DELLE
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n°14. 15 settembre 2014
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Lariconversione
A 100 anni dal lancio
dello storico modello
«M» l’azienda
tedesca torna
in attivo dopo
la bancarotta
analogica. Grazie
agli investimenti
in tecnologia
dell’imprenditore
Andreas Kaufmann
Leica
La rinascita digitale
di una regina
della fotografia
Oskar Barnack
Capo del laboratorio di ricerca
della vecchia Leitz: fu lui a inventare
la Leica compatta che utilizzava
la pellicola in 35 mm del cinema
antoniodini
È uno Steve Jobs austriaco il salvatore di Leica, uno dei
marchi-simbolo della tecnologia
analogica che era stato quasi travolto dalla rivoluzione digitale
all’inizio del ventunesimo secolo. Una storia da raccontare per
capire come le aziende europee
tradizionali si possono salvare cavalcando la rivoluzione hi-tech e
offrendo una alternativa ad asiatici e statunitensi.
Se sugli altari della cronaca è
salito Jobs, che con il suo ritorno
alla guida di una morente Apple
nel 1997 è riuscito a creare la più
grande azienda per capitalizzazione di mercato, in futuro un
posto dovrebbe essere riservato
anche a Andreas Kaufmann,
elusivo ma determinato imprenditore austriaco che ha acquistato la
maggioranza della tedesca Leica
con la sua società di investimenti
Acm Projektentwicklung di Salisburgo e con la partecipazione del
fondo americano Blackstone, che
ha una quota di minoranza. Tanto
da arrivare non solo all’attivo (e
all’azzeramento del debito) finanziando lo sviluppo e i futuri prodotti con il proprio cash-flow, ma
anche al delisting dalla Borsa di
Francoforte alla fine del 2012, trasferendo le quote a Lisa Germany
Holding, società interamente controllata da Acm e da Blackstone.
La storia di Kaufmann è singolare quanto il lavoro fatto per
Leica. L’imprenditore arriva al
mondo della finanza e del business dopo aver studiato arte, tedesco e scienze politiche, partecipato al Sessantotto e insegnato dal
1983 al 1998. “Formare le nuove
generazioni è un atto rivoluzionario”, dichiara in un’intervista,
spiegando il suo impegno nella
scuola di Waldorf-Rudolf Steiner. Poi, la svolta capitalistica.
Dal 1998 al 2002 fa esperienza
nelle società di famiglia: con i
due fratelli eredita le più grandi
cartiere austriache, di proprietà
dei Kaufmann per 101 anni. Intuendo che il mercato della carta
sta morendo, a partire dagli anni
Novanta i tre vendono le azioni
modello m
L’erede digitale
della storica
serie
che fu lanciata
dall’azienda
all’indomani
della Seconda
guerra mondiale
creando la società di investimento
Acm dalle iniziali dei loro nomi.
Il primo acquisto è un’azienda di
ottica, la Weller Feinwerktechnik,
vicino a Wetzlar, dove ha sede
Leica (produce strumenti ottici
di precisione oltre alle fotocamere). Poi, nel 2002, Acm acquista
anche la piccola Via Opti, fornitrice di Leica, e Kaufmann, che
non è appassionato di fotografia
e a malapena conosce il marchio
dell’azienda, entra in contatto con
vari manager Leica.
Alla fine la decisione: entra
nella proprietà di Leica che sta
andando in bancarotta, con l’idea di ristrutturare e ripartire. I
fratelli di Kaufmann si spaventano ed escono da Acm, mentre
l’imprenditore austriaco resiste.
Anche se per crederci bisogna
avere molta fiducia in se stessi: il
mercato analogico implode, quello digitale cresce alla grande. Leica come tutta risposta proprio in
quegli anni lancia una campagna
(Kaufmann la definisce “suicida”) in cui si vanta di essere “il
Il mix vincente
di altissimo artigianato
e apparati tecnologici
di ultima generazione
dinosauro della pellicola” in un
mondo dominato dai mammiferi
giapponesi del digitale.
