1 L’arrivo di Enea
(I, 1)
La narrazione di Livio si apre con il racconto mitico dell’arrivo di Enea, fuggito da Troia al momento della
conquista greca, sulle coste del Lazio, dove fonderà la città di Lavinio.
testi
1.1. Anzitutto concordemente si tramanda che dopo la presa di Troia i Greci infierirono contro tutti gli altri Troiani, e nei riguardi di due soli, Enea e Antenore1,
si astennero dal trattamento di guerra, sia per antichi legami di ospitalità, e sia
perché sempre erano stati fautori della pace e della restituzione di Elena; 2. dopo
varie vicende poi, insieme con un gruppo di Eneti, i quali, cacciati in seguito ad
una rivoluzione dalla Paflagonia2 e perduto sotto le mura di Troia il re Pilemene3,
cercavano una sede e un capo, Antenore pervenne nella parte più interna
dell’Adriatico, e cacciati gli Euganei, 3. che abitavano fra il mare e le Alpi, gli Eneti e i Troiani occuparono quelle terre. Il luogo in cui dapprima presero piede fu
chiamato Troia, ed è rimasto il nome di Troiano a quel distretto; l’intera gente
prese il nome di Veneti. 4. Profugo dalla patria dopo la stessa rovina, ma guidato
dai fati a fondare una maggiore potenza, Enea dapprima giunse in Macedonia, poi
sempre cercando una sede approdò in Sicilia, e dalla Sicilia per via di mare si diresse verso il territorio di Laurento. Anche la località dove avvenne questo sbarco
ha il nome di Troia. 5. Mentre i Troiani qua approdati stavano facendo preda
nelle campagne, poiché dopo quelle interminabili peregrinazioni nulla più rimaneva loro se non le armi e le navi, il re Latino e gli Aborigeni4, che allora abitavano
1.1. Iam primum omnium satis constat Troib captb in ceteros saevitum esse Troianos, duobus, Aenfae Antenorique, et vetusti iure hospitii et quia pacis reddendaeque Helenae semper auctores fuerant, omne ius belli Achjvos abstinuisse; 2. casibus deinde variis Antenorem cum multitudine Enetum, qui seditione ex
Paphlagonib pulsi et sedes et ducem rege Pylaemene ad Troiam amisso quaerebant, venisse in intimum maris Hadriatici sinum, Euganeisque qui inter mare Alpesque incolebant pulsis Enetos Troianosque eas tenuisse terras. 3. Et in quem
primo egressi sunt locum Troia vocatur pagoque inde Troiano nomen est: gens
universa Veneti appellati. 4. Aenfam ab simili clade domo profugum sed ad maiora rerum initia ducentibus fatis, primo in Macedoniam venisse, inde in Siciliam
quaerentem sedes delatum, ab Sicilib classe ad Laurfntem agrum tenuisse. Troia
et huic loco nomen est. 5. Ibi egressi Troiani, ut quibus ab immenso prope errore
nihil praeter arma et naves superesset, cum praedam ex agris agerent, Latjnus rex
Aboriginesque qui tum ea tenebant loca ad arcendam vim advenarum armati ex
1. Enea e Antenore: i due soli risparmiati dagli Achei dopo la presa
di Troia: Enea, progenitore dei Romani; Antenore fondatore di Padova,
patria di Livio.
2. Paflagonia: regione sita sulla costa meridionale del Mar Nero.
3. il re Pilemene: la morte di Pilemene è narrata in Iliade V, vv. 576 ss.
Livio Ab Urbe condita
Ab Urbe condita
4. gli Aborigeni: mitica popolazione
che avrebbe per prima abitato il Lazio.
1
quei luoghi, accorsero in armi dalle città e dalle campagne per respingere l’aggressione degli stranieri. 6. Sui fatti successivi si ha una duplice tradizione: alcuni
narrano che Latino conchiuse la pace e strinse vincoli di parentela con Enea dopo
di essere stato vinto in battaglia; 7. altri che, mentre gli eserciti erano già schierati
in campo, prima che squillasse il segnale dell’attacco, Latino si fece avanti nelle
prime file e invitò ad un colloquio il capo degli stranieri; e dopo aver domandato
che gente fossero, donde venissero e per quali eventi fossero usciti dalla loro patria,
e con quali intenzioni fossero giunti nel territorio di Laurento, 8. quando udì che
quegli uomini erano Troiani, che il loro capo era Enea, figlio di Anchise e di Venere, e che dopo l’incendio delle loro case fuggiti dalla patria cercavano una dimora
e una terra per fondare una città, ammirando la nobiltà dell’eroe e della sua gente
e l’animo pronto sia alla guerra che alla pace, porgendo la destra si impegnò a rispettare fedelmente la futura amicizia. 9. Quindi fu stretto un patto fra i capi, e gli
eserciti si scambiarono il saluto; Enea fu accolto come ospite da Latino, il quale
presso gli dèi Penati aggiunse al patto pubblico un vincolo domestico5, dando in
isposa la figlia ad Enea. 10. Così fu resa più certa nei Troiani la fiducia di poter
porre termine finalmente all’errare in una stabile e sicura sede. 11. Fondarono una
città che Enea dal nome della moglie chiamò Lavinio. Dopo breve tempo dal nuovo matrimonio nacque un erede maschio, cui i genitori posero il nome di Ascanio.
(Trad. L. Perelli)
urbe atque agris concurrunt. 6. Duplex inde fama est. Alii proelio victum Latjnum
pacem cum Aenfb, deinde adfinitatem iunxisse tradunt: 7. alii, cum instructae
acies constitissent, priusquam signa canerent processisse Latjnum inter primores
ducemque advenarum evocasse ad conloquium; percontatum deinde qui mortales
essent, unde aut quo casu profecti domo quidve quaerentes in agrum Laurentjnum
exissent, 8. postquam audierit multitudinem Troianos esse, ducem Aenfam filium
Anchjsae et Veneris, crematb patrib domo profugos, sedem condendaeque urbi
locum quaerere, et nobilitatem admiratum gentis virique et animum vel bello vel
paci paratum, dextrb datb fidem futurae amicitiae sanxisse. 9. Inde foedus ictum
inter duces, inter exercitus salutationem factam. Aenfam apud Latjnum fuisse in
hospitio; ibi Latjnum apud penates deos domesticum publico adiunxisse foedus
filib Aenfae in matrimonium datb. 10. Ea res utique Troianis spem adfirmat tandem stabili certbque sede finiendi erroris. Oppidum condunt; Aenfas ab nomine
uxoris Lavinium appellat. 11. Brevi stirpis quoque virilis ex novo matrimonio fuit,
cui Ascanium parentes dixfre nomen.
L’ETÀ DI AUGUSTO
5. un vincolo domestico: il matrimonio fra Enea e Lavinia.
2
LINGUA E LESSICO
1. Livio riferisce il racconto mitologico senza prendere posizione sulla sua attendibilità o meno. Rintraccia
FORME E COSTRUTTI
FUNZIONE SINTATTICA
ut quibus ... superesset (par. 5)
priusquam ... canerent (par. 7)
percontatum (par. 7)
cremata patria (par. 8)
TEMI E CONFRONTI
4. Con l’aiuto di un dizionario mitologico ricostruisci la figura di Antenore e le sue vicende, fino all’arrivo in
territorio italiano e alla fondazione di Padova. Cerca poi di spiegare perché Livio menzioni la sua vicenda
in unione con quella di Enea, quale realtà distingua i due dagli altri eroi troiani e perché Livio insista su
di essa.
5. Livio propone qui due ipotesi sui primi contatti tra Enea e gli Aborigeni. Quale fra esse sembra preferire?
Quale appare più aderente alle linee della politica augustea?
STILE E RETORICA
6. Nella ricostruzione delle notizie mitiche Livio impiega uno stile alto, talora addirittura solenne, dimo-
strando come anche la prosa possa ricorrere a numerosi artifici retorici: rintraccia in questo capitolo
almeno un esempio delle seguenti figure retoriche, spiegandone la funzione nel contesto:
FIGURA RETORICA
PARAGRAFO
FUNZIONE
ipallage
zeugma
chiasmo
allitterazione
3
testi
nel brano tutte le espressioni da lui utilizzate nel riferirsi a quanto “è noto” per tradizione e giustificale
in riferimento alle affermazioni programmatiche, a proposito dell’atteggiamento che Livio si ripromette di
tenere nei confronti del mito, contenute nella praefatio.
2. Analizza i paragrafi 7 e 8, ricostruendone la struttura sintattica e producendo uno schema che la rappresenti nei suoi rapporti di reggenza e dipendenza. Indica quindi se tali strutture rientrano nel modello
stilistico della simmetria e regolarità sintattica (concinnitas) o piuttosto in quello dell’asimmetria e variazione statistica (variatio).
3. Esamina i seguenti costrutti e forme, indicandone la funzione nel contesto in cui si trovano:
Livio Ab Urbe condita
GUIDA ALL’ANALISI
2 Il rapimento delle donne
(I, 9)
Dopo aver fondato la nuova città sul Palatino e averla munita di leggi e di un consiglio di cento senatori,
Romolo raduna attorno a sé molte genti di diversa provenienza, fino a rendere Roma assai popolosa e forte.
Mancano però le donne e questo mette a rischio la nuova potenza, destinata, senza figli, a durare una sola
generazione. Si provvede allora con l’astuzia.
9.1. Già la potenza di Roma era così solida da poter fare fronte in guerra a qual-
siasi delle città confinanti, ma mancando le donne la sua grandezza sarebbe durata lo spazio di una generazione, non avendo né speranza di prole in patria né facoltà di connubio con i vicini. 2. Allora per consiglio del Senato Romolo mandò
ambasciatori alle genti vicine, a chiedere alleanza e diritto di matrimonio per il
nuovo popolo: 3. dicevano che anche le città, come ogni altra cosa, nascono dal
basso; poi quelle che sono aiutate dalla virtù e dagli dèi raggiungono grande potenza e fama; 4. sapevano che gli dèi avevano assistito il sorgere di Roma e che la
virtù non sarebbe mancata, quindi non disdegnassero di mescolare, uomini con
altri uomini, il sangue e la stirpe. 5. In nessun luogo l’ambasceria fu accolta benevolmente; a tal punto disprezzavano e insieme temevano per sé e per i discendenti
quella così grande potenza che cresceva in mezzo a loro1. I più congedavano i Romani domandando se mai avessero aperto un asilo anche per le femmine: quello
davvero sarebbe stato un degno accoppiamento2. 6. La gioventù di Roma mal
sopportò l’affronto, e decise senza indugio di ricorrere alla violenza; per offrire a
questa tempo e circostanze opportune, Romolo dissimulando l’interna amarezza
preparò a bello studio dei giochi solenni in onore di Nettuno equestre3, cui diede il
nome di Consuali4. 7. Quindi fa bandire lo spettacolo presso i vicini, e lo allestisco-
9.1. Iam res Romana adeo erat valida ut cuilibet finitimarum civitatum bello par
L’ETÀ DI AUGUSTO
esset; sed penurib mulierum hominis aetatem duratura magnitudo erat, quippe
quibus nec domi spes prolis nec cum finitimis conubia essent. 2. Tum ex consilio
patrum Romulus legatos circa vicinas gentes misit qui societatem conubiumque
novo populo peterent: 3. urbes quoque, ut cetera, ex infimo nasci; dein, quas sua
virtus ac di iuvent, magnas opes sibi magnumque nomen facere; 4. satis scire, origini Romanae et deos adfuisse et non defuturam virtutem; proinde ne gravarentur
homines cum hominibus sanguinem ac genus miscere. 5. Nusquam benigne legatio audita est: adeo simul spernebant, simul tantam in medio crescentem molem
sibi ac posteris suis metuebant. Ac plerisque rogitantibus dimissi ecquod feminis
quoque asyˉ lum aperuissent; id enim demum compar conubium fore. 6. Aegre id
Romana pubes passa et haud dubie ad vim spectare res coepit. Cui tempus locumque aptum ut daret Romulus aegritudinem animi dissimulans ludos ex industrib
parat Neptvno equestri sollemnes; Consualia vocat. 7. Indjci deinde finitimis spec-
1. potenza … in mezzo a loro: il
rifiuto dei vicini è interpretato da Livio
come segno di disprezzo (spernebant),
ma soprattutto di timore nei confronti
della nuova potenza (tantam crescentem
molem).
4
2. degno accoppiamento: come in
Roma si erano raccolti criminali da ogni
parte, così avrebbero potuto raccogliere
anche donne di malaffare, che sarebbero state le loro degne compagne.
3. Nettuno equestre: spesso il dio
greco Poseidone (Neptunus) è rappresentato sotto forma equina.
4. Consuali: nella Roma storica questa festa era celebrata due volte l’anno,
il 21 agosto e il 15 dicembre, in occasione della trebbiatura e della semina.
Livio Ab Urbe condita
no con la maggior grandiosità di cui allora fossero capaci, per accrescerne la fama
e l’attesa. 8. Molta folla accorse, attirata anche dal desiderio di vedere la nuova
città, soprattutto dalle città più vicine, da Cenina, da Crustumerio e da Antemna5;
9. venne poi tutta la popolazione dei Sabini con i figli e le mogli. Invitati ospitalmente nelle abitazioni, dopo aver osservato la posizione, le mura e il gran numero
degli edifici, si stupirono che in così breve tempo già tanto Roma si fosse sviluppata. 10. Quando giunse il momento dello spettacolo, mentre l’attenzione e gli occhi
di tutti su quello erano concentrati, allora secondo il piano prestabilito cominciò il
tumulto, e al segnale convenuto i giovani romani si gettarono a rapire le vergini.
11. Per gran parte furono rapite a caso, secondo che a ciascuno capitavano sotto
mano, ma alcune che si distinguevano per bellezza, destinate ai più eminenti senatori, furono portate alle case di questi da uomini della plebe cui era stato affidato
quest’incarico. 12. Narrano che una fanciulla di gran lunga superiore alle altre per
la bellezza dell’aspetto fu rapita dalla squadra di un certo Talassio, e ai molti che
domandavano dove mai la portassero ripetutamente gridavano, perché nessuno le
recasse molestia, che la portavano a Talassio; da allora in poi questo grido divenne
rituale nelle cerimonie nuziali6. 13. Dopo che sui giochi fu gettato lo scompiglio e
lo spavento, i genitori delle vergini afflitti fuggono, lamentando la violazione del
patto di ospitalità e invocando il dio del quale erano venuti a celebrare la festa e i
giochi, rimanendo poi ingannati in dispregio della legge divina e della parola data.
14. Non migliore speranza nella loro sorte né minore sdegno avevano le rapite.
Ma lo stesso Romolo andava in giro a convincerle che ciò era avvenuto per la superbia dei genitori, i quali avevano negato il diritto di matrimonio ai loro vicini;
testi
taculum iubet; quantoque apparatu tum sciebant aut poterant, concelebrant ut
rem claram exspectatamque facerent. 8. Multi mortales convenfre, studio etiam
videndae novae urbis, maxime proximi quique, Caeninfnses, Crustumjni, Antemnbtes; 9. iam Sabinorum omnis multitudo cum liberis ac coniugibus venit. Invitati
hospitaliter per domos cum situm moeniaque et frequentem tectis urbem vidissent, mirantur tam brevi rem Romanam crevisse. 10. Ubi spectaculi tempus venit
deditaeque eo mentes cum oculis erant, tum ex composito orta vis signoque dato
iuventus Romana ad rapiendas virgines discurrit. 11. Magna pars forte in quem
quaeque inciderat raptae: quasdam formb excellentes, primoribus patrum destinatas, ex plebe homines quibus datum negotium erat domos deferebant. 12. Unam
longe ante alias specie ac pulchritudine insignem a globo Thalbssi cuiusdam raptam ferunt multisque sciscitantibus cuinam eam ferrent, identidem ne quis violaret
Thalassio ferri clamitatum; inde nuptialem hanc vocem factam. 13. Turbato per
metum ludicro maesti parentes virginum profugiunt, incusantes violati hospitii foedus deumque invocantes cuius ad sollemne ludosque per fas ac fidem decepti venissent. 14. Nec raptis aut spes de se melior aut indignatio est minor. Sed ipse
Romulus circumibat docebatque patrum id superbib factum qui conubium finiti-
5. da Cenina … e da Antemna: sono gli abitanti di Caenina, tra Roma e
Tivoli, di Crustumium, oggi Monterotondo, e di Antemnae, alla confluenza
dell’Aniene con il Tevere; i Sabini abi-
tavano la valle del Tevere, immediatamente a nord di Roma.
6. nelle cerimonie nuziali: parenti
e amici rivolgevano questo “grido nuziale” alla sposa quando, giunta nella
casa nuziale, veniva deposta nell’atrio
su una pelle di pecora. Livio riferisce
qui un’altra spiegazione mitica, atta a
giustificare il grido Thalassio, divenuto
da tempo incomprensibile.
5
esse tuttavia sarebbero state considerate come mogli legittime, e avrebbero condiviso con gli uomini il possesso di tutti i beni, della cittadinanza, e dei figli, cosa di
cui nessun’altra è più cara all’umano genere; 15. placassero dunque lo sdegno, e
offrissero il loro animo a coloro cui la sorte aveva concesso il corpo. Spesso da
un’offesa nasce poi un maggiore affetto, ed esse avrebbero trovato i mariti tanto più
premurosi, in quanto ciascuno, oltre all’adempiere i suoi doveri di sposo, si sarebbe
sforzato di non far sentire la lontananza dei genitori e della patria. 16. Alle parole
di Romolo si aggiungevano le blandizie dei mariti, i quali adducevano a giustificazione dell’accaduto la passione amorosa, argomento quanto mai efficace a piegare
gli animi femminili.
(Trad. L. Perelli)
mis negbssent; illas tamen in matrimonio, in societate fortunarum omnium civitatisque et quo nihil carius humano generi sit liberum fore; 15. mollirent modo iras
et, quibus fors corpora dedisset, darent animos; saepe ex iniurib postmodum gratiam ortam; eoque melioribus usuras viris quod adnisurus pro se quisque sit ut,
cum suam vicem functus officio sit, parentium etiam patriaeque explfat desiderium. 16. Accedebant blanditiae virorum, factum purgantium cupiditate atque
amore, quae maxime ad mulifbre ingenium efficaces preces sunt.
ANALISI DEL TESTO

DIFFICOLTÀ DELLE ORIGINI Narratore interessato e partecipe dei difficili esordi della potenza romana, Livio sottolinea
nei primi paragrafi di questo celebre capitolo (parr. 1-6),
il rischio di un rapido esaurimento della giovane potenza
territoriale fondata da Romolo e descrive l’ostilità dei popoli confinanti, restii ad avviare rapporti di connubio con
Roma per disprezzo delle sue umili origini e per timore
della sua potenza sempre crescente. Le parole dei messaggeri romani, inviati alle genti vicine per chiedere di stringere
rapporti matrimoniali, riflettono ancora, in un’articolata sequenza distesa in quattro membri di crescente ampiezza
e complessità (urbes quoque ... nasci; magnas opes ... magnumque nomen facere; ... et deos adfuisse et non defuturam virtutem; ... homines ... ac) l’idea cara allo storico patavino del favore concesso dagli dèi al sorgere della potenza
romana, garanzia certa di un glorioso avvenire.
L’ETÀ DI AUGUSTO

BONARIA IRONIA SUGLI ANTENATI Nel racconto del ratto
(parr. 7-12) Livio lascia trasparire qua e là una certa ironia
come quando afferma, a proposito delle sabine rapite, che
per la maggior parte furono portate via dal primo uomo in
cui si erano imbattute, mentre quando ricorda che “alcune,
che si distinguevano per la bellezza (forma excellentes), destinate ai più eminenti senatori, furono portate alle case di
questi da uomini della plebe cui era stato affidato quest’incarico”, emerge con evidenza il carattere classista di quella
primitiva società romana. Sapida è anche la considerazione
finale, al par. 16, “si aggiungevano le blandizie dei mariti, i
quali adducevano a giustificazione dell’accaduto la passione amorosa, (cupiditate atque amore) argomento (preces)
quanto mai efficace a piegare gli animi femminili”.
6
EZIOLOGICI Non manca mai, in Livio, e specie
nel racconto delle origini, un qualche spunto eziologico con cui l’autore spiega le cause originarie (in greco
áitia) di un rito, di un nome, di un modo di dire. È il caso,
al par. 12, del racconto della bella sabina rapita dalla
combriccola di Talassio (a globo Thalassi): la sbrigativa,
ripetuta giustificazione che la squadra di questo Talassio rivolgeva a chiunque si avvicinasse (“la portiamo
a Talassio perché nessuno le faccia violenza”), spiega
infatti l’origine del triplice o duplice grido thalassio thalassio <thalassio>, che veniva rivolto a mo’ di augurio
alle fresche spose e che divenne pertanto, come dice
lo stesso Livio, una vox nuptialis, un grido ripetuto in
occasione delle cerimonie e delle feste nuziali. Si tratta
di un tipico esempio di paretimologia, o etimologia di
fantasia, legata al suono della parola, spesso praticata
dagli antichi nei testi eziologici. A Roma queste paretimologie erano complicate dal carattere “formulare” della religione, che portava a ripetere alla lettera formule
di preghiera anche quando, come in questo caso, il loro
significato era divenuto ormai incomprensibile.

