono partiti (digressi: sott. sunt) e la luna a sua volta oscurandosi nasconde la sua luce (lumen ... premit), e gli astri che tramontano invitano al sonno (suadent ... somnos), sola (sola) nel palazzo vuoto (domo ... vacua: tale era per lei dopo la partenza di Enea) si tormenta e si sdraia (incubat) sulle coperte abbandonate. Lontana ode e vede lui lontano, o si tiene in grembo Ascanio, presa dall’immagine del padre, per cercare di ingannare (si fallere possit) il terribile amore”. – suadentque ... somnos: con le stesse parole Enea aveva iniziato il suo racconto in II, v. 9. – stratis ... incubat: Didone si distende sulle coperte del divano abbandonate da Enea. – absens 5 Non coeptaekadsurgunt turres, non arma iuventus exercent portusvekaut propugnacula bello tuta parant: pendent operakinterrupta minaeque murorumkingentes aequataque machina caelo. absentem: poliptoto, allitterante con audit. – si ... possit, “per vedere se poteva”: introduce un’interrogativa indiretta. – infandum: propriamente infandus significa “che non può esser detto”, “indicibile”, da fari, “dire”, quindi “terribile”. 86-89 Non coeptae ... caelo, “Le torri iniziate non si elevano, i giovani non si esercitano nelle armi, né preparano porti o difese (propugnacula) sicure per la guerra: restano sospese (pendent) le opere interrotte e le grandi mura minacciose (minae ... murorum in- gentes) e le impalcature che si levano al cielo”. – arma ... exercent: è espressione più preziosa del prosastico armis se exercent. – bello: dat. di scopo. – minae murorum: lett. “minacce di mura”. – machina: indica i tavolati delle impalcature. GUIDA ALL’ANALISI LINGUA E LESSICO 1. Analizza, dal punto di vista sintattico, i vv. 15-19. 2. Sottolinea e analizza la funzione dei congiuntivi dei vv. 24-29. TEMI E CONFRONTI 3. Virgilio esprime il dissidio di Didone operando una contrapposizione fra il livello della coscienza e quello del sentimento. Sottolinea i versi in cui ciò si rende evidente. 4. Come è considerato da Didone l’amore nei confronti di Enea? 5. Facendo ricorso anche a un dizionario mitologico, riassumi la storia della regina Didone e soffermati brevemente anche sulla figura di Sicheo. 6. La sorella Anna risponde a Didone ricorrendo a due argomentazioni: riassumile. STILE E RETORICA 7. Virgilio ama usare l’enjambement. Nei vv. 1-30 il suo impiego è limitato a 4 occorrenze che, proprio per questo, risultano ancor più significative. Rintracciale e spiegale. 8. Analizza, dal punto di vista stilistico, il discorso di Didone ad Anna ai vv. 9-29, sottolineando la funzio- ne, in particolare, di anafora, poliptoto, esclamazioni. L’ETÀ DI AUGUSTO 9. Spiega la similitudine impiegata nei vv. 67 ss., soffermandoti su illustrans e illustrandum. 6 (VI, vv. 450-476) Nel libro VI, autentico confine tra la parte “odissiaca” (dei viaggi) e quella “iliadica” (della guerra) dell’Eneide, Enea, guidato dalla Sibilla cumana, scende agli Inferi, e lì vede una grande quantità di anime di morti. Nel gruppo delle eroine morte per amore scorge Didone e per lei l’eroe troiano ha parole d’affetto. Non riceve però che uno sdegnoso silenzio. testi METRO ■ esametri dattilici 450 455 460 465 470 Inter quas Phoenissa recens a volnere Dido errabat silva in magna; quam Troius heros ut primum iuxta stetit adgnovitque per umbras obscuram, qualem primo qui surgere mense aut videt aut vidisse putat per nubila lunam, demisit lacrimas dulcique adfatus amore est: “Infelix Dido, verus mihi nuntius ergo venerat exstinctam ferroque extrema secutam? funeris heu tibi causa fui? Per sidera iuro, per superos et si qua fides tellure sub ima est, invitus, regina, tuo de litore cessi. Sed me iussa deum, quae nunc has ire per umbras, per loca senta situ cogunt noctemque profundam, imperiis egfre suis; nec credere quivi hunc tantum tibi me discessu ferre dolorem. Siste gradum teque aspectu ne subtrahe nostro. Quem fugis? Extremum fato quod te adloquor hoc est”. Talibus Aeneas ardentem et torva tuentem lenibat dictis animum lacrimasque ciebat. Illa solo fixos oculos aversa tenebat nec magis incepto vultum sermone movetur quam si dura silex aut stet Marpesia cautes. Tandem corripuit sese atque inimica refugit 450-455 Inter quas … amore est. Enea intravede Didone e le si rivolge con dolci parole. – quas: nesso relativo, sta per eas e indica il gruppo delle eroine morte per amore. – Phoenissa: il termine è riferito a Dido da cui è separato per iperbato; rimanda all’origine di Didone che, infatti, veniva da Tiro di Fenicia, dalla quale era fuggita dopo che il fratello Pigmalione le aveva ucciso il marito Sicheo per impadronirsi dei suoi beni. – recens a volnere, “dalla fresca ferita”: si sottolinea che Didone era morta da poco tempo; l’espressione corrisponde, per significato, a recens a morte e il termine volnere equivale a vulnere. Si noti, inoltre, che qui volnus non rimanda solamente alla ferita mortale, ma anche alla ferita d’amore (e con quest’accezione è usato nel libro IV, al v. 2). – silva in magna: costruisci in magna silva (iperbato). – quam: è da legare a iuxta (anastrofe) del verso successivo; si tratta di un nesso relativo. – stetit, “stette”: il perfetto vuole fissare il momento in cui Enea si ferma accanto alla regina. – adgnovitque: dopo stetit, secondo la figura dello hysteron proteron. – qualem … lunam: costruisci qualem lunam (adgnoscit is) qui primo mense (all’inizio del mese lunare) eam surgere aut videt aut vidisse putat (eam) per nubila “come riconosce la luna colui che, all’inizio del mese, la vede o crede di averla vista fra le nuvole”. 