La storia del dinosauro è comunque straordinaria: nata come
azienda per le ottiche di precisione nel 1949, fondata dal ventitreenne Carl Kellner, nel 1869
rinasce con il nome Leitz dal nuovo fondatore, l’allora ventiseienne Ernst Leitz. Due ricercatori
sono però strumentali al successo
di Leitz: Oskar Barnak, capo
dei laboratori di ricerca, e Max
Berek, talento assoluto nella progettazione delle lenti. Barnak, appassionato di fotografia e malato
d’asma, stanco di trascinare le voluminose macchine su treppiede
di inizio ‘900, nel 1913 inventa la
prima Leica (contrazione di Leitz
Camera), che è per la prima volta tascabile, dotata di telemetro e
usa la pellicola 35 millimetri del
cinema, di qualità e poco costosa.
La super-compatta esordisce
dopo la Prima guerra mondiale e
per trent’anni incarna il mito del
fotoreporter: da Robert Capa a
Henri Cartier-Bresson passando per i fotografi Magnum e
moltissimi dei grandi nomi anche
italiani (da Tazio Secchiaroli a
Mario Dondero). Un mito per
una nicchia di puristi (fotocamera
a telemetro solida, messa a fuoco
solo manuale, senza fronzoli e
con ottiche fisse) con prezzi altissimi (5-6mila euro per un corpo,
da 4 a 10mila per una lente) ma
destinata al fallimento. Arrivando
al punto di cambiare nome all’azienda nel 1986 (da Leitz a Leica)
e città (da Wetzlar a Solms) pur
di tenere il passo con il mercato.
Siamo alla crisi e all’arrivo di
Acm. “Ho cambiato tutto, e ho
progetti molto ambiziosi per i
prossimi quattro o cinque anni”,
spiega Kaufmann che dopo aver
preso il controllo dell’azienda ha
rivoluzionato il management e
investito nel digitale mantenendo
però l’attenzione per l’originalità
del marchio. Macchine fotografiche lavorate a mano, eccellenti
e di posizionamento molto alto,
ma con le ultime tecnologie digitali tra sensori e processori. Il
primo esperimento nel 2008-2009
(M8 ed M9) con due generazioni
di sensori Kodak con tecnologia
Ccd, poi il passaggio al sensore
Cmos full frame progettato in
Europa da Cmosis e realizzato in
Francia da ST Microelectronics,
mentre il cuore è nel processore
Maestro, sviluppato da Leica e
basato sulla famiglia Milbeaut di
Fujitsu. Operazione riuscita: ancora oggi prendere in mano una
Leica M Typ 240 è soprattutto
un’emozione, e la qualità delle
immagini prodotte è superiore di
gran lunga a quello
che sono capaci di
fare i giapponesi.
La fortuna aiuta
gli audaci perché
l’antica impostazione a telemetro del
prodotto-simbolo
dell’azienda, la Leica M, compete perfettamente con le
nuove mirrorless (le
ultimissime di Fuji,
Panasonic, Olympus,
Sony e Samsung) e
“tiene” nel mercato
della fotografia digitale che si sta contraendo per via degli smartphone.
Intanto Leica torna a Wetzlar
in un’avveniristica fabbrica per la
lavorazione dei metalli e del vetro, lancia nuovi prodotti (Leica
T), compie 100 anni con la linea
M e a partire dal 2012 riprende il
controllo della distribuzione in
molti Paesi, non ultima l’Italia,
cominciando ad aprire una catena
di negozi di proprietà (anche qui,
l’esempio corre agli Apple Store)
tra cui San Francisco e Milano,
Tokyo e Berlino. Accanto a pochi prodotti dell’azienda ci sono
mostre di fotografie, spazi per
workshop, tutto all’insegna di un
arredamento Bauhaus che sarebbe
piaciuto a Ludwig Mies van der
Rohe e al suo “less is more”.
L’operazione rebranding ha
successo: i conti che nel 2012
già andavano bene continuano a
migliorare: il Made in Germany
nella meccanica di precisione ma
anche nel lusso attacca sui mercati. Lo dimostrano marchi di orologeria come A.Lange & Sohne,
Sinn, Nomos, e Porsche nel settore automobilistico. La strategia
di Kaufmann è portare il brand
accanto a questi marchi di lusso:
in meno di 10 anni ha centrato il
bersaglio.
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La rinascita digitale di una regina della fotografia