SPUNTI
POSITIVO Ancora una volta emerge infine la
figura di Romolo come eroe positivo, nella descrizione (parr. 14-16) del suo affannarsi a rassicurare le
fanciulle rapite, giustificando l’azione con l’accusa di
superbia rivolta ai loro padri, colpevoli di avere rifiutato
il connubio con Roma, e a garantire che avrebbero
goduto di tutti i diritti di mogli, di cittadine e di madri:
nasce così il fondamento, anche giuridico, della grandezza di Roma.

L’EROE
(XXI, 5)
5.1. Dal giorno poi in cui fu proclamato comandante, come se gli fosse stata decre-
testi
tata l’Italia come sfera d’azione e gli fosse stata affidata una guerra contro i Romani, 2. pensando di non doverla differire oltre, per evitare che un qualche incidente
gliela impedisse, come era accaduto a suo padre Amilcare e poi ad Asdrubale1,
decise di portar guerra a Sagunto2. 3. Per attaccarla, poiché ciò significava indubbiamente destare le armi romane, fece prima entrare l’esercito nel territorio degli
Olcadi – popolazione che si trovava al di là dell’Ebro, nella sfera d’influenza dei
Cartaginesi più che sotto la loro effettiva giurisdizione – perché si potesse credere
che egli non aveva assalito Sagunto, ma era stato tratto a quella guerra dagli eventi e dalla necessità di annettere territori confinanti a quelli già sottomessi. 4. Espugna e saccheggia la ricca città di Cartala, capitale degli Olcadi; atterrite, le città
minori si lasciarono assoggettare con l’imposizione di una indennità di guerra.
L’esercito vincitore e carico di bottino fu condotto a svernare a Cartagine Nuova.
5. Dopo essersi quivi assicurata la fiducia di tutti, concittadini e alleati, distribuendo con larghezza il bottino e pagando lealmente il soldo arretrato, all’inizio della
primavera mosse guerra ai Vaccei. Le loro città, Ermandica e Arbocala, furono
prese con la forza. 6. Arbocala fu a lungo difesa dal valore e dal numero degli abitanti; 7. i fuggiaschi di Ermandica, unitisi ai fuoriusciti degli Olcadi – la popolazione assoggettata l’estate precedente – sollevarono i Carpetani 8. e, assalito nei pres-
5.1. Ceterum ex quo die dux est declaratus, velut Italia ei provincia decreta bellumque Romanum mandatum esset, 2. nihil prolatandum ratus ne se quoque, ut patrem Hamilcarem, deinde Hasdrubalem, cunctantem casus aliquis opprimeret,
Saguntjnis inferre bellum statuit. 3. Quibus oppugnandis quia haud dubie Romana arma movebantur, in Olcbdum prius fines – ultra Hibfrum ea gens in parte
magis quam in dicione Carthaginiensium erat – induxit exercitum, ut non petisse
Saguntjnos sed rerum serie finitimis domitis gentibus iungendoque tractus ad id
bellum videri posset. 4. Cartalam, urbem opulentam, caput gentis eius, expugnat
diripitque; quo metu perculsae minores civitates stipendio imposito imperium accepfre. Victor exercitus opulentusque praedb Carthaginem Novam in hiberna est
deductus. 5. Ibi large partiendo praedam stipendioque praeterito ex fide exsolvendo cunctis civium sociorumque animis in se firmatis vere primo in Vaccaeos promotum bellum. 6. Hermandica et Arbocala, eorum urbes, vi captae. Arbocala et
virtute et multitudine oppidanorum diu defensa; 7. ab Hermandicb profugi exsulibus Olcbdum, priore aestate domitae gentis, cum se iunxissent, 8. concitant
1. Amilcare … Asdrubale: secondo Livio, Annibale temeva la possibilità di morire soprattutto perché non
avrebbe potuto portare a termine l’impresa contro Roma.
2. guerra a Sagunto: con il trattato
dell’Ebro era stato stabilito quel fiume
come linea di demarcazione tra la zona
di influenza romana e quella di influenza cartaginese. Sagunto era allea-
Ab Urbe condita
Ottenuto il comando supremo delle truppe cartaginesi, il primo obiettivo che Annibale si prefigge per attaccare Roma è Sagunto, città sita a sud dell’Ebro, cioè nella zona di influenza cartaginese secondo il trattato
del 226 a.C., ma alleata dei Romani. Per accostarsi alla città senza creare immediati sospetti comincia una
serie di operazioni militari dirette contro le tribù stanziate nei pressi della città.
Livio
3 L’esordio al comando
ta di Roma, ma si trovava a sud dell’Ebro, nella zona cartaginese: un’occasione ottima per iniziare le ostilità.
7
L’ETÀ DI AUGUSTO
si del fiume Tago Annibale di ritorno dal territorio dei Vaccei, cagionarono
scompiglio nell’esercito carico di bottino. 9. Annibale non accolse la provocazione
a combattere e posto il campo sulla riva del Tago3, non appena ci furono quiete e
silenzio da parte dei nemici, fece passare a guado il fiume e, fatto costruire un vallo
discosto dal fiume quel tanto da consentire ai nemici il passaggio, decise di attaccarli quando attraversassero il fiume. 10. Diede ordine ai cavalieri di attaccare i
fanti nemici quando li vedessero entrare in acqua; dispose sulla riva gli elefanti – ce
n’erano quaranta. 11. I Carpetani, con i piccoli contingenti degli Olcadi e dei
Vaccei, erano centomila, e il loro esercito sarebbe stato invincibile, se si fosse combattuto in campo aperto.12. Perciò, tratti dalla loro naturale baldanza, fidando nel
numero e – poiché credevano che il nemico si fosse ritirato per paura – pensando
che soltanto l’ostacolo del fiume ritardasse la loro vittoria, con alte grida, senza che
nessuno desse ordini, si precipitarono alla rinfusa nel fiume, ciascuno nel punto a
lui più vicino. 13. Ed ecco dall’altra riva4 si lanciò nel fiume una massa enorme di
cavalieri, 14. e in mezzo alla corrente fu la lotta, del tutto impari, poiché lì i fanti,
vacillanti e malsicuri nel cercare a guado un equilibrio, potevano essere fatti cadere perfino da un cavaliere disarmato su di un cavallo condotto alla cieca, i cavalieri invece, non impacciati nei movimenti del corpo né nell’uso delle armi, con i cavalli ben fermi anche nei vortici della corrente, potevano combattere da vicino e da
lontano. 15. Molti furono inghiottiti dal fiume; alcuni, portati in mezzo ai nemici
dalla corrente vorticosa, furono calpestati dagli elefanti. 16. Mentre quelli che per
ultimi erano scesi nel fiume – e per i quali più sicura fu la ritirata verso la loro riva
– si raccoglievano in un sol punto dalle varie parti in cui lo scompiglio li aveva
gettati, Annibale, prima che si riavessero [da] tanto spavento, entrato nel fiume con
Carpetbnos adortique Hannibalem regressum ex Vaccaeis haud procul Tago flumine agmen grave praedb turbavfre. 9. Hannibal proelio abstinuit castrisque super ripam positis, cum prima quies silentiumque ab hostibus fuit, amnem vado
traiecit valloque ita praeducto ut locum ad transgrediendum hostes haberent invadere eos transeuntes statuit. 10. Equitibus praecepit ut, cum ingressos aquam viderent, adorirentur impeditum agmen; in ripb elephantos – quadraginta autem
erant – disponit. 11. Carpetanorum cum appendicibus Olcbdum Vaccaeorumque
centum milia fufre, invicta acies si aequo dimicaretur campo. 12. Itaque et ingenio feroces et multitudine freti et, quod metu cessisse credebant hostem, id morari
victoriam rati quod interesset amnis, clamore sublato passim sine ullius imperio
qub cuique proximum est in amnem ruunt. 13. Et ex parte alterb ripae vis ingens
equitum in flumen immissa, medioque alveo haudqubquam pari certamine concursum, 14. quippe ubi pedes instabilis ac vix vado fidens vel ab inermi equite,
equo temere acto, perverti posset, eques corpore armisque liber, equo vel per medios gurgites stabili, comminus eminusque rem gereret. 15. Pars magna flumine
absumpta; quidam vorticoso amni delati in hostes ab elephantis obtriti sunt. 16.
Postremi, quibus regressus in suam ripam tutior fuit, ex varib trepidatione cum in
unum colligerentur, priusquam in tanto pavore reciperent animos, Hannibal
3. sulla riva del Tago: in latino super
ripam, cioè alla sinistra del Tago.
8
4. dall’altra riva: cioè dalla destra.
Livio
l’esercito in ordine di battaglia, li volse in fuga dalla riva e, saccheggiati i campi, in
pochi giorni ebbe la resa anche dei Carpetani. 17. Ormai tutto, al di là dell’Ebro,
tranne Sagunto, era dei Cartaginesi5.
5. era dei Cartaginesi: in questo modo la città alleata di Roma si venne a trovare circondata da ogni parte dalle popolazioni sottomesse a Cartagine.
GUIDA ALL’ANALISI
LINGUA E LESSICO
1. Il capitolo è tutto incentrato sulla descrizione di mosse strategiche e azioni diplomatiche attuate dal
giovane Annibale. Ricostruiscine la tessitura, raccogliendo espressioni e termini chiave di questi due
àmbiti e inserendoli in uno schema.
2. La necessità di sintesi spinge lo storico ad utilizzare per la sua narrazione strutture sintattiche, costrutti
ed espressioni che condensano in pochi termini molteplici azioni. Indicane alcune e accompagnale
con una traduzione italiana. Quali caratteristiche dello stile liviano e, più in generale, della lingua latina
emergono dal confronto?
3. Esamina i paragrafi 13, 14 e 15, ricostruendo in uno schema i rapporti di reggenza e dipendenza delle
diverse proposizioni presenti.
4. Analizza le seguenti strutture.
STRUTTURE
ANALISI
ne se quoque ... opprimeret (par. 2)
quia ... Romana arma movebantur (par. 3)
ut ... posset (par. 3)
cunctis ... firmatis (par. 5)
cum viderent (par. 10)
quippe ... perverti posset (par. 14)
priusquam ... reciperent animos (par. 16)
TEMI E CONFRONTI
5. Per quale motivo, secondo Livio, Annibale ha fretta di fare guerra ai Romani? Che cosa ci vuol dire lo sto-
rico fornendoci questo particolare? Come si concretizza questo progetto del condottiero cartaginese?
6. Qual è l’occasione che provoca il casus belli tra Roma e Cartagine in Spagna? Quale il progetto di Anni-
bale per non apparire il responsabile della violazione del trattato?
7. Quali osservazioni formula Livio in merito alla tattica militare seguita da Annibale contro la popolazione
dei Carpetani? Quali scelte dimostrano la sua abilità tattica, quali la sua intelligenza strategica?
8. Servendoti di un vocabolario e di un atlante storico, individua correttamente la collocazione delle località
indicate nel capitolo, in particolare Cartagena (Cartagine Nuova) e il fiume Tago.
STILE E RETORICA
9. Nel par. 1 è evidente una figura di allitterazione: rintracciala e spiegane l’effetto.
10. Rintraccia e analizza esempi di brevitas che rendono più incalzante la narrazione.
9
testi
agmine quadrato amnem ingressus fugam ex ripb fecit vastatisque agris intra paucos dies Carpetbnos quoque in deditionem accepit; 17. et iam omnia trans Hibfrum praeter Saguntjnos Carthaginiensium erant.
Ab Urbe condita
(Trad. P. Ramondetti)
Testi a confronto
La favola del topo di campagna e del topo di città
La ricezione di questo apologo, che chiude la Satira II, 6 di Orazio (Testo 2), è molto ampia nella letteratura europea, in cui assieme al modello oraziano, vengono spesso recuperate le versioni dei favolisti
antichi, Fedro ed Esopo.
Jean de La Fontaine (1621-1695)
Un celebre esempio di riscrittura è offerto da una delle Fables di Jean de La Fontaine, pubblicate nel 1692.
La Fontaine vive alla corte di Luigi XIV, in un’epoca in cui la letteratura francese, intrisa di classicismo, intrattiene un rapporto particolarmente stretto con i testi antichi. Lo scrittore ha di certo avuto la possibilità
di accedere a tutte le versioni antiche della favola, ma quella di Orazio, secondo gli interpreti, ha inciso in
modo determinante.
Una volta il Topo di città invitò molto garbatamente il Topo di campagna: c’eran da gustare
avanzi di Ortolani.
Su un tappeto di Turchia la mensa fu allestita; vi lascio immaginare la scorpacciata che
fecero i due amici. Magnifica l’imbandigione1; nulla mancava al banchetto; ma sul più bello
c’è qualcuno che viene a disturbare il festino.
Odono rumore alla porta della sala; il Topo di città se la dà a gambe; il compagno lo segue.
Il rumore s’acqueta, la gente è andata via: lesti i Topi ritornano all’assalto e il Cittadino dice:
“Finiamoci tutto quanto l’arrosto”.
“Basta, basta” fa il villico “domani verrete da me; non che io la pretenda di offrirvi simili
banchetti da Re, ma nulla là viene a interrompermi e mangio con tutto il mio comodo. Addio dunque, al diavolo i piaceri guasti2 dalla paura”.
(Trad. M. Zini)
L’ETÀ DI AUGUSTO
1. imbandigione: apparecchiatura.
2. guasti: rovinati.
CONFRONTI

Come viene descritto l’ambiente del topo “cittadino”
nella favola di La Fontaine?
1

Quali differenze si possono cogliere nella descrizione di ambiente, rispetto alle altre versioni della favola
che hai letto?
Orazio Epistole
Carlo Porta (1755-1821)
In ambito italiano l’apologo è stato ripreso nella poesia dialettale (per esempio da Trilussa p. 516), che
è spesso incline a riflessioni moraleggianti a cui il genere “popolare” della favola si presta particolarmente.
Riportiamo qui la versione del milanese Carlo Porta, che è purtroppo rimasta incompleta (compare tra i
testi inediti dell’autore): la favola si interrompe infatti in corrispondenza del prevedibile finale, l’arrivo del
gatto.
Una notte un topolino
ha invitato un ratto contadino
per pappare quattro assaggi
di salame e di formaggi,
che i padroni della sua abitazione
hanno gettato in terra a colazione.
Ratt paisan mezz mort de famm
el sent nanch a dì salamm
ch’el respond on tocch d’on sì
grand e gross pussee che mi.
Ditt, e fatt ratt zittadin
menna el picch in d’on stanzin,
Il ratto di campagna, mezzo morto di fame,
appena sente parlar di salame
risponde con un pezzo di sì
grande e grosso più di così.
Detto e fatto, il topo cittadino
conduce lo zoticone in uno stanzino,
E lì subet ghe dan dent
coj ranzai allegrament.
in sto menter tutt a on tratt
solta foera on porch d’on gatt
ch’el trà salt d’on mia l’un …
e lì subito ci danno dentro
con gli avanzi allegramente.
In quel mentre, tutto a un tratto
salta fuori un maledetto gatto
che fa dei balzi di un miglio l’uno ...
(C. Porta)
testi
Ona nocc on Moriggieu
L’ha invidaa on ratt campagnoeu
à paccià quatter ranzaj
de salamm, e de formaj,
che i Patron della soa cà
han traa in terra in del disnà.
(Trad. L. Pirovano)
CONFRONTI

Come viene caratterizzato il topo di campagna nel
testo di Porta?

In tutte le versioni della favola, il banchetto dei due
topi è disturbato dall’intervento di un agente esterno
(in questo caso un gatto). Confronta la conclusione
della favola in ognuno dei testi proposti: rifletti sulle
differenze e prova a fornire una spiegazione.
2
Testi a confronto
La fonte della poesia
L’ode del fons Bandusiae, in cui l’immagine della sorgente, soprattutto in ambito romantico e simbolista, è
stata connessa all’idea dell’ispirazione poetica, ha dato luogo a traduzioni e riscritture anche nella tradizione poetica italiana; proponiamo qui le celebri rielaborazioni di Giovanni Pascoli e di Gabriele d’Annunzio.
Giovanni Pascoli (1855-1912)
Nell’ampia ricezione dell’ode 3, 13 è molto interessante in Italia il caso di Giovanni Pascoli, autore di un
poemetto in latino intitolato Fanum Vacunae, “Il tempio di Vacuna”, composto nel 1911, che ha per protagonista proprio Orazio. Pascoli immagina che il poeta latino nella sua villa di Sabina (dove si trova il tempietto di Vacuna, menzionato anche in una epistola di Orazio) ripensi in uno stato di dormiveglia alla casa
natale, in Puglia. Tra i ricordi d’infanzia affiora quello della fonte a cui lui stesso ha dato il nome di Bandusia,
in onore della ninfa che allora abitava la sorgente e che Orazio considerava l’ispiratrice della sua poesia.
Pascoli, che nel poemetto rievoca il momento della consacrazione, sembra dunque proporre una lettura in
chiave simbolica dell’ode oraziana, ricordando probabilmente analoghi usi della metafora della fonte come
ispirazione poetica. Proponiamo il testo pascoliano (vv. 266 ss.) con la traduzione a fronte di A. Mocchino.
Fanum Vacunae
(XII, Bandusia)
270
275
280
Il tempio di Vacuna
(XII, Bandusia)
Te quocumque vocant nomine rustici,
iamnunc Bandusiae fons eris, et tuas
undas Appula puras
pura fundat ab amphora,
quae dempsit puero nympha sitim mihi,
quae longis tenuit garrula fabulis
aurem: quas utinam nunc
ex te grandior audiam!
Dic montes patrios, dic tenues lares,
oro, dic ioca, dic seria, quot diu
nobis abdita, mixtum
nunc risum lacrimis cient:
quot percepta semel corde pio, memor
dicam digna piis cordibus. Hauriam
sic ex fonte canorae
vates rite puertiae!
Quale sia il nome con cui ti chiamano i contadini,
d’ora innanzi sarai la fonte di Bandusia, e le tue
pure onde versi
da una pura anfora la ninfa di Puglia.
che tolse la sete a me fanciullo,
che incantò il mio orecchio,
chiacchierina, con lunghe fole:
deh possa ora, fatto uomo, riudirle da te!
Narra i monti del mio paese, narra la povera casa,
narra ti prego le mie gioie e le mie pene: tutte le cose che,
a lungo dimenticate,
ora mi destano un riso misto di lacrime:
le cose che, apprese una volta con cuore pio, memore io
trasmetterò ai cuori pii, a cui si confanno. E che io poeta possa
così attingere alle fonti
della canora fanciullezza!
L’ETÀ DI AUGUSTO
(G. Pascoli)
(Trad. A. Mocchino)
CONFRONTI

Pascoli immagina Orazio intento a consacrare la sorgente Bandusia alla ninfa sua ispiratrice: nella descrizione della sorgente noti delle analogie con il testo
oraziano? Quali?
3