456-466 “Infelix Dido … hoc est”. Enea parla a Didone, dolorosamente sorpreso per il tragico gesto da lei compiuto. – exstinctam: come il successivo secutam vede sottinteso te esse. – invitus, “non di mia volontà”: Enea ci tiene a sottolineare che la partenza da Cartagine non era stato frutto di un Virgilio Eneide 2 Enea a Didone nell’Ade suo personale capriccio; del resto, nel libro IV, al v. 361, aveva già chiaramente detto: Italiam non sponte sequor. – cessi: sta per discessi “mi allontanai”. – senta: si tratta dell’aggettivo sentus, -a, -um, “orrido”, da ricollegare al termine sentis, -is che vuol dire “spino”. – situ: è ablativo sing. da situs, -us e indica “l’effetto del lungo stare”, cioè “l’abbandono”. – egfre: equivale a egfrunt. – quivi: si tratta del perfetto di queo ed è forma arcaica che equivale, per significato, a potui. – aspectu: sta per aspectui. – quod: introduce una dichiarativa dipendente da extremum hoc est. 467-476 Talibus Aeneas … miseratur euntem. Didone, inflessibile, si allontana e si rifugia nel bosco ombreggiato, ove l’aspetta il marito Sicheo. – Talibus: in iperbato, da legare a 7 475 in nemus umbriferum, coniunx ubi pristinus illi respondet curis aequatque Sychaeus amorem. Nec minus Aeneas casu percussus iniquo prosequitur lacrimis longe et miseratur euntem. dictis. – torva: accusativo neutro plurale, equivale a un avverbio e determina il successivo participio tuentem (“che guardava biecamente”). – lenibat: corrisponde a leniebat; si tratta di un imperfetto di conato, “cercava di placare”. – ciebat: con il senso di effundebat; si noti l’immagine, per certi aspetti straniante, dell’eroe troiano che versa lacrime. – solo: da intendersi insieme a fixos, detto di oculos, “gli occhi fissi al suolo”. – Marpesia: si riferisce a Marpessus, un monte dell’isola di Paro molto noto per i suoi marmi bianchi. – corripuit sese, “s’involò”, “si strappò”. – inimica: assolve la funzione sintattica di predicativo del soggetto. – coniunx ubi: iperbato (= ubi coniunx). – Nec minus: equivale a nihilominus. – concussus: dice del profondo turbamento, della forte commozione provata dall’eroe. GUIDA ALL’ANALISI LINGUA E LESSICO 1. Proponi un’analisi etimologica e semantica dei seguenti termini: errabat (v. 451) Infelix (v. 456) invitus (v. 460) torva (cfr. il verbo torqueo) TEMI E CONFRONTI 2. Ricorda altri esempi di donne del mito classico morte per amore. 3. Enea, nel rivolgersi a Didone, ribadisce una necessità che aveva già sottolineato nel libro IV: quale? Rispondi, citando espressioni significative dei due passi. 4. Didone mostra distacco, ma da che cosa è dominata in realtà? 5. Che rapporto c’è, ora che sono entrambi morti, fra Didone e il primo marito? Come spieghi il fatto che l’eroina si rifugia presso di lui? STILE E RETORICA 6. Rintraccia casi di anastrofe presenti nei versi. 7. Soffermati sulla similitudine dei vv. 452 ss. e spiegane illustrans e illustrandum. Rispetto alla scena e L’ETÀ DI AUGUSTO all’immagine rappresentate, che cosa intende mettere in rilievo? 8 (VI, vv. 752-787) Anchise così aveva detto1 e trae in mezzo al convegno e alla folla2 rombante il figlio con la Sibilla; e sale su un colle3 onde tutti si possan di fronte in quel lungo passaggio discernere i volti. «Adesso ti svelo qual gloria il futuro riserba alla prole di Dàrdano4, quali dell’Itala gente nipoti avrai, anime illustri che il nostro nome5 nel mondo avranno; e a te mostrerò il tuo destino6. Quel giovane, vedi, che all’asta s’appoggia sfornita di punta di ferro7 è il più vicino a tornare nel mondo, sorgerà per il primo alla luce terrena da sangue Italico misto col tuo: è Silvio8, tuo ultimo nato, che a te, già inoltrato negli anni, la moglie Lavinia alleverà nelle selve eletto ad essere re e padre di re: onde tua stirpe regnerà su Alba Longa. Quello a lui presso9 è Proca, vanto alla gente Troiana, 1 così aveva detto: Anchise aveva esposto le vicende delle anime dopo la morte. 2 al convegno e alla folla: si tratta delle anime che si affollavano sulle rive del Lete per tornare a incarnarsi. 3 e sale su un colle: come per occupare un luogo di osservazione, da cui Enea potrà vedere i suoi futuri discendenti. Nell’intenzione di Enea, la discesa agli Inferi era sollecitata da motivi di affetto filiale, per rivedere Anchise che era morto durante la sosta in Sicilia; nel disegno del poema, però, essa assume una funzione importante per la conferma della missione di Enea e per l’esaltazione di Roma, dalle origini all’impero di Augusto, il cui progetto politico costituisce la base ideologica dell’Eneide. Quindi questa rassegna è uno dei luoghi più importanti del poema, e non a caso è collocata a cerniera tra la narrazione dei viaggi di Enea e quella del suo arrivo in Italia e delle guerre che avrebbe sostenuto per fondare la città che gli dèi gli destinavano. 4 prole di Dàrdano: in quanto Dardano, partito dall’Italia, era stato il fondatore di Troia; la Dardania proles non è distinta dagli Itala de gente nepotes, giacché nella prospettiva del poema Troia e Roma costituiscono una continuità ininterrotta, nell’alternanza dei viaggi dei rispettivi eroi fondatori, Dardano dall’Italia alla Troade ed Enea in senso inverso. 5 il nostro nome: come in un ideale atto di adozione, in cui i Romani assumono il nome degli antenati Troiani. 6 tuo destino: in questo momento l’investitura sacra di Enea, progenitore dei re albani, è esposta con tutta l’autorità del luogo e della persona che parla, e resa evidente dalla visione che gli si apre nella valletta. 7 punta di ferro: è l’asta priva di ferro, destinata quindi a non macchiarsi di sangue umano. 8 Silvio: qui Virgilio sembra seguire la tradizione, riferita da Catone, secondo la quale Lavinia, perseguitata da Ascanio dopo la morte di Enea, si sarebbe rifugiata in un bosco per partorire Silvio, che avrebbe avuto il nome dalla selva dove era nato. 9 a lui presso: vicino a Silvio ci sono, in ordine, i suoi successori: Proca, Capi, Numitore. 