IL VaR NELLA GESTIONE ATTIVA : È VERA MISURA DEL RISCHIO? È ormai prassi comune l’utilizzo del VaR per determinare il livello di rischio di un fondo, indipendentemente dalla tipologia di quest’ultimo. Al di là del metodo utilizzato (storico, variance-covariance, MonteCarlo, ecc) sono sempre i dati storici che rappresentano la base di calcolo del rischio futuro. Ma se il gestore prevede dei cambiamenti di scenario? Consideriamo come esempio di tecnica di gestione la strategia “global macro” che è forse la più rappresentativa nell’anticipare i cambiamenti macro e che, banalizzando, consiste nel cogliere opportunità a spettro ampio su tutti i mercati ed in particolare su cambi e tassi: gli elementi in gioco sono le variabili macroeconomiche e l’approccio è di tipo top-down. Rischi assunti dal gestore? Sostanzialmente market risks. Come ha fatto il gestore ad ottenere i propri risultati? Che rischi si è dovuto assumere? Se ci limitiamo a valutare la volatilità dei ritorni del portafoglio, anche utilizzando gli algoritmi più sofisticati di analisi delle asimmetrie delle distribuzioni dei ritorni stessi, in ogni caso non abbiamo una misura dei rischi che sono stati effettivamente assunti nel tempo. Se ci limitiamo a valutare ad esempio i risultati mensili e non conosciamo le componenti positive e negative che hanno contribuito alla loro formazione siamo probabilmente indotti in un errore di sottostima dei rischi assunti. A questo punto si entra nel merito della valutazione dei rischi che vengono assunti dal gestore e nascono due problemi fondamentali: 1) la gestione attiva si basa sull’anticipazione degli eventi che possono modificare dei trend e di conseguenza la semplice estrapolazione del dato storico è fuorviante. 2) il VaR, per sua costruzione, include nel risultato il ritorno atteso: quando il periodo di riferimento è brevissimo (alcuni giorni) può essere considerato nullo ma, quando l’orizzonte temporale è più lungo (qualche mese), tipico nell’industria dell’asset management, l’impatto è fondamentale. Punto 1) il dato storico viene utilizzato normalmente per il calcolo della componente di rischio nell’ipotesi di “stabilità” della volatilità. Vi sono tuttavia diversi modelli di simulazione del cambiamento della volatilità nel tempo, ma si basano sempre sul passato e su ipotesi circa il futuro. È inoltre cruciale e soggettiva la scelta del periodo passato di riferimento come base di calcolo, onde cercare di identificare e sfruttare le correlazioni tra le varie asset class. Lo stesso dato storico, con aspettative di cambiamento di trend, non è significativo per la formulazione di ipotesi di ritorni futuri. Punto 2) rappresenta il fattore cruciale per il quale non esisterà mai una risposta precisa ed univoca. Il gestore global macro, sulla base delle proprie analisi macroeconomiche e di altri elementi quali/quantitativi, formula delle ipotesi circa gli scenari futuri e le conseguenti implicazioni per i mercati finanziari. Naturalmente le ipotesi devono successivamente essere tradotte in livelli target ed in percentuali di allocazione. Mentre tutto il ragionamento a monte che conduce a delle conclusioni può essere ben spiegato e convincente, è praticamente impossibile spiegare i “numeri” che poi vengono utilizzati in concreto nella formulazione del portafoglio. Questo viene risolto con l’introduzione del concetto di “subjective probability”, che rappresenta una previsione non dimostrabile ma semplicemente rappresentativa di un’idea, di un convincimento, che può essere condivisa oppure no. “A probability derived from an individual's personal judgment about whether a specific outcome is likely to occur. Subjective probabilities contain no formal calculations and only reflect the subject's opinions and past experience. It is often a reasonable assessment by a knowledgeable person. A person's subjective probability of an event describes his degree of belief in the event”. A questo punto, rivedendo la formula base del VaR VaR = - ( µ - z · σ ) ove : µ = expected return σ = standard deviation z = fattore critico di probabilita’ (che puo’ includere asimmetria e kurtosis) appare evidente che la componente soggettiva del gestore (µ) e’ molto importante ed in caso di aspettative molto elevate o relative ad un intervallo di tempo lungo puo’ addirittura invertire il segno del risultato. Anche se si utilizzano formule piu’ complesse, vedi ad es. il Modified VaR o il Conditional VaR, il problema non cambia : viene affinata la rappresentazione della realtà con l’introduzione dei momenti della distribuzione di probabilità del terzo e del quarto grado (asimmetrie e kurtosi) ma la sostanza rimane la stessa. ZEST SA Per ottenere dei risultati bisogna avere degli atteggiamenti verso i mercati, cioè assumere dei rischi, che possono rivelarsi anche sbagliati. L’abilità del gestore sta sì nella capacità di individuare correttamente e di cogliere le opportunità che si presentano ma anche nell’attenzione nel valutare e nel controllare i rischi che si assume, mettendosi nelle condizioni di riconoscerli e minimizzarli. Fondamentale è quindi il controllo del rischio e la gestione dello stesso, onde consentire al gestore di prendere delle decisioni sempre più razionali ed in un contesto di ottimizzazione del rapporto rischio / rendimento, e fornendogli gli strumenti per aiutarlo a riconoscere scelte sbagliate e ad effettuare interventi immediati per contenere le perdite. L’entità della performance prodotta da un gestore attivo rappresenta, coerentemente con il massimo rischio accettabile predefinito, la sua capacità di previsione e di “market timing” mentre la “stabilità” o bassa “volatilità” dei risultati prodotti, contrariamente a quanto normalmente ritenuto, non è indice di un basso rischio di gestione ma dell’ abilità di chi gestisce nel riconoscere e controllare i rischi assunti. La nostra metodologia prevede l’affiancamento al qualitativo di un quantitativo per meglio razionalizzare il processo ed assicurarsi che le impostazioni siano coerenti, senza al contempo penalizzare fantasia e originalità del gestore. L’ approccio consiste nel “forzare” il gestore ad indicare dei livelli target per ogni asset class e ad esprimere il proprio grado di convincimento nei valori proposti (subjective probability). Avendo a questo punto degli “expected returns” è possibile, tramite un sistema di ottimizzazione, generare il portafoglio ottimale che massimizza il rendimento compatibilmente con i limiti per asset class predefiniti e con il rischio massimo accettabile, qualsiasi sia la misura utilizzata. 2 Ne nasce un dibattito circa la durata e la frequenza delle serie storiche da utilizzare, la misura del rischio da utilizzare (standard deviation, VaR, MVaR, CVaR, standard deviation senza correlazioni, ecc.) e le valutazioni conclusive, legate al momento di mercato, integrano l’esperienza del gestore con l’interpretazione dei risultati quantitativi. Quindi, pur rimanendo fondamentale l’utilizzo dei vari metodi quantitativi, occorre la consapevolezza che per valutare esattamente il rischio di un fondo non è sufficiente il conoscere il valore del VaR se quest’ultimo non viene a sua volta qualificato. Per concludere, è interessante osservare come viene valutato un gestore “total return” o attivo: sulla base dei risultati ottenuti; e, più elevata e più “stabile” è la performance ottenuta, più bravo è il manager, prescindendo dai rischi effettivamente assunti. Nella gestione attiva il valore aggiunto risiede esclusivamente nella capacità del gestore di generare e disciplinare le idee; la misura della sua abilità è essenzialmente racchiusa in indicatori di performance per unità di volatilità dei risultati, tipo Sharpe ratio o similari: se questi indicatori sono positivi non significa che il gestore non ha assunto rischi, perchè senza rischi non c’è performance, ma che ha saputo identificarli e gestirli al meglio, anche con l’ausilio della metodologia quantitativa. ZEST SA ZEST SA 3