Sia il componimento oraziano che quello di Pascoli sviluppano il tema della funzione della poesia: con
quali differenze?
Orazio Epistole
Gabriele D’Annunzio (1863-1938)
Anche Gabriele D’Annunzio rivolge attenzione all’ode oraziana, di cui inserisce una traduzione nell’appendice alla raccolta poetica giovanile Primo vere (1878-1880), significativamente intitolata Tradimenti. La
traduzione, in effetti, è una vera e propria riscrittura, in uno stile solenne e aulico, molto ricco di ripetizioni
e di marcati effetti fonici, ben lontano quindi dalla sobrietà oraziana.
testi
Al fonte di Bandusia
[da Orazio]
A te di un limpido rivo vetro più limpido,
degno di ambrosio1 vino e di florei
serti2, io darò domane3,
o fonte di Bandusia,
5
10
15
20
un capro giovine a cui dal turgido
fronte ora i tenui4 corni ora spuntano,
invan pronto ad amori
e ad aspre invan battaglie,
ché del vermiglio5 suo sangue tingere
dovrà i tuoi gelidi, o fonte, rivoli6
diman questo rampollo
di lascivietta greggia7.
Tu doni a’ tauri stanchi del vomere
e al gregge libero frescure amabili;
ché te le fiamme atroci
del solleon non ardono,
te pari a’ nobili fonti, s’io celebri
ne’ carmi l’ilice instante8 a’ concavi
sassi onde via loquaci
le tue linfe9 fluiscono.
1. ambrosio: fatto di ambrosia, il nettare degli dèi.
2. florei serti: corone di
fiori.
3.
4.
5.
6.
domane: domani.
tenui: sottili.
vermiglio: rosso vivo.
rivoli: le acque correnti.
7. rampollo … greggia: cio che incombe.
il figlio del gregge che sal- 9. linfe: acque.
tella qua e là.
8. l’ilice … instante: il lec-
CONFRONTI

La traduzione/“tradimento” di D’Annunzio, composta in uno stile estremamente aulico, abbonda di latinismi, alcuni dei quali ricalcano termini impiegati da
Orazio: per esempio “lascivietta”, al v. 12, rende lasci-
vus (v. 8 dell’ode oraziana). Rileggi il componimento
e trova qualche altro esempio del genere; ritieni che
ci sia una differenza tra il livello stilistico del termine
latino e quello del suo calco italiano?
4
Testi a confronto
A fuggir l’età spendendo
Accanto alla ripresa leopardiana dell’epistola I, 11 (p. 542), proponiamo qui un altro esempio di riscrittura moderna del componimento oraziano: l’idea che visitare luoghi celebri non giovi alla serenità interiore
(il topos antico della mutatio loci) viene ancora una volta rivisitata e rielaborata.
G. Meason e G. F. Whicher
L’epistola I, 11 è chiaramente echeggiata in un componimento tratto dalla raccolta On the Tibur Road.
A Freshman’s Horace (1912), degli americani George Meason e George Frisbie Whicher. È chiaro che
siamo di fronte a una riscrittura “attualizzante” della poesia oraziana, come rivela immediatamente la
strofa iniziale in cui all’elenco delle località famose visitate da Bullazio subentrano alcune importanti
città americane. Anche in questo caso, alla rassegna delle prestigiose città, segue l’elogio la solitudine di campagna, presentata come la scelta di vita preferibile. I temi oraziani sono trasposti nella
realtà americana con un tono scherzoso e ironico che attenua notevolmente l’inquietudine propria
del modello antico.
La mia fattoria sabina
Alcuni parlano di Niuu York,
di Cleveland pochi l’hanno mai fatto;
cantano Baltimora a profusione,
Chicago, Pittsburgh, Washington.
Altri senz’invito si son cimentati
per stendere lodi infinite di Boston,
di piante di fagiolo che si snodano per miglia
e strade curve dove ci si perde.
Non darmi stridio di macchine o camion
non fumo di città e rumore di mulini;
piuttosto il lento flusso del Connecticut
e giardini assolati sui pendii.
Là, come nella foschia dei giorni d’estate,
col vento svaniscono affanni e dolori.
Ogni giorno passa contento e sicuro,
incurante di ciò che porti il domani.
L’ETÀ DI AUGUSTO
(Trad. A. Ziosi)
CONFRONTI

Il componimento di Meason e Whicher “alleggerisce” Orazio: quali aspetti inquietanti della riflessione
oraziana vengono “rimossi” dai poeti americani?
5

Confronta il componimento di Meason e Whicher
con quello di Leopardi e sottolinea le differenze nel
rielaborare il topos antico della mutatio loci.
(I, 38)
È un carme di congedo, che chiude il primo libro delle Odi: la collocazione di per sé è estremamente significativa, perché il poeta nelle odi iniziali e finali di ogni libro della sua raccolta, si concentra su se stesso, sulle
proprie scelte esistenziali e poetiche. Nell’ode di apertura, ricorrendo allo schema del Priamel (Testo 3),
ha presentato, tra le diverse possibilità di vita, la sua scelta personale, quella di un’esistenza dedicata alla
poesia. Ora, nell’ode conclusiva, Orazio rappresenta se stesso come un placido commensale che chiede al
proprio servo di preparargli un simposio semplice, senza lussi: a lui piace bere, incoronato di semplice mirto,
all’ombra di una vite. Di certo il simposio semplice richiama un ideale di vita modesto, ma a questo significato
potrebbe aggiungersene un altro: quello di rivendicare per la propria poesia uno stile semplice, lineare, privo
di inutili ornamenti. Del resto, per Orazio, la semplicità non è solo uno stile di vita (in linea con i precetti
filosofici seguiti dal poeta), ma anche una scelta poetica; secondo questa interpretazione, avremmo, alla fine
del primo libro un manifesto di poetica speculare a quello di apertura.
METRO ■ strofe saffiche
5
Persecos odj, puer, adparatus,
displicent nexae philyrb coronae,
mitte sectari, rosa quo locorum
sera moretur.
Simplici myrto nihil adlabpres
sedulus curo: neque te ministrum
dedecet myrtus neque me sub artb
vite bibentem.
1 ss. Persicos ... moretur, “Odio,
ragazzo, lo sfarzo persiano (Persicos ...
adparatus), non mi piacciono le corone
intrecciate (nexae) con fili di tiglio
(philyra), smetti di cercare in qual luogo
indugi (quo locorum... moretur) la rosa tardiva (rosa ... sera)”. – odi: “detesto”, perfetto logico. – Persicos: il lusso e la ricercatezza, nella cultura antica, erano
tipicamente associati all’Oriente. – displicent: cambio di sogg. (dall’io del poeta si passa alle coronae). – philyra: è il nome greco del tiglio, dalla cui corteccia
si ricavava un filo per cucire. – mitte: per
omitte, con l’inf. oggetto sectari, corrisponde a un imperativo negativo. – quo
locorum: l’avv. interrogativo + genitivo
partitivo (= quo loco) introduce l’interrogativa indiretta. – rosa ... sera: iperbato;
la rosa tardiva era particolarmente rara e ricercata.
5 ss. Simplici ... bibentem, “Desidero che tu non ti adoperi (adlabores sedulus) ad aggiungere nulla al semplice
mirto: il mirto non è inadatto (neque ...
dedecet) né a te che mi servi a tavola (ministrum) né a me che bevo sotto un breve pergolato (sub arta vite)”. – Simplici
myrto: dativo retto da adlaboro (“sforzarsi
di aggiungere”). – sedulus: pred. riferito
al sogg. di adlabores (cioè il puer) secondo
l’interpretazione prevalente. – curo:
regge la volitiva nihil adlabores, con il
cong. senza ut. – neque … dedecet: lìtote;
il mirto, sacro a Venere, si addice perfettamente al poeta che canta l’amore.
– te ministrum: acc. retto da dedecet, come
il successivo me … bibentem; minister (da
minus + -ter) è qualunque persona sottoposta a un’altra, e dunque un servo, un
funzionario, qui il coppiere. – sub arta
vite: c’è chi intende artus nel senso di
“folto”, “fitto” (e quindi ombroso), ma
l’interpretazione “sotto il pergolato ristretto” è più coerente con la scelta di
semplicità del poeta.
1
testi
1 Congedo
Orazio Odi
Odi
ANALISI DEL TESTO
FORMALE L’estrema eleganza formale della
poesia oraziana è evidente nell’ordine studiatissimo
delle parole, che conferisce ad ogni singolo termine la
massima incisività: al v. 1 il sostantivo adparatus e il suo
attributo Persicos sono separati dall’iperbato e respinti
ai due estremi del verso; al centro, altrettanto in evidenza, il verbo odi (“detesto”). Un altro iperbato espressivo
è RoSA… SeRA (vv. 3-4): i termini coinvolti, per di più,
sono isosillabici e quasi anagrammatici. Simplici myrto,
un’espressione che si lega al tema portante del carme
– la semplicità – è collocato primo piano, in incipit del
v. 5; notevole, inoltre, la corrispondenza “verticale” o
“colonnare” di neque te … / … neque me – vengono
qui richiamate la persona del poeta e il suo destinatario – che, in due versi successivi (vv. 6-7), occupano
esattamente la stessa posizione.

ELEGANZA
COLLOQUIALE Alla raffinatezza della forma corrisponde il tono colloquiale con cui il poeta si rivolge
al puer: nell’esprimere le sue preferenze il poeta ricorre
a verbi in uso nel linguaggio quotidiano, come odi (v.
1), displicent (v. 2), curo (v. 6). Sul piano semantico,
odi ha qui il valore attenuato di “non mi piace”, proprio della conversazione confidenziale, e quindi funge
da sinonimo di displicent; quest’ultimo da dis + placeo,
indica la disapprovazione, qui espressa in base al gusto. Anche la perifrasi mitte sectari (v. 3), equivalente
a una forma di imperativo negativo (“non cercare”), è
L’ETÀ DI AUGUSTO

TONO
2
un grecismo sintattico tipico della lingua familiare (lo si
incontra spesso in Plauto e in Terenzio). Del resto la poesia ricorre sovente a espressioni del sermo cotidianus.
SIMPOSIO “METAPOETICO” Come osserva F. Citti,
“ode e libro si chiudono nel segno del simposio”. Il simposio è uno dei temi più significativi della poesia oraziana, che pervade di sé la raccolta dei Carmina: Orazio
lo eredita dai lirici greci arcaici (significativa, in questo
senso, la scelta del metro: l’ode saffica), ma lo rielabora
sempre in modo originale. Nel caso specifico, la richiesta di un convito semplice assume un preciso significato
simbolico: rinvia alla semplicità dello stile di vita, più volte
Testo 2).
rivendicata nelle Odi, ma anche nelle Satire (
A questo simbolismo potrebbe però aggiungersene un
altro, di tipo “metapoetico”, ossia inerente alla poesia
stessa: “metapoetico” è appunto quel particolare genere di riflessione che il poeta svolge sulla propria poesia.
Non c’è dubbio, infatti, che la scelta di uno stile semplice – e viceversa il rifiuto di tutto ciò che è pomposo ed
eccessivo – caratterizzi la poesia oraziana: simplex è una
Testo 4).
parola chiave del suo lessico “metapoetico” (
Dunque, la richiesta di un simposio semplice è anche la
rivendicazione di una poesia semplice. Questa interpretazione sarebbe poi confermata dalla posizione che l’ode
occupa nella raccolta: in chiusura di libro, e dunque in
corrispondenza con l’ode di apertura, in cui Orazio aveva
affermato la sua identità di poeta.