9 testi Il libro VI dell’Eneide richiama il libro XI dell’Odissea con il suo viaggio nel mondo dei morti. Sulla via del Lazio, Enea si ferma presso la Sibilla di Cuma e, da lei guidato, visita gli Inferi: qui, oltre alle figure tipiche dell’Oltretomba, quali Caronte o Cerbero, incontra il suo nocchiero Palinuro e la regina Didone. Dopo il mancato colloquio con quest’ultima, Enea e la Sibilla arrivano a un bivio: a sinistra si avviano le anime colpevoli che attendono i meritati supplizi, mentre Enea si avvia a destra, per giungere ai Campi Elisi, dove soggiornano le anime virtuose. Alcune di esse si dedicano agli esercizi sportivi che avevano praticato da vivi, mentre altre siedono in un prato erboso banchettando e cantando un peana. Fra essi la Sibilla scorge l’anima di Museo che indica loro il luogo dove potranno trovare Anchise. Il padre di Enea, in una valletta, sta osservando le anime che si preparano a uscire alla luce per una nuova incarnazione, e tra queste i suoi discendenti, i futuri Romani. Alla vista di Enea, Anchise gli si fa incontro commosso, e il figlio, per tre volte, cerca invano di abbracciare la sua immagine senza corpo. Quindi Anchise spiega a Enea che molte anime, che muoiono senza essersi liberate completamente delle colpe o delle passioni terrene, sono obbligate a reincarnarsi nuovamente fino a che non hanno raggiunto una completa purificazione. Lo invita quindi a salire su una collinetta, per potergli mostrare un altro gruppo di anime, quelle che attendevano di incarnarsi, e che un giorno sarebbero appartenute ai discendenti suoi e di Enea, e avrebbero reso grande e famosa la nuova patria dei Troiani: dai re di Alba Longa fino ad Augusto. Virgilio Eneide 3 Anchise mostra le anime a Enea e poi Capi e poi Numitore e poi l’altro che avrà pure il tuo nome10: Silvio Enea egualmente egregio nell’armi e nei riti pietosi se mai salirà per regnare sul trono di Alba. Che giovani! osserva la forza che mostrano ai gesti! e portan del civico serto di quercia11 ombrata la fronte. Questi Nomento e Gabi e Fidena, questi sui colli fonderanno Collazia e Pomezia e Castro di Fauno e Bola e Cori12: terre or senza nome13 e un giorno famose. E seguirà sùbito all’avo nel regno il figlio di Marte Romolo, che Ilia sua madre di Assaraco sangue alleverà14. Vedi che ha due creste sul capo e il Padre lo fregia d’insegna immortale fra gli uomini15. Sotto gli auspici di lui l’inclita Roma, o figliuolo, avrà quanto il mondo grande l’imperio e pari avrà l’animo a quello dei Numi celesti e ben sette colli da sola cingerà con un muro, bella di prole d’eroi: così la Madre Cibele16 turrita percorre sul carro le città della Frigia, lieta di prole divina e abbraccia cento nipoti tutti abitanti le sfere alte del cielo. (Trad. E. Cetrangolo) L’ETÀ DI AUGUSTO 10 che avrà pure il tuo nome: giacché si chiamava Silvio Enea. Gli antichi commentatori virgiliani ci informano che solo a cinquantatré anni Silvio Enea ricevette il potere regale, che gli era stato usurpato dal tutore. 11 quercia: la corona di quercia era l’onorificenza riservata ai cittadini che avessero salvato in guerra un proprio concittadino, ma da quello che Virgilio dice in seguito si intende che fosse loro dovuta quali fondatori di città. 12 Nomento ... Cori: si enumerano qui otto delle trenta città che facevano parte della confederazione albana; Nomento era in Sabina; Gabi tra Roma e Preneste; Fidene nella bassa valle del Tevere, tra Roma e Veio; Collazia ai 10 piedi dei colli alla sinistra dell’Aniene; Pomezia nell’agro Pontino, ed era piuttosto volsca che latina; Castro di Fauno era forse una località vicina all’odierna Centocelle; Bola era nel territorio degli Equi e solo più tardi entrò nella lega latina; Cora, oggi Cori, era città dei Volsci. In questo modo Virgilio amplifica intenzionalmente l’estensione e la potenza dell’antica lega fondata dai re albani. 13 senza nome: il nomen è un elemento di individuazione delle singole comunità cittadine, che un giorno esisteranno e avranno ognuna il proprio nome, mentre ora al loro posto ci sono solo terreni anonimi, sine nomine terrae. 14 alleverà: nella versione seguita negli Annali di Ennio, Ilia era figlia di Enea e per questo discendente di Assaraco (uno dei figli del fondatore di Troia). In questo modo Romolo, divenuto dio alla sua morte, avrebbe raggiunto tra gli dèi Enea. 15 due creste ... uomini: l’elmo con il doppio cimiero era proprio di Marte, e “il Padre” è forse ancora Marte, padre di Romolo, che gli conferiva le proprie insegne; altri pensano che si tratti di Giove, che già in Omero è padre per eccellenza, in quanto “padre degli uomini e degli dèi”. 16 Cibele: la gran madre degli dèi, che godeva di culto nella città frigia di Berecinto. Cibele era tradizionalmente rappresentata con il capo coronato di torri. LINGUA E LESSICO 1. Tra le scelte linguistiche e sintattiche finalizzate a comunicare immediatezza e vivacità al discorso di TEMI E CONFRONTI 3. Che cosa spinge Enea a scendere nell’Ade? 4. Il nome Sibilla indica un personaggio femminile attestato nell’area indoeuropea e dotato di capacità profetiche. Diverse erano le Sibille: quella qui ricordata è una delle più celebri, la Sibilla di Cuma. Svolgi una ricerca per trovare nomi e caratteristiche delle altre. 5. Perché Anchise parla dopo essere salito su un colle? 6. Che importanza assume, nell’ottica complessiva del poema, la discesa agli Inferi? Perché la rassegna degli eroi è proposta fra la narrazione dei viaggi di Enea e il suo arrivo in Italia? 11 testi Anchise vi è senza dubbio l’insistenza sugli elementi deittici (pronomi e aggettivi), con cui il padre di Enea indica a dito i personaggi che compongono il vasto affresco storico dell’oltretomba. Rintracciali e, per ciascuno di essi, indica il referente. 