UN
(II, 14)
Ahimè fugaci1, Postumo, Postumo2,
scorrono gli anni,
né la pietà per gli dèi3
ritarderà le rughe e l’incalzante
vecchiezza, e l’indomata morte:
5
10
5
10
neppur se con trecento tori, quanti
vanno via i giorni4,
tu tenterai, amico, di placare
Plutone illacrimabile5. Il tricorpore
Gerione6 e Tizio7 egli rinserra
con l’onda trista8 che tutti
dovremo navigando attraversare,
quanti dei frutti della terra
ci nutriamo9, sia che saremo re10,
sia che saremo miseri coloni.
Eheu fugaces, Postume, Postume,
labuntur anni nec pietas moram
rugis et instanti senectae
adferet indomitaeque morti,
non si trecenis quotquot eunt dies,
amice, places inlacrimabilem
Plutpna tauris, qui ter amplum
Gfryonen Tityonque tristi
conpescit undb, scilicet omnibus,
quicumque terrae munere vescimur,
enavigandb, sive reges
1. fugaci: “che tendono a fuggire”;
l’aggettivo latino fugax deriva dal tema
di fugio, con la desinenza in -ax che sottolinea (spesso in senso negativo) la
propensione a compiere l’azione indicata dal verbo.
2. Ahimè … Postumo, Postumo:
l’effetto dell’interiezione di dolore è accresciuto dalla geminatio del nome proprio.
3. la pietà per gli dèi: devozione religiosa, con cui si cerca in genere di
scongiurare la morte (vv. 6 ss. del testo
latino).
4. quanti … i giorni: ossia per ogni
giorno che passa; il poeta immagina un
iperbolico sacrificio di trecento tori al
giorno.
5. Plutone illacrimabile: il dio sovrano dell’Ade è restio alle lacrime,
implacabile.
6. Il tricorpore Gerione: mostruoso gigante che, dalle anche in su, aveva
il corpo triplicato; fu ucciso da Ercole
nella sua decima fatica.
7. Tizio: un altro gigante, figlio della
Terra, ucciso da Artemide.
8. onda trista: è la cupa palude dello
Stige, da cui si accede all’Oltretomba.
9. quanti … ci nutriamo: la perifrasi, che indica il genere umano, deriva da Omero (Odissea VIII, v. 222, “i
mortali … che mangiano il pane sulla
terra” e altrove).
10. re: il termine indica genericamente i potenti, come “miseri coloni”
designa le persone di umile condizione.
3
testi
Orazio rivolge all’amico (amice, v. 6) Pòstumo un cupo monito: gli anni fuggono inesorabili, mentre si avvicinano la vecchiaia e la morte. La morte, soprattutto, non può essere evitata in nessun modo: è inutile
cercare di ingraziarsi gli dèi con cospicui sacrifici, e anche evitare i pericoli delle guerre e delle malattie;
tutti gli uomini, ricchi o poveri che siano, sono destinati a incontrare, prima o poi, le squallide presenze che
popolano l’Oltretomba. La fuga del tempo, un tema centrale nella poesia oraziana (si pensi alle Odi I, 9 e I,
11), è in genere associato all’invito a godere la vita; in questo caso l’esortazione a concentrarsi sul presente
è implicita nell’immagine finale dell’erede che si berrà il vino pregiato messo da parte. Quasi a dire, che se
Pòstumo non si affretterà a godere del suo vino, qualcuno lo farà al posto suo.
Orazio Odi
2 La fuga degli anni
15
Invano dal cruento Marte11
ci terremo lontani, e dai rotti
flutti dell’Adriatico roco12.
Invano, negli autunni, temeremo
lo scirocco13 che fa male alle ossa.
20
Dobbiam vederlo il nero fiume languido
Cocìto14 errante, e di Danao la stirpe
infame15 e Sisifo16, figlio di Eolo,
condannato alla lunga fatica.
Dobbiam lasciare la terra e la casa
e la piacente sposa! E di questi alberi17
che tu coltivi, nessuno
fuor che gli invisi cipressi18
seguirà te fuggevole padrone.
25
15
20
L’ETÀ DI AUGUSTO
25
Si avrà19 un erede più degno i Cécubi20
sotto chiave invecchiati, e il pavimento
tingerà21 con un vino superbo
migliore che alle cene dei pontefici22.
sive inopes erimus coloni.
Frustra cruento Marte carebimus
fractisque rauci fluctibus Hadriae,
frustra per autumnos nocentem
corporibus metuemus Austrum:
visendus ater flumine languido
Coˉ cyˉ tos errans et Danai genus
infame damnatusque longi
Sisyphus Aeolides laboris,
linquenda tellus et domus et placens
uxor, nequeharum quas colis arborum
te praeter invjsas cupressos
ulla brevem dominum sequetur.
Absvmet heres Caecuba dignior
servata centum clavibus et mero
tinguet pavimentum superbo,
pontificum potiore cenis.
11. cruento Marte: metonimia per
la guerra.
12. roco: evoca il rumore della tempesta marina.
13. scirocco: questo vento rendeva
particolarmente malsano il mese di settembre a Roma.
14. Cocìto: uno dei quattro fiumi infernali (dal gr. kokytós: “gemito”).
15. di Dànao la stirpe infame: le
cinquanta figlie di Dànao, che, istigate
dal padre, uccisero i mariti nella prima notte di nozze; esse furono con-
4
(Trad. P. Bufalini)
dannate per l’eternità a versare acqua
in un recipiente senza fondo.
16. Sisifo: figlio del re dei venti, Eolo, era stato condannato nell’Ade a
sospingere in eterno un masso fino alla cima di un monte, da cui questo ricadeva nuovamente a valle.
17. questi alberi: il dimostrativo
suggerisce che Orazio sia nella villa di
Postumo, e indichi gli alberi che il padrone coltiva con amore.
18. invisi cipressi: per i Romani,
come per noi, il cipresso era associato
alla morte.
19. Si avrà: avrà.
20. Cècubi: il plurale indica che si
tratta di molte anfore di Cécubo (pregiato vino del Lazio).
21. tingerà: le prime gocce di vino
venivano versate a terra come offerta propiziatoria agli dèi; o forse l’erede
scialerà il vino in spregio dell’antenato
che lo aveva tenuto sotto chiave.
22. cene dei pontefici: erano rinomate per la loro raffinatezza.
LINGUA E LESSICO
1. L’idea dell’ineluttabilità della morte è sottolineata da un ricorso insistito alla perifrastica passiva: sottoli-
TEMI E CONFRONTI
3. L’ode offre al lettore un’immagine dell’aldilà: che caratteristiche presenta l’Oltretomba oraziano? Come
sono rappresentate le creature che lo popolano?
4. Che funzione ha la figura dell’erede, evocata nell’ultima strofa dell’ode?
5. Il tema della fugacità della vita è presente in altre odi oraziane: quali, tra quelle che hai letto?
STILE E RETORICA
6. L’incipit dell’ode è caratterizzato da un tono lugubre che evoca un’atmosfera funebre: nei primi due versi
in particolare si accumulano un’interiezione di lamento, un’espressiva geminatio e l’insistita ripetizione
del suono cupo /u/: individua e sottolinea ciascuno di questi stilemi. L’anafora e l’allitterazione sono
presenti anche in altre parti dell’ode: rintracciane qualche esempio e illustrane la funzione.
7. La figura dell’iperbole (l’esagerazione) è presente ai vv. 5 e 26: individuala e spiegane la funzione.
5
testi
nea le forme di gerundivo presenti nell’ode e osservane la posizione nel verso: ti sembra che contribuisca a sottolinearne l’incisività?
2. Anche in questa ode Orazio ricorre frequentemente ai grecismi (in particolare nomi propri), con lo scopo
di impreziosire il suo stile. Rintracciali e sottolineali; a quale ambito si riferiscono tutti questi nomi greci?
Orazio Odi
GUIDA ALL’ANALISI
Epistole
3 La micidiale accidia
(I, 8)
Orazio affida alla Musa una lettera per l’amico Celso, segretario e compagno di viaggio del principe Tiberio
in una spedizione in Oriente compiuta nel 21 a.C. (la lettera dunque risalirà al 21/20). Il tono scherzoso,
con la trovata di utilizzare la Musa come intermediaria, lascia però ben presto spazio all’amarezza, quando
il poeta si trova a parlare di sé, della sua vita: nel suo podere di Sabina, Orazio è tutt’altro che sereno. Le
preoccupazioni che lo assillano non sono di ordine pratico, ma psicologico ed esistenziale: è insofferente,
annoiato, ansioso e se la prende anche con chi cerca di occuparsi di lui. Ormai anziano, non può che trarre
un bilancio negativo della sua esperienza esistenziale: fallito il tentativo di conquistare la serenità attraverso
la filosofia (v. 3), si ritrova oppresso da una “micidiale accidia” (v. 10).
5
10
15
A Celso Albinovano1, compagno e segretario di Nerone2, riferisci,
Musa, te ne prego, il mio saluto e il mio augurio3: che stia bene.
Se ti chiederà che faccio, tu rispondi che malgrado tante belle promesse
la mia vita non conosce né saggezza né piacere4: e non perché la grandine
abbia flagellato la mia vigna o la calura corroso l’uliveto,
o perché su pascoli lontani soffra il bestiame di un’epidemia5.
Ma perché, nella mente malato più che in tutto il corpo,
non voglio udire, non voglio saper nulla di quanto mi potrebbe risanare6.
L’impegno dei medici mi urta; m’irrita l’affetto degli amici,
il loro prodigarsi per strapparmi a questa micidiale accidia7
Macché, mi attirano le cose dannose, mi respinge quello che potrebbe farmi bene.
Sono come un vento: a Roma mi manca Tivoli, a Tivoli Roma8.
Voltando pagina, chiedigli un po’ come sta, come svolge
Il suo ruolo, come riesce a ingraziarsi il giovane capo e i sodali9.
Se dice “benone”, ricorda: dopo esserti congratulata,
sussurra subito dietro il suo orecchio questo mio messaggio:
“Come ti regolerai con la tua sorte, Celso, anch’io così con te”10.
L’ETÀ DI AUGUSTO
(Trad. M. Beck)
1. Celso Albinovano: ci è noto solo
da Orazio, che altrove (nell’epistola I,
3, vv. 15-20) accenna alle sue velleità
poetiche e lo esorta a smetterla di copiare i versi altrui.
2. Nerone: Tiberio Claudio Nerone, il
futuro imperatore (nel 14, alla morte di
Augusto); Celso lo accompagnava in
Oriente in qualità di segretario personale.
3. Musa … augurio: l’epistola si
apre con una formula di saluto convenzionale che Orazio affida alla Musa.
4. né saggezza né piacere: Orazio
allude qui ai precetti fondamentali della scuola stoica (“saggezza”) ed epicu-
6
rea (“piacere”) e ammette di non aver
raggiunto la felicità né con una né con
l’altra.
5. non perché … epidemia: il poeta non è afflitto da preoccupazioni di
ordine materiale (i campi e il bestiame
del suo piccolo podere in Sabina), ma
psicologico, come precisa nei versi successivi.
6. non voglio … risanare: alla malattia si aggiunge il rifiuto della cura.
7. micidiale accidia: in latino funestus veternus; il veternus, da vetus, è la “malattia dei vecchi”, una specie di apatia,
di disgusto per la vita.
8. sono come un vento … Roma:
Orazio desidera di continuo cambiare
luogo; inutilmente, perché il problema
Testo 12). Tivoli era un poè l’ansia (
sto di villeggiatura particolarmente
amato dal poeta.
9. i sodali: gli amici, i compagni della corte di Tiberio.
10. come ti regolerai … con te: se
Celso saprà comportarsi bene anche
nella felice condizione in cui si trova,
Orazio si comporterà bene con lui; si
tratta di una ammonizione scherzosa a
non diventare superbo per la fortuna di
essere alla corte del potente Tiberio.
TEMI E CONFRONTI
1. Nell’ode Orazio ammette il suo fallimento sul piano esistenziale e filosofico: non è riuscito a conquistare
né la sapienza degli Stoici né il piacere degli Epicurei. Il rapporto con la filosofia (soprattutto epicurea)
è un tema che pervade tutta la produzione poetica di Orazio: prova a rintracciare qualche precetto filosofico nei testi che hai letto.
2. L’invocazione alla Musa, tradizionalmente tipica della poesia epica di tono solenne ed elevato, ha qui
una funzione scherzosa: quale?
3. Orazio segue le convenzioni tipiche del genere epistolare: indica il nome del destinatario, introduce una
formula di saluto, infine, un congedo. Individua questi elementi nel testo in questione.
7
testi
STILE E RETORICA
Orazio Epistole
GUIDA ALL’ANALISI
Ovidio
Tristia
(I, 3, vv. 1-26)
5
10
15
5
10
15
Quando mi torna in mente la visione tristissima di quella notte, delle ultime ore1 che
passai a Roma, quando ripenso a quella notte in cui lasciai tanti miei affetti, ancora
adesso2 mi si riga il viso di lacrime.
Si era quasi levato il giorno in cui per ordine di Augusto dovevo allontanarmi dagli
estremi confini d’Italia3. Non c’erano stati né tempo né condizioni di spirito adatte
per fare i preparativi necessari: l’animo mio era rimasto intorpidito in un lungo indugio. Non mi curai di scegliere degli schiavi, un compagno, delle vesti o delle cose
adatte a un profugo. Ero attonito come quando una persona colpita dalla folgore4
resta viva e non si rende conto d’esserlo. Quando però il dolore stesso rimosse questa
nebbia che mi avvolgeva l’animo, e tornai infine ad avere percezione di quel che succedeva, rivolsi le ultime parole5 di commiato agli amici desolati, appena uno o due6
Cum subit illjus tristissima noctis imago,
quae mihi suprfmum tempus in Urbe fuit,
cum repeto noctem, qub tot mihi cara reljqui,
labitur ex oculis nunc quoque gutta meis.
Iam prope lux aderat, qub me discedere Caesar
finibus extrfmae iusserat Ausoniae.
Nec spatium nec mens fuerat satis apta parandi:
torpuerant longb pectora nostra morb.
Non mihi servorum, comitis non cura legendi,
non aptae profugo vestis opisve fuit.
Non aliter stupui, quam qui Iovis ignibus ictus
vivit et est vitae nescius ipse suae.
Ut tamen hanc animi nubem dolor ipse removit,
et tandem sensus convalufre mei,
adloquor extrfmum maestos abitvrus amicos,
1. ultime ore: traduce il latino supremum tempus, termine che indica spesso
“il momento supremo” del trapasso dalla vita alla morte e qui suggerisce implicitamente l’idea che la vita del poeta sia
finita con la partenza da Roma.
2. ancora adesso: anche a distanza
di tempo Ovidio piange, quando pensa
allo strazio della sua partenza.
3. Italia: traduce il latino Ausonia, con
cui, propriamente, si indicava la terra
degli Ausoni (o Aurunci), popolazione
che era stanziata tra Liri e Volturno;
indicherà poi l’Italia centro-meridionale e, presso i poeti, l’Italia in genere.
4. dalla folgore: l’ordine di Augusto
che gli imponeva di lasciare Roma per
la lontana Tomi giunse per Ovidio assolutamente inatteso, lasciandolo stordito come un uomo colpito da un fulmine.
5. rivolsi le ultime parole: traduce
il latino adloquor extremum; la frase è
adatta a una scena di commiato funebre, sia per l’avverbio extremum, “per
l’ultima volta”, sia per la connotazione
maestos.
6. uno o due: Ovidio lamenta che
nel momento della disgrazia, di tanti
amici che lo circondavano nel successo, appena uno o due erano venuti a
salutarlo e a confortarlo.
1
testi
Ovidio descrive la sua ultima notte romana, rievocando appassionatamente lo sbigottimento di fronte a un ordine di cui non si rendeva conto e l’ultimo doloroso addio ai suoi familiari e agli amici: il poeta parla di questo
suo congedo con i termini che si usano per coloro che partono per l’ultimo viaggio, congedandosi dai vivi.
Tristia
1 Roma, addio
20
25
dei tanti che avevo. Piangevo, e più straziato del mio era il pianto della mia sposa che
con amore mi abbracciava7, mentre le lacrime scendevano incessanti a rigare quelle
guance che non meritavano tanto dolore. Mia figlia era altrove, lontano sulla
costa libica8, e non poteva aver saputo del mio destino.
Dovunque si volgeva lo sguardo c’erano lutto e gemiti, e l’atmosfera dentro la casa era
quella di un rito funebre, e in tono non sommesso9. Uomini, donne, anche i fanciulli10
piangono per la mia perdita, in ogni angolo ci sono lacrime. Se per piccole vicende si
possono fare paragoni11 con grandi eventi, questo era l’aspetto di Troia mentre era
espugnata.
(Trad. F. Lechi)
20
25
qui modo de multis unus et alter erat.
Uxor amans flentem flens acrius ipsa tenebat,
imbre per indignas usque cadente genas.
Nata procul Liby˘cis aberat diversa sub oris,
nec poterat fati certior esse mei.
Quocumquekaspiceres, luctus gemitusque sonabant,
formaque non taciti funeris intus erat.
Femina virque meo, pueri quoque funere maerent,
inque domo lacrimas angulus omnis habet.
Si licet exemplis in parvis grandibus uti,
haec facies Troiae, cum caperftur, erat.
7. mi abbracciava: Ovidio rappresenta la situazione dei suoi cari di fronte
alla terribile notizia: la moglie lo abbraccia piangendo, mentre la figlia, che
era in Africa insieme al marito, non poteva partecipare al lutto della famiglia;
l’uxor era Fabia, terza moglie del poeta,
mentre la figlia Perilla aveva sposato Fido Cornelio, che in quel periodo era
governatore della provincia d’Africa.
8. costa libica: per indicare genericamente l’Africa settentrionale (sineddoche).
9. in tono non sommesso: traduce
il latino non taciti, lìtote per indicare “clamoroso”; il funerale romano, infatti, era
accompagnato dai pianti delle prefiche
e dal suono di flauti, corni e trombe.
10. anche i fanciulli: tutte le persone presenti nella casa, donne, uomini e
bambini, erano tristi.
11. Se per piccole … paragoni: la
premessa Si licet … uti vuole sminuire
un po’ l’iperbole del v. 26, che paragona il trambusto della casa di Ovidio a
quello di Troia presa e incendiata dai
Greci.
GUIDA ALL’ANALISI
LINGUA E LESSICO
1. Che differenza c’è tra i superlativi supremus ed extremus (cfr. i vv. 2 e 6)? Da quali forme sono derivati?
In quale accezione li impiega qui Ovidio?
2. L’elegia presenta svariati termini che indicano dolore e lutto: raccogliene quanti più puoi e, con l’aiuto
del vocabolario, cerca di precisare le rispettive sfumature di significato.
3. Due aspetti, tra loro contrastanti, convivono in questo brano: da un lato, Ovidio si propone di trasmettere
tutta la tristezza e tutto il dolore che l’allontanamento da Roma provoca in lui; dall’altro, non sembra
rinunciare a uno sguardo autoironico e disincantato sulle proprie vicende. Da quali elementi linguistici
(termini, espressioni, costrutti, figure retoriche) sono espressi questi due atteggiamenti? Quale sentimento ti sembra prevalente? Motiva le tue opinioni con riferimenti a partire dal testo.
TEMI E CONFRONTI
L’ETÀ DI AUGUSTO
4. Individua il pubblico esplicito del componimento. Quale, a tuo avviso, sarà stato, invece, il pubblico implicito?
5. Quello di Ovidio non fu un esilio in senso proprio, piuttosto una relegatio. Che differenza c’era fra le
due condizioni?
STILE E RETORICA
6. Riporta esempi di anafora, antitesi, metonimia, lìtote, iperbole, poliptoto, sineddoche e spiega quale
valore abbiano nel contesto dei versi.
2
Ovidio
Epistulae ex Ponto
(I, 1)
5
10
15
20
25
Nasone1, abitante non nuovo2 del suolo di Tomi,
ti manda questo libro dal getico lido3.
Ospita, Bruto4, se puoi, le poesie fuggitive
e trova un luogo qualunque dove riporle.
In pubbliche sedi non osano entrare temendo
che vieti loro l’ingresso la firma.
Ah, quante volte ho detto: “Niente insegnate di sconcio5:
andate. Quei posti si aprono ai versi puliti!”.
Ma non ci vanno, e, come tu vedi, credono
meno rischioso nascondersi dentro una casa.
Ti chiedi dove tenerle senza offesa per gli altri?
Dov’era l’Arte6: spazio là te ne resta.
Sei forse sorpreso che ti siano arrivate.
Prendile, per come sono; non vi si parla d’amore.
Ma non troverai questo libro, che non annuncia dolore,
meno triste7 dell’altro che già ti ho donato.
Uguale l’argomento, diverso il titolo; e la lettera
porta il nome del destinatario8.
Tu non vuoi questo, ma non puoi impedirlo,
Pur non accetta la Musa porta i suoi ossequi.
Metti anche questa fra le mie cose. Niente proibisce,
salva la legge, ai figli d’un esule d’essere a Roma.
Non hai da temere. Gli scritti d’Antonio si leggono ancora
e di scaffali non manca il colto Bruto9.
Né ho la follia di credermi uguale a quei grandi nomi;
io non ho mosso guerra tremenda agli dèi.
1. Nasone: Ovidio si riferisce a se
stesso impiegando il suo cognomen Naso.
2. non nuovo: ovvero, residente qui
da tempo.
3. getico lido: il riferimento non è al
solo litorale, ma all’intera regione dei
Getuli, a nord del Mar Nero.
4. Bruto: Bruttedio Bruto, oratore. A
lui sono dedicati i primi tre libri delle
Epistulae ex Ponto. Era un amico di Ovidio.
5. di sconcio: possibile allusione alla
causa della relegatio, ovvero il carmen,
forse licenzioso, che avrebbe involontariamente offeso Augusto.
6. Arte: nei Tristia si ricorda il divieto
di conservare nelle biblioteche pubbliche le opere di Ovidio. Il riferimento
qui è ai tre libri dell’Ars Amatoria. Da
quando Ovidio sperimentò la relegatio a
Tomi, nelle biblioteche non poterono
più essere conservate le sue opere, né
statue che lo ritraessero.
7. meno triste: di certo il titolo, in
questo caso, non richiama l’idea di tristezza. Tuttavia, l’opera non è certo
meno triste dei Tristia.
8. destinatario: differentemente dai
Tristia, le Epistulae presentano il nome
del destinatario.
9. Bruto: il ragionamento è il seguente: se gli scritti denigratori di Marco Antonio e M. Giunio Bruto vengono ancora letti a Roma, allora tanto più devono
essere letti quelli di Ovidio che non ha
mai attaccato né Augusto, né Cesare.
3
testi
Nelle Epistulae ex Ponto, Ovidio aveva ormai perduto ogni speranza di tornare a Roma. La lingua è più libera,
i destinatari delle lettere e le loro risposte (di norma taciuti nei Tristia) sono serenamente nominati, i dettami
del genere epistolare (formule di saluto iniziale e di congedo, topoi correlati) sono più strettamente rispettati.
E tuttavia, Ovidio continua a riflettere e a piangere sulla propria sorte, e su quella pesante damnatio memoriae che sembra incombere anche sulla sua opera. Ed è proprio per i suoi versi che, pur esiliato, egli chiede
“diritto di cittadinanza” nell’Urbe, in questa commossa lettera proemiale a Bruto.
Epistulae ex Ponto
2 A Bruto, dal mar Nero
30
35
40
45
50
55
L’ETÀ DI AUGUSTO
60
Infine a Cesare, che pur non ne è privo,
tutti i miei libri rendono onore.
Se di me dubiti, accogli le lodi divine;
e prendi, tolto il nome, il mio canto.
Giova in guerra l’ulivo della pace10;
parlare di chi l’ha firmata non servirà?
Dopo che Enea si fu caricato il padre sul collo,
le fiamme stesse, si dice, gli fecero strada.
Un libro porta un Eneade e non gli è aperto il cammino11?
Ma questo è padre della patria, quello di un uomo.
Chi è mai tanto audace che cacci dalla sua porta
uno che agiti il sistro sonoro di Faro12?
Quando il flautista canta davanti la Madre dei Numi13
con corno ricurvo, chi gli nega una piccola offerta?
Ben sappiamo che non è volontà delle dèe,
eppure non manca da vivere all’indovino.
Il potere dei celesti mi turba il cuore
ma vergogna non è l’averne credenza.
Ecco, in luogo del sistro e del flauto di bosso frigio,
io reco il sacro nome dei Giulii.
Io predico e rivelo. Ammettete chi porta il rituale!
Non è mia richiesta ma di un dio possente.
Né perché meritai e patii l’ira del principe
dovete pensare che io non voglia onorarlo.
Vidi davanti al fuoco di Iside avvolta di lino14
chi confessava15 d’avere violato il suo nume.
Un altro, privato degli occhi per simile causa, gridava
in mezzo alla strada di averlo meritato.
Godono di tali proclami i celesti, che sia data
testimonianza della loro forza.
Spesso alleviano la pena e rendono la vista tolta
quando vedono un pentimento sincero.
Oh, mi pento, se a un infelice si vuole credere,
mi pento, torturato dal mio misfatto16.
È dolore l’esilio, ma più ancora la colpa;
meno è scontare la pena che meritarla.
Per quanto mi aiutino i numi, di lui meno visibili,
può essere tolta la pena, ma eterna è la colpa.
10. ulivo della pace: se un ramoscello di ulivo protegge la vita, tanto
più dovrebbe essere capace di farlo la
menzione di Augusto, auctor pacis,
nell’opera di Ovidio. Il fatto che l’ulivo giovi in guerra è legato al messaggio simbolico a esso associato: in battaglia, l’invio di un ramoscello di
ulivo stava a significare un’offerta di
pace.
11. cammino: se le fiamme, durante la caduta di Troia, permisero il pas-
4
saggio di Enea che portava sulle spalle
il vecchio Anchise, tanto più dovrebbe
essere aperto il varco al libro di Ovidio che celebra i discendenti di Enea e
lo stesso pater patriae, Augusto. Infatti,
Augusto è il padre della patria, Anchise è solo il padre di Enea.
12. sistro ... Faro: è l’isola omonima vicina ad Alessandria ed è epiteto
di Iside, la dea egiziana il cui attributo tradizionale era il sistro, un sonaglio bronzeo.
13. la Madre dei Numi: si tratta
della Magna Mater, la dea frigia Cibele
celebrata al suono della tibia Phrygia,
una specie di oboe.
14. avvolta di lino: di fatto, i sacerdoti di Iside vestivano con abiti di
lino.
15. confessava: Iside pretendeva
una confessione pubblica.
16. misfatto: allusione al misterioso error che causò l’allontanamento di
Ovidio da Roma.
80
testi
75
Epistulae ex Ponto
70
La morte impedirà che il mio esilio continui:
non che io abbia commesso il mio errore.
Dunque non meravigli che il mio cuore si strugga
e sciolga come di goccia in goccia la neve.
È corroso come nave da tarlo segreto,
come l’onda salata scava gli scogli,
come il ferro smesso è mangiato da ruggine scabra,
come al buio il verme bruca il libro,
così il mio petto sente sempre l’angoscia rimorderlo
e i rimorsi non avranno mai fine.
La vita, non il tormento lascerà l’anima;
verrà meno il respiro, non lo strazio.
Se i celesti, ai quali appartengo, mi credono, forse
sarò ritenuto degno di un piccolo aiuto
e finirò lontano dagli archi sciti17.
Se chiedessi di più, sarei spudorato.
Ovidio
65
(Trad. N. Gardini)
17. archi sciti: gli Sciti sono un altro popolo nordorientale, collocato a Nord del Mar Nero, famosi per la loro abilità
come arcieri.
GUIDA ALL’ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1.
2.
3.
4.
Quali sono i motivi per i quali i libri di Ovidio avrebbero dovuto continuare a essere letti?
Indica i riferimenti ad Augusto presenti nel testo. Come viene presentato l’imperatore?
Come Ovidio presenta se stesso? Colpevole o innocente?
Realizza una breve scheda sulla figura di qualche esule, per motivi di ordine politico, della storia contemporanea.
STILE E RETORICA
5. Rileggi le similitudini presenti ai vv. 68 ss. e commentale alla luce del contenuto dei versi.
5
1 Didone scopre la sua passione
(IV, vv. 1-89)
METRO ■ esametri dattilici
5
10
At regina gravi iamdvdum saucia curb
vulnus alit venis et caeco carpitur igni.
Multa viri virtus animo multusque recursat
gentis honos; haerent infixi pectore vultus
verbaque nec placidam membris dat cura quietem.
Postera Phoebfb lustrabat lampade terras
umentemquekAurpra polo dimoverat umbram,
cum sic unanimamkadloquitur male sana sororem:
“Anna soror, quae me suspensamkinsomnia terrent!
Quis novus hic nostris successit sedibus hospes,
1-2 At regina ... igni, “Ma la regina, già da gran tempo (iamdudum) ferita
da una terribile pena (cura), nutre la ferita nelle sue vene ed è consumata (carpitur) dal fuoco nascosto (caeco)”. L’immagine della ferita come quella del
fuoco d’amore sono correnti nella poesia erotica greca e latina. – venis: perché
il sangue è sede dell’anima; si tratta di
un ablativo di luogo senza in. – carpitur:
questo verbo, all’attivo, indica l’atto
con il quale si coglie e consuma un frutto. – caeco: l’aggettivo è usato in valore
passivo, per indicare ciò che non è visto
(non colui che non vede, come di solito).
3-5 Multa ... quietem, “Le torna in
mente (animo ... recursat) il molto valore
dell’eroe e la molta gloria della sua
gente, le restano infissi (haerent infixi) nel
cuore il suo viso e le parole e la pena
non le consente un sonno tranquillo”.
– recurso: è intensivo di recurro, verbo in
cui già il prefisso re- indica la ripetizione dell’azione, come anche il poliptoto
Multa ... multus. – viri virtus: figura etimologica, giacché la virtus è, nell’etica
tradizionale romana, la qualità specifica del vir. – haereo: significa “aderire strettamente”, “esser piantato”, e
quindi il suo significato è ribadito da
infixi (part. pf. di in-figo, “piantar dentro”). – vultus / verbaque: l’allitterazione
è marcata dall’enjambement. – placidam ...
quietem, “un sonno che riposa”. – placidam: l’aggettivo placidus ha il valore
etimologico da placo, “placare”, “calmare”.
6-8 Postera ... sororem, “L’aurora
seguente (Postera) già illuminava con la
luce del sole (Phoebea ... lampade) la terra
e aveva allontanato dal cielo l’ombra
umida, quando, fuori di sé, si rivolge alla (adloquitur) affezionata sorella”.
– Phoebea ... lampade: lett. “con la lampada di Febo”; Phoebus era un appellativo
di Apollo. – terras: il plurale è analizzante, per indicare diversi paesi. – polo:
il termine polus indica propriamente
l’asse della sfera celeste. – male sana: come insana, “fuor di sé”. – unanimam,
“che condivide con lei tutti i sentimenti”: l’aggettivo preannuncia la confessione di Didone ad Anna.
9-12 Anna ... deorum, “Anna, sorella mia, quali sogni mi agitano e mi
atterriscono! Chi è mai questo ospite
1
testi
Il libro IV coincide con il dramma di Didone, dalla passione per l’eroe venuto da Troia all’abbandono e al suicidio. Nell’economia generale dell’opera virgiliana, la vicenda funge anche da “causa” dell’inimicizia mortale
tra Cartagine e Roma, trasferendo sul piano del mito quello che fu lo scontro mortale tra le due potenze
che, durante il III e il II secolo a.C., aspiravano all’egemonia nell’Occidente del Mediterraneo. Come si è visto,
Virgilio riprende da Nevio l’idea di una sosta di Enea in Africa e di un incontro con la fondatrice di Cartagine,
ma inventa la vicenda amorosa tra l’eroe troiano e la regina (già Timeo aveva raccontato che costei si era
rifugiata in Africa dopo che suo marito Sicheo era stato ucciso a tradimento dal fratello di lei). Molti i modelli
narrativi cui il poeta latino poteva ispirarsi per la storia d’amore: la prossimità del genere tuttavia gli suggeriva
in particolare la storia di Medea e Giàsone dalle Argonautiche di Apollonio Rodio. In ambedue i casi l’amore
nasce per un intervento divino, ma in Virgilio l’interesse della regina per lo straniero che è approdato in seguito alla tempesta sulle spiagge del suo paese è dettato anzitutto da un senso di umanità e partecipazione
emotiva alle sue sventure. Nel corso del racconto delle peregrinazioni affrontate da Enea, questa simpatia
umana per l’eroe coraggioso e sfortunato si trasforma in passione, e questa erompe quando Enea ha finito
di raccontare. Didone, sotto l’influsso congiunto di Giunone e di Venere, è rimasta profondamente colpita
dalla straordinaria personalità dell’ospite troiano. Tutta la notte ella è agitata e, al mattino, chiede consiglio
alla sorella che la incoraggia a seguire l’impulso del suo cuore. Didone allora si adopera a trattenere il più
possibile Enea presso di sé, e a interessarlo alla nuova città che sta sorgendo, guidandolo a visitare le nuove
costruzioni e intrattenendosi con lui in prolungati convivi serali.
Virgilio Eneide
Eneide
15
20
25
quem sesekore ferens, quam forti pectoreket armis!
Credokequidem, nec vana fides, genus esse deorum.
Degeneres animos timor arguit. Heu, quibus ille
iactatus fatis! Quae bellakexhausta canebat!
Si mihi non animo fixumkimmotumque sederet
ne cui me vinclo vellem sociare iugali,
postquam primus amor deceptam morte fefellit;
si non pertaesum thalami taedaeque fuisset,
huic uni forsan potui succumbere culpae.
Anna – fatebor enim – miseri post fata Sychaei
coniugis et sparsos fraternb caede Penatis
solus hic inflexit sensus animumque labantem
impulit. Agnosco veteris vestigia flammae.
Sed mihi vel tellus optem prius ima dehiscat
vel pater omnipotens adigat me fulminekad umbras,
pallentis umbras Erebo noctemque profundam,
ante, pudor, quam te violokaut tua iura resolvo.
L’ETÀ DI AUGUSTO
straordinario (novus) che è venuto da
noi? Come si presenta nell’aspetto (ore),
come è forte nel petto e nel braccio!
Credo davvero, e non è vana la mia
convinzione, che egli sia discendente
degli dèi”. – quae ... terrent: lett. “quali sogni atterriscono me agitata”. – suspensam: è part. cong. con me. – Quis ... hospes:
lett. “Quale questo nuovo ospite è venuto (successit) nelle nostre sedi”. – novus:
implica in questo caso l’idea di “mai visto”, quindi “straordinario”. – quem ...
ferens: lett. “quale presentandosi (sese ...
ferens) nell’aspetto”. – quam ... pectore ...
armis: sono abl. di qualità, e armis deriverà da armus, “braccio”, piuttosto che da
arma, -orum, “armi”. – equidem: rafforza
l’affermazione. – genus, “discendenza”:
il costrutto sarà “che (egli) sia prole ... ”.
13-14 Degeneres ... canebat!, “Il
timore scopre gli animi ignobili. Ahimè, da quali vicende egli è stato tormentato! Quali guerre sostenute raccontava!”. – degener: può significare
“colui che non ha un genus” oppure
“colui che è moralmente inferiore ai
suoi antenati”; l’italiano “degenere” si
rapporta al secondo valore, mentre qui
è più pertinente il primo. – iactatus: come nel proemio del poema (Aen. I, v. 3),
dove il participio è più propriamente
riferito alle tempeste marine. – exhausta,
“portate a termine”: il verbo ex-haurio
significa propriamente “attingere acqua fino in fondo da un recipiente”.
15-19 Si mihi ... culpae, “Se non
mi stesse fisso e irremovibile nell’animo
di non volermi (ne ... vellem) unire ad alcuno (cui) con un vincolo nuziale, dopo
2
che il primo amore mi è venuto meno,
abbandonandomi con la morte, se non
mi fossero venuti in odio (si non pertaesum ... fuisset) la camera e la fiaccola nuziale, a questa sola colpa, forse, avrei
potuto cedere”. – Si ... non sederet, ... si
non pertaesum ... fuisset, ... potui: periodo
ipotetico dell’irrealtà (terzo tipo), in cui
l’apodosi ha l’indicativo perché c’è potui, il cosiddetto “falso condizionale”.
– sederet: l’espressione metaforica sottolinea l’intenzione ferma di Didone,
marcata intenzionalmente da lei nel
momento in cui quella fermezza vacilla. – iugali: l’immagine dello iugum per il
matrimonio è corrente in latino come
in greco. – postquam ... fefellit, “dopo che
mi ingannò”: temporale; il perfetto è
da fallo, -is, fefelli, falsum, -ere. – deceptam,
“(me) delusa”: part. congiunto, concordato con me sottinteso; sia in fefellit sia in
deceptam Didone sottolinea la sua condizione di vittima nella sua esperienza
nuziale con Sicheo. – pertaesum ... fuisset:
l’immagine è fortemente marcata, e il
cong. fuisset al posto di esset vuole indicare che la repulsione per il matrimonio da tempo è profondamente radicata nell’animo della regina.
20-23 Anna ... flammae, “Anna,
infatti lo confesserò, dopo la morte
dell’infelice marito Sicheo e dopo che i
Penati erano stati sparsi (di sangue) per
l’assassinio di un fratello, solo costui ha
scosso i miei sentimenti e ha spinto (impulit) il mio animo in modo da farlo vacillare (labantem). Riconosco le tracce
dell’antica fiamma”. – Anna: la ripresa
del vocativo introduce la confessione
della passione. – miseri: perché era stato
assassinato. – fraterna caede: Pigmalione
era fratello di Didone. – caedes: è il sangue della strage, come in Catullo 64, v.
181, in cui Tèseo, che ha abbattuto il
Minotauro, fratello di Arianna, è respersum ... fraterna caede. – labantem, “in modo da farlo vacillare”: predicativo; labor,
-aris è intensivo di labor, -eris. – agnosco ...
flammae: è ripetuto da Dante per descrivere la sua emozione nel momento in
cui, alla sommità del Purgatorio, gli appare Beatrice: “conosco i segni de l’antica fiamma” (Pg. XXX, 48).
24-27 Sed mihi ... resolvo, “Ma
vorrei (optem) che per me si spalancasse
(dehiscat) la profondità della terra (tellus
... ima), o che il Padre onnipotente mi
sprofondasse con il fulmine tra le ombre, le pallide ombre dell’Erebo e la
profonda notte, prima che io offenda
(violo) te, o Pudore, e infranga le tue leggi (tua iura)”. – optem: è cong. potenziale,
che regge i due cong. volitivi (senza ut)
dehiscat e adigat. – pater omnipotens: Giove
viene invocato nella sua onnipotenza
in questa terribile imprecazione che
Didone rivolge a se stessa; la maledizione non sarà senza effetto. – Erebus: è
uno dei nomi del regno dei morti. – ante ... quam violo aut ... resolvo: questa proposizione temporale dovrebbe avere il
cong. dell’eventualità, ma forse Didone
sentiva presente e reale l’evento che
mostra di paventare, e perciò usa l’indicativo. – Pudor: è personificato come
una divinità tutrice della moralità, e
del resto a Roma la Pudicitia godeva di
culto, differenziato tra una Pudicizia
patrizia e una plebea (si veda Livio, Ab
Urbe condita X, 23).
40
45
28-30 Ille ... obortis, “Quello che
mi unì per primo a sé si è portato via il
mio amore; egli lo tenga con sé e lo
conservi nella tomba”. Dopo aver così
parlato riempì il grembo delle lacrime
sgorgate”. – meos ... amores: al plurale
perché indica i “sentimenti amorosi”.
– habeat ... servet: cong. desiderativi. – effata: è termine aulico da un non attestato effor. – lacrimis ... obortis: abl. di mezzo; il participio viene da oborior, -iris,
ortus sum, iri.
31-34 Anna ... sepultos?, “Anna
replica: “O tu che sei più cara della luce
a tua sorella, dunque da sola ti consumerai in una perpetua verginità, e non
conoscerai i dolci figli, né i doni di Venere? Credi che di questo si preoccupi(no)
la cenere o i Mani defunti?”. – luce: il termine lux indica la luce del giorno, e per
metonimia corrente la vita. – solane ...
carpere, “forse che ti consumerai?”: la
particella interrogativa si appoggia alla
parola più importante, collocata enfaticamente all’inizio di verso. – carpere =
-eris: il verbo è medio. – natos: sta per filios, ma su un registro più alto. – Veneris
praemia: sono i “doni di Afrodite”: in Iliade III, v. 54 indicano i pregi della bellezza, ma poi costantemente le gioie
dell’amore; Virgilio ha messo al primo
posto i dulces nati, nella prospettiva austera dell’etica tradizionale romana. – noris: forma sincopata per noveris, futuro
anteriore con valore di futuro semplice,
dal pf. novi con valore di presente. – Manis (= -es, acc. plur.) sono le ombre divinizzate dei morti.
35-38 Esto ... amori?, “Sia pure,
nessun pretendente mai ha piegato la
tua afflizione, non in Africa, non prima
a Tiro; è stato disprezzato Iarba e gli
altri capi, che l’Africa nutre, terra ricca
di trionfi: contrasterai anche un amore
che ti piace?”. – Esto: l’imperativo futuro ha tono solenne, apparentemente
senza repliche. – nulli ... mariti: mariti
non di fatto, ma nella loro intenzione.
– flexere = -erunt: forma arcaizzante.
– despectus: sott. est; il verbo de-spicio,
“guardare dall’alto in basso”, assume
per metafora corrente il valore del nostro “disprezzare”. – Libyae, “di Libia”:
genitivo; così i Romani chiamavano
l’Africa settentrionale. – Tyro: abl.
d’origine; si noti la variatio. – placitone:
ancora la particella interrogativa sulla
parola rilevante; placito ... amori è dat. di
relazione; Anna suggerisce implicitamente l’idea che gli altri pretendenti
erano sgraditi a Didone, a differenza di
questo.
39-44 Nec venit ... minas?, “E
non ti viene in mente nei territori (arvis) di chi ti sei insediata (consederis)? Da
una parte ti cingono (cingunt) le città
dei Getùli, razza invincibile in guerra,
e i Nùmidi scatenati (infreni) e la Sirte
inospitale, dall’altra una regione deserta per aridità (siti) e i Barcei che per
gran spazio impazzano. Perché dovrei
ricordare (Quid ... dicam) le guerre che
sorgono da Tiro e le minacce di tuo
fratello (germani)?”. Anna prospetta
abilmente anche i vantaggi politici di
una nuova unione della sorella, la-
testi
35
Virgilio Eneide
30
Ille meos, primus qui me sibi iunxit, amores
abstulit; illekhabeat secum servetque sepulcro”.
Sic effbta sinum lacrimis implevit obortis.
Anna refert: “O luce magis dilecta sorori,
solane perpetub maerens carpfre iuventb
nec dulcis natos Veneris nec praemia npris?
Id cineremkaut Manis credis curare sepultos?
Esto:kaegram nulli quondam flexfre mariti,
non Libyae, non ante Tyrp; despectus Iarbas
ductoresquekalii, quos Africa terra triumphis
dives alit: placitoneketiam pugnabis amori?
Nec venit in mentem quorum consederis arvis?
Hinc Gaetvlaekurbes, genus insuperabile bello,
et Numidaekinfreni cingunt et inhospita Syrtis;
hinc deserta siti regio lateque furentes
Barcaei. Quid bella Tyrp surgentia dicam
germanique minas?
Dis equidemkauspicibus reor et Ivnpne secundb
hunc cursumkIliacas vento tenuisse carinas.
sciando intendere che non si tratterebbe di una scelta egoistica e dettata
da un’empia passione, ma al contrario
di una mossa da grande statista. – quorum ... arvis: è una interr. indiretta con
funzione soggettiva; Getuli e Numidi
erano popolazioni dell’Africa settentrionale, di cui i Romani stessi – come
narra Sallustio nel Bellum Iugurthinum
– avevano conosciuto la ferocia sin
dall’inizio del I secolo a.C. – infreni: è
riferito propriamente all’usanza dei
Numidi di cavalcare cavalli non bardati, “senza freni”, ma prospetta
l’idea di combattenti abili e terribili.
– Syrtis: maior e minor erano i due golfi
di Sidra e di Gabes, nell’Africa settentrionale; l’agg. inhospita si riferisce al
paese e, implicitamente, anche ai suoi
abitanti. – Barcaei: abitavano la città di
Barca in Cirenaica; erano lontani, ma
temibili per le loro scorrerie. – Quid ...
dicam: con il cong. dubitativo, è interrogazione retorica. – germanique minas:
uno dei 58 versi dell’Eneide lasciati incompiuti da Virgilio (tibicines, “puntelli”), e che si era ripromesso di completare in un secondo tempo.
45-46 Dis equidem ... carinas,
“Certo credo (reor) che con il favore degli dèi (dis ... auspicibus: abl. assoluto) e
con la protezione di Giunone le navi
iliache abbiano fatto (tenuisse) questa
rotta”. – auspex è detto propriamente di
chi prende gli auspici; qui indica gli dèi
che li danno. – carinas, “carene”: per
“navi”, è sineddoche.
3
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65
Quam tukurbem, soror, hanc cernes, quae surgere regna
coniugio tali! Teucrum comitantibus armis
Pvnica se quantis attollet gloria rebus!
Tu modo posce deos veniam, sacrisque litatis
indulgekhospitio causasquekinnecte morandi,
dum pelago desaevit hiems et aqupsus Orjon,
quassataeque rates, dum non tractabile caelum”.
His dictis incensumkanimum flammavit amore
spemque dedit dubiae menti solvitque pudorem.
Principio delubrakadeunt pacemque per aras
exquirunt; mactant lectas de more bidentis
legiferae Cereri Phoeboque patrique Lyaeo,
Ivnpnikantekomnis, cui vincla iugalia curae.
Ipsa tenens dextrb pateram pulcherrima Djdp
candentis vaccae mediakinter cornua fundit,
aut antekora deum pinguis spatiatur ad aras,
instauratque diem donis, pecudumque reclusis
pectoribvs inhians spirantia consulit exta.
Heu, vatumkignarae mentes! Quid vota furentem,
quid delubra iuvant? Est mollis flamma medullas
intereaket tacitum vivit sub pectore vulnus.
L’ETÀ DI AUGUSTO
47-49 Quam tu ... rebus!, “Quale
tu vedrai questa città, o sorella, che
regno vedrai sorgere in conseguenza
di un simile matrimonio! A quale potenza (quantis ... rebus) si innalzerà la
gloria di Cartagine con l’aiuto delle
armi troiane!”. – Quam ... quae ... quantis: pronomi esclamativi, i primi due in
anafora poliptotica; da cernes dipende
prima l’acc. Quam ... urbem ... hanc, poi
l’oggettiva quae surgere regna. – Teucrum
= -orum. – comitantibus armis: abl. assoluto. – quantis ... rebus: dat. di termine.
50-53 Tu modo ... caelum, “Tu
soltanto chiedi indulgenza (veniam)
agli dèi e, compiuti i sacrifici propiziatori (sacris ... litatis), abbandònati
all’ospitalità e intreccia (innecte) motivi
di indugio, mentre l’inverno e Orione
piovoso (aquosus) infuriano nel mare e
le navi sono danneggiate, mentre il
clima è sfavorevole’”. – modo, “soltanto”: per suggerire che la realizzazione
del piano è agevole. – litatis: il verbo
litare significa “fare un’offerta propiziatoria”; qui, in abl. assoluto, ha un
complemento oggetto sottinteso (sacra: “riti sacri”). – innecte: intrecciare
implica l’idea dell’inganno, e nel greco di Saffo (fr. 1, 1 V.) proprio Afrodite
è “intrecciatrice di inganni”. – Orion: il
tramonto di questa costellazione segna
l’inizio della cattiva stagione. – caelum:
è il clima. – non tractabile: lìtote, fa pensare a un cavallo indomito o a altro
animale selvaggio.
4
54-55 His dictis ... pudorem,
“Con queste parole infiammò l’animo
ardente (incensum) d’amore e diede speranza alla (sua) mente incerta (dubiae) e
(ne) sciolse il pudore”: Didone aveva
detto in precedenza che voleva sprofondare tra i morti prima di sciogliere
le leggi del Pudore (v. 27 ante ... quam ...
tua iura resolvo).
56-59 Principio ... curae, “Anzitutto si recano ai templi (delubra adeunt: Didone e Anna) e chiedono pace di altare
in altare (per aras); sacrificano pecore (bidentis), dopo averle scelte secondo il rito
(lectas de more), a Cerere legislatrice, e a
Febo, e a Bacco (Lyaeo) padre, e anzitutto a Giunone, cui stanno a cuore (cui ...
curae) i vincoli coniugali”. – per aras: andando da un altare all’altro. – bidens: è la
pecora di un anno, cui spuntano i due
nuovi incisivi della dentizione definitiva;
Cerere e Febo presiedevano alla fondazione di nuove città, e quindi sono invocati a propiziare la fondazione di Cartagine; Bacco è tradizionalmente associato
a Cerere: dalla dea veniva il dono del pane, da Bacco quello del vino; per i Greci
l’appellativo Lyaios era inteso in relazione al verbo lyein, “sciogliere”, “liberare”, in quanto Bacco era “liberatore
dalle preoccupazioni”. – cui ... curae:
doppio dativo.
60-64 Ipsa ... exta, “Didone stessa,
bellissima, tenendo una tazza (pateram)
nella (mano) destra, la riversa tra le
corna (media inter cornua) di una bianca
vacca o avanza (spatiatur) verso i pingui
altari sotto lo sguardo degli dèi (ante ora
deum), e inaugura il giorno con offerte
e, aperti i petti delle vittime, consulta
anelante le viscere palpitanti”. – patera:
è una coppa dalla larga apertura (da
pateo, “essere aperto”) . – ante ora deum
(= deorum): l’idea dello “sguardo degli
dèi” implica quella della benevolenza
che ci si attende da loro. – candentis: agli
dèi superi, come Giunone, si offrivano
vittime candide; anche il versare il vino
tra le corna era rituale; Virgilio si dimostra sempre molto attento a questi
dettagli. – spatiatur: il verbo implica
l’idea di un procedere solenne. – instaurat: il verbo si dice del “rinnovare” un
rito (l’instauratio era obbligatoria in caso
di errore), quindi qui forse si intende
che Didone rinnova le offerte ogni
giorno. – reclusis: il verbo recludo significa “aprire”. – pectoribus: la -u di questa
desinenza è normalmente breve, ma
Virgilio assume da Omero la libertà di
allungare una breve per esigenze metriche. – inhians: implica l’idea della
bocca aperta per la tensione, ma anche
per l’incantamento amoroso (Lucrezio
I, v. 36 lo dice di Marte inhians mentre
contempla Venere). – spirantia, “palpitanti”: la pratica dell’aruspicina imponeva di osservare le viscere (exta) prima
che l’animale sacrificato morisse.
65-67 Heu, vatum ... vulnus,
“Ahimè, menti ignare degli indovini! A
80
85
che servono le preghiere, a che i templi
a lei fuori di sé (furentem)? La fiamma
divora (est) le tenere (mollis) midolla e la
ferita nascosta (tacitum) vive nel cuore”.
Le menti degli indovini sono ignarae
perché nessuno di loro è in grado di sospettare la ragione per cui Didone interroga le viscere, e tutti pensano che
sia per il futuro della città: proprio loro,
cui i devoti si rivolgono per conoscere il
futuro, ignorano del tutto il presente.
La polemica contro l’aruspicina, gli
indovini e le “superstiziose” religioni
orientali (già tipica di un autore greco
classico come Eurìpide, V secolo a.C.)
non è infrequente nei poeti dell’età augustea (per es. Orazio, Carm. I, 11), in
linea con un potere che mirava alla salvaguardia delle tradizioni “romane”.
– Quid ... ?, “In che?”: acc. di relazione.
– delubra: sta per templa, ma il vocabolo
è tipico di un registro alto. – Eˉ st: da edo,
“mangiare”, mentre e˘st viene da sum.
– tacitum: Virgilio dice “silenzioso” per
dire “invisibile”, con una trasposizione
dell’organo di senso (sinestesia).
68-73 Uritur ... harundo, “Arde
l’infelice Didone ed erra fuori di sé (furens) per tutta la città, come, dopo che è
stata scagliata una freccia, una cerva,