2. Negli ultimi sette versi Roma viene caratterizzata da una serie di elementi che servono ad amplificarne l’importanza: rintracciali e sottolineane il significato e il valore. Virgilio Eneide GUIDA ALL’ANALISI 4 Eurialo e Niso Enea e i suoi sono giunti in Italia e l’approdo nel Lazio, di cui si narra nel libro VII, sarà l’inizio della realizzazione della profezia di Anchise, realizzazione che però non sarà priva di sofferenze e sanguinose lotte. Turno, il re dei Rùtuli dichiara, infatti, guerra a Enea e assale l’accampamento troiano. Nel libro IX ha inizio la guerra vera e propria anche perché Iride, su incarico di Giunone, informa Turno dell’assenza di Enea dal campo troiano. All’inizio del medesimo libro, Niso che sta montando la guardia di notte, manifesta all’amico Eurialo la volontà di uscire dall’accampamento per recarsi da Enea e così avvertirlo del rischio che i Troiani stavano correndo. L’amico è deciso ad accompagnare Niso che, vanamente, tenta di convincerlo a rimanere. Passati attraverso il campo dei Rùtuli, che sono pesantemente addormentati anche perché ubriachi, non resistono all’idea di farne strage, ma sulla via incappano in uno squadrone di cavalieri latini. Niso, più agile, riesce a mettersi in salvo, ma Eurialo è circondato e catturato. Niso, accorgendosi di essere rimasto solo, ritorna indietro e attacca i Latini per liberare Eurialo. Entrambi rimarranno uccisi. 315 320 325 315 320 L’ETÀ DI AUGUSTO 325 Usciti1, superano i fossi2, e nell’ombra della notte si dirigono al campo nemico, ma prima sarebbero stati3 di eccidio a molti. Sull’erba vedono corpi rovesciati dal sonno e dal vino, carri con il timone alzato sulla riva, uomini tra briglie e ruote, e giacere insieme armi e otri4. Per primo l’Irtacide5 parlò così: «Eurialo, osiamo col braccio; la situazione6 c’invita. La via è per di qua. Affinché nessuna schiera possa coglierci da tergo, provvedi e vigila da lontano; io seminerò strage, e ti guiderò in un vasto solco». Così dice, e frena la voce; ed assale con la spada il superbo Ramnete7, che su spessi tappeti Egressi superant fossas noctisque per umbram castrakinimica petunt, multis tamen ante futuri exitio. Passim somno vinoque per herbam corpora fusa vident, arrectos litore currus, inter lora rotasque viros, simul arma iacere, vina simul. Prior Hyrtacides sic ore locutus: “Euryale,kaudendum dextrb: nunc ipsa vocat res. Hbc iter est. Tu, ne qua manus sekattollere nobis a tergo possit, custodiket consule longe; haec ego vasta daboket lato te limite ducam”. Sic memorat vocemque premit, simul ense superbum Rhamnftemkadgreditur, qui forte tapetibus altis 1 Usciti: traduce il latino egressi. Si intende usciti (Eurialo e Niso) dal campo troiano. 2 fossi: sono i fossati che circondano il campo stesso. 3 sarebbero stati: traduce futuri, “destinati a essere” che è part. congiunto determinato dai due dativi multis (di svantaggio) ed exitio (di effetto). 12 (IX, vv. 314-449) 4 otri: in latino abbiamo vina che presenta metonimia (il contenuto, vina, per il contenente, gli “otri”). La scena presenta il campo dei Rutuli che, convinti di non correre pericoli, hanno allentato la disciplina, dormendo ubriachi senza più montare di guardia. 5 Irtacide: patronimico, per Niso, figlio di Ìrtaco. 6 la situazione: il fatto che i Rutuli fossero ubriachi e addormentati. 7 Ramnete: è il nome di una delle tre tribù originarie di Roma, così come il secondo ucciso si chiama Remo, del quale più sotto vengono ricordati i ruoli di rex e augur; compito dell’augur era rilevare l’augurium, il presagio che si ricavava osservando le viscere degli animali uccisi. 340 330 335 340 testi 335 Virgilio Eneide 330 ammucchiati spirava sonno dal profondo del petto: era re e augure, gratissimo al re Turno, ma con l’augurio non poté allontanare da sé la rovina8. Vicino uccide tre servi che giacevano a caso tra le armi, e lo scudiero di Remo; all’auriga trovato sotto i cavalli col ferro squarcia il collo riverso; poi decapita il loro padrone, e lascia il tronco rantolante nel sangue9; la terra e i giacigli s’intridono caldi di nero umore. E anche Lamiro e Lamo10, e il giovane Serrano11, che aveva giocato fino alla notte più tarda, bellissimo d’aspetto, giaceva con le membra vinte dall’eccesso del dio12; fortunato, se senza intervallo avesse pareggiato il gioco alla notte protraendolo fino alla luce. Come un leone digiuno che sconvolge un gremito ovile (lo spinge una fame furiosa) e addenta e trascina le tenere pecore mute di terrore; ruggisce con le fauci insanguinate. Non minore la strage di Eurialo13; ardente anch’egli imperversa, e nel folto assale una grande anonima folla, Fado, e Erbeso, e Reto e Abari exstructus toto proflabat pectore somnum, rex idemket regi Turno gratissimus augur, sed non augurio potuit depellere pestem. Tris iuxta famulos temerekinter tela iacentis armigerumque Remi premit aurigamque sub ipsis nanctus equis ferroque secat pendentia colla. Tum caput ipsikaufert domino truncumque relinquit sanguine singultantem;katro tepefacta cruore terra torique madent. Nec non Lamyrumque Lamumque et iuvenem Serrbnum,killb qui plurima nocte luserat, insignis facie, multoque iacebat membra deo victus – felix, si protinus illum aequbsset nocti ludumkin lucemque tulisset: impastus ceu plena leo per ovilia turbans – suadet enim vesana fames – manditque trahitque molle pecus mutumque metu, fremit ore cruento. Nec minor Euryali caedes; incensus et ipse perfurit ac multamkin medio sine nomine plebem, FbdumquekHerbfsumque subit RhoetumquekAbarimque 8 la rovina: con analoga ironia Omero ricorda Ènnomo, comandante dei Misi, “indovino, / ma non scongiurò con i presagi la nera morte” (Iliade II, vv. 858 s.). 9 rantolante nel sangue: si noti il latino sanguine singultantem in cui troviamo allitterazione e paronomasia; dal tronco sgorgava il sangue con un suono simile a un rantolo. La cruda descrizione della morte è tipica del genere epico. 10 Lamiro e Lamo: coppia allitterante di nomi di personaggi (Lamyrum Lamumque) uniti dalla stessa sorte. 11 Serrano: Serranum è un altro no- me romano. 12 dio: qui Bacco, metonimia per “vino”. 13 di Eurialo: Niso aveva raccomandato a Eurialo di stare in disparte e coprirgli le spalle, ma quello si lascia trascinare nel massacro. 13 345 350 355 360 345 350 355 L’ETÀ DI AUGUSTO 360 inconsapevoli14; Reto si era svegliato e tutto vedeva, celandosi atterrito dietro un grande cratere15: mentre si alzava Eurialo gli immerse da presso la spada in pieno petto, e la estrasse con molta morte16. Quegli emette l’anima purpurea17, e morendo rigetta vino misto a sangue; questi, fervido incalza nell’agguato. S’appressava ai compagni di Messapo18; lì vedeva morire l’ultimo fuoco e legati secondo l’usanza i cavalli brucare l’erba: quando brevemente Niso – lo sentì trasportato da troppa foga di strage – «Smettiamo» disse, « poiché s’avvicina la luce nemica19; ci siamo vendicati abbastanza; s’apre la via tra i nemici». Lasciano numerose armi di guerrieri, forgiate in argento massiccio, e crateri e bei tappeti20. Eurialo afferra, adattandole alle spalle inutilmente forti, le borchie di Ramnete e la tracolla21 a placche d’oro, che un tempo il ricchissimo Cedico mandò in dono a Remulo tiburte, stringendo amicizia da lontano; ignaros; Rhoetum vigilantemket cuncta videntem, sed magnum metuens se post cratfra tegebat. Pectorekin adverso totum cui comminus ensem condidit adsurgentiket multb morte recepit. Purpuream vomit illekanimamket cum sanguine mixta vina refert moriens, hic furto fervidus instat. Iamquekad Messbpi socios tendebat; ibikignem deficerekextremumket religatos rite videbat carpere gramen equos, breviter cum talia Njsus – sensit enim nimib caedekatque cupidine ferri – “Absistamus” ait, “nam lux inimica propinquat. Poenarumkexhaustum satis est, via facta per hostis”. Multa virum solidokargento perfecta relinquunt armaque cratfrasque simul pulchrosque tapetas. Euryalus phaleras Rhamnftis et aurea bullis cingula, Tjburti Remulo ditissimus olim quae mittit dona,khospitio cum iungeret absens, Caedicus; ille suo moriens dat habere nepoti; 14 inconsapevoli: perché stavano dormendo; si riferisce a Fado, Erbeso, Reto e Abari, ma subito dopo il poeta si corregge, dicendo che Reto era sveglio. 15 grande cratere: il cratere era un grande vaso che serviva nei simposi per mescolare acqua e vino (dalla radice del verbo gr. “mescolare”): ne esistevano anche di grandissimi, che un uomo non riesce ad abbracciare, e dietro uno 14 di questi si sarà nascosto Reto. 16 molta morte: espressiva metonimia per “ferita mortale”; quella ferita è la morte di Reto. 17 purpurea: l’anima usciva insieme al sangue. 18 Messapo: era il re di un territorio che comprendeva, fra le altre località, Falerii e Fescennio. 19 luce nemica: in quanto li rende- rà visibili. 20 tappeti: la razzia faceva tradizionale seguito alla strage epica. 21 tracolla: Remulo morendo ha trasmesso il dono a un nipote, e questi a sua volta è morto combattendo contro i Rutuli; in quell’occasione la tracolla di Cedico finì in possesso di Ramnete. 375 380 365 370 375 380 testi 370 Virgilio Eneide 365 quegli morendo la dà in possesso al nipote; dopo la morte i Rutuli se ne impadroniscono guerreggiando in battaglia. Poi indossa l’elmo di Messapo, agevole e adorno di creste. Escono dal campo, e prendono vie sicure22. Frattanto cavalieri mandati in avanscoperta dalla città latina, mentre il grosso dell’esercito indugia schierato nella pianura, andavano e portavano a Turno risposte del re: trecento, tutti armati di scudi, guidati da Volcente23. E già s’avvicinavano al campo, e arrivavano al muro, quando li scorgono24 lontano piegare in un sentiero a sinistra; l’elmo tradì l’immemore25 Eurialo nell’ombra luminescente della notte, e rifulse26 percosso dai raggi. Non passò inosservato. Grida dalla schiera Volcente: «Fermatevi, uomini; che ragione all’andare? Che soldati siete? Dove vi dirigete?». Essi non si fecero incontro, ma fuggirono veloci nel bosco e s’affidarono alla notte. Da tutte le parti27 i cavalieri si slanciano nei noti bivii e circondano di guardie tutti gli sbocchi28. post mortem bello Rutuli pugnbque potiti: haec rapit atquekumeris nequjquam fortibus aptat. Tum galeam Messbpikhabilem cristisque decoram induit. Excedunt castris et tuta capessunt. Interea praemissikequites ex urbe Latjnb, cetera dum legio campis instructa moratur, ibant et Turno regi responsa ferebant, ter centum, scutatikomnes, Volcente magistro. Iamque propinquabant castris murosque subibant cum procul hos laevo flectentis limite cernunt, et galeakEuryalum sublustri noctis in umbrb prodidit immemorem radiisquekadversa refulsit. Haud temerekest visum. Conclbmat ab agmine Volcens: “State, viri. Quae causa viae? Quivekestis in armis? Quove tenetis iter?” Nihil illi tendere contra, sed celerare fugamkin silvas et fidere nocti. Obiciunt equites sesekad divortia nota hinc atquekhinc, omnemquekaditum custode coronant. 22 vie sicure: l’apparentemente felice conclusione del massacro prepara la tragedia: l’orgoglio del giovane che riveste l’elmo preso al nemico si rivelerà non meno fatale di quello di Ettore, che nell’Iliade spoglia Patroclo suscitando l’ira di Achille, o – proprio nell’Eneide – di quello di Turno, che indosserà la cintura di Pallante e sarà per questo ucciso da Enea, negli ultimi versi del poema. 23 guidati da Volcente: in latino abbiamo l’ablativo assoluto Volcente magistro, in cui il termine magister usato in relazione a chi comanda la cavalleria (il magister equitum che accompagnava il dittatore), insieme al precedente legio si riportano decisamente all’uso romano, come il numero di trecento: tanti erano i cavalieri che accompagnavano una legione romana. 24 li scorgono: Eurialo e Niso avevano già superato senza danni il campo dei Rutuli, e per caso si imbattono nel contingente latino comandato da Volcente: la casualità è sottolineata da cernunt “scorgono” (il verso ha come soggetto i Rutuli). 