che un pastore, mentre lei non si guardava (incautam) ha colpito da lontano
(procul) nei boschi di Creta (nemora inter
Cresia), mentre la inseguiva con le frecce (agens telis) e, senza saperlo (nescius),
ha lasciato (nella ferita) la freccia volante: quella nella sua fuga ( fuga) percorre le selve e le gole del Ditte (Dictaeos); la freccia letale resta infissa (haeret)
nel suo fianco”. – infelix: ricorre otto
volte a proposito di Didone, come un
appellativo formulare epico; così furens
riprende qui furentem del v. 65. – tota ... /
urbe: compl. di stato in luogo senza in,
per la presenza di totus. – incautam: da
in, prefisso negativizzante, e caveo,
“guardarsi”, “fare attenzione”. – Cresia: è la forma (di tipo greco) usata dai
poetae novi per Cretensis; Creta era famosa per i suoi arcieri. – linquit: il verbo
linquo è di uso poetico per relinquo: qui,
la “freccia volante” è “lasciata” nella
ferita; il pastore, cioè, “non sa” (nescius)
di avere effettivamente colpito la cerva.
– volatile, “che vola”: raramente è detto
di oggetto inanimato; il monte Ditte
era nell’isola di Creta. – harundo: lett.
“canna”, di cui è composta la freccia
(sineddoche).
74-76 Nunc media ... resistit,
“Ora guida Enea con sé in mezzo alla
città (media ... per moenia) e mostra le ricchezze sidonie e la città pronta; comincia a parlare (effari) e si arresta a mezzo
del discorso” . – moenia: lett. “mura”,
che cingono la città. – Sidonias: cartaginesi, perché Cartagine era colonia di
Tiro, e questa era stata fondata da coloni venuti da Sidone; potrebbe anche
trattarsi di indeterminatezza poetica,
per indicare “fenicie”. – paratam: la città non era ancora compiuta, ma già
“pronta” ad accogliere i Troiani. – mediaque ... resistit: tra i segni della passione
amorosa c’era il venir meno della parola, come in Saffo “la lingua si spezza”
(fr. 31, 9 V.) che Catullo traduce lingua
sed torpet (51, 9).
testi
75
Virgilio Eneide
70
Uritur infelix Djdp totbque vagatur
urbe furens, qualis coniectb cerva sagittb,
quam procul incautam nemorakinter Crfsia fixit
pastor agens telis liquitque volatile ferrum
nescius: illa fugb silvas saltusque peragrat
Dictaeos; haeret lateri letalis harundo.
Nunc mediakAenfan secum per moenia ducit
Sidoniasquekostentat opes urbemque paratam,
incipit effari medibquekin voce resistit;
nunc eadem labente die convivia quaerit,
Iliacosquekiterum demens audire labores
exposcit pendetquekiterum narrantis ab ore.
Post ubi digressi, lumenquekobscura vicissim
luna premit suadentque cadentia sidera somnos,
sola domo maeret vacub stratisque relictis
incubat. Illumkabsens absentemkauditque videtque,
aut gremiokAscanium genitoris imagine captb
detinet, infandum si fallere possit amorem.
77-79 nunc eadem ... ab ore, “ora
ella, al declinare del giorno (labente die)
ricerca lo stesso convito (eadem ... convivia) e fuor di sé (demens: cfr. furens ai vv.
65 e 69) chiede di ascoltare nuovamente le vicende di Troia (Iliacos ... labores) e
nuovamente pende dalle labbra del
narratore” . – labor: il verbo esprime il
“declinare” degli astri e lo scorrere silenzioso del tempo (cfr. Hor. Carm. 2,
14, 2 labuntur anni). – eadem ... convivia: il
banchetto del giorno precedente con
gli stessi convitati, ma uno in particolare, naturalmente Enea. – pendet ... ab ore:
Virgilio aveva presenti le parole che
Lucrezio (I, v. 37) rivolge a Venere, riferite a Marte che nel bacio dell’amplesso e ... tuo pendet ... ore; il ricordo di quel
passo (cui si allude anche al v. 64), dove
l’immagine ha valore proprio, accentua il tono erotico di questa situazione.
80-85 Post ubi ... amorem, “Poi,
quando sono partiti (digressi: sott. sunt) e
la luna a sua volta oscurandosi nasconde la sua luce (lumen ... premit), e gli astri
che tramontano invitano al sonno (suadent ... somnos), sola (sola) nel palazzo
vuoto (domo ... vacua: tale era per lei dopo la partenza di Enea) si tormenta e si
sdraia (incubat) sulle coperte abbandonate. Lontana ode e vede lui lontano,
o si tiene in grembo Ascanio, presa
dall’immagine del padre, per cercare di
ingannare (si fallere possit) il terribile
amore”. – suadentque ... somnos: con le
stesse parole Enea aveva iniziato il suo
racconto in II, v. 9. – stratis ... incubat:
Didone si distende sulle coperte del divano abbandonate da Enea. – absens
5
Non coeptaekadsurgunt turres, non arma iuventus
exercent portusvekaut propugnacula bello
tuta parant: pendent operakinterrupta minaeque
murorumkingentes aequataque machina caelo.
absentem: poliptoto, allitterante con audit. – si ... possit, “per vedere se poteva”: introduce un’interrogativa indiretta. – infandum: propriamente infandus significa “che non può esser detto”,
“indicibile”, da fari, “dire”, quindi
“terribile”.
86-89 Non coeptae ... caelo, “Le
torri iniziate non si elevano, i giovani
non si esercitano nelle armi, né preparano porti o difese (propugnacula) sicure per la guerra: restano sospese
(pendent) le opere interrotte e le grandi
mura minacciose (minae ... murorum in-
gentes) e le impalcature che si levano al
cielo”. – arma ... exercent: è espressione
più preziosa del prosastico armis se
exercent. – bello: dat. di scopo. – minae
murorum: lett. “minacce di mura”.
– machina: indica i tavolati delle impalcature.
GUIDA ALL’ANALISI
LINGUA E LESSICO
1. Analizza, dal punto di vista sintattico, i vv. 15-19.
2. Sottolinea e analizza la funzione dei congiuntivi dei vv. 24-29.
TEMI E CONFRONTI
3. Virgilio esprime il dissidio di Didone operando una contrapposizione fra il livello della coscienza e
quello del sentimento. Sottolinea i versi in cui ciò si rende evidente.
4. Come è considerato da Didone l’amore nei confronti di Enea?
5. Facendo ricorso anche a un dizionario mitologico, riassumi la storia della regina Didone e soffermati
brevemente anche sulla figura di Sicheo.
6. La sorella Anna risponde a Didone ricorrendo a due argomentazioni: riassumile.
STILE E RETORICA
7. Virgilio ama usare l’enjambement. Nei vv. 1-30 il suo impiego è limitato a 4 occorrenze che, proprio
per questo, risultano ancor più significative. Rintracciale e spiegale.
8. Analizza, dal punto di vista stilistico, il discorso di Didone ad Anna ai vv. 9-29, sottolineando la funzio-
ne, in particolare, di anafora, poliptoto, esclamazioni.
L’ETÀ DI AUGUSTO
9. Spiega la similitudine impiegata nei vv. 67 ss., soffermandoti su illustrans e illustrandum.
6
(VI, vv. 450-476)
Nel libro VI, autentico confine tra la parte “odissiaca” (dei viaggi) e quella “iliadica” (della guerra) dell’Eneide,
Enea, guidato dalla Sibilla cumana, scende agli Inferi, e lì vede una grande quantità di anime di morti. Nel
gruppo delle eroine morte per amore scorge Didone e per lei l’eroe troiano ha parole d’affetto. Non riceve
però che uno sdegnoso silenzio.
testi
METRO ■ esametri dattilici
450
455
460
465
470
Inter quas Phoenissa recens a volnere Dido
errabat silva in magna; quam Troius heros
ut primum iuxta stetit adgnovitque per umbras
obscuram, qualem primo qui surgere mense
aut videt aut vidisse putat per nubila lunam,
demisit lacrimas dulcique adfatus amore est:
“Infelix Dido, verus mihi nuntius ergo
venerat exstinctam ferroque extrema secutam?
funeris heu tibi causa fui? Per sidera iuro,
per superos et si qua fides tellure sub ima est,
invitus, regina, tuo de litore cessi.
Sed me iussa deum, quae nunc has ire per umbras,
per loca senta situ cogunt noctemque profundam,
imperiis egfre suis; nec credere quivi
hunc tantum tibi me discessu ferre dolorem.
Siste gradum teque aspectu ne subtrahe nostro.
Quem fugis? Extremum fato quod te adloquor hoc est”.
Talibus Aeneas ardentem et torva tuentem
lenibat dictis animum lacrimasque ciebat.
Illa solo fixos oculos aversa tenebat
nec magis incepto vultum sermone movetur
quam si dura silex aut stet Marpesia cautes.
Tandem corripuit sese atque inimica refugit
450-455 Inter quas … amore est.
Enea intravede Didone e le si rivolge
con dolci parole. – quas: nesso relativo,
sta per eas e indica il gruppo delle eroine
morte per amore. – Phoenissa: il termine
è riferito a Dido da cui è separato per
iperbato; rimanda all’origine di Didone
che, infatti, veniva da Tiro di Fenicia,
dalla quale era fuggita dopo che il fratello Pigmalione le aveva ucciso il marito
Sicheo per impadronirsi dei suoi beni.
– recens a volnere, “dalla fresca ferita”: si
sottolinea che Didone era morta da poco tempo; l’espressione corrisponde, per
significato, a recens a morte e il termine volnere equivale a vulnere. Si noti, inoltre, che
qui volnus non rimanda solamente alla
ferita mortale, ma anche alla ferita
d’amore (e con quest’accezione è usato
nel libro IV, al v. 2). – silva in magna: costruisci in magna silva (iperbato). – quam: è
da legare a iuxta (anastrofe) del verso
successivo; si tratta di un nesso relativo.
– stetit, “stette”: il perfetto vuole fissare il
momento in cui Enea si ferma accanto
alla regina. – adgnovitque: dopo stetit, secondo la figura dello hysteron proteron.
– qualem … lunam: costruisci qualem lunam
(adgnoscit is) qui primo mense (all’inizio del
mese lunare) eam surgere aut videt aut vidisse
putat (eam) per nubila “come riconosce la
luna colui che, all’inizio del mese, la vede o crede di averla vista fra le nuvole”.
456-466 “Infelix Dido … hoc
est”. Enea parla a Didone, dolorosamente sorpreso per il tragico gesto da
lei compiuto. – exstinctam: come il successivo secutam vede sottinteso te esse.
– invitus, “non di mia volontà”: Enea ci
tiene a sottolineare che la partenza da
Cartagine non era stato frutto di un
Virgilio Eneide
2 Enea a Didone nell’Ade
suo personale capriccio; del resto, nel
libro IV, al v. 361, aveva già chiaramente detto: Italiam non sponte sequor. – cessi:
sta per discessi “mi allontanai”. – senta:
si tratta dell’aggettivo sentus, -a, -um,
“orrido”, da ricollegare al termine sentis, -is che vuol dire “spino”. – situ: è
ablativo sing. da situs, -us e indica “l’effetto del lungo stare”, cioè “l’abbandono”. – egfre: equivale a egfrunt. – quivi: si
tratta del perfetto di queo ed è forma arcaica che equivale, per significato, a
potui. – aspectu: sta per aspectui. – quod:
introduce una dichiarativa dipendente
da extremum hoc est.
467-476 Talibus Aeneas … miseratur euntem. Didone, inflessibile,
si allontana e si rifugia nel bosco ombreggiato, ove l’aspetta il marito Sicheo. – Talibus: in iperbato, da legare a
7
475
in nemus umbriferum, coniunx ubi pristinus illi
respondet curis aequatque Sychaeus amorem.
Nec minus Aeneas casu percussus iniquo
prosequitur lacrimis longe et miseratur euntem.
dictis. – torva: accusativo neutro plurale,
equivale a un avverbio e determina il
successivo participio tuentem (“che
guardava biecamente”). – lenibat: corrisponde a leniebat; si tratta di un imperfetto di conato, “cercava di placare”.
– ciebat: con il senso di effundebat; si noti
l’immagine, per certi aspetti straniante,
dell’eroe troiano che versa lacrime.
– solo: da intendersi insieme a fixos, detto di oculos, “gli occhi fissi al suolo”.
– Marpesia: si riferisce a Marpessus, un
monte dell’isola di Paro molto noto per
i suoi marmi bianchi. – corripuit sese,
“s’involò”, “si strappò”. – inimica: assolve la funzione sintattica di predicativo
del soggetto. – coniunx ubi: iperbato
(= ubi coniunx). – Nec minus: equivale a
nihilominus. – concussus: dice del profondo turbamento, della forte commozione provata dall’eroe.
GUIDA ALL’ANALISI
LINGUA E LESSICO
1. Proponi un’analisi etimologica e semantica dei seguenti termini:
errabat (v. 451)
Infelix (v. 456)
invitus (v. 460)
torva (cfr. il verbo torqueo)
TEMI E CONFRONTI
2. Ricorda altri esempi di donne del mito classico morte per amore.
3. Enea, nel rivolgersi a Didone, ribadisce una necessità che aveva già sottolineato nel libro IV: quale?
Rispondi, citando espressioni significative dei due passi.
4. Didone mostra distacco, ma da che cosa è dominata in realtà?
5. Che rapporto c’è, ora che sono entrambi morti, fra Didone e il primo marito? Come spieghi il fatto che
l’eroina si rifugia presso di lui?
STILE E RETORICA
6. Rintraccia casi di anastrofe presenti nei versi.
7. Soffermati sulla similitudine dei vv. 452 ss. e spiegane illustrans e illustrandum. Rispetto alla scena e
L’ETÀ DI AUGUSTO
all’immagine rappresentate, che cosa intende mettere in rilievo?
8
(VI, vv. 752-787)
Anchise così aveva detto1 e trae in mezzo al convegno
e alla folla2 rombante il figlio con la Sibilla;
e sale su un colle3 onde tutti si possan di fronte
in quel lungo passaggio discernere i volti.
«Adesso ti svelo qual gloria il futuro riserba
alla prole di Dàrdano4, quali dell’Itala gente nipoti
avrai, anime illustri che il nostro nome5 nel mondo
avranno; e a te mostrerò il tuo destino6.
Quel giovane, vedi, che all’asta s’appoggia sfornita
di punta di ferro7 è il più vicino a tornare nel mondo,
sorgerà per il primo alla luce terrena da sangue
Italico misto col tuo: è Silvio8, tuo ultimo nato,
che a te, già inoltrato negli anni, la moglie Lavinia
alleverà nelle selve eletto ad essere re e padre di re:
onde tua stirpe regnerà su Alba Longa.
Quello a lui presso9 è Proca, vanto alla gente Troiana,
1 così aveva detto: Anchise aveva
esposto le vicende delle anime dopo la
morte.
2 al convegno e alla folla: si tratta
delle anime che si affollavano sulle rive
del Lete per tornare a incarnarsi.
3 e sale su un colle: come per occupare un luogo di osservazione, da
cui Enea potrà vedere i suoi futuri discendenti. Nell’intenzione di Enea, la
discesa agli Inferi era sollecitata da
motivi di affetto filiale, per rivedere
Anchise che era morto durante la sosta in Sicilia; nel disegno del poema,
però, essa assume una funzione importante per la conferma della missione di Enea e per l’esaltazione di Roma,
dalle origini all’impero di Augusto, il
cui progetto politico costituisce la base
ideologica dell’Eneide. Quindi questa
rassegna è uno dei luoghi più importanti del poema, e non a caso è collocata a cerniera tra la narrazione dei
viaggi di Enea e quella del suo arrivo
in Italia e delle guerre che avrebbe sostenuto per fondare la città che gli dèi
gli destinavano.
4 prole di Dàrdano: in quanto Dardano, partito dall’Italia, era stato il fondatore di Troia; la Dardania proles non è
distinta dagli Itala de gente nepotes, giacché nella prospettiva del poema Troia
e Roma costituiscono una continuità
ininterrotta, nell’alternanza dei viaggi
dei rispettivi eroi fondatori, Dardano
dall’Italia alla Troade ed Enea in senso
inverso.
5 il nostro nome: come in un ideale
atto di adozione, in cui i Romani assumono il nome degli antenati Troiani.
6 tuo destino: in questo momento
l’investitura sacra di Enea, progenitore
dei re albani, è esposta con tutta l’autorità del luogo e della persona che parla,
e resa evidente dalla visione che gli si
apre nella valletta.
7 punta di ferro: è l’asta priva di ferro, destinata quindi a non macchiarsi
di sangue umano.
8 Silvio: qui Virgilio sembra seguire
la tradizione, riferita da Catone, secondo la quale Lavinia, perseguitata da
Ascanio dopo la morte di Enea, si sarebbe rifugiata in un bosco per partorire Silvio, che avrebbe avuto il nome
dalla selva dove era nato.
9 a lui presso: vicino a Silvio ci sono, in ordine, i suoi successori: Proca,
Capi, Numitore.
9
testi
Il libro VI dell’Eneide richiama il libro XI dell’Odissea con il suo viaggio nel mondo dei morti. Sulla via del Lazio,
Enea si ferma presso la Sibilla di Cuma e, da lei guidato, visita gli Inferi: qui, oltre alle figure tipiche dell’Oltretomba, quali Caronte o Cerbero, incontra il suo nocchiero Palinuro e la regina Didone. Dopo il mancato
colloquio con quest’ultima, Enea e la Sibilla arrivano a un bivio: a sinistra si avviano le anime colpevoli che
attendono i meritati supplizi, mentre Enea si avvia a destra, per giungere ai Campi Elisi, dove soggiornano le
anime virtuose. Alcune di esse si dedicano agli esercizi sportivi che avevano praticato da vivi, mentre altre
siedono in un prato erboso banchettando e cantando un peana. Fra essi la Sibilla scorge l’anima di Museo
che indica loro il luogo dove potranno trovare Anchise. Il padre di Enea, in una valletta, sta osservando le
anime che si preparano a uscire alla luce per una nuova incarnazione, e tra queste i suoi discendenti, i futuri
Romani. Alla vista di Enea, Anchise gli si fa incontro commosso, e il figlio, per tre volte, cerca invano di abbracciare la sua immagine senza corpo. Quindi Anchise spiega a Enea che molte anime, che muoiono senza
essersi liberate completamente delle colpe o delle passioni terrene, sono obbligate a reincarnarsi nuovamente fino a che non hanno raggiunto una completa purificazione. Lo invita quindi a salire su una collinetta, per
potergli mostrare un altro gruppo di anime, quelle che attendevano di incarnarsi, e che un giorno sarebbero
appartenute ai discendenti suoi e di Enea, e avrebbero reso grande e famosa la nuova patria dei Troiani: dai
re di Alba Longa fino ad Augusto.
Virgilio Eneide
3 Anchise mostra le anime a Enea
e poi Capi e poi Numitore e poi l’altro
che avrà pure il tuo nome10: Silvio Enea
egualmente egregio nell’armi e nei riti pietosi
se mai salirà per regnare sul trono di Alba.
Che giovani! osserva la forza che mostrano ai gesti!
e portan del civico serto di quercia11 ombrata la fronte.
Questi Nomento e Gabi e Fidena, questi sui colli
fonderanno Collazia e Pomezia e Castro di Fauno
e Bola e Cori12: terre or senza nome13 e un giorno famose.
E seguirà sùbito all’avo nel regno il figlio di Marte
Romolo, che Ilia sua madre di Assaraco sangue
alleverà14. Vedi che ha due creste sul capo e il Padre
lo fregia d’insegna immortale fra gli uomini15.
Sotto gli auspici di lui l’inclita Roma, o figliuolo,
avrà quanto il mondo grande l’imperio
e pari avrà l’animo a quello dei Numi celesti
e ben sette colli da sola cingerà con un muro,
bella di prole d’eroi: così la Madre Cibele16
turrita percorre sul carro le città della Frigia,
lieta di prole divina e abbraccia cento nipoti
tutti abitanti le sfere alte del cielo.
(Trad. E. Cetrangolo)
L’ETÀ DI AUGUSTO
10 che avrà pure il tuo nome:
giacché si chiamava Silvio Enea. Gli
antichi commentatori virgiliani ci informano che solo a cinquantatré anni
Silvio Enea ricevette il potere regale,
che gli era stato usurpato dal tutore.
11 quercia: la corona di quercia era
l’onorificenza riservata ai cittadini che
avessero salvato in guerra un proprio
concittadino, ma da quello che Virgilio
dice in seguito si intende che fosse loro
dovuta quali fondatori di città.
12 Nomento ... Cori: si enumerano
qui otto delle trenta città che facevano
parte della confederazione albana; Nomento era in Sabina; Gabi tra Roma e
Preneste; Fidene nella bassa valle del
Tevere, tra Roma e Veio; Collazia ai
10
piedi dei colli alla sinistra dell’Aniene;
Pomezia nell’agro Pontino, ed era piuttosto volsca che latina; Castro di Fauno
era forse una località vicina all’odierna
Centocelle; Bola era nel territorio degli
Equi e solo più tardi entrò nella lega
latina; Cora, oggi Cori, era città dei
Volsci. In questo modo Virgilio amplifica intenzionalmente l’estensione e la
potenza dell’antica lega fondata dai re
albani.
13 senza nome: il nomen è un elemento di individuazione delle singole
comunità cittadine, che un giorno esisteranno e avranno ognuna il proprio
nome, mentre ora al loro posto ci sono
solo terreni anonimi, sine nomine terrae.
14 alleverà: nella versione seguita
negli Annali di Ennio, Ilia era figlia di
Enea e per questo discendente di Assaraco (uno dei figli del fondatore di Troia). In questo modo Romolo, divenuto
dio alla sua morte, avrebbe raggiunto
tra gli dèi Enea.
15 due creste ... uomini: l’elmo
con il doppio cimiero era proprio di
Marte, e “il Padre” è forse ancora Marte, padre di Romolo, che gli conferiva
le proprie insegne; altri pensano che si
tratti di Giove, che già in Omero è padre per eccellenza, in quanto “padre
degli uomini e degli dèi”.
16 Cibele: la gran madre degli dèi, che
godeva di culto nella città frigia di Berecinto. Cibele era tradizionalmente rappresentata con il capo coronato di torri.
LINGUA E LESSICO
1. Tra le scelte linguistiche e sintattiche finalizzate a comunicare immediatezza e vivacità al discorso di
TEMI E CONFRONTI
3. Che cosa spinge Enea a scendere nell’Ade?
4. Il nome Sibilla indica un personaggio femminile attestato nell’area indoeuropea e dotato di capacità
profetiche. Diverse erano le Sibille: quella qui ricordata è una delle più celebri, la Sibilla di Cuma. Svolgi
una ricerca per trovare nomi e caratteristiche delle altre.
5. Perché Anchise parla dopo essere salito su un colle?
6. Che importanza assume, nell’ottica complessiva del poema, la discesa agli Inferi? Perché la rassegna
degli eroi è proposta fra la narrazione dei viaggi di Enea e il suo arrivo in Italia?
11
testi
Anchise vi è senza dubbio l’insistenza sugli elementi deittici (pronomi e aggettivi), con cui il padre di
Enea indica a dito i personaggi che compongono il vasto affresco storico dell’oltretomba. Rintracciali e,
per ciascuno di essi, indica il referente.
2. Negli ultimi sette versi Roma viene caratterizzata da una serie di elementi che servono ad amplificarne
l’importanza: rintracciali e sottolineane il significato e il valore.
Virgilio Eneide
GUIDA ALL’ANALISI
4
Eurialo e Niso
Enea e i suoi sono giunti in Italia e l’approdo nel Lazio, di cui si narra nel libro VII, sarà l’inizio della realizzazione della profezia di Anchise, realizzazione che però non sarà priva di sofferenze e sanguinose lotte.
Turno, il re dei Rùtuli dichiara, infatti, guerra a Enea e assale l’accampamento troiano. Nel libro IX ha inizio
la guerra vera e propria anche perché Iride, su incarico di Giunone, informa Turno dell’assenza di Enea dal
campo troiano. All’inizio del medesimo libro, Niso che sta montando la guardia di notte, manifesta all’amico
Eurialo la volontà di uscire dall’accampamento per recarsi da Enea e così avvertirlo del rischio che i Troiani
stavano correndo. L’amico è deciso ad accompagnare Niso che, vanamente, tenta di convincerlo a rimanere.
Passati attraverso il campo dei Rùtuli, che sono pesantemente addormentati anche perché ubriachi, non
resistono all’idea di farne strage, ma sulla via incappano in uno squadrone di cavalieri latini. Niso, più agile,
riesce a mettersi in salvo, ma Eurialo è circondato e catturato. Niso, accorgendosi di essere rimasto solo,
ritorna indietro e attacca i Latini per liberare Eurialo. Entrambi rimarranno uccisi.
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Usciti1, superano i fossi2, e nell’ombra della notte
si dirigono al campo nemico, ma prima sarebbero stati3
di eccidio a molti. Sull’erba vedono corpi
rovesciati dal sonno e dal vino, carri con il timone alzato sulla riva,
uomini tra briglie e ruote, e giacere insieme
armi e otri4. Per primo l’Irtacide5 parlò così:
«Eurialo, osiamo col braccio; la situazione6 c’invita.
La via è per di qua. Affinché nessuna schiera
possa coglierci da tergo, provvedi e vigila da lontano;
io seminerò strage, e ti guiderò in un vasto solco».
Così dice, e frena la voce; ed assale
con la spada il superbo Ramnete7, che su spessi tappeti
Egressi superant fossas noctisque per umbram
castrakinimica petunt, multis tamen ante futuri
exitio. Passim somno vinoque per herbam
corpora fusa vident, arrectos litore currus,
inter lora rotasque viros, simul arma iacere,
vina simul. Prior Hyrtacides sic ore locutus:
“Euryale,kaudendum dextrb: nunc ipsa vocat res.
Hbc iter est. Tu, ne qua manus sekattollere nobis
a tergo possit, custodiket consule longe;
haec ego vasta daboket lato te limite ducam”.
Sic memorat vocemque premit, simul ense superbum
Rhamnftemkadgreditur, qui forte tapetibus altis
1 Usciti: traduce il latino egressi. Si