25 immemore: Eurialo non pensava più al pericolo, che credeva superato. 26 rifulse: l’elmo di Messapo è di fronte (adversa) ai raggi della luna e quindi li riflette. 27 da tutte le parti: il termine latino divortia è un nome derivato da dis + la radice del verbo verto, per indicare l’atto di “volgersi in opposte direzioni”. 28 tutti gli sblocchi: i Latini dispongono come dei posti di blocco. 15 385 390 395 400 385 390 395 L’ETÀ DI AUGUSTO 400 Era una vasta selva irta di cespugli e di nere elci, e dovunque la riempivano fitti rovi; lucevano radi sentieri tra piste occulte. Ostacolano Eurialo le tenebre dei rami e la pesante preda, e il timore lo trae in inganno con la direzione delle vie. Niso s’allontana. Incauto, oltrepassa il nemico, e i luoghi che dal nome di Alba29 si chiamarono Albani – allora, alte pasture, li aveva il re Latino –, quando si ferma e si volge inutilmente all’amico scomparso: «Eurialo, infelice, dove mai ti ho lasciato? E per dove seguirti?». Ripercorrendo tutto l’incerto30 cammino della selva ingannevole, e insieme scrutando le orme, le percorre a ritroso, ed erra tra i cespugli silenti. Ode i cavalli, ode lo strepito e il richiamo31 degli inseguitori: non passa lungo tempo, quando gli giunge agli orecchi un clamore, e vede Eurialo; già tutta la torma, con improvviso tumulto impetuoso, trascina lui oppresso dall’inganno della notte e del luogo, lui che tenta invano ogni difesa. Che fare? con quali forze ed armi oserà salvare il giovane? o si getterà per morire sulle spade nemiche, e affretterà con le ferite32 la bella morte? Silva fuit late dumis atquekilice nigrb horrida, quam densi complfrant undique sentes; rara per occultos lucebat semita callis. Euryalum tenebrae ramorumkonerosaque praeda impediunt, fallitque timor regione viarum. Njsus abit; iamquekimprvdens evaserat hostis atque locos qui post Albae de nomine dicti Albbni – tum rex stabulakalta Latjnus habebat –, ut stetit et frustrakabsentem respexit amicum: “Euryalekinfelix, qub te regione reljqui? Qubve sequar?” Rursus perplexumkiter omne revolvens fallacis silvae simul et vestigia retro observata legit dumisque silentibus errat. Audit equos, audit strepitus et signa sequentum; nec longumkin medio tempus, cum clamor ad auris pervenit ac videt Euryalum, quem iam manus omnis fraude lociket noctis, subito turbante tumultu, oppressum rapit et conantem plurima frustra. Quid faciat? Qub vi iuvenem, quibus audeat armis eripere? kAn sese medios moriturus in enses inferat et pulchram properet per vulnera mortem? 29 Alba: la città di Alba Longa, che fu fondata più tardi da Ascanio. 30 incerto: forse meglio “intricato” in quanto perplexus viene da per- intensivo + plecto, “intrecciare”. 31 richiamo: il termine signa indica 16 gli avvertimenti che si scambiano gli inseguitori. 32 affretterà con le ferite: il verbo propero è qui impiegato nel senso di “procurarsi immediatamente”, affrettando la morte rispetto al momento naturale. Salvare vilmente la vita, tradendo l’amico, o consegnarsi a morte gloriosa e generosa, benché inutile, sono i due termini opposti del dilemma di Niso. 415 405 410 415 testi 410 Virgilio Eneide 405 Rapidamente ritratto il braccio vibrando l’asta, e guardando l’alta Luna33, prega così: «Tu, o dea, favorevole34 soccorri la nostra sventura, bellezza degli astri35, latonia custode36 dei boschi. Se mai per me il padre Irtaco portò doni alle tue are, e io li accrebbi37 con le mie cacce, o li appesi alla volta del tempio38, o li affissi al santo fastigio39, fa’ che sconvolga quella schiera, e guida l’arma nell’aria». Disse, e con lo sforzo di tutte le membra scagliò il ferro40: l’asta volando flagella le ombre della notte, e di fronte colpisce lo scudo di Sulmone, e ivi s’infrange, e attraversa i precordi col legno spezzato41. Quello rotola gelido vomitando dal petto un caldo fiotto, e batte i fianchi in lunghi singulti. Scrutano intorno. Imbaldanzito, ecco Niso scagliare una lancia dalla sommità dell’orecchio42. E mentre s’affannano, l’asta attraversa le tempie Ocius adducto torquet hastjle lacerto suspiciens altam Lunamket sic voce precatur: “Tu, dea, tu praesens nostro succurre labori, astrorum decus et nemorum Lbtpnia custos. Si qua tuis umquam pro me pater Hyrtacus bris dona tulit, si quakipse meis venatibus auxi suspendive tholokaut sacrakad fastigia fixi, hunc sine me turbare globumket rege tela per auras”. Dixerat et toto conixus corpore ferrum conicit. Hasta volans noctis diverberat umbras et venit adversikin tergum Sulmpnis ibjque frangitur, ac fisso transit praecordia ligno. Volvitur ille vomens calidum de pectore flumen frigidus et longis singultibus ilia pulsat. Diversi circumspiciunt. Hoc acrior idem eccekaliud summb telum librabat ab aure. Dum trepidant, it hasta Tago per tempus utrumque 33 guardando l’alta Luna: si noti come suspicio abbia qui il valore originale di “guardare in alto” e non quello figurato di “sospettare”. 34 favorevole: traduce il latino praesens. Gli dèi, infatti, esercitavano il loro potere quando erano presenti, e per questo praesens significa sia “potente”, sia “benevolo”. 35 bellezza degli astri: perché è la più luminosa tra tutti gli astri. 36 latonia custode: la Luna è qui identificata con Diana, figlia di Giove e di Latona, signora delle foreste. 37 Se mai ... accrebbi: la preghiera viene giustificata attraverso il ricordo dei meriti che Niso e suo padre si sono acquistati mediante la loro devozione verso Diana; è uno schema tradizionale della preghiera delle religioni greca e latina (dove il rapporto con la divinità è improntato al principio del do ut des) quello di enumerare in primo luogo i benefici di cui l’orante si è reso meritevole nei confronti della divinità. 38 tempio: il termine tholus è un grecismo per indicare la copertura a cupo- la, costruita attraverso il progressivo accostarsi degli elementi, e propria degli edifici più antichi, anteriori alla scoperta dell’arco e della volta. 39 fastigio: si indica qui la sommità della facciata. 40 ferro: sineddoche per indicare l’asta con la punta ferrea. 41 spezzato: quindi l’asta colpisce frontalmente lo scudo, si spezza, ma trapassa lo scudo e il petto del guerriero. 42 dalla sommità dell’orecchio: per lanciare l’asta, la si levava all’altezza dell’orecchio destro. 17 420 425 430 435 420 425 430 L’ETÀ DI AUGUSTO 435 di Tago, stridendo, e tiepida rimase nel cervello trafitto. Infuria atroce Volcente, e non scorge in nessun luogo l’autore del colpo, né dove possa scagliarsi rabbioso. «Ma tu intanto mi pagherai con caldo sangue la pena di entrambi» disse; e snudata la spada si gettò su Eurialo. Allora sconvolto, impazzito43 Niso grida – non seppe celarsi più a lungo nelle tenebre, o sopportare un tale dolore –: «Io, io, sono io che ho colpito, rivolgete contro di me il ferro44, Rutuli! l’insidia è mia; costui non osò e non poté45 nulla (lo attestino il cielo e le consapevoli stelle); soltanto amò troppo lo sventurato amico». Così diceva; ma la spada vibrata con violenza trafisse il costato e ruppe il candido petto46. Eurialo cade riverso nella morte, il sangue scorre per le belle membra, e il capo si adagia reclino sulla spalla: come un fiore purpureo quando, reciso dall’aratro, languisce morendo, o come i papaveri che chinano il capo sul collo stanco47, quando la pioggia li opprime. stridens traiectoquekhaesit tepefacta cerebro. Saevit atrox Volcens nec teli conspicit usquam auctorem nec quo sekardens immittere possit. “Tu tamen interea calido mihi sanguine poenas persolves amborum” kinquit; simul ense recluso ibat in Euryalum. Tum verokexterritus, amens, conclbmat Njsus nec se celare tenfbris amplius aut tantum potuit perferre dolorem: “Me, me,kadsum qui feci,kin me convertite ferrum, o Rutuli! Mea fraus omnis, nihil iste nec ausus nec potuit; caelumkhoc et conscia sidera testor; tantumkinfelicem nimium dilexit amicum”. Talia dicta dabat, sed viribus ensis adactus transadigit costas et candida pectora rumpit. Volvitur Euryalus leto, pulchrosque per artus it cruor inquekumeros cervix conlapsa recumbit: purpureus veluti cum flos succisus aratro languescit moriens, lassove papavera collo demisfre caput pluvib cum forte gravantur. 43 impazzito: amens vuol dire “fuor di sé” ed è formato da a- privativo + mens. 44 ferro: sineddoche per gladium. 45 e non poté: Niso mente apertamente per sminuire la responsabilità del compagno. 46 candido petto: il candore della 18 pelle, nella tradizione greca, che i poeti latini si compiacciono di riprodurre, è una qualità femminile, ma qui viene attribuita ai giovani uomini per sottolinearne la bellezza. 47 sul collo stanco: la morte di Eurialo è rappresentata dal contrasto tra la brutalità della ferita e la gentilezza quasi femminea delle sue membra giovanili, marcata ulteriormente dalle similitudini floreali (il fiore reciso anzi tempo, i papaveri che si afflosciano appesantiti dalla pioggia). I termini della similitudine, per converso, sono umanizzati dalle metafore (“collo” per il gambo, “capo” per la corolla). testi 445 Virgilio Eneide 440 Ma Niso s’avventa sul folto e cerca fra tutti il solo Volcente, contro il solo Volcente si ostina. I nemici, addensatisi intorno a lui da tutte le parti, lo stringono da presso; egli incalza ugualmente e ruota la spada fulminea, finché non la immerse nella bocca del rutulo urlante, e morendo tolse la vita al nemico. Allora, trafitto, si gettò sull’amico esanime, e alfine riposò in una placida morte48. Fortunati entrambi! Se possono qualcosa i miei versi, mai nessun giorno vi sottrarrà49 alla memoria del tempo50, finché la casa di Enea51 abiti l’immobile rupe del Campidoglio, e il padre romano52 abbia l’impero. (Trad. L. Canali) 440 445 At Njsus ruit in medios solumque per omnis Volcentem petit, in solo Volcente moratur. Quem circum glomeratikhostes hinc comminus atquekhinc proturbant. Instat non setius ac rotat ensem fulmineum, donec Rutuli clamantis in ore condidit adversoket moriens animamkabstulit hosti. Tum super exanimum sese proiecit amicum confossus, placidbquekibi dfmum morte quievit. Fortunatikambo! Si quid mea carmina possunt, nulla dies umquam memori vos eximet aevo, dum domus Aenfae Capitplikimmobile saxum accolet imperiumque pater Rpmbnus habebit. 48 placida morte: una volta vendicato Eurialo, Niso riposa contento. 49 vi sottrarrà: rompendo la convenzione dell’impersonalità epica, Virgilio si rivolge qui direttamente ai giovani uniti nell’amicizia e nella morte e per questo il poeta li definisce “fortunati”. 50 alla memoria del tempo: il me- mor aevum è il tempo che conserva la memoria. 51 casa di Enea: sta per la gens Iulia, che attraverso Iulo/Ascanio discendeva da Enea ma anche per il popolo romano nel suo insieme. Il Campidoglio era nel centro più antico della città e su di esso erano stati edificati i templi de- gli dèi più importanti. 52 padre romano: singolare per il plurale, sta per patres Romani, i senatori romani, giacché il senato impersonava la maestà dell’impero di Roma. Virgilio coglie l’occasione per riaffermare il carattere nazionale e nello stesso tempo dinastico del suo poema. 19 ANALISI DEL TESTO Sin dall’inizio, il poeta tratteggia uno sfondo dolce e ambiguo al tempo stesso: non una nox pura e semplice, ma piuttosto un’umbra noctis (cfr. v. 314 noctisque per umbram, v. 373 noctis in umbra, v. 411 noctis diverberat umbras); alla pallida luce della luna, i due amici avanzano e compiono la loro strage. Ma il silenzio è rotto dall’arrivo dei Latini e, nell’ombra della notte con tutto il suo carico di mistero e pericolo, con il rumore entra allora in scena la paura: ai vv. 384 s. Euryalum tenebrae ramorum onerosaque praeda / impediunt, fallitque timor regione viarum (“Ostacolano Eurialo le tenebre dei rami e la pesante preda, e il timore lo trae in inganno con la direzione delle vie”), il giovane amico di Niso è rappresentato come un cerbiatto in trappola, e la sua cattura giunge come la naturale conseguenza della sua affannosa fuga tra le tenebre e i rami. Ma è sulla figura di Niso che Virgilio costruisce il suo capolavoro di pathos: ai vv. 390 s. Euryale infelix, qua te regione reliqui? / Quave sequar? (“Eurialo, infelice, dove mai ti ho lasciato? E per dove seguirti?”), l’aggettivo infelix e la rapida sequenza delle interrogative, con l’anafora di qua, effigiano lo sgomento dell’eroe che si scopre solo; subito dopo, ai vv. 391-393, sono rappresentati in rapida climax l’angoscia montante in Niso che torna veloce sui suoi passi (Rursus perplexum iter omne revolvens / fallacis silvae simul et vestigia retro / observata legit dumisque silentibus errat, “Ripercorrendo [la ripetizione è indicata in modo ridondante rursus … revolvens] tutto l’incerto cammino della selva ingannevole, e insieme scrutando le orme, le percorre a ritroso, ed erra tra i cespugli silenti”) e l’orrore della scoperta dell’amico in trappola nel rapidissimo passaggio dalle sensazioni acustiche a quelle visive (vv. 394-396): Audit equos, audit strepitus et signa sequentum; / nec longum in medio tempus, cum clamor ad auris / pervenit ac videt Euryalum, “Ode i cavalli, ode lo strepito e il richiamo degli inseguitori: non passa lungo tempo, quando gli giunge agli orecchi un clamore, e vede Eurialo”. Tragica è l’immagine di Eurialo ormai preso che cerca di battersi (vv. 396-398) e un forte effetto patetico ha l’accorata preghiera di Niso alla Luna/ Diana (vv. 404-409). Ma l’apice si ha quando Volcente sceglie di far pagare a Eurialo le uccisioni e la strage, e Niso decide allora di palesarsi; particolarmente drammatica l’interiettiva anafora con cui comincia a parlare: Me, me, ... , in me convertite ferrum ... Mea fraus omnis, nihil iste nec ausus (vv. 427-429). Di grande effetto è anche l’assalto a Volcente, responsabile della morte di Eurialo, scandito dalla drammatica anafora del nome (v. 439) Volcentem petit, in solo Volcente moratur. Una nota patetica, infine, conclude l’episodio nell’esclamazione del poeta che esalta il tragico destino dei due giovani (v. 446): Fortunati ambo! L’ETÀ DI AUGUSTO LA NOTTE: PAURA E ANGOSCIA Eurialo e Niso sono, innanzitutto, due amici. Pare interessante notare nei versi l’impiego del termine amicus che ne indica il rapporto: esso è usato solo in tre casi e in un contesto ben caratterizzabile. Al v. 389 Niso frustra absentem respexit amicum: è DUE AMORI GUERRIERI 20 la prima volta che Eurialo viene chiamato espressamente amicus in questo episodio e guarda caso, è absens. Al v. 430, le ultime parole di Niso sono ancora per Eurialo che tantum infelicem nimium dilexit amicum, dove l’infelix amicus è qui lo stesso Niso, che riconosce in quell’amor la causa della morte di Eurialo; al v. 444, infine, Niso, già colpito a morte, super exanimum sese proiecit amicum, e l’amicus è qui di nuovo Eurialo, ormai esanime; in tutti e tre i casi la nozione di amicizia è associata a un aggettivo “drammatico”. UNO STILE SOLENNE Nel modello epico omerico la coppia di guerrieri amici costituisce un topos, di cui l’esempio più famoso è sicuramente dato da Achille e Patroclo. In queste coppie i due guerrieri sono diversi per età (uno è più giovane, l’altro più maturo), per temperamento (uno più irruente, l’altro più prudente), per forza (uno è fragile, l’altro vigoroso). Come nel caso di Patroclo, anche qui a morire è il più giovane e l’amico più maturo impazzisce (amens) per il dolore che amplifica le sue forze e lo spinge a vendicare la sua morte (come fa Achille uccidendo Ettore). Anche nel finale dell’opera l’uccisione di Turno da parte di Enea riprende questo topos, visto che ci viene presentata come la vendetta della morte di Pallante. A livello stilistico, è possibile riscontrare la consueta solennità epica, di cui di seguito qualche esempio: al v. 323 vasta dabo è forma più aulica di vastabo; voce poetica, ai vv. 324, 347, 400, 423, 431, 441, è ensis (“spada”), mentre al v. 326 proflabat pectore somnum, “spirava sonno dal profondo del petto” è espressione solenne per l’umile stertebat, “russava”. Numerose le figure di suono: v. 315 tamen ante (dove il secondo è quasi l’anagramma del primo); v. 322 custodi et consule (coppia di imperativi allitteranti); v. 333 sanguine singultantem (sequenza allitterante e paronomastica: dal tronco sgorgava il sangue con un suono simile a un rantolo); vv. 333 s. atro tepefacta cruore / terra torique madent (oltre all’allitterazione tepefacta ... terra torique, si registra una grande concentrazione di suoni |t| ed |r|;. v. 394 strepitus et signa sequentum (una sequenza dove l’allitterazione in |s| serve anche a esprimere l’angoscia di Niso per il rumore che sente); v. 397 subito turbante tumultu (dove la ripetizione dei suoni sottolinea la drammaticità dello spettacolo). Frequenti, d’altronde, metonimie (cfr. v. 316 vino, per ubriachezza; v. 319 vina: il contenuto, vina, per il contenente, gli otri; v. 337 deo, cioè Bacco per vino; v. 348 multa morte, dove mors sta per ferita mortale), ipallage (cfr. vv. 359 s. aurea bullis / cingula = cingula aureis bullis, tracolla a placche d’oro), anafore (cfr. v. 394 audit ... audit, vv. 427 s. me, me ... in me ... mea), parallelismi (l’egual posizione metrica di galeam Messapi, al v. 365, e galea Euryalum, al v. 374, rende ancor più cruciale il ruolo giocato da quell’elmo, in quel fatale cambio di proprietario, in questa vicenda), similitudini (il fiore purpureo falciato dall’aratro, i papaveri dal collo stanco).