intende usciti (Eurialo e Niso) dal campo troiano.
2 fossi: sono i fossati che circondano
il campo stesso.
3 sarebbero stati: traduce futuri, “destinati a essere” che è part. congiunto
determinato dai due dativi multis (di
svantaggio) ed exitio (di effetto).
12
(IX, vv. 314-449)
4 otri: in latino abbiamo vina che presenta metonimia (il contenuto, vina, per
il contenente, gli “otri”). La scena presenta il campo dei Rutuli che, convinti
di non correre pericoli, hanno allentato
la disciplina, dormendo ubriachi senza
più montare di guardia.
5 Irtacide: patronimico, per Niso, figlio di Ìrtaco.
6 la situazione: il fatto che i Rutuli
fossero ubriachi e addormentati.
7 Ramnete: è il nome di una delle tre
tribù originarie di Roma, così come il secondo ucciso si chiama Remo, del quale
più sotto vengono ricordati i ruoli di rex e
augur; compito dell’augur era rilevare l’augurium, il presagio che si ricavava osservando le viscere degli animali uccisi.
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ammucchiati spirava sonno dal profondo del petto:
era re e augure, gratissimo al re Turno,
ma con l’augurio non poté allontanare da sé la rovina8.
Vicino uccide tre servi che giacevano a caso
tra le armi, e lo scudiero di Remo; all’auriga trovato
sotto i cavalli col ferro squarcia il collo riverso;
poi decapita il loro padrone, e lascia il tronco
rantolante nel sangue9; la terra e i giacigli s’intridono
caldi di nero umore. E anche Lamiro e Lamo10,
e il giovane Serrano11, che aveva giocato fino alla notte
più tarda, bellissimo d’aspetto, giaceva con le membra vinte
dall’eccesso del dio12; fortunato, se senza intervallo
avesse pareggiato il gioco alla notte protraendolo fino alla luce.
Come un leone digiuno che sconvolge un gremito ovile
(lo spinge una fame furiosa) e addenta e trascina le tenere
pecore mute di terrore; ruggisce con le fauci insanguinate.
Non minore la strage di Eurialo13; ardente
anch’egli imperversa, e nel folto assale una grande anonima
folla, Fado, e Erbeso, e Reto e Abari
exstructus toto proflabat pectore somnum,
rex idemket regi Turno gratissimus augur,
sed non augurio potuit depellere pestem.
Tris iuxta famulos temerekinter tela iacentis
armigerumque Remi premit aurigamque sub ipsis
nanctus equis ferroque secat pendentia colla.
Tum caput ipsikaufert domino truncumque relinquit
sanguine singultantem;katro tepefacta cruore
terra torique madent. Nec non Lamyrumque Lamumque
et iuvenem Serrbnum,killb qui plurima nocte
luserat, insignis facie, multoque iacebat
membra deo victus – felix, si protinus illum
aequbsset nocti ludumkin lucemque tulisset:
impastus ceu plena leo per ovilia turbans
– suadet enim vesana fames – manditque trahitque
molle pecus mutumque metu, fremit ore cruento.
Nec minor Euryali caedes; incensus et ipse
perfurit ac multamkin medio sine nomine plebem,
FbdumquekHerbfsumque subit RhoetumquekAbarimque
8 la rovina: con analoga ironia
Omero ricorda Ènnomo, comandante
dei Misi, “indovino, / ma non scongiurò con i presagi la nera morte” (Iliade
II, vv. 858 s.).
9 rantolante nel sangue: si noti il
latino sanguine singultantem in cui troviamo allitterazione e paronomasia; dal
tronco sgorgava il sangue con un suono simile a un rantolo. La cruda descrizione della morte è tipica del genere epico.
10 Lamiro e Lamo: coppia allitterante di nomi di personaggi (Lamyrum
Lamumque) uniti dalla stessa sorte.
11 Serrano: Serranum è un altro no-
me romano.
12 dio: qui Bacco, metonimia per
“vino”.
13 di Eurialo: Niso aveva raccomandato a Eurialo di stare in disparte e
coprirgli le spalle, ma quello si lascia
trascinare nel massacro.
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inconsapevoli14; Reto si era svegliato e tutto vedeva,
celandosi atterrito dietro un grande cratere15:
mentre si alzava Eurialo gli immerse da presso la spada
in pieno petto, e la estrasse con molta morte16.
Quegli emette l’anima purpurea17, e morendo rigetta
vino misto a sangue; questi, fervido incalza nell’agguato.
S’appressava ai compagni di Messapo18; lì vedeva
morire l’ultimo fuoco e legati secondo l’usanza
i cavalli brucare l’erba: quando brevemente Niso
– lo sentì trasportato da troppa foga di strage –
«Smettiamo» disse, « poiché s’avvicina la luce nemica19;
ci siamo vendicati abbastanza; s’apre la via tra i nemici».
Lasciano numerose armi di guerrieri, forgiate
in argento massiccio, e crateri e bei tappeti20.
Eurialo afferra, adattandole alle spalle inutilmente forti,
le borchie di Ramnete e la tracolla21 a placche d’oro,
che un tempo il ricchissimo Cedico mandò in dono
a Remulo tiburte, stringendo amicizia da lontano;
ignaros; Rhoetum vigilantemket cuncta videntem,
sed magnum metuens se post cratfra tegebat.
Pectorekin adverso totum cui comminus ensem
condidit adsurgentiket multb morte recepit.
Purpuream vomit illekanimamket cum sanguine mixta
vina refert moriens, hic furto fervidus instat.
Iamquekad Messbpi socios tendebat; ibikignem
deficerekextremumket religatos rite videbat
carpere gramen equos, breviter cum talia Njsus
– sensit enim nimib caedekatque cupidine ferri –
“Absistamus” ait, “nam lux inimica propinquat.
Poenarumkexhaustum satis est, via facta per hostis”.
Multa virum solidokargento perfecta relinquunt
armaque cratfrasque simul pulchrosque tapetas.
Euryalus phaleras Rhamnftis et aurea bullis
cingula, Tjburti Remulo ditissimus olim
quae mittit dona,khospitio cum iungeret absens,
Caedicus; ille suo moriens dat habere nepoti;
14 inconsapevoli: perché stavano
dormendo; si riferisce a Fado, Erbeso,
Reto e Abari, ma subito dopo il poeta si
corregge, dicendo che Reto era sveglio.
15 grande cratere: il cratere era un
grande vaso che serviva nei simposi per
mescolare acqua e vino (dalla radice
del verbo gr. “mescolare”): ne esistevano anche di grandissimi, che un uomo
non riesce ad abbracciare, e dietro uno
14
di questi si sarà nascosto Reto.
16 molta morte: espressiva metonimia per “ferita mortale”; quella ferita è
la morte di Reto.
17 purpurea: l’anima usciva insieme al sangue.
18 Messapo: era il re di un territorio
che comprendeva, fra le altre località,
Falerii e Fescennio.
19 luce nemica: in quanto li rende-
rà visibili.
20 tappeti: la razzia faceva tradizionale seguito alla strage epica.
21 tracolla: Remulo morendo ha
trasmesso il dono a un nipote, e questi
a sua volta è morto combattendo contro i Rutuli; in quell’occasione la tracolla di Cedico finì in possesso di Ramnete.
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quegli morendo la dà in possesso al nipote;
dopo la morte i Rutuli se ne impadroniscono guerreggiando in battaglia.
Poi indossa l’elmo di Messapo, agevole e adorno
di creste. Escono dal campo, e prendono vie sicure22.
Frattanto cavalieri mandati in avanscoperta dalla città latina,
mentre il grosso dell’esercito indugia schierato nella pianura,
andavano e portavano a Turno risposte del re:
trecento, tutti armati di scudi, guidati da Volcente23.
E già s’avvicinavano al campo, e arrivavano al muro,
quando li scorgono24 lontano piegare in un sentiero a sinistra;
l’elmo tradì l’immemore25 Eurialo nell’ombra
luminescente della notte, e rifulse26 percosso dai raggi.
Non passò inosservato. Grida dalla schiera Volcente:
«Fermatevi, uomini; che ragione all’andare? Che soldati
siete? Dove vi dirigete?». Essi non si fecero incontro,
ma fuggirono veloci nel bosco e s’affidarono alla notte.
Da tutte le parti27 i cavalieri si slanciano nei noti
bivii e circondano di guardie tutti gli sbocchi28.
post mortem bello Rutuli pugnbque potiti:
haec rapit atquekumeris nequjquam fortibus aptat.
Tum galeam Messbpikhabilem cristisque decoram
induit. Excedunt castris et tuta capessunt.
Interea praemissikequites ex urbe Latjnb,
cetera dum legio campis instructa moratur,
ibant et Turno regi responsa ferebant,
ter centum, scutatikomnes, Volcente magistro.
Iamque propinquabant castris murosque subibant
cum procul hos laevo flectentis limite cernunt,
et galeakEuryalum sublustri noctis in umbrb
prodidit immemorem radiisquekadversa refulsit.
Haud temerekest visum. Conclbmat ab agmine Volcens:
“State, viri. Quae causa viae? Quivekestis in armis?
Quove tenetis iter?” Nihil illi tendere contra,
sed celerare fugamkin silvas et fidere nocti.
Obiciunt equites sesekad divortia nota
hinc atquekhinc, omnemquekaditum custode coronant.
22 vie sicure: l’apparentemente felice conclusione del massacro prepara la
tragedia: l’orgoglio del giovane che riveste l’elmo preso al nemico si rivelerà non
meno fatale di quello di Ettore, che
nell’Iliade spoglia Patroclo suscitando
l’ira di Achille, o – proprio nell’Eneide –
di quello di Turno, che indosserà la cintura di Pallante e sarà per questo ucciso
da Enea, negli ultimi versi del poema.
23 guidati da Volcente: in latino
abbiamo l’ablativo assoluto Volcente
magistro, in cui il termine magister usato
in relazione a chi comanda la cavalleria (il magister equitum che accompagnava il dittatore), insieme al precedente
legio si riportano decisamente all’uso
romano, come il numero di trecento:
tanti erano i cavalieri che accompagnavano una legione romana.
24 li scorgono: Eurialo e Niso avevano già superato senza danni il
campo dei Rutuli, e per caso si imbattono nel contingente latino comandato da Volcente: la casualità è
sottolineata da cernunt “scorgono” (il
verso ha come soggetto i Rutuli).
25 immemore: Eurialo non pensava più al pericolo, che credeva superato.
26 rifulse: l’elmo di Messapo è di
fronte (adversa) ai raggi della luna e
quindi li riflette.
27 da tutte le parti: il termine latino divortia è un nome derivato da dis +
la radice del verbo verto, per indicare
l’atto di “volgersi in opposte direzioni”.
28 tutti gli sblocchi: i Latini dispongono come dei posti di blocco.
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Era una vasta selva irta di cespugli e di nere
elci, e dovunque la riempivano fitti rovi;
lucevano radi sentieri tra piste occulte.
Ostacolano Eurialo le tenebre dei rami e la pesante
preda, e il timore lo trae in inganno con la direzione delle vie.
Niso s’allontana. Incauto, oltrepassa il nemico,
e i luoghi che dal nome di Alba29 si chiamarono Albani
– allora, alte pasture, li aveva il re Latino –,
quando si ferma e si volge inutilmente all’amico scomparso:
«Eurialo, infelice, dove mai ti ho lasciato?
E per dove seguirti?». Ripercorrendo tutto l’incerto30 cammino
della selva ingannevole, e insieme scrutando le orme,
le percorre a ritroso, ed erra tra i cespugli silenti.
Ode i cavalli, ode lo strepito e il richiamo31 degli inseguitori:
non passa lungo tempo, quando gli giunge agli orecchi
un clamore, e vede Eurialo; già tutta la torma,
con improvviso tumulto impetuoso, trascina lui oppresso dall’inganno
della notte e del luogo, lui che tenta invano ogni difesa.
Che fare? con quali forze ed armi oserà
salvare il giovane? o si getterà per morire sulle spade
nemiche, e affretterà con le ferite32 la bella morte?
Silva fuit late dumis atquekilice nigrb
horrida, quam densi complfrant undique sentes;
rara per occultos lucebat semita callis.
Euryalum tenebrae ramorumkonerosaque praeda
impediunt, fallitque timor regione viarum.
Njsus abit; iamquekimprvdens evaserat hostis
atque locos qui post Albae de nomine dicti
Albbni – tum rex stabulakalta Latjnus habebat –,
ut stetit et frustrakabsentem respexit amicum:
“Euryalekinfelix, qub te regione reljqui?
Qubve sequar?” Rursus perplexumkiter omne revolvens
fallacis silvae simul et vestigia retro
observata legit dumisque silentibus errat.
Audit equos, audit strepitus et signa sequentum;
nec longumkin medio tempus, cum clamor ad auris
pervenit ac videt Euryalum, quem iam manus omnis
fraude lociket noctis, subito turbante tumultu,
oppressum rapit et conantem plurima frustra.
Quid faciat? Qub vi iuvenem, quibus audeat armis
eripere?
kAn sese medios moriturus in enses
inferat et pulchram properet per vulnera mortem?
29 Alba: la città di Alba Longa, che
fu fondata più tardi da Ascanio.
30 incerto: forse meglio “intricato”
in quanto perplexus viene da per- intensivo + plecto, “intrecciare”.
31 richiamo: il termine signa indica
16
gli avvertimenti che si scambiano gli
inseguitori.
32 affretterà con le ferite: il verbo
propero è qui impiegato nel senso di
“procurarsi immediatamente”, affrettando la morte rispetto al momento
naturale. Salvare vilmente la vita, tradendo l’amico, o consegnarsi a morte
gloriosa e generosa, benché inutile, sono i due termini opposti del dilemma
di Niso.
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Virgilio Eneide
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Rapidamente ritratto il braccio vibrando l’asta,
e guardando l’alta Luna33, prega così:
«Tu, o dea, favorevole34 soccorri la nostra sventura,
bellezza degli astri35, latonia custode36 dei boschi.
Se mai per me il padre Irtaco portò doni
alle tue are, e io li accrebbi37 con le mie cacce,
o li appesi alla volta del tempio38, o li affissi al santo fastigio39,
fa’ che sconvolga quella schiera, e guida l’arma nell’aria».
Disse, e con lo sforzo di tutte le membra scagliò il ferro40:
l’asta volando flagella le ombre della notte,
e di fronte colpisce lo scudo di Sulmone, e ivi
s’infrange, e attraversa i precordi col legno spezzato41.
Quello rotola gelido vomitando dal petto
un caldo fiotto, e batte i fianchi in lunghi singulti.
Scrutano intorno. Imbaldanzito,
ecco Niso scagliare una lancia dalla sommità dell’orecchio42.
E mentre s’affannano, l’asta attraversa le tempie
Ocius adducto torquet hastjle lacerto
suspiciens altam Lunamket sic voce precatur:
“Tu, dea, tu praesens nostro succurre labori,
astrorum decus et nemorum Lbtpnia custos.
Si qua tuis umquam pro me pater Hyrtacus bris
dona tulit, si quakipse meis venatibus auxi
suspendive tholokaut sacrakad fastigia fixi,
hunc sine me turbare globumket rege tela per auras”.
Dixerat et toto conixus corpore ferrum
conicit. Hasta volans noctis diverberat umbras
et venit adversikin tergum Sulmpnis ibjque
frangitur, ac fisso transit praecordia ligno.
Volvitur ille vomens calidum de pectore flumen
frigidus et longis singultibus ilia pulsat.
Diversi circumspiciunt. Hoc acrior idem
eccekaliud summb telum librabat ab aure.
Dum trepidant, it hasta Tago per tempus utrumque
33 guardando l’alta Luna: si noti
come suspicio abbia qui il valore originale di “guardare in alto” e non quello
figurato di “sospettare”.
34 favorevole: traduce il latino praesens. Gli dèi, infatti, esercitavano il loro
potere quando erano presenti, e per
questo praesens significa sia “potente”,
sia “benevolo”.
35 bellezza degli astri: perché è la
più luminosa tra tutti gli astri.
36 latonia custode: la Luna è qui
identificata con Diana, figlia di Giove e di Latona, signora delle foreste.
37 Se mai ... accrebbi: la preghiera viene giustificata attraverso il ricordo dei meriti che Niso e suo padre si
sono acquistati mediante la loro devozione verso Diana; è uno schema tradizionale della preghiera delle religioni greca e latina (dove il rapporto con
la divinità è improntato al principio
del do ut des) quello di enumerare in
primo luogo i benefici di cui l’orante si
è reso meritevole nei confronti della
divinità.
38 tempio: il termine tholus è un grecismo per indicare la copertura a cupo-
la, costruita attraverso il progressivo
accostarsi degli elementi, e propria degli edifici più antichi, anteriori alla scoperta dell’arco e della volta.
39 fastigio: si indica qui la sommità
della facciata.
40 ferro: sineddoche per indicare
l’asta con la punta ferrea.
41 spezzato: quindi l’asta colpisce
frontalmente lo scudo, si spezza, ma trapassa lo scudo e il petto del guerriero.
42 dalla sommità dell’orecchio:
per lanciare l’asta, la si levava all’altezza dell’orecchio destro.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
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di Tago, stridendo, e tiepida rimase nel cervello trafitto.
Infuria atroce Volcente, e non scorge in nessun luogo
l’autore del colpo, né dove possa scagliarsi rabbioso.
«Ma tu intanto mi pagherai con caldo sangue
la pena di entrambi» disse; e snudata la spada
si gettò su Eurialo. Allora sconvolto, impazzito43
Niso grida – non seppe celarsi più a lungo
nelle tenebre, o sopportare un tale dolore –:
«Io, io, sono io che ho colpito, rivolgete contro di me il ferro44,
Rutuli! l’insidia è mia; costui non osò
e non poté45 nulla (lo attestino il cielo e le consapevoli
stelle); soltanto amò troppo lo sventurato amico».
Così diceva; ma la spada vibrata con violenza
trafisse il costato e ruppe il candido petto46.
Eurialo cade riverso nella morte, il sangue scorre
per le belle membra, e il capo si adagia reclino sulla spalla:
come un fiore purpureo quando, reciso dall’aratro,
languisce morendo, o come i papaveri che chinano il capo
sul collo stanco47, quando la pioggia li opprime.
stridens traiectoquekhaesit tepefacta cerebro.
Saevit atrox Volcens nec teli conspicit usquam
auctorem nec quo sekardens immittere possit.
“Tu tamen interea calido mihi sanguine poenas
persolves amborum”
kinquit; simul ense recluso
ibat in Euryalum. Tum verokexterritus, amens,
conclbmat Njsus nec se celare tenfbris
amplius aut tantum potuit perferre dolorem:
“Me, me,kadsum qui feci,kin me convertite ferrum,
o Rutuli! Mea fraus omnis, nihil iste nec ausus
nec potuit; caelumkhoc et conscia sidera testor;
tantumkinfelicem nimium dilexit amicum”.
Talia dicta dabat, sed viribus ensis adactus
transadigit costas et candida pectora rumpit.
Volvitur Euryalus leto, pulchrosque per artus
it cruor inquekumeros cervix conlapsa recumbit:
purpureus veluti cum flos succisus aratro
languescit moriens, lassove papavera collo
demisfre caput pluvib cum forte gravantur.
43 impazzito: amens vuol dire “fuor
di sé” ed è formato da a- privativo +
mens.
44 ferro: sineddoche per gladium.
45 e non poté: Niso mente apertamente per sminuire la responsabilità
del compagno.
46 candido petto: il candore della
18
pelle, nella tradizione greca, che i poeti
latini si compiacciono di riprodurre, è
una qualità femminile, ma qui viene
attribuita ai giovani uomini per sottolinearne la bellezza.
47 sul collo stanco: la morte di Eurialo è rappresentata dal contrasto tra
la brutalità della ferita e la gentilezza
quasi femminea delle sue membra giovanili, marcata ulteriormente dalle similitudini floreali (il fiore reciso anzi
tempo, i papaveri che si afflosciano appesantiti dalla pioggia). I termini della
similitudine, per converso, sono umanizzati dalle metafore (“collo” per il
gambo, “capo” per la corolla).
testi
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Virgilio Eneide
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Ma Niso s’avventa sul folto e cerca fra tutti
il solo Volcente, contro il solo Volcente si ostina.
I nemici, addensatisi intorno a lui da tutte le parti,
lo stringono da presso; egli incalza ugualmente
e ruota la spada fulminea, finché non la immerse
nella bocca del rutulo urlante, e morendo tolse la vita
al nemico. Allora, trafitto, si gettò sull’amico esanime,
e alfine riposò in una placida morte48.
Fortunati entrambi! Se possono qualcosa i miei versi,
mai nessun giorno vi sottrarrà49 alla memoria del tempo50,
finché la casa di Enea51 abiti l’immobile rupe
del Campidoglio, e il padre romano52 abbia l’impero.
(Trad. L. Canali)
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At Njsus ruit in medios solumque per omnis
Volcentem petit, in solo Volcente moratur.
Quem circum glomeratikhostes hinc comminus atquekhinc
proturbant. Instat non setius ac rotat ensem
fulmineum, donec Rutuli clamantis in ore
condidit adversoket moriens animamkabstulit hosti.
Tum super exanimum sese proiecit amicum
confossus, placidbquekibi dfmum morte quievit.
Fortunatikambo! Si quid mea carmina possunt,
nulla dies umquam memori vos eximet aevo,
dum domus Aenfae Capitplikimmobile saxum
accolet imperiumque pater Rpmbnus habebit.
48 placida morte: una volta vendicato Eurialo, Niso riposa contento.
49 vi sottrarrà: rompendo la convenzione dell’impersonalità epica, Virgilio si rivolge qui direttamente ai giovani uniti nell’amicizia e nella morte e per
questo il poeta li definisce “fortunati”.
50 alla memoria del tempo: il me-
mor aevum è il tempo che conserva la
memoria.
51 casa di Enea: sta per la gens Iulia,
che attraverso Iulo/Ascanio discendeva da Enea ma anche per il popolo romano nel suo insieme. Il Campidoglio
era nel centro più antico della città e su
di esso erano stati edificati i templi de-
gli dèi più importanti.
52 padre romano: singolare per il
plurale, sta per patres Romani, i senatori
romani, giacché il senato impersonava
la maestà dell’impero di Roma. Virgilio coglie l’occasione per riaffermare il
carattere nazionale e nello stesso tempo dinastico del suo poema.
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ANALISI DEL TESTO
Sin dall’inizio, il poeta tratteggia uno sfondo dolce e ambiguo al tempo stesso: non
una nox pura e semplice, ma piuttosto un’umbra noctis
(cfr. v. 314 noctisque per umbram, v. 373 noctis in umbra,
v. 411 noctis diverberat umbras); alla pallida luce della
luna, i due amici avanzano e compiono la loro strage.
Ma il silenzio è rotto dall’arrivo dei Latini e, nell’ombra
della notte con tutto il suo carico di mistero e pericolo,
con il rumore entra allora in scena la paura: ai vv. 384 s.
Euryalum tenebrae ramorum onerosaque praeda / impediunt, fallitque timor regione viarum (“Ostacolano Eurialo
le tenebre dei rami e la pesante preda, e il timore lo trae
in inganno con la direzione delle vie”), il giovane amico di
Niso è rappresentato come un cerbiatto in trappola, e la
sua cattura giunge come la naturale conseguenza della
sua affannosa fuga tra le tenebre e i rami. Ma è sulla
figura di Niso che Virgilio costruisce il suo capolavoro
di pathos: ai vv. 390 s. Euryale infelix, qua te regione
reliqui? / Quave sequar? (“Eurialo, infelice, dove mai ti
ho lasciato? E per dove seguirti?”), l’aggettivo infelix e la
rapida sequenza delle interrogative, con l’anafora di qua,
effigiano lo sgomento dell’eroe che si scopre solo; subito dopo, ai vv. 391-393, sono rappresentati in rapida
climax l’angoscia montante in Niso che torna veloce sui
suoi passi (Rursus perplexum iter omne revolvens / fallacis silvae simul et vestigia retro / observata legit dumisque
silentibus errat, “Ripercorrendo [la ripetizione è indicata
in modo ridondante rursus … revolvens] tutto l’incerto
cammino della selva ingannevole, e insieme scrutando le
orme, le percorre a ritroso, ed erra tra i cespugli silenti”)
e l’orrore della scoperta dell’amico in trappola nel rapidissimo passaggio dalle sensazioni acustiche a quelle
visive (vv. 394-396): Audit equos, audit strepitus et signa sequentum; / nec longum in medio tempus, cum clamor ad auris / pervenit ac videt Euryalum, “Ode i cavalli,
ode lo strepito e il richiamo degli inseguitori: non passa
lungo tempo, quando gli giunge agli orecchi un clamore,
e vede Eurialo”. Tragica è l’immagine di Eurialo ormai
preso che cerca di battersi (vv. 396-398) e un forte
effetto patetico ha l’accorata preghiera di Niso alla Luna/
Diana (vv. 404-409). Ma l’apice si ha quando Volcente
sceglie di far pagare a Eurialo le uccisioni e la strage, e
Niso decide allora di palesarsi; particolarmente drammatica l’interiettiva anafora con cui comincia a parlare:
Me, me, ... , in me convertite ferrum ... Mea fraus omnis,
nihil iste nec ausus (vv. 427-429). Di grande effetto è
anche l’assalto a Volcente, responsabile della morte di
Eurialo, scandito dalla drammatica anafora del nome (v.
439) Volcentem petit, in solo Volcente moratur. Una nota
patetica, infine, conclude l’episodio nell’esclamazione
del poeta che esalta il tragico destino dei due giovani (v.
446): Fortunati ambo!
L’ETÀ DI AUGUSTO

LA NOTTE: PAURA E ANGOSCIA
Eurialo e Niso sono, innanzitutto,
due amici. Pare interessante notare nei versi l’impiego
del termine amicus che ne indica il rapporto: esso è
usato solo in tre casi e in un contesto ben caratterizzabile. Al v. 389 Niso frustra absentem respexit amicum: è

DUE AMORI GUERRIERI
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la prima volta che Eurialo viene chiamato espressamente amicus in questo episodio e guarda caso, è absens. Al
v. 430, le ultime parole di Niso sono ancora per Eurialo
che tantum infelicem nimium dilexit amicum, dove l’infelix
amicus è qui lo stesso Niso, che riconosce in quell’amor
la causa della morte di Eurialo; al v. 444, infine, Niso, già
colpito a morte, super exanimum sese proiecit amicum, e
l’amicus è qui di nuovo Eurialo, ormai esanime; in tutti e
tre i casi la nozione di amicizia è associata a un aggettivo “drammatico”.

UNO STILE SOLENNE Nel modello epico omerico la
coppia di guerrieri amici costituisce un topos, di cui
l’esempio più famoso è sicuramente dato da Achille e
Patroclo. In queste coppie i due guerrieri sono diversi
per età (uno è più giovane, l’altro più maturo), per
temperamento (uno più irruente, l’altro più prudente),
per forza (uno è fragile, l’altro vigoroso). Come nel
caso di Patroclo, anche qui a morire è il più giovane e
l’amico più maturo impazzisce (amens) per il dolore
che amplifica le sue forze e lo spinge a vendicare la
sua morte (come fa Achille uccidendo Ettore). Anche
nel finale dell’opera l’uccisione di Turno da parte di
Enea riprende questo topos, visto che ci viene presentata come la vendetta della morte di Pallante. A livello
stilistico, è possibile riscontrare la consueta solennità
epica, di cui di seguito qualche esempio: al v. 323
vasta dabo è forma più aulica di vastabo; voce poetica, ai vv. 324, 347, 400, 423, 431, 441, è ensis
(“spada”), mentre al v. 326 proflabat pectore somnum,
“spirava sonno dal profondo del petto” è espressione
solenne per l’umile stertebat, “russava”. Numerose le
figure di suono: v. 315 tamen ante (dove il secondo è
quasi l’anagramma del primo); v. 322 custodi et consule (coppia di imperativi allitteranti); v. 333 sanguine
singultantem (sequenza allitterante e paronomastica:
dal tronco sgorgava il sangue con un suono simile a
un rantolo); vv. 333 s. atro tepefacta cruore / terra
torique madent (oltre all’allitterazione tepefacta ... terra torique, si registra una grande concentrazione di
suoni |t| ed |r|;. v. 394 strepitus et signa sequentum (una sequenza dove l’allitterazione in |s| serve
anche a esprimere l’angoscia di Niso per il rumore
che sente); v. 397 subito turbante tumultu (dove la
ripetizione dei suoni sottolinea la drammaticità dello
spettacolo). Frequenti, d’altronde, metonimie (cfr. v.
316 vino, per ubriachezza; v. 319 vina: il contenuto,
vina, per il contenente, gli otri; v. 337 deo, cioè Bacco
per vino; v. 348 multa morte, dove mors sta per ferita
mortale), ipallage (cfr. vv. 359 s. aurea bullis / cingula
= cingula aureis bullis, tracolla a placche d’oro), anafore (cfr. v. 394 audit ... audit, vv. 427 s. me, me ... in
me ... mea), parallelismi (l’egual posizione metrica di
galeam Messapi, al v. 365, e galea Euryalum, al v. 374,
rende ancor più cruciale il ruolo giocato da quell’elmo,
in quel fatale cambio di proprietario, in questa vicenda), similitudini (il fiore purpureo falciato dall’aratro, i
papaveri dal collo stanco).
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Testi antologici – 3 L`